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Capitolo 5

Il testo musicale
Andrea Nardi

Introduzione
Un bravo artista copia, un grande artista ruba.
Pablo Picasso

A good composer does not imitate; he steals


Igor Stravinsky

Che senso ha oggi tornare a riflettere sul “testo musicale”? Forse mol-
to, forse per niente, quello che è certo è che la stessa riflessione non
avrebbe avuto il medesimo oggetto all’inizio del secolo scorso. La na-
tura stessa del “testo musicale” è infatti cambiata radicalmente a se-
guito dell’introduzione delle tecnologie elettroniche, prima, e digitali
poi. Andando a indagare i motivi di questo profondo cambiamento
scopriremmo come esso sia legato a doppio filo allo sviluppo delle
nuove tecnologie, ma come, allo stesso tempo, non si risolva com-
pletamente in quest’ultimo. In primo luogo perché la tecnologia ha
soltanto avverato un desiderio da sempre presente nell’uomo, quello
di riuscire a catturare un suono per poi riprodurlo o replicarlo, scon-
figgendone la sua naturale immaterialità. In secondo luogo perché la
musica può essere considerata come un “caso particolare”, in quanto
ha partecipato a quel processo di completa rivoluzione e cambiamen-
to di paradigmi apportati dalla tecnologia a livello della “testualità”
ma, allo stesso tempo, è sfuggita ai processi generali e, in molti casi,
ha percorso strade diverse proprio per la particolare natura del testo
musicale. Analizzare i mutamenti avvenuti a livello della testualità
e comunicazione sonora ci potrà poi servire a riflettere sull’impatto
che le tecnologie hanno avuto sull’attività di composizione, sul ruo-
lo dell’artista e dell’autore, sullo statuto di opera d’arte musicale, su
come sia cambiato il rapporto tra musica e altre forme d’arte.

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Che le nuove tecnologie abbiamo sovvertito il modo stesso di fare


e concepire l’arte è ormai innegabile. Basti pensare, per esempio, a
come la pretesa di originalità delle opere e delle performance artisti-
che nell’era digitale sia oramai del tutto priva di fondamento: “origi-
nale” e “copia”, infatti, una volta digitalizzati, divengono identici e
del tutto indistinguibili. Sia chiaro, la tecnologia, ogni tecnologia, ha
sempre influenzato l’arte lungo tutta la sua storia; se però l’artista
che scopre la prospettiva la utilizza in quanto il congegno artistico
gli permette di meglio rappresentare la realtà, e quindi il contenuto
rimane ancora, motore, obiettivo e senso dell’opera d’arte, dal fo-
tomontaggio . dadaista alle opere futuriste, dal montaggio cinemato-
grafico di Ejzenštejn ai ready made di Duchamp, dall’action painting
di Pollock ai Ben-Day dots di Lichtenstein, fino alle Brillo Box di
Andy Warhol, l’opera diviene una riflessione sul proprio processo
creativo. Sia che si creino dissonanze dall’accostamento di frammen-
ti “testuali” diversi, sia che si prenda un oggetto d’uso comune e lo si
collochi nelle stanze di un museo, che si inondi la tela con spruzzi di
colore gettati dall’alto o che si dia vita a figure ed oggetti per mezzo
di minuscoli puntini, obiettivo primario dell’arte diviene quello di
spingere lo spettatore a riflettere sul mezzo e sul processo stesso di
generazione dell’opera: il medium diviene “davvero” il messaggio.
Certo, ogni corrente e artista sceglierà poi di utilizzare gli strumenti
e le tecniche più congeniali ad inviare il proprio di messaggio, e
questo di volta in volta acquisterà una valenza diversa (politica, ce-
lebrativa, estetica, meta-riflessiva), ma di fatto il processo generativo
alla base dell’opera diverrà primario.
Così come l’arte concettuale ha rivoluzionato il senso stesso di
opera d’arte, dimostrando come il processo sia più importante del
prodotto, e come l’aspetto realmente interessante di quest’arte, come
di molta arte moderna, sia di carattere prettamente linguistico, ovvero
il modo in cui i materiali “testuali” vengono continuamente rimediati
(Bolter, Grusin, 2002), così oggi diviene impossibile concepire ed ana-
lizzare l’arte digitale separatamente dallo strumento tecnologico che
l’ha generata. Ciò che risulta particolarmente significativo di un’opera
digitale allora non è tanto la sua presunta originalità, ma i proces-
si e gli strumenti che hanno portato alla sua creazione: il processo
diviene il contenuto, e l’artista rivolge la propria attenzione verso il
procedimento stesso del fare arte, secondo un processo simile a quello
descritto da Clement Greenberg a proposito della genesi dell’astratti-
smo, “distogliendo la propria attenzione da ciò che è oggetto dell’e-
sperienza comune, il poeta o l’artista la dedica al mezzo proprio del
suo mestiere” (Greenberg, 2008 p. 70).

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La riproducibilità tecnica teorizzata da Walter Benjamin, introducen-


do il concetto di copia, ha decretato il declino dell’aura dell’opera
d’arte e segnato la fine dell’Originalità: “Il rapido aumento della co-
pia ha, infatti, non solo facilitato la citazione dell’originale ma anche
frantumato la presunta unità dell’originale “stesso” in nient’altro che
un insieme di citazioni” (Krauss, 2005 p. 49). Se quindi con la ripro-
ducibilità si ottengono tanti originali tutti identici, la digitalizzazione
porta, al contrario, a una moltiplicazione dell’Originale permetten-
do ad ogni nuovo remix, ad ogni nuova reinvenzione, di rinnovare
l’originalità e produrre tanti originali tutti diversi. L’arte riprodotta
muta il proprio status semiotico, essendo, come nel caso della foto-
grafia, fruibile in un contesto altro rispetto a quello della sua prima
creazione, ma le modifiche avvengono per così dire soltanto ad un
livello “concettuale” e l’integrità dell’opera rimane comunque intatta,
mentre nel caso del digitale il testo perde la propria auto-consistenza,
diviene non soltanto replicabile, ma costantemente modificabile e ri-
scrivibile. La digitalizzazione del “testo” lo rende infatti, per la prima
volta, oggetto tangibile, fluido, in continuo divenire, senza inizio né
fine, senza autore, senza padrone, come abbandonato a se stesso nel
Cyberspazio: il prestito, il taglio, la decontestualizzazione, l’ibridazio-
ne divengono sue proprietà naturali. Se per Benjamin la riproducibi-
lità permette di “appropriarsi dell’oggetto artistico da una distanza
sempre più ravvicinata” (Benjamin, 2000 p. 25) attivando un inedito
valore politico e comunicativo dell’opera d’arte, così che lo spettatore
svesta i panni di fruitore passivo e scopra nuove forme di appropria-
zione e fruizione, la remixabilità digitale inaugura una nuova fase di
“usabilità” dell’opera d’arte dove, sempre più spesso, sono proprio
gli “spettatori” e i “fruitori” a cimentarsi nella creazione di prodotti
culturali. Questo slittamento di poteri permette a chiunque, nel mo-
mento in cui ottiene la possibilità di Scrivere e Riscrivere la propria
cultura, di acquisirne anche una maggior capacità di Lettura perché
“proprio come imparare a leggere la musica e a suonare uno strumen-
to può fare di una persona un ascoltatore più raffinato, la diffusione
della pratica di produrre artefatti culturali di ogni tipo permette agli
individui di essere lettori, ascoltatori e spettatori migliori della cultura
prodotta in modo professionale, oltre che di inserire il loro contributo
in questo insieme culturale collettivo” (Benkler, 2007 p. 373).
Benjamin vedeva nella riproducibilità tecnica uno strumento de-
mocratico di libertà, di “risveglio”, di presa di coscienza in grado di
avvicinare l’arte alle masse, egli aveva intravisto la possibile decaden-
za e mercificazione del mezzo fotografico, ma non poteva immaginare
che la riproducibilità avrebbe introdotto nuovi ostacoli alla possibi-

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lità degli individui di essere protagonisti della fruizione e creazione


della propria cultura. Pensiamo all’avvento delle case discografiche e
al ruolo sempre più imprescindibile che con il tempo hanno assunto
come soggetti mediatori tra l’artista e la propria creazione, in grado di
sostenere i costi di produzione e riproduzione e garantire così prodotti
culturali di “qualità”.
Ebbene quello che è certo è come oggi i media digitali stiano
nuovamente abbattendo le barriere erette dalla riproducibilità ri-
portando la cultura ad una fase che potremo definire di “Creatività
Secondaria”. La citazione non è cosa nuova, da sempre fa parte del
processo di appropriazione della cultura da parte dell’uomo, ma il
digitale permette un’inedita “semplicità d’uso” dei materiali testuali,
non soltanto perché citare, remixare, riscrivere, risulta effettivamen-
te sempre più semplice, dal momento che il bacino di contenuti da
cui attingere in Rete è praticamente illimitato, e i software fanno il
resto, ma soprattutto perché vi è il ritorno ad un uso “orale”, socia-
le, collettivo, partecipativo, creativo, generativo dei testi. Gli indi-
vidui, grazie a processi di intelligenza collettiva (Levy) e connettiva
(De Kerckhove), di comunicazione generativa (Toschi), di surplus
cognitivo (Shirky) e coda lunga (Anderson), di cultura partecipativa
e convergente (Jenkins), di remix, economia ibrida (Lessig), della
felicità (De Biase), di produzione orizzontale basata sui beni comuni
(Benkler) e postproduzione (Bourriaud) da soggetti passivi ricetto-
ri, consumatori, spettatori, diventano autori, produttori, creatori di
nuovi artefatti culturali.
Sono quindi le nuove forme sociali di connessione e interazione
tra gli individui, permesse in primo luogo dalle tecnologie, che por-
tano con il tempo a un’inedita e diversa attitudine verso la cultura
e il patrimonio artistico. Gli artisti, così come i non professionisti
dell’arte, mutano radicalmente il loro rapporto con l’oggetto artistico.
Il fare arte diviene continua rielaborazione dell’esistente, e la ricerca
artistica simile alla navigazione dell’utente internettiano: si scava e
perlustra l’inesauribile magazzino di forme, oggetti, segni, materia-
li, per poi prelevarli, ricombinarli e inserirli in un nuovo spazio di
senso e significato. Suoni, immagini, messaggi, vengono letteralmente
riciclati e rinnovati. Quello che il dj fa prelevando samples esistenti,
amalgamandoli poi in nuovi prodotti sonori, fa il blogger esplorando
siti, social network e forum di discussione, per poi estrapolare fram-
menti testuali e trasportali in nuovi spazi semantici, il programmatore
copiando, tagliando e cucendo pezzi di codice, o il web designer im-
possessandosi di immagini e rieditandole.

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L’arte della postproduzione sembra rispondere al caos proliferante


della cultura globale nell’età dell’informazione, che è caratterizzata
dall’incremento di forme ignorate e disprezzate fino ad ora e dalla loro
annessione al mondo dell’arte. Inserendo nella propria opera quella
di altri, gli artisti contribuiscono allo sradicamento della tradizionale
distinzione tra produzione e consumo, creazione e copia, readymade
e opera originale. Il materiale manipolato non è più primario. Non si
tratta più di elaborare una forma sulla base di materiale grezzo, ma di
lavorare con oggetti che sono già in circolazione sul mercato culturale,
vale a dire, oggetti già informati da altri oggetti. I concetti di originalità
(essere all’origine di) e di creazione (creare qualcosa dal nulla) svaniscono
lentamente nel nuovo panorama culturale segnato dalle figure gemelle
del deejay e del programmatore, entrambe con il compito di selezionare
oggetti culturali e includerli in nuovi contesti (Bourriaud, 2004 p. 7).

Non è allora forse Google il più grande sistema automatizzato di re-


mix della cultura umana? E il nostro surfare tra una pagina web e
l’altra, tra un link e il successivo, non può anch’esso essere conside-
rato una pratica artistica? Se la navigazione tra i meandri della Rete
può essere paragonata a un moderno dj set, si capisce bene come l’o-
pera d’arte possa divenire un’entità in continuo divenire, un singolo
elemento all’interno di un’immensa rete di segni e significati che si
rigenera, ogni qualvolta un nuovo elemento, un nuovo ponte tra le
informazioni, un nuovo brano, fotografia, video o commento viene
aggiunto. L’artista si trasforma in dj e l’arte diviene un codice sorgente
aperto a contaminazioni e rielaborazioni.
Come spiegato da Germano Celant, in questo scenario l’arte per
continuare a leggere e interrogare il presente si è dovuta necessaria-
mente aprire alla contaminazione e all’osmosi con gli altri linguag-
gi. Con l’ingresso delle nuove tecnologie e dei media, quest’ultima è
divenuta un’«entità multipla», un «soggetto multimediale assoluto»
(Celant, 2008 p. 6) è entrata nel vortice dei media dove i confini lin-
guistici, tecnici e tecnologici si dissolvono, e dove convivono “vertigi-
nosamente” arte, architettura, cinema, design, moda, teatro, musica e
televisione.
Remixare, impossessarsi della propria cultura, citare, trasformare,
reinventare oggetti culturali, miti, idee, saperi, conoscenze, non sono
prerogative dell’era digitale, ma oggi l’entità di questi processi ha
raggiunto, per la prima volta, dimensioni significative ed è possibile
iniziare ad immaginare e intravedere una riconfigurazione dell’intero
sistema di creazione e diffusione della cultura e della conoscenza uma-
na. Se questo processo democratico, ancora una volta, genererà poi

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nuovi effetti distorti o forme di limitazione alla libertà creativa degli


individui, questo non è dato saperlo, quel che è certo è che non sarà
opponendosi o rifugiandosi in un passato glorioso che ci prepareremo
a gestire il futuro.
Con l’avvento della digitalizzazione, l’ibridazione dei testi e il
montaggio letterario, sono ormai stati metabolizzati, interiorizzati e
incorporati nella “scrittura” quotidiana di milioni di utenti. Il collage,
il montaggio cinematografico e sonoro, un tempo strumenti privile-
giati e meta-riflessivi dell’arte, sono divenuti alla portata di tutti gra-
zie all’editing digitale, l’ibridazione dei popoli è ormai globale, quella
dei saperi, dell’informazione e della conoscenza ancor di più.
Se per Bauman, con la modernità liquida, si perdono tutti quei
legami forti e punti di riferimento istituzionali precedenti, così le Isti-
tuzioni “forti” della “testualità”, sia che si tratti di musica, di testi
scritti, di video, d’immagini, di pratiche sociali o quant’altro, vedono
il loro potere gradualmente eroso dalle inedite possibilità di accesso
al “testo” digitale. Come il lettore avrà modo di capire la concezione
che qui si ha di “testo” è ampia e comprensiva, ma non per questo
generica o dispersiva, a tal punto che possiamo arrivare a considerare
la vita stessa come il Macrotesto che ogni individuo decide di scrivere
e riscrivere continuamente, chi più chi meno, e che per farlo legge e
rilegge le Vite-Testo altrui confrontandosi, ancora una volta, chi più
chi meno (In Rete 5.1, Il Testo Digitale).1
Il processo di digitalizzazione del testo ha avuto sicuramente un
ruolo importante nel liberalizzare la creatività degli individui, allo
stesso tempo però, ha introdotto reali problematiche in merito a come
continuare a trarre profitto dal proprio ingegno e sforzo creativo, in
una società dove i prodotti culturali sono “immateriali”, mentre la
contaminazione, l’appropriazione e la “copia” divengono prassi. Se
da un lato saremmo quindi portati a pensare che i nuovi strumenti
tecnologici valorizzino la complessiva qualità delle opere, a discapito
per esempio, di strategie di marketing e mercato, che spesso tendono
a soffocarla, dall’altro forse, ancora oggi, gli artisti hanno bisogno
di moderni Mecenati che supportino e salvaguardino la qualità del
loro lavoro. Viviamo in un’epoca di crisi dell’arte? O forse nell’era
d’oro e delle grandi occasioni? Soltanto il tempo potrà darci una ri-
sposta, fatto è, che questo, anche se di rilevanza vitale per il destino

1 Non a caso Anichini nella sua analisi del testo digitale (Anichini A., Il testo digi-
tale, Apogeo, Milano, 2011) utilizza la metafora dell’itinerario per descrivere uno
dei caratteri salienti del testo odierno, e vede l’attività di lettura del testo digitale
sempre più simile a un “viaggio”. E quale viaggio è più importante di quello della
vita?

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e la sopravvivenza dell’arte e del fare arte, esula dalla nostra discus-


sione. Perché? Perché siamo convinti che una riflessione sulla qualità
di opera d’arte oggi, non possa prescindere da un’analisi più ampia
sui cambiamenti apportati dall’era digitale a livello dei processi crea-
tivi. Perché appunto, ancora una volta, anche la qualità spesso risiede
proprio nel processo e non nel prodotto finale. Come fare a valutare
un testo musicale nato dalla tessitura in Rete di centinaia di persone
separatamente dal processo di testualità collettiva che l’ha generato?
I cambiamenti apportati dalle nuove tecnologie a livello creativo
sono del tutto inediti e per questo richiedono di essere pensati, tratta-
ti. Se la digitalizzazione per molti versi rappresenta un vero e proprio
“salto di paradigma”, un “balzo nel buio”, proprio per la mancanza
di strumenti di “lettura” e analisi dei nuovi testi, allo stesso tempo i
mutamenti da essa introdotti vanno comunque interpretati, e stavolta
ne abbiamo le possibilità, all’interno di un percorso artistico, sociale e
tecnologico più ampio, che ne ha creato le fondamenta, fatto crescere
i germogli, e spinto poi al cambiamento.
Preso atto dell’impossibilità di leggere le dinamiche attuali con pa-
rametri che rispecchiano un contesto tecnologico (ma anche politico,
sociale, economico, culturale) completamente diverso, cercheremo di
svelare le “grammatiche” nascoste delle tecnologie musicali, in modo
da riflettere sul ruolo che queste, molto spesso, hanno nell’indirizza-
re l’utilizzo che di quelle stesse tecnologie le persone faranno. Ogni
medium ha infatti le proprie regole, le proprie funzioni, convenzioni,
sintassi e sceneggiature senza le quali non potrebbe dirsi tale. Queste
influenzano e in molti casi “impongono” modalità di utilizzo, ma allo
stesso tempo danno vita a configurazioni inattese e spesso è proprio il
fattore umano a sconvolgere il senso stesso per il quale una tecnologia
era nata. Lo strumento, l’invenzione, il dispositivo tecnologico, per es-
sere medium, deve infatti necessariamente trasformarsi in linguaggio
condiviso, pratica sociale. Il carattere distintivo di un medium non ri-
siede tanto nelle proprietà fisiche quanto nella sostanza linguistica del
mezzo, nell’utilizzo che si decide di farne, nella forma che gli viene do-
nata. Sono quindi gli individui a inventare e «reinventare il medium»
(Krauss, 2005, p. 148) decidendo di utilizzare mezzi già esistenti non
più come semplici strumenti tecnologici, bensì come linguaggi, come
media appunto. Per Benjamin il momento di questa magica conversio-
ne andava rintracciato nell’obsolescenza di un medium, il momento
“post-mediale” direbbe Rosalind Krauss, in cui il medium viene esi-
liato dal territorio della popolarità e del consumo di massa, ed entra
in quello del “fuori moda”. Se la riproducibilità tecnica con il tempo
ha prodotto la conversione dell’oggetto artistico in merce, reinventare

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144 Capitolo 5

il medium non significa ristabilire le forme di supporto precedenti,


ma inventarne di nuove, perché “nel momento in cui una tecnologia
è improvvisamente eclissata dalla propria obsolescenza, il suo rive-
stimento si rompe e libera la memoria di quella promessa” (Ivi, p.
148) utopica che conteneva al momento della propria creazione. E
oggi sono nuovi attori a rinnovare questa promessa. I consumatori,
gli spettatori, i lettori abbandonano la fruizione passiva del sistema
massmediatico, e migrano su nuovi territori della creatività. Grazie a
processi collettivi di scrittura, riscrittura, narrazione, conversazione
e decisione essi divengono non tanto produttori di nuovi contenuti,
ma «postproduttori» (Bourriaud, 2004) dal basso dei loro stessi stru-
menti: decidono cosa esiliare nel territorio dell’obsolescenza e cosa
battezzare come medium.
Processi come il remix, il montaggio, la copia, la citazione, l’ibri-
dazione mediale, la conversazione e la creazione transmediale, devono
allora essere considerati non soltanto come procedimenti tecnici ma
soprattutto sociali, come bisogno e diritto di espressione degli indivi-
dui. Non si può chiedere di partecipare alla propria cultura soltanto
acquistando prodotti preconfezionati, così come non si può imporre
di utilizzare un mezzo potente e rivoluzionario di connessione come
la Rete banalizzandolo e vivendolo soltanto come un volgare e sem-
plice ambiente di lettura: oggi più che mai partecipare alla vita sociale
significa scrivere, riscrivere, remixare, riadattare, ricreare.

Remix e ibridi “musicomediali”

FlashForward. Contaminazioni futuriste


ci divertiremo ad orchestrare idealmente insieme il fragore delle saracine-
sche dei negozi, le porte sbatacchianti, il brusio e lo scalpiccio delle folle, i
diversi frastuoni delle stazioni, delle ferriere, delle filande, delle tipografie,
delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee

Luigi Russolo

Il termine musica deriva dall’aggettivo greco µουσικο′ ς/mousikos, re-


lativo alle Muse, che anteposto e declinato col nome téchne (arte), dà
vita alla locuzione mousiké téchne, ossia “Arte delle Muse”. Al con-
trario di quanto si pensi quindi quest’arte è rimasta legata alla tecnica
fin dalle proprie origini, e il rapporto con la tecnologia, lungi dall’es-

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sere un fenomeno tipico dei tempi moderni e del computer, è antico


quanto la musica stessa, come stanno a dimostrare, per esempio, quei
sofisticati dispositivi tecnologici che da sempre sono gli strumenti mu-
sicali. Se le tecnologie infatti sono come “strumenti musicali suona-
ti dall’intera cultura per un dato periodo di tempo” (De Kerckhove,
1993), nel senso che ogni tecnologia introduce a livello individuale
e sociale delle differenze nel rapportarsi al mondo, dal punto di vi-
sta del suono, del gusto, dell’olfatto, gli strumenti musicali possono
essere considerati tecnologie, estensioni dell’attività del cervello, nel
momento in cui ci permettono di concretizzare e dare vita ai nostri
“pensieri musicali”. Pensiamo inoltre a quanto una tecnologia come
la scrittura, prima dell’avvento di tecniche diverse di fissaggio sonoro,
abbia profondamente mutato il testo musicale, permettendo di “fissa-
re” su carta e memorizzare un’opera, garantendone la riproduzione in
un secondo momento e luogo.
Nonostante questo primitivo rapporto con la tecnologia, quello
che succede agli inizi del ventesimo secolo con le avanguardie sto-
riche, Dadaismo, Cubismo e in particolare il Futurismo italiano è,
a mio parere, qualcosa di diverso, come diverse sono le nuove re-
altà tecnologiche con le quali gli artisti hanno dovuto confrontarsi.
La nascita del cinema, della registrazione sonora, della fotografia,
del telefono e della radio, mutano radicalmente la ricerca artistica. Il
mondo diviene sempre più piccolo e subisce un’inedita accelerazione,
mentre l’uomo moderno si ritrova sommerso in un bombardamento
percettivo-sensoriale costante ed estremamente eterogeneo dal pun-
to di vista mediale. L’esaltazione sonora del “rumore”, l’elettricità,
la Metropoli, la simultaneità, la logica delle macchine, modificano i
tempi di ricezione e percezione e portano a riconsiderare radicalmente
i confini artistici come quelli sociali. Il Futurismo si accorge di questa
rivoluzione antropologica e, a partire dai primi anni del Novecen-
to, la formalizza a livello artistico, producendo un inedito ibridismo,
una contaminazione tra forme d’arte prima rigidamente separate che
rispecchia perfettamente il mix sensoriale al quale i fruitori sono conti-
nuamente sottoposti (In Rete 5.2, Senza Cornice).2 Se, infatti, da un lato

2 L’intuizione secondo la quale la genesi di quella rivoluzione antropologica, sociale


e artistica che porta alle prime sperimentazioni con il montaggio negli anni Venti
e Trenta vada rintracciata nel movimento Futurista, e come sia stato il Futurismo
per primo a produrre un’arte ibrida, in risposta alla rivoluzione in atto, nel tenta-
tivo di spingere i propri fruitori ad un’inedita fruizione delle opere d’arte, appar-
tiene a Caterina Toschi la quale ha approfondito il tema del montaggio Futurista
in Arte e politica nel Novecento: il contributo futurista e continua ad indagare
nell’attuale progetto di Ph. D. La composizione come montaggio che ringrazio per

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146 Capitolo 5

sono proprio le “nuove tecnologie” a rendere possibile questo cocktail


mediale e sensoriale, permettendo di mischiare quello che prima rima-
neva rigidamente separato, questa attitudine al mix, al contagio, allo
sconfinamento linguistico, al “montaggio” e “smontaggio” di stimo-
li, linguaggi e codici espressivi di natura diversa, diviene peculiarità
dell’uomo moderno, il quale si ritrova, tutto d’un tratto, ad ascoltare
un messaggio promozionale alla radio (elaborandolo più o meno co-
scientemente) mentre, seduto su di un autobus, osserva sei macchine
che sfrecciano sulla strada e sfoglia un quotidiano in cui una Monna
Lisa di Leonardo con i baffi gli sorride. Se questa è la rivoluzione in
atto, anche i linguaggi dell’arte devono mutare e il Futurismo fon-
darsi “sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto
per effetto delle grandi scoperte scientifiche” (Marinetti, 1913 pp.
65-66). E se l’arte ha questa finalità di rinnovamento, di risveglio e
responsabilizzazione sociale, allora per forza di cose deve aprirsi al
proprio lettore/spettatore, richiedendo, allo stesso tempo, uno sfor-
zo di “decodificazione”, di “decriptazione”, anche se spesso non del
tutto consapevole, delle proprie opere. Per far ciò gli artisti futuristi
utilizzeranno tutta una serie di procedimenti tecnici, atti a far leva
sui propri fruitori, proprio perché rispecchianti il loro tempo, i gran-
di mutamenti in corso, e la loro particolare dimensione emozionale-
percettiva. Strumenti come l’analogia, la simultaneità, il montaggio,
la sintesi compositiva, “costringeranno” ad uno sforzo di sintesi del
miscuglio sensoriale presente all’interno dell’opera Futurista. Come
vedremo, uno stesso sforzo di analisi “critica” del materiale replicato,
smontato e poi rimontato verrà richiesto dai moderni dj ai propri
ascoltatori.

L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti,
apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime
uno stile orchestrale, ad un tempo policrono, polifonico, e polimorfo,
può abbracciare la vita della materia (In Rete 5.3, Manifesto Futurista).3

Il metodo futurista annuncerà la “polifonia”, la connettività globale


permessa da Internet e l’ipertestualità delle opere digitali. «L’analogia
immediata […] che collega le cose distanti» è infatti alla base del mec-
canismo di funzionamento della Rete e della navigazione ipertestuale.

aver condiviso, in una delle tante chiacchierate, e permesso di “remixare” e appli-


candola alla mia riflessione sul testo musicale. Si veda SenzaCornice rivista online
di arte contemporanea e critica, http://www.senzacornice.org/.
3 Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista, http://www.gutenberg.org/
files/28144/28144-8.txt

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Il testo musicale 147

In poco tempo il collages e la logica creativa del montaggio fu-


turista contageranno anche il mondo musicale, anticipando i taglia e
incolla di carte pentagrammate di Maderna, i nastri magnetici della
musica elettroacustica e le sperimentazioni in campo cinematografico
di Sergej Ejzenstejn. Gli stessi Futuristi si interesseranno alla com-
ponente fonetica e sonora di tutte le loro opere. Esempi ne sono la
fonopoetica e la “verbophonie” di Petronio, le ricerche sul “rumore”
di Russolo, le tavole parolibere, le trasmissioni di arte fonetica e il
Manifesto della Radio di Marinetti, la “verbalizzazione astratta” e
l’“onomalingua” di Depero, i Manifesti di Francesco Balilla Pratella,
la “rumoristica plastica” di Balla, la “poesia pentagrammata” di Can-
giullo (In Rete 5.4, Musica Futurista).4
Gli elementi fonetici e sonori delle opere riacquisteranno il pro-
prio ruolo di centralità sia nella “scrittura sonora” (spartiti sonori/
poemi visuali sonori), sia in relazione agli altri media, linguaggi, for-
me d’arte e codici espressivi. Gli artisti futuristi rivalorizzeranno sia
la sonorità del testo, che la testualità del sonoro e inaugureranno una
nuova fase in cui il concetto stesso di testo musicale diverrà sempre
più sfumato, e per la prima volta si aprirà a contaminazioni con altre
forme d’arte, osmosi di linguaggi, fusioni, dissolvenze, abbattimento
di confini, sconfinamenti.
Il Futurismo sembra quindi rintracciare e formalizzare a livello
artistico un vento di cambiamento già presente all’interno del mondo
musicale (si pensi a compositori come Arnold Schönberg, Richard
Wagner, alla dodecafonia e all’utilizzo sempre più intenso della
dissonanza nelle composizioni musicali nel periodo che va dagli
ultimi decenni dell’Ottocento ai primi del Novecento) e imprimere la
spinta decisiva, soprattutto a livello teorico, al cambiamento, a quel
punto reso possibile dall’avvento delle tecnologie. Se le conquiste
tecnologiche permettono infatti “tecnicamente” per la prima volta di
mischiare, suoni e parole, rumori e suoni musicali, immagini e suoni,
è proprio tutto ciò che l’avvento della tecnologia porta con sé a livello
sociale che produce il cambiamento a livello dell’arte.

4 Il 14 Aprile 2013 sono stati pubblicati per l’etichetta Cramps e la Fondazione


Mudima un’eccezionale raccolta di 8 CD e il libro Nuova Enciclopedia del
Futurismo musicale curati da Daniele Lombardi e dedicati alla Musica Futurista:
http://cramps.it/it/shop/musica-futurista.html http://www.mudimashop.com/shop/
product_info.php?products_id=103/

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148 Capitolo 5

Ibrido
Il termine ibrido proviene dall’etimo greco ϋβρις (eccesso, violenza)
e dal latino hybrῐ da (bastardo) e rappresenta un incrocio tra specie
diverse. In origine il termine possedeva quindi una valenza negativa in
quanto andava a definire processi “illeciti” di superamento dei natu-
rali confini biologici, e solo più tardi acquisterà il significato ulteriore
di mescolanza di elementi eterogenei. Un insieme “ibrido” comporta
infatti la decontestualizzazione di elementi dal contesto d’origine e
la loro ricontestualizzazione in forme, ambiti e sistemi di riferimento
diversi dall’originale. Il mashup musicale, uno dei generi caratteristici
dell’era digitale, che si basa su un processo di fusione di due o più
canzoni, sarà definito non a caso come bastard-pop/rock, perché ille-
gittimo, illegale, indifferente al diritto d’autore.

L’ibrido, ossia l’incontro tra due media, è un momento di verità e di rivela-


zione dal quale nasce una nuova forma. Ogni volta che si stabilisce un im-
mediato confronto tra due strumenti della comunicazione, anche noi siamo
costretti, per così dire, a un urto diretto con le nuove frontiere che vengono
a stabilirsi tra le forme; e ciò significa che siamo trascinati fuori dal sonno
ipnotico in cui ci aveva trascinati la narcosi narcisistica. Il momento dell’in-
contro tra i media è un momento di libertà e di scioglimento dallo stato di
trance e di torpore da essi imposto ai nostri sensi (McLuhan, 2008 p. 6).

Figura 5.1 Marshall McLuhan – Counterblast - 1969

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Il testo musicale 149

Così il pioniere, teorico e profeta delle grammatiche dei media


Marshall McLuhan chiudeva “Hybrid Energy: Les Liaisons Dange-
reuses”, uno dei capitoli più onirici, e per molti versi ambigui, del
suo altrettanto controverso Understanding Media: The Extensions of
Man. McLuhan era convinto che l’ibridazione dei mezzi di comuni-
cazione e la loro riconfigurazione a seguito di uno scontro rappresen-
tassero un momento particolarmente favorevole per comprenderne le
proprietà e le componenti strutturali. L’ibridazione, «l’interpenetra-
zione di un medium in un altro» (Ivi, p.66) essendo i media estensioni
dell’uomo, a suo parere riconfigurava non soltanto i rapporti tra i vari
strumenti della comunicazione, ma anche quelli tra i nostri sensi in
un continuo processo di remapping sensoriale (De Kerckhove, 1993)
e produceva, quindi, mutamenti a livello percettivo nel fruitore. Per il
sociologo canadese l’incontro tra i diversi media, le mescolanze, l’o-
smosi di linguaggi, le fusioni, le dissolvenze, gli ibridismi divenivano
luoghi generativi di creatività, di libertà, di energia e di nuovo senso,
superamento della linearità e degli obblighi da essa imposti. McLuhan
si pose quindi come obiettivo quello di sviluppare un modello “testua-
le” non “causale”, non gerarchico né sequenziale, abbandonando la
linearità e sequenzialità del narrativo alfabetico per recuperare uno
spazio acustico, tattile, sonoro; assumendo per la creazione delle sue
opere proprio i principi compositivi costitutivi e le logiche dei media
che stava indagando.
Se l’ibridazione tra i mezzi di comunicazione, le tecniche, gli stru-
menti, i popoli, le forme d’arte, le lingue, i saperi, le culture, non è cosa
nuova, né prerogativa esclusiva del nostro tempo, è anche vero che
oggi, sottoposti come siamo al costante cocktail mediale, sensoriale
e percettivo prodotto dalle tecnologie, e talmente assuefatti da queste
estensioni delle nostre facoltà fisiche, mentali, motorie, comunicative
ed empatiche, l’ibridazione non basta più a risvegliarci dall’anestesia
narcotica di cui parlava McLuhan.
Il “rumore” sembra ormai essere uno degli elementi caratteriz-
zanti l’Era Elettronica: informativo, cognitivo, visivo, emotivo, co-
municativo, decisionale, mediatico, tecnologico, testuale. Lo stesso
silenzio, in quanto mancata presa di posizione, qualunquismo, popu-
lismo, fuga dalle responsabilità è divenuto quasi assordante; mentre il
silenzio, come forma di concentrazione, d’ispirazione, di autoanalisi,
ma soprattutto di comunicazione, dialogo ed ascolto, viene rifiutato,
spaventa ed è costantemente scacciato. Viviamo nell’epoca dell’Inter-
ruzione, dove il silenzio è divenuto una presenza inquietante da esor-
cizzare tramite la ricerca costante di stimolazioni (televisioni, ipod,
social media, telefonini) e il suono, al contrario, si è trasformato in un

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150 Capitolo 5

audioanalgesico (Schafer, 1985 p. 140), un sottofondo sonoro costan-


te che accompagna, placa e tranquillizza.
In questo scenario individuare gli elementi che emergono dal
“rumore di fondo” risulta sempre più difficile. Impresa resa ancor
più ardua dal fatto che il “bombardamento testuale”, al quale siamo
continuamente sottoposti, è costituito da una moltitudine di oggetti
semiotici ibridi, sempre più difficili da classificare, dal momento che
si presentano come forme testuali estremamente fluide, dinamiche,
flessibili, riscrivibili, aperte alla contaminazione tra linguaggi, codici,
generi e forme espressive diverse.
La musica, in quanto forma testuale, non è sfuggita a questi pro-
cessi d’ibridazione anzi l’estrema facilità di appropriazione, manipo-
lazione, rielaborazione e mescolanza è forse l’aspetto che più di altri
contraddistingue il testo musicale digitale: la nascita di forme di te-
stualità collettiva, le problematiche legate ai diritti d’autore, la crisi
dei poteri forti discografici, la frammentazione del singolo originale
in una moltitudine di originali, il ruolo inedito assunto dai fruitori
nei processi creativi, e il potere decisionale ottenuto nell’indirizzare il
destino di un’opera d’arte musicale verso la popolarità e il successo o,
al contrario, l’anonimato e l’oblio, sono tutti processi che derivano in
primo luogo da questa capacità trasformativa e camaleontica del testo
musicale digitalizzato.

Remix
Cut word lines — Cut music lines — Smash the control images — Smash
the control machine — Burn the books — Kill the priests — Kill! Kill! Kill!

William Burroughs

Remix, mashup, remake, recut, playlist personalizzate, bricolage so-


nori e narrativi, manipolazioni, copia e incolla, mescolanze, combi-
nazioni, narrazioni e forme aperte, postproduzioni, copie, strutture
rizomatiche, contaminazioni, riutilizzi, citazioni, assemblaggi creati
grazie a strumenti di editing e montaggio: questi sono i nuovi modi di
appropriazione, creazione, fruizione e diffusione della musica digitale.

I migliori dj contemporanei utilizzano i dischi come mattoncini, unendoli


in una sorta di narrazione improvvisata per creare il loro set, una per-
formance personale. Enfatizzando inverosimilmente i collegamenti tra le
canzoni, affiancandole e sovrapponendole in modo impeccabile, quel che

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Il testo musicale 151

fa il moderno dj da discoteca non è tanto presentare dischi diversi quanto


piuttosto combinarli per creare qualcosa di nuovo. E grazie al potere
della musica questa sorta di patchwork, quando eseguito con perizia,
può risultare infinitamente superiore alla somma delle sue parti […] il dj
può essere considerato né più che meno un ottimo musicista (Brewster,
Broughton, 2007 pp. 19-20).

Figura 5.2 Fotogramma tratto da “Everything Is a Remix”

“In musica per remix si intende la pratica che va dal semplice am-
pliamento di parti strumentali ed enfatizzazione di alcune timbriche,
alla consuetudine di aggiungere parti ex novo realizzate dallo stesso
remixatore” (Spaziante, 2006 p. 81). Il remix è un processo complesso
che consiste nel separare le fibre sonore di una canzone e dare vita
ad un nuovo tessuto musicale. Per capire che cosa sia basta vedere la
serie di documentari realizzata dal regista newyorkese Kirby Fergu-
son Everything Is a Remix. I video, dedicati all’arte della citazione,
assemblano in modo abile materiali di provenienza e natura diversa,
dimostrando come questa pratica sia da sempre diffusa nel mondo
dell’arte (In Rete 5.5, Everything Is a Remix).5 I Dadaisti, all’inizio
del ventesimo secolo, saranno maestri nella tecnica del fotomontaggio
e del détournement, procedimenti che si presteranno perfettamente
a interpretare l’idea dadaista della decontestualizzazione e riconte-
stualizzazione incongrua, finalizzata a criticare il concetto borghese

5 Everything Is a Remix: http://www.everythingisaremix.info/watch-the-series/

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152 Capitolo 5

dell’arte. L’arte del rovesciamento sarà poi utilizzata dai Surrealisti e


successivamente dagli artisti del ready made. Negli anni Cinquanta i
Situazionisti riprenderanno la pratica del détournement alla luce del
concetto di “Società dello Spettacolo” teorizzata da Guy Debord, e le
idee proposte dal Situazionismo saranno poi sfruttate dal movimento
Punk negli anni Settanta e ispireranno la Culture Jamming negli anni
Ottanta.
Nato in Giamaica negli anni Sessanta dal movimento reggae, il
remix venne introdotto per la prima volta in una sala da ballo vicino
New York dal produttore discografico americano Tom Moulton. Le
innovazioni giamaicane e di Moulton vennero poi riprese e potenzia-
te da Kool Herc il dj considerato l’inventore dell’hip-hop. Il remix
è quindi un procedimento in origine legato soltanto al mondo della
musica, che diviene pratica diffusa dopo l’introduzione dei registrato-
ri multitraccia, i quali permettono di separare i vari elementi di una
canzone, per poi ricomporli.
Le opere di remix sono precedute dai re-edit, cut-up e collages
con nastri magnetici, ovvero nuove versioni ottenute tagliando e in-
collando frammenti del brano originale secondo un ordine diverso,
utilizzando un registratore, una lametta e del nastro adesivo. Le prime
sperimentazioni saranno quelle di compositori come Pierre Schaeffer,
Alvin Lucier, Pierre Henry ed Edgar Varèse. Questa fase d’avanguar-
dia iniziata negli anni Cinquanta proseguirà poi con le opere di cut-up
di William Burroughs e Brion Gysin (In Rete 5.6, Cut-Ups).6 Scrittore
e genio folle il primo, pittore visionario il secondo, i due amici dopo
essersi interessati inizialmente alla dimensione verbale, si concentre-
ranno poi su quella sonora, realizzando la medesima operazione di
taglio e montaggio con registratori a nastro. Burroughs conierà il ter-
mine “heavy metal” nel romanzo The Soft Machine: libro-remix in-
teramente composto utilizzando la tecnica del copia-incolla. Pionieri
dell’heavy metal saranno i Led Zeppelin i quali verranno fortemente
influenzati nella loro produzione musicale dalla tecnica del cut-up.
Pensiamo alle sezioni di apertura e chiusura di “Bring it on Home”
prelevate dall’omonimo brano di Willie Dixon, a “Black Mountain
Side” che copia la melodia di “Blackwaterside” di Bert Jansch, “Dazed
and Confused” chiara cover dell’omonima canzone di Jake Holmes, e
infine il grande classico “Stairway to Heaven” che ruba l’introduzione
da “Taurus” degli Spirit.

6 Cut-Ups: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0B6NGPO
UslI#t=43

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Il testo musicale 153

Negli stessi anni Steve Reich comporrà brani con voci registrate
su nastro mandate poi in asincrono e giocherà con i frammenti sonori
registrati producendo effetti di sfasamento.
John Cage porterà all’estremo la provocazione lanciata dai da-
daisti con la famosa composizione “4'33” durante la quale, ad ogni
nuova performance, si rinnova il collage sonoro composto dai “quat-
tro minuti e trentatré secondi di silenzio” con i suoni presenti nell’am-
biente prodotti e uditi dagli ascoltatori (In Rete 5.7, Il silenzio non
esiste).7 L’interesse di Cage per l’elettroacustica e la musica concreta
risale al 1939 anno di “Imaginary Landscape No. 1” il primo dei suoi
cinque “paesaggi immaginari”, live performance dove il compositore
americano farà l’inedito utilizzo di un piatto e due fonografi a velocità
variabile. Nel manifesto del 1937 The Future of Music: Credo l’artista
intuirà perfettamente come l’utilizzo dei rumori, e il collage garantito
dalle tecnologie con i suoni considerati invece come musicali, avrebbe
caratterizzato il futuro della musica negli anni a venire e nel 1952,
partendo da questo presupposto, creerà la sua prima composizione
per nastro magnetico “William’s Mix”.
Nel 1956 Dickie Goodman e Bill Buchanan produrranno, grazie
alla tecnica da loro stessi inventata e denominata “break-in”, il disco
The Flying Saucer Parts 1 & 2, nel quale amalgameranno canzoni
popolari, commenti parlati e “news” reinterpretando il famoso pro-
gramma radiofonico War of the Worlds di Orson Welles (In Rete 5.8,
The Flying Saucer).8
Nel 1963 Nam June Paik ispirandosi ai collages sonori di Cage
realizzerà l’installazione Random Access Music. Incollando al muro
una serie di nastri magnetici registrati e assemblandoli in un composi-
zione visiva, inviterà poi lo spettatore a suonare la propria personale
composizione servendosi di una testina da registratore messa a di-
sposizione dall’artista (In Rete 5.9, Random Access Music).9 L’artista
coreano si rifarà al motto mcluhaniano «il medium è il messaggio»
per le proprie sperimentazioni con tubi catodici durante gli anni Set-
tanta, e dedicherà al pensatore canadese diversi lavori, da McLuhan

7 Come raccontato da Kyle Gann nel suo No Such Thing as Silence: John Cage’s
4'33" edito in Italia nel 2012 con il titolo Il silenzio non esiste nonostante Cage
affermi che “quello che è stato il dada negli anni Venti, oggi con l’eccezione delle
opere di Marcel Duchamp, è soltanto arte” la possibilità che 4'33" fosse – anche se
non solo – un gesto ispirato al dadaismo non si può totalmente escludere, in base
alle stesse ammissioni di Cage” (Gann, 2012 p. 22).
8 The Flying Saucer Part 1 and 2 - Buchanan and Goodman (Luniverse): http://
www.youtube.com/watch?v=XCrn6QXvHLg
9 Nam June Paik, Random Access Music, 1963, http://www.medienkunstnetz.de/
works/random-access/images/3/

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154 Capitolo 5

Caged a The Medium is the Medium fino al celebre Global Groove


in cui creerà un mix di brani tratti da programmi televisivi, contributi
di altri artisti come John Cage, Allen Ginsberg, Charlotte Moorman e
Karlheinz Stockhausen, filmati di videoartisti come Jud Yalkut e Ro-
bert Breer (In Rete 5.10 Video is the message).10

Figura 5.3 Nam June Paik, «Random Access Music» Exposition of Music –
Electronic Television, 1963

Tra il 1966 e il 1967 Stockhausen scriverà l’opera Hymnen in cui me-


scolerà elettronicamente gli inni nazionali di diversi paesi (In Rete 5.11,
Hymnen).11 La composizione ispirerà i Beatles e darà vita a “Revolu-
tion N° 9” vero e proprio esperimento di musica concreta contenuto
nel White Album del 1968. Dipinto sonoro dove verrà inserita a ripe-

10 Nam June Paik, McLuhan Caged, 1968, http://www.medienkunstnetz.de/works/


mcluhan-caged/images/2/?desc=full/WGBH, The Medium Is the Medium, 1969,
http://www.medienkunstnetz.de/works/wgbh/Versione video: http://www.youtube.
com/watch?v=VIBEaszndLA/Nam June Paik, Global Groove, 1973, http://www.
medienkunstnetz.de/works/global-grove/Versione Video: http://www.youtube.com/
watch?v=InLcRXfd3NI
11 Stockhausen Hymnen I und II, Konzertaufnahme (audio): http://www.youtube.
com/watch?v=5W7Ty6LCXFo

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Il testo musicale 155

tizione la frase “numer nine, number nine” pronunciata dall’ingegnere


del suono EMI per testare le attrezzature, assemblata poi assieme a
tape loops di suoni casuali, effetti sonori, rumori prodotti dalla folla, e
dialoghi provenienti da ciò che la BBC stava trasmettendo durante la
registrazione (In Rete 5.12, Revolution N° 9).12 Per non parlare delle
sperimentazioni di Frank Zappa e di molti dei brani composti dai
Pink Floyd. Dal rumoroso collage di oscillatori, orologi, gong e cam-
pane di “Bike”, al cinguettìo di uccelli di “Grantchester Meadows”,
dal ticchettìo di orologi di “Time” alle famose monetine di “Money”,
dai rumori prodotti nell’immaginaria colazione di “Alan’s Psychedelic
Breakfast”, il rubinetto che gocciola, lo sfregamento di un fiammi-
fero, lo sfrigolio di una padella, ai rumori animaleschi di Animals,
fino a The Wall dove gli effetti sonori accompagnano e conducono lo
svolgimento narrativo dell’intero album: l’elicottero, la segreteria te-
lefonica, il televisore acceso in sottofondo, il crollo del muro, il grido
all’inizio del disco.
A partire dal 1976 l’artista Bill Fontana influenzato dal lavoro di
Cage e Duchamp inizierà la sperimentazione con quelle che definirà
come “sculture sonore”. Chiedendosi how can I make art out of am-
bient sounds? l’artista americano installerà un mix ibrido di tecnolo-
gie come microfoni, sensori acustici subacquei (idrofoni) e sensori di
vibrazione (accelerometri) in spazi urbani di città come New York,
Parigi, Londra, Berlino, Venezia, Sydney e Tokyo (In Rete 5.13, Bill
Fontana).13 L’obiettivo delle installazioni sonore, spiegherà Fontana, è
quello di catturare la vita nascosta musicale di questi paesaggi sonori
e, in particolare, l’interazione che si viene a creare tra determinati
corpi sonori (ponti, dighe, orologi, ferrovie, campane) e la loro living
situation. Una volta imprigionati e catturati i mondi sonori interiori

12 Revolution Number 9-The Beatles: http://www.youtube.com/watch?v=LVf5Cr4M-F8


13 Nel progetto Harmonic Bridge del 2006 il suono diventa medium scultoreo tra-
sformando le percezioni di tempo e spazio dell’ascoltatore, collocandolo all’inter-
no di un mondo acustico a lui “invisibile”, perché non udibile. L’artista serven-
dosi di una rete di accelerometri disposti su vari punti dei cavi d’acciaio e della
struttura del Millenium Bridge di Londra ha cercato di catturare in tempo reale
il mondo sonoro interiore alla struttura creato dal movimento dei corpi sulla su-
perficie, e da altre forze ambientali quali il vento. La mappa acustica dei suoni è
stata poi tradotta e trasmessa come una scultura sonora attraverso una struttura a
matrice di altoparlanti collocati all’interno della Turbine Hall della Tate Modern,
e nell’atrio principale della stazione della metropolitana londinese di Southwark
rendendoli ascoltabili dai visitatori. I toni bassi prodotti dal ponte in risposta al
vento e al carico dei passanti sui cavi strutturali in risonanza con l’acustica a
100 hertz della Turbine Hall, creano un’esperienza coinvolgente e sensuale per
i visitatori. Bill Fontana, Harmonic Bridge (2006), http://resoundings.org/Pages/
Harmonic_Bridge1.htm

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156 Capitolo 5

a queste strutture vengono decontestualizzati dal contesto al quale


appartengono, per poi essere ricollocati in un nuovo ambiente dove
acquistano nuovo significato (In Rete 5.14, Harmonic Bridge).14
Un progetto simile è stato realizzato recentemente dall’artista
londinese Di Mainstone il quale ha trasformato il ponte di Brooklyn
in un’arpa che registra e remixa le vibrazioni dei cavi, il rumore dei
passi e il brusio delle conversazioni dei passanti. L’obiettivo dell’in-
stallazione è quello di convertire una serie di ponti sospesi del mondo
in strumenti musicali utilizzando un’interfaccia modulare digitale che
registra le vibrazioni dei cavi di sospensione e permette di remixare i
suoni prodotti dai pedoni con quelli generati dalle strutture (In Rete
5.15, Human harp).15
Nelle istallazioni realizzate dal collettivo di artisti United Visual
Artists sono i corpi dei visitatori a interagire direttamente con l’ope-
ra d’arte. Nel 2006 è stata allestita nel giardino del museo Victoria
& Albert di Londra l’installazione Volume (In Rete 5.16, Volume),16
risultato della collaborazione con il gruppo musicale britannico Mas-
sive Attack. L’opera consiste in 48 colonne luminose che emettono
suoni in risposta ai movimenti dei visitatori che girovagando tra LED
e musica creano il proprio percorso sonoro personalizzato.
Per l’apertura del 2011 della Gaîté lyrique di Parigi l’organizza-
zione ha realizzato l’opera Rien a Cacher / Rien a craindre (In Rete
5.17, Rien a Cacher / Rien a craindre)17 un’installazione che reagisce
in tempo reale ai movimenti dei visitatori. L’opera è un riflessione
sulla società contemporanea caratterizzata dalla produzione e condi-
visione della conoscenza mediante lo sviluppo delle nuove tecnologie.
La metafora usata è quella dell’architettura del Panopticon, il carcere
modello concepito alla fine del XIX secolo dal filosofo Jeremy Ben-
tham per osservare i prigionieri a loro insaputa: il visitatore viene
immerso nella sensazione di invisibile controllo analizzata dal filosofo
Michel Foucault in Sorvegliare e Punire (1975) e ripresa più tardi da
David Lyon per descrivere la Società Sorvegliata dall’occhio elettroni-
co delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione.

14 Bill Fontana, The Relocation of Ambient Sound: Urban Sound Sculpture, http://
www.resoundings.org/Pages/Urban%20Sound%20Sculpture.html, 2008
15 Di Mainstone, Humanharp: http://www.humanharp.org/; http://vimeo.com/
71960933
16 United Visual Artists, Volume, http://www.uva.co.uk/work/volume
17 United Visual Artists, Rien a Cacher / Rien a craindre, http://www.uva.co.uk/
work/rien-a-cacher-rien-a-craindre-3

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Il testo musicale 157

Figura 5.4 United Visual Artists - Rien a Cacher / Rien a craindre - 2011

Nel 1985 il compositore John Oswald, influenzato dal lavoro di Bur-


roughs, conierà il termine plunderphonics (In Rete 5.18, Plunderpho-
nics Manifesto)18 per descrivere la propria tecnica compositiva: una
sorta di collage sonoro costituito da prestiti di opere musicali preesi-
stenti. Il termine diverrà poi il titolo di un EP, di un CD e infine di una
versione album composta da 25 tracce dove l’artista “ruberà” suoni
da cantanti famosi come i Beatles, la sinfonia No. 7 di Beethoven e
Michael Jackson la cui canzone “Bad” sarà tagliuzzata e riassemblata
come “Dab”.
Più recentemente sarà invece il cantante dei Radiohead Thom
Yorke a utilizzare un metodo simile a quello dadaista per l’album Kid
A: spezzettando i testi delle canzoni e mettendo in un cappello i sin-
goli versi per poi estrarli a caso mentre la band suonava e registrava
i brani.
Oggigiorno sono molti i programmi che permettono di remixare
musica e anche i dj affermati, sempre più spesso, abbandonano i clas-
sici vinili per utilizzare strumenti di campionamento, editing digitale
e digital audio workstation (DAW) sistemi elettronici progettati per la
registrazione, l’editing e la riproduzione dell’audio digitale, in grado

18 John Oswald, Plunderphonics, or Audio Piracy as a Compositional Prerogative,


http://www.plunderphonics.com/xhtml/xplunder.html

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158 Capitolo 5

di manipolare liberamente i suoni, allo stesso modo di un word pro-


cessor con le parole (In Rete 5.19 Audio Editing Software).19

Copia, citazione o remix?

La vita stessa è una citazione


Jorge Luis Borges

La copia è alla base dei meccanismi di funzionamento di Internet, e


della comunicazione digitale. Ogni volta che consultiamo un sito sulla
Rete, che scarichiamo una canzone, un testo, una fotografia, in realtà
ne stiamo facendo una copia sul nostro hard-disk. Ogni volta che vi-
sualizziamo un’immagine sul nostro schermo questa viene copiata tra
i file temporanei del sistema; facciamo copie anche quando spostiamo
un file da una cartella all’altra, dal computer al nostro iPod, dalla
macchina fotografica al nostro computer, dal computer ad altre me-
morie esterne e via dicendo. Senza accorgercene, scriviamo e copiamo
codici ininterrottamente: il processo di copia è intrinseco e insepara-
bile dal processo e dal linguaggio di Internet e dei nostri computer.
Con la digitalizzazione, il concetto stesso di “originale” muore,
non vi è più alcuna differenza tra copia e copia e tra originale e copia,
si hanno tanti originali tutti identici così come tante copie di originali
tutte identiche. Non ha più senso parlare di un originale quanto piut-
tosto di un’origine, una matrice numerica che non è l’originale ma
una forma non ancora compiuta, una sorta di a priori indeterminato.
Tutto è quindi potenzialmente duplicabile, e tutto potrebbe di fatto
essere già stato duplicato. Viene quindi da chiedersi se, in un mondo
digitalizzato pervaso da copie di copie, di copie di copie, abbia ancora
senso e sia ancora possibile “rintracciare” l’Originalità, la fonte, il
“pezzo unico.” Una cosa è certa in uno scenario del genere diviene
quanto mai urgente definire le differenze che intercorrono tra processi
di Copia, Citazione e Remix.

19 Pro Tools - http://www.avid.com/US/products/family/pro-tools; Audacity - http://


audacity.sourceforge.net/?lang=it; Adobe Audition - http://www.adobe.com/it/
products/audition.html; Logic Pro - http://www.apple.com/it/logic-pro/; Cubase
- http://www.steinberg.net/en/products/cubase/start.html; Ableton Live - https://
www.ableton.com/; Traktor - http://www.native-instruments.com/en/traktor/; Vir-
tual DJ - http://it.virtualdj.com/

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Il testo musicale 159

Come abbiamo visto in ambito musicale l’arte della citazione di-


verrà accostamento, scontro, collage tra elementi sonori diversi. Sa-
ranno quindi le conquiste tecnologiche a permetterne la diffusione,
ma quest’arte non compare per la prima volta in campo musicale, così
come il bricolage (Lévi-Staruss, 1964; Barthes, 1977; Genette, 1976)
di elementi prelevati e ricollocati in contesti diversi dall’originale non
nasce con la figura moderna del dj. Pensiamo al sampling letterario
di Virgilio che nell’Eneide riutilizza versi dagli Annales di Ennio, o
al remix poetico di T.S. Eliot in The Waste Land, dove praticamente
ogni verso è costituito da citazioni di opere precedenti (In Rete 5.20,
Intervista a Wu Ming).20
Se per Roland Barthes un testo è da intendersi come un “tessuto di
citazioni in cui lo scrittore può soltanto imitare un gesto che è sempre
anteriore, mai originale (Barthes, 1977 p. 146) Walter Benjamin so-
gnava un testo composto per intero da citazioni (Arendt, 1993) in cui
lo scrittore, così come il regista, alle prese con un’opera di montaggio
cinematografico, potesse comporre il proprio personale collage. Mol-
te delle sue opere furono l’esplicito tentativo di «assumere il principio
del montaggio» (Benjamin, 1986 pp. 596-597) in un immenso lavoro
di raccolta, catalogazione, bricolage di frammenti eterogenei, preleva-
ti e montati in forme testuali che ancora oggi non hanno niente da in-
vidiare agli esperimenti ipertestuali di autori come Borges, Joyce, Bush
e Landow. L’utilizzo del montaggio consentiva allo scrittore tedesco
di riscrivere le storie già scritte, di mettere in discussione le narrazioni
già narrate e creare con gli stessi elementi una storia diversa, generan-
do, tramite il singolo frammento, l’attimo, il momento, nuovo senso
e significato. La scelta e l’utilizzo del montaggio sono per Benjamin,
prima di tutto, una riflessione sullo stesso procedimento compositi-
vo, sono luogo di auto-riflessività del linguaggio utilizzato. Lo stesso
principio come vedremo è alla base delle opere remixate, anch’esse,
infatti, si prefiggono come obiettivo primario quello di spingere l’a-
scoltatore, lo spettatore, il lettore, a riflettere sul procedimento stesso
di creazione dell’opera d’arte, in poche parole sul processo stesso di
remix. Che il medium fosse il messaggio e che i congegni artistici uti-
lizzati producessero alterazioni a livello percettivo nei fruitori, Benja-
min lo aveva compreso perfettamente, così lo sguardo con il quale il
suo flâneur vede la Parigi del tempo, è quello fotografico dell’inqua-
dratura; egli esplora la città e ne fissa frammenti, attimi, scatti. La
tecnologia fotografica si sostituisce all’occhio e diviene protesi me-

20 Tiziano Bonini, L’arte della citazione e del remix, intervista a Wu Ming del 27/09/2008,
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap5_IXa.htm#sampling

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160 Capitolo 5

diale, sguardo meccanico, extension direbbe McLuhan (In Rete 5.21,


Conversazioni tra Benjamin e McLuhan).21 Se il flâneur sta alle soglie
della Società, distante dalla folla ma da essa allo stesso tempo irri-
mediabilmente attratto, così il “lettore” moderno vive alle soglie del
testo (Genette, 1989) travalica continuamente i suoi confini, sconfina
in nuovi territori testuali.
Se la citazione e il remix letterario non compaiono con la digita-
lizzazione, così anche la citazione e il prestito musicale sono procedi-
menti antichi quanto la musica stessa, tant’è che già i canti medievali
incorporavano e riadattavano pattern melodici da quelli precedenti.
La pratica del riutilizzo di materiali preesistenti per la realizzazione
di opere musicali si ritrova già nelle ballate popolari e in tutta l’epica
di tradizione, pensiamo ai cosiddetti centoni e dalle raccolte che si
diffusero nel periodo barocco.
La citazione musicale è inoltre da sempre patrimonio dei musicisti
jazz i quali creano ascoltando il lavoro di altri, componendo mentre
si esibiscono in forme d’improvvisazione collettiva. La famosa distin-
zione tra media «caldi» e «freddi» di McLuhan deriva proprio da
quella degli anni Cinquanta tra hot e cool jazz (In Rete 5.22, Hot and
cool media).22 Il primo si basa su una struttura melodica che rimane
sostanzialmente invariata e stabile, dove i ruoli dei vari strumentisti
all’interno dell’orchestra o del complesso sono definiti una volta per
tutte; mentre il secondo è pura improvvisazione e in questa trova la
propria unicità, la musica non nasce da una partitura ma dallo scam-
bio e il feedback continuo tra musicista e musicista e tra musicisti e
pubblico.
La parola «jazz» deriva dal francese jaser che significa chiacchie-
rare, ed è proprio una forma di dialogo tra i vari suonatori; ognuno
può prendere in ogni momento parte alla performance, riprendendo,
potenziando e trasformando la struttura narrativa musicale tessuta
dagli altri. Tali esibizioni, spesso estemporanee e organizzate per stra-
da senza nulla di preorganizzato, si chiamano jam session, una “mar-
mellata” dove i suoni e i ruoli si mischiano continuamente, dando
vita ogni volta a qualcosa di originale. Se il jazz hot è paragonato
da McLuhan a quei media, come la radio, che non permettono par-
tecipazione e che saturano la nostra mente inviando messaggi com-
pleti, il jazz cool lo è ai media freddi, come la parola, che ci inviano

21 Andrea Nardi, Ibridazioni mediali. Conversazioni tra Walter Benjamin e Marshall


McLuhan, SenzaCornice, n. 5 dicembre 2012/febbraio 2013, disponibile all’indiriz-
zo http://www.senzacornice.org/articoli/pdf/_1354484676.pdf
22 Marshall McLuhan Speaks, Hot and cool media (1965), http://marshallmcluhanspeaks.
com/sayings/1965-hot-and-cool-media.php

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Il testo musicale 161

messaggi incompleti da integrare. Il jazz freddo è allora quello che


più si presta a rappresentare simbolicamente i procedimenti di remix,
essendo un’opera aperta, sempre in divenire, dove i ruoli di “creato-
re” e “spettatore”, di “autore” e “lettore” non sono mai stabiliti una
volta per tutte, e dalla loro collaborazione nasce ogni volta qualcosa
di inaspettato, inedito, “originale”. Anche se gli intenditori di jazz ri-
tengono che, per il suo carattere legato all’improvvisazione, una volta
registrato esso divenga «stantio come il giornale di ieri» (McLuhan,
2008 p. 253) e preferiscono considerarlo come appartenente ad una
fase della musica ancora non sconvolta dalle tecniche di registrazio-
ne, esso rappresenta perfettamente l’attività musicale nell’era elettrica
dove, grazie proprio alle tecniche di registrazione e di riproduzione,
è possibile creare nel momento stesso della performance: il dj moder-
no fa esattamente questo. L’equivalente contemporaneo del jazz è la
musica generata tramite computer con tecniche di campionamento: i
musicisti creano la propria musica impossessandosi del materiale mu-
sicale prodotto da altri, modificandolo, ri-editandolo a partire dalla
sua struttura, fino a ri-creare un nuovo evento sonoro.
Con il tempo dj e compositori hanno iniziato a remixare musica
per comporre brani originali, utilizzando e mescolando frammenti di
altri autori, ed è qui che sono sorti i primi problemi. Se infatti per il
remix letterario basta mettere le virgolette e il gioco è fatto, lo stesso
non è possibile per la citazione di video, musiche, immagini. In questi
casi il remix viene ancora visto come una violazione del copyright e
considerato come scopiazzatura, vero e proprio plagio e appropria-
zione di materiale esistente (In Rete 5.23, Appropriation Art).23 Come
mostrato da Bill Brewster e Frank Broughton nel loro Last night a
dj saved my life, questo atteggiamento di diffidenza verso la pratica
del remix proviene direttamente dalla nascita della figura così affasci-
nante, ma allo stesso contraddittoria del dj, termine che inizialmente
possedeva appunto una valenza denigratoria «una persona con par-
ticolare abilità nella truffa, un imbroglione» (Brewster, Broughton,
2007 p. 42).
L’errore spesso commesso è quello di confondere il “citare” con il
“copiare”, quando in realtà tra i due processi vi è una notevole diffe-
renza: una copia infatti sostituisce l’originale e ne eredita la struttura

23 Il termine Appropriation Art è stato utilizzato per la prima volta per riferirsi alla
corrente artistica nata nei primi anni Ottanta e formata da un gruppo di artisti
newyorkesi tra cui Sherrie Levine, Richard Prince, Barbara Kruger, Jenny Holzer,
i quali inaugurarono la pratica di impossessarsi di vecchie immagini fotografiche
per poi rielaborarle in chiave critica, politica ed ironica. Appropriation Art Coali-
tion: http://www.appropriationart.ca/

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162 Capitolo 5

e la sua relazione con il mondo, è una riproduzione fedele ottenuta da


una matrice (tipografia) o negativo (fotografia), mentre la citazione è
un procedimento del tutto diverso. Se due persone ricevono copie di
una stessa lettera, ricevono in realtà lo stesso messaggio e si trovano
nella medesima relazione con le informazioni che essa trasmette. Ma
se una di loro, in una propria lettera, cita un passo della lettera rice-
vuta, quel che scrive non ne costituisce certo una copia dal momento
che la citazione in un nuovo contesto assume anche nuovo significato.
Una citazione non è mai una copia, essa infatti può essere ingegnosa,
arguta, adatta o inadatta ma queste proprietà riguardano la citazione
stessa non ciò che la citazione cita.

È una verità di ordine generale che le citazioni non posseggano realmente


le proprietà possedute da ciò che citano: mostrano qualcosa che ha quelle
proprietà, ma non le possiedono. Una citazione non può essere scintillante,
profonda ingegnosa o astuta; o, se lo è, queste qualità riguardano le
circostanza della citazione e non dei passi citati. (Danto, 2008 p. 46)

Se è vero, come ha affermato Walter Ong, che “l’originalità non consi-


ste nell’introdurre nuovi materiali, ma nell’adattare quelli tradiziona-
li in maniera efficace ad ogni individuo, situazione o pubblico” (Ong,
1986 p. 92) il remix deve essere considerato qualcosa di più di una
semplice “rapina” testuale. Inoltre il processo di appropriazione può
consistere nel semplice trasferimento di un segno da un contesto se-
mantico all’altro, senza alcuna modifica, se non di natura puramente
concettuale, mentre il remix prevede una rielaborazione sistematica
della “fonte originale”, i testi-fonte vengono a tal punto manipolati e
modificati da divenire del tutto irriconoscibili. Pensiamo a Endtrodu-
cing..... di Dj Shadow (1996) considerato come «il manifesto dell’arte
dell’assemblaggio sonoro casalingo» (Dusi, Spaziante, 2006 p. 78) pri-
mo album interamente prodotto a partire da samples ricombinati e resi
irriconoscibili dalle manipolazioni digitali dell’allora giovane dj.
Se la citazione consiste nel prelevare frammenti di vecchi testi per
inserirli in nuovi (con)testi, possiamo considerare il campionamento
come una citazione, ma con l’omissione voluta della fonte originale,
mentre il remix è un procedimento più complesso che porta ad una
trasformazione “tangibile” del testo. Un procedimento che considera
gli oggetti culturali come qualcosa di più della semplice somma degli
elementi che li compongono, dove si scompone per poi ricomporre e
dare nuovi significati. Non a caso Guy Debord nel 1956 affermava
profeticamente a proposito della pratica del détournement che:

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Il testo musicale 163

Figura 5.5 Marcel Duchamp, Fountain, 1917; Marcel e Sherrie Levine


Fountains, after Duchamp, 1991

ogni elemento, non importa la provenienza, può servire a creare nuove


combinazioni. […] Tutto può servire. Non c’è bisogno di dire che si può
non soltanto correggere un’opera o integrare frammenti diversi di vecchie
opere in una nuova; si può anche alterare il senso di questi frammenti
e modificare a piacimento ciò che gli imbecilli si ostinano a definire
citazioni. (Debord, in Bourriaud, 2004 p. 33)

Così come il blogger citando e postando le notizie si trasforma in vero


e proprio dj letterario, così gli attuali strumenti di citazione e racco-
mandazione musicale, come Pandora (In Rete 5.24, Pandora)24 che
crea automaticamente programmi e playlist personalizzate basate sui
gusti degli utenti, come Last.fm (In Rete 5.25, Last.fm)25 e iTunes (In
Rete 5.26, iTunes)26 che utilizzano filtri collaborativi per raccomanda-
re musica, o Spotify (In Rete 5.27, Spotify)27 che permette di ascoltare
milioni di brani in streaming e condividere le proprie playlist con gli
amici di Facebook, possono essere considerati veri e propri atomi mu-
sicali “pescati” dal magma informazionale della Rete e ricollocati in
nuovi spazi semantici.
Chissà come Walter Benjamin giudicherebbe l’evoluzione del suo
progetto di montaggio letterario alla luce di strumenti come Storify
(In Rete 5.28, Storify)28 Google e Wikipedia, i quali permettono di
spezzettare i contenuti e le storie sparse sulla Rete come fossero tanti
mattoncini LEGO, rimontandoli poi grazie a un vero e proprio gioco

24 Pandora http://www.pandora.com
25 Last.fm http://www.lastfm.it/
26 iTunes http://www.apple.com/it/itunes
27 Spotify, https://play.spotify.com/
28 Storify, https://storify.com/

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164 Capitolo 5

di costruzioni, e se dovesse descrivere l’opera d’arte all’epoca della sua


smaterializzazione digitale collaborerebbe forse al collettivo di scrit-
tori italiani esperti nel campionamento letterario Wu Ming (In Rete
5.29, Wu Ming Foundation)?29

Mashup
La musica è scappata di casa senza il vestito della festa e gira per le strade,
curiosa come un monello, correndo scompostamente.

John Cage

Il concetto di remix è andato con il tempo a contaminare il linguaggio


di quasi tutti i settori: dalla cultura allo sport, dalla moda al turismo,
dall’arte al design, dal cinema alla pubblicità e si è parlato a proposito
di Remix Culture (In Rete 5.30, Remix Culture).30 È divenuto quello
che gli studiosi dei media chiamano un frame, una cornice di riferi-
mento, un quadro interpretativo della realtà tanto forte, funzionante e
funzionale da divenire un modo di vedere il mondo condiviso da gran
parte delle persone. Un termine “ombrello” che molte volte identifica
però anche ciò che un remix non è. Molto spesso si tende ad assimi-
larlo al processo di mashup che invece corrisponde, in gergo musicale,
al processo in cui si prendono due o più canzoni e le si mixa fino a
fonderle insieme. In genere si sovrappone la traccia vocale (a cappella)
di una canzone, cucendola con la traccia sonora dell’altra.
Secondo lo studioso Eduardo Navas ci sarebbero due tipi di
mashups il primo definito come «regressive», che è quello tipicamente
utilizzato in ambito musicale e che indica il processo di giustapposi-
zione di più canzoni, il secondo «reflexive» caratteristico delle appli-
cazioni Web 2.0 (In Rete 5.31, RemixTheory).31 Mentre il mashup
“regressivo” può essere considerato come un’estensione del remix in
senso tradizionale, il “riflessivo” viene descritto come un «Regenerati-
ve Remix» una ricombinazione di contenuti e forme che trasforma il
remix in uno specifico discorso permesso in modo esclusivo dall’uti-
lizzo dei nuovi media (Navas, 2009 pp.3-4).

29 Wu Ming Foundation: http://www.wumingfoundation.com/index.htm


30 Lessig L., Remix: Making Art and Commerce Thrive in the Hybrid Economy,
Bloomsbury 2008, Creative Commons License, http://www.bloomsburyacademic.
com/pdf%20files/Remix.pdf
31 Sul sito RemixTheory è possibile trovare una vasta raccolta di informazioni, scritti
e spunti per un’analisi dettagliata del remix - http://remixtheory.net

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Il testo musicale 165

Un esempio spesso utilizzato per spiegare queste poltiglie o pot-


pourri musicali è il mix realizzato da Danger Mouse tra la parte vo-
cale del Black Album di Jay-Z, e il White Album dei Beatles per dar
vita al suo Grey Album (In Rete 5.32, The Grey Video).32 La pratica
del mashup musicale diviene di moda a partire dal 2002 anno di pub-
blicazione dell’album As Heard On Radio Soulwax Pt. 2 del gruppo
belga Soulwax. Il disco è infatti una mescolanza eterogenea di stili,
generi, ritmi, frammenti, campioni, prelevati da 45 tracce di cantanti
affermati come Michael Jackson, Velvet Underground, New Order,
Basement Jaxx, e ricombinati in un vero e proprio collage musicale (In
Rete 5.33, As Heard On Radio Soulwax Pt. 2).33
Uno dei primi mashup compare in ambito cinematografico e risa-
le al 1964 quando Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi acquistano,
scompongono e rimontano 150.000 metri di pellicola cinematogra-
fica hollywoodiana di scarto. Nasce Verifica incerta uno dei primi
mashup della storia del cinema che, presentato per la prima volta
a Parigi, suscita l’entusiasmo di Man Ray, Max Ernst e Marcel Du-
champ (principale ispiratore dell’opera l’artista francese vi compare
in alcune sequenze di fotogrammi) mentre JohnCage, esaltato della
colonna sonora, lo porta al New York Museum of Modern Art (In
Rete 5.34, Verifica incerta).34 Questo metodo di montaggio sarà eredi-
tato molti anni dopo da Blob programma visionario di Enrico Ghezzi,
costituito da collage di frammenti televisivi rimontati in chiave ironi-
ca, satirica e provocatoria.
Ormai celebri sono i lavori di Roy Kerr, aka the Freelance
Hellraiser, divenuto popolare grazie al mashup del 2001 “A Stroke
of Genius” che combina il brano degli Strokes “Hard To Explain”
con “Genie in a Bottle” di Christina Aguilera (In Rete 5.35, A Stroke

32 Il Grey Video è un video musicale realizzato nell’autunno del 2004 per promuovere
il singolo “Encore”. Interamente in bianco e nero, remixa clip dal film dei Beatles A
Hard Day’s Night, e riprese da una performance di Jay-Z. Il video non è disponibile
in commercio, ma è diventato popolare su Internet http://vimeo.com/20931248. Si
noti come molti dei brani di Jay-Z siano già opere di remix. Ad esempio per l’intro
del brano What More Can I Say? ha scelto di utilizzare un sample prelevato da
“Il Gladiatore” di Ridley Scott, mentre per il corpo della canzone ha campionato
il brano “Something for Nothing” degli MFSB dall’omonimo disco del 1972.
Campionamento precedentemente utilizzato già da Tracey Lee per la canzone
“Keep Your Hands High” e dai Groove Armada per “Suntoucher”.
33 È possibile ascoltare l’interno album ai seguenti indirizzi: https://www.youtube.
com/watch?v=jAFQJJgY8Ng / https://soundcloud.com/treisiunsfert/2-many-djs-as-
heard-on-radio
34 Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi, Verifica Incerta, http://www.youtube.com/
watch?v=hmhvr3RbGnA

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166 Capitolo 5

of Genius),35 e quelli prodotti dal musicista americano Girl Talk per


l’etichetta Illegal Art. Considerato come l’artista mashup per eccellen-
za, Girl Talk ha pubblicato 5 album e campionato migliaia di canzoni
(soltanto per l’ultimo album del 2010 All Day ne sono state riutiliz-
zate 372). Il dj è protagonista del documentario realizzato nel 2009
dal regista Brett Gaylor, RiP!: A Remix Manifesto al quale hanno par-
tecipato anche Lawrence Lessig, fondatore di Creative Commons e
Cory Doctorow, noto romanziere, blogger e coeditore di Boing Boing,
entrambi attivisti in favore delle leggi che liberalizzano il copyright (In
Rete 5.36, RiP!: A Remix Manifesto).36
L’agenzia Digital Kitchen propone video dove le immagini e i suo-
ni vengono amalgamati per dar vita a esperienze e narrazioni multi-
sensoriali (In Rete 5.37, Digital Kitchen).37 Il creativo Chris Abbas ha
realizzato un mashup musicale tra le sonorità del brano “2 Ghosts I”
dei Nine Inch Nails e le immagini dalla missione Cassini della NASA,
la sonda spaziale lanciata nell’autunno del 1997 all’esplorazione di
Saturno (In Rete 5.38, Cassini Mission).38
Mike Relm è conosciuto per le sue performance live in cui mani-
pola in tempo reale audio, video e immagini, e per i remix dove fonde
le musiche di musicisti famosi con le immagini di altrettanto celebri
film (In Rete 5.39, Mike Relm).39
Jordan Roseman, meglio conosciuto come DJ Earworm, è divenu-
to popolare per la serie di video mashup intitolata United State of Pop
dove mescola le 25 canzoni dell’anno secondo la rivista Billboard, e
per la serie Music For Sport realizzata per i Giochi Olimpici di Londra
del 2012 (In Rete 5.40, DJ Earworm).40
Il mashup è l’arte di mescolare, spesso rende quindi impossibile
identificare tutti i frammenti che si fondono in un unico prodotto
sia esso sonoro o audiovisivo. Se le opere di montaggio, fotomon-

35 Freelance Hellraiser, The Strokes Vs Christina Aguilera - A Stroke Of Genie-us:


http://www.youtube.com/watch?v=ShPPbT3svAw
36 RiP!: A Remix Manifesto è il primo documentario open source mai creato, il
regista ha infatti dato la possibilità di scaricare delle sequenze tratte dal film e
remixarle liberamente. Alcuni dei centinaia di video caricati sono poi divenuti
parte integrante del documentario (http://ripremix.com/).
37 Digital Kitchen è una agenzia creativa con sede a Seattle, Chicago e Los Angeles
che si occupa di design, motion graphic e animazione. Ha curato le campagne
promozionali di prodotti come True Blood, Dexter, Six Feet Under e Nip/Tuck. Tra
i suoi clienti ci sono HBO, BMW e Microsoft. http://thisisdk.com/ http://vimeo.
com/digitalkitchen
38 Chris Abbas, Cassini Mission, http://vimeo.com/24410924
39 Mike Relm, YouTube DJ Mike Relm “Epic Mealtime Remix” LIVE, https://www.
youtube.com/watch?v=rfZmFgPLjyo / http://www.mikerelm.com/remix/
40 DJ Earworm: http://djearworm.com/

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Il testo musicale 167

taggio e collage sonoro con nastro magnetico del primo . Novecento


di artisti come Moholy-Nagy, Hannah Höch, Sergei Ejzenštejn e Ra-
oul Hausman, pur dando vita a qualcosa di nuovo rispetto ai singoli
frammenti, mantengono sempre visibili le cesure tra un fotogramma e
l’altro, la musica elettronica permette oggi di mescolare i suoni come
fluidi, come colori su una tavolozza, e rendere invisibili i tagli tra
un frammento testuale e l’altro. Se non fosse per lavori come quel-
lo realizzato da Cameron Adams, alias The Man in Blue, che grazie
all’HTML5 e al CSS3 ha svelato l’anatomia del proprio mashup de-
dicato alla discografia dei Daft Punk, spesso non sarebbe possibile
identificare tutti gli elementi amalgamati in un unico mashup (In Rete
5.41, Anatomy of a mashup).41

Figura 5.6 Eclectic Method, The Lady Gaga Mixtape

I video prodotti dal duo inglese Eclectic Method, dedicati alla pro-
duzione cinematografica e discografica di registi e cantanti famosi
come Quentin Tarantino e Michael Jackson (In Rete 5.42, Eclectic
Method),42 “costringono” lo spettatore a cimentarsi in una vera e
propria attività investigativa nel riconoscere, scovare e risalire alle
fonti. Il contenuto diviene secondario mentre essenziale è il processo

41 Themaninblue, Anatomy of a Mashup, http://daftpunk.themaninblue.com/


42 EclecticMethod: http://vimeo.com/eclecticmethod

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168 Capitolo 5

di montaggio e citazione di materiali molto noti e codificati, ricombi-


nati in modo da generare nuovo senso. In “The Tarantino Mixtape”
(In Rete 5.43, The Tarantino Mixtape)43 frammenti e scene di film
del regista esperto di citazione, vengono prelevati dai loro contesti e
remixati con le fonti che li hanno ispirati: citazioni di citazioni che
assegnano allo spettatore “il ruolo coinvolgente del detective chia-
mato a ricostruire i pezzi di un puzzle dai confini sfumati” (Peverini,
2007 pp. 115-120). “The Lady Gaga Mixtape” (In Rete 5.44, The
Lady Gaga Mixtape)44 e “Long Live The King” (In Rete 5.45, Mi-
chael Jackson Mix)45 divengono veri e propri omaggi alla discografia
dei due artisti statunitensi, riuscendo a produrre nuovo significato
dall’accostamento inedito di materiali esistenti.
Le procedure di mashup e remix, allo stesso modo di quelle di
détournement dadaista, vengono ancora utilizzate a fini provocatori,
satirici e di denuncia – il canale YouTube Barack’s Dubs è divenuto
popolare usando i discorsi di Barack Obama per creare cover di can-
zoni popolari (In Rete 5.46, Barack’s Dubs)46 – ma queste pratiche
sono state interiorizzate e divenute parte dello stile informativo, co-
municativo e partecipativo di milioni di utenti del Web e hanno deter-
minato la nascita di nuove forme di gestione e tutela della creazione
artistica (In Rete 5.47, Creative Commons).47

Ibridi “Musicomediali”
The record, not the remix, is the anomaly today. The remix is the very
nature of the digital

William Gibson

I procedimenti di remix e mashup non sono prerogative dell’era elet-


tronica, collage pittorico, fotomontaggio, montaggio cinematografico,
sono soltanto alcune delle pratiche che precederanno e ispireranno le
moderne pratiche di replicabilità. Con la digitalizzazione e l’avvento

43 Eclectic Method, The Tarantino Mixtape, http://vimeo.com/4368246


44 Eclectic Method, The Lady Gaga Mixtape, http://vimeo.com/24562287
45 Eclectic Method, Long Live The King, http://vimeo.com/5345420
46 Baracksdubs: http://www.youtube.com/user/baracksdubs /
47 L’organizzazione no profit Creative Commons prevede delle licenze di campio-
namento che consentono agli artisti di rendere disponibili i propri lavori affinché
vengano remixati da altri, e nel suo community music site http://ccmixter.org/ pro-
muove la cultura del remix dando la possibilità ai visitatori di ascoltare, campio-
nare e mischiare la musica creata da altri utenti.

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Il testo musicale 169

del computer tutte le distinzioni valide per la registrazione e la ripro-


ducibilità tecnica sono però venute meno e remixare è divenuto molto
più semplice: il prestito, il taglio, la decontestualizzazione, il montag-
gio, l’ibridazione sono diventate pratiche consuete. In primo luogo
perché una fotografia, un testo, un video o un brano musicale, una
volta convertiti in codice binario, possono essere trattati alla pari di un
codice genetico, perdono il rapporto di causalità con i propri referenti
(onde sonore, raggi luminosi, inchiostro), e non hanno più bisogno
di un supporto fisico (nastri magnetici, pellicola fotografica, carta).
In secondo luogo perché, come spiega Lev Manovich, il computer non
andrebbe considerato come una macchina della rimediazione, quanto
piuttosto della simulazione: un «metamedium» in grado di appropriar-
si di tutti i media, imponendo i propri meccanismi di funzionamento e
le proprie modalità operative, ma soprattutto in grado di simulare e in-
corporare tutti i linguaggi mediali precedenti, amplificandoli e fornen-
do funzioni che prima non possedevano (In Rete 5.48, Metamedium).48
Programmi come Photoshop o Gimp, infatti, non soltanto rimediano la
pittura tradizionale, ma i loro pennelli virtuali possiedono funzionalità
e proprietà che permettono operazioni impraticabili dalla pittura tradi-
zionale, come per esempio la possibilità di convertire automaticamente
un colore in un altro, senza mischiarli, ma semplicemente sostituendoli.
Così i programmi di editing sonoro come Garage Band (In Rete 5.49,
GarageBand),49 permettono di generare e trattare i suoni in modi non
realizzabili dai normali strumenti musicali.

48 I nuovi media, secondo il concetto di remediation esposto da Bolter e Grusin,


rimediano i media precedenti, prendendone in prestito e rimodellandone i
linguaggi. Secondo quest’ottica il computer non sarebbe altro che una “macchina
della rimediazione”, che simula i linguaggi mediali tradizionali: Photoshop e la sua
“palette di colori” simulerebbero la pittura tradizionale, i wordprocessor l’attività
prima svolta dalle macchine da scrivere. La rimediazione risulterebbe quindi un
processo presente in tutti i media ma caratteristico di quelli digitali. Secondo Lev
Manovich invece è più giusto considerare il computer come un «metamedium».
Per dimostrarlo si affida ai lavori di Alan Kay e Adele Goldberg, sviluppati negli
anni Cinquanta grazie al Learning Research Group organizzato presso lo Xerox
PARC di Palo Alto. Secondo i due studiosi infatti un testo digitalizzato non è
semplicemente la rimediazione di un testo cartaceo perché inserisce delle funzioni,
come la ricerca di una singola parola, che la versione analogica non permetteva
e deve quindi essere considerato «un nuovo medium con nuove proprietà»
(Manovich, 2008 p. 53). Il termine metamedium è stato coniato nel 1977 dai
due studiosi per riferirsi alla capacità del computer di influenzare altri mezzi di
comunicazione e di simularne la caratteristiche, ovvero di trasformarsi in altri
mezzi di comunicazione in funzione del software eseguito dal computer stesso.
Alan Kay e Adele Goldberg, Dynamic Personal Media, Xerox Palo Alto Research
Center, 1975, http://www.newmediareader.com/book_samples/nmr-26-kay.pdf
49 GarageBand: http://www.apple.com/it/ilife/garageband/

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170 Capitolo 5

Figura 5.7 Bates141 Agency, as real as it gets

Le opere d’arte digitali sono caratterizzate da un sincronismo e un ibri-


dismo di tecniche dove suoni, luci, movimenti, immagini, danze, parole,
divengono impossibili da distinguere, e dove le varie sostanze testuali
si uniscono in un tutt’uno significante e indivisibile grazie a processi
d’«ibridazione mediale» (Idem, 2007 pp. 36-45). Sia chiaro l’ibridazione
non è un fenomeno nuovo ai mezzi di comunicazione. Se il sistema dei
media, adattando la nota metafora organicistica di Lotman, “sembra
configurarsi come una semiosfera densa di testi e meta-testi che si richia-
mano e ri-generano gli uni con gli altri” (Pezzini, 2002) è presumibile
che abbia visto da sempre processi di traduzione, assimilazione e scon-
finamento mediale. Se la convergenza (Jenkins, 2006), la mediamorfosi
(Fidler, 1997) e la rimediazione (Bolter e Grusin, 2002) sembrano essere
quindi processi “fisiologici” dell’evoluzione mediale e la multimedialità,
l’ipertestualità, l’ipermedialità o la transmedialità, fenomeni non nuovi
al sistema dei media, è anche vero che con l’avvento della digitalizzazione
e del computer l’ibridazione giunge ad un ulteriore salto di paradigma.
Se in passato l’autonomia dei diversi media non veniva mai minacciata,
ed ogni medium manteneva sempre le proprie peculiarità linguistiche,
i diversi linguaggi o contenuti erano affiancati, ma comunque sempre
distinti, oggi l’ibridazione mediale, la combinazione e la fusione portano
alla costruzione di una nuova struttura narrativa. Negli ibridi mediali,
i linguaggi si uniscono creando un nuovo «metalinguaggio», grazie a
processi di «assemblaggio profondo» che combinano “il contenuto dei
diversi media, ma anche le loro tecniche, i processi produttivi e le mo-

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Il testo musicale 171

dalità di rappresentazione ed espressione” (Manovich, 2010 p. 118). Il


famoso Google Earth, per esempio, è un ibrido nato dalla coniugazione
della fotografia aerea, delle immagini satellitari, della grafica tridimen-
sionale e della fotografia tradizionale. Oggi il processo di remix non
avviene soltanto a livello dei contenuti e dei materiali testuali, ma anche
a livello degli stessi strumenti, media e tecniche utilizzate a tal punto che
si può parlare di «media remixability»: la tecnologia digitale è in grado
di generare ogni giorno nuove “specie” mediali in un costante processo
di evoluzione e ricombinazione dei loro DNA.
Con l’ibridazione mediale il fotomontaggio dadaista e il paroliberi-
smo di Marinetti vengono spinti all’ennesima potenza dai designer del
suono e del video contemporanei. Le sperimentazioni di Sebastian Lan-
ge sfruttano la motion graphic e la tipografia cinetica per dare “voce”
alle immagini che si susseguono sullo schermo (In Rete 5.50, Flicker-
mood 2.0),50 mentre “Moonlight in Glory” di David Byrne e Brian Eno
prende vita grazie al lavoro di Jakob Trollbäck (In Rete 5.51, Moonlight
in Glory).51 Nei lavori di Dmitry Zakharov il suono modella il flusso
delle immagini, come lo scultore fa con il marmo grazie a software di
animazione grafica (In Rete 5.52, Dmitry Zakharov).52
Gli artisti danno vita a prodotti mediali artistici ibridi dove il re-
mix avviene a livello di tutti gli elementi in gioco, siano essi sonori,
visivi o simbolici. E allora come non restare affascinati di fronte alle
futuristiche performance della giapponese Wrecking Crew Orchestra?
E come fare a pensare che il remix di elementi noti come i passi di
Michael Jackson, l’abbigliamento elettroluminescente utilizzato re-
centemente nel film TRON, e i remix di remix come quelli di Justice e
Daft Punk non siano qualcosa di più di una volgare appropriazione di
materiale esistente, bensì la creazione di qualcosa di nuovo, di un’ine-
dita storia (In Rete 5.53, Wrecking Crew Orchestra)?53

50 Sebastian Lange, Flickermood 2.0, http://vimeo.com/3302330


51 TED, Jakob Trollback rethinks the music video, http://www.ted.com/talks/jakob_
trollback_rethinks_the_music_video.html; Jakob Trollbäck, MUSIC. Moonlight
In Glory, http://vimeo.com/4858362
52 http://vimeo.com/dmitryzakharov
53 Wrecking Crew Orchestra, WRECKING CREW ORCHESTRA-EL SQUAD,
http://www.youtube.com/watch?v=6ydeY0tTtF4

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172 Capitolo 5

Figura 5.8 Granular-Synthesis - Modell 5

Le installazioni audiovisive del duo di artisti austriaco Granular-Syn-


thesis miscelano musica e immagini in un unico medium sinestetico
grazie ad un’innovativa tecnica di manipolazione granulare del suono.
Nell’opera Modell 5, il suono prende vita da un cyborg ibrido tra il
volto della performer Giapponese Akemi Takeya e la macchina elet-
tronica (In Rete 5.54, Modell 5).54
Artisti come Ryuichi Sakamoto e Alva Noto, il primo compositore
e premio Oscar per la colonna sonora dell’Ultimo imperatore di Ber-
nardo Bertolucci, il secondo pioniere della musica elettronica e artista
visivo, durante i loro set miscelano dolci melodie al pianoforte con ri-
verberi, suoni sintetici e rumori prodotti da computer, il tutto accom-

54 Kurt Hentschläger and Ulf Langheinrich / Granular Synthesis – Modell 5, http://


vimeo.com/43744967

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Il testo musicale 173

pagnato da video che sembrano dare forma, materializzare visualmente


ciò che viene suonato (In Rete 5.55, Ryuichi Sakamoto/Alva Noto).55

Figura 5.9 Ryoji Ikeda - test pattern

Nelle installazioni audiovisive e le performance dei giapponesi Ryoichi


Kurokawa e Ryoji Ikeda, il primo quasi ossessionato dalla ricerca co-
stante della sinestesia tra i vari elementi testuali, il secondo dedito dalle
sperimentazioni sul rumore e le matrici matematiche, il suono sembra
dare impulso, energia alle immagini, per poi comandarne i movimenti
o forse è esattamente l’opposto, ma non è dato saperlo, i due elementi
si fondono infatti in un’opera unica e sincronica (In Rete 5.56, Ryoichi
Kurokawa/Ryoji Ikeda).56
E tutto questo oggi è possibile in tempo reale grazie alle su-
perfici sensibili al tatto e ai nuovi dispositivi musicali come iPad
o Reactable (In Rete 5.57, Reactable).57 I dj e gli artisti affermati
come Deadmau5 e Björk creano musica gesticolando freneticamente
su schermi tattili (In Rete 5.58, Schermi musicali tattili).58 Richard

55 Alva Noto, unitxt/univrs, http://vimeo.com/21317325 / Ryuichi Sakamoto & Alva


Noto, Inset (2005), http://www.youtube.com/watch?v=evllPOj0wTo
56 Ryoji Ikeda, The Transfinite, http://www.youtube.com/watch?v=omDK2Cm2mwo
/ Ryoichi Kurokawa, rheo: 5 horizons, http://vimeo.com/31319154 / Ryoichi
Kurokawa, Ground, http://vimeo.com/31784326 / Ryoji Ikeda, Datamatics, http://
vimeo.com/39083913 / Ryoichi Kurokawa, Octfalls, http://vimeo.com/28124851
57 http://www.reactable.com/
58 St. Lawrence String Quartet, Smule, Magic Fiddle for iPad, http://www.youtube.
com/watch?v=U8wjFmLQJT4 / Deadmau5, Arguru (Live at Earl’s Court), http://
vimeo.com/29174841 / Björk, Declare Independence (Later with Jools Holland),
http://www.youtube.com/watch?v=MHeX6yg95xU / The Maneken, I’m Table
Live, http://www.youtube.com/watch?v=xdcEJFHId1I

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174 Capitolo 5

D. James, alias Aphex Twin, nel settembre 2011 è stato in grado


di dirigere un’intera orchestra composta da 48 elementi e un coro
di 24 persone in remoto servendosi di un controller midi, un PC e
alcuni schermi montati al fianco dei leggii dei musicisti. Il direttore
d’orchestra futurista, senza uso di braccia o bacchette, ha impartito
ordini alle varie sezioni orchestrali attraverso slitte e levette, segnali
visivi digitali e un’inedita notazione grafica (In Rete 5.59. Aphex
Twin).59
Se gli schermi sensibili al tatto permettono di creare e remixare
musica con il semplice uso delle dita, i sistemi sensibili al movimento
come il Nintendo Wiimote e il Microsoft Kinect trasformano il cor-
po umano in un vero e proprio strumento musicale, come è succes-
so nelle sperimentazioni del Motion Project (In Rete 5.60. Motion
Project).60 E se, come nel caso di Dan Ellsey, si è sfortunatamente
affetti da malattie che impediscono l’utilizzo degli arti o del corpo,
oramai è possibile creare musica con la sola forza del pensiero, grazie
a tecnologie come quelle sviluppate da Tod Machover al Media Lab
del MIT e presentate nel 2008 in un commuovente discorso al TED
(In Rete 5.61, TEDTalk).61
Walter Ong ha affermato che la carta è «una superficie signi-
ficante» (Ong, 1986 p.180) in quanto supporto dotato di proprie
regole e caratteristiche, la stessa definizione può oggi estendersi ai
supporti digitali e ai moderni schermi tattili. Le superfici signifi-
canti sulle quali la musica può prendere vita divengono illimitate, e
grazie ad esperimenti di projection mapping come quelli realizzati
dal The Macula Project oggetti inanimati come grattaceli, chiese,
torri, musei si animano a ritmo di musica (In Rete 5.62, Projection
Mapping).62

59 Aphex Twin’s Remote Orchestra, http://www.youtube.com/watch?v=uu5jH2BgPB


M&list=PL99DB3EFE762A6052
60 The V Motion Project: http://vimeo.com/45417241 /
61 TED, Tod Machover and Dan Ellsey play new music, http://www.ted.com/talks/
tod_machover_and_dan_ellsey_play_new_music.html
62 The Macula, Luminous Flux, http://vimeo.com/26827092 / The 600 Years, http://
vimeo.com/15749093 / Nokia and Deadmau5, light up London with an amazing
4D projection onto the Millbank Tower, http://vimeo.com/32850842 / Mapping
the Guggenheim, http://vimeo.com/16519029

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Il testo musicale 175

Figura 5.10 Daito Manabe - Straight & Arrow

Nelle futuristiche sperimentazioni con stimoli elettrici realizzate


dall’artista giapponese Daito Manabe i muscoli del volto si trasfor-
mano in vere e proprie drum machine, e i movimenti del corpo pos-
sono essere diretti attraverso stimolazioni elettriche della pelle. Per il
video di “Straight & Arrow”, realizzato per il dj e producer FaltyDL,
40 comparse sono state cablate per far muovere i loro corpi all’uni-
sono attraverso contrazioni muscolari involontarie, ma indotte, sin-
cronizzate poi a ritmo di musica (In Rete 5.63, Elettrostimolazioni
Musicali).63
Per il video del musicista elettronico Nosaj Thing “Eclipse/Blue”
(In Rete 5.64, Eclipse/Blue)64 realizzato con il sostegno di The Crea-
tors Projects (In Rete 5.65, The Creators Projects)65 e la collaborazio-
ne con il coreografo Mikiko, l’artista ha creato un ambiente virtuale
dinamico ispirato a una eclissi solare come sfondo a due danzatori che
si esibiscono in uno spettacolo di danza. I corpi dei due ballerini sono
stati mappati grazie alla tecnologia già utilizzata dall’artista Klaus
Obermaier per il progetto dell’Ars Electronica Futurelab Apparition
(In Rete 5.66, Futurelab)66 e i loro movimenti sono stati miscelati in
modo da divenire un tutt’uno con la grafica e il suono.

63 Daito Manabe, electric stimulus to face-test3, http://www.youtube.com/watch?


v=YxdlYFCp5Ic / Daito Manabe, Straight & Arrow, http://www.youtube.com/
watch?v=JfUzmXodyXY
64 Daito Manabe, Eclipse/Blue, http://www.youtube.com/watch?v=_woNBiIyOKI
65 The Creators Projects: http://thecreatorsproject.com/
66 Ars Electronica Futurelab: http://www.aec.at/futurelab/en/

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176 Capitolo 5

Figura 5.11 D. Franke, C. Kiefer - unnamed soundsculpture

Un progetto simile è stato realizzato da Daniel Franke e Cedric Kie-


fer per unnamed soundsculpture. L’idea era quella di costruire una
scultura digitale a partire da dati reali. I due artisti hanno chiesto a
una ballerina di danzare il brano Kreukeltape di Machinenfabriek,
e hanno registrato i movimenti con tre telecamere Kinect sensibili
al suono. I dati sono poi stati messi insieme in 3D Studio Max, e
l’effetto finale è quello di un’effimera nuvola di finissimi puntini
che materializza le forme della ballerina per poi disintegrarsi un
attimo dopo ricreando una nuova forma (In Rete 5.67, unnamed
soundsculpture).67
Al confine tra “digitale” e “reale” si situano le installazioni so-
nore architettoniche, famose in tutto il mondo, dell’artista svizzero
Zimoun. Le opere minimali di questo architetto del suono sono
create con materiali semplici come scatole di cartone, buste di pla-
stica, fili d’acciaio, ventilatori, motori e combinano elementi visivi,
spaziali e sonori (In Rete 5.68, Zimoun Works).68 Il fruitore viene
immerso in ambienti in cui si sfida continuamente l’interazione tra
l’artificiale e il biologico, e in cui i suoni naturali degli spazi, spes-
so inusuali, scelti dall’artista si combinano con rumori artificiali e
meccanici. Per 329 prepared dc-motors, cotton balls, toluene tank
Zimoun ha montato un’installazione sonora all’interno di un’ex ci-
sterna a Dottikon in Svizzera, composta da 329 piccoli motori che
muovono delle sfere di cotone facendole urtare contro le pareti del-
la cisterna. Il risultato riesce a ribaltare il senso comune attribuito

67 Daniel Franke & Cedric Kiefer, unnamed soundsculpture, http://vimeo.com/38840688


68 Zimoun, Compilation Video V3.1 | Sound Sculptures & Installations, Sound
Architectures, http://vimeo.com/7235817,

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Il testo musicale 177

alla struttura creando un ambiente dall’atmosfera surreale e poetica


(In Rete 5.69, Zimoun).69

Figura 5.12 Zimoun, 329 prepared dc-motors, cotton balls, toluene tank -
2013

Musica collaborativa
I produttori se ne stanno da eremiti sulle cime dei monti. In vivide schiere
si riversano nelle valli i riproduttori

Walter Benjamin

Grazie alla Rete e ai nuovi strumenti di produzione digitale la com-


posizione e la performance divengono spesso collaborative, gli utenti
mettono insieme le proprie voci e strumenti, da una parte all’altra del
globo, in vista di un obiettivo comune. I rapporti di forza tra l’artista
solitario e l’artista come collettività vengono ridefiniti, i concetti di
testo originale e autore s’infrangono, mentre quello di creatività pas-
sa dal territorio dell’artista solitario a quello di opera collettiva. Gli

69 Zimoun, 329 prepared dc-motors, cotton balls, toluene tank, http://www.zimoun.


net/329-prepared-dc-motors-cotton-balls-toluene-tank.html

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178 Capitolo 5

artisti si servono, sempre più spesso, del crowdsourcing per dar vita a
performance e prodotti artistici collaborativi. Forse l’opera contem-
poranea collettiva musicale più popolare è Virtual Choir ideata dal
compositore e direttore di coro statunitense Eric Whitacre (In Rete
5.70, Coro Virtuale).70

Hi Mr. Eric Whitacre. My name is Britlin Losee, and this is a video that
I’d like to make for you. Here’s me singing “Sleep.” I’m a little nervous,
just to let you know. If there are noises in the night.

Nel 2009 Eric riceve da una fan questo video messaggio e gli viene
l’idea di coinvolgere, servendosi di YouTube, persone sparse in tutto
il mondo per cantare una sua opera. Prepara un video dove conduce
il coro immaginandone il risultato, lo posta su YouTube, distribu-
isce gli spartiti attraverso il suo sito, e incomincia a ricevere con-
tributi. I video vengono poi raccolti, tagliati e ricombinati in modo
da formare tutti insieme un coro virtuale. Nasce la composizione
“Lux Aurumque” un coro composto da 185 persone provenienti da
22 paesi diversi. L’esperimento ottiene un tale riscontro che viene
ribadito nel 2011 con una seconda performance intitolata “Virtual
Choir 2.0”.

Figura 5.13 Virtual Choir: Water Night

70 Eric Whitacre’s Virtual Choir: http://ericwhitacre.com/the-virtual-choir

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Il testo musicale 179

Nel 2012 l’opera “Water Night” (In Rete 5.71, Water Night)71 ot-
tiene 3746 video caricati da 2945 utenti in 73 paesi, e la notte del 2
aprile 2012 viene presentata in streaming live dal Lincoln Center di
New York. Nel 2013 l’opera “Fly to Paradise” (In Rete 5.72, Fly to
Paradise)72 segna il definito successo del Coro Virtuale con dimensioni
ormai globali 8,409 video caricati, da 5,903 cantanti in 101 paesi.
Questo progetto è una dimostrazione concreta della forza delle tec-
nologie sociali di unire i partecipanti, permettendo di sperimentare
nuove forme di connessione e comunicazione abbattendo i confini di
spazio e tempo tra i musicisti.
Nel 2009 il produttore e dj israeliano Kutiman ha pubblicato l’al-
bum ThruYOU, (In Rete 5.73, ThruYOU)73 e il remix “My Favorite
Color” (In Rete 5.74, My Favorite Color)74 video musicali basati sul
mixaggio di performance musicali caricate dagli utenti su YouTube.
Lo stesso ha fatto la compagnia di sound design Ithaca Audio rea-
lizzando un video mashup intitolato “Rolling in the beats” (In Rete
5.75, Rolling in the beats).75 Per dar vita al prodotto finale ci sono
voluti quasi due mesi di ricerca tra migliaia di clip di YouTube ed in-
fine, in 4 minuti e 27 secondi, sono state amalgamate 24 tracce audio
e i rispettivi video di artisti come Prodigy, Ludovico Einaudi, Adele e
Aretha Franklin. Mentre per le olimpiadi londinesi del 2012 ha rea-
lizzato “The City is London” un mashup celebrativo di musicisti, film
e show televisivi associati con la città e una versione interattiva che
permette agli utenti di YouTube di creare in tempo reale le proprie
versioni personali (In Rete 5.76, The City is London).76 Presentati in
split screen, queste nuove forme testuali si servono di quel linguaggio
video frammentato simile a quello dei fumetti, ormai tipico nella fru-
izione di filmati online: i video ci costringono a scegliere cosa guar-
dare, a cambiare continuamente prospettiva, a costruire un personale
percorso di fruizione.
Opera By You 2012 è un progetto decisamente più complesso in-
teramente realizzato per mezzo del crowdsourcing. Idea del Savonlin-
na Opera Festival e di un gruppo di artisti finlandesi tra cui Markus

71 Eric Whitacre’s Virtual Choir 3, Water Night, http://www.youtube.com/watch?v


=V3rRaL-Czxw
72 Eric Whitacre’s Virtual Choir 4, Fly to Paradise, https://www.youtube.com/watch?v
=Y8oDnUga0JU
73 Kutiman, Thru-You, http://thru-you.com/#/intro/
74 Kutiman, My Favorite Color, http://www.youtube.com/watch?v=nIl4LkHYRkg
75 Ithaca Audio, Rolling in the beats (live mashup), http://vimeo.com/29926452
76 Ithaca Audio, The City is London, http://www.youtube.com/watch?v=08978lcrCvI.
Versione interattiva http://www.youtube.com/watch?v=WNSgZ4av6rQ.

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180 Capitolo 5

Simon Fagerudd e Iida Hämeen-Anttila. L’appello online, lanciato dai


promotori del festival finlandese era chiaro: “abbiamo 80 voci nel
nostro coro, ma nessun libretto. Abbiamo un’orchestra sinfonica, ma
nessuna composizione. Abbiamo un castello medievale come scena
per il 2012, ma nessuna opera”. Compositori, scrittori e attori, pro-
fessionisti e non professionisti hanno potuto collaborare alla realizza-
zione dell’opera postando i loro contributi sul sito Wreckamovie (In
Rete 5.77, Wreckamovie).77 Ogni utente ha potuto scrivere la trama
del libretto, creare i personaggi e la loro caratterizzazione, comporre
la musica e disegnare persino i costumi e la scenografia. Ogni volta
che la trama si complicava, si aprivano più strade o vi era la neces-
sità di eliminare un personaggio, ogni scelta è stata immediatamente
sottoposta all’attenzione e votata a maggioranza dalla comunità in
Rete. La trama iniziale è stata poi trasformata in una vera propria sce-
neggiatura, da cui è scaturito il libretto che è stato poi musicato. Una
commissione ha scelto sette elaborati e questi sono stati messi ai voti
sempre sul Web. Il 21 luglio 2012 l’opera Free Will è stata presentata
al castello medievale di Savonlinna e in streaming sul Web. Il risultato
finale è un mix eclettico tra la Divina Commedia, i commenti politici
e cammei di famosi personaggi storici come Mozart, Oscar Wilde,
Giovanna d’Arco, il cinema, la musica barocca, la letteratura noir, i dj
set elettronici (In Rete 5.78, Opera By You).78
The Johnny Cash Project è un progetto collaborativo comme-
morativo dedicato a Johnny Cash, l’artista americano scomparso nel
2003. Le menti dell’operazione sono il regista Chris Milk (In Rete
5.79, Chris Milk Portfolio)79 e l’artista dei media digitali Aaron Koblin
(In Rete 5.80, Aaron Koblin Portfolio).80 Un sito interattivo attraver-
so il quale ogni utente può partecipare liberamente alla realizzazione
del videoclip del brano “Ain’t No Grave”, disegnando con la tecnica

77 http://operabyyou.wreckamovie.com/
78 http://www.oopperajuhlat.fi/OperaByYou/English/Home
79 Chris Milk è un regista e fotografo statunitense molto attivo nel campo dei video
musicali. Si annoverano lavori per artisti del calibro di Kanye West, U2, Courtney
Love, Chemical Brothers, Audioslave, Gnarls Barkley e Arcade Fire. http://
portfolio.chrismilk.com/
80 Aaron koblin è un artista dei media digitali americano, noto per i suoi usi innovativi
di visualizzazione dei dati e crowdsourcing, attualmente direttore creativo del
team Data Arts di Google a San Francisco, California. Le sue opere fanno parte
delle collezioni permanenti del Victoria and Albert Museum (V & A) di Londra, il
Museum of Modern Art (MoMA) di New York e il Centre Georges Pompidou di
Parigi. Ha presentato al TED, e il World Economic Forum, e il suo lavoro è stato
esposto in festival internazionali, tra cui Ars Electronica, SIGGRAPH, e il Japan
Media Arts Festival, http://www.aaronkoblin.com/

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Il testo musicale 181

che preferisce e utilizzando gli strumenti offerti dalla piattaforma, i


fotogrammi che comporranno il video mashup finale. Nel 2012 a po-
chi mesi dal lancio dell’iniziativa, 250.000 artisti provenienti da 172
paesi avevano già inviato i propri contributi. Il progetto non si è però
concluso qui, il videoclip è infatti in continua evoluzione e può essere
visto in migliaia di versioni differenti attraverso la piattaforma online
del progetto (In Rete 5.81, The Johnny Cash Project).81

Figura 5.14 The Johnny Cash Project - Johnny Cash - Ain’t No Grave

Una delle tecnologie che oggi garantisce l’integrazione di tecniche di


produzione prima rigidamente separate e il processo di assemblaggio
profondo descritto da Lev Manovich è l’HTML5. Nato dalla la con-
vergenza tra un linguaggio di markup (HTML), Javascript per gestire
le interazioni con l’utente, e CSS3, un foglio di stile che amministra
la formattazione dei contenuti, questa tecnologia ha ottenuto sempre
più larga diffusione a partire dal 2010. Nonostante non sia ancora
riconosciuto come standard dal W3C, la prima versione è prevista per
la fine del 2014. Tra le novità introdotte dall’HTML5 ci sono elementi
specifici per il controllo di contenuti multimediali (tag <video> e <au-
dio>) gestiti in modo nativo, l’introduzione di funzionalità di geolo-

81 Il progetto nel 2010 è arrivato secondo a Cannes, ha vinto gli UK Music Video
Awards e nel 2011 gli SXSW Interactive Award e gli Andy Awards. Http://www.
thejohnnycashproject.com/

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182 Capitolo 5

calizzazione e l’elemento Canvas che permette di utilizzare JavaScript


per creare animazioni in 2D e 3D.

Figura 5.15 Radiohead - House of Cards

Tra gli artisti che più di altri hanno ha fatto dell’HTML5 il proprio
cavallo di battaglia c’è proprio Aaron Koblin. Il video del brano
“House of Cards” dei Radiohead, girato con tecnologie digitali di
ultima generazione in grado di catturare immagini in 3D, permette
una fruizione rivoluzionaria, durante l’ascolto l’utente può navigare
dentro al video spostare l’inquadratura, muovere gli oggetti e cambia-
re prospettiva (In Rete 5.82, House of Cards).82
Le immagini di rendering del volto di Thom Yorke sono inter-
vallate da quelle di altre persone e immagini di paesaggi suburbani.
L’immagine ottenuta è diversa dal montaggio classico di foto, il volto
del cantante e i paesaggi sono costituiti da tanti puntini che ricordano
le opere di Roy Lichtenstein. Al posto delle telecamere tradizionali, il
video è stato realizzato con tecnologia lidar capace di rilevare la vici-
nanza di oggetti tramite sensori. L’immagine ha un aspetto granuloso
e reticolare. Lastre di vetro acrilico e specchi sono state poste di fronte
ai laser per creare scene in cui l’immagine appare distorta, scompare
parzialmente o comincia a disintegrarsi come se fosse trasportata dal

82 http://www.aaronkoblin.com/work/rh/index.html

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Il testo musicale 183

vento. I dati utilizzati per costruire il video sono open source e dispo-
nibili su Google Code con licenza Creative Commons, in questo modo
chiunque può dare il proprio personale contributo (In Rete 5.83, Go-
ogle Code).83
Convinto che l’interfaccia sia un potente strumento narrativo
per costruire e raccontare storie (In Rete 5.84, The Interface is The
Message),84 l’artista ha poi coinvolto nel 2009 i membri del mar-
ketplace Amazon Mechanical Turk per realizzare l’opera collaborati-
va Bicycle Built For 2000. Koblin si è domandato cosa sarebbe succes-
so se avesse chiesto al Turco (In Rete 5.85, Il Turco)85 di svolgere un
compito creativo. I partecipanti non erano a conoscenza del loro con-
tributo all’interno dell’opera, hanno ascoltato brevi file audio, estratti
da una registrazione generata al computer della canzone “Daisy Bell”,
li hanno imitati e registrati. Tutte le registrazioni sono poi andate a
formare il risultato finale (In Rete 5.86, Bicycle Built For 2000).86
L’artista ha poi collaborato nel 2010 con Chris Milk al video
The Wilderness Downtown per il singolo “We Used to Wait” della
band canadese Arcade Fire. Il video è un’esperienza multisensoriale,
un viaggio interattivo nei luoghi della nostra infanzia ideato per mo-
strare le proprietà di Google Chrome. È stato costruito in linguaggio
HTML5 da Google con la collaborazione della B-Reel, casa di pro-
duzione multimediale, al fine di sperimentare un inedito utilizzo del
servizio Street View di Google Maps. All’ingresso del sito, dopo aver
inserito l’indirizzo della via dove abitavamo da bambini, parte un vi-
deo con un ragazzino che corre indossando una felpa con cappuccio.
A quel punto inizia un’incredibile coreografia di finestre del browser
che si aprono e si chiudono a tempo di musica, uno stormo di uccelli
reagisce al movimento del nostro mouse fuggendo mentre, grazie a

83 http://code.google.com/p/radiohead/
84 Maria Popova, “The Interface is The Message: Aaron Koblin on Visual Storytell-
ing at TED”, Brainpickings, 24 maggio 2001.
85 Mechanical Turk è un sito collaborativo ideato per coordinare e distribuire il lavoro
e la risoluzione di un problema su un vasto gruppo di persone. Questi microtask
definiti HIT (human intelligence task) sono quesiti che non possono essere affidati
a un computer e che necessitano dell’intelligenza umana per essere risolti. Il nome
del servizio nasce da Il Turco, un automa creato da Wolfgang von Kempelen nel
1769 e che teoricamente avrebbe dovuto simulare un giocatore di scacchi. In realtà
si trattava di un imbroglio colossale perchè era solo un automa manovrato al suo
interno da un giocatore umano tramite dei magneti. Costruito per Maria Teresa
d’Austria, anche Napoleone e Edgar Allan Poe, ne furono affascinati e ingannati.
https://www.mturk.com/mturk/welcome
86 Aaron Koblin, Bicycle Built For 2,000, http://www.bicyclebuiltfortwothousand.
com/

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184 Capitolo 5

riprese aeree, si susseguono i luoghi della nostra infanzia. Il ragazzino


corre conducendoci attraverso una vera e propria esperienza musicale
personalizzata: geolocalizzazione, panorami 3D, immagini e musica si
legano in un’unica esperienza di fruizione. Al termine ci ritroviamo di
fronte al nostro portone di casa, sullo schermo appare un foglio bian-
co in cui ci viene chiesto di scrivere o disegnare, con mouse e tastiera,
un messaggio per il bambino che un tempo viveva lì (In Rete 5.87, The
Wilderness Downtown).87

Figura 5.16 C. Milk, A. Koblin - The Wilderness Downtown

Ancor più ambizioso e riuscito è il progetto 3 Dreams of Black un film


interattivo pensato come strumento promozionale per l’album Ro.me
del 2011 del duo Dangermouse e Daniele Luppi, realizzato in collabo-
razione con artisti del calibro di Jack White, Norah Jones e dedicato
alle colonne sonore di Ennio Morricone (In Rete 5.88, ROME).88 Il vi-
deo rappresenta un vero e proprio viaggio all’interno della coscienza
di un uomo e riesce a creare un’esperienza ibrida di fruizione in grado
di combinare le performance multimediali, il videogame e il classico
videoclip. L’utente è condotto all’interno di un itinerario tra ambienti
onirici tridimensionali costruiti grazie alla combinazione di grafica
2D e 3D. Dopo una breve sequenza introduttiva, un vagabondo pro-
tagonista del viaggio si addormenta in uno scomodo giaciglio e inizia

87 http://thewildernessdowntown.com/
88 Http://www.ro.me/

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Il testo musicale 185

uno spericolato viaggio nel regno della fantasia. Il progetto è stato


sviluppato grazie alla tecnologia WebGl, una sorta di potenziamento
del linguaggio Javascript capace di trasformare il nostro browser in un
vero e proprio schermo interattivo in cui, grazie al mouse, siamo noi a
poter decidere la visuale delle riprese e il punto di vista del protagonista.
Non solo, una volta finito questo primo giro nel subconscio umano, si
apre la possibilità per l’utente di creare il proprio mondo tridimensio-
nale completamente personalizzato con un editor di costruzione in 3D.
I mondi creati dagli utenti vanno così a formare e alimentare un vero e
proprio database della fantasia, in cui ognuno ha la possibilità di esplo-
rare i sogni, e i mondi creati da chi prima di lui ha visitato il magico
mondo di 3 Dreams Of Black (In Rete 5.89, Wired).89

Figura 5.17 Arcade Fire – Justareflector

Infine sempre per gli Arcade Fire e la direzione artistica di Koblin


è stato realizzato nel 2013 dal regista Vincent Morriset (già autore
di altri lavori per il gruppo canadese come SPRAWL2.COM www.
sprawl2.com e NEON BIBLE VIDEO www.beonlineb.com) un video
interattivo per il singolo “Reflektor” contenuto nell’album in uscita a
settembre 2013. Sviluppato grazie a un insieme di tecnologie tra cui
canvas HTML5, API JavaScript e WebGL Justareflektor (In Rete 5.90,

89 Andrea Girolami, Google e la tecnologia WebGL: un browser per entrare nel


mondo dei sogni, Wired.it, http://blog.wired.it/captcha/2011/05/13/google-lancia-
3-dreams-of-black-basta-un-browser-per-entrare-nel-mondo-dei-sogni.html

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186 Capitolo 5

Justareflektor)90 permette di vivere un’esperienza inedita di fruizione


grazie alla connessione tra cellulare o tablet e la webcam del computer.
L’utente può controllare luci, inquadratura ed effetti di distorsione delle
immagini girate a Jacmel, Haiti (In Rete 5.91, Behind the Scenes)91 men-
tre la webcam permette di interagire con le immagini che si susseguono
sullo schermo specchiarsi in un gioco di rimandi tra reale e virtuale.
Il fotografo di moda inglese e direttore di SHOWstudio.com Nick
Knight ha realizzato nel 2013 un videoclip interattivo per il brano
“Black Skinhead” di Kanye West dove è possibile aumentare o dimi-
nuire la velocità dell’immagine, del suono, e catturare degli snapshot
grazie a un’icona con la grafica di Instagram (In Rete 5.92, Black
Skinhead).92 I lavori di Knight per artisti come Björk e Lady GaGa
sono vere e proprie opere d’arte dove i linguaggi della moda, della
musica e della motion graphics si uniscono e potenziano a vicenda
creando esperienze di fruizione spettacolari e multisensoriali (In Rete
5.93, Nick Knight Works).93

Figura 5.18 Moniker Studio - Light Light - Kilo

90 https://www.justareflektor.com/tech?home
91 Arcade Fire’s Just A Reflektor: Behind the Scenes - http://www.youtube.com/
watch?v=_3D8hYIfpqg
92 Kanye West, http://www.kanyewest.com/
93 http://www.nickknight.com/main.html

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Il testo musicale 187

Il produttore Jacques Greene ha creato un video in stile “Mondrian”


per LP On Your Side dove è l’utente che spostando le finestre video
dinamiche crea la propria personale composizione (In Rete 5.94, On
Your Side).94
Esperienze di fruizione ancor più personalizzate sono quelle che
ibridano i nostri profili di social media networking e li trasformano
in oggetti audiovisivi personalizzati. Applicazioni come Museum of
Me (In Rete 5.95, Museum of Me),95 Just a Friend (In Rete 5.96, Just
a Friend),96 White Doves (In Rete 5.97, White Doves),97 e Wrecking
Ball (In Rete 5.98, Wrecking Ball),98, prelevano dai nostri profili so-
ciali come Facebook informazioni ricorrenti, immagini, fotografie e
relazioni personali e le inseriscono all’interno di strutture narrative
come tour in 3D, trailer cinematografici e video interattivi dove siamo
noi ad essere i protagonisti. Il gruppo musicale statunitense Linking
park nel 2012 ha realizzato un video interattivo per il singolo “Lost
In The Echo” che per poter essere visualizzato necessita di un account
personale di Facebook: in questo modo il video prende immagini ca-
suali dal proprio profilo per creare la propria personale storia (In Rete
5.99, Lost In The Echo).99
Nell’esperimento crowdsourced realizzato dallo studio Moniker
di Amsterdam per il singolo Kilo della band olandese Light Light sono
gli utenti che partecipano alla creazione del video grazie ai movimen-
ti e ai clic dei loro mouse. Il risultato è uno sciame di cursori che si
spostano freneticamente seguendo le indicazioni che appaiono sullo
schermo (In Rete 5.100, Do Not Touch).100
Gli artefici dello sconfinamento, della contaminazione, dell’ibrida-
zione sono quindi sempre più spesso i fruitori, i lettori, gli ascoltatori,
che da soggetti passivi di ricezione ottengono un ruolo generativo atti-
vo nei confronti dell’opera. La citazione, i testi “montati”, il moderno
remix digitale, sono infatti tutte forme “testuali” che necessitano di un
lettore/spettatore/ascoltatore “educato” alla loro fruizione e in grado
di «scomporre e ricostruire un oggetto per rendere manifeste le regole
di funzionamento delle sue parti o unità» (Barthes, 1966 p. 309). Un
lettore “esperto” e “consapevole” dei principi di funzionamento del
testo, dal momento che esso, in molti casi, non risulta più leggibile

94 http://www.jacquesgreene.com/
95 Museum of Me - http://www.projector.jp/awards/museumofme/en.html
96 Just a Friend- http://www.justafriend.ie/
97 White Doves- http://www.whitedoves.me/
98 Wrecking Ball http://www.wreckingball.it/
99 Linking park, Lost In The Echo, http://lostintheecho.com/
100 Do Not Touch, http://donottouch.org/

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188 Capitolo 5

tramite la propria narrazione, non è più possibile comprenderlo nella


sua totalità, e l’unica fruizione possibile avviene tramite analogia tra
le diverse schegge sensoriali e frammenti testuali che lo compongono.
È proprio questo il processo all’origine della tecnica del montaggio;
spiega Benjamin: «il pezzo montato interrompe il contesto in cui viene
montato» (Benjamin, 2004 p. 55-56) e così facendo, mette fine all’il-
lusione del lettore convinto fino a poco prima della continuità della
narrazione. Illuminare il singolo frammento, al contrario, significa in-
terrompere la narrazione e venire incontro al fruitore che, “distratto”,
scopre lo shock della decontestualizzazione, riconosce l’originale fuo-
ri contesto, ed è costretto a riflettere sulla natura del singolo elemento,
sui rapporti che lo legano agli altri, e al tutto.
Se Barthes giungerà a dichiarare la “morte dell’autore” a discapi-
to dell’opera d’interpretazione e co-produzione del lettore, la lettura,
affermerà Ricoeur, «è come l’esecuzione di una partitura musicale;
segna la realizzazione, la messa in atto delle possibilità semantiche del
testo» (Ricoeur, 1986 p. 136). La relazione che si viene a stabilire tra
lettore e testo è quindi come un gioco collaborativo, dove il primo, at-
traverso un lavoro di connessione tra concetti, focalizzazione su parti-
colari frammenti testuali, «magnificazione» e «narcotizzazione» degli
elementi in gioco, aiuta a far funzionare il secondo che, come una
macchina pigra, presuppone il lettore per essere attivato (Eco, 1979).
Già la citazione è una forma testuale che chiama in causa un desti-
natario con una forte capacità d’interpretazione, e spesso è proprio
a livello della “riconoscibilità” o “non riconoscibilità” che avviene il
lavoro collaborativo del lettore, altrimenti l’effetto della citazione ri-
sulterebbe nullo, anzi svanirebbe.
Per Marcel Duchamp “battezzare” un oggetto come artistico era
sufficiente a trasformarlo in opera d’arte. Questo gesto apparente-
mente semplice era sufficiente a spostare un oggetto dal territorio
dell’uso comune a quello dell’arte, e diveniva un’operazione artistica
al pari delle altre. Se è vero, come affermato dall’artista francese, che
«sono gli spettatori che fanno il quadro», anche nel caso delle opere
remixate il fruitore è chiamato a completare il significato l’opera. Il
fruitore di opere remixate, alle prese con un’indagine dove è chiamato
a ricercare le fonti, rintracciarne la provenienza e giudicare la quali-
tà della loro ricombinazione, è, allo stesso tempo, spinto a riflettere
sul procedimento compositivo utilizzato. Così come il senso del mon-
taggio è sempre stato quello di spingere lo spettatore a riflettere sul
procedimento stesso, è per così dire luogo di riflessività del linguaggio
utilizzato, così «il remix, con tutte le accezioni che questo termine

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Il testo musicale 189

oggi porta con sé, è dunque un luogo di autoriflessività del linguaggio


musicale» (Dusi, Spaziante, 2006 p. 81)

Dj Marshall McLuhan. Vertigini Multimediali


[McLuhan]...he was, I believe, a musician

Jean Baudrillard

Le tecnologie di riproducibilità sonora (registrazione, fissaggio sono-


ro, digitale) hanno reso per la prima volta memorizzabile e traman-
dabile ciò che prima era possibile soltanto tramite simboli grafici su
supporti quali la carta o la memoria, direttamente nella loro forma
sonora. Notazioni, partiture, spartiti sono infatti analogon grafici, in-
dici della realtà sonora, descrizioni a posteriori di un “testo sonoro”
e non il testo sonoro stesso. Le scritture e i testi musicali siano essi
cartacei, magnetici, analogici sono generalmente di natura prescritti-
va, ovvero forniscono delle indicazioni su suoni ancora da produrre:
sono per così dire “musica in potenza”, “musica virtuale”, sono muti
se non affidati a un atto performativo che ne consenta la riproduzio-
ne dei contenuti, necessitano di una «riattualizzazione» (Lévy, 1997)
direbbe Pierre Lévy, mediante lo strumento. Il testo musicale però, a
differenza di quanto si pensi, non è neutrale nei confronti dell’oggetto
che rappresenta, si basa su un codice dove, come nel caso della lingua,
il rapporto tra significante e significato è arbitrario. L’abitudine a re-
lazionare il segno con il proprio referente ha portato, con il passare
del tempo, a una relazione con i suoni centrata sulla loro “lettura”
e quindi sulla vista, che privilegia l’occhio a discapito dell’orecchio,
l’aspetto visuale a quello acustico. È stato McLuhan a mostrare come
sia stata la cultura scritta a dissociare la parola dal suo primitivo e
naturale legame con il suono (McLuhan, 1982).
Il primato dell’occhio su l’orecchio si forma proprio con l’alfa-
betizzazione, il pensiero lineare e la partitura, e i suoni vengono così
esiliati dal territorio dell’udito ed assegnati a quello della vista.
Rudolf Arnheim nel famoso saggio del 1936 La radio. L’arte
dell’ascolto nel domandarsi se essa possa ambire ad essere considera-
ta un’arte al pari delle altre concluderà che la radio, come la musica,
sono le uniche arti in grado di rinunciare del tutto all’occhio.
McLuhan, nel tentativo di superare il primato dell’occhio sull’o-
recchio, gli schemi logico-causali della scrittura a stampa, l’imposta-
zione testuale dell’uomo tipografico, e di trascendere la rigidità e le

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190 Capitolo 5

imposizioni del supporto cartaceo, costruirà il sistema a “glosse” e


citazioni di Galassia Gutenberg. Il lettore verrà condotto attraverso
una narrazione a “finestre” costituite da brevi paragrafi, lunghe cita-
zioni di eterogenea provenienza, infinite digressioni, aforismi, in un
effetto Vertigo affascinante quanto disorientante, che per molti aspetti
prefigura per molti aspetti la futura navigazione del Web. Il procedi-
mento “a mosaico” verrà poi ripreso in Gli strumenti del comunicare
testo in cui l’autore, come un bricoleur, comporrà un vero e proprio
collage di citazioni, analogie, metafore, appunti, slogan, accostamenti,
giochi di parole, giudizi inequivocabili e totalizzanti, paradossi, pro-
fezie, dando vita a un miscuglio disordinato e a tratti irritante, che
sembra riprodurre in un costante andirivieni di ragionamenti fram-
mentari, il bombardamento sensoriale e percettivo dei nuovi mezzi
elettrici. Si cimenterà poi in esperimenti multimediali come Il Medium
è il Massaggio: un inventario di effetti forse il tentativo più ardito, e
allo stesso tempo più riuscito, di superare le tradizionali logiche di
organizzazione del testo. Curato dal designer grafico Quentin Fiore e
coordinato dal pubblicista, produttore ed editore Jerome Agel, questo
“non-libro”, come certa critica lo definì al tempo della sua pubblica-
zione, si presenta come un vero e proprio patchwork costituito da nu-
merose citazioni verbali e visive, caratteri che variano dal piccolissimo
al grandissimo, foto, immagini, elementi grafici che interagiscono con
il testo, testi capovolti o che necessitano di essere letti allo specchio,
pagine volutamente lasciate bianche.

Figura 5.19 McLuhan Marshall, Fiore Quentin - Il Medium è il Massaggio:


un inventario di effetti

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Il testo musicale 191

L’esperimento non terminò però qui il testo “scritto” fu infatti arric-


chito da un vinile audio pubblicato dalla Columbia Records nel 1968,
“concepito e coordinato” da Jerome Agel, autore insieme a McLuhan
e Fiore (In Rete 5.101, Medium/Massage Record).101 Agel in una let-
tera inviata a McLuhan il 22 marzo 1967 descrive il progetto CBS-
Columbia Records come un LP “designed for young people–it is de-
signed to be a 40-minute interface–it is designed to be heard again and
again and again and again and again, like a pop record.”
Questo profetico collage sonoro non è un semplice gadget ag-
giuntivo, è parte integrante del libro, arriva lì dove quest’ultimo non
riesce: se il libro è infatti un ibrido tra elementi testuali e visivi che
ambiscono a una “sonorità” tramite l’utilizzo particolare dei grasset-
ti, della punteggiatura, di onomatopee, che gli è però preclusa, il di-
sco riesce nell’intento. L’intero LP ruota intorno a frasi registrate di
McLuhan interrotto da altri oratori, cut-ups di vario tipo, frammenti
della cultura pop, brani tratti da Finnegans Wake e l’Iliade, incursioni
del tecnico del suono, effetti sonori, tape loops velocizzati e rallentati,
suoni d’ambiente, rumori, il tutto combinato insieme per creare una
tessitura accompagnata da musiche jazz, classiche, pop e psichedeli-
che. Ad un primo ascolto “concentrato”, “lineare”, il collage sono-
ro produce un effetto caotico nell’ascoltatore, mentre ad un secondo
ascolto “distratto”, come sottofondo sonoro, sembra replicare il fun-
zionamento, il “flusso” e la reticolarità avvolgente e sonora dei mezzi
elettrici. Come affermato da Paul D. Miller che nel 2012 ha remixato
l’originale e rara registrazione audio del 1968 (In Rete 5.102, DJ Spo-
oky remix)102 è un mix-tape fatto in un’epoca diversa, prima della na-
scita di file multimediali digitali, ma che ha lo stesso tipo di risonanza
di un qualsiasi progetto di sound art contemporaneo. Ed è impressio-
nante pensare come tutto questo sia stato fatto in un momento in cui
la televisione era appena nata e si sarebbe dovuto aspettare ancora
vent’anni prima di poter veder nascere il primo personal computer.
McLuhan ha fatto un utilizzo della registrazione non meno profetico
delle sperimentazioni a pianoforte del collega canadese Glenn Gould,

101 The Medium is the Massage; with Marshall McLuhan. Long-Playing Record 1968.
Produced by John Simon. Conceived and co-ordinated by Jerome Agel. Written
by Marshall McLuhan, Quentin Fiore, and Jerome Agel. Columbia CS 9501,
CL2701. The Medium is the Massage: An Inventory of Effects, www.ubu.com/
sound/mcluhan.html.
102 Paul D. Miller, Dead Simple: Marshall Mcluhan and the Art of the Record, http://
www.djspooky.com/articles/mcluhan.php https://soundcloud.com/mcluhan2011eu/
dj-spooky-marshall-mcluhan

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192 Capitolo 5

o delle composizioni con collage e nastri magnetici di esperti di musi-


ca concreta, elettronica ed elettroacustica.
Il testo di McLuhan e Fiore, precedentemente remixato da innu-
merevoli artisti, tra cui Kate Armstrong con l’opera Medium (In Rete
5.103, Medium)103 per l’esposizione Medium_Massage 2.0: an infinite
inventory (In Rete 5.104, Medium_Massage 2.0),104 è stato recente-
mente omaggiato dal libro The Electric Information Age Book di Jef-
frey Schnapp Direttore del Meta Lab dell’Università di Harvard, nato
dalla collaborazione con il designer Adam Michaels.
Jeffrey Schnapp e Kara Oehler hanno poi remixato The Medium
is the Massage: An Inventory of Effects per il sito Sensate adattandolo
per il web con un video interattivo in HTML5 intitolato “the first
spoken arts record you can dance to” (In Rete 5.105, Sensate).105 Ma
il progetto di remix non si è fermato qui, Jeffrey Schnapp insieme
ad Adam Michaels, Daniel Perlin, Shannon Harvey hanno formato il
gruppo The Masses e remixato la parte audio del libro di McLuhan
con l’album LP in edizione limitata The Electric Information Age Al-
bum (In Rete 5.106, The Masses)106 e con le performance live The
E-info Age Bookmix (In Rete 5.107, The Masses live).107

Flashbacks: “fissati” per la musica


Il 1948, nel processo di profonda metamorfosi del linguaggio musica-
le e della comunicazione sonora prodotto dalla tecnologia, è un anno
di rivoluzione che ha sconvolto il mondo della musica, non meno di
quanto avesse fatto, nel 1455, l’invenzione della stampa a caratteri
mobili, in quello della scrittura. In quell’anno Pierre Schaeffer, padre
della musica elettroacustica, riesce nell’intento di fissare dei suoni su
di un supporto, che ne permettesse la registrazione e successiva ripro-
duzione. I suoi lavori sono raccolti nei Cinq études de bruits e tra-
smessi alla Radio Francese il 20 giugno di quell’anno nel programma
Concert de Bruits. Nel 1951 dagli sforzi congiunti di Pierre Schaeffer,
Pierre Henry e Jacques Poullin nasce, presso gli studi RTF di Parigi, il

103 Kate Armstrong, Medium, http://www.year01.com/archives/852


104 Medium_Massage 2.0: an infinite inventory, http://www.year01.com/archives/project/
medium-massage-2-0
105 Jeffrey Schnapp, Kara Oehler, “the first spoken arts record you can dance to”,
http://sensatejournal.com/2011/03/jeffrey-schnapp-and-kara-oehler/
106 The Masses: http:/wearethemasses.net
107 The Masses in Milan, MiTo Festival Internazionale della Musica, Teatro Franco
Parenti, settembre 17 e 18, 2012, https://www.youtube.com/watch?v=tYMG2kC78-A

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Il testo musicale 193

Groupe de Recherches de Musique Concrète (GRMC, poi divenuto il


GRM tutt’ora esistente) che negli anni successivi diverrà polo di attra-
zione di numerosi compositori (In Rete 5.108, INA-GRM).108
La grande novità del lavoro di Schaeffer non risiede però nella
registrazione dei suoni, attività praticata già da tempo, ma nel fatto
che le sue composizioni per la prima volta includono materiali sonori
prodotti da oggetti, la cui natura era stata fino a quel momento con-
siderata non musicale, come pentole percosse, fischi di treni, trottole,
coperchi (In Rete 5.109, Etude aux chemins de fer).109
Il fissaggio sonoro, grazie alla tecnica schaefferiana, che più tardi
Michael Chion definirà della «fonofissazione» (Chion, 2004), porta
ad un’espansione del mondo sonoro a tutti gli elementi udibili, «stru-
menti musicali tradizionali, occidentali o esotici, voci, discorsi, vari
tipi di suoni sintetici» (Schaeffer, 1966 p.60) e l’inclusione di tutti
quelli considerati non-musicali: i rumori. In questo scenario è stato
profetico il lavoro dei rumoristi italiani all’interno del movimento fu-
turista: in particolare gli esperimenti di Russolo, i suoi intonarumori,
e il progetto di un’anti-musica esposto nel famoso L’arte dei rumori
del 1913. I rumori vengono imprigionati, decontestualizzati e riconte-
stualizzati all’interno di nuove sequenze sonore, ottenendo pari digni-
tà rispetto agli altri elementi, per la prima volta è possibile catturare
l’intero universo sonoro o, come l’avrebbe chiamato qualche anno più
tardi Murray Schafer, l’intero «soundscape» o «paesaggio sonoro»
(Schafer, 1985). Non a caso Pierre Schaeffer definì il proprio lavoro
musica concreta in quanto il suono veniva considerato nella totalità
dei suoi caratteri e delle sue proprietà.
Come la stampa rese per la prima volta infinitamente riproduci-
bile un testo, così il fissaggio sonoro rende i suoni riproducibili in un
secondo momento e in un diverso luogo. Con il fissaggio il concetto
stesso di musica viene sconvolto, così come era accaduto in prece-
denza con l’adozione della scrittura nei processi di composizione. Se
inizialmente ogni suono era indissolubilmente legato alla fonte che lo
aveva prodotto, adesso può essere conservato, amplificato e diffuso
ovunque; viene separato dalla propria origine, dal suo hic et nunc.
La tecnologia prende il posto della scrittura, il registratore rimpiazza
la notazione: nasce la musica elettro-acustica (In Rete 5.110, Elettro-
acustica).110 Lo Studio elettroacustico del secondo dopoguerra diviene

108 Groupe de Recherches Musicales (GRM): http://www.inagrm.com/ Institut national


de l’audiovisuel http://www. http://www.institut-national-audiovisuel.fr/.fr/
109 Pierre Schaeffer, etude aux chemins de fer, http://www.youtube.com/watch?v=
N9pOq8u6-bA
110 François Delalande presenta così il concetto: “Fino al 1948 esistevano due gran-

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194 Capitolo 5

uno dei luoghi dove l’incontro tra le tecnologie è vissuto con maggior
intensità e in cui convivono fianco a fianco grafici, magnetofoni, oscil-
latori e pentagrammi. I tecnici del suono divengono i veri responsabili
del prodotto finito, assumendo un ruolo essenziale nel processo crea-
tivo; registratori, banchi di missaggio, echi digitali, riverberi, equaliz-
zatori, fangers, divengono gli attrezzi del mestiere di questi nuovi «pa-
droni del suono» (Fabbri, 1996). È in questo clima che compositori
come Ives, Satie, Cowell e Schoenberg sperimentano le nuove risorse
elettroniche del suono.
Il fissaggio dei suoni permette per la prima volta un controllo
“chirurgico”, dove diviene possibile sezionare, ritagliare, manipolare
e sovrapporre materiali sonori diversi. Il compositore si trova così tra-
sformato in un «foniurgo» (Chion, 2004 pp. 4-5) capace di intervenire
direttamente sul “corpo sonoro fisico”. Se pensiamo al procedimento
tecnico del sillon fermé o solco chiuso, utilizzato da Pierre Schaeffer,
una vera e propria opera di collage sonoro, che consisteva nel fissag-
gio di frammenti di sequenze sonore su solchi sigillati di dischi a 78
giri, sovrapposti e riletti su giradischi differenti, non possiamo che
considerarlo come l’antenato del moderno dj. Questo rapporto sem-

di modalità di creazione e trasmissione: la tradizione orale e la scrittura. D’o-


ra in poi ne esiste anche una terza: l’elettroacustica. Ognuno di questi modelli
ideali rappresenta un insieme coerente di tecniche (eventualmente di materiali)
ma altresì di pratiche sociali, di circuiti di diffusione, di formazione, che tutti in-
sieme costituiscono le condizioni della stessa esistenza di un pensiero musicale e
dell’emergere di ‘linguaggi’ specifici. Vi è dunque un effetto sistemico, una logica
delle tecniche, che chiameremo ‘paradigma tecnologico’. Prendiamo il caso della
musica scritta [...] Quando si impiega l’espressione ‘musica scritta’, si intende in
realtà designare tutta questa rete di produzione-conservazione-trasmissione, tut-
to quel coerente insieme funzionale che essa designa. O quanto meno, questa è
una delle accezioni dell’espressione, quella che si adotta implicitamente contrap-
ponendola a ‘musica di tradizione orale’ [...] Con la ‘musica elettroacustica’ fa la
sua comparsa un terzo sistema di produzione musicale completamente differente
in ogni suo aspetto, dagli strumenti di produzione fino alle reti di diffusione
[...] tale definizione è molto ampia: essa ingloba, come minimo, tutte le musiche
realizzate in studio o per mezzo di sintetizzatori, computer, campionatori, ecc.,
a condizione che vengano diffuse esclusivamente tramite altoparlanti, compren-
dendo in tal modo molta musica leggera, pop, rock, techno ed altre ancora. È
qui che si scorge l’ampiezza del fenomeno: così come ‘musica scritta’ non implica
un genere particolare, ma piuttosto una modalità di funzionamento intellettuale
e sociale della produzione musicale, altrettanto la tecnologia della realizzazio-
ne meccanica produce ripercussioni sociali non meno che estetiche; niente più
interpreti, niente più scrittura, niente più solfeggio obbligatorio”. François De-
lalande, “Il paradigma elettroacustico”, in Jean-Jacques Nattiez, a cura di, Enci-
clopedia della musica, vol. 1: Il Novecento, Einaudi, Torino 2001, pp. 381-403,
http://www.e-musiweb.org/DOCprogetto/PDF/Maragliano.pdf

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Il testo musicale 195

pre più “chirurgico” con il suono sarà un crescendo fino alla sua vera
e propria numerizzazione avvenuta con la digitalizzazione.
Con il fissaggio scompaiono le partiture e si impone l’ascolto
“acusmatico”, i suoni vengono scollegati dalla loro causa e sorgente, e
riprodotti attraverso altoparlanti: «si sente senza vedere la causa ori-
ginaria del suono» (Chion, 1999 p. 65). Il termine è stato battezzato
da Jérôme Peignot in riferimento agli acusmatici, i discepoli di Pitago-
ra, ai quali il maestro teneva lezioni nascosto da un sipario, in modo
da non fuorviarli con i propri gesti ed espressioni facciali. La radio, il
disco, il telegrafo o il telefono, che trasmettono i suoni senza mostrare
il loro emittente, sono i media acusmatici per eccellenza e inaugurano
quella che Schafer ha definito era della «schizofonia»:

il greco schizo vuol dire divisione, separazione; il vocabolo greco phoné


significa voce. La parola schizofonia indica, pertanto la frattura esistente
tra un suono originale e la sua trasmissione o riproduzione elettroacustica.
(Schafer, 1985 p. 131)

L’esperienza schaefferiana darà il via a quella che ai nostri giorni diver-


rà una pratica molto diffusa, l’utilizzo di suoni campionati registrati
digitalmente, mentre nel 1950 verrà fondato a Colonia da Herbert Ei-
mer, Robert Beyer e Werner Meyer-Eppler lo Studio fur Elektronische
Musik, che porterà alla nascita della cosiddetta musica elettronica:
musica composta da suoni sintetici generati direttamente da program-
mi e generatori elettronici, successivamente montati e mixati su un na-
stro magnetico. Se il compositore di musica concreta lavora con suoni
della vita reale registrati su nastro magnetico e manipolati tramite il
montaggio, «il compositore di musica elettronica, invece, vuole e crea i
«suoi» suoni: non usa microfoni, ma generatori di suono o di rumore,
filtri, modulatori e apparecchiature di controllo che gli permettono di
investigare un segnale acustico nella sua struttura fisica» (Berio, 1956
p. 108). La posizione degli elettronici è quindi in sostanza opposta,
non si catturano suoni prelevandoli dal mondo reale ma si lavorano
direttamente sulla materia sonora come su di un codice genetico: per
utilizzare le parole di Stockhausen, «la musica elettronica non ricorre
al nastro e all’altoparlante solo per riprodurre musica già esistente, ma
per produrre musica nuova» (Stockhausen, 1959 p. 55-67). Paralle-
lamente agli sviluppi francesi e tedeschi, nel 1951 viene fondato negli
Stati Uniti da John Cage, Earle Brown, Christian Wolff e David Tudor
il Music for Magnetic Tape Project. Nello stesso anno Bruno Maderna
scrive la sua Musica su due Dimensioni per flauto, percussioni e nastro
magnetico, prima performance live a prevedere l’interazione tra un

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196 Capitolo 5

musicista dal vivo ed un nastro registrato e nel 1955 insieme a Luciano


Berio fonda lo Studio di Fonologia musicale della RAI.
Nel 1958 Varèse pubblica il suo Poème électronique, composi-
zione presentata in un profetico spettacolo multimediale realizzato
nel Padiglione Philips dell’Esposizione Universale di Bruxelles, nel
quale la musica viene sincronizzata con un film in bianco e nero di
fotografie selezionate dall’architetto Le Corbusier (In Rete 5.111,
Poème électronique).111 Negli stessi anni Pierre Schaeffer riorganizza
lo studio parigino nel Groupe de Recherches Musicales. Allo studio
lavoreranno anche Luciano Berio e il compositore, matematico e ar-
chitettetto greco Yannis Xenakis che nel 1957 pubblicherà la famosa
composizione Diamorphoses.
Tra il 1961 e il 1963 compare per la prima volta la parola «Fluxus»
sugli inviti delle tre conferenze musicali “Musica Antiqua et Nova”
organizzate a New York dall’artista lituano George Maciunas, viene
organizzato il Fluxus festival allo Stadtische musium di Wiesbaden,
ed esce il Fluxus Manifesto considerabile come la sintesi degli sviluppi
e delle innovazioni raggiunte nei vari campi dell’arte nel Novecento.

Figura 5.20 Nam June Paik, Concerto for TV Cello and Videotapes con
Charlotte Moorman, New York, 1971

111 Edgar Varèse, Poème électronique, 1958, http://www.youtube.com/watch?v=eEG5


y7ulqlY

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Il testo musicale 197

Oggi i nastri magnetici, supporti rivoluzionari e privilegiati degli ar-


tisti elettronici e elettroacustici, sono pressoché scomparsi, mentre il
disco è oggetto custodito da amatori e nostalgici. Il supporto ana-
logico è stato quasi completamente rimpiazzato da supporti digitali
incorporei e intangibili. I nuovi strumenti di creazione e riproduzione
del suono sembrano aver avverato la profezia di Varèse quando ebbe
a dire che:

sono certo che arriverà un giorno in cui il compositore dopo aver realizzato
graficamente la propria partitura la vedrà trasferirsi automaticamente in
una macchina che ne trasmetterà fedelmente all’ascoltatore il contenuto
musicale. (Varèse, 1985 p. 103)

La musica è onnipresente, fluida, invade gli spazi e ci accompagna co-


stantemente in tutti quei «non-luoghi» descritti da Marc Augé. Il so-
gno di imprigionare e sconfiggere l’intrinseca “intangibilità” del testo
musicale si è avverato grazie alle conquiste tecnologiche. Le tecnologie
hanno concretizzato un’antica aspirazione dell’uomo, il desiderio di
“imprigionare” e sconfiggere la naturale impalpabilità della musica.
Le tecnologie hanno da sempre accompagnato i mutamenti avvenuti
a livello sociale, in qualche modo “assecondando” i bisogni espressi e
inespressi dell’individuo, e sì «l’evoluzione della musica è parallela al
moltiplicarsi delle macchine» (Russolo, 1978). Così anche la musica
elettronica non nasce nel momento in cui si giunge ad un determinato
progresso tecnologico, ma è tutto ciò che accade a livello sociale e dei
linguaggi utilizzati che produce il cambiamento a livello musicale, e
quindi di fatto il suo avvento:

non costituisce un avvenimento causale, né una «trovata straordinaria»


e neppure è una conseguenza del fatto che il musicista d’oggi s’è trovato
a poter disporre di nuovi mezzi di registrazione del suono, di analizzatori
d’onda, di filtri, di generatori di frequenza ecc. Molti anni sono occorsi
prima che il musicista arrivasse ad utilizzare tali mezzi per costruire
musica: ragioni che vanno oltre l’occasione tecnica di un moderno
strumento elettroacustico o elettronico, hanno fatto sì che la disponibilità
di tali mezzi abbia coinciso con alcune necessità del linguaggio musicale.
Infatti il musicista sa che la «musica elettronica» non va identificata con i
suoi mezzi ma, piuttosto, con le idee di organizzazione musicale a cui s’è
oggi pervenuti e che tale esperienza è chiaramente in rapporto alla storia
della nostra civiltà musicale (Berio, 1956 p. 109).

e direi che lo stesso vale oggi per il digitale.

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198 Capitolo 5

Conclusioni
sembra che si possa musicare la musica così come si dipinge un quadro
l’evoluzione dei mezzi meccanici di riproduzione […] determina un si-
gnificativo avvicinamento tra riproduzione e produzione. […] Se le opere
diventano la propria riproduzione, è prevedibile che le riproduzioni di-
ventino opere.

Adorno

A partire dall’invenzione del fonografo a cilindri di Edison e successi-


vamente il grammofono di Berliner, la storia della musica venne scon-
volta dalla possibilità di riprodurre tecnicamente un suono; la possi-
bilità di “fissare” su un supporto, incidendo un solco su un foglio di
alluminio prima, e su un disco in vinile poi, ha permesso un processo
simile a quello accaduto con l’avvento della fotografia, non a caso i
due termini “fotografia” e “fonografia” condividono una comune radi-
ce etimologica greca (graphein/γραφειν) che significa scrivere, e che ne
fa della prima il processo di scrittura mediante la luce, e della seconda
una scrittura mediante il suono. A questo proposito il compositore e
teorico François-Bernard Mâche ha coniato il termine Fonografia per
descrivere la pratica di registrazione del suono intesa come fotografia
sonora. Come spiegato da Roland Barthes, la fotografia è «letteral-
mente un’emanazione del referente», (Barthes, 2003 p. 81) in quanto
permette di fissare i raggi luminosi, le “brillanze” emesse da un sogget-
to, catturate ed impresse su una lastra fotografica grazie alle sensibi-
lità degli alogenuri d’argento. È quindi un ”indice”, che mantiene un
rapporto di causalità con il proprio referente, come un’orma nella neve
lo mantiene con colui che l’ha impressa. Allo stesso modo le tecniche
d’incisione e registrazione dei suoni permettono di “trattenere” le onde
sonore su un supporto, di “fissare” le impronte sonore, mantenendo
quel carattere di causalità con i fenomeni che le hanno prodotte.
Il digitale, anche se in modo diverso, esalta il concetto di impronta
sonora. Applicazioni per smartphone come Shazam (In Rete 5.112,
Shazam)112 e SoundHound (In Rete 5.113, SoundHound)113 creano
impronte digitali acustiche per l’identificazione musicale. Il microfo-
no incorporato nel dispositivo mobile viene utilizzato per catturare
un breve campione di una canzone trasmessa da qualsiasi sorgente,
stereo, radio, televisione, cinema, club, computer, smartphone o anche

112 www.shazam.com
113 soundhound.com

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Il testo musicale 199

semplicemente canticchiata. Un’impronta digitale viene generata sul-


la base del campione e confrontata con un database, dove preceden-
temente sono state memorizzate miliardi di altre impronte. Se viene
trovata un’impronta che combacia o simile a quella preregistrata, il
programma genera le informazioni sull’artista, il titolo della canzo-
ne e l’album e le mostra sul display dell’utente, rimandando anche a
servizi come iTunes, YouTube e Spotify, dove è possibile acquistare
o scaricare i brani. L’utente può ascoltare il brano in tempo reale e
condividerlo sui propri profili di social network.
La riproducibilità tecnica del suono sembra creare un rapporto
diverso tra Originale e Copia riprodotta rispetto ad altre forme di
riproducibilità. Forse l’ambiguità della riproducibilità di un’opera
d’arte sonora proviene dal concetto stesso di opera musicale. Se
l’originalità di un’opera d’arte, scritta, plastica, architettonica o
pittorica, proprio per la sua consistenza materiale, sopravvive alla
scomparsa del suo creatore, l’originalità di un’opera d’arte musicale,
per l’immaterialità propria della musica, è indissolubilmente legata a chi
l’ha pensata e generata. L’originalità della cappella Sistina sopravvive
alla morte di Michelangelo, mentre, nel caso della Nona di Beethoven,
l’unico modo per far sopravvivere l’originale, è il fissaggio sonoro e
la registrazione. Se nel caso, infatti, dello spartito, della notazione,
della partitura la ri-concretizzazione della musica viene affidata ad un
soggetto “altro”, e quindi si perde il legame che univa l’opera al suo
creatore, al suo personale stile di esecuzione, all’idea stessa che egli
aveva della creazione, con la riproducibilità questo legame in qualche
modo sopravvive. Se esistesse una macchina “produci fughe” molto
probabilmente sarebbe in grado di comporre un’opera del tutto simile
a quelle di Bach, ma essa mancherebbe, comunque, dello stile del
proprio autore. La riproduzione, al contrario, non crea una frattura
tra originale e copia, con essa non si ottengono tante copie di un
originale, bensì tanti originali tutti identici, o tante copie di originali
tutte identiche.
Fino all’avvento della registrazione e del fissaggio sonoro gli stru-
menti rimarranno l’unico modo per materializzare, concretizzare, le
scritture musicali, e il “testo musicale” l’unico elemento di separazio-
ne tra creazione ed esecuzione, tra soggetto creatore e interprete. Con
la riproducibilità tecnica del suono, al contrario, la performance e
l’interpretazione acquisteranno lo status di veri e propri atti creativi.
Infatti, differentemente da quanto avviene con il testo cartaceo, nel
caso del nastro magnetico, è il testo a essere direttamente eseguito e
l’opera, concepita e fissata dal compositore, è inseparabile dal suo
contenuto interpretativo: composizione, testo e interpretazione coin-

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200 Capitolo 5

cidono. Come ha osservato Bruno Maderna a proposito del lavoro


con il nastro magnetico: “il contatto immediato con la materia so-
nora durante il lavoro pratico in studio ha sempre delle conseguenze
che non si possono fissare una volta per tutte sulla carta” (Maderna,
1985 pp. 85-86).

L’effetto di una manipolazione su un suono è imprevedibile a priori sulla


carta, se non in casi particolari. Per questa musica [...] la fabbricazione
del materiale sonoro non termina che al momento in cui viene dato
l’ultimo tocco alla realizzazione dell’opera. Il materiale non è già esistente
all’inizio; come la materia visiva per il pittore, esso non è il punto di
partenza, bensì il punto d’arrivo, lo scopo. Mentre, simmetricamente, la
composizione inizia con il primo suono fissato. (Chion, 2004 p. 52)

Con la produzione direttamente in studio il confine tra originale e


copia sfuma completamente, non si ri-crea un’opera ma si crea, si
produce e non si ri-produce: “esecuzione e registrazione diventano
così un testo unico che si dà come l’originale. Se esiste un originale
o un autentico, questo risiede solo su supporto tecnico e non altro-
ve” (Dusi, Spaziante, 2006 p. 67). La composizione elettronica è già
pensata in fase di elaborazione con il mezzo e per il mezzo, la sua
struttura e le sue caratteristiche sono intrinsecamente legate alla fonte
che le ha prodotte o che le dovrà riprodurre. Ciò che viene registrato
è l’atto compositivo stesso, il compositore non crea immediatamente
il prodotto finale, è il processo che conduce al risultato, avviene una
sorta di “morte dell’autore”, ma la scomparsa stavolta non avviene a
discapito del lettore, bensì della procedura stessa.
La registrazione sonora, inoltre, rispetto alla scrittura che com-
portava sempre un margine d’interpretazione soggettiva e dunque di
nuova “creazione” rispetto al già creato, rende possibile tradurre in
“oggetto” duraturo un suono, un rumore, così come un’intera compo-
sizione, producendo una sorta di oggettivazione dell’opera musicale,
perché la performance diretta (orchestra, a solo ecc.) è unica, è forse
la massima dimostrazione dell’aura benjaminiana dell’hic et nunc, è
unica per l’unicità dei suoi parametri spazio-temporali, mentre l’ope-
ra riprodotta, si trasforma in “oggetto tangibile”. Il suono acquisisce
un’esperienza fisica, tattile. Il disco “tocca” letteralmente i propri fru-
itori creando un’esperienza audio-tattile sempre più “corporea” e non
“scritta”. Grazie ai procedimenti di fissaggio e riproducibilità, la fon-
te sonora diviene sempre più vicina alla corporeità del soggetto, fino
alla totale immersione permessa dall’ascolto in cuffia, dove la musica
ci avvolge come un liquido.

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Il testo musicale 201

Con il tempo le tecniche d’incisione e manipolazione saranno


migliorate, così come i supporti, ma il processo rimarrà fondamen-
talmente inalterato fino alla virtualizzazione del suono avvenuta con
l’avvento delle tecniche digitali. Con il Web le canzoni vengono de-
contestualizzate dal macrotesto da cui provengono e vanno ad ali-
mentare il cyberspazio musicale, un’immensa libreria di microconte-
nuti a disposizione di ogni utente. La musica ottiene un’estensione
enciclopedica, dove tutti i frammenti sonori divengono interconnessi
e parte di processi di transtestualità (Genette, 1997).
La creazione e l’ascolto di musica divengono sempre più una vera
e propria opera di «bricolage» (Turkle, Papert, 1990 pp. 128-157) e
«gastronomia sonora», (Dusi, Spaziante, 2007 p. 78) la musica vive
nell’appropriazione dei vari frammenti dispersi nel cyberspazio, ognu-
no può prelevare materiale, riarrangiarlo, remixarlo, trasformarlo e
rimetterlo nel flusso, divenendo allo stesso tempo creatore, ascoltato-
re, produttore, autore, interprete. Il dj sa bene che nel momento stes-
so in cui immetterà una propria opera all’interno della Rete, questa
sarà disponibile alla rielaborazione da parte di qualcun’altro, e che
la sua narrazione non è altro che un capitolo di un opera ben più
ampia. Non c’è più qualcuno che crea e qualcuno che riceve bensì
un circolo continuo di connessioni tra produzione, consumo, ripro-
duzione, rielaborazione. La figura dell’autore tende a scomparire e il
patrimonio musicale si rinnova e amplia ogni giorno grazie a forme
di «intelligenza collettiva musicale» (Lévy, 1999 p. 139). Il processo
di numerizzazione rende la musica non soltanto estremamente porta-
bile ma sempre più “liquida”. Se fino all’avvento del digitale essa era
essenzialmente legata a supporti hardware come vinili e CD, con la
fase digitale diviene un bene immateriale. Molto di quello che prima
l’artista poteva fare soltanto grazie all’aiuto di company ed etichette
discografiche adesso può farlo da solo. I software di audio editing
hanno democratizzato i processi di produzione e creazione della mu-
sica, mentre i sistemi di file-sharing e condivisione musicale hanno
consentito inedite forme di diffusione, producendo una disenterme-
diazione dell’intero processo distributivo.
Quasi ogni giorno nasce una nuova piattaforma o social network
dedicato al mondo musicale, un servizio di musica in streaming, di
internet radio, di musica on demand o cloud music (In Rete 114, So-
cial Music).114 I social media vengono utilizzati dai musicisti per pro-

114 Tra i più famosi ricordiamo: Twitter#music https://music.twitter.com/; Spotify


https://play.spotify.com/ Pandora http://www.pandora.com; Myspace https://myspace.
com/; iTunes http://www.apple.com/it/itunes; Grooveshark http://grooveshark.

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202 Capitolo 5

muovere la propria musica e dai fans per comunicare con i propri


artisti. Molti degli account più seguiti di Twitter e Facebook sono
di musicisti, e questi canali di comunicazione sono ormai privilegiati
rispetto ai media ufficiali per interagire con il pubblico. Significativa
da questo punto di vista è sicuramente la campagna mediatica messa
in piedi dai Daft Punk per l’uscita del loro ultimo lavoro RAM Ran-
dom Access Memories (2013). Il duo francese ha infatti mostrato di
saper sfruttare la curiosità e suspance prodotte dall’utilizzo della Rete,
riuscendo grazie al digital storytelling e alla narrazione transmediale
(Ryan, 2004), a creare un’aura di mistero e fascino attorno al pro-
dotto, mantenendo allo stesso tempo sempre degli spazi vuoti e di
non detto che i fans potessero sbizzarrirsi a riempire, divenendo così
protagonisti della storia.
Tutto è cominciato alla fine di febbraio del 2013 quando su Fa-
cebook è comparsa una strana immagine di una maschera robotica
divisa in due parti che si scoprirà poi essere la futura copertina dell’al-
bum. La maschera e l’anonimato diverranno elementi simbolici che
caratterizzeranno l’intera campagna pubblicitaria.
La strategia di marketing ha integrato i tradizionali mezzi di co-
municazione alle possibilità garantite dal social networking. Una serie
di cartelloni pubblicitari e poster sono stati collocati durante il festival
musicale e cinematografico South By South West di Austin, per poi
diffondersi in altre città. Dai luoghi fisici le immagini hanno poi ini-
ziato a spopolare in Rete condivise su Facebook, Instagram, Pinterest
mentre alcuni utenti di Reddit hanno addirittura creato una mappa
dove segnalare tutti gli avvistamenti.
Il 2 marzo viene mostrato un breve teaser di 15 secondi durante il
Saturday Night Live (In Rete 5.115, #1Teaser)115 che approda imme-
diatamente in Rete e produce talmente tanti retweet e condivisioni da
far crollare il sito ufficiale della band.
Un secondo teaser che rivela il titolo dell’album: Random Access
Memories compare il 23 marzo sempre al Saturday Night Live (In
Rete 5.116, #2Teaser).116

com/; Rdio http://www.rdio.com/ Deezer http://www.deezer.com/it/; Google Play


Music https://play.google.com/about/music/; Soundcloud https://soundcloud.
com/; Rhapsody http://www.rhapsody.com/start/; Slacker http://www.slacker.
com/ MOG https://mog.com/; Last.fm http://www.lastfm.it/; Xbox Music xbox.
com/Music
115 Daft Punk Saturday Night Live 2013 TEASER - http://www.youtube.com/
watch?v=hBSPM9mg7Fo
116 Daft Punk SNL ad #2 - http://www.youtube.com/watch?v=ZR_qTyRXuYk

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Il testo musicale 203

A inizio Aprile The Creators Project rilascia il primo video di una


serie di mini-documentari intitolata The Collaborators (In Rete 5.117,
The Collaborators)117 contententi interviste a tutti i collaboratori
dell’album da Giorgio Moroder a Panda Bear, da Julian Casablancas
degli Strokes a Pharrell Williams.
L’annuncio ufficiale dell’album avviene in un luogo decisamente
insolito la fiera agricola australiana, denominata Wee Waa, che ogni
anno si tiene in una cittadina del Nuovo Galles del Sud. Per il terzo
teaser i Daft Punk scelgono una location decisamente più popolare,
il video viene infatti mostrato durante il Coachella Festival (In Rete
5.118, Coachella Teaser).118 Nel teaser il brano “Get Lucky” viene fi-
nalmente fatto ascoltare per un minuto consecutivo e mostra Pharrell
Williams alla voce e Nile Rodgers degli Chic al basso.
Il giorno seguente il filmato viene trasmesso nuovamente duran-
te il Saturday Night Live. A poche ore dallo show americano Fabio
Nirta blogger e dj di Cosenza raccoglie tutti i micro-frammenti del
singolo fino ad allora circolati: il commercial a Saturday Night Live,
l’intervista a Giorgio Moroder, l’intervista a Nile Rodgers e il teaser
del Coachella e li assembla in una versione molto simile a quella uffi-
ciale (In Rete 5.119, Get Lucky Fake).119
“Get Lucky” esce il 19 Aprile in anticipo rispetto alla tabella di mar-
cia sia in radio che su iTunes e Spotify dove in poche ore raggiunge la
cima della classifica sia per quanto riguarda i download dal servizio
Apple che per gli stream su Spotify, dove diventa la canzone più ascol-
tata di sempre.
Durante l’ultima settimana prima dell’uscita del disco viene rila-
sciato il video dell’unboxing di Random Access Memories dove per
la prima volta è mostrato il packaging dell’album (In Rete 5.120,
Unboxed).120
Dopo che l’intero album è trapelato nel pomeriggio del 13 maggio
tutte le tracce vengono rese disponibili gratuitamente per lo streaming
sulla piattaforma iTunes la sera stessa. Nei primi 4 giorni di pubblica-
zione, vende più di 133.000 copie nel solo Regno Unito.

117 Daft Punk, Random Access Memories, The Collaborators: http://www.youtube.


com/playlist?list=PL6uqON-thyrbyAiB8LYlhvyyIDSAHpd7s
118 Daft Punk Pharrell “Get Lucky” SNL Ad- http://www.youtube.com/watch?
v=JMJwcOiBoZE
119 Daft Punk - Get Lucky feat. Pharrell Williams & Nile Rodgers (Single) http://
www.youtube.com/watch?v=L4HYMhdhty8
120 Daft Punk - Random Access Memories Unboxed - http://www.youtube.com/
watch?v=Rr12u1tk_rM

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204 Capitolo 5

Figura 5.21 Daft Punk Darkside. Copertine degli album

In pochi giorni la Rete viene invasa da remix, cover e parodie del


brano che diviene in pochi giorni uno dei più remixati della storia.
Una versione di dieci minuti remixata dagli stessi Daft Punk com-
pare su Spotify il 16 Luglio, anticipata da un video promozionale
(In Rete 5.121, Get Lucky Remix Video Promo),121 mentre il canale
«baracksdubs» realizza la propria versione cantata dal Presidente (In
Rete 5.122, Get Lucky Obama).122 Il duo Darkside, nato dalla colla-
borazione musicale tra il produttore Nicolas Jaar e il musicista Dave
Harrington (In Rete 5.123, Darkside)123 si trasforma per l’occasione
in Daftside e remixa l’intero album intitolandolo “random access me-
mories memories” (In Rete 5.124, Daftside).124
Nonostante non sia ancora chiaro quale potrà essere il destino
del testo musicale c’è, a mio parere, un’innegabile democraticità in
questi processi e forse l’espressione più alta e nobile del fare arte. Mai
come oggi artista e pubblico hanno potuto collaborare in modo così
vicino alla realizzazione di oggetti artistici. I fruitori hanno ottenuto
ruoli inediti nei confronti dell’opera d’arte e degli artisti, a tal punto
che a volte capita che siano proprio loro a venire in soccorso di artisti
affermati alle prese con i nuovi strumenti di diffusione digitale della
musica (In Rete 5.125, Fan Collaboration).125

121 Get Lucky Remix Video Promo: http://www.youtube.com/watch?v=LquuPcRDMNo


122 Barack Obama Singing Get Lucky by Daft Punk (ft. Pharrell) http://www.youtube.
com/watch?v=A6PEboTpcfI
123 Darkside, http://www.darksideusa.com/
124 Daftside, https://soundcloud.com/daftside-2
125 È capitato il 26 settembre 2012 a Four Tet uno dei produttori di musica elettronica
più famosi al mondo: Andrea Girolami, Un musicista si allea con i fan per il
download illegale, Wired.it, http://blog.wired.it/captcha/2012/09/27/un-musicista-

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Il testo musicale 205

Il Web era nato dall’esigenza di facilitare lo scambio d’idee e con-


tenuti tra le persone, come innovazione sociale più che tecnica, e il suo
obiettivo era quello di unire più che di separare. Negli ultimi anni ha
riacquistato una dimensione sempre più sociale che in qualche modo
lo sta riavvicinando all’originario progetto del suo inventore. La Rete,
prima del Web, era anch’essa nata da un sogno d’ibridazione. Per la
prima volta si prefigurava la possibilità di contaminare e condivide-
re linguaggi, tecniche, informazioni, conoscenze, saperi e discipline
prima rigidamente separati. L’architettura di Internet, fin dalla prima
rete Arpanet, era stata pensata infatti come peer-to-peer (paritaria),
l’obiettivo era quello di realizzare un sistema completamente decen-
tralizzato, costituito da un insieme di nodi interconnessi e non gerar-
chizzati, dove i contenuti fossero disponibili in più macchine connesse
da una parte all’altra della Rete, e non in un unico server centrale.
Quando però il Web divenne popolare e il commercio giunse sulla
rete, i Web servers divennero dominanti e la struttura peer-to-peer
di Internet venne sostituita da strutture gerarchiche di client e server.
Quello che era nato come un ambiente libero e democratico di crea-
zione e condivisione di contenuti finì per essere trasformato in sem-
plice ambiente di lettura passiva, in una Rete controllata di lettori: in
poche parole niente più che una TV interattiva. Questo non era però
quello che Tim Berners Lee aveva in mente quando lo progettò:

philosophically, if the Web was to be a universal resource, it had to be


able to grow in an unlimited way. Technically, if there was any centralized
point of control, it would rapidly become a bottleneck that restricted
the Web’s growth, and the Web would never scale up. Its being “out of
control” was very important. (Berners Lee, 1999 p. 99)

Ha quindi ancora senso cercare di bloccare i processi di rielaborazio-


ne testuale da parte degli utenti? Il fatto che il testo digitale sia riela-
borabile ne svaluta realmente la qualità finale? Cos’è più importante:
barricarsi nel tentativo di proteggere una passata qualità delle opere
d’arte o sostenere i processi che portano milioni di persone a espri-
mersi, condividere, produrre e creare come mai è stato fatto prima?
L’obiettivo finale non dovrebbe essere sempre e comunque quello di
comporre una melodia non ancora ideata, il finale di un film non an-
cora girato, una storia non ancora scritta? Credo che il modo migliore
di rispondere sia quello di affidarci alle parole di un artista che, nel

si-allea-con-i-fan-per-il-download-illegale.html Un musicista si allea con i fan per


il download illegale.

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206 Capitolo 5

tentativo di rispondere ai quesiti posti dalla propria epoca, in modo


indiretto ci ha fornito una via di risoluzione ai nostri:

penso che quello che c’è di più strano nella registrazione e nel modo che
ha la gente di reagirvi [...] è che c’è un sorprendente miscuglio di demo-
crazia e di autocrazia. Evidentemente la registrazione è autocratica nel
senso che, nel momento in cui il prodotto finale esce dallo studio, sono
io che l’ho per così dire inscatolato, montato e orientato secondo il mio
umore del momento, il che significa che magari la settimana dopo non
sarebbe necessariamente montato nello stesso modo. Quando il disco
viene immesso sul mercato porta l’impronta di una concezione che mi
appartiene interamente. Tuttavia assume un carattere democratico, se si
pensa che, una volta uscito dallo studio, non sarà mai sentito come l’ho
sentito io. Vorrei molto che questa differenziazione e le possibilità per l’a-
scoltatore fossero infinitamente più grandi di quanto siano attualmente.
Ma lo diventeranno, è questa la tendenza verso cui ci muoviamo [...] In
effetti, una volta uscita dallo studio, mi auguro vivamente che nessuno
ascolti la registrazione con l’impressione che io abbia voluto imporre una
concezione personale intoccabile. È chiaro che le ho dato alcune carat-
teristiche sulle quali non si può ritornare, perché non dispongo ancora
di una tecnologia che mi consenta di dire agli ascoltatori: ‘Ecco le sedici
registrazioni che ho fatto: prendetele come sono e montatele come prefe-
rite. Questo sarebbe l’ideale, sempre ammettendo che l’ascoltatore abbia
una vaga idea di quello che desidera. Bisognerebbe poter semplicemente
creare gli elementi del prodotti e renderli disponibili alla gente, dicendo:
‘Ecco la mia creatura; crescetela secondo i vostri gusti, i vostri desideri e
la vostra fede’. Questa tecnologia non esiste ancora. Ma piano piano ci
arriveremo. (Gould, 2004 p. 1989)

E ci siamo arrivati.

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