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a Eugenio Gara
come piccolo segno di una
grande riconoscenza.
COPYRIGHT 1975 BY © EDIZIONI ACCADEMIA, MILANO
Giulio Confalonieri
STORIA
DELLA MUSICA
Terza edizione riveduta e aggiornata
a cura di
Alfredo Mandellz
EDIZIONI ACCADEMIA
Le Storie della Music.a, fra Europa ed America, sono moltissime. Di queste, poi,
non poche presentano pregi immensi. Sono, insomma, opere di grande impor tanza e
di grande valore. Perché ne abbiamo scritta una anche noi? Perché, essendo stati
educati alla musica fin da bambini e avendo praticato l'esercizio della musica sotto
molteplici aspetti, della musica, dei suoi profeti ed apostoli, dei suoi «tempi», delle
sue vittorie è rimasta in noi una vibrazione incancellabile. È codesta vibra zione ed è il
fremito ancor vivo di codesta esperienza che noi abbiamo cercato di fissare nelle
pagine che seguono, riferendo/i, sì, alla sostanza storica, ma sforzan doci di
presentar/i nel loro stato più intimo di rivelazione, di conforto e di fede. Non per nulla,
quando il libro, in altra veste e in contenuto non del tutto simile, comparve per la
prima volta, noi avremmo voluto chiamarlo L'umana avventura della musica. Era un
titolo troppo ambizioso? Se sì, noi confessiamo il peccato e ne chiediamo scusa al
lettore. Al quale lettore abbiamo poi il dovere di additare l'affettuosa e intelligente
collaborazione prestataci, per questa nuova edizione, dal l'amico Alfredo Mandelli.
GIULIO CONFALONIERI
Milano, 12 ottobre 1968
Dopo la scomparsa di Giulio Confalonieri, che il mondo della musica ha per· duto il 26
giugno 1972, e nel rispetto di quanto era stato stabilito con lui, essendo necessario
ristampare questa Storia della musica gli editori hanno disposto una nuova revisione con
gli aggiornamenti indispensabili, ai quali ha ancora provveduto Alfredo Mandelli.
novc111hre 1975
INDICE GENERALE
81 104
107
83 108
85 109
86
111
88 1 13
88 1 13
1 15
90 1 16
92 1 17
94 1 17
1 18
l ndice generale
VII
121
Claudio Monteverdi
P
121
« Hostinato rigore " di Claudio
123
Come Monteverdi giunse al melodramma
124
Incertezza delle partiture secentesche
127
L'« Orfeo ,. monteverdiano
129
Il melodramma si diffonde
130
Il melodramma a Roma: Stefano Landi
133
Monteverdi madrigalista
135
Nasce a Venezia il teatro d'opera pubblico
137
Monteverdi a Venezia
Dopo Monteverdi
140
141
Francesco Cavalli
M2
Il melodramma italiano in Europa
143
Marcantonio Cesti
144
Due scuole: Venezia e Napoli - Prodromi del comico in musica
L'Oratorio e la Cantata
147
148
Giacomo Carissimi
Arie e Cantate
150
Antonio Viva/di
p. 204
Il « Prete rosso ,.
Il concerto vivaldiano 204
Altri autori di musica strumentale 205
209
Domenico Scarlatti 209
Una vita quasi tutta in ombra 209
Domenico Scarlatti e le sonate 210
La sonata clavicembalistica dopo Scarlatti 215
663
Capitolo ventitreesimo DUE AUSTRIACI ISOLATI
663
Anton Bruckner
665
Il mondo sinfonico di Bruckner
670
Hugo Wolf
673
«Der Corregidor ,. e altre musiche 675
Wolf, maestro del « Lied »
680
Capitolo ventiquattresimo l CASI DI FRANCIA
682
Il « grand opéra ''
683
Auber
684
Meyerbeer
686
Gounod
686
Georges Bizet
689
Lineamenti del genio bizetiano
694
696 « Tristano »
697 « l maestri »
« L'anello »
698 " Parsifal »
l ndice generale
700
Xli
p. 702
Capitolo venticinquesir.to ALLE FRONTIERE 702
D'EUROPA Nazionalismo musicale
707
In Spagna 708
710
L'azione di Felipe Pedrell
Albeniz e Granados 710
In Boemia 712
713
Smetana
Dvorak
71.5
I n Scandinavia 717
Grieg 718
In Finlandia 718
Sibelius 719
In Russia 721
Glinka
723
Caratteri etnofonici russi 726
« Nazionalisti » e << occidentalisti » 728
Ciaikovski 729
Il « Gruppo dei Cinque » 732
Rimski-Korsakov 733
Borodin
735
Mussorgski 737
Lirismo di Mussorgski
740
Capitolo ventiseiesimo IL SOGNO PIÙ GRANDE 740
Spiriti ottocenteschi 743
Verdi e Wagner
747
Verdi 747
Il « primo » Verdi n2
« Rigoletto ,. 753
« Il trovatore » 7.54
« La traviata >> 755
Dai « Vespri >> alla « Forza del destino >> 756
« Don Carlos » 757
« Aida » e il Requiem 759
« Otello » 763
" Falstalf »
764
Wagner
764
Wagner e la « rivoluzione » 768
La concezione wagneriana 770
La vocalità di Wagner 770
Nuova fluidità del ritmo 771
Penetrazione nell'incosciente 772
Interpretazione della natura
773
Dall'« Olandese volante » al « Lohengrin ,.
774
775 780
778
Xlii
Indice generale
L'Impressionismo
799
800
Claude Debussy
804
Maurice Ravel
807
Paul Dukas
809
Manuel de Falla
810
Inftuenze impressioniste fuori di Francia
813
Zandonai, Wolf-Ferrari, Pizzetti
Le musiche
820
820
Tre precursori: Mahler, Reger, Busoni
822
Schi:inberg e la scuola viennese
823
Alban Berg
824
Hindemith
« Le group des Six ». Honegger
825
826
Milhaud, Auric, Poulenc
828
In Russia
829
In altri paesi
833
In America
In Italia
838
838
Alfredo Casella
838
Gianfrancesco Malipiero
839
Luigi Dallapiccola
839
Petrassi, Ghedini
840
Lualdi, Mortari, Lattuada
841
Altri compositori italiani
843
Giancarlo Menotti
Igor Stravinski
843
849
Bibliografia essenziale
856
Indice dei nomi
STORIA
DELLA MUSICA
Capitolo primo
Come tutti sanno, una parte non trascurabile del progresso umano consiste nel
condannare come inutili e ingenui, come infantili e indegni di perderei tempo, buon numero
di quei problemi che ieri o ier l'altro parevano essenziali, che a padri e ad avoli toglievano il
sonno e che pure, sfuggendo alle tenaci ricerche, mandavano da lontano un messaggio: «
Se sei buono a risolverei, tu possiederai i segreti della vita ». Scaduti i tempi della pietra
filosofale, della quadratura del circolo e dell'elisir di giovinezza, quest'indagine intorno alla
possi bilità di definire la musica parve più dura a morire. E iniziata con gli inizi d'ogni
pensiero, con i primi tentativi di affidare a una scrittura il pensiero perché durasse, perché
testimoniasse di se medesimo anche in futuro, essa vivacchiò sino ai giorni presenti, dopo
aver raggiunto i suoi fastigi più alti tra la seconda metà del XVIII e la seconda del XIX secolo.
Ma oggi come oggi, giorno in cui scrivo, chiedersi che cosa è la musica farebbe sorridere
un vero scienziato o un vero filosofo. Cooesti personaggi, cui si deve da tutti il più grande
rispetto, codesti uomini sacrificati alle fatiche della conoscenza, hanno identificato qua e là,
in questo mondo sottoposto alla loro decifrazione, una certa quantità di « inconoscibili », e
hanno anzi posto la vera sapienza nell'ammettere lealmente l'incapacità umana di pene
trarli. L'umano sapere va attraversando una fase di umiltà che mi piace.
Ma insomma, tempo fu in cui gli antichi vollero raffigurare nella musica quasi un'orma
fuggevole impressa dagli iddii durante i loro viaggi terrestri, o l'eco di un'armonia superiore
in un mondo basso e per natura sua discor dante. Tempo fu in cui, cercandosi di rifare con
le nostre forze l'ordine su premo creato da Dio per atto semplice del suo pensiero, i mistici
cattolici, ondeggianti tra le compiacenze scientifiche di Aristotele e le adesioni ideali di
Platone, intravidero nella musica una specie di iniziazione previlegiata, dove gli occasionati
incontri matematici, derivati dal pitagorismo, sembravan quast annunciare il Verbo
attraverso il Numero.
Nella ricerca disperata dell'<< in sé >) delle cose, del nocciolo ultimo oltre il quale la
nostra conoscenza non potess� più operare le sue successive riduzioni, nella corsa al
noùmeno, estrema essenza di tutta la realtà sensibile, vero atomo o elettrone ideale,
paragonabile all'atomo o all'elettrone del mondo fisico, la filosofia tedesca che annunzia e
accompagna il Romanticismo si soffermò spesso sulla soglia della musica, come davanti a
un tempio possibile dell'Isi velata, della divinità misteriosa generatrice di tutta la vita.
Ma alfine gli uomini lasciaron ricadere le braccia; la compagna ch'era sempre con loro
rifiutava di svelare il suo volto. Allora, alla speranza di totali defini zioni succedette una
fredda cautela; e il segreto sospiro di rimpianto che accom pagnò la rinuncia venne
compensato dal senso di una nuova vittoria, quella
Storifl della murit:tJ
4
Anche la musica, come cento altre attività dell'uomo, sembra divisa in due grandi
tronconi dall'apparire del Cristianesimo. E se un distacco cosl netto, una cesura cosl
irrimediabile sono, nel campo della musica, il frutto di una semplice contingenza (cioè
non dipendono dall'essenza profonda della dottrina cristiana) non per questo essi ci
appaiono meno decisivi. Diremmo che il Cristianesimo, tutto ribollente di novità e tutto
acceso di scintille rivoluzionarie, liquidasse tal
volta il passato e inaugurasse l'avvenire anche al di fuori di qualsiasi suo inter vento
volontario.
Fatto sta che la musica di tutte le civiltà precristiane, la musica dell'« an· tichità >>,
come suoi dirsi, è affratellata in un unico destino piuttosto desolante; quello di non poter
mai venire conosciuta in maniera veramente persuasiva. Lo impediscono l'estrema
scarsezza dei brani musicali superstiti, la difficoltà di inter
pretarli, i dubbi intorno agli strumenti e, infine, tutta quella congerie di studi, remoti o
recenti, che attraverso convinzioni personali e opposti giudizi finiscono col render la
materia sempre più misteriosa e confusa.
Discesa fra gli ultimi ricordi dell'uomo, la ricerca musicale si stempera nel dominio
dell'antropologia, si perde tra le silici dell'età della pietra, brancola tra le palafitte di
vecchissime tribù lacustri. E ci parla di un primitivo utilitarismo musicale, cosl come
utilitario dovette allora rivelarsi ogni atto dei nostri proge
nitori, di questi radi antenati quotidianamente impegnati in guerre minime per farsi un po'
di posto sulla terra e ricacciare un po' indietro la natura. Per richiamare le greggi sparse
uno avrà pensato di soffiare in una canna recisa; per segnalare un pericolo ai compagni
e farli raccogliere fuori dalle caverne un altro avrà steso una pelle d'animale sopra un
guscio di tartaruga marina, poi ci avrà battuto sopra con una delle sue mani. Una madre,
per far dormire il piccolo, avrà incominciato a mugolare una nenia. Non importa se
questa preistoria mu sicale è tanto lontana dalla Quinta beethoveniana, quanto Io è da
una bella donna l'autorevole scimmione di Darwin. Anche l'evoluzione ha il suo fascino e,
a qual
<:uno, questo paziente ingranamento può sembrare più magico del « fiat lux » della
Bibbia.
Naturalmente, c'è anche l'ipotesi imitativa : l'uomo che ascolta i canti dell'usi gnolo e
tenta di riprodurli con uno zufolo; l'uomo che ode frusciare la ramaglia e con un ordigno
inv
rudimentale le si accompagna. Patroni illustri di codesti antichi �ntori sono Sigfrido,
nel secondo atto dell'opera wagneriana, e il dio Pan, osunato cacciatore di lepri e di
ninfe. Senonché il primo, poco fortunato, non lasciò gran traccia nella storia degli
l
istrumenti musicali ; mentre il secondo, con � sua zampogna battezzata << Siringa » in
memoria della fanciulla perdbta, sarebbe mentemeno che il primo fabbricante di organi.
1
Al tempo degli dei falri e bul(iardi
LA MUSICA NELL'ANTICHITA
Libano, noi vediamo dipinti o scolpiti molti esseri umam tn atto di suonare o
cantare; da scavi o da ritrovamenti fortuiti noi siam venuti in possesso di autentici
strumenti dell'epoca. Ma gli uni e gli altri ristanno immobili e la loro voce si è solidificata
nella pietra, è svanita via dai bocchini dei flauti e dalle corde delle arpe. Su quelle tarde
età musicali ristagna il più profondo silenzio.
lo non riesco ad illudermi. E se pure, ascoltando l'Eili, eili o il Kol Nidrei (due inni
del Tempio che si possono :1nche girare sul grammofono) noi abbiamo un'impressione di
gravità malinconica, un senso di strana fissità davanti all'in sistenza della preghiera , non
della s gg
per questo dobbiamo abbandonarci alle lusinghe u_ �stione letteraria o
moderm CIÒ che rcai o e ciò
dimenticare che per le nostre orecchie di occidentali .� � �
he con estr fac1l
� . è semplicemente orientale possono confondersi �ma �ta. A1 creatori
cons ataz on
d1 « fatti >> non resta se non annotare qualche � ! .e stanca, segnare qualche
eb a1ca, tns1e e col car
linea formale; riconoscere nell'antica musica � � �ttere monodico
t1po salmod1co >> che 1 sulla
comune a tutte le sue consorelle, quel « . .ntona le varie sillabe
medesima nota, quasi clecla mando, e s
.olo d1 tratto tn tratto s'innalza in brevi volute
melodiche. Poi ritenere tre « genen >> essenziali di canto sinagogale: uno che scorre dal
CO
principio alla fine ?Je un monologo (sia pure eseguito dal coro)· un altro <<
responsoriale >> in
'
CUI la voce di solista che pronuncia il « corpo >> del salmo si alterna con il �oro
Al tempo degli dei falsi e bugiardi
che canta l' (( alleluia >> iniziale e finale; un terzo, << an ti fonico », dove un versetto scelto
vien ripetuto a modo di ritornello e sempre sulla medesima melodia. Al pari degli altri popoli
antichi , gli Ebrei non conoscevano ((armonia » nel senso nostro della parola ; cioè
praticavano una musica esclusivamente monodica. Ricchissimi di istrumenti, non li
usavano di regola se non per accompagnare all'unisono o all'ottava la linea del canto, tanto
più che anche la danza sacra e profana sembra si svolgesse sopra musiche vocali.
Anch'essi, infine, riconoscevano nella musica virtù educatrice, potere di allontanare l'uomo
palla bestia, una sorta di avviamento a precoci beatificazioni.
Tutto qui. La pagina sulla musica ebraica si chiude, presso a poco, con lo stesso
magro bilancio con cui si sono chiuse le altre. Come se noi avessimo voluto conoscere
l'anima di una persona, e tutto quello che fu possibile di sapere fosse stato una notizia sul
colore delle sue vesti, un cenno intorno alle sue nor
mali abitudini.
l misteri della musica greca. Ma adesso ci mettiamo per mare, e avendo bordeg giato le
cento isole dai nomi divini, avendo intravisto ogni tanto la costa asiatica non più definibile di
un tenue vapore, leghiamo la barca a un sasso della terra
greca e tendiamo l'orecchio nei lontani mattini profumati di rose. In questo paese gli uomini
sembran meno trasognati che non nelle altre re J!ioni del mondo antico. Religiosi anch'essi,
lo si capisce; più religiosi di noi mo derni, in un senso, se religione è come vivere sempre in
mezzo a presenze divine, e codeste presenze rintracciare in qualsiasi cosa, inseguirle se
trascorrono v1a, incarnarle in aspetti umani per illudersi di averle più familiari. Ma poiché
I'Oiimpo non è montagna cosl ardua come l'Himalaia, né i suoi accessi sono tanto impervi
come i disperati deserti dell'Asia e dell'Africa, ecco che gli abitatori di questa terra hanno
scalato l'alta casa degli dèi. Ci si sono ar rampicati avendo per guida la ragione; e questa
donna che regge una lampada meravigliosa ha fatto vedere come un tal viaggio, più
che a un'alpestre scalata, assomigli a un coraggioso sprofondarsi in se stessi. Dalla
considerazione della pro pria dignità di uomini, i Greci hanno imparato a conoscere un
nuovo potere; al concetto di divinità incomprensibile, terribilmente distante dalle ore
terrestri, hanno sostituito l'idea di un ordine superiore, di cui l'ordine mentale dell'uomo
filosofico è una specie di stampo o una sorta di presentimento Sotto l'influsso di codesti
pensieri, l'arte non è più un lungo e oscuro lavoro, un nuovo servaggio da aggiungersi agli
altri, un cumulo paziente di mille fatiche. La timida speranza di compiacere al Dio, la
segreta espressione di un sentimento personale depositato cosl, furtivamente, tra le pietre
dei monumenti anonimi o sugli zoccoli dei bassorilievi, si sciolgono a poco a poco e
diventano l'immagine di un franco dominio. È l'artefice che sorge su dal banco dell'artigiano,
lo storico che soppianta il cronista, il filosofo che annulla il sacerdote, il poeta che disereda
il rapsodo. È insomma, nel mondo antico, un tempo moderno. Ma allora, ci vien fatto di
chiedere, se la musica quale noi intendiamo e viviamo, la musica creazione di singoli ed
interprete di sentimenti universali è certo la più giovane di tutte le arti , non avranno, questi
Greci, acceso almeno una scintilla da cui bruciò poi, in quattro secoli, tutto il gran fuoco
della mu sica occidentale?
lovero, considerando la poesia e la filosofia degli Elleni, la loro statuaria e la loro
architettura, quel che in esse ci appare non è soltanto un grado altissimo di bellezza e di
potenza argomentatrice ( le arti di alcuni popoli orientali non sono affatto inferiori), ma
ancora un tipo formale e un modo tecnico vicinissimi ai no-
12 Storia della musica
stri, tanto vicini che talora sembran quasi sopravanzarli. Un frammento di Saffo o un
brano di Sofocle son molto più << moderni » di una canzonetta del Chia brera o di una
tragedia dell'Alfieri ; e nelle linee di un tempio ateniese noi sen tiamo un equilibrio ancor
caldo e perfetto, cioè ancora vivente in quella zona del nostro spirito in cui si
compongono le verità architettoniche.
Accesa da tutte queste constatazioni, la curiosità con la quale noi ci volgiamo a
cercare la musica greca è dunque naturale e legittima. Essa spera di vederla svincolarsi
dai soliti poli intorno cui si aggirano le rimanenti musiche antiche, e, con atto originale di
libertà, gettare, anche di qui, il seme dell'arte occi
dentale.
vamente, o dei semplici semitoni facilmente accessibili al nostro orecchio, o dei quarti di
tono a noi addirittura impercettibili.
In tanta miseria di testi e in tanta incertezza di versioni, noi che conosciamo le infinite
lacune della notazione musicale moderna cosl ingegnosa, d'altronde, cosl capace di
segnare il massimo delle intenzioni del compositore; in tanto ab bandono d'ogni tradizione e
in tanta carenza di qualsiasi continuità storica, come potremo mai sperare di conoscere
davvero la musica greca?
C'è una sensazione inspiegabile, ma sicura, nel fondo del nostro giudizio mu sicale, ed
è che le creazioni sonore, di mano in mano che si allontanano dal giorno della loro nascita,
"ubiscono profonde alterazioni attraverso il fatto esecutivo; in quanto che esse, essendo
non soltanto lo specchio della coscienza creatrice, ma al tresl la lastra sensitiva su cui
verranno ad imprimersi la volontà e il desiderio de gli esecutori, la loro speranza di sentirsi
tradotti e di vedersi rappresentati, si piegano quasi, s'incurvano sotto questa azione non
ben nota agli stessi che la ope rano. La debole costituzione concettuale della musica, cioè
la sua rinuncia ad im porre limitazioni dell'immagine, a ridurre i pensieri in tipi definibili e ad
arre starne il corso per trovar tempo di renderli discorsivi, tutto questo, e la parte che
l'esecutore vi prende, assai più grande di quanto non succeda in altre arti, cooperano a
rafforzare il processo. Una Sinfonia di Mozart o una Sonata di Scar latti non sorio certo più,
oggi, quel che erano viventi gli autori. Che saranno, in confronto ai giorni di Atene, gli Inni
ad Apollo e lo Stàsimo di Euripide, gli Inni di Mesomede e l'Epit�ffio di Sekeilos?
Se non che, anche per il caso dei Greci, cosl come per il caso degli Ebrei e dei Cinesi,
degli Indiani e di altri popoli antichi, il gran discorrer di musica che noi troviamo nelle pagine
degli storici, nelle alinee dei filosofi e nei versi dei poeti , ha lasciato un'impronta sui marmi
delle città trapassate: l'orma, muta ed immo
bile, che la musica vi ha impressa passando.
Curvi con reverenza su questo nobile segno, noi possiamo ricostruire altri atti
appartenenti alla vita esteriore della musica greca ; atti che, in parte, sono simili a quelli
d'altre musiche antiche, in parte sembrano originali e ristretti alla sola terra ellenica.
Un primo atto è questo: che presso i Greci la musica, considerandola se condo il
criterio con cui noi siamo abituati a considerare la nostra, cioè rifacen doci sempre ad opere
individuali di grandi artisti, ci appare più diffusa di adesso in estensione, assai meno di
adesso in profondità. Vale dire, quell'arte compariva in tutto il cerimoniale quotidiano degli
uomini , discendeva normalmente negli abi turi della plebe e saliva ai palazzi dei potenti, si
confondeva con l'insegnamento, diciamo così, elementare dei cittadini, era materia di
concorsi aperti a tutti, veniva fatta oggetto a leggi dello Stato. Ma , forse proprio per questa
sua divulgazione straordinaria, eh 'è anche prodotto della concomitanza strettissima con la
poesia e la drammatica, per quel fare di pratica usuale tra religiosa e politica, tra rituale e
mondana, noi siamo indotti a credere che avesse un gran valore logico, che po tess� dar
materia a interminabili discussioni, classificazioni e riduzioni, induzioni simboliche e
valorizzazioni terapeutiche, ma che, insomma, fosse ben scarsa di quel senso di linguaggio
che noi le riconosciamo, linguaggio forse il più perfetto e potente ad esprimere la essenza
riposta dell'individuo; certo il solo che ne sappia rappresentare determinate immagini.
È noto come Simonide di Ceo dichiarasse esser la pittura una poesia muta e la poesia una
pittura parlante. Meditando su codesto slogan, altri vecchi autori vollero far riserve sulla
differenza degli oggetti offerti « all'imitazione )) della pit tura e << all'imitazione )) della poesia.
Orbene, quando teniamo presente che la
Storia della musica
14
musica greca è un'emanazione diretta della poesia, noi possiamo concludere che anche
alla musica quegli antichi attribuissero un ufficio mimetico (tr6pos mimé seos ), vale a
dire un ufficio eminentemente descrittivo. Che la poesia degli ellenici sia trasvolata ben
più in alto, tutti lo sanno; ma per quel ch'è della musica, io mi terrei proprio all'idea di
Simonide.
Una musica descrittiva, dunque, che accompagnò in antico e melodizzò gli
esametri dei rapsodi omerici, che intonò più tardi le effusioni dei lirici, che con centrò,
insieme con la danza e con l'effetto visivo dei teatri, l'intento unitario dei poeti tragici.
Questo carattere descrittivo non doveva tanto risiedere in una nobile onomatopeia o in
un tentativo di render visibili, attraverso i suoni, le im magini espresse dal poeta, quanto
nel ricercare dentro la parola, nel complesso dei suoni non ancor musicali, ma già
regolati, che costituiscono la parola, il punto di partenza, o quasi la scintilla che potesse
generare una melodia.
Come accade presso tutti i popoli, anche presso i Greci la poesia ha prece duto di
gran tempo il sorgere della prosa; ed operando sopra un linguaggio « quan titativo »
essa cercò naturalmente nella « quantità )) le regole della propria orga m zzazione.
Questa << quantità » consisteva proprio nel pronunciare certe sillabe con una «
durata )) più lunga, certe altre con una << durata )) più breve. Se dunque, come vuole
Platone, il ritmo << è l'ordine nel movimento », ecco che il modo di pronun zia dei Greci
offriva già al musico che volesse intonare dei versi un presupposto da cui era impossibile
prescindere. Ciò riesce tanto più chiaro, quanto più noi teniamo presente che la poesia
greca, fosse epica o lirica, fosse drammatica o cele brativa, era sempre una poesia << da
recitarsi », prima che una poesia « da leg gersi )),
Ma accanto alla << quantità », l'idioma greco usava un << accento )) assoluta mente
diverso dal nostro; cioè non intensificava l'emissione di voce sopra una o un'altra sillaba
delle parole (come noi facciamo) ma innalzava o abbassava il tono di essa con
fluttuazioni di per se stesse melodiche. Codeste fluttuazioni, per virtù di un istinto oscuro
che tende a identificare, nella nostra mente, l'idea di « alto » con acutezza e l'idea di <<
basso )) con gravità di suono, fornivano un secondo ele mento, quasi una fatalità
1
generatrice, al compositore di musica vocale •
Il particolare comportamento della musica greca, davanti al fatto della « quan tità ))
e dell'« accento tonale », se anche non dominò sempre e strettissimamente i compositori,
certo compiacque moltissimo a quell'indole speciale della razza per cui l'arte sconfinava
volentieri nella scienza e la scienza sconfinava nell'arte, per cui i filosofi erano insieme
poeti e i poeti prendevano figura di sapienti.
Tutto il gran teorizzare che si fa sulla musica rientra nelld vocazione dialet tica del
d
popolo ellenico. Poiché la musica ha una sua parte ( la sua parte più ca ��a)
n z
facilme �e logiciz .abile, è naturale che i Greci vi si siano applicati con gtOia. E come 1
geometri trasformavano sulla sabbia una figura nell'altra, come i filosofi concatenavano i
loro sillogismi, come i pensatori traducevano in ordini uni
versali .gli o·r� m
ini mini .i della natura, cosl i musici, con non minor meraviglia, con non
r r
mmo . �1cu �zza d1 possedere nella mente l'istrumento perfetto delle verità supreme,
SI Inebriavano a muovere i tetracordi nella scala, a spostarli e a rivoltarli,
' Vedremo più avanti come il tentativo di risuscitare codesti sistemi in tempi moderni operando su
linguaggi che obbediscono a tutt'altre leggi, abbia creato non poche confusioni � deluso non poche
speranze.
Al tempo degli dei falsi e bugiardi t5
a unirli e a disgiungerli. Quando poi le loro operazioni eran chiuse, essi ne conse gnavano i
resultati ai più savi e costoro ne traevano ammonimenti morali. Ah, ma la musica è troppo
libera cosa! E se questo commovente lavoro riu sd in altri campi a immortali edificazioni, io
credo che, nella musica, non otte nesse gran che di buono. Perché, in fondo in fondo, non
riconobbe in quest'arte l'alto spirito trascendente e la costrinse in una specie di sudditanza,
lei che, sola, era capace di sfuggire alle servitù meccaniche della conoscenza. La musica
greca, insomma, mi ha tutta l'aria di farsi costantemente precedere dalle regole, di voler
trovare nella sua pratica realizzazione la conferma di proposizioni logiche. Pieni di questo
dubbio, noi tendiamo l'orecchio nel vuoto, se mai, per una ricostruzione fallace, per uno
sforzo suggestivo di estendere il poco che sappiamo, esso non si popoli di qualche lieve
parvenza e non sciolga un poco del suo mille nario segreto.
Diremmo che nel suo insieme, se dovesse riecheggiare improvvisa, una tal musica
produrrebbe in noi una prima e generale impressione, un'impressione di malinconica
staticità. E ciò, mi sembra, non per assenza di un moto ritmico vero e proprio quale noi
intendiamo ( ché anzi la musica dei greci era a modo suo rit
matissima), ma piuttosto per la mancanza di quei movimenti del pensiero musi cale, di
quelle rapide escursioni e di quei rapidi ripiegamenti che noi, per la lunga abitudine, quasi
più non avvertiamo nella musica nostra.
Del resto, anche la maniera assolutamente diversa di considerare il ritmo mu sicale ci fa
volgere verso quella impressione. Perché, infatti, il sistema greco, per cui l'unità ritmica più
semplice, pur aggruppandosi in nuclei binari e ternari non fa succeder questi in serie
regolari ( tutte di due o tutte di tre), non ammette, in altri termini, una misura del tempo che
duri invariabile come misura « tipo )); il sistema greco, io penso, attraverso questa libertà
apparente di ritmo, rinuncia a esercitare sul tempo quella presa di possesso e quel ferreo
dominio che vi eser cita la musica attuale con processo un po' ingenuo, ma chiaramente
volontario e corroborante. Ingenuità, un'altra energia che ha vivificato il corpo della musica
nostra, che noi troveremo, nascosta, anche fra le pagine più superbe dei maestri europei, e
che sembra inoperante nel concetto musicale dei Greci. ·
•I perdorico:
L'intero grande sistema si componeva di quattro armonie complete più una nota aggiunta, detta
proslambanomene:
l" tetracordo inseriva l'alterazione del diesis (il sistema ::2
hyperbolaion conosce solo l'alterazione ascen dente e non 4" tetracordo
la discendente, il bemolle, noto al medioevo), hypaton
'l:' tetracordo
la sol fa mi diezeugmenon l'enarmonico prattcava l'intervallo del quarto
di tono. 3" tetracordo mi re do si - LA me so n
m1 re do SI
sol fa m1
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CONCETTO DI TONO -
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..c ... ..c ... " ... c c E - .. � .. v .. .. la ESEMPIO DI TETRACORDO DORICO
· ;::; ..
z Q., E- z Q., E- Q., NEI TRE CENERI
• Dinloniw: mi-re-do-si.
GENERI
• Cromatico: mi-do clicsis-clo naturale-si.
I greci usavano tre generi: diatonico, ero·
matico, t•narmonico. Il diatonico è quello
... •Enarmonico : mi-cln-'''-si; dm•c * corrispon
espresso negli esempi precedemi , il cro matico "'
... de al quurto eli 10110 tra il do e il si.
Nella teoria musicale greca, infine, il concetto di tono corrispondeva all'adattamento delle corde della lira alla
successione di toni e di semitoni del modo prescelto; potremo dire, grossolanamente, che equivaleva al nostro
trasporto.
NOTAZIONE
La notazione greca era di due tipi : una per la musKa strumcntnlc (kmsis) c unn pl'r la musica vocale (/exis).
La krusis si basava su lettere ebraiche, fenicie e greche che indicavano ognuna la nota allo stato naturale, al quarto di
Inno c al semitono superiore a seconda se erano poste diritte, coricate o rovesciate.
Ln lexis usava solo le lettere dell'al fabeto greco, ponendole in rosizionc normnle. carovolta o munite di episema n
seconda delle note alle quali si rifL·rivano.
Roma: compendio della musica precristiana. Sulle lunghe penisole del Pelopon neso
e sulle coste pietrose delle Cicladi, sul ponte gettato verso l 'Asia e sulle fo reste di
Tracia, il flebile suono che abbiamo cercato di evocare si spegne. Anche tutta quella
civiltà meravigliosa si oscura, e trapassa a poco a poco sopra un'altra penisola. La
schiatta dei pastori, già insigne per imperi potenti, ne va creando
uno nuovo sui colli del Tevere. Roma si avvia verso il più grande dominio. Con l 'avvento
di Roma, noi facciamo un passo indietro nella conoscenza della antichità musicale.
Infatti, da tutti i codici e da tutti i manoscritti, da tutte le pietre illustri scampate al tempo e
alle devastazioni, non una melodia ci è giunta, di quante risuonarono sotto il cielo latino.
Il campo è dunque tutto aperto alle ipotesi ; non si può riempire se non d'ipotesi.
Considerando il carattere riflesso dell'intera arte romana in genere e la sua stretta
derivazione dai Greci, ritrovando nei teorici romani da Cicerone a Vitru vio, da Plinio il
Vecchio a Macrobio, da Sant'Agostino a Boezio, la ripetizione più o meno pedestre delle
domine e dei sistemi ellenici, si dedusse che anche la pratica musicale romana avesse
dovuto sottostare alla medesima servitù. Ciò è quasi certamente vero, se noi ci riferiamo
a quell'età in cui, dopo i primi contatti guerrieri, le relazioni greco-romane divennero
consuetudinarie. Allora, legata alla catena dei prigionieri , o impacchettata nel bagaglio
degli istitutori e nelle valigie degli artisti arruolati, la musica greca inondò tutta Roma
come un'ultima mer
canzia da esportare, insieme coi sistemi filosofici e la cosmetica, la poesia e la sarto
tecnica, l'architettura e il galateo pei signori.
Ma i cinque lunghi secoli che comprendono la monarchia e mezzo corso della
repubblica, non furon certo secoli privi totalmente di musica. Noi anzi al contra rio,
sappiamo di cerimonie sacre, di celebrazioni nazionali e di rapp;esentazioni
popolaresche in cui la musica aveva la sua brava parte. Scartato da tutte queste
Al tempo degli dei falsi e bugiardi ti
' Va tuttavia osservato che lo Haberl <lissentì dalle tesi delle scuole francese e italiana venendo anzi
accusato di impurità col sostenere l'edizione cosiddetta « Medicea " del Graduai � �tregoriano.
La grande ca1ttica del Cristianesimo 23
sicura quanto più i suoi mezzi di estrinsecazione sono semplici, e incontreremo con
meraviglia non pochi atteggiamenti, non pochi modi di periodare che la no stra musica
moderna si è illusa di attingere, stanca delle sue complicazioni e del suo lungo cercare.
Alle fonti del Canto Cristiano. Il canto cmuano ha già dunque, nel puro fatto della
sua presenza musicale, tutti gli attributi e i poteri della legittimità artistica; ma codesta
legittimità vien confermata anche indirettamente, quando noi tentiamo di ricostruire il
suo cammino. Perché, allora, ragioni esterne e ragioni intime, con
tingenze storiche ed energie autonome, tutto si compensa e compenetra fino a creare
un'unità originale, un fenomeno umano necessario, una conseguenza ideale perfetta.
Da un lato c'è il fattore geografico, politico e teorico che agisce sulle sorti della
Chiesa nascente; dall'altro c'è il genio segreto della sua dottrina; entrambi portano in se
stessi una predestinazione musicale.
È chiaro innanzi tutto come il Cristianesimo (nato in Palestina e per nulla opposto
alla religione locale, di cui si considerava anzi un compimento, una realtà ultima
annunziata dai vecchi profeti) basasse una propria liturgia su quella ebraica e ne
accettasse, insieme, il largo senso di ospitalità verso la musica. D'altra parte, una
marcia gloriosa porta per tempo la Croce dalla Palestina in paesi grecizzanti o
comunque soggetti all'influsso culturale greco, paesi di lunga esperienza musi
cale, dove la musica è anzi già legatissima agli ordini filosofici. Se la nuova religione
derivò dal mondo ellenico il suo primo linguaggio ufficiale (quell'idioma ch'era un poco il
personaggio aulico dell'antica Europa, considerato come mezzo ideale per esprimere i
più alti pensieri ) è evidente ch'essa ne ascoltasse anche la musica con grande
attenzione.
Tuttavia, gli influssi ebraico e greco sulle sorti della melopea cristiana vanno
considerati con molta prudenza, allo scopo di non fraintenderli e di non elevarli al di là
del loro giusto valore.
Per quanto riguarda la fonte ebraica, il fatto che la Messa ed altri riti cri· stiani
siano basati sulla salmodia sinagogale autorizza ad ammettere insieme un trapianto
quasi identico di quell'antico modo di canto. Ma ciò, io credo, più per la veste e per
l'esterna costituzione, insomma per i tre andamenti ( « diretto », (( responsoriale >), ((
antifonico >> ), che non per un'intima analogia d'espressione. I molti confronti istituiti fra
melodie cristiane e melodie israelitiche desunte da raccolte del XVI secolo, non mi
persuadono affatto. Il trovare identità di fram
menti melodici , sopra tutto in una musica come quella delle età antiche, per sua natura
impersonale e rigorosamente centrata intorno a nuclei generativi immuta bili, non
presenta che scarsa importanza. Quel che conta (come del resto conta anche nella
musica moderna) sono i rapporti tra i frammenti, l'alito di vita ch'essi sprigionano nel
loro succedersi e che una trasposizione anche minima può bastare a distruggere; la
totalità inscindibile, infine, che sola e solo intieramente riflessa, può trasmetterei lo
spirito dell'opera d'arte.
Anche qui, assai meglio che le misurazioni da tavolino e i freddi raffronti col doppio
decimetro dell'analogia, valgono le audizioni dirette. Chi ha assistito a un grande Ufficio
di monaci benedettini e ai canti rituali di una grande Sina goga sa benissimo che cosa
pensare in proposito. Ma già, ad orecchie poco av vertite, la musica del Settecento non
suona tutta uguale, e alle orecchie di un mio amico orientale non suonava tutta uguale
la musica europea? Del resto, come già dissi più indietro, le antologie di canti ebraici
sono troppo recenti per-
Storia tltlla musica
24
ché noi possiamo giurare su una loro fedeltà bimillenaria. Rigidi custodi della tra
dizione orale i rabbini saranno stati senz'altro; ma come escludere che in tanti secoli
non sia trapassato in quei canti proprio esattamente un sentore delle me lodie
cristiane e che, in tal maniera, le famose somiglianze non siano cavalli di ritorno?
Iddio -
scrive Sant'Agostino - intraducibile in parole e pure impossibile a
tacersi. Lo can
terai senza costrizione di sillabe e il cuore godrà,
dall'impaccio delle pa
libero role ». È nella mistica della Cristianità
Dc:'tt
primitiva, non ancor regolata dall'opera dei �ri e dei Padri,
e
che la musica assume per la prima volta quella figura unitaria
m�1 endente, quell'ader
p �nza a un complesso di immagini
particolari che noi oggi ravv1s1amo nel concetto d1 arte. La
musica dei primi tempi cristiani è già dunque
Z8 Storia della musica
Poesia del canto ambrosiano. Che Sant'Ambrogio, arcivescovo di Milano, sia stato il
primo ed unico ad importare fra di noi la consuetudine del canto corale non si può,
oggi , Riù dire. Il proeesso dev'essersi verificato, quasi simultaneamente, per opera di
�
più i dividui, in regioni diverse dell'Occidente. Possiamo invece rile
vare come quel presule, ex-prefetto dell'Impero, umanista avanti lettera e tipo pre
coce del germano romanizzato, abbia innalzato la sua diocesi a un grado altissimo di
eccellenza musicale, non tanto per l'accettazione di quella pratica quanto per
l'autorità del suo genio che seppe creare, o almeno trascegliere e raccogliere, canti di
grande bellezza, inni di nobile poesia.
Già dissi come l'indipendenza del canto ambrosiano dal gran corpo del canto
latino non si deve sopravalutare. Tuttavia, le melodie milanesi hanno caratteri pro pri
e, fra questi, accennerò a due tendenze opposte: quella di accontentarsi di linee
semplici, dove a ogni sillaba corrisponde una nota, e quella di adergersi in volute
ornamentali sontuose, in cui il senso della parola vien trasceso nell'ultima vocale e,
su questa, il cantore si abbandonava a libere fantasie. � insomma il pro cedimento «
melismatico >> condotto alle sue ultime conseguenze.
Altro atteggiamento peculiare è quello di non ripetere quasi mai gli incisi, di non
imitarli nel corso della composizione e di non rispondervi, attuando in tal maniera una
forma simile alla « melodia infinita » dell'estetica wagneriana. Anche l'ambito della
melodia ambrosiana è generalmente serrato, con largo uso dell'in
tervallo di quarta discendente alla fine dei periodi e con struttura tonale non sem pre
ben precisa. Tutto questo conferisce a certi canti un'eloquenza grave e un po' oscura,
un sapore di ammonimento lontano, una capacità coraggiosa di affrontare i più duri
pensieri. Vedasi, in proposito, il tractus evangelico Videns Dominus flentes sorores
Laxari.
Altra volta il genio ambrosiano è francamente innico, e allora ricorre a brevi frasi
melodiche, incisive e plastiche, tutte piene di mistica marzialità. � il caso, fra tanti,
della salmodia Magnificai.
r
. Malgrado queste energie personali il canto ambrosiano, pur evolvendosi e ar !
cchendosi anche dopo la morte del suo fondatore ( 397 d. C.), non si spinse ma1,
come vedemmo. oltre i confini della sua diocesi.
La grande cantica del Cristianesimo Z7
Gregorio Magno, « inventor musicae ». Torniamo quindi alla considerazione del canto
romano e al suo rapido costituirsi in musica ufficiale dell'intero · orbe cat tolico. Il
pontefice che introduce anche in Roma la pratica corale è Dama so ( 366- 384 ), lo
stesso che, adottando come traduzione unica dei testi sacri la traduzione
latina di San Gerolamo, compie un ultimo passo verso la definitiva latinizzazione della
Chiesa occidentale. Sotto Celestino I (422-432) la (( Schola cantorum » pon tificia è
saldamente organizzata e sotto Leone, Gelasio e Simmaco, si istituisce l'Ufficio
dell'anno liturgico e se ne scrivono e pubblicano le melodie. Successivi pontefici
rivolgono alla musica attente cure; finché, nel 590, sale sulla cattt>dra di San Pietro il
benedettino romano Gregorio. Questo pontefice, che si meritò dai posteri il nome di
(( Magno >> e che legò la propria memoria ad avvenimenti storici quali la conversione
dei Longobardi e l'evan�elizzazione dell'Inghilterra , compie tutta un'opera
importantissima nel dominio del canto ecclesiastico.
Egli riordina le melodie, le trasceglie, forse ne compone di nuove (dato che non
poche testimonianze ci presentano Gregorio come un vero (( inventar musi cae >> ), ne
purga o ne stilizza la linea e le raccoglie infine in un Antiphonarium che fa fissar con
catene al ma��ior altare della Basilica. Nell'arduo intento cat tolico di costruire la
dottrina e l'imperio come cose immutabili, come entità eterne giusta la promessa di
Cristo, l'atto di Gregorio (sia autentica storia o lep:j!enda ) è una rappresentazione
simbolica della medesima volontà di perpetuarsi.
Ma il santo Pontefice riordina ancora la distribuzione delle parti, se cosi posso dire,
le quali compongono il personale delle sacre funzioni. Di modo che
vien precisato nella Messa l'ufficio del (( celebrante ». che
consiste nel cantar prt>ghiere e benedizioni e nel rivolgersi con frasi di
saluto alla comunità dei fedeli; l'ufficio dei diaconi, suddiaconi e lettori, che è quello di
intonare i passi delle Scritture; l'ufficio della (( Schola cantorum >> che ha luogo
nell'lntroitus, nel Graduale, nell'Al
leluia e nella Communio; l'ufficio della folla, che viene limitato a brevi risposte e ad
affermazioni di giubilo. La maggiore o minore difficoltà dei canti è regolata secondo la
maggiore o minore educazione degli individui i quali dovranno eseguirli. È chiaro che i ((
pezzi di bravura >> toccheranno dunque ai (( cantores >>.
L'intervento di Gregorio Magno è un fatto decisivo nella storia del canto cattolico;
tanto decisivo, che esso entra nella leg�enda; che fa del suo protago nista il creatore
ex-nihilo di un'arte nuova ; che dà luogo ad attributi antonomastici, come quello di
(( scolari di San Gregorio >> adoperato per indicare i cantori ro mani ; che finalmente,
intitola a lui il complesso delle musiche vocali antiche, vale a dire procrea il termine
corrente di (( Canto gregoriano >>.
Ora, fra le molte glorie non controllabili , accumulate dai contemporanei e dai
posteri più vicini sul capo di questo Pontefice, ce n'è una che riguarda un fatto di
particolare interesse. È quella d'esser stato Gregorio un inflessibile correttore di
sconvenienze musicali, un mistico ch'abbia richiamato anche il canto ad austerità più
cristiane 1 •
1 Per giudicare di una tal faccenda ci mancano i necessari elementi comparativi. Ma se noi ci riportiamo
alle invettive antimusicali di taluni Padri della Chiesa e di taluni Santi dei primi secoli i quali vorrebbero sbandire
ogni canto dalle cerimonie religiose; se noi confron tiamo codeste invettive con le constatazioni accorate di
scrittori pagani del tardo Impero; dobbiamo concludere che presso i Romani si fosse verificata una vera
e
degenerazione del gusto ":'usicale, una corsa a quella superficialità sommaria, goffamente licenziosa
odiosamente sen
timentale, che trionfa anche presso di noi sotto le insegne della canzonetta. Un'ombra di queste
bastardaggini dovette infiltrarsi nell'antico canto chiesastico, favorita, come sempre av· viene, dalla facilità dei
virtuosismi canori.
Le rampogne e le esortazioni rinunciatarie di Clemente Alessandrino e d'altri scrittori, non furon dunque
nulla di paragonabile al tetro ostracismo musicale dei Puritani inglesi, ma
28 Storia della musica
n r r i
Sviluppo del canto gregoriano. Gregorio .Mag ? muo � nel 604, e p �pr � dal
secolo vn al secolo x il canto che ormai poss1amo ch1amare col nome d1 lut assurge
ai suoi più alti fastigi. Mentre le melodie più antiche, ormai codificate e stilizzate son
poste al sicuro da eventuali contaminazioni, molte di nuove ne ven gono co:nposte,
u
sia sulle parti << fisse » della Messa (nuovi Kyrie, n ?vi Gloria e nuovi Agnus Dei) sia
sulle parti « mobili )) (lntroitus, Graduale, Allelu1a, Tractus, Vangelo, Olfertorio ).
L'istituzione di nuove feste religiose e l'Ufficio dei Santi di nuovo creati richiedono
altre musiche; il patrimonio gregoriano si arricchisce in maniera straordinaria.
Contemporaneamente, le « Scholae cantorum )) si moltipli cano per tutta Europa, e
insieme con le Scuole gli studi monastici, dove le melodie gregoriane sono
diligentemente annotate e la teoria dell'arte è diligentemente de finita. ·'·
Scambi intensi di codici c di istruttori, di calligrafi e di « belle voci )) avven gono
fra una Scuola e l'altra, fra una Basilica e l'altra, fra un monastero e l'altro, anche
lontanissimi, attraverso una rete itineraria che, considerando l'epoca, ci sembra quasi
incredibile. Monaci cantori, in piccoli drappelli o in coppie solitarie, traversano le Alpi
con sacco a pane ricolmo di antifonari; si mettono per mare su fragili velieri, e, dopo
viaggi protratti per mesi, arrivano in Francia o in !spagna, in Germania, in hghilterra o
in Irlanda; vi diffondono le melodie più belle e vi insegnano la retta maniera. Ne! lungo
cammino battono alla porta di cenobi isolati; incontrano là altri religiosi, come loro
assetati di musica, come loro esperti nel canto. Affollano le tappe di discussioni e di
dimostrazioni, riprendono la strada arricchiti di nuove esperienze.
È l'epoca in cui Pipino il Breve si fa cedere due cantori dal papa Stefano II e li
spedisce nell'abbazia di San Medardo in Francia perché ne sollevino il livello
musicale. I solisti più valenti divengono oggetti di dono fra i potenti; regalarne uno di
quelli bravi è segno di straordinaria simpatia. È l'epoca in cui Carlo Magno porta a
Roma i suoi cantori e si sente dire ch'essi « mugghiano come tori ». L'im
peratore ci resta male, ma non osa contrastare il giudizio. Prega piuttosto il papa di
cedergliene un poco dei suoi e se ne va tutto felice perché il papa lo ha ac contentato.
Fra tanto fervore e fra sl copiosa opera creativa, incominciano a emergere nomi
su dal silenzio dell'anonimo. Ci si fanno innanzi Alcuino, abate di Tours e ministro di
Carlo Magno; l'arcivescovo magontino Rabano Mauro, Aureliano di Réomé, i tre
Notker dell'abbazia di San Gallo, Notker Balbulus, Notker Secondo, Notker Labeone;
poi Ukbald, monaco fiammingo, Remigio d'Auxerre e infine, oltre le soglie dell'anno
Mille, il nostro illustre Guido di Arezzo.
Tutti costoro confondono insieme l'impulso creatore con l'attività teoretica; sono
�rattatisti un poco freddi, invischiati tra gli impacci delle regole e fra l'inter pretazione
delle regole e sono, nello stesso tempo, cantori ispirati, inventori per sonali di .�elodie
i m
•
�so �a liberi artisti. �solare in essi il « saggio )) dal poeta è �osa quas1
.
u po s t b · C
�a pro �ta �guinaria con � un pericolo che sem 1 ava tremendo e che effettivamente esisteva. 1ò �
unportante da ncordare, perché costituisce il primo sintomo di una lotta per petua, e che pure, qualche volta, per
'
favorevole incontro di circostanze � riuscita a tradursi m forme nuove e vitali.
[A grande cantica del Cristianesimo Zl
LA NOTAZIONE MUSICALE
cessivi l'« anticirconflesso » abbassamento e rielevazione. Ecco qua subito, fra questi
'modi di pronuncia rispettatissimi nell'arte oratoria (vero ponte di passaggi �
fra il parlare
e il cantare), quattro << situazioni melodiche »; cioè: un gruppo dt due note in cui la
seconda è più alta di registro della prima; un gruppo di due note in cui la seconda è
più bassa; un gruppo di tre note in cui l'intermedia è più alta della prima e della terza;
un gruppo di tre note in cui l'intermedia è la più bassa.
Tenendo presenti i segni degli accenti latini, e valendosi di un procedimento
concettuale non molto dissimile da quello dei geroglifici egiziani e da quello della
moderna stenografia, i gruppi di note o << situazioni melodiche » vennero allora
rappresentati con segni grafici complessi, con linee curve e spezzate, con uncini ri
volti all'insù o all'ingiù, con virgole ingrossate che paiono farfalle in volo, con un
insieme di ligure alquanto misteriose ma che rappresentano già un progresso al
confronto delle lettere alfabetiche greche e romane. Perché là, infatti, se l'esatta
estensione degli intervalli non può essere fissata, l'andamento generale dei fram
menti melodici risulta abbastanza evidente. I segni in questione vennero chia mati <<
neumi », con voce greca derivata da pneuma (fiato, respiro) o più proba bilmente da
néuo (indico, accenno).
Naturalmente si escogitano anche neumi adatti ad indicare una singola nota, un
suono preso in se stesso, e tali sono la « virga )) e il << punctum », rappresen tanti
insieme l'unità ritmica indivisibile; ma i più caratteristici risultano quelli di due note
come la << clivis )) e il « pes », quelli di tre come lo « scandicus )) il « climacus )) il «
torculus )) e il « porrectus »; quelli infine di carattere franca mente ornamentale (una
specie dei nostri << gruppetti )) e << abbellimenti )) ) come il « quilisma )), il «
pressus )) e il « salicus )), Ognuno di questi termini adombra il movimento melodico
del neuma corrispondente; la « clivis )), o << piegatura )), rappresenta due note di cui
la seconda discende; il « quilisma )), o << rotolino )), un « gruppetto )) ascendente e
discendente fra due suoni contigui, lo « scandicus )), o << saliente )), un movimento
che s'innalza, e cosl via discorrendo.
•
l1)/
•• /· .
punctum vuga clivis p es scandicus climacus torculus porrectus quilisma pressus
Il ritrovato di questi primi neumi era senza dubbio ingegnoso; ma presen tava
ancora assai profonde lacune. Innanzi tutto peccava di pericolosa approssi mazione,
perché l'esatta estensione degli intervalli non poteva venirvi fissata; in secondo luogo
mancava di un punto iniziale di riferimento, e, per conseguenza, non teneva conto
della tonalità detle melodie; da ultimo non rispecchiava affatto il valore dei singoli
suoni, la loro durata nel tempo. Rappresentava, insomma, un richiamo mnemonico
utilissimo, ma presupponeva costantemente una conoscenza più o meno sicura dei
canti in questione. Non valeva ancora a superare del tutto la tradizione orale.
c
Il rigo. In simili condizioni il grande sforzo della scrittura neumatica, perseguito ?n
parecchi secoli, è tutto inteso a rag
pazienza e con fatica lungo il corso di giungere tre
precisi obiettivi: fissare gli intervalli, ossia risolvere i neumi nelle loro note costituenti;
stabilire l'altezza tonale; indicare in modo grafico la durata dei valori ritmici. Si
verificano prove e tentativi d'ogni genere, avvengono progressi
La grande cantica del Cristianesimo 31
e regressi, ci sono idee solitarie sprovviste di qualsiasi seguito e altre che gettano il seme
di successivi svolgimenti. Accanto ai neumi puri, limitantisi alla derivazione dagli accenti
melodici dei latini, si affiancano i neumi « puntati », vale a dire dissolti nei loro componenti;
altri mezzi e altri sistemi si escogitano, fin tanto che alla mente dei ricercatori non balena
l'uovo di Colombo del rigo.
Stabilendo un asse grafico e facendo allontanare i neumi da esso nell'un senso e
nell'altro ( vale a dire al di sopra e al di sotto), proporzionando le distanze dal l'asse e
cercando di rispettarle, si incomincia a risolvere il problema degli inter valli. A quest'asse,
rappresentato da una linea rossa, si attribuisce convenzional mente la personalità di una
nota, di modo che i due segni, immediatamente supe riore e immediatamente inferiore,
potranno già indicare con precisione altre due note. L'aggiunta di una nuova linea, questa
volta colorata in giallo, permette di portare a cinque il numero dei suoni fissabili sulla
pergamena. A poco a poco le linee diventano quattro, non più variamente colorate ma tutte
rosse o tutte nere; lettere alfabetiche, riportate all'inizio delle linee stabiliscono la nota cui
ogni linea corrisponde 1 .
I neumi quadrati. Intanto, però, l'invenzione del rigo a�l profondamente sulle figure dei
neumi; e i fantastici uncini, le unghie di cavallo, le farfalle e fruste, andarono
imborghesendosi in note quadrate, parenti ragionevoli e più carnose dei vecchi punti.
Questi <( neumi quadrati », che hanno in realtà il bordo inferiore ricurvo per naturale effetto
del colpo di pennello o di penna, divennero d'uso generate verso l'xi secolo, al tempo di
Guido d'Arezzo (900-1050), e attraverso una loro varietà più tarda, del 1 300 e del 1400,
servirono di esempio a tutte le trac;cri.zioni moderne del canto gregoriano. I corali
attualmente in uso son dunque tutti a neumi quadrati, sia che si riferiscano a melodie
originariamente scritte con questo sistema, sia che rappresentino traduzioni di più vecchi
neumi puntati.
L'ultimo problema proposto all'ingegnosità dei teorici gregorianisti era quello di
stabilire la dovuta durata dei suoni , il valore delle singole note nei membri ritmici. Qui gli
antichi studiosi non seppero raggiungere quella certezza di risul tati che avevano ottenuto
nel fissare l'andamento spaziale e l'intonazione delle melo die; tanto che, dopo molti tentativi
e molte complicate proposte, essi parvero come disperati e verso il secolo XI ebbero l'aria di
abbassare le armi.
I quattro sistemi principali furono questi : l) deformare in vari modi la figura stessa del
neuma allo scopo di indicarne contemporaneamente la durata; 2) so vrapporre tratti
orizzontali ai neumi di durata maggiore, cosl come nell'analisi prosodica delle lingue
classiche si segnavano con tratti orizzontali le sillabe « lun ghe »; 3) aggiungere ai neumi
lettere abbreviative di avvertimenti ritmici (ossia t = lene ( tieni), n t = ne teneas ( non
tenere), x = expecta (aspetta), st = statim (subito), e cosl via; 4) tirar barre verticali, più o
meno pronunciate per avvertire che in quei punti si doveva osservare una pausa.
Ma tutto ciò riusciva molto incerto, perché ignorava assolutamente la suddi visione
dell'unità ritmica prima e, sopra tutto, perché si rivolgeva a una musica
1 Anzi, in un determinato momento, l'idea del rigo musicale appare cosl meravigliO!Ia, che il già citato Ukbald di
Saint-Aimand (840-930) la moltiplica generosamente, e sopra un tra liccio di otto o dieci linee pensa di trascrivere le
siUabe delle parole cantate, rappresentandole alle varie altezze melodiche corrispondenti. Questo tuttavia fu un
esperimento isolato come quello di altri studiosi, i quali cercarono di riportare diagrammaticamente le prime sette
dell'alfabe
lettere �o latino tutt'allora in uso come nomenclatura teorica delle note; i quali, cioè, fecero quanto no1
faremmo, se scrivessimo il tema dei Maestri cantori wagneriani in rutte lettere su) pentagramma: do; sol, sol sol; mi fa
sol la ... etcetera.
32 struttura ritmica.
Storia della musica
la quale era tanto semplice nella sua linea
melodica audace e quas.i sfuggente nella sua quant'era complessa e libera,
Guido d'Arezzo e la nuova scrittura. Fra tanto ardore di ricerche e fra tanti sforzi
verso la conquista del più pratico e del più semplice, quindi ancora fra le glorie della
musica gregoriana, va considerato il sistema sillabico di indicare le note, cioè la cosl
detta << solmisazione >> . Al ritrova t o della solmisazione si lega il nome di Guido
d'Arezzo, anche se l'opera di questo monaco ha avuto i soliti e noiosi precursori e
anche se, sopra tutto, essa non fu subito cosciente della propria immensa portata.
Come abbiamo visto, i suoni continuavano a rappresentarsi me
diante le lettere; all'epoca di Guido, per esser più precisi, con le sette prime lettere
dell'alfabeto latino, maiuscole in corrispondenza delle note dal la al sol imme
diatamente superiore, minuscole nell'ottava che seguiva in altezza. Al di sotto del
primo la (indicato con la lettera maiuscola A) si considerava ancora un sol basso e lo
si segnava con un << gamma » greco maiuscolo.
Ma tutto questo era una vera rappresentazione, cioè un trapasso dal fatto sonoro
al fatto visivo, durante il quale la personalità musicale dei suoni andava intieramente
perduta. Chi metteva in pergamena una di quelle lettere, maiuscola o minuscola
ch'essa fosse, sapeva di compiere un'operazione del tutto statica, di inscrivere sui
fogli il nome di un morto. La << voce >> delle note non sopravviveva tra lo scricchiolìo dei
calami ; quell'immagazzinaggio alfabetico le ammutoliva . e stecchiva.
Occorreva dunque un'altra cosa; occorreva che, chiamando per nome una nota,
essa rispondesse nell'unico modo che a una nota conviene, e cioè col suo << suono
personale ». Occorreva che, come a dire il nome di una persona conosciuta noi ci
rappresentiamo agli occhi della mente, di colpo, la sua fisionomia e il suo gestire,
cosl . a dire il nome di una nota, noi potessimo intendere con l'orecchio mentale la sua
voce, ciò che costituisce il suo connotato musicale inconfondibile.
Nel silenzio della sua clausura Guido d'Arezzo aguzzò disperatamente l'ingegno,
E a forza di concentrarsi, notò una circostanza curiosa nell'antico inno a San Giovanni
mediante il quale i cantori romani imploravano il favore del Battista sopra le loro
fatiche vocali. Constatò che ogni versetto incominciava con una nota immedia
mente superiore a quella iniziale del versetto precedente; vale a dire che i suoni
iniziali d'ogni versetto si trovavano disposti sopra una scala diatonica ascendente;
infin�, che il numero di versetti caratterizzati da questa circostanza era di sei, pro prio
come i suoni dell'esacordo, la misura di scala allora in uso dopo il decadi mento dei
tetracordi. L'inno a San Giovanni o Sinfonia, secondo il termine adope rato da Guido,
aveva un altro vantaggio, era cioè popolarissimo e nelle orecchie di tutti.
Forte di codesti elementi, il nostro benedettino si sentl un leone. Il sistema degli
esacordi obbediva ancora all'eterna preoccupazione dei Greci, la preoccupa zione di
suddividere la scala dei suoni in tanti frammenti simmetrici dove il semitono fosse
sempre al medesimo posto. Per far cadere il semitono fra la terza e la quarta nota,
invariabilmente, era necessario impiantare gli esacordi sul do, sul sol e sul fa,
bemollizzando in quest'ultimo caso il si. Dato che le note iniziali di ciascun versetto
dell'inno al Battista formavano un esacordo ascendente, Guido pensò di far aderire le
sillabe corrispondenti ai rapporti tonali, cioè di render a poco a poco istintiva,
immediata e vivente, l'associazione di idee fra il nome della nota e la sua posizione
relativa nell'esacordo. Ci arrivò, ma non proprio nel senso che noi oggi intendiamo.
La grande cantica del Cristianesimo
Le parole dell'inno eran queste: « Ut queant laxis Resonare fibris Mira ge storum
Famuli tuorum, Solve polluti Labii reatum, Sancte Joannes ,._ Come si vede, le sillabe in
maiuscola (che sono le prime di ciascun emistichio e che ca dono su note �\scendenti per
1
grado congiunto) danno Ut , Re, Mi, Fa, Sol, La. Mediante l'uso di codeste sillabe, il
musico era messo in grado di appropriarsi l'individualità dei vari suoni, e cantando « Mi », ad
esempio, « sentire ,. la re lazione tonale di questa nota, il suo rapporto d'intervallo melodico
di terza nei confronti della fondamentale dell'esacordo, la sua natura di suono collocato nel
semitono (Mi, Fa ); cantando <c La ))1 <c sentire » la condizione di ultima nota dell'esacordo e
cosl via.
Mancando ancora, nel tempo di Guido, l'introduzione teorica del concetto di <c ottava »,
ossia di riproduzione regolare e costante dei suoni pur modificati per maggiore altezza o
per maggiore gravità, le sillabe dell'inno finivano con l'in dicare in una sola volta suoni
diversi, il cui unico attributo comune era quello di occupare posizioni identiche negli
esacordi.
In questa maniera, la sillaba <c Re )) indicava sempre il secondo suono del l'esacordo, ma
non si curava ch'esso fosse solamente un re e non anche un la e un sol. La sillaba « Fa ))
designava chiaramente la seconda nota del semitono, ma poteva corrispondere tanto a un
fa dei nostri, quanto a un si bemolle o a un do.
C'era insomma, nel sistema di Guido, un po' di quell'ambiguità che serpeg giava
nell'inno a San Giovanni. Anche qui per <c laxis fibris )) poteva intendersi « a gola spiegata »,
oppure <c con le corde vocali affaticate »; e il <c reatum polluti labii )) poteva essere la colpa di
un labbro macchiato da discorsi impuri come la noia di una gola infetta dal raffreddore. La
Sinfonia, in altri termini, era tutt'in sieme un'istanza di grazie spirituali e uno scongiuro contro
gli abbassamenti di voce.
L'innovazione di Guido non si impose all'istante; lui stesso, da buon aristo telico, aveva un
certo ritegno ad abbandonare le lettere dell'alfabeto. Ma ormai l'idea era lanciata ; e, come
già dissi, più che il fatto meccanico (i tedeschi e gli inglesi usano ancor oggi le lettere) valse
il concetto di unire strettamente al l'indicazione della nota il suo dato musicale, quel
connotato sonoro che la dif ferenzia dalle altre e che nasce, in primo luogo, dalla sua
posizione nella scala.
Quanto ho esposto finora può dar soltanto una Scuola di Solesmes. Non ogni cosa è chiari
pallida idea delle tremende affrontate dalla difficoltà
tuttavia, attraverso uno studio minuto dei neumi, attraverso il raffronto ,�.._ maniere
........
calligrafiche e attraverso l 'analisi dei neumi quadrati più tardi ( precisa dei neumi primitivi
), i dotti benedettini son pervenuti a canto gregoriano e a renderlo ancor vivo nelle loro
mirabili esf�cuzlq(II. Una tal musica è
per certo assai dissimile dalla nostra.
noi dobbiamo spogliarci della nostra
natura; innanzi tutto
trappuntistico e armonico ormai
plurisecolare, quindi del
fine del moderno concetto di ritmo. .
Quattrocento anni di musica polifonica
subcoscienza contrappuntistica ; non è
raro il un unisono nel corso di una
composizione rientati. Il profano non se ne
rende
IL SISTEMA MUSICALE
GREGORIANO
• Primo
modo
(dello
anche:
Dorico, Protus authenticus ): (La dominante si sposta anche qui di un grado per
re-mi-fa-sol-la-si-do-re (finalis re; dom. la). corrispondenza con il modo au tentico).
• Secondo modo (dello anche: lpodorico, Protus • Quinto modo (dello anche: Lidio, Tritus aut h. ):
plagalis): /a-sol-la-si-do-re-mi-/a ({inalis fa; dom. do).
la-si-do-re-mi-fa-sol-la (finalis re; dom. fa).
• Sesto modo (dello anche: 1 polidio, Tritus plag.):
(Come si vede è stato ouenuro con il si stema degli
ipomodi greci e cioè portando in basso l'uhimo do-re-mi-fa-sol-la-si-do (finalis fa; dom. do).
retracordo del modo au tentico).
• Seuimo modo (dello anche Misolidio o Tetrardus
auth.):
modo (detto anche: Frigio, Deute rus
• Terzo
authenticus ): )
sol-la-si-do-re-mi-fa-sol (finalis sol; dom. re .
mi-fa-sol-la-si-do-re-mi (finalis mi; dom. do).
• Ouavo modo (dello anche: lpomisolidio, T etrardus
(La dominante fa eccezione, spostandosi al sesto grado
plag. ):
per evirare la nora si di problematica soluzione per la
sensibilità medioevale). re-mi-fa-sol-la-si-do-re (finalis sol; do m. do).
(La soluzione eccezionale della dominante è dovuta al
• Quarto modo (dello anche: l pofrigio, Deu terus carauere diverso del modo anche se ha nole identiche al
plagalis ): primo).
si-do-re-mi-fa-sol-la-si (finalis mi; do m. la).
sole situazioni: o essi cadono rispettivamente fra 3" e 4° e fra r e go grado ( scala
maggiore ), o si trovano fra 2o e 3" e fra r e go (scala minore ). È ben vero che una tal
disposizione si può impiantare su tutti i sette gradi della scala, ma ciò non farà altro che
« riprodurre >> la medesima circostanza ; aumenterà le tonalità, ma lascerà invariato il
numero dei << modi », sempre gli stessi, maggiore o minore.
Il canto gregoriano, al contrario, fa scorrere i due semitoni nei gradi della scala con
varietà ben maggiore della musica moderna, e situandoli fra 2° e }0 6° e 7"; 2° e 3° - 5° e
-
- 6° e 7°, costituisce otto modalità differenti, denominate con i numeri ordinali latini o con
gli antichi termini greci. Di codesti otto modi, soltanto il sesto (ipolidio) presenta i
semitoni nelle stesse posizioni in cui li presenta la nostra scala maggiore; tutti gli altri
non sono né maggiori né minori. In tali circostanze, dare per mezzo di parole un'idea di
quel che siano le modalità gregoriane, è cosa assolutamente impossibile 1.
' Notiamo però qualche fatto: nei nostri maggiore e minore il rapporto fra 7o e go grado è
invariabilmente un rapporto di semitono, vale a dire che il punto di scala importantissimo, dove la
fisionomia
successione irripetibile dei suoni finisce per riprodursi identica in regione più alta, ha una
�ostante e fortemente caratterizzata. Nel gregoriano, tranne per il caso del V e del VI modo, •l rapporto fra
ibil
7° e go grado è sempre rapporto di tono intero. Il sapore della sen � �, cosl potente nella musica nostra, è
dunque quasi ignoto alla musica gregoriana; e questo 10 d1co partendo dal nostro punto di vista; perché, in
effetti, mancando di strutrura armonica,
Storia della musica
•
b
u!' antico ascoltatore di canto j!regoriano non poteva avere il concetto di sensibile che noi ab !amo.
d un
Ancora: sopra otto modi ecclesiastici, ben cinque presentano la ter1:.a iniziale composta 1 . tono e
mezzo, com'è la ter'l.a iniziale del nostro minore. Ci sarebbe cioè, nelle melodie gregonane, una certa
preponderanza di indole minore che noi ormai imbevuti di modalità mo· derne, realmente crediamo di
avvertire durante i primi contat;i con quelle musiche.
La grande cantica del Cristianesimo
Ultimo fra i caratteri più importanti che l'antica musica ecclesiastica non ha
tramandato alla musica moderna e che, pertanto, stan di fronte a questa in atteg
giamento quasi avverso, è la costituzione ritmica.
Accennai, poco innanzi, a un che di audace e sfuggente nel ritmo delle canti lene
gregoriane. Per meglio intenderei, è anche qui necessario richiamare lo stato attuale del
ritmo nella struttura della musica moderna.
Per noi moderni, il ritmo non è più soltanto l'<( ordinato movimento » pla tonico,
l'immissione della nostra intelligenza nella massa bruta del tempo, la conse guente
presa di possesso, natura) risultato della nostra predisposizione a generare forme
definite; l'atto di sintesi mediante il quale, in una serie di suoni, noi ravvi siamo punti di
slancio e di riposo, le « arsi » e le (( tesi » cosl strettamente legate all'istinto della danza. Il
ritmo, per noi, è anche il prodotto di distribuzioni sim metriche, attraverso le quali lo
scorrere del tempo si sottomette come a colpi di staffile regolarmente vibrati, vale a dire
susseguentisi ad intervalli esattamente uguali. Già all'infuori dei ritrovati meccanici
tura pareva incamminarci per questa strada e ciò si
(pendoli, orologi, ecc. ), la libera n a· ·
verifica quando noi senti
vamo pulsare il sangue alle tempie o ascoltavamo il respiro
giusto di un ad dormentato, o, camminando spediti su una strada liscia, in perfette
condizioni di corpo e di spirito, il nostro passo si componeva in successioni perfette.
A poco a poco, però, per un processo oscuro della mente, le filiazioni più semplici,
e pur tanto diverse fra di loro, dell'unità (il due pari e il tre dispari), queste prime
florescenze dell'energia creatrice, andarono insinuandosi nel mono tono succedersi dei
respiri o dei passi. Ci fu effettivamente un accento più marcato sul passo destro,
conseguenza del nostro destrismo fisiologico, o tutto avvenne per produzione
spontanea dello spirito?
Fatto sta che i battiti regolari , fossero quelli del polso o del respiro, del camminare
o del pendolo (oggi vi potremmo aggiungere quelli del treno che passa a intervalli
precisi sulle giunture delle rotaie ) incominciarono a prendere un accento ogni due o
ogni tre, ebbero una specie di testa emergente ogni due o tre volte dall'isocronismo
delle perpendicolari.
Soltanto colpi di pendolo molto spaziati , passi giganteschi che si seguissero a ben
larghi intervalli potrebbero ormai sfuggire a questo incolonnamento per due o per tre ;
tutti gli altri vi si debbono rassegnare e ciò costituisce le nostre categorie ritmiche
infrangibili, il ritmo binario e il ritmo ternario; in una parola, la musica misurata, a
battute simmetriche, che scorre invariata e invariabile dal principio alla fine d'ogni
singola composizione. Tanto che alcune forme, oltre che per altri caratteri, si
individualizzano ancora per la loro appartenenza a uno dei tipi ritmici : il rondò, la
gavotta, la marcia. ecc., al tipo binario; il minuetto, il valzer, il bolero, e cosl via, al tipo
ternario.
tino l 'ordine di quelli (cioè facciano cadere i periodi rigorosamente sul cadere dei battiti,
i s m l
secondo la regolare frequenza prestabilita) si adagiano fra _ .otto '! : tipli dei battiti
stessi con figurazioni più rade e men rade, popolano gh mtersttzl con quozienti binari o
ternari. È una libertà grande, ma che però non oltrepassa determinati confini; una libertà
che, in ultima analisi, deve sempre quadrare con la più forte quadratura assunta a
principio. . Per ottenere un'idea, sia pure assai pallida, della ritmica gregonana, Imma
.
Con lineamenti insoliti , adunque, con una fisionomia inconfondibile, la gigan tesca
figura del canto gregoriano appare oggi a noi , dominando dall'alto del suo trono tutta la
musica del primo millennio cattolico. Le innumerevoli melodie degli Antifonari (cioè le
melodie della Messa e dell'Ufficio), le innumerevoli melodie dei Responsoriali, destinate
alle preghiere delle ore canoniche, quelle dei Graduali ed lnnarii; tutto l'immenso
patrimonio musicale della Chiesa è là, simile a un discorso rivolto dalla terra al cielo,
privo di intenti propriamente artistici, sem
plicemente desideroso di spiegarsi e di farsi intendere.
Non c'è voce di singolo uomo che sormonti la collettività corale; I'Ecclesia cancella
l'individuo e di tante ombre umane fa un corpo supremo. Aggiunge alla
a
?
forz . elle parole una forza nuova, e così bene la conosce che non esita a sovrap
porvJsl. Sa che la musica è il più potente mezzo per esprimere il fondo del cuore; quando
la musica lo comanda assume a legge suprema i suoi accenti e i suoi liberi ritmi .
E così, con un'aderenza totale allo spirito della dottrina e allo spirito dell'età che
rispecchia, la grande cantica del Cristianesimo assimila in se stessa
� d
a �oscienza .ei _IX;Jpoli. Stabilisce su tutta Europa un nuovo impero musicale, è
ms1eme un prmc1p1o e una fine, un alfa e un omega, una nuova unità, simmetrica
grande cantica del Cristianesimo
La 31
Anche Dante, quando vuoi .ridestare l'estasi musicale dei suoi lettori con temporanei,
e attraverso quest'estasi vuoi far loro comprendere le armonie del Purgatorio e del
Paradiso, riferisce i canti che ha udito risuonare nel regno della speranza e nel regno della
certezza. Sono le melodie intonate in tutte le chiese, gli inni ascoltati in tutti i monasteri ; le
prime parole bastano perché ognuno ritrovi l'incantesimo. A dire che le anime purganti
cantavano In exitu Israrl de Aegypto o Te lucis ante terminum Rerum creator
poscimus, sa di avvin cere i suoi lettori meglio ancora di quanto non potrebbe farlo con «
l'alta fantasia ))
.
Ci fu nella storia della Chiesa un'età eroica e questa età ebbe per sua epopea la
musica gregoriana.
Capitolo quarto
L'edificio ideale del Cattolicesimo è allora come una configurazione dei suoi
innumerevoli edifici di pietra. Stanno questi nelle città non più tanto affollate,
sormontando con le moli architettoniche le case basse del popolo; si radicano sulle alture
solitarie a guardia delle valli, e un mucchietto di capanne fumose vive come un armento,
un po' discosto, ai lor piedi. Compiute le fabbriche, si traccia il solco invalicabile e ci si
scrive sopra « clausura )); chiuso il cerchio dei concetti, se ne consegna al dogma la fatale
conseguenza.
Nell'un caso e nell'altro lo spirito si sente definitivo, non riassumibile, ora che le
promesse si accordano con l'apparenza delle cose, e delle lettere stampate sul libro
dell'universo si possiede con sicurezza la chiave. Una vertigine scono sciuta al
paganesimo invade il cuore dei monaci ; perché la loro sapienza trova sempre riprove
nella sapienza divina, perché al suono terreno risponde la conso nanza dei suoni celesti.
Accanto ai digiuni e alle penitenze, accanto alla preghiera e al lavoro, tutti quei religiosi
hanno scoperto un modo nuovo di testimoniare Iddio: scoprire nei propri pensieri l'ombra
del pensiero supremo. A poco a poco, par loro che sulla terra ci siano più idee che
uomini; che la loro mente generi assai più che non il grembo delle donne. Possiedono
tutto, l'ansia dei padri e la sicurezza dei figli.
Ma come sempre avviene, quando un grande istituto umano crede di esaurire in se
stesso ogni limite della vita, anche la Chiesa, la Chiesa medioevale tanto unitaria, tanto
comprensiva di quello che si può sapere e che si può desiderare di sapere, ha le sue
cecità e le sue inavvertenze.
Largo è l'abbraccio, uno dei più vasti che la storia ricordi ; ma qualcosa gli sfugge,
di quanto l'uomo idoleggia al di là degli altari, la proiezione del suo esi stere quotidiano,
l'impulso insopprimibile a non esser sempre discepolo ma a vi vere, un'ora, un'ora almeno
da maestro; il bisogno, infine, di possedere in proprio un suo libero segreto.
Clero, Guerrieri, Plebe. Le vicende della musica profana nell'epoca dominata dal canto
gregoriano si allineano fra le eterne riscosse dell'individualismo; e il loro carattere
personale, anziché diminuito, sembra ancor più marcato dalla netta distinzione fra le
classi sociali. Sono tre grandi individui che si muovono allora nella storia musicale - il
Clero, i Guerrieri, la Plebe - con tutte le incertezze, ma con tutta l'oscura forza degli
anonimi.
I guerrieri, attraverso l'ordinamento feudale e la distribuzione di contee e baronie, di
ducati e di marchesati, tendono anch'essi a disurbanizzarsi. Per sor vegliare i domini val
meglio una rocca a cavaliere dei valichi che un palazzo in
Ma fuori delle chiese c'è il mondo
stinazione.
Dall'altra parte, la plebe bisognosa di pane, che ha offerto il
suo braccio alla fabbrica dei monasteri e dei castelli, incomincia
anch'essa a costruirsi un nuovo mondo fantastico dove sono
frammenti della Chiesa e della Corte e dove
riemergono, assai di lontano, spiriti che la sua ingenuità non ha
·
m ai del tutto eliminato.
Durante le grandi cerimonie sacre, o anche durante i lavori
d'ogni giorno (basta che posino il piccone un istante per
asciugarsi il sudore) gli uomini del popolo sono investiti da ondate
di canti. Le ascoltano e le ritengono con la loro mentalità
particolare, se ne servono per interpretare a modo proprio i segni
più urgenti, per evadere, anche in via provvisoria, dalla vita che li
preoccupa. L'epoca dei grandi ludi popolari è ormai chiusa; le
arene che hanno bevuto il sangue dei martiri sono deserte, e
quelle non riconsacrate dalla Croce si drizzano come fantasmi tra
le illustri rovine. I signori hanno i loro tornei e le loro giostre
d'armi, ma le circondano di aristocratica riservatezza e ne fanno
un distintivo di casta. È allora che fra i tre mondi coesistenti si
insinuano bizzarri intermediari.
Preso nel suo complesso, il �enio nazionale dei
Giullari e menestrelli.
appare come un invilitore della musica. Al disopra dei
Romani
prodotti raffinati, greciz
zanti, ciò che veramente allietava i sudditi
dell'Impero era una forma bassa mescolata di lazzi facili e di
melodie ordinarie; un genere che, trasportato nel tempo e tradotto
nelle possibilità del tempo, può assomigliarsi, ahimè, alle nostre
produzioni canzonettistiche. A spacciare questa tristissima merce
provvedeva una torma di istrioni, un'orda zingaresca accampata
sulle piazze e sui trivi ; intoccabile da�le classi sociali, ma da
tutte, nello stesso tempo, ascoltata.
Ebbene, questa schiatta di vagabondi più tenaci di ogni altra,
distruzioni,
più forte di ogni altra di fronte alle invasioni e alle
questa sl:hiatta che innume
revoli cadute hanno abituato a cadere
in piedi, che ha acquistato l'elasticità della gomma, è ancor Il dopo
il tramonto di Romolo Augustolo e il succedersi dei regni barbarici,
dopo l'evangelizzazione d'Europa e lo stabilirsi dell'impero franco,
in Italia o in
sostanzialmente identica sia che noi la consideriamo
Inghil
terra, in Aquitania o in Provenza, sulle rive del Reno o sulle
rive del Tago. Immemore e sprovvista di qualsiasi piano per
l'avvenire, essa, dalle bassure in cui ha sempre vissuto, è
destinata a prender parte, senza saperlo e senza volerlo, nel
nuovo svolgimento della musica.
Non importa se qui li chiameranno ancora istrioni,
cantimpanchi, o giullari; se là il loro nome sarà quello di ;ongleurs o
di minstrels. Son dovunque gli stessi, son come gli orsi (animali del
loro repertorio) i quali, col balordo passo da plantigradi e con l'aria
di andar sempre a zonzo, CQmpiono, effettivamente,
trasmigrazioni di miglia e miglia.
(( Costoro - scrive un manoscritto inglese dell'epoca prima di venire
a
Storia della musica
L'organo: un dono di Bisanzio. Noi già sappiamo come la liturgia cattolica più antica
entali
bandisce dalla esecuzione dei canti ogni concorso di accompagnamenti istru � :
Per circa sette secoli essa rimane ferma in questo atteggiamento, impa
_ vida,
espress
disinteressata e costante; ma quando muta proposito, non è perché abbia � dal
pro
proprio seno una creazione personale; è perché un istrumento fano, Sino a quel
s a for
momento usato per scopi niente affatto religiosi, smantella la � _tezza e vi penetra
d1 Tro a della
dentro con strategia squisitamente mondana, vero cavallo �
c qui dell'organo, di questo per
_omplimentosità dipiomatica. Parlo sonaggio per n01 tanto
dell'i
ortodosso, che arriva da Bisanzio nel 757 d. C. come dono C?peratore Costantino
Copronimo a Pipino il Breve re dei Franchi e che, non SI sa bene se per idea di questo
monarca o per suggerimento e per esperienza
Ma fuori delle chiese c'è il mondo
precedente del suo collega orientale, viene adoperato subito in chiesa, accompa gnando
all'unisono e all'ottava le melodie gregoriane.
Quando noi oggi, in una grande basilica, leviamo gli occhi verso la loggia organaria,
pensiamo istintivamente che una tal macchina sia nata Il dentro, in sieme con le curve degli
archi, con la plasticità delle colonne e con la luce delle ogive. E invece, essa si riconnette,
da un lato, alla mitica siringa del dio Pan (a quell'uso utilitario, sapete, che un amante
ingegnoso e per nulla impressionabile seppe trarre da una ninfa metamorfosata in canna ),
dall'altro, a un apparecchio idraulico di C tesi bio d'Alessandria e a certi calcoli precedenti
del vecchio Ar chimede.
L'acqua era un po' una fissazione di Archimede; dovendo scoprire la lef!ee del peso
specifico, quel saggio andò a prendere un bagno, dovendo farsi ammaz zare da un rozzo
Romano scelse ancora di trovarsi immerso in una vasca. Ma è un elemento che non
sempre si trova ; e allora, poi che l'ufficio dell'acqua era soltanto quello di comprimer l'aria
necessaria a scorrere nelle canne, si pensò di sostituirvi le braccia e servirsene per
azionare il mantice. Un braccio, anzi : ché i primi organi erano giocattolini e si portavano in
giro come fisarmoniche, e a pompar l'aria bastava la sinistra, mentre la destra batteva a
pugni chiusi sui grossi e radi tasti. !strumento, insomma, tutt'altro che sacro e chiesastico;
istrumento che si sarà trovato di certo anche nel bagaglio bizzarro dei menestrelli e giullari.
Quand'esso penetra nella cattedrale del buon Pipino, in dimensioni più grandi e
proporzionate alla potenza di un imperatore di Bisanzio, l'effetto prodotto sui fedeli è
addirittura formidabile. Si parla di deliqui, di morti secche e di altri accidenti poco meno
'
funesti ove andò a sboccare l entusiasmo e l'impressione degli ascoltatori. Costoro infatti ,
per via delle orecchie, ricevevano la prova di come Iddio uscisse ogni tanto di chiesa e poi
ritornasse dentro portando con sé tutto quanto aveva trovato. Lo metteva sugli altari e ci
insutflava lo spirito.
Tropi e Sequenze. Un'altra circostanza di quelle così dette « generatnc1 », per cui la
melopea gregoriana in un suo ultimo svolgimento avrebbe lasciato cadere i semi di
successive forme profane, è l'apparizione delle Sequenze, dei Tropi , e del loro cugino il
Dramma Liturgico.
Senza impantanarci nelle questioni storiche, nello stabilimento delle date precise,
nella ricerca delle precedenze e cosl via seguitando, diciamo in poche pa role ciò che
fossero quei tre personaggi .
Già noi vedemmo come l'Alleluia dei canti sacri, movendo dal significato letterale del
termine ( << lodate Iddio con gioia, celebrate il Signore con giubilo » ), avesse dilatato
all'estremo la sua struttura sillabica e attraverso il puro suono delle vocali si fosse
stemperato nell'entusiasmo di lunghe frasi melodiche. Nel corso di un 'Alleluia il senso della
parola si perde intieramente di vista, tanto son- fitte le note tra una sillaba e l'altra, tanto
l'ultima vocale si prolunga in rinnovantisi vocalizzi. È il procedimento melismatico condotto
alla sua estrema conseguenza, la libertà musicale che prende il volo infischiandosi
allegramente della prosodia e che afferma con gagliarda convinzione i suoi diritti a
un'esistenza autonoma.
Fra il IX e il x secolo, in Francia o nell'abbazia di San Gallo, si verifica un fenomeno che
noi, agli effetti dell'accennata autonomia, potremmo chiamare involutivo, cioè si
compongono versetti latini tali da potersi adattare, ogni sillaba una nota, alle lunghe frasi
allelujatiche, precedentemente intonate sulle semplici
Storia della musica
soddisfatto, quanto il conferire alle sue immagini una disposizione regolare e or dinata,
crearsi punti di riferimento sicuri e ancor più sicuramente prevedibili, aspettare confluenze e
luoghi di posa, saper bene ch'essi ci sono e che al momento buono non lo inganneranno.
Tutto questo che in poesia sta creando la rima e l'andamento strofico rigo roso (non
dimentichiamo che all'epoca delle Sequenze gli idiomi volgari vanno consolidandosi e
vanno imponendosi adagio adagio sopra il latino), tutto questo, musicalmente parlando,
sbocca appunto nell'iterazione melodica, nell'esatta rispon denza dei frammenti di frase, in
quel giuoco di parentele strette e di filiazioni vicine, che il canto gregoriano aveva ignorato o
ripudiato e che ormai urge, ancor timido ma incontenibile, nel seno fondo dell'anima
popolare. Da ultimo, noi dob biamo tener presente la danza e ricordare come una tal forma
d'arte, sorta di poesia o di musica muta, espressione un poco provvisoria e ancor indecisa
tra la sensazione e l'immagine, sia una pratica per il popolo insopprimibile, soggetta
quant'altra mai alla ricorrenza dei periodi, quindi alla loro ripetizione e alla loro regolata
distribuzione.
Considerazioni siffatte ci portano a concludere che la Sequenza ecclesiastica, meglio
ancora gli elementi attivi di essa, non furono prodotto personale di singoli compositori e
poeti gregorianisti, non furono un ritrovato della teoria a scopo didattico e mnemonico, ma
rappresentarono l'influsso del mondo sull'animo artistico di quegli esuli dal mondo,
esercitatosi per vie segrete e onestamente ignote a chi le seguiva.
Che Notker Balbulus spieghi a un collega le sue ragioni della Sequenza e cerchi di
logicizzarle, da buon studioso medioevale, non significa niente. Di fronte a Notker sta
Tutilone, un altro monaco, vissuto verso il 900, compositore di Tropi (cioè di canti assai
simili alle Sequenze), pel quale la causa di « tanta dol
cezza, di tanta armonia suscitata » sta nell'aver « cercato » le sue ispirazioni sopra la crotta e
il salterio, sopra due strumenti, infine, di schietto tipo profano. Il medesimo discorso vale
anche per i Tropi testé menzionati e per il cosl detto Dramma Liturgico. I Tropi si
comportavano suppergiù come le Sequenze 1, tranne che l'aggiunzione di nuovi versetti non
si verificava sui vocalizzi melisma tici dell' Alleluja, ma su quelli del Kyrie e dell'lntroitus.
Pertanto, doveva rego larsi in modo da far correre un senso logico tra la prima parola Kyrie (
Signore) e l'ultima eleison ( abbia pietà). Assai più importante era il fatto esecutivo, in
quanto i Tropi venivano cantati alla maniera responsoriale, tra solista o « tra pista >>
(esecutore dei versetti ) e il Coro che rispondeva Kyrie, o Christe, o eleison.
Il Dramma Liturgico. Il Dramma Liturgico ( avvertiamo qui che il termine è del tutto
moderno, cioè indica una circostanza storica di fatto, oggi pienamente assodata, della
quale però i protagonisti non si rendevano ben conto e alla quale non dettero un nome
specifico) il Dramma Liturgico, considerato sotto l'aspetto poetico, è un ingrandimento del
modo di procedere instaurato con le Sequenze e con i Tropi ; giacché, al par di quelli,
sviluppa concetti già sinteticamente rac
chiusi nella liturgia o ne inserisce di nuovi che possono prender posto fra due momenti della
Messa. Suo intento immediato è rivivere, e far vedere rivissute, le vicende più importanti e
più ricche di elementi fantastici che la storia cristiana
o
' Nei Tropi, soprattutto quando l'originaria frase gregoriana non disponeva di melismi . ne praticava di
troppo brevi, si aveva un vero ampliamento dell'invenzione melodica: ciò d1ede sfogo agli impulsi creativi
quotidianamente rievoca negli Evangeli della Messa e nel « titolo >> di questa ( feste
particolari, ricorrenze di date, commemorazioni di Santi). La Strage degli inno centi e l
'Adorazione dei Magi, la Crocifissione e la Resurrezione, basta un nulla per trasportarle
dallo stadio narrativo allo stadio rappresentativo, tanto più che il testo evangelico, tutto
fiorito di dialoghi e di discorsi diretti pronunciati da Cristo, dai suoi seguaci, dai suoi amici,
dai suoi nemici, ha già in se stesso un chiaro schema drammatico.
Il passaggio avvenne dunque spontaneamente, senza fatica, col beneplacito più o
meno entuasiastico delle supreme autorità religiose. Esecutori della nuo vissima
rappresentazione (timida, d'altra parte, e quasi appena accennata ) furono i medesimi
sacerdoti officianti, i diaconi, suddiaconi e ragazzi delle Scholae Can torum; cornice
ambientale il servizio divino delle solennità principali; sfondo sce nico l'altare delle
basiliche, il Coro, in tempo di Pasqua il Sepolcro.
La materia sonora del Dramma Liturgico è gregoriana per le tonalità e per il giro
melodico; ma presenta tutti quegli aspetti di concentrazione, di iterazione e di « rima
musicale » che ho additato nelle Sequenze e nei Tropi. Deriva da questi ultimi, insomma,
con stretta discendenza e forse ne accentua i caratteri, sino ad assumere quelli di
un'ordinata stroficità nei periodi melodici.
Tralascio tutte le questioni storiche ed erudite collegantisi col Dramma Li turgico ( la
precedenza svizzera o francese, gli influssi bizantini che è possihile riscontrarvi ,
l'immissione di incisi romanzi nel testo latino) e rilevo anche qui un'azione non legittimata,
ma ciò nonostante diretta e vittoriosa, del genio mon dano. Assai prima che sorgessero i
Tropi dialogati e le Sequenze, il popolo e i signori << agivano >> le loro immagini poetiche e
le loro fantasie. Non cessò mai di agirle quella plebe italica che la tragedia di tipo greco
aveva assai poco com mosso, ma che andava pazza per semplici e animate commediole,
cadute all'ultimo grado di << guittismo >> e trascinate per le vie di campagna; quella plebe
italica che ha nel proprio seno il << contrasto >> dialogico e il « lamento >> soliloquiale. Non
cessarono di agirle la plebe franca ed i nobili ; forse gli stessi bardi celtici , questi
misteriosi cantori e sacerdoti senza chiese, i quali, secondo taluni, avrebbero praticato
una specie di poesia sceneggiata.
'
L apertura di varchi nel solido bastione ortodosso non è dunque un atto vo lontario
della Chiesa, una generazione spontanea intesa a scopi pratici; ma è piut tosto un'ipoteca
che il mondo accende sul suo edificio primitivo e cui la Chiesa de cide di sottomettersi , un
po' per polerla controllare da vicino, un po' perché lo
spirito artistico è unitario, universale, e coloro che nel puro canto gregoriano sa pevano
tanto innalzarsi non avrebbero potuto restare impassibili di fronte al bello, all'ingegnoso,
all'espressivo, all'entusiasmante, qualunque ne fossero la provenienza e l'aspetto.
D
Certamente, la forza propagatrice della Sequenza, dei Tropi e del �amma Liturgico fu
1
tanto più grande in quanto quei tre generi di composizione, ch �ramente determinati,
definiti ed eccellentemente eseguiti, emanavano dalla Ch1esa, vale a dire dall'autorità più
P an •
alta dell'epoca. Ma noi diremmo quasi che il �enio .rof . ? . ansioso di accelerare i
·
tempi del su o gran viaggio, abbia insinuato 1 propri spmu nel castello sacro allo scopo di
ottenere una specie di investitura e che poi, ritiratili, li abbia incamminati con più ardore
sulle vie del mondo.
Giacché •. Liturgici si allontanano
�
in �eve volger di tempo, Tropi e Drammi
tanto da ogm rehg10sa purezza che la Chiesa, preoccupata, li allontana dai luoghi
consacrati .
g , n m
. . Incominciò il diavolo a metterei la sua coda; e fu quando i drammatisti litur �cl . no . .ai
paghi di dipingerlo odioso e spregevole, lo caricarono di tali attribu ZIOni vensuche che anche gli
esorcisti più severi ne rimasero molto inquietati. Fu
Ma fuori delle chiese c'è il mondo
poi la volta del ciuco, prezioso ausiliario della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto, cui
le lodi e le azioni di grazie, le assimilazioni iperboliche e le compara zioni minacciarono di
una canonizzazione grottesca.
Espulso dai templi, il Dramma Liturgico, a seconda delle nazioni e delle va rietà
formali, divenne Mistero, Devozione, Moralità, Historia, Ufficio in rima, Mi rade Play, e si
accampò di preferenza sui sagra ti, sulle nude piazze antistanti le cattedrali.
I nostri allegri giullari, i clerici vagantes che son come gli ambulanti della bigiotteria
grossolana, i goliardi e cento altri personaggi pittoreschi dell'epoca vi si gettano sopra con
avidità di novizi e n'esce alla fine un gran pasticcio di motivi sacri e satirici, di parodie e di
sconcezze, di allegorie volgari e di ammonizioni vi
sionarie. Nella bella compagnia non mancano anche i monaci bizzarri; e cosl, at traverso i
Testamenta asini, i Carmina Burana e i Sacerdos et /upus, noi vediamo verminare ai
piedi delle guglie gregoriane un guazzabuglio assurdo ma pieno di sangue vivo, pieno di
audacie e di pentimenti, d'ingenuità e di arditezze, il quale, se non ha generato direttamente
più compiute forme di arte, ha pure mantenuto un fermento d'idee che ritorneranno staccate
e imprevedibili negli svolgimenti po steriori della letteratura e della musica.
La Lauda. I gran produttori di codesto tipo di opere sono sopra tutto i paesi di Oltralpe.
L'Italia profana non rimane estranea alle fantasie dei giullari e goliardi ; ma il suo spirito
poetico-musicale sembra più tenacemente attaccato all'ispirazione religiosa; e anche
quando le forme melodiche e modali del gregorianismo sembrano ormai superate presso il
gusto attivo del popolo, quando la lingua volgare ha de
cisamente soppiantato il latino, qui nella Penisola noi assistiamo al fiorire di un genere
ancor puro, il quale anzi, al misticismo trascendentale e un poco dialettico della melopea
gregoriana, oppone un'ingenuità estatica, una meditazione raccolta e frescamente umana,
un elemento nuovo, insomma, nel quadro complesso della re
ligiosità medievale.
Alludo alla Lauda, che raggiunge il suo massimo splendore nel tempo di Santo
Francesco ma che già fu in atto a Firenze durante la seconda metà del secolo xn, per opera
di Compagnie di Laudesi , ovvero confraternite di laici dedicate all'esal tazione di Iddio.
La Lauda Spirituale, che per la forma dei testi poetici vien collegata alla lirica e che
anche musicalmente ci presenta chiaro intento lirico, è tuttavia un altro esempio
importantissimo del processo di emancipazione dal dominio gregoriano, cioè di
un'autonomia profana progrediente e gravida di avvenire. Le melodie delle Laudi, ristrette in
breve giro di note e assai vicine ai nostri modi maggiore e mi
nore, cantate all'unisono e accompagnate probabilmente da salteri, viola, liuto e tromba,
echeggiavano sulle piazze cittadine e lungo le vie ai santuari , sintetiche ed immediate,
bene articolate sillabicamente, esenti da mollezze e dolcemente do mestiche.
Se anche l'origine francescana è da rigettarsi perché troppo tarda rispetto alla nascjta
della Lauda, certo è che modeste composizioni, cosl profumate d'aria aperta e cosl segnate
di passi, sembran proprio ispirate da quei Santi vaganti, Santi popo lari e vorrei dire « da
strada », che sono proprio indigeni dell'Italia. D'altra pane, la giustificazione artistica della
Lauda ci è offerta chiaramente dalla sua storia suc cessiva : è di qua che germinò l'Oratorio,
forma gloriosa della musica antica e moderna.
In conclusione, una volta consumato il primo millennio dell'era cristiana, il puro canto
gregoriano non produce più grandi opere secondo lo spirito antico.
Storia della musica
..
Il patrimonio secolare viene salvaguardato ancora e difeso, ma può dirsi che ogni nuova
composizione, sia pur nata nell'ambito religioso e destinata a finalità reli giose, ha in sé il
moto di diffuse inquietudini, il segno di immagini profane ormai già insuperabili e resistenti
a qualsiasi purificazione. Merito grandissimo della Lauda è dunque quello di aver saputo
ritrovare la purezza accettando francamente i modi e l'ispirazione popolare, riuscendo a
fissare l'attimo di grazia artistica che pur vi esisteva, n debole e pericolante fra i richiami
di reminiscenze spurie, fra le lusinghe della facile parodia e gli allettamenti dello
scientismo scolastico, fra le minacce della bravura e le sirene del meraviglioso.
A condividere la fortunata sorte della Lauda stanno poche Sequenze, fra le
moltissime composte dopo i tempi di Notker Balbulus, che la Chiesa ufficiale ha
sanzionato della sua approvazione ed ammesso nella liturgia. Composte nella forma
dell'Inno, vale a dire collegantisi con forme bizantine di gran lunga anteriori, a strofe latine
di piedi preferibilmente giambici, dove però la quantità sillabica non ha più valore e solo
dominano l'accento tonico e la rima o assonanza, codeste Se quenze presentano melodie
facili, incisive, regolarmente articolate e animate da un
ritmo che è ormai ben simile al nostro; sono insomma indipendenti dal genuino potere
gregoriano e attingono anch'esse agli spiriti popolari. Le più note sono il Veni Sancte
1
Spiritus di papa Innocenzo III (che morl nel 1216) , la Lauda Sion di San Tommaso
Aquinate, lo Stabat mater di Jacopone e quel Dies irae che troppi ancora si ostinano ad
attribuire a Tommaso da Celano (morto nel 1 320) e che, invece, l'abate Guerrino
Amelli ha dimostrato di oltre un secolo più antica.
LA MUSICA TAOVADOAICA
Nel colmo del Medio Evo la Musa profana ha dunque varcato la soglia dei tempi i;
s'è come incoronata a quegli altari che detengono il monopolio delle con sacrazioni, e
resa più sicura e più forte è andata incamminandosi verso i suoi nuovi destini. La massa
multiforme dei musici mondani , sempre un poco giullareschi in quel tempo, sempre un
poco segnati da una specie di irregolarità artistica, è en trata con frode nel campo
avverso, ha compiuto la sua razzia e s'è dileguata senza quasi farsi osservare.
Ma ci fu un dominio poetico-musicale dove i geniali avventurieri agirono a viso
scoperto, un dominio quasi totalmente estraneo alla Chiesa (opposto alla Chiesa, chissà,
nel suo intimo), che si accentra .tutto intorno alla figura del Guer riero, terzo personaggio
del complicato dramma medievale.
L'uomo d'armi del Medio Evo non ha più nulla del suo predecessore classico. Nella
pratica bellica Roma ha ceduto il campo alle nazioni germaniche, ed è sulle nazioni
germaniche che l'Europa tutta modella adesso i suoi ideali di guerra. Chi possiede un
braccio gagliardo e uno spirito audace si mette al servizio del re o imperatore; ma sa
s e
bene che, cosl facendo, si mette innanzi tutto al servizio di se ste �o. P �ché il re o
imperatore, in caso di vittoria, procederà a una larga distri buzione d1 terre, perché il re o
imperatore è come la matrice inesauribile di tanti piccoli re o imperatori.
Per reggere immensi domini in epoca di scarse comunicazioni , mancando un
elemento coesivo come era stato a tempo suo l'idea di Roma e una classe di accorti
amministratori come erano stati i pretori e proconsoli, il feudalesimo adotta il sistema di
una specie di federazione di armati, dove la fedeltà è affi
data allo spirito di conservazione e alla speranza di maggiori guadagni ; più va-
gamente, all'investitura divina che l'imperatore ha ricevuto dalle mani del Vi cario di Cristo.
In tutto questo una vera dottrina statale scarseggia e abbondano, invece, un
sentimento un po' fantastico dell'eroismo in genere, una coscienza un poco avven turosa
dell'eroismo personale, una fiducia illimitata nelle buone stelle, e una certa compiacenza
delle audaci solitudini. Nell'animo di ciascun feudatario c'è la pre messa del cavaliere
errante; e se quelli di Leonida alle Termopili eran stati tre cento, Rolando è solo a difendere
per ore ed ore il passo di Roncisvalle.
Il Guerriero di questi secoli è una creatura eminentemente musicale, e tutti quei conti
e baroni, che trascorrono nei castelli isolati g!i intervalli fra una guerra e l'altra, non possono
accontentarsi della musica che la Chiesa dispensa. Tendono l'orecchio ai canti dei
menestrelli col semplice scopo di riposarsi ; ma poi, adagio adagio, vi ravvisano la
possibilità di una personale estrinsecazione, sicché, piana
mente, sotto il segno di spiriti nuovi, essi concludono un'alleanza coi liberi musici della
strada.
Gli spiriti nuovi sono il senso della propria gloria, il fuoco delle inimicizie personali, le
passioni politiche e l'amore. Alimentati da una energia individuali stica tutta propria del
feudalesimo (la stessa, in fondo, che non ha mai lasciato durare i regni barbarici, l'impero
carolingio e il sogno conciliativo di Dante), co desti spiriti si riplasmano nell'arte, dopo il
lungo hHervallo ecclesiastico che li aveva allontanati. Il giullare italico, pezzente e quasi
intoccabile ai cavalieri, si eleva verso lo scop germanico, ch'è un cantore solenne di gesta,
ma prima di tutto un armato fra armati ; si avanza verso il bardo celtico che costituisce una
specie di casta oligarchica; i confratelli stranieri si abbassano un poco verso il giullare, e
cosl, a mezza strada, essi s'incontrano e danno nascita ai Trovieri e Trovatori.
La patria originaria di questi nuovi artisti è veramente la Francia (Francia settentrionale per
i Trovieri, Francia meridionale per i Trovatori ); ma essi cam minano tanto e posseggono
una tal forza di penetrazione, che in breve tempo l'Eu ropa n'è invasa e cantare alla maniera
trovadorica diventa comune in qualsiasi na zio:-�e, sia che i cantori assumano nomi
indigeni e si servano dell'idioma indigeno, sia che adottino, anche stranieri, il titolo e il
linguaggio dei loro primi maestri .
La « trouverie ». Per circa due secoli, dal 1 100 alle soglie del 1 300, il trobar, vale a dire
l'inventar rime e rivestirle di musica, assume l'aspetto di un'attività sociale, una seconda
natura come fu l'opera lirica nel Settecento e Ottocento, com'è il cinematografo nei tempi
nostri. Assai più rapidi che le mercanzie e le notizie, i canti trovadorici corrono le strade
d'Europa; e i loro motivi poetici diventano una specie di repertorio universale, s'impongono
alle menti come autentiche cate
gorie dell'immagine. C'è tutta un'organizzazione per spacciare i prodotti di quest'im mensa
azienda di versi e di melodie; ci sono senza dubbio dei managers che coor dinano gli
scambi fra i castelli e le piazze.
Perché la trouverie arruola sotto i suoi segni personaggi di qualsiasi ceto, re e principi
feudali, ecclesiastici e chierici, cavalieri senza dominio e giullari anno biliti. Il trovatore
perfetto è colui che sa comporre insieme i versi e la musica e che, una volta compostili, sa
cantarli con buona voce accompagnandosi alla vie/la o al liuto.
Senonché, un'ugola d'oro e una mano destra agli strumenti non sono cose di tutti ; si
verificano allora leali associazioni fra creatori veri e propri e fra esecutori, i quali mettono a
disposizione dei primi le loro doti vocali e virtuosistiche. Coppie che si completano a
vicenda passano di castello in castello, di competizione in com
petizione; si suddividono equamente le vittorie e le sconfitte.
50 Storia della m11sica
I più grandi signori, se non è per intraprendere viaggi d'amore come Jaufré Rude!
marchese di Blaia non possono sottrarre gran tempo al governo det loro
domini e dediCarlo �ll'es � ressione artistica. Siccome son però anche loro convinti
sostenitori della propaganda, ecco scritturano colleghi di più bassa condizione, � dopo
averli ammaestrati in modo conveniente li lanciano attraverso le strade dt Europa.
Gli argomenti trattati dai trovatori sono numerosi e di vario carattere; �utta via, anche in
essi, noi riscontriamo una forte tendenza al raggruppamento dt nu clei informativi,
insomma quella spinta alla definizione e alla classificazione, quel l'indirizzo sistematico
che è particolare della cultura medievalistica. Per gli artisti dell'epoca non esisteva una
preoccupazione di libertà nel senso che noi oggi in tendiamo; ma piuttosto il dovere di
aderire come meglio possibile a quattro o cin que concetti centrali, quegli stessi che, per
venire più chiaramente fissati, possede vano ognuno la loro brava rappresentazione
allegorica.
L'amore vi ha larga parte, e anche se si stilizza in un codice assai meccanico,
compiaciuto di sillogismi rigorosi e di bravure metaforiche, è tutto diverso dal l 'amore
degli artisti pagani. Ci senti la donna germanica; quella che nei tempi eroici condivideva
la fatica dei soldati e che, non più chiusa dentro i ginecei o nelle case, trasmigrava con le
tribù guerriere, viveva i pericoli comuni e confortava le comuni sciagure, aveva già, per
naturale portato dell'esistenza, una sua funzione ristoratrice, era già immessa,
naturalmente, negli interessi gelosi degli uomini. E ci senti la donna ombra delle donne
evangeliche, la figliola ormai imperibile della Ma
dre di Cristo; creatura che si è rivelata in momenti supremi , nella gestazione e nel parto,
nella miseria domestica, nell'ansia della fuga e nella malinconia dell'abban dono,
nell'angoscia del giudizio e nella disperazione del martirio.
Non importa se questo amore (un poco per la concezione dell'epoca che ri tiene
dovere della poesia il mantenersi al di sopra del reale in un dominio superiore regolato da
leggi armoniose, un poco per il già accennato istinto sistematico) non importa se questo
amore agisce sempre per personaggi obbligati, « la dama >> vaga mente adombrata, « la
pastorella >> affascinante come una dama, <� il marito >> inde gno di entrambe e « l'amico
>> che veglia sui convegni notturni. Dalla dura perga mena scolastica affiora non di rado il
soffio di una vera passione, oppure, ch'è lo stesso, la fantasticheria di una passione
immaginaria, ma cosl accesa nell'animo del poeta da renderla viva e convincente.
Accanto all'amore, che dà luogo alla grande camo e a forme minori come il ieu
parti (canzone dialogata intorno a problemi del codice amoroso), all'aubade ( rac conto
dell'amico compiacente), alla camo de toile (narrazione di sventure amorose la cui
protagonista è una donna all'arcolaio), alla pastourelle e alla rom ance; accanto
all'amore, altri sentimenti forniscono soggetto alla lirica trovadorica. E sono il com pianto
per la morte di grandi personaggi (che inspira il pian h), il risentimento o l 'ammirazione
(che si sfogano nel sirventese), il disgusto e l'amarezza (che assumono forma satirica e
si traducono nell'ennui). C'è infine un tipo poetico che potremmo chiamare « d'attualità »
v n
e che si manifesta nella pre:dcanxa, canzone dove i trovatori �rsa � concetti e
immagini attinenti le grandi Crociate e dove l 'amore, il rimpianto dt lasc1are l'amata e l
'incertezza del ritorno si fondono in motivi religiosi assai spesso efficaci per la loro
urgenza umana. '
La musica applicata a tali schemi poetici (e ad altri ancora che non ho nomi nato) è. una
u
m �ica di « modalità » marcatamente gregoriana; tanto che gli studiosi non esuano a
rtlevare in ciascun brano il tono ecclesiastico cui la melodia 11ppar-
5t
Ma fuori delle chiese c'è il mondo
tiene. Questa circostanza, quando noi ricordiamo il distacco dalla modalità grego riana già
operato in proporzioni notevoli da molte musiche coeve, ci appare come una riprova del
carattere intenzionalmente « dotto )) dell'arte trovadorica e del ri ferimento ecclesiastico
verso cui, durante il Medio Evo, si orientava qualunque at
tività intellettuale che non volesse confondersi del tutto col genio plebeo. L'indole
particolare delle melodie ( si tratta sempre di musiche monodiche, dove la viella, il liuto od
altri istrumenti si limitavano a seguire all'unisono, a intercalare qualche accordo e arpeggio,
o, al massimo, a inserire timide fioriture), l'indole delle melodie è difficile a definirsi, anche
perché l'interpretazione dei neumi, cui vennero affidate nei codici, risulta tuttora un poco
controversa. A volte esse si muovono in un ambito assai ristretto, nell'intervallo di una
quinta o poco di più a volte si slan ciano ardite, con ascensioni e cadute improvvise.
Quasi tutte indulgono a melismi, a veri e propri << gruppetti >> che si staccano rapidamente
da una nota per rapidamente tornarvi e che hanno una stretta rasso miglianza con le
analoghe ornamentazioni del canto popolare spagnolo, sfuggendo
anch'essi, io credo, a un'intonazione precisa e rigorosamente diatonica. Molte ab � on
dano dell'intervallo di terza, e quest'uso talora insistente (sopra tutto alla chiusa dei periodi
melodici) fa stranamente pensare a scale delle musiche orientali, dove il pen tacordo non si
succede tutto per << seconde )), ma in determinate regioni procede
1
appunto per « terza )> •
In quanto alla struttura melodica, c'è una nuova affermazione del periodo sim metrico,
degli incisi generatoti, del ritornello, e di altri atteggiamenti già riscontrati in forme popolari,
ancora contenuti in composizioni precedenti o contemporanee, di argomento profano e
testo latino, quali furono il Rondellus e il Conductus, ca ratteristico, questo, per la sua
pratica di applicar parole latine sopra melodie di can zoni in volgare.
La ritmica, infine, non mi sembra affatto chiarita dalle ingegnose e pur con tr:lddittorie
interpretazioni dei dotti. La misura ternaria in cui essi trascrivono quasi costantemente le
melodie trovadoriche è forse un'anticipazione troppo affrettata di tempi non ancora maturi ;
il risultato troppo sommario di un'analisi metrica dei te sti poetici e del loro adeguarsi in ritmo
prosodia.
musicale secondo le leggi della moderna .
Per far tornare i conti in modo regolare, codesti studiosi son sforzati a ridurre i melismi
in veri e propri << gruppetti )), ovvero a introdurre terzine, cinquine o figu razioni settenarie,
alle quali poi attribuiscono il valore di un'unità ritmica. Ciò mi par contrario a quel carattere
di libera declamazione che il canto trovadorico do vette certo possedere e al suo bisogno
essenziale di far ben comprendere le parole, direi quasi di farle preminere di fronte alla
musica.
Non vorrei che l'attrazione dei canti
danzati (anche questi appar•"'�"�""
pertorio dei trova tori e naturalmente più
regolari nel ritmo) abbia ese·rc!l�,
flusso tirannico sulle interpretazioni dei
dotti occitanisti . A mio
il fatto quasi costante che i versi delle
poesie trovadoriche
proposizioni logiche compiute (che la
stessa proposizione non prende quasi
mai posto fra l'ultimo emistichio di un
sivo) fa pensare all'esistenza di cesure musicali alla fine di ciascun verso, cesure as sai
simili ai respiri << ad sensum )) del canto gregoriano (forse riempite da accordi strumentali)
le quali, comunque, dovevano contrastare con la quadratura ritmica da noi moderni
intesa.
Trova/ori e trovieri. Fra i trovatori e trovieri più famosi, le cui biografie assai ro manzate
vennero trasmesse dalle vidas del tempo, ricorderò nel periodo antico Gu glielmo VII
conte di Poitiers, Jaufré Rudel, celeberrimo pioniere dell'amore di terra lontana, giunto
fino a noi con la sua poesia e la sua musica; Bernart de Ventadorn, che cantò per tutto il
Mezzogiorno di Francia e per l'Inghilterra; Bertran de Born di dantesca memoria;
Marcabru satirico e moraleggiante.
Nella prima metà del Duecento incontriamo Folquet de Marseille, Arnauld Daniel,
Rambaut de Vaqueiras, Peire Cardinal e Peire Vidal 1• Chiudono la lunga serie Thibaut
de Champagne re di Navarra, e Adam de la Hale, il quale, nel 1 285, produsse alla Corte
Angioina di Napoli un ]eu de Robin et de Marion, considerato come il lontano precursore
dell'opera comica. Sulla loro scena pittoresca di castelli un po' favolosi, in un'atmosfera di
auten tica poesia dove il monarca si fonde al pezzente, in un mondo allusivo ed ermetico
che ti scambia le regine con le pastorelle e i figli di pellicciai con i figli d'imperatori, i
trovatori ingombrano due secoli di storia, poi spariscono in attesa del Romanti cismo, di
questo instancabile disseppellitore, cui l'idea di un misero di gran talento, amante
disperato di principesse, quadrava magnificamente ed esemplificava, come meglio non si
poteva richiedere, l'eterna lotta dello spirito contro il macigno della materia incoronata.
L'intenso traffico dei trovatori svolgentesi attraverso l'Europa non assunse dap
pertutto il medesimo aspetto.
In Italia dove la Cavalleria, in fondo in fondo, non era mai bene penetrata negli
spiriti e tanto meno nelle consuetudini, dove i Comuni tendevano a ispirare nuovi ideali e
dove il linguaggio nazionale andava spiegando un suo genio poetico assai divergente da
quello delle altre nazioni, la trouverie rimase allo stadio di cu
riosità letteraria, fu un esercizio di bravura e forse una << posa )). Ebbe certamente
influsso sopra successive forme poetiche (minore assai sopra forme musicali ), ma un
tale influsso è di quelli che possiamo dire indiretti, di quelli che serpeggiano na scosti e si
rivelano a distanza di tempo.
Fatto sta che i trovatori italici, oltre a seguire i colleghi d'Oltralpe nell'uso della lingua
·
provenzale, li tallonano servilmente per ciò che riguarda gli argomenti, i metri, lo spirito
della poesia. Circa la musica trovadorica di produzione italiana, nulla ci è consentito di
dire, perché i codici con cui ci vennero tramandati i poemi dei vari Lanfranco Cigala,
Alberto Malaspina, Bartolomeo Zorzi, Terramagnino da Pisa, Sordello di Goito e altri
molti, non portano segni decifrabili di intonazione melodica.
In Spagna, Germania e Inghilterra, fu tutta una cosa diversa. Là il genio na-
. .'Peire Vidal assomma in se stesso tutti i caratteri pittoreschi del tipo trovadorico. Gran VIaggiatore,
e
�orre qua e là _poe�ando e cantando, in Francia e in Ungheria, in Spagna e in Italia; mezzo gu �nero
a i o t
e segret _r1o �� potentat _. partecipa alla quarta Crociata, si fa vedere a Malta e racc _n _a d1 aver
h
sposato m. C1pro una mpote dell'imperatore, sicché trova naturalissimo di chia mam 1m�eratore anc �
lu1. Alle v�lte si considera cosl straordinario che Alessandro Magno, qualora s1 fossero venficate certe
b
cucostanze, sarebbe stato uno zero in confronto suo· altre volte, invece, si ab �tte nell'angoscia e n�lla
m po d
disperazione. All'idea esaltatrice dell'amore, ' quella che . fa « co _ �tam � prode �r graz1a della
propria amica », si contrappongono nei suoi canu momenu d1 volganss1ma rabb1a; alle contemplazioni
liriche, la contumelia che sa di ricatto.
Ma fuori delle chiese c'è il mondo
tivo assimilò profondamente l'arte dei cantori francesi, ricreandola poscia in forme vive e
indipendenti. Le Cantigas devote di Alfonso re di Castiglia, le canzoni amo rose dei
Minnesinger tedeschi, le melodie scozzesi e irlandesi di questo periodo, pur ispirandosi
per molte strutture alla maniera trovadorica, non mancano di nuovi ele menti ; sopra tutto le
composizioni dei Minnesinger, che presentate in veri e propri tornei poetici nella Wartburg,
contemperano le modalità e la ritmica gregoriana con un carattere largo, solenne, con una
spiritualità un poco assorta ed intensa.
La musica a ballo. Ma sotto il segno del Guerriero doveva redimersi e nobilitarsi anche l
'ultimo modo espressivo innato nella natura musicale degli uomini. Alludo alla danza, che
non mai intermessa dal tempo delle glorie pagane, commerciata di contrabbando ma con
costanza per parte dei giullari e istrioni, bandita dalle chiese e pur entratavi di soppiatto
attraverso le processioni regolate, i movimenti ritmici e i raggruppamenti plastici degli
esecutori del Dramma Liturgico; viene assunta dai trovieri e dai trovatori come
manifestazione aulica e mondana, riceve una sorta di diploma e cosi laureata ritorna tra le
masse del popolo.
La musica a ballo dei trovatori è pur sempre vocale, sia che presenti carattere
solistico o carattere responsoriale, con risposta del Coro alle strofette intonate dal solista.
Nel Rondeau, nel Virelai e nella Ballade, è assai importante l 'uso del refrain, cioè di una
strofe e di una melodia appartenenti ad altra canzone ben nota, che si intercalano e
ripetono, a versi staccati, fra le stanze e la musica del nuovo compo
nimento. Attraverso il refrain dei trovieri, in una forma per cosi dire ipertrofica, si manifesta
ancora quel bisogno tutto musicale che ho già ricordato, quella memoria musicale cosi
diversa dalla memoria ordinaria, per cui il ritorno di una melodia o di un inciso, la ripetizione
di un disegno, il rinnovarsi di una frase in diversa posi
zione della gamma, assumono significati speciali, intraducibili in altre forme perché
assolutamente autonomi e cittadini esclusivi in un mondo spirituale a parte. La musica
vocale a ballo dei trovatori si proietta anche sulla musica danzistica per soli istrumenti, la
quale, pur contando una sua esistenza precedente, si fortifica e si modella sopra quegli
illustri esempi . Lo Stanpites e la Ductia ( in provenzale Estampida e Dansa ) finiscono col
rappresentare le due forme strumentali dell'epoca; e con ritmo ternario la prima, binario la
seconda, esse riproducono attraverso il meccanicismo del refrain Io schema del Rondeau e
delle canzoni a ballo trovadori che. Il loro pratico ufficio e le circostanze favorevoli di non
esser legate alle neces sità della declamazione affrettano, in questo genere di musiche, il
processo formativo della modalità « maggiore » moderna, la simmetria dei periodi, l 'uso
d'intervalli più estesi , l 'inizio dello svolgimento melodico, della progressione e delle
conclusioni cadenzali.
L'accenno alla modalità <� maggiore >> , che si va imponendo in queste liete arie di
ballo, mi fa pensare al grande stacco ormai operatosi fra la concezione musicale dei
gregorianisti e quella dei nuovi compositori. Infatti, ancor nel secolo xv Adamo di Fulda, un
severo teorico dei modi ecclesiastici, assegnerà al Tono Sesto un ca
rattere religioso per eccellenza, un colore quasi triste, mentre codesto Tono è pro prio
quello che riproduce il nostro attuale « maggiore >> , il <� modo >> della Dansa e
deii'Estampida, il compagno degli allegri passi ritmati.
spreco di su
. In tanto <:>ni, è giusto che la razza degli istrumenti allignasse ga· gharda e
desse una smentita, almeno una volta, alla teoria darwiniana della so pravvivenza del più
volgare. Già che ho tirato in ballo il profeta dell'Evoluzione,
Storia della musica
1 Anche la tenora dal timbro raro e suggestivo, usata tuttora in Catalogna ad accom pagnare
quella danza stradale che è la sardana, è una sorta di grosso oboe.
Ma fuori delle chiese c'è il mondo 55
LA POLIFONIA
Con l'avvento della polifonia, cioè a dire con la scoperta di speciali rapporti tra i
suoni , rapporti cosl fatti che più linee melodiche possono comporsi insieme, risonare
una sull'altra, vivere ognuna la propria vita e pur concorrere a crearne un'altra maggiore;
con l'avvento della polifonia, risolta nel (( contrappunto )) che riguarda specialmente i
moti melodici, e nell' « armonia )) che ne assume e consi
dera i risultati verticali (in entrambi i casi, comunque, un fatto di simultaneità
espressiva ), la musica, da un mondo d'immagini già tutto suo, sale a una zona ancora
inaccessa e riesce ad attuare nel movimento la pluralità più spontanea.
Subitanee associazioni d'idee, reminiscenze remotissime e improvvisamente
evocate, presentimenti e fatalità conclusive cui già, non appena balenata, noi sen tiamo
avviarsi l'immagine; persistenze di sfondi nel tempo stesso che il pensiero sembra
allontanarsi per libere strade; ritorni inaspettati, trasfigurazioni dove l'og getto trasfigurato
rivela alla nostra meraviglia tutti i suoi riposti poteri; scoperta di equazioni nel non
misurabile, di antagonismi irriducibili nel già numerato; fasci d'ombra gettati attraverso la
luce e sottili illuminazioni di oscurità francamente accettate; ciò che vive e si muove
dentro un mondo non nostro, creato però da noi per il bisogno di esser più liberi, per la
necessità di abitarci più intieri, con tutto quell'essere unito che la vita di qua sentiamo a
ogni momento spezzare; la libertà vera e la totalità vera, di farsi protagonisti di un moto
e il non esserne semplicemente trascinati o informati ; il raggiungi mento di una
condizione che noi sentiamo reale e che tuttavia è straniera alle incerte realtà
dell'esistere; ecco la ragione ancor sconosciuta, dove la musica adesso s'inoltra
inforcando il cavallo alato della polifonia.
Son mille le cause per cui oggi noi consideriamo stupidissima la vecchia sto riella
delle « tenebre del Medio Evo )) ma forse, la più perentoria è proprio questa che riguarda
il grande faro acceso sull'aurora musicale. Il Medio Evo era « tene broso )), perché
desiderava di non venir disturbato nelle proprie meditazioni; e i pettegoli ometti moderni
hanno preso per un cavo di buio quel ch'era semplice mente una gran porta chiusa.
Chiusa sopra un silenzio indispensabile a sentir le voc1 supreme.
f u
.�èta. Sicché il primo polifonista dovette certamente � !re d1 una �pec1ale
�en�d.IZlo�e.
La storia, che quando vuole ammmistrare la pm alta gmst1z1a diventa sorda e
muta, non ci ha conservato il nome di questo Cristoforo Colombo della musica. E
nemmeno ci fa conoscere l'epoca in cui avvenne il prodifio.
Ma a forza di scrutare e di almanaccare, i sapienti sono venuti a concludere che
dovette essere un uomo del Nord, un Danese o Norvegese di condizione quasi
certamente ecclesiastica, vissuto, cosl all'ingrosso, fra il 700 e 1'800 dopo Cristo.
Dicendo uomo, dico naturalmente più uomini, poi che il bene ed il male sono soggetti
a immediate propagazioni. Fatto sta che la pratica polifonica si diffuse con rapido
corso attraverso l'Europa nord-occidentale, nei Paesi Bassi, in Francia e in Gran
Bretagna, ed ebbe ben presto un primo referendario o teorizzatore nella persona di
quel monaco Ukbald 1 che già incontrammo, poscia in Scoto Erigena, altro teologo del
IX secolo, quindi in Geraldo di Barry, compilatore della minu
ziosa Descriptio Cambriae.
Questi primi studiosi, convinti che il vocabolo greco indicante cc due >) o cc due
volte » si riducesse in latino alla particella cc dia », chiamarono il nuovo ritrovato col
nome di cc diaphonia », senza immaginare che in greco, dove « dia >) ha il suo significato
di cc fra, fra mez7o », il termine veniva a dire proprio l'oppo
sto, vale a dire cc suono differente », cc suono contrario », sconcordanza. La dia fonia di
Ukbald e de' suoi compagni consisteva nel far camminare sopra una melo dia di canto
gregoriano un'altra voce, a distanza di una cc quinta giusta >). Era insomma un
contrappunto cc a nota contro nota >), dove gli intervalli armonici risul tavano
invariabilmente quali una serie di cc quinte >).
Così procedendo, la linea della parte aggiunta doveva, per forza di cose, ripro
durre esattamente tutti i disegni della melodia gregoriana, ascendere dove quella
ascendeva, seguirla negli abbassamenti, restare immobile se l'altra ribatteva una
nota. Al carattere di cc nota contro nota )) la diafonia aggiungeva dunque anche quello
di « moto retto », cioè di movimento simultaneo delle due parti nella mede sima
direzione. Siccome però i ragazzi cantori avevan voce più alta di registro che non gli
adulti diaconi e suddiaconi, e siccome la melodia gregoriana doveva con servare il suo
carattere preminente, ecco che quest'ultima venne ben presto raddop piata all'ottava
sopra. La cc parte aggiunta >) era cosl contenuta dentro una serie Ji ottave, e se veniva
a trovarsi in rapporto di cc quinta >) nei confronti dei diaconi (cioè dei bassi ) produceva
per converso una serie di cc quarte » nei confronti dei ragazzi (cioè dei sopra n t).
Anche da una descrizione tanto succinta, appar chiaro un carattere importante
della diafonia ukbaldiana ; vale a dire che l'impulso donde provenne fu un impulso
armonistico assai più che un impulso contrappuntistico. Giacché nella relazione �i cc
nota �antro nota stabilita fra la melodia gregoriana e la parte sovrapposta, Il moto
>)
rimaneva sempre uno solo; l'elemento nuovo era costituito dal nuovo �apore �
i
e.
i
suoni s �goli formanti la melodia gregoriana, i quali sposati a quella mnocenuss1ma cc
qumta », apparivano come oggetti ben noti illuminati tutto a un tratto da una luce
sconosciuta.
Ciò va ben ritenuto da chi voglia sceverare nella storia della polifonia la pre
m i
�nderanza dei « �ment . armonici » sui cc momenti contrappuntistici >) e il loro
ncorrere attraverso 1 secoli. Senza addentrarci qui, adesso in una questione che
o ù
inc �treremo pi . tardi, diciamo soltanto che la polifoni� nacque cc armonica », entro
ben presto m una lunga cc fase contrappuntistica )) segnata da qualche ritorno
armonico, cercò di contemperarsi fra armonia e contrappunto nel XVIII secolo, durò tale
sino alla fine dell'Ottocento, quando il momento armonico prese a riapparire e ad
imporsi, e oggi è ritornata verso un indirizzo schiettamente contrap puntistico.
Ma nella diafonia di Ukbald e soci noi dobbiamo considerare due altri ele menti
interessantissimi : la natura degli intervalli armonici che la costituiscono e la loro marcia
monotona e parallela da un capo all'altro della composizione.
Difatti, le resultanti del modo di procedere ukbaldiano, le quinte, le quarte e le
ottave, per venire accettate teoricamente, come legittime costruzioni innalzate sulle
fondamenta sacre delle singole note gregoriane, dovevano per necessità logica
assumere valore di (( consonanze », cioè d'intervalli armonici scaturiti da una sim
patia reciproca tra due suoni, di cerchio armonico ben conchiuso dove fosse possi bile
ristare e posare.
D:ciamo subito come noi oggi , secondo l'armonia tradizionale moderna, clas
sificheremmo gli intervalli della diafonia. Per noi, le quinte e le ottave sono tutta via
consonanze; ma, tra le consonanze, son le due ritenute più povere, quelle che
(( producon meno armonia », che, nel caso dell'ottava, quasi non ne produèono; la
quarta, poi, vien collocata tra le dissonanze. Se badiamo infine al movimento contenuto
nei primi saggi d'armonia diafonica, noi troviamo che tutti quei seguiti di quinte, di quarte
e di ottave successive sono proprio quelli rigoros;:�mentP repudiati dal contrappunto
moderno, sotto colpa di suonar (( duri , vuoti, e anti· musicali >>.
È anzi importante di ricordar le ragioni per cui i teorici dell'armonia moderna
spiegano la povertà delle successioni di ottave e la durezza delle successioni di quinte.
Nel caso delle ottave essi si riferiscono al fatto ovvio che codesto inter vallo è come il
doppione del suono più basso, e alla circostanza, meno �rcettibile, che essendo
l'ottava il primo dei suoni armonici naturali (quello cioè più prossimo al suono
fondamentale) essa non può raggiungere ancora il carattere di vera armo nia. Nel caso
delle successioni di quinte, pur ammettendo più difficile una spiega· zione, gli stessi
teorici rintracciano la causa della (( povertà >> nell'esser la quinta il secondo de' suoni
armonici ( ancor molto vicino alla fondamentale), e la causa della « durezza >> nella
circostanza che siffatte successioni (( danno come l'idea di due voci procedenti in due
tonalità diverse >>.
Orbene, è proprio attraverso questo disprezzo moderno nei confronti di ottave e di
quinte, e attraverso le ragioni addotte per motivarlo, che a me pare di poter ricostruire
l'idea che guidò i diafonisti alla scelta di quei maltrattati intervalli e a servirsene
ingenuamente nel più condannato dei (( moti retti >>.
All'epoca di Ukbald il canto gregoriano godeva ancora di un prestigio dog matico.
Accanto al suo valore religioso ed etico, al suo ufficio di intermediario tra l'umanità e
Iddio, alla sua funzione educativa e sociale, ogni volontà di sin goli individui si
riconosceva annullata o, per lo meno, si sentiva strettamente su bordinata.
In questa condizione reverente e timorosa, due intervalli (( poveri >> come l'ot tava e la
quinta potevan persuadere i musici di non commettere attentato contro l'integrità delle
sacre melodie. Nel caso speciale della quinta, inoltre, quella fa mosa idea delle due voci
(( procedenti in due tonalità diverse » quadrava magnifi camente col desiderio di non
compiere eresie. Giacché, appunto la voce superiore fotografava nel tono della
(( dominante >> la melodia inviolabile del basso, e attra verso il costante rapporto delle
(( quinte giuste >> si illudeva di non manometterla. Per ciò che riguarda le quarte, i teorici
del IX secolo deducevano il carattere di (( consonanza >> dal semplice fatto di essere il ((
rivolto >> delle quinte, e certo non
80 Storia della musica
Il discantus: scoperta del moto contrario. Seguire le vicende della diafonia fa rebbe
troppo lungo il discorso. Dirò soltanto che il termine grecizzante si tra sformò ben
presto nel nome latino di Organum, sia che si volesse intendere l'azione di mettere
insieme più voci (organizzare ), sia che si volesse alludere all'organo « istrumento •),
dove la pratica diafonica passò ben presto e fu molto facilitata dal meccanismo della
tastiera.
In breve volger di tempo l'Organum, o diafonia che dir si voglia, prese però ad
evolversi ; e un nuovo atto di libertà, di fronte al rispetto pel canto gregoriano,
condusse all'invenzione del << moto contrario •) , mostrando come una quinta po tesse
allargarsi in una ottava e una ottava cadere in una quinta, solo che la voce aggiunta,
o superiore, salisse di una terza allorquando la melodia gregoriana scen deva << di
grado •) e si abbassasse ancora di una terza nel caso opposto.
La scoperta del « moto contrario •) , assolutamente decisiva per le sorti future
dell'arte polifonica, in quanto costituisce un netto impulso all'espansione espressiva,
un'avanzata eccentrica e coraggiosa verso regioni sconosciute, una fede commo
vente di poter reggere e procreare anche allontanandosi dal sicuro appoggio della
linea gregoriana, è uno dei molti atti d'ordine ideale i quali dimostrano come la
Chiesa, volendo totalizzare nel suo seno ogni attività artistica e. speculativa, nu trisse
da se stessa più di un serpe che l'avrebbe poi morsicata.
Non vorrò certo paragonare a Lutero, a Bernardino Ochino o a Giordano Bruno, i
Giovanni di Garlandia 1, i Roberto di Sabillon , i Cottonio o gli altri noti ed ignoti cui si
attribuisce il primo studio della diafonia << per moto contrario •) . Ma certo è che codesti
ecclesiastici , senza rendersene conto e senza desiderarlo, an davano preparando la
rovina della musica gregoriana. Infatti, per naturale legge di orgoglio artistico, l
'interesse dei musici andò sempre più addensandosi sopra la << voce aggiunta •• ; il
nuovo potere si tradusse in meraviglia e in ardore ulissico di procedere sempre più
avanti. La pratica del Discantus (come fu subito chiamata la diafonia per moto
contrario in cui i due canti si allontanavano, si differenzia vano l'uno dall'altro) non
tardò a stancarsi del procedimento « a nota contro nota •) .
Su due suoni successivi della melodia gregoriana, la parte aggiunta prese a
distenderne più d'uno; si produssero ampie frasi e melismi di cui solo le prime note
cadevano su una nota della melodia gregoriana ; questa poi, mentre il disegno libero
si svolgeva, restava ad attendere prolungando a forza di polmoni il suo suono.
Se l'Organum di Ukbald aveva già intorbidato la purezza delle melodie ec
clesiastiche, colorandole di tinte ingenuamente armoniche, il Discantus dei poste r!ori
i . I
frances . ed inglesi attentò duramente al ritmo discorsivo di quelle sacre mu Siche . I .
sott1le ·� numero •) gregoriano, commisto di libertà melodiche e di preoc c p o
� �zl �l
s 1
pro ?d1che, non poté reggere di fronte a questa nuova azione che ne d1lu �a 1
valon, tendendo inesorabilmente ad allungarli e a eguagliarli. Un segno estenore della
grave offesa recata all'autentica personalità gregoriana si rispec
1 Giovanni di Garlandia è il nome di ben due teorici medievali della musica: uno nac que verso il 1
190 in Inghilterra. L'altro visse più tardi, nel 1 300.
Concordia discors: l'iniziazione al mistero 11
chiò nei nuovi termini allora introdotti per indicare le melodie della Chiesa. Non si parlò
più di canto « romano >> o << gregoriano », ma di canto « fermo » o « piano »; e, in realtà
dopo esser state tramortite in un elemento vitalissimo com'è il ritmo, scaglionate in
lunghe serie di note interminabili, le antiche musiche re
ligiose potevan dar benissimo l'idea di « ferme >>, l'idea di « piane », al paragone della
voce aggiunta sempre più ricca di figurazioni, sempre più snodata in linee ascendenti e
discendenti.
Ma, nello stesso tempo, un'altra corrente polifonica, non più tanto incantata
dall'autorità gregoriana, condotta piuttosto da un libero senso delle combina zioni sonore
e forse dal subcosciente che la serie armonica naturale ha lasciato sempre vivere in noi,
incomincia a sovrapporre due note in rapporto reciproco di « terza >> o di << sesta >>.
Si attua cosl, in Inghilterra, il tipo del Gymel (Gemellus), lunga catena di terze per moto
retto, dove il suono più basso è quello del canto fermo; più tardi il tipo detto Falso
bordone, in cui le terze son due e invece di sovrapporsi si sottopongono teoricamente
alla linea del canto fermo, producendo in tal modo una successione di << accordi perfetti
di terza e quinta ». Dico teori camente perché all'atto pratico, sia che le lunghe serie di
quinte incominciassero a suonare ostiche, sia che difficoltà di esecuzione lo
consigliassero, la voce più bassa veniva trasportata << all'ottava sopra >> e la sua
relazione di quinta con la nota del canto gregoriano si tramutava cosl in una relazione di
quarta. Alla fine, insomma, il Falso bordone si risolveva in una successione di << accordi
di terza e sesta » dove la melodia ecclesiastica originaria occupava, fra le voci
esecutrici, il posto mediano.
Tutti questi generi di composizione, arricchimenti e miglioramenti del canto
gregoriano secondo la mentalità dei loro cultori, s'introdussero assai presto nella liturgia
delle chiese occidentali, adattandosi a quelle parti del servizio divino che più ne
offrivano il destro. Ma, come dissi, distrussero per larga parte l'originalità primitiva ; tanto
che, con perfetta ragione, si può affermare che la nascita della polifonia costò all'arte la
perdita della tradizione gregoriana autentica.
ESCE DALLE CHIESE LA POLIFONIA
Intanto, però, Discantus e Falso bordone avevano acqu1s1to alla ·musica due
nuovi elementi fondamentali. In primo luogo si era scoperto come una nota, du rante
tutto il tempo della sua risonanza, potesse reggerne una o più altre, sia sopra sia sotto,
in modo tale da produrre senso gradevole e da risvegliare immagini scono sciute. In
secondo luogo si era esperimentata la possibilità di combinare insieme tre suoni e si era
accesa la speranza di riuscire ad aumentare questo numero. Il contrappunto e
l'armonia, con i loro scambi incessanti e con le loro reciproche generazioni, sono
dunque già in atto fra il xn e il XIII secolo e forniscono i mezzi, a una musica appena
adolescente, per compiere l'evoluzione più rapida fra tutte quelle che abbiano compiuto
le altre arti.
Attraverso il canto polifonico e la sovrapposizione delle voci, gli uomini di scoprono
un retaggio nativo come dimenticato o dormiente nel fondo della loro natura, e la
scoperta assume a poco a poco l'aspetto di un ritrovamento; teorici dell'epoca parlano
<< di istinto che conduce i ragazzi cantori a combinare insieme le loro voci »; in
Inghilterra l'arte polifonica assume quasi l'aspetto di un'arte popolare. Lo spirito
scientifico del Medio Evo, anzi il suo impulso unitario a ri durre tutto in scienza, agisce
profondamente sullo sviluppo della nuova compo SIZione.
Difatti, come tutti comprendono, le infinite possibilità associative dei suoni
Storia della musica
Il
sembravano invitare a una paziente ricerca; nelle loro attrazioni e repulsioni si poteva
intravvedere un'immagine del mondo celeste, del mondo ideale e del mondo organico;
i mille contrappunti diversi sovrapponibili alla stessa melodia di « canto fermo »,
parevano comportarsi in modo consimile ai mille modi di sviluppare una stessa
proposizione logica, sicché i Magistri delle cantorie guardavano ai dottori degli Studi
scolastici con l'intesa e la confidenza di sicuri colleghi.
Questi Magistri son tutta gente di chiesa; non potrebbero non esserlo, dacché la
polifonia riveste sul principio un carattere di serietà un po' ritrosa e non ha nulla a che
vedere con il gai savoir dei trovatori e giullari, con quella « gaia scienza » dov'entrano
donne e cavalieri, tornei d'armi e corti d'amore.
Ma l'insidia è ancora una volta Il pronta; una duplice insidia, che procede
allegramente dal mondo, dal suo ardore naturale di rappresentarsi, e che s'an nida
nella mente stessa dei fantastici ricercatori, sta come accovacciata sotto i loro
seggioloni abbaziali. Un miraggio di bravura, chissà, un'illusione di poter risolvere di
nuovo in sintesi unitaria le due energie in cui la musica è . andata spezzandosi ; una
reazione difensiva, forse, la quale per vecchio consiglio politico spera di do mare i
ribelli facendo loro posto nel governo delle repubbliche; qualcosa di tutto questo
spinge i polifonisti a un passo temerario, li persuade a combinare insieme il << canto
fermo », il libero contrappunto e i ritornelli profani più in voga.
Dall'altra parte, il mondo che frequenta le chiese e che nel varcarne le porte non
si toglie certo di dosso, insieme col cappello, le sue sensibilità particolari e le ragioni
della propria vita privata, ascolta, a modo suo, le nuove invenzioni dei Magistri. le
ritiene e lt> porta fuori. Non COI •ta che sia tanto breve il pezzo di strada dalla chiesa
alla casa; è lungo abbastanza perché, nel tragitto, il ricordo assuma nuovi colori, si
associ ad altri ricordi e soppesi fra se stesso le più dispa
rate comparazioni.
Attraverso questi attivi scambi , attraverso il fermento mondano e la curio sità artistica
degli ecclesiastici, in mezzo a volate e a frenate, a slanci audaci e a improvvisi
pentimenti, le forme monodiche profane, il Conduclus ed il Rondellus, pur
mantenendo la loro struttura dei periodi, assumono facilmente la veste poli fonica. Il
concetto principe della polifonia primitiva, quello cioè di muover da una base
inalterabile, quasi da un datum assunto a priori, è, sul principio, stret tamente seguìto.
Ma al posto di una melodia di « canto fermo » il tenor (vale a dire la voce che « tiene >>
codesto canto) intona qui qualche not� motivo di can zoni trovadoriche o troviere; in
seguito, anche il disegno melodico del tenor è
2 liberamente inventato. Nell'officina musicale annessa alla scuola di Notre-Dame a
i o
Parigi, la maniera di comporre in polifonia si sviluppa e consolida. I Magislri Le � '?o
t
e Pero tino 1, i due Franchi (o Franconi ) 2, un Pietro da Parigi e molti Bri �nmcl che
accorrevano là, per imparare e operare, dissertano sulle questioni teo nche e creano
gran quantità di lavori, giungendo ormai taluno a raggruppare nel Conductus fin
quattro voci.
Il Motetus. Nel 1200, un'altra forma polifonica che nasce e fiorisce è quella detta
a
Motetus (d . un d!minuitivo di mutus o dal francese mot, parola); forma che,
r 1 s e
attrave �ando var � fa ! . presentandosi sotto specie diverse, ha il carattere co
stante d1 muoversi ordmar1amente a tre voci, e di presentare: nel tenor un fram-
n
' Fu Peroti � ( 1 190-1203 circa ) che, superando in tecnica Leonino, contrappuntò il lenor con due o tre voct.
' Franco da Parigi e Franco da Colonia, o, secondo opinioni recenti, un unico Franco, che visse sia a Parigi
sia a Colonia.
t.vncortlifl tliscors: l'ini:t:ifl:t:ion� fll misuro D
mento gregoriano; nella voce intermedia (ossia nel duplum, chiamato pure
motetus per antonomasia) una frase di canzone profana con adattatevi parole
non reli giose; nella voce più alta (ossia nel triplum) una melodia generalmente
più mossa
delle precedenti, dettata in libera invenzione e in testo profano. Nella pratica
del Motetus (che col proceder del tempo viene anche trattato a quattro voci) si
insinua ben presto il principio di scambiare, fra le voci stesse, i differenti
andamenti ritmici e melodici, vale a dire di tenere più piana la voce che prima era
stata condotta in maniera mossa e fiorita, e di muovere e fiorire la voce che
prima seguiva valori più lunghi e più regolari. Si applica anche qui, insomma, la
tendenza scolastica a esperimentare tutti « i possibili », a stabilire tutte le con
dizioni in cui il « datum » possa su�sistere.
Anche il canto profano abbraccia la polifonia. Un tal fermento d'idee e un tal
lavoro di esperienze si riverberano di colpo anche sulla musica schiettamente
popolare. Mentre il tenor del Motetus e delle forme analoghe incomincia ad affi
darsi a un istrumento (a una viella, a un liuto, a una fidula), le canzoni a ballo
non riescono più ad accontentarsi della monodia. Si arruolano anch'esse sotto
la bandiera dell'arte polifonica ed entrano anch'esse decisamente nella nuova
era ar
monica e contrappuntistica.
È ancora nel Duecento l'enigmatico Rondello Sumer is icumen in ( « Sta ve
nendo l'estate » ), attribuito all'inglese monaco Fornsete. Chiamo enigmatico
questo documento in forma di Canone 1 perché tutto, in esso, denuncerebbe
un'epoca assai posteriore; e soltanto l'attestazione di un dotto, il quale ne ha
scoperto l'ori ginale redatto in neumi del secolo xm, può convincerci (sino a un
certo punto) del contrario.
Orbene, il Canone di Fornsete, a ben quattro voci, impiantato su una sorta
di bordone cantato da due bassi ( il che porta a sei il numero di parti reali), con
la sua purezza di contrappunto, con le sue armonie sempre « complete », in un
tempo in cui la terza non si « sentiva » ancora quale parte integrante e discrimi
nante dell'accordo perfetto, coi suoi ingegnosi « scambi » e incroci di parti, costi
tuisce, nella prima metà del Duecento, un'autentica meraviglia, un fatto troppo
sor prendente e troppo isolato per non insinuare nell'animo più di un dubbio. Del
testo, negli Organa a tre parti e in altre composizioni del già citato Perotino, il
quale visse prima di Fornsete, noi troviamo già in atto, se pure
rudimentalmente, artifici musicali tra i più sottili come il « contrappunto doppio »,
tra i più fecondi di avvenire come le « imitazioni ».
sfalsato il ca
La polifonia, sovrapponendosi al canto gregoriano, ha dunque
rattere delle sacre melodie e sopra tutto ne ha distrutto il ritmo. Ma questa di
struzione non poteva giustificarsi se non per mezzo di una nuova creazione. I
dati del problema erano adesso chiariti; per poter eseguire a dovere i Discanti
1 Nella composizione poli fonica denominata Canone tutte le voci (o parti) concorrenti sono esattamente le
stesse, sia dal punto di vista melodico sia dal punto di vista rinnico; ma codeste parti son cosl congegnate ch'esse
possono scorrere su se stesse come le due parti di un regolo snodato. Vale a dire che codeste voci non incominciano
tutte insieme con la prima ( il che produrrebbe un unisono) ma « entrano ,. successivamente se volete scalarmente a