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Esotismi e

contaminazioni
Fenoglio 2020-21 lezione 3
Carlo Andrea Garella

Parte 1
Buongiorno a tutti, allievi e docenti. Come sapete, oggi parliamo di esotismi e
contaminazioni nella musica del primo 900. In un certo senso, il discorso di oggi, come
vedrete subito, è una prosecuzione dei temi degli ultimi due incontri, il paradigma classico
ed il paradigma romantico, perché la prima tranche del discorso di oggi (gli esotismi) ha
ancora a che fare con le estreme ricadute del mondo romantico, introspettivo ed
emozionale, mentre le contaminazioni, che sono una dimensione più legata alle
avanguardie storiche dopo la grande guerra, hanno delle componenti di provocazione
intellettuale ed asciuttezza razionale che per certi versi sono più vicini all’assunto del
paradigma classico, o quantomeno ad una ricerca di asciuttezza classica.
Allora, partiamo subito dagli esotismi: L’esotismo fu frutto di una estrema dilatazione
emotiva, di carattere quasi onirico e sognante, che fu caratteristica tipica dell’epoca
decadente (decadentismo 1880-1910). In questi anni, complice anche l’espansione
coloniale, quello che era il mondo, la sensibilità, l’atmosfera dei paesi cosiddetti esotici
(rispetto alla civiltà occidentale/europea) esercitò una grande suggestione sulle arti. Era il
pretesto, lo stimolo per una ricerca di una profonda autenticità remota, suggestiva e a tratti
anche misteriosa, che costituisce l’ultimo aspetto di quella dilatazione del sentimento che
era stato caratteristico del paradigma romantico, e ricordiamoci, l’assolutizzazione della
sfera emotiva nel romanticismo è stato causato dalla crisi della ragione occidentale, perché
con l’avvento della rivoluzione industriale la ragione passa da Logos (principio fondativo
metafisico) era diventata Tecnè (braccio armato tecnologico della rivoluzione industriale).
Alla sfera della sensibilità dell’uomo era rimasta solo la dimensione emotiva, che venne
dilatata in modo totale, creando quel tipico squilibrio (seppure pieno di opere suggestive)
che fu il romanticismo.
L’esotismo è, per certi versi, l’estrema propaggine di questa propensione. Si potrebbe
assumere un famoso fatto come inizio di questa tendenza esotistica nella fuga di Gauguin
a Tahiti. Egli andava a cercare in una civiltà diversa, altra, degli stimoli di carattere
creativo e linguistico. Da lì partì tutta l’ondata di esotismo.
Quando parliamo di esotismo, viene subito in mente l’estremo oriente (anche se l’esotismo
non fu solo legato a quella zona geografica). Abbiamo subito un incontro interessante
nell’EXPO dell’89’ a Parigi, dove Debussy ebbe modo di conoscere la musica Gamelan
Javanese. Il Gamelan è una formazione strumentale abbastanza corposa che utilizza le
scale javanesi, caratterizzate dalla suddivisione in toni interi (La scale Jawanesi
pentafoniche dividono l’ottava in cinque parti uguali. L’espressione ne risulta sospesa,
estatica, aperta). Questa scale non hanno la sensibile, l’ultimo grado della scala che esercita
una funzione di attrazione gravitazionale sulla tonica. Scrivere musica con scale sprovviste
di sensibile rende (pur rimanendo dentro il mondo della consonanza) aleatorio e del tutto
sospeso il ritorno della tonica. Da qui deriva il senso di sogno estatico che fu la
caratteristica della musica di Debussy.
Ne ascoltiamo subito un esempio. La prima parte di Pagode, tratto dagli Estampes (1903).
In questo gioco di oscillazione vibrante, Debussy riproduce quelle che sono le sonorità del
Gamelan Javanese.

Parte 2
Walter Gieseking plays Debussy "Pagodes"

Parte 3
Questo tipo di scale musicali pentafoniche o esatonali (prive di sensibile) rendono molto
difficile poter memorizzare o canticchiare le melodie. Magari l'atmosfera espressiva
rimane molto, diciamo così, interiorizzata, però, proprio perché l'assenza della sensibile
non fa chiudere la frase in senso armonico tonale, rimane come una sorta di fluttuazione
sospesa. Debussy aveva proprio la specifica intenzione di creare nella sua musica quel
senso di sospensione onirica e di dissolvimento della identità soggettiva dentro una
evocazione di carattere estatico, per cui era finalizzata ad un discorso preciso.

Ora, il ricorso a queste scale di tipo orientale fu fatto anche in un contesto completamente
diverso rispetto a un brano strumentale, in quella che io ritengo l’opera
drammaturgicamente più intensa di Puccini, che è la Madama Butterfly, dove si narra, in
sostanza, dello scontro culturale, e della protervia dell'imperialismo americano, nei
confronti della ritualità antica del Giappone e soprattutto della fragilità innocente della
povera Butterfly. Per chi non conoscesse la trama: un ufficiale di marina americano sbarca
in Giappone e si invaghisce della bella Cio-Cio-san. Decide di sposarla, pur sapendo che il
matrimonio non è valido per la legge degli Stati Uniti, per cui è come una sorta di
mascherata, ma la povera ragazza non lo sa. I due hanno un figlio, poi lui parte e lei
rimane ad attenderlo, finché un giorno lui ritorna con un'altra moglie. Il dramma si
consuma e lei si uccide commettendo Harakiri. Pinkerton, l’ufficiale di marina, è forse il
personaggio più abbietto che ci sia nella storia del melodramma, veramente miserabile.

Puccini usa scale orientali senza la stessa raffinatezza intellettuale di Debussy, ma le usa
con grande sapienza drammaturgica. adesso ascoltiamo il celeberrimo brano “Un bel dì
vedremo un fil di fumo”. Dal punto di vista musicale è interessante perché tutto il brano è
costruito con scala per toni interi, ma soprattutto all’inizio, se ci fate caso,
l’accompagnamento strumentale alla voce della Callas evidenzia subito quel tipo di
disegno che abbiamo sentito nel pianoforte di Debussy, quell’ondeggiare fluttuante.
Parte 4
Un bel dì vedremo - Madama Butterfly: Maria Callas

Parte 5
Va ricordato che l'opera di Puccini è del 1904, per cui quasi perfettamente contemporanea
dei Pagode di Debussy, che è dell’anno prima. Questo significa che questo tema
dell’esotismo pervadeva la sensibilità culturale dell’epoca. Ora, la vicenda della Butterfly è
particolarmente felice, drammaturgicamente parlando, perché intreccia la storia disperata
di questa povera ragazza che diventa il simbolo di una tradizione antica profanata dall’
arroganza della modernità. Vedendola con gli occhi di oggi, è un'anticipazione ante
litteram di quella che è la globalizzazione economica e consumistica portata dall'America
sui grandi riti e grandi e le grandi dimensioni della cultura antica, di cui il Giappone di
quell'epoca era ancora testimone e rappresentante.
Nel brano di Puccini vi sono un paio di punti di raccordo dove vi sono delle cadenze
armoniche che poi saranno tipiche della canzone sentimentale italiana degli anni 40-50. La
canzone italiana di quell’epoca era una derivazione della romanza da salotto e dell'aria
d'opera.
L’esotismo non è necessariamente legato all'estremo Oriente. L’esotismo può essere anche
vissuto (e fu vissuto in quell’epoca) come lettura del passato storico remoto in forma di
suggestione, cioè la storia rivisitata ed evocata come suggestione di una risorgiva
originaria e misteriosa. Questo fu fatto più volte con vissuti e trascorsi storici diversi. Un
caso celebre (direi fondamentale) è quello dell’antica Grecia, che è la scintilla e l'origine di
tutto. Per il prossimo ascolto abbiamo un personaggio per certi aspetti controverso, Erik
Satie. Nella prima parte della sua carriera era amico di Debussy, di quattro anni più
giovane e seguì la componente estatico sognante della sensibilità impressionista, più
avanti invece divenne un compositore decostruzionistico e asciutto, che sarà poi il punto
di riferimento delle avanguardie, soprattutto di carattere francese. Satie era un musicista
con una preparazione abbastanza lacunosa, non sapeva orchestrare, e scriveva
esclusivamente in modo pianistico. il brano che ascolteremo tra poco fu orchestrato in
modo magistrale da Debussy, suo grande amico. Le gymnopedie erano delle danze rituali
dei fanciulli di Sparta, nella Grecia antica, che Satie ama evocare. Chiaramente qui siamo
in una visione di esotismo storico, perché la danza rituale viene assunta come dimensione
di sogno immemoriale, come passato remoto, favola intangibile e allo stesso tempo
luminosa. Una cosa simile farà parecchi anni dopo Debussy in Danseuses de Delphes
immaginando una pittura pastorale greca dove le danzatrici ballano, un ricorso al passato
storico come profonda suggestione onirica.
Parte 6
Satie-Gymnopedie

Parte 7
Questo era il rito incantato della Gimnopedia, la prima delle due che scrisse.
Debussy, rimanendo ovviamente nel contesto di un esotismo storico legato alla Grecia,
fece anche lui un omaggio celeberrimo al mondo greco. Questo potrebbe stupirci perché
noi, nei discorsi che abbiamo fatto nei primi due incontri di quest’anno, abbiamo visto la
Grecia come l'emblema apollineo del Logos, della razionalità, mentre Debussy è un
compositore eminentemente psichico, legato alla sensibilità simbolista, ma c’è un
significato profondo in questa scelta: Debussy, in linea appunto con la poetica simbolista a
cui aderiva, rifiutava l'idea del tempo e, di conseguenza, dello sviluppo del linguaggio
musicale, come consequenzialità legata ad un rapporto di causa-effetto. Debussy
sosteneva che gli accordi sono come delle epifanie che si rivelano e hanno una profondità
estatica e che si associano per affinità espressiva, non per un rapporto di causa-effetto,
come, d'altro canto, il Simbolismo letterario riteneva che la vita fosse una collana di
epifanie che il poeta doveva poi decodificare e sapere evocare, e non un racconto
consequenziale con un esito logico. Ovviamente questa sensibilità Debussy la va a
ripescare e a valorizzare all'interno dell’emisfero greco che si riferisce non ad Apollo, ma a
Dioniso, cioè alla componente estatica.
[Questo è perfettamente visibile] nella celebre opera, che fu il primo grande successo di
Debussy, Prelude a l'apres midi d'un Faune che è praticamente la trasposizione musicale
(felicissima, straordinaria e apprezzata dallo stesso Mallarmé) del poemetto di Mallarmé
dallo stesso titolo. il soggetto: in un clima di torbido meriggio greco (o siciliano, perché
ambientato in Sicilia nella Magna Grecia) un fauno si risveglia dopo un sonno meridiano
in cui ha sognato delle ninfe (un sogno erotico, in un certo senso) e si chiede, nel torpore
del dormiveglia, se queste ninfe fossero reali o meno, una sorta di perplessità, come un
flusso di coscienza perplesso del fauno. Una composizione fortemente intrisa dello spirito
di Pan e di Dioniso, del grande meriggio mediterraneo che, i greci lo sapevano bene, è la
ragione per cui la dimensione apollinea poi fissa in forme eterne di bellezza la realtà
psichica, anche per esorcizzare questo turbamento interiore, perché Dioniso è anche
portatore di sofferenza e di dolore tragico per il suo anelito totale, inesausto, alla vita.
Questa visione del tempo come costellazione di istanti ed epifanie è molto vicina a quello
che sosteneva Nietzsche quando parlava dell'eterno ritorno dell’uguale, dove Nietzsche
sostiene che ogni attimo ha tutto il suo senso in sé, e dove, appunto, rifiuta l'idea della
temporalità rettilinea di ascendenza giudaico-cristiana che è, appunto, lineare e
consequenziale. Nietzsche muore nel 1900 ma perse il senno nel 1889. Se avesse potuto
ascoltare Debussy, credo che sarebbe impazzito, perché Debussy è un wagneriano che
elabora in modo non epico/eroico il wagnerismo in una dimensione psichica-allusiva,
esattamente la dimensione dionisiaca, che non è, come generalmente si crede, una
dimensione orgiastica, bensì una dimensione allusiva, altamente simbolica. Adesso
ascoltiamo l'incipit di questo meraviglioso pezzo di Debussy, una Grecia ricca e foriera di
un’ apertura della coscienza all'infinito come la sensibilità di Dioniso.

Parte 8
Prelude a L’après Midi d’un Faune

Parte 9
Debussy fece altri esempi di esotismo storico. Possiamo per esempio prendere un brano
meno conosciuto dal secondo libro dei preludi per pianoforte: Canope. Il canopo era una
urna funeraria egizia dove si raccoglievano le ceneri dei morti. Un brano piuttosto funereo
e soffice che si ispira a questa realtà.
Nella nostra modesta rinascita strumentale in Italia, il cui ottocento era stato totalmente
colonizzato dal melodramma, Respighi spesso va a rivisitare arcaismi antichi, scrive un
concerto Misolidio (scale musicali della Grecia antica) e scrive anche un concerto
gregoriano. Spesso Respighi usa nella sua orchestrazione questi arcaismi quasi
esattamente come D’Annunzio, in letteratura, usa le parole preziose e remote, che sono
proprio una suggestione di esotismo arcaicizzante. D'Annunzio scriveva con il dizionario,
alla ricerca di queste parole desuete e preziose come per esempio “le conche vacue”, “le
alghe argentine”, sonorità di grande richiamo antico.
L’esotismo di carattere storico ha anche altri aspetti, perché in Francia, alla fine dell’800, la
Spagna era ritenuta l'Oriente alle porte di casa. [Nonostante la Spagna sia composta da
paesi diversi come Galizia, Catalogna e Paesi Baschi,] nell’immaginario collettivo, la
Spagna archetipica è l’Andalusia. Questo gusto per la per la Spagna fu talmente forte che,
paradossalmente, i due più importanti compositori spagnoli, che poi scrissero,
pianisticamente in gran parte, composizioni di sapore e di finezza ispanica notevole,
presero l'idea dai francesi. I due sono Albéniz e Granados, due giovani pianisti che si
trovavano a Parigi. I due videro che la Francia aveva questa sensibilità per la Spagna, e
allora dissero “lo facciamo noi che siamo spagnoli”, e scrissero le loro varie Goyescas e
Suite Española, ma l'idea la presero a Parigi perché c'era questa sorta di Trip per la Spagna
andalusa.
Un compositore, francese di nazionalità ma di madre basca, ovvero Ravel, affondò più
volte la lama in questa succulenta forma di evocazione esotica. Lo farà anche Debussy,
come poi vedremo, in un modo diverso, senza avere nessun legame personale con la
Spagna. Adesso di Ravel ascoltiamo un passo celebre. Ravel è stato un formidabile
orchestratore, il compositore delle avanguardie più amato dal grande pubblico perché è
molto elegante e semplice, e gioca quasi tutto sulla lussureggiante e sensuale
orchestrazione. Dalla Rapsodie espagnole, e siamo nel 1907, ascoltiamo la sezione
intitolata Malagueña. La Malagueña è una danza analoga al Flamenco, che è una delle
grandi suggestioni dell'Andalusia spagnola.

Parte 10
Rapsodie Espagnole (Malagueña)

Parte 11
Questa era la sezione in chiara chiamata Malagueña dalla Rapsodia spagnola, tutta
affidata alla suggestione di suoni. Di Ravel tutti conoscono il Bolero, altra grande
evocazione, direi quasi pletorica, della Spagna. Meno nota Alborada del Gracioso, altro
bel pezzo di sensibilità spagnola.
Anche Debussy, come vi ho detto, ebbe un suo rapporto con la Spagna, pur senza esserci
mai stato. Questo è un elemento che fa sorridere e che conferma come, forse, i veri viaggi
si facciano nell’immaginario. Debussy, ad esempio, nel 1903, nella stessa raccolta da cui
abbiamo ascoltato Pagodes, ha scritto un brano Soiree dans Grenade, una sera a Grenada
che è stato ispirato da una cartolina che gli mandò Manuel De Falla. Debussy ebbe questa
fantastica idea di evocare il clima della Spagna andalusa con il ritmo della Habanera, cosa
che fece, in un’ottica, come adesso sentiremo, estremamente più prosciugata, quindici anni
dopo nel secondo libro dei preludi con un brano che ascolteremo tra poco, La Puerta del
Vino, che è un pezzo formidabile. Qui avviene una sorta di decostruzione del ritmo della
Habanera, che qui è sincopato e decostruito e c’è, con una abilità armonica e una
straordinaria capacità di elaborazione, una rivisitazione dell’esotismo spagnolo. A
differenza di Ravel, Debussy fa un tipo di immersione più psichica, cioè basata
sull’armonia. Ravel è più decorativo, grande illustratore suggestivo, grande
orchestrazione, ma più epidermico, e per questo piace con facilità al grande pubblico.
Debussy è estremamente più profondo perché lavora sullo scandaglio armonico. Lavorare
sull’armonia, sul gioco delle modulazioni, vuol dire entrare nella profondità psichica
dell'emozione. Infatti questa Spagna che lui ci evoca non è un po’ folklorica come era
quella di Ravel, ma è una Spagna profonda, sensuale, quasi drammatica in certi punti. In
questo brano che ascoltiamo, La Puerta del Vino, potrebbe essere considerato, come tipo
di brano, come il modello ideale, l’idea platonica di quello che è genericamente definito il
piano bar. Il piano bar, lo sapete tutti, è una elaborazione molto semplice arpeggiata di un
tema di una canzone o di un collage di più canzoni o melodie. Ecco, qui è fatta un livello
di genialità mostruoso sul tema dell’habanera, con una tendenza che si avverte (Siamo
ormai nel 1913, gli ultimi anni) in cui le brume sonore, che lui chiamava la polvere di luce
avvolgente che abbiamo sentito nel Prelude a l'apres midi d'un Faune, tendono a
prosciugarsi in rapporti di blocchi di colore, che è quello che in pittura avviene quando
dall'impressionismo di un Monet o Renoir si passa a Cezanne, che ha ancora una certa
sensibilità impressionistica, ma che raduna i blocchi di colore come macchie in rapporto
spaziale tra di loro, e infatti viene visto come un anticipatore del cubismo in pittura.
Questo brano di Debussy anticipa, anche lui, un trapasso della musica di stampo
simbolista ad una capacità di cogliere la realtà per volumi di suono. Ascoltiamo questo
fantastico pezzo di Debussy, dal secondo libro dei preludi, La Puerta del Vino. Qui lo
sentiamo nella interpretazione di Michelangeli.

Parte 12
La Puerta del Vino

Parte 13
Questo brano può essere anche definito come una formidabile variazione armonica e
timbrica su un basso ostinato di Habanera, che è sempre presente, io non a caso ho parlato
di piano bar a livello celestiale, perché Debussy, da giovane, per guadagnare qualche
soldo, si esibiva nello Chat Noir, che era un caffè chantant celebre di Parigi, per cui sapeva
bene che cosa fosse [il piano bar], solo che qui è applicata ad un livello vertiginoso di
audacia armonica.
Adesso invece andiamo in una forma di esotismo di carattere storico: in una asciuttezza
quasi surreale, Satie (torniamo a Satie, Il Satie degli anni ’90, ancora abbastanza vicino, sia
pure in un modo più algido, alla sensibilità di Debussy) scrive un brano (anche questo
scritto per pianoforte, orchestrato poi da Debussy) che si chiama un nome piuttosto strano:
Gnosienne, che si ispira al clima della gnosi (Gnosis) che è una corrente filosofica antica
che postulava un rapporto sapienziale con la divinità. C'è stata una grande corrente dello
Gnosticismo cristiano nell'ambito della filosofia patristica, ma non solo in ambito cristiano
la gnosi è una forma come di ispirazione che confina un po’ con quella che oggi si dice
“dei guru” i grandi maestri gnostici. Qui infatti questa Gnosienne è evocata con un clima
un po’ da Medio Oriente sciamanico, dove sicuramente ha un influsso, come ho detto
all’inizio, il colonialismo francese nel mondo arabo, per cui una realtà di suggestioni che
venivano da oltremare. Questo è un brano breve ma affascinante di Satie del 1890,
esotismo spirituale, potremmo dire, perché Satie era anche molto interessato alla filosofia
dei Rosacroce, di tutti questi movimenti un po’ tra l’occulto ed il simbolismo metafisico.

Parte 14
Gnosienne

Parte 15
Satie, che prima era abbastanza vicino, negli anni 80’ 90’, ad una certa sensibilità di
Debussy (anche se il linguaggio di Satie ha una asciuttezza e limpidezza armonica rispetto
alle brume e glissandi di Debussy, che è più profondo) si allontanerà da questa visione
estatica e andrà verso un decostruzionismo, dirà “la mia è una musica da arredamento e
da tappezzeria”, per cui sarà il riferimento diventerà delle avanguardie
decostruzionistiche della Francia degli anni 20’. Uno di questi suoi seguaci, Milhaud, del
famoso gruppo dei 6, (che è il gruppo dell'avanguardia francese degli anni 20, di cui i più
celebri tre sono Poulenc, Milhaud e Honegger) scrive un pezzo divertentissimo e
provocatorio, di carattere esotico, chiaramente ispirato al Brasile, ma di carattere
vitalistico. Qui ci troveremo di fronte non ad un esotismo misterioso e onirico, come
abbiamo visto finora, ma ad un esotismo vitalistico, la tipica maternità del Novecento
rispetto allo psichismo dell'epoca decadente. Il Novecento delle avanguardie torna ad una
asciuttezza materica, un desiderio di far musica in modo artigianale (per cui rifacendosi al
Settecento) rispetto allo psichismo avvolgente estenuato dell'epoca decadente.
Tuttavia, questo che stiamo per ascoltare è un brano di chiara suggestione esotica. Vi
spiego il perché: Milhaud, per sfuggire alla carneficina della Grande guerra, andò in
Brasile seguendo in questa sua trasferta Paul Claudel, che era l'ambasciatore francese in
Brasile. Tornato in Francia dopo la guerra, intorno al 19, gli rimase una nostalgia fortissima
di una ingenuità primitiva del Brasile, che traspose in molte sue composizioni. Questa in
particolare, che è un pastiche di rumba e samba, però orchestrate come in una sorta di
concerto rosso barocco, per cui è una composizione neoclassica di sapore esotico, ma di
grande brio. Fu scritta per essere la musica di accompagnamento di una pièce teatrale, una
pantomima fortemente provocatoria, in spregio alla Academie de France e alla cultura
borghese che aveva appoggiato tutte le ragioni nazionalistiche della guerra. Una visione
della cultura come ribellione di fronte alla retorica della nazione e della patria. Questo
pezzo divertentissimo fu ideato da Cocteau e Milhaud scrisse il pezzo di musica intitolato
Le boeuf sur le toit, il bue sul tetto che è il titolo di una canzone brasiliana.
Cos'è questo Pantomima? Era una pantomima che anticipava evidentemente i contatti e le
contaminazioni col mondo americano, perché la scena si svolge in una sorta di bar
all'epoca del proibizionismo. Il Bar è camuffato da latteria, ma ci sono tutte le figure
tipiche del noir e del proibizionismo: La chanteuse, il pugile suonato, il gangster etc. e tutti
bevono. Ad un certo punto entra un poliziotto e ovviamente il bar si trasforma in una
latteria, con una sorta di trasformazione chiaramente irrisoria, e accade la cosa più
provocatoria e dissacrante: siccome c'è un grosso ventilatore a soffitto, il ventilatore cade e
decapita il poliziotto, e a quel punto la chanteuse del locale, con la testa del poliziotto, fa
una danza dei sette veli fortemente dissacratoria e chiaramente si riferisce a quella di
Salomè con il Battista. Poi tutto finisce, la testa viene rimessa al poliziotto che risorge e
tutto finisce come una burla trasgressiva contro quella che era la retorica religiosa di “Dio
patria e famiglia” che aveva animato la borghesia a spingere per quella inutile guerra, che
poi generò le dittature che produssero la seconda guerra mondiale.
La musica di questo pezzo divertentissimo è un pastiche di canzoni e di danze brasiliane.
Un esotismo molto diverso da quello ascoltato finora. Qui c'è un vitalismo materico
rispetto invece alla visione sognante e statica e avvolgente in senso psichico che era più
tipica dell'epoca decadente.

Parte 16
La Boeuf Sur le Toit
Parte 17
Questo brano di Milhaud ci fa voltare pagina, iniziamo a parlare delle contaminazioni,
perché questo in fondo questa è una contaminazione, ma di sapore esoticheggiante, perché
chiaramente c'è questo riferimento alla terra incognita e remota del Brasile, però in
un'ottica di contaminazione: lui prende elementi di danze, di codici del popolo brasiliano e
li inserisce in una struttura da concerto settecentesco, creando questa situazione
paradossale. Ora, mentre l’esotismo, come abbiamo visto, salvo quest’ultimo brano,
cercava una risolvente nelle suggestioni remote e misteriose, dunque in una prospettiva di
carattere emozionale, ed era l’ultimo, potremmo dire, pendant(?) della cultura e della
sensibilità borghese, la crisi, che dopo la Grande Guerra viene portata dalle avanguardie,
rigetta quello che sono gli orizzonti incantati del romanticismo e della civiltà borghese, che
sono visti come una mistificazione. Le avanguardie tornano ad una sorta di rigenerazione
di tipo materico e artigianale, per cui, in contestazione contro Ottocento, si rifanno al
settecentesco la bruttezza e limpidezza settecentesca. Ne viene fuori in genere un
settecentesimo rivisitato in modo surreale, che viene vissuto come antidoto al
romanticismo, oppure un decostruzionismo dei codici mediante l'assunzione di stilemi che
provengono da altre tradizioni (blues, jazz, il cabaret…) oppure la contaminazione di
codici diversi tra di loro. È un tentativo di rivitalizzare, con una potente trasfusione di
carattere alternativo, la musica colta. c'è un desiderio di rivitalizzarla in termini di
pulsazione linfatica e cardiaca, probabilmente in reazione alla strage della Grande Guerra,
[c’è una volontà di] tornare a un afflato di carattere vitalistico.
Il primo che opera in modo quasi metodico e sistematico nelle sue sinfonie questo genere
di contaminazione con un intento di testimonianza struggente è Mahler. Mahler è un
autore ancora della tradizione decadente (nato nel 1860, muore nell 1911). Mahler mescola
codici di provenienza diversa nelle sue sinfonie, inserisce nel tessuto colto della sinfonia
classica suoni popolari (campanacci di vacca, tamburi da caserma), oppure stilemi
musicali che vengono o dalla tradizione contadina o di carattere borghese-cittadino,
perché lui vuole metaforizzare, vuole indicare la contaminazione dei codici e la nascita
della società di massa, dove la grande cultura elitaria di carattere borghese (di cui la
Mitteleuropa è stato l'ultimo caposaldo) si è disgregata con la prima guerra mondiale.
Mahler vuole testimoniare questa crisi: lui è come un testimone dell'agonia della
Mitteleuropa e della civiltà borghese. Sta al capezzale della realtà agonizzante e mostra
come la vita, nel suo caotico coacervo, si impossessa di questo cadavere morente e lo
trasformi. Talvolta Mahler usa accenti grotteschi che sono alle soglie dell’Espressionismo, e
infatti il dissolutore della tonalità, Schönberg, partirà proprio dagli esiti di Mahler.
Mahler elabora in termini problematici, mostrando le contraddizioni del reale, quella che è
l’eredità wagneriana, qui agli opposti dell'eroismo wagneriano, è il testimone della crisi
della cultura borghese. Questo rimescolamento, queste contaminazioni in Mahler hanno
un effetto che non è vitalistico (da un certo punto di vista potrebbe essere anche la
testimonianza di una necrosi), ma però indicano allo stesso tempo anche la vita che
continua, in qualche modo, a fluire, pur nei modi più strani e grotteschi.
Adesso, dalla Prima Sinfonia del 1899 di Mahler, vi faccio ascoltare una parte del secondo
movimento, dove si incrociano e si alternano due emisferi: prima sentirete una danza
contadina piuttosto grottesca, quasi parossistica e allucinata, c'è una sorta di ritmo rurale,
piuttosto grezzo, che però esprime una vitalità quasi parossistica, e poi improvvisamente
si innesta una musica ballabile, un valzerino da periferia viennese di carattere piccolo
borghese. C'è questa sorta di avvicinamento di due emisferi che sono distantissimi tra di
loro. Mahler nelle prime sinfonie si è sempre rifatto a questo tema che lui chiamava del
“folklore trascendentale”, cioè di questa rivisitazione della matericità contadina, che era
per lui il simbolo di una rivitalizzazione della musica, che assume nelle sue citazioni un
che di allucinato e stravolto.

Parte 18
Mahler-Prima Sinfonia (2nd mov)

Parte 19
Mentre a Vienna, dove opera Mahler, intorno agli anni dieci, avviene la crisi della tonalità,
provocata appunto da Schönberg, che emancipa la dissonanza, porta la dissonanza allo
stesso diritto di cittadinanza della consonanza, perché, dice, “in un mondo di tensioni
sociali ed esistenziali, non ha più senso scrivere con un linguaggio tonale, che è di
ascendenza platonico-umanistica, per cui io emancipo la dissonanza” Emancipare la
dissonanza vuol dire, sostanzialmente, rompere la tonalità.
La dissonanza rappresenta, in un certo senso, l'inconscio della tonalità. La tonalità è la
scelta elettiva del Logos, è la scelta delle armonie consonanti. La dissonanza è tutto il
magma informe, psichico che sta sotto alla consonanza. È un'operazione un po’ simile a
quella che in quegli anni Freud faceva di scoperta dell’inconscio.
Mentre a Vienna avviene questo, e dunque è una crisi di carattere introspettivo, Parigi,
invece, diventa il centro della eversione provocatoria e decostruzionistica (dadaismo e
l’atteggiamento di aggressione contro la cultura tradizionale). Torniamo a Satie, che con la
sua concezione minimalistica ne è l'esempio musicale: diventa il profeta del minimalismo
musicale, lui diceva “la mia è una musica da tappezzeria”, cioè rifiutava l'idea della
musica come espressione di realtà profonde. Questo è un allontanamento da Debussy, una
divaricazione netta, perché invece Debussy continuerà fino alla fine a credere nella musica
come veicolo di un messaggio esistenziale, mentre Satie diventa il punto di riferimento di
un decostruzionismo minimalistico. Adesso ne sentiamo un esempio brevissimo, di 50
secondi, in uno dei “tre pezzi in forma di pera” ( Satie scrive titoli incredibili come
“Sonatine burocratique” o “In abito da cavallo"). Perché “tre pezzi in forma di pera”? c'è
un significato: siamo nel 1903, Satie era rimasto comunque affezionato a Debussy per le
orchestrazioni che gli aveva fatto e siccome la critica aveva aveva un po’ aggredito il
famoso melodramma di Debussy Pelleas e Melisande, dicendo che mancava di forma, lui,
per sfottere i critici, scrive “tre pezzi in forma di pera” per dire che c'è na forma, ma è
chiaramente un’irrisione. Per capire il clima: Debussy, anni prima, quando i critici
ascoltarono Prelude a l'apres midi d'un Faune dissero “Beh sì, in effetti la musica sembra
veramente costruita” Debussy disse, con grande ironia: “non preoccupatevi, l'opera è
costruita, ma non cercate le colonne perché le ho tolte” questo da un po’ il senso di quello
che era il clima di Parigi: un centro di un’eversione linguistica provocatoria, rispetto a
Vienna dove invece si consumava una crisi introspettiva, soprattutto in ambito della
cultura ebraica, di quella che era l'identità della musica con la tonalità, ma pensiamo anche
alla letteratura e appunto alla psicoanalisi.
Allora sentiamo questo breve pezzo di Satie, dai tre pezzi in forma di pera del 1903.

Parte 20
Erik Satie: Trois Morceaux en Forme de Poire

Parte 21
È chiaro che il cabaret e la sua atmosfera dissacratoria sono dietro l'angolo. Comunque,
anche Debussy, con l'avvento della guerra, prosciuga il grande incanto delle brume sonore,
e si volge a una maggiore asciuttezza, capisce probabilmente che il mondo dell’incanto
evocativo è finito (Debussy soffrì molto per la guerra, lui morì fra l'altro quando la guerra
si concluse, nel 18) e prosciuga il suo linguaggio, ma rimanendo in un'accezione più
seriamente di impegno costruttivo. La sua ultima raccolta pianistica sono gli studi, e, come
tutti i grandi autori di tastiera, lui volle fare un catalogo delle possibilità lessicali ed
esecutive del piano (infatti gli studi sono divisi per modalità lessicali). Parliamo di un
Debussy molto diverso da quello che abbiamo sentito più volte e che conosciamo, qui è
finita la polvere di luce, qui c'è una asciuttezza quasi puntillistica, infatti c'è un passaggio,
Debussy sembra seguire un po’ certe evoluzioni, probabilmente in modo inconsapevole,
della pittura, come la pittura di Monet, che trapassa dentro il puntilismo divisionistico di
Seurat. I quadri di Seurat sono frutto di un calcolo preciso, molto razionale, e danno
questo senso di sospensione eterna. Seurat si ispirava, lo disse chiaramente, alla pittura di
Piero della Francesca, queste figure statuarie immerse nel tempo.
Gli studi di Debussy hanno queste caratteristiche, ma vi è comunque la contaminazione di
carattere ironico perché, come sentiremo in questo in particolare, ma anche in altri studi, ci
sono contaminazioni con la musica del caffè chantant che Debussy conosceva bene. È la
fine dell'incantesimo e il ritorno ad un oggettivismo. L'incanto delle brume sonore non era
più proponibile, con quello che stava succedendo in Europa. E allora ascoltiamo questo
bello studio “per gli arpeggi composti” dove sentirete nella parte centrale un chiaro
riferimento alla musica da Caffè Chantant direi quasi Vaudeville.

Parte 22
Debussy: Étude 11 pour les arpèges composés
Parte 23
Questo era un Debussy cristallino, molto diverso dalle brume avvolgenti di Pagodes o
degli altri brani più celebri del suo pianismo.
Ora, se Debussy ritorna ad un oggettivismo, prosciugando il suo linguaggio, e guardando
al Caffè Chantant e al Vaudeville, Ravel (che viene erroneamente ritenuto un erede di
Debussy, mentre è un compositore che ha una struttura completamente diversa, non ha
mai partecipato alla sensibilità simbolista), invece, negli anni Venti inoltrati nella sua
celebre Sonata per violino, (che molti degli adulti ricorderanno nel film Il cuore d’inverno)
nel secondo tempo Ravel attinge al blues, chiaramente usando, in certi momenti, il violino
quasi come un banjo.
Ravel fece poi una tournée in America di grandissimo successo. Gershwin aveva un
debole per Ravel, e gli chiese di dargli lezione. Ravel gli rispose con molta umorismo “è
meglio che lei rimanga un buon Gershwin piuttosto che diventare una brutta copia di
Ravel”, e Gershwin capii che doveva proseguire il suo percorso. Gershwin in molti punti
della sua musica sembra proprio rifarsi a Ravel e in certi casi anche a Debussy.
La musica da camera di Ravel negli anni Venti sembra proprio essere la colonna sonora
ideale dei romanzi di Scott Fitzgerald, come Il grande Gatsby e Gli Ultimi fuochi, ma
anche della pittura di Hopper, la pittura americana di straniamento, di solitudine, che è,
come la musica di Ravel, linearmente trasparente, ma che svela qualcosa di straniante. La
musica di Ravel di solito oscilla fra certi accenti fauve di colorismo forte e certi momenti di
esotismo neo-classicheggiante. Questo brano che ascoltiamo adesso, dove si rifà al blues, è
un segno di contaminazione addirittura con musiche di altro continente. Il Blues era la
derivazione dello spiritual, che a sua volta deriva dal work song degli schiavi neri
d’America.

Parte 24
Ravel: Violin Sonata No. 2

Parte 25
Oltre all'uso del violino come un banjo, i tratti tipici sincopati vengono dal mondo dello
spiritual e del blues. Ora, invece, tornando a Parigi, abbiamo una figura una volta tanto
italiana, perché la musica strumentale italiana rinacque, faticosamente, con la generazione
detta dell’80, perché sono tutti nati intorno all’80, ma operanti ovviamente nel 900.
Casella ebbe una formazione a Parigi negli anni dell’eversione, in cui Stravinsky a Parigi
era un po’ il punto di riferimento, e scrisse nell’ottica di questo desiderio di richiamo
all'ordine (fu il motto di Cocteau), un richiamo all'ordine contro il sentimentalismo
grondante dell'Ottocento. Casella si operò per la rinascita della strumentalità italiana, e la
sua categoria spirituale fu quella della luminosità mediterranea, cioè di ritornare a
rivalutare il mondo della luminosità della tradizione italiana, un po’ come in pittura, in
quegli stessi anni, fecero Carrà con le sue meravigliose marine e, in un'ottica più aspra,
potremmo dire onirica, De Chirico, che è una rivisitazione di certi modelli greci in
un’ottica, come si dice, metafisica. Casella scrisse questo delizioso pezzo di una
mezz'oretta circa, di cui sentiamo una sezione centrale, che è un pastiche strumentale, col
pianoforte, su temi di sonate di Scarlatti, per cui proprio nella luce mediterranea del
Settecento, nell'ottica di quel ritorno al Settecento come riscatto dal plumbeo dramma
della coscienza romantica.

Parte 26
A.Casella - Scarlattiana

Parte 27
Se questa contaminazione, questo ripercorrere in modo giocoso il passato del Settecento,
ha un vitalismo abbastanza aproblematico, invece quello che ascoltiamo tra un istante è
una contaminazione iperbolica, di un concerto famoso di Poulenc, un altro del Gruppo dei
Sei come Milhaud, che facevano riferimento nel loro decostruzionismo, a Satie. Questo è
un concerto, pensate, scritto nel 27-28, dove si usa il clavicembalo, addirittura, usato con
una sollecitazione inaudita per lo strumento. Si chiama Concerto campestre e dove dentro
si ritrova, nei pochi minuti che ascoltiamo dell'ultimo tempo, una citazione delle
variazioni di Handel del Fabbro Armonioso, poi passi di Rameu, la danza moresca,
tipicamente coloniale, quella che si usava per la danza del ventre (è chiaro riferimento
coloniale al Nord Africa francese), poi il can-can. C’è dentro di tutto. Questa è
contaminazione portata a livelli rutilanti, con l'uso del clavicembalo in ottica chiaramente
provocatoria, di carattere anti-romantico.

Parte 28
Poulenc-Concert Champêtre for harpsichord and
orchestra

Parte 29
I clavicembalo usato in modo così percussivo è veramente uno stupro dello strumento,
perché il clavicembalo non ha dinamica, è uno strumento che non ha il piano ed il forte, i
colori si ottengono con i registri, per cui l'uso percussivo che ne fa è veramente
provocatorio.
Ora, la contaminazione può, però, diventare una cosa profonda e seria, una rigenerazione
linguistica alla luce del modello originario a cui ci si richiama. Casella, abbiamo sentito, è
piuttosto illustrativo e sereno, è una sorta di ghirlanda rievocativa felice della luminosità
mediterranea. Poulenc è surreale e parossistico, chiaramente provocatorio. Invece
Stravinsky, che sarà il protagonista degli ultimi due ascolti, riesce a ricomporre in ambito
modernistico, cioè con una decostruzione e un rimontaggio modernisti, l'idioma del
modello. E questa è la ragione del prossimo ascolto, che si chiama Dumbarton Oaks
(1938), un concerto neoclassico. Questo concerto ha una storia divertente: Stravinsky passò
gli ultimi anni della sua vita negli Stati Uniti (pur facendo viaggi di ritorno in Europa), e,
agli inizi, fu ospite di una famiglia di suoi estimatori, che avevano una tenuta con un
piccolo parco, che si chiamava Dumbarton Oaks, le querce di Dumbarton. Quando lui
dovette partire, gli chiesero “scrivici qualche cosa di ricordo di questa tua permanenza” e
lui disse “vi scriverò qualcosa nello spirito dei brandeburghesi di Bach”, e scrisse questo
Concerto Grosso in tre tempi dove il modello bachiano è palese. Adesso vi faccio sentire
per 40-50 secondi l'incipit del quarto brandeburghese, di cui voi non dovete pensare di
ritrovare l'analogia melodica, ma lo stacco ritmico e il colore timbrico sono quelli. Il lavoro
di Stravinsky è formidabile, e questa è una contaminazione rivitalizzante, alla luce di una
ricostituzione del modello in chiave modernistica.

Parte 30
Quarto Brandeburghese

Parte 31
[qui abbiamo un] Ripensamento tonale di un modernismo audacissimo. I brandeburghesi
sono del 1721, siamo due secoli abbondanti dopo. [abbiamo] Lo stesso stacco ritmico e il
colore del flauto, che è il flauto dolce per il quarto brandeburghese, mentre Stravinsky
credo usi il traverso.

Parte 32
Dumbarton Oaks

Parte 33
Questo era il prodigioso concerto di Stravinsky, diviso in tre tempi (allegro, adagio,
allegro), questo era quasi tutto il primo tempo.
Stravisnky fu longevissimo e camaleontico (nato nel 1982 e morto nel 1971 a New York e
sepolto a Venezia vicino a Diaghilev, coreografo cui dovette molto del suo successo agli
inizi). Ora, dopo la guerra (ormai scavalchiamo anche la seconda guerra mondiale), la
musica colta cerca di rivitalizzarsi, attingendo non più alle sfere espressive di altri
linguaggi come abbiamo visto finora (il blues, il popolare, il cabaret o a modelli del
passato), ma a ritmi e timbri di altre realtà sociali, cioè una prospettiva materico-
liberatoria, non c'è più il riferirsi ad una sensibilità, ma cellule di carattere materico, ritmi e
timbri. Stravinskij, che era camaleontico, scrisse per il clarinetto di Benny Goodman, che è
stato un grandissimo solista che aveva fatto studi classici, e per l’orchestra swing di
Woody Herman, che era una delle grandi orchestre swing d’America, l’Ebony Concert
(chiamato così in riferimento al clarinetto, il bastone d’ebano). In questo pezzo c’è anche il
sassofono, è chiaramente un ripercorso del mondo jazzistico, con i ritmi sincopati, l'uso del
sax e del clarinetto. Questo è l'ultimo ascolto delle contaminazioni, un attingere a cellule,
più che modelli espressivi.

Parte 34
Ebony Concert

Parte 35
Ecco, con questo concerto di Stravinsky termina quella che è la contaminazione. In questo
concerto, più che elementi espressivi vi sono cellule ritmiche e timbriche. Successivamente,
la contaminazione avviene in termini extra umani, nel senso che, negli anni Cinquanta e
Sessanta, le contaminazioni avvennero con i rumori quotidiani. John Cage, per esempio,
prima scrisse delle sonate per pianoforte preparato, cioè un pianoforte alterato
elettronicamente (come truccare un motore di una macchina), ma poi, soprattutto, fece dei
brani di musica altamente provocatori con i rumori quotidiani come l’aspirapolvere.
Parliamo di contaminazione con realtà extra musicali, di suoni e rumori. Poi venne
l’elettronica, e infine (ormai negli anni 70 inoltrati) il computer e la musica informatica. Da
questo ne deriva, come discorso filosofico, il tramonto del valore metaforico e simbolico
risolvente dell'opera d’arte, perché la grande metafora, la grande favola con cui l'arte
racconta un significato risolvente per la coscienza dell'uomo è terminato. Questa era
l'ossatura dell’umanesimo, miti di Platone, le parabole di Cristo. Il grande racconto
simbolico che insegna la verità. Tutto questo finisce quando si arriva alla tecnicizzazione
assoluta. La conseguenza (la vediamo ancora sotto gli occhi) è lo smarrimento esistenziale
e l'avvento di quello che Montale chiamerà “il male di vivere" in questo vuoto che la
tecnicizzazione e la settorializzazione iper-specialistica della musica cosiddetta colta porta
con sè, viene lentamente riempito da quella che è chiamata, genericamente, musica
leggera.
La musica leggera ha la caratteristica di riferirsi a realtà immediate e concrete: amore,
sesso, danaro e libertà, per cui è molto legata a quella che Platone diceva essere la
“mimesis”, cioè la descrizione fotografica immediata di una realtà in cui le masse si
riconoscono, e dunque non ha la capacità simbolica di trasfigurazione (Tranne casi
rarissimi, cito ad esempio sicuramente la parabola dei Beatles, le loro canzoni migliori
hanno un valore poetico e simbolico e infatti sono stato il simbolo di un'epoca e di un
frangente, ma è cosa molto rara).
La musica leggera è in grado di esternare emozioni, di incarnare atmosfere sociali, ma
anch’essa, per lo più, non è in grado di elaborare una metafora simbolica che è
universalmente risolvente. Questo è il grande patrimonio della cultura umanistica, e in
modo particolare delle Arti, ed è proprio quello di elaborare metafore, cioè costrutti
metaforici o musicali o pittorici o letterari, che siano simbolicamente risolventi dei drammi
della coscienza dell’uomo, cosa che nel mondo di oggi, tutto votato all'informazione e alla
“mimesis" immediata, è totalmente sparito. Si crede che l'informazione diffusa sia una
delle tutele della democrazia. In un certo senso può anche essere vero, ma se
l’informazione appiattisce tutto alla fotografia, e non lascia più spazio all'elaborazione
simbolica, direi che, se la democrazia è anche la crescita civile dell’individuo, questa direi
che ne soffre molto.
Questo è lo stato dell'arte (o del disastro) alla situazione attuale.

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