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di Messina
Relatore Laureando
Prof. Dario Tomasello Andrea Sorrenti
A.A. 2012 - 2013
1
A mio padre, mia madre e mia sorella
che hanno sempre sostenuto le mie scelte
e contribuito alla formazione della mia persona.
2
INDICE
INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
CAPITOLO I
PROSSIMA FERMATA: MINIMALISMO . . . . . . . . . . . . . . . . . .8
CAPITOLO II
STEVE REICH: L’INTRECCIO TRA VITA ED OPERE . . . . .17
3
CAPITOLO III
QUANDO IL COMPOSITORE RIFLETTE SULLA PROPRIA
MUSICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .39
BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
TRACCE MUSICALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
4
INTRODUZIONE
Nel mio percorso artistico-musicale, se pur breve rispetto a tanti altri miei
colleghi, ho avuto la fortuna di subire, ricevere ed assorbire le più svariate
influenze musicali varianti a seconda degli incontri fatti e dei luoghi frequentati.
Lungo il mio percorso formativo, certamente non terminato e lungi da me dal
considerarlo fatto per tutto il resto della mia vita, ho avuto a che fare con i più
svariati ambienti musicali: da quello prettamente accademico, dove ho avuto la
possibilità di conoscere e apprezzare ciò che viene definito musica colta o
classica, a quello del mainstream urbano musicale, dove ho potuto allargare i
miei orizzonti verso i più svariati generi della musica moderna. Assorbendo ed
apprezzando questi due grandi mondi, apparentemente lontani fra loro, il mio
sguardo si è improvvisamente arrestato su qualcosa che stava fuori dagli schemi,
qualcosa che produceva in me sensazioni varianti tra il dubbio e la curiosità,
l’incredulità e la sorpresa. Il mondo etichettato come musica contemporanea mi
si era appena aperto davanti dandomi la possibilità di gettarmici dentro e
riuscendo a capire subito che, nonostante la sua giovanissima età (circa un
secolo di vita), era qualcosa di mastodontico.
In questa mia ricerca ho voluto analizzare solo una corrente culturale,
probabilmente la più mistica, della musica contemporanea: il Minimalismo.
Partendo dalla nascita e l’evoluzione di essa in vari campi artistici sono giunto
alla specifica analisi di un compositore che ha segnato un enorme solco nella
storia di questa corrente in campo musicale: Steve Reich.
Leggendo e studiando le analisi del Maestro Enzo Restagno, saggi e note dello
stesso compositore, ho cercato di costruire un intreccio fra la biografia e le opere
compositive di Steve Reich esponendo infine il pensiero estetico dello stesso.
5
«Non è necessario ricercare la propria personalità
dal momento che non può essere evitata»
Steve Reich
6
7
CAPITOLO I
PROSSIMA FERMATA: MINIMALISMO
«If we survey the art situation of recent times, as it has come to take shape over, let us
say, the last fifty years, we find that increasingly acceptance has been afforded to a class
of objects that, though disparate in many ways - in looks, in intention, in moral impact -
have also an identifiable feature or aspect in common. And this might be expressed by
saying that they have a minimal art-content: in that either they are to an extreme degree
undifierentiated in themselves and therefore possess very low content of any kind, or
else the difierentiation that they do exhibit, which may in some cases be very
considerable, comes not from the artist but from a nonartistic source, like nature or the
factory. Examples of the kind of thing I have in mind would be canvases of Reinhardt or
(from the other end of the scale) certain combines of Rauschenberg or, perhaps better,
the non-"assisted” ready-mades of Marcel Duchamp. The existence of such objects, or
8
rather their acceptance as works of art, is bound to give rise to certain doubts or
anxieties, which a robust respect for fashion may fairly permanently suppress but cannot
effectively resolve. In this essay I want to take these doubts and anxieties seriously, or
at least some of them, and see if there is anything they show about the abiding nature of
art.»1
Wollheim riflette sul come e sul perché un oggetto considerato di uso comune o
una figura elementare possa essere considerata arte, come inserendo in un dato
contesto qualcosa alla quale, normalmente, nella vita quotidiana non gli
daremmo alcun peso o di certo non lo considereremmo un’opera d’arte.
L’osservatore è catapultato in una dimensione fuori norma, gli viene presentata
la normalità in un contesto che non si aspetterebbe, viene avvolto da angosce,
dubbi, ansie che gli artisti minimalisti cercheranno di allontanare grazie alla loro
arte apparentemente semplice.
1
RICHARD WOLLHEIM, Minimal Art, «Arts Magazine», Gennaio 1965, pp. 26-32
9
1.2. Letting sounds be themselves
«Tra le conseguenze implicate nella poetica del Ready Made ce n’erano due destinate ad
un rigoglioso sviluppo nella futura musica radicale di Cage e di tanti altri compositori
americani: 1) un oggetto comune può essere innalzato a livello di opera d’arte (la ruota
di bicicletta o lo scolabottiglie); 2) è abolita la distinzione tra arte e vita»2
10
L’incontro-scontro fra musica e pittura aprì una breccia ricca di novità in un
muro, fino allora, mai considerato; in passato la musica e la pittura si erano
sfiorate, si erano influenzate, per poi proseguire ciascuna per la propria strada,
ma l’America di Cage e Rauschenberg portò queste due forme artistiche a
confrontarsi sullo stesso campo di battaglia per poi allearsi, creando qualcosa
che avrebbe prima irritato e poi rasserenato l’osservatore-ascoltatore del tempo.
I quadri bianchi del pittore ispirarono la composizione per qualsiasi strumento
ed ensemble musicale di Cage 4’33”; come i primi avrebbero cambiato la loro
visibilità secondo le condizioni di luce ambientale in cui questi venivano esposti
anche i 4 minuti e 33 secondi di puro e completo silenzio avrebbero provocato
sensazioni, ambiguità, introspezioni diverse a seconda dell’ascoltatore.
«Cerco di pensare a tutta la mia musica posteriore 4'33 come a qualcosa che
fondamentalmente non interrompa quel pezzo»
3
GIANFRANCO VINAY, Il Novecento nell’Europa Orientale e negli Stati Uniti, Torino, EDT, 1978,
p. 101
11
«All’inizio degli anni Cinquanta, presi la decisione di accettare i suoni che esistono nel
mondo. Prima, ero così ingenuo da pensare che esistesse una cosa come il silenzio. Ma
quando entrai nella camera anecoica della Harvard University a Cambridge, sentii due
suoni. Pensai che ci fosse qualcosa di sbagliato nella stanza, e dissi all’Ingegnere che
c’erano due suoni. Mi chiese di descriverli e lo feci: “Bene – disse – quello più acuto è
il suo sistema nervoso in funzione e quello più grave la sua circolazione sanguigna”.
Questo significa che c’è musica, o c’è suono, indipendentemente dalla mia volontà».4
Questo nuovo modo di pensare, di vedere, di ascoltare ogni cosa che appartenga
alla quotidianità, dalla più naturale alla più industrializzata, spalancò gli occhi a
centinaia di artisti nell’America degli anni 60 portando alla creazione di opere
d’arte che ancora oggi fanno discutere le più disparate scuole di tutto il mondo.
4
CAGE JOHN, Silence, Wesleyan University, 1961, p. 23
12
1.3. La “minimal music” e Steve Reich
dato che i suoni hanno una propria esistenza indipendente da quella umana e di
conseguenza un singolo suono non dovrà inevitabilmente essere collegato ad un
altro per essere considerato interessante, il rapporto tra ascoltatore e suono dovrà
essere introspettivo, contemplativo e creativo.
5
MARK ALBURGER , La Monte Young to 1960, «21st Century Music», X, 3, 2013, p.6
13
Lo sviluppo tecnologico degli anni 60 americani influenzò il campo musicale
con l’utilizzo dell’elettronica, tra i compositori si diffuse la curiosità nei
confronti del nastro magnetico sperimentando e adoperando le sue funzioni nelle
composizioni dell’ultima ora. All’inizio di quegli anni il compositore Terry
Riley riuscì ad adoperare due tecniche grazie all’utilizzo di questo strumento: il
tape-loop e il tape-delay; la prima si basava sulla ripetizione costante ed
incessante di uno stesso “pattern” (cellula musicale) registrato, la seconda
permetteva, invece, la trasformazione temporale della cellula musicale creando
quasi una sorta di feedback elettronico. Nel 1963 ebbe la possibilità di applicare
queste tecniche nella colonna sonora scritta per il film The Gift, registrando con
il quintetto del famoso trombettista Chet Baker; quest’esperienza diede il La a
Riley per la riflessione e la sperimentazione di una nuova musica ciclica che
potesse fondarsi su un elemento di base variandolo senza dover ricercare ed
applicare altri elementi. Nel 1964 realizzerà una delle opere capitali della musica
minimale, In C.
L’opera è costituita da un elemento
base diviso in 53 figure che
permettano di creare svariate
combinazioni, il tutto riferendosi ad
una pulsazione costante dettata da un
Do (dal quale deriva il nome
dell’opera) suonato sul registro
acuto; Riley nella strutturazione ed
esecuzione del brano, data la sua
complessità, dovette far ricorso ad un
14
numero svariato di musicisti-collaboratori tra i quali figurava un giovanissimo
Steve Reich il quale, probabilmente, diede il contributo più importante alla
formazione dell’opera; così ricorda quell’esperienza:
6
ENZO RESTAGNO, Autori Vari Reich, Torino, EDT, 1994, p. 74
15
da lasciare libero e casuale, ma lo concepiva come un mezzo a disposizione
del compositore, che avrebbe avuto il dovere di organizzarlo in schemi
dettagliati e precisi dopo averlo capito a fondo.
Il lavoro di Reich, ma anche di altri compositori come Young, Riley, Glass,
Adams, ecc., permette di riscoprire la purezza di un elemento basilare, di
filtrare la struttura dell’oggetto mettendola a nudo. Andare alla ricerca di
analogia tra linguaggi e tempi lontani fra loro porta di certo su un percorso
impervio, imprevedibile e forse infinito, ma ha aiutato e aiuta ancor oggi a
riconoscere e allontanarsi dai cliché più banali e commerciali che affollano
maggiormente l’industria musicale odierna.
John Cage
16
CAPITOLO II
STEVE REICH: L’INTRECCIO TRA VITA ED OPERE
2.1. Formazione
Steve Reich nasce il 3 ottobre 1936 a New York, da una famiglia ebrea di
emigranti dell’Europa centrale. Entra in contatto fin da piccolo con la musica
grazie alla madre, cantante lirica ed al nonno materno che, oltre ad essere un
gioielliere, era anche un ottimo pianista e, soprattutto, un appassionato di
musica.
Solo dopo un anno dalla sua nascita i genitori si separano, la madre andrà a
vivere a Los Angeles, costringendo il piccolo Reich ad intraprendere frequenti
viaggi in treno fra le due città accompagnato dalla sua governante. In età adulta
questa esperienza lo porterà a riflessioni profonde sul fatto che se fosse vissuto
in Europa da ebreo in quello stesso periodo sarebbe stato costretto a viaggiare su
treni decisamente diversi. Nel 1988 nascerà Different Train per quartetto d’archi
e nastro magnetico sul quale Reich andrà a registrare le rievocazioni dei suoi
viaggi raccontati dalla governante, un autista in pensione che spesso percorreva
le linee New York-Los Angeles, le testimonianze di alcuni coetanei del
compositore sopravvissuti all’olocausto e alcuni suoni dei treni americani ed
europei degli anni Trenta e Quaranta.
Fin da bambino Reich studia pianoforte, ma il vero interesse per la musica
giungerà nel 1950 quando sarà costretto a trasferirsi col padre da New York a
Larchmont avvicinandosi al jazz, allo studio delle percussioni e subendo
17
letteralmente la scoperta, la grandezza ed il fascino di Stravinsky.
L’immersione totale nell’ascolto musicale di un certo tipo lo porterà a dichiarare
che avrebbe sempre avuto più interesse riguardo alla musica moderna piuttosto
che a quella precedente al 1750.
Nel 1957 si laurea in Filosofia. Dopo il conseguimento della laurea (che a sua
detta gli fece rallentare molto gli studi musicali) Reich studierà per un anno
composizione privatamente con Hall Overton, compositore prettamente di
musica jazz e solo successivamente si iscriverà alla Juilliard School of Music.
Nel 1959 Reich acquisterà il suo primo registratore, un Wollensak mono, a quel
tempo un apparecchio del genere era di uso domestico e Reich lo userà per
registrare alcune sue performance come percussionista durante delle jam session
e per registrare la sua musica: Reich non aveva ancora ben chiaro il peso che
avrebbe avuto la registrazione nella sua vita musicale.
Sentendo il bisogno di tornare in California, Reich lascierà la Juilliard e si
iscriverà al Mills College di Oakland, dove per diciotto mesi seguirà le lezioni di
Luciano Berio che in quel periodo poneva i suoi maggiori interessi nella musica
elettronica ed in particolar modo nell’utilizzo del nastro magnetico e della voce
come fonte sonora.
18
questi lo invogliarono a di metter su una sua jazz-band.
L’evoluzione jazz non sarà l’unica alla quale Reich si ritroverà ad esser
testimone, contemporaneamente si andranno a sviluppare, nel mainstream della
musica popolare, generi come il Rhythm & Blues e la cosiddetta musica Soul.
Gli artisti che andavano a registrare per etichette discografiche come la “Tamla”,
“Motown” e “Stax” portarono un nuovo e complesso linguaggio ritmico nel
mondo della musica pop: questo era il mondo musicale dal quale Reich era
circondato durante il periodo dei suoi studi californiani.
Influenzato da compositori come Berio e Stockhausen con la loro musica
elettronica ed i loro nastri magnetici da una parte, la musica africana ed il jazz
modale dall’altra, cominciò ad elaborare ed inserire nella propria musica questi
elementi apparentemente lontani tra loro, ma che grazie al suo genio creativo
riuscirono a convivere e diventare la caratteristica del suo nuovo linguaggio.
Dopo aver ricevuto la laurea in composizione, si sentirà totalmente in contrasto
con il mondo accademico andando così a ricercare una nuova personalissima
via: quella della sperimentazione. In quel periodo Reich ricopre comunque
alcuni incarichi come insegnante, sia in qualità di assistente al Mills College,
che come docente di teoria e composizione musicale in una scuola di musica di
San Francisco. Queste esperienze però gli faranno comprendere subito che
l’energia che gli occorre per portare avanti la sua attività di compositore è
rivolta principalmente verso i suoi allievi non riuscendo così a rendere concreto,
in maniera soddisfacente, il suo lavoro compositivo.
«Mi era chiaro che l’insegnamento richiedeva un talento diverso dalla composizione e
che i miei migliori maestri, Hall Overton e Vincent Persichetti, non erano
necessariamente i migliori compositori. Dai compositori più grandi come Berio ho
imparato non tanto chi fossi io come compositore, quanto chi fosse lui [...]. Ci vuole
invece un insegnante che comunichi le informazioni di cui lo studente ha bisogno tenuto
19
conto della sua situazione particolare in un dato momento» 8.
«Ero sposato a quell’epoca, dovevo quindi provvedere, oltre a me stesso, anche alla
famiglia ecco perché mi sono sobbarcato anche quegli altri lavori»9
Nonostante i suoi impegni lontani dal mondo musicale Reich teneva sempre alta
l’attenzione verso i suoni che gli ruotavano intorno, i suoni della città. Per un
certo periodo fece il taxista lungo le strade di San Francisco tenendo sempre in
modalità rec il suo registratore captando e studiando le voci dei suoi clienti. Un
giorno del 1964 passando da Union Square si imbattè in un predicatore nero,
fratello Walter, che annunciava l’imminente fine del mondo, rifacendosi al
biblico diluvio universale ripeteva con una certa convinzione: “It’s gonna rain!”
(“sta venendo a piovere”), questa frase venne prontamente registrava da Reich.
Nel 1964 nacque il brano It’s Gonna Rain, l’ascolto ripetuto della frase del
fratello Walter faceva risaltare la ritmicità e la melodia contenute nelle parole.
L’elaborazione della frase inserita su due nastri magnetici fatti partire
inizialmente all’unisono per poi farli lentamente sfasare crearono una delle
tecniche compositive principali di Steve Reich il “Phasing” (defasaggio).
«Con It’s Gonna Rain Reich aveva trovato la sua strada minimalista ma non si trattava
soltanto di un procedimento, perché tutte le tensioni drammatiche contenute nella voce
del fratello Walter esplodevano letteralmente attraverso quel gioco di ripetizioni,
componendo un documentario sonoro in cui riverberavano le inquietudini intellettuali
8
STEVE REICH, Texture-Space-Survival, in “Prespectives of News Music”, XXVI, 1988, p. 280
9 ENZO RESTAGNO, Autori Vari Reich, Torino, EDT, 1994, p. 68
20
ed esistenziali di una delle epoche più travagliate della nostra storia recente.»10
Il brano oltre ad un phasing iniziale su due canali, destinati dopo qualche minuto
ad essere riportati all’unisono, si evolve in una seconda parte proponendo la
frase del predicatore su quattro canali che vengono opportunamente defasati
andando infine a costruire una complessa tessitura di otto voci che costituiscono
nuove ed articolate situazioni ritmiche ed armoniche.
10
ENZO RESTAGNO, Autori Vari Reich, Torino, EDT, 1994, p. 38
21
suonare, veniva richiesto un diverso tipo di concentrazione ben lontano da ciò
che si era soliti imparare in ambito accademico. Chi sarebbe stato disposto ad
affrontare uno studio del genere ed eseguirlo in pubblico? Reich, parlando in
particolare della propria musica e in generale della musica contemporanea,
sostiene:
«Per affrontare un certo repertorio bisogna amarlo e non subirlo […] è bene che il
compositore di oggi provveda a fondare un ensemble con il quale curare personalmente
l’esecuzione della propria musica.»11
In quegli anni vennero chiamati a raccolta vari musicisti a formare quella che
sarebbe diventata l’ensemble Steve Reich and Musicians.
11
ENZO RESTAGNO, Autori Vari Reich, Torino, EDT, 1994, p. 38
22
«[...] Si può studiare la struttura ritmica della musica non occidentale e lasciare che
questo studio influisca sulla propria musica, continuando nello stesso tempo a usare gli
strumenti, le scale e i suoni con i quali si è cresciuti; ne risulta una situazione, in cui
l’influenza non occidentale si manifesta nella concezione dell’opera, ma non nel suono.
È una forma più interessante e genuina di sintesi [...]»12
12
STEVE REICH, Writings on Music 1965 – 2000, New York, Oxford University Press, 2002, p. 68
23
Steve Reich and Musicians eseguono Drumming
[Traccia 5] Reich durante la sua vita non ebbe solo una crescita artistica ed
intellettuale, ma anche spirituale. Nel 1974 il bisogno di una spiritualità
introspettiva raggiunse il proprio culmine; le filosofie orientaleggianti, che tanto
andavano di moda in quel periodo, non rispecchiavano la sua personalità. Ciò
che fin da ragazzo aveva sempre ignorato o vissuto con indifferenza divenne,
quell’anno, un aspetto importantissimo per la crescita della propria persona e
della sua arte: la religione ebraica. L’incontro con la videoartista Beryl Korot,
che nel 1976 divenne sua moglie, fu decisivo per far innescare in se la giusta
determinazione per iniziare la propria ricerca spirituale. Frequentò la sinagoga,
imparò l’ebraico e fece un viaggio a Gerusalemme dove poté studiare e
registrare esempi di cantillazione dei primi versi della Genesi. Da
quest’esperienza nacque un nuovo inizio riguardante il concepire e l’ideare i
propri pensieri musicali, la cantillazione ispirò la nascita di una tecnica che lo
stesso Reich avrebbe definito “melodic construction” basata sulla costruzione di
melodie più lunghe utilizzando brevi frammenti; questo nuovo modo di
concepire la musica fa intuire un allontanamento dagli schemi minimali
24
utilizzati fino a quel momento.
Il periodo di transizione verso il “nuovo Reich” produrrà svariate composizioni,
primo fra tutti Music for Eighteen Musicians (1974 – 1976). Il nome fa già
intuire la nuova inclinazione reichana, l’esigenza di formazioni sempre più
grandi e di conseguenza più variegate timbricamente.
L’ensemble necessaria per
l’esecuzione dell’opera è
costituita da:
violino, violoncello, 2
clarinetti, 4 voci femminili, 4
pianoforti, 3 marimbe, 2
xilofoni, 1 vibrafono.
La struttura della composi-
zione procede lungo un’In-
troduzione, 11 sezioni e un Epilogo, il tutto senza pause raggiungendo la durata
di circa un’ora; globalmente dettato da due elementi: il primo costituito da una
pulsazione ritmica costante da parte di pianoforti e strumenti a percussione a
tastiera; il secondo da un’unità di misura ricavata dalla durata del respiro delle
voci umane e degli strumenti a fiato.
Queste novità passano in secondo piano nel momento in cui si va a osservare la
vera innovazione della composizione: la struttura armonica. Senza scendere in
tecnicismi musicali, le composizioni di Reich, fino a quel momento, erano
costituite, dal punto di vista armonico, da passaggi repentini da un accordo
all’altro; in Music for Eighteen Musicians il compositore attinge al mezzo
tecnico su cui la musica classica occidentale si era affinata nei suoi secoli di
storia: la modulazione (il passaggio leggero da un accordo all’altro).
25
«Un’arte oggettiva come quella minimalista […] è per definizione anti-armonica […].
Steve Reich parte da questi presupposti, ma la forza delle soluzione via via inventate
consiste proprio nel non escludere nulla a priori, ovvero nella possibilità di ritrovare e
riadottare procedimenti già esistenti purché a essi il progettare musicale approdi
sospinto da un’intima necessità»13
«Ogni accordo che occupava quindici o venti secondi nella sezione di apertura si dilata
per costituire la base armonica fondamentale pulsante di una sezione di cinque minuti,
proprio come una nota di cantus firmus o di una melodia gregoriana, in una
composizione di Perotinus del XII secolo, viene prolungata di viari minuti per costituire
il centro armonico di una sezione dell’organum»14.
13
ENZO RESTAGNO, Autori Vari Reich, Torino, EDT, 1994, p. 42
14
STEVE REICH, Music for Eighteen Musicians’s note by the composer, Boosey&Hawkes, 1976
26
melodico tra una sezione e l’altra; ogni sezione ha inizio con brevi frasi
melodiche che via via si dilatano per poi ritornare alla lunghezza originaria, il
tutto è costituito dalla varietà timbrica di un vasto ensemble: 11 percussionisti, 2
voci femminili, 2 viole, 2 violoncelli, 2 contrabbassi, clarinetto, flauto, saxofono
soprano e 4 trombe.
La ricerca delle proprie origini e l’apertura totale verso il culto ebraico segnò,
come visto, un cambiamento radicale nella personalità e nell’artisticità di Steve
Reich che perdura ancora oggi:
«Ancora oggi non rispondo al telefono né mi occupo di affari il sabato. Tutto questo è
stato un bene, perché tendenzialmente io sono un tipo di persona che lavorerebbe
ventiquattro ore su ventiquattro […]»15
15
ENZO RESTAGNO, Autori Vari Reich, Torino, EDT, 1994, p. 84
27
2.5. L’esigenza di espandersi
«Quest’opera introduce delle novità nella mia musica che riguardano la scelta del
materiale musicale per ciò che concerne l’armonica, la forma e il timbro. Il movimento
armonico costante ma lento (la partitura non porta segni di ripetizione), il lento ricorrere
del materiale di variazione in variazione, l’orchestrazione per oboi, flauti, ottoni al
completo, archi, tastiere elettriche e acustiche, contribuiscono a creare un suono diverso
rispetto alle mie opere precedenti.»16
Boosey&Hawkes, 1979
28
orchestra e 27 cantanti formano un sostanzioso coro, il poema sinfonico
raggiunge una durata di 50 minuti.
La struttura musicale scorre attraverso cinque movimenti andando a creare una
forma ad arco A-B-C-B-A: il primo e il quinto sono rapidi presentando lo stesso
ciclo armonico; il secondo ed il quarto hanno un tempo moderato, ugual testo
(«Well, shall we / think or listen?) e lo stesso ciclo armonico; il terzo si presenta
come il più lungo fra i cinque (18 minuti) con una struttura interna anch’essa ad
arco A-B-A.
In questo grande lavoro l’originalità non consiste nelle tecniche utilizzate, ormai
ben note e appurate, ma nel modo drammatizzante in cui le utilizza. Alla base di
tutto è presente l’immagine del deserto, l’aspetto angosciante del luogo, la
perdita di orientamento e la creazione di allucinazioni, ma anche l’immagine
positiva del sentimento mistico ed introspettivo. Dai testi poetici utilizzati si
evince un dicotomico pensiero filosofico tra la paura della distruzione
dell’umanità e la sua salvezza, testi di William Carlos Williams, di certo uno dei
poeti più cari alle avanguardie americane. Le parole utilizzate sono vere e
proprie bombe atomiche sull’esistenza dell’uomo: «Dite loro: / L’uomo è
sopravvissuto sinora perché era troppo ignorante / per sapere come realizzare i
suoi desideri. Ora che può realizzar- / li, deve cambiare o perire»; il pensiero
iniziale di Reich era basato sulla registrazione del testo recitato dallo stesso
Williams, trasmettendolo poi durante l’esecuzione musicale tramite un nastro
magnetico, ma alla fine volle sfidarsi nello scrivere una parte corale creando un
ricco intreccio con la parte orchestrale.
«Al centro del pezzo c’è un testo, […], che dice: “ È un principio della musica / di
ripetere il tema. Ripetere / e ripetere ancora / mentre il passo cresce. Il / tema è difficile /
ma non è più difficile / dei fatti da risolvere”. Chi ha una minima familiarità con la mia
musica saprà quanto queste parole mi si addicano, e quanto si addicano in particolare a
29
questo pezzo che, tra l’altro, affronta la fondamentale ambiguità tra il significato del
testo e il suono della parola poetica sul piano puramente sensuale.»17
17
STEVE
REICH,
The
Desert
Music’s
note
by
the
composer,
Boosey&Hawkes,
1984
30
2.6. Abbandona l’orchestra ma resta in teatro
[Traccia 7]
«Dopo Four Section decisi però di smetterla con la scrittura per questo organico, anche
perché il rapporto con le grandi orchestre sinfoniche era difficile. Avevo l’impressione
che suonando la mia musica invece di quella di repertorio, quelle orchestre volessero
farmi un piacere, mentre c’erano tanti ensemble eccellenti che non vedevano l’ora di
affrontare le mie partiture. Se le orchestre non suonavano volentieri la mia musica
perché mai avrebbero dovuto farlo? Gli ensemble l’avrebbero sicuramente suonata più
volentieri e meglio.»18
Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 l’interesse per la scrittura orchestrale
è ormai lontano, le tecnologie si sviluppano e di certo Reich non può non
interessarsi ai nuovi mezzi di registrazione ed ai nuovissimi suoni degli
strumenti elettrici. Dall’altro lato la sua vecchia ricerca spirituale è ormai un
caposaldo all’interno della propria personalità. Questi elementi riescono ad
ispirare nuovi componimenti come Different Train (1988), di cui si è
precedentemente discusso; ma la nuova frontiera della composizione reichana
sarà la scrittura per il teatro. Insieme alla moglie (Beryl Korot, videomaker)
produrrà The Cave (1993) ispirandosi alla biblica storia di Abramo e della grotta
comprata a Machpelah per la sepoltura della moglie e dove, poi, venne
anch’esso seppellito. La grotta sarà vista come punto d’incontro tra le due stirpi
ebraiche, parenti ma nemiche. L’insediamento dei mussulmani nel territorio
della grotta portò alla costruzione di una grande moschea sopra di essa, ancora
oggi visitabile. Il desiderio di Reich e Korot inizialmente era quello di
ricostruire la storia del luogo sotto i due diversi punti di vista, ebraico ed arabo;
18
ENZO RESTAGNO, Autori Vari Reich, Torino, EDT, 1994, p. 99
31
ma in un secondo momento arrivò l’idea geniale di raccogliere la testimonianza
a riguardo di un popolo lontano, gli americani. I due si recarono a Machpelah
con l’intento di raccogliere materiale audio-visivo; ebbero numerose sorprese
durante la loro ricerca, ad esempio Reich scoprì che il brusio di preghiere
all’interno della moschea si avvicinava ad un accordo di La minore, cosa che
ovviamente non poté non utilizzare durante la composizione. Vennero fatte
interviste ad israeliani, arabi ed americani che ruotavano intorno sempre alle
stesse cinque domande: “ Chi è per te Abramo? Chi Sara? Hagar? Ismaele?
Isacco?”.
Lo spettacolo fu concepito con la presenza di cinque schermi sul pulco dove
scorrevano testi e testimonianze, tra i quali si incastrano i musicisti.
2.7. Oggi
33
rientrano spesso nelle sue ultime composizioni. Nascono brani come 2x5 (2008)
e Douple Sexet (2009) basati sull’incontro-scontro dell’ensemble verso un’altra
ensemble o sezioni preregistrate, un po’sulla falsa riga di vecchi brani quali
Violin Phase o Piano Phase.
Nel 2010 compone WTC 9/11(Word Trade Center) ispirato all’attentato dell’11
settembre alle torri gemelle riuscendo a creare un lavoro ricco di processi
emozionali dovuti all’intreccio tra la musica del quartetto d’archi utilizzato e le
registrazioni dei controlli di volo, dei vigili del fuoco e interviste agli abitanti del
quartiere.
L’ultima composizione al momento scritta da Reich prende il nome di Radio
Rewrite (2012) di piena ispirazione rock verso alcuni brani della band inglese
Radiohead.
«Nel settembre 2010 sono stato a Cracovia per un festival della mia musica. Uno degli
artisti in vetrina era Jonny Greenwood dei Radiohead che aveva preparato tutte le basi
per il mio pezzo, Electric Counterpoint, che ha poi suonato dal vivo in concerto. E’stata
una grande prestazione ed abbiamo iniziato a parlare. Ho trovato il suo background
come violista e il suo attuale ruolo attivo come compositore estremamente interessante
se aggiunto al suo ruolo di primo piano nei Radiohead, gruppo rock importante e
innovativo. Anche il direttore dell’Even Festival, Filip Berkowitz, mi ha suggerito di
ascoltare la musica dei Radiohead. Quando sono tornato a casa sono andato online ad
ascoltare la loro musica e le due canzoni, Everything in its Right Place e Jigsaw Falling
into Place, sono rimaste nella mia testa»19
19
STEVE REICH, Radio Rewrite’s note by the composer, Boosey&Hawkes, 2013
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CAPITOLO III
QUANDO IL COMPOSITORE RIFLETTE SULLA PROPRIA
MUSICA
«Ci sono misteri a sufficienza per soddisfare tutti anche quando il gioco è scoperto e
chiunque può ascoltare quanto si svolge gradualmente in un processo musicale.»20
20 STEVE REICH, Music as a Gradual Process (1968) in The Twentieh Century, Vol. 7, Edited by
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improvvisamente colgono l’ascoltatore sono dei prodotti di stampo psico-
acustico che repentinamente vengono a galla in modo involontario durante
l’ascolto. Reich, analizzando Cage, considera i processi da esso utilizzati solo di
stampo compositivo, che non permettono all’ascoltatore di essere colti durante
l’esecuzione. Il suo interesse, invece, è ottenere un processo compositivo che sia
un tutt’uno con la realtà sonora in cui si è immersi. L’obiettivo percettivo di
Reich sarà, fin dalle sue prime composizioni, quello di rendere chiaro e
trasparente il processo graduale dello svolgimento sonoro.
Nel ’68 Reich rifletterà e scriverà della sua concezione di “processo graduale
musicale” mantenendola per tutta la sua crescita compositiva, nonostante gli
svariati mutamenti tecnico-compositivi avvenuti tra il 1963 ed il 2013. Un
processo deve svolgersi lentamente permettendo a chiunque di cogliere ogni
minima mutazione sonora durante la ripetizione di esso; ci si deve immergere
nella processualità come se fosse un rito che permetta di intraprendere un
viaggio che possa condurci negli aspetti più profondi e nascosti dell’ Io.
21
STEVE REICH, Music as a Gradual Process (1968) in The Twentieh Century, Vol. 7, Edited by
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3.2. Riflessioni su tecnicismi indispensabili per la creazione sensoriale
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e concepito per uno spazio limitato, per non far si che si riveli limitato il
componimento stesso.
Nel 1988 Reich rifletterà anche sulla concezione di “sopravvivenza”, come
possano nascere e continuare a vivere determinati componimenti. Ripensando
alle sue esperienze personali si prende la briga di lanciare qualche suggerimento
rivolto, di certo, ai giovani compositori:
Nel 1970 Reich, in veste di simil santone-profeta, decide di esporre una sua
breve e ottimistica riflessione sul futuro della musica.
Il destino della musica elettronica, in senso stretto, è visto in via di estinzione,
sostituito da voci e strumenti musicali applicanti i principi e le sonorità di essa.
La musica etnica (africana, indonesiana, indiana) diverrà una forte fonte
d’ispirazione compositiva suggerendo nuovi modelli sia sonori, sia strutturali.
Nasceranno nuovi ensemble con a capo giovani compositori che ispireranno i
propri lavori alle più svariate tradizioni musicali del mondo.
Osservando il tutto con gli occhi del secondo decennio degli anni 2000, questa
sorta di “previsione” reichana potrebbe sembrare abbastanza ovvia; un’ovvietà
che forse nel ’70 non era così scontata.
22
STEVE REICH, Texture-Space-Survival, in “Prespectives of News Music”, XXVI, 1988, p. 280
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CONCLUSIONI
L’arte minimale, semplice, povera, basilare, per pochi. Questi sono gli aggettivi
che potrebbe affibbiare un osservatore disattento, passeggero, approssimativo, a
questa corrente artistica. In questo breve lavoro sull’arte minimale, a mio parere
la più mistica della storia umana, ho cercato di far risaltare le motivazioni per
cui certe aggettivazioni non dovrebbero essere usate riguardo essa. Un’arte che
comunica più di quanto appare, che lascia intendere di più all’osservatore, ma
non per pigrizia dell’artista. Qui il performer non funge da pilota, il quale
conosce esattamente il percorso diretto al capolinea, qui l’artista ha una
mansione da spirito guida pronto ad indicare un percorso che subito si dirama
lasciando libero arbitrio all’osservatore.
Si è analizzato uno dei capostipiti della musica minimale, uno dei più grandi,
attenti, accurati, riflessivi spiriti guida della nostra storia recente musicale. Steve
Reich lungo il suo percorso vitale si atteggia da sciamano, studiando sempre
nuove formule per poter recare all’ascoltatore diverse sensazioni introspettive ed
inaspettate. L’operato di Reich riesce sempre ad essere innovativo e particolare
riuscendo, però, a mantenere il concetto basilare di un pensiero chiaro e
trasparente e a demolire costantemente le linee di confine, che spesso vengono
tracciate tra compositore ed ascoltatore.
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BIBLIOGRAFIA
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TRACCE MUSICALI
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