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Quattrocento e Cinquecento: apogeo della polifonia.

Si svolgeva intensa pratica di musica monodica, definita “umanistica”.


Nelle principali corti italiane, letterati umanisti cantavano poesie accompagnati da liuto o da viola
a gamba.
Testo poetico in primo piano, la musica si limitava a servirlo.

Nel VI sec, sia frottola che madrigale spesso eseguiti monodicamente cantando solo la parte
superiore e affidando quelle inferiori ad uno o più strumenti.

TEORICI MUSICALI DEL CINQUECENTO


- Heinricus Glareanus, nel suo trattato “Dodecachordon” sostiene che sia più opportuno
considerare musicisti coloro che inventano musiche monodiche piuttosto che i
compositore polifonici (questi ultimi elaboravano musica intorno ad un cantus firmus
preesistente, quindi non dotati della libera invenzione).
- Nicola Vicentino, trattato “L’antica musica ridotta alla moderna pratica”: viene discussa
l’imitazione dell’antica Grecia; Vicentino non rinuncia alla polifonia ma la semplifica a
favore della comprensibilità del testo, massimo 4 voci. V. tenta di reintrodurre i tre generi
musicali greci: diatonico, cromatico ed enarmonico.
- Gioseggo Zarlino (maestro di cappella a San Marco in Venezia), trattato “Le istitutioni
harmoniche”: monodia dei greci ha più effetto sull’animo umano rispetto alla polifonia più
elaborata. Scarso valore della poesia ora messa in musica a differenza dei capolavori della
letteratura greca.
- Vincenzo Galilei, “Dialogo della musica antica et della moderna”, vantaggi della monodia:
maggiore comprensione della parole, stimola ascolto di tipo emotivo; bisognava rinunciare
a madrigalismi, a ripetizioni di parole per fini musicali, e ai ritmi di danza che irrigidivano la
scansione ritmica delle villanelle.

Giovani intellettuali si riunivano a firenze a casa di Giovanni de’ Bardi, definiti facenti parte di una
“camerata”, poiché si discuteva liberamente. Ne fece parte anche Giulio Caccini (cantante e
compositore), Ottavio Rinuccini (poeta), Giovan Battista Guarini.

Altra camerata che si riuniva a casa di Jacopo Corsi, esponente di questo gruppo era Jacopo Peri
(rivale di Caccini): realizzarono subito eventi musicali, sulla base del fatto che le tragedia dell’antica
Grecia fossero interamente cantate e che per riprodurre lo stesso effetto si dovesse coniare un
tipo di emissione vocale come via di mezzo tra canto e recitazione, che prese il nome di recitar
cantando. Il canto era monodico, accompagnato da semplici armonie realizzate dagli strumenti, no
salti melodici o grandi estensioni; ritmo libero e flessibile.

Finanziata da Corsi: prima opera in musica, cioè la Dafne, pastorale drammatica su testo di Ottavio
Rinuccini e musica di Jacopo Peri e Jacopo Corsi, composta nell’inverno 1594-95, rappresentata
per la prima volta nel palazzo di Corsi durante il carnevale 1598. Musica della Dafne andata
perduta.

Considerata la vera primizia dell’opera in musica: l’Euridice (omaggio di Corsi agli sposi Maria de’
Medi e Enrico IV). Testo di Rinuccini per lo più musicato da Jacopo Peri, che aveva impersonato
Orfeo; Caccini realizza musica per ruoli affidati ai suoi allievi. Preso dalla gelosia Caccini compone
un’altra versione musicale tutta sua dello stesso testo. Non venne mai rappresentata. Nella
prefazione, Caccini si vanta di essere il primo a dare la musica a questo testo.

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