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Questo libro è dedicato

a Eugenio Gara
come piccolo segno di una
grande riconoscenza.
COPYRIGHT 1975 BY © EDIZIONI ACCADEMIA, MILANO

Giulio Confalonieri

STORIA
DELLA MUSICA
Terza edizione riveduta e aggiornata
a cura di

Alfredo Mandellz
EDIZIONI ACCADEMIA
Le Storie della Music.a, fra Europa ed America, sono moltissime. Di queste, poi,
non poche presentano pregi immensi. Sono, insomma, opere di grande impor tanza e
di grande valore. Perché ne abbiamo scritta una anche noi? Perché, essendo stati
educati alla musica fin da bambini e avendo praticato l'esercizio della musica sotto
molteplici aspetti, della musica, dei suoi profeti ed apostoli, dei suoi «tempi», delle
sue vittorie è rimasta in noi una vibrazione incancellabile. È codesta vibra zione ed è il
fremito ancor vivo di codesta esperienza che noi abbiamo cercato di fissare nelle
pagine che seguono, riferendo/i, sì, alla sostanza storica, ma sforzan doci di
presentar/i nel loro stato più intimo di rivelazione, di conforto e di fede. Non per nulla,
quando il libro, in altra veste e in contenuto non del tutto simile, comparve per la
prima volta, noi avremmo voluto chiamarlo L'umana avventura della musica. Era un
titolo troppo ambizioso? Se sì, noi confessiamo il peccato e ne chiediamo scusa al
lettore. Al quale lettore abbiamo poi il dovere di additare l'affettuosa e intelligente
collaborazione prestataci, per questa nuova edizione, dal l'amico Alfredo Mandelli.
GIULIO CONFALONIERI
Milano, 12 ottobre 1968

Dopo la scomparsa di Giulio Confalonieri, che il mondo della musica ha per· duto il 26
giugno 1972, e nel rispetto di quanto era stato stabilito con lui, essendo necessario
ristampare questa Storia della musica gli editori hanno disposto una nuova revisione con
gli aggiornamenti indispensabili, ai quali ha ancora provveduto Alfredo Mandelli.
novc111hre 1975
INDICE GENERALE

Capitolo primo LA DOMANDA VIETATA: CHE COSA� LA MUSICA 3


Capitolo secondo AL TEMPO DEGLI DEl FALSI E BUGIARDI 6 Il mistero delle origini 7 La musica
8
nell'antichità
Immutabili tradizioni d'Oriente 8 Forse dagli Egizi il nome musica 9 Israele e la
tradizione orale l O I misteri della musica greca 11 Roma: compendio della musica
precristiana 18

Capitolo terzo LA GRANDE CANTICA DEL CRISTIANESIMO 20


La musica e le varie chiese cristiane 21 La lunga fatica benedettina 21 Alle fonti
del Canto Cristiano 23 L'incontro tra Cristianesimo e musica 25 Poesia del Canto
Ambrosiano 26 Gregorio Magno, << inventor musicae » 27 Sviluppo del Canto
Gregoriano 28
29
La notazione musicale
lnromi Il rigo
� 30 I neumi quadrati 31 Guido d'Arezzo e la nuova scrittura 32

Caratteri e struttura del Canto Gregoriano 33

Capitolo quarto MA FUORI DELLE CHIESE C'� IL MONDO 40


Clero, Guerrieri, Plebe 40 Giullari e menestrelli 41 L'organo: un dono di Bisanzio
42
Forme profane derivate dal gregoriano 43 Tropi e Sequenze 43 Il
Dramma Liturgico 45 La Lauda 47
La musica trovadorica 48
Trovatori e trovieri musica a ballo
La « trouverie » 49 52 La 53
53
Gli strumenti medievali
VI l ndice generale

Capitolo quinto CONCORDIA DISCORS: L'INIZIAZIONE Giovanni Pierluigi da Palestrina


Orlando di Lasso
AL MISTERO Lz polifonia
Il primo passo: Diafonia od Organum
Altri maestri del Cinquecento
Il discantus: scoperta del moto contrario Ludovico da Victoria
Luta Marenzio, « il più dolce cigno ,.
Esce dalle chiese la polifonia Gesualdo da Venosa
Il Motetus
Anche il canto profano abbraccia la polifonia
Intermedi, Madrigali dialogati, Comedia
Harmonica
Il nuovo concetto del ritmo: Ars Mensuralis
L'Ars nova, non tutta nuova Lz musica strumentale diventa autonoma
A Firenze: Ballate, Madrigali e Caccie La scuola veneta
In Francia: Lais, Virelais, Rondeaux Musica sacra e profana in Spagna
In Inghilterra e in Francia
Monodia e Polifonia Tramonto della polifonia vocale
La « nostra » musica è polifonica
Capitolo ottavo L'ATTIVISMO IN MUSICA
Capitolo sesto ASSENZA DELL'UOMO DRAMMATICO Il Il Seicento: musica e dramma
Quattrocento fiammingo Una volontà extra-musicale
Le Fiandre, paese del contrappunto La Camerata fiorentina
« Recitar cantando ,.
Le Messe fiamminghe
Spirito del fiamminghismo La prima « Euridice ,.
Maestri di Fiandra La seconda « Euridice ,.
Emilio del Cavaliere
Il Quattrocento in Italia
p. 56 56
Vilote, Frottole, Rispetti
Canzone francese e Mottetto 57
60
Gli strumenti nel Quattrocento
61
Capitolo settimo IL MOMENTO SUPREMO DELLA 62
POLIFONIA VOCALE Il Cinquecento 63
Madrigale e musica 63
La musica non accoglie lo spirito del Cinquecento 65
Pierluigi da Palestrina e Orlando di Lasso 67
68
68 96
97
69
98
72 98
72 99
100
73
75 101
78
80 103

81 104
107
83 108
85 109
86
111
88 1 13
88 1 13
1 15
90 1 16
92 1 17
94 1 17
1 18
l ndice generale
VII

121
Claudio Monteverdi
P
121
« Hostinato rigore " di Claudio
123
Come Monteverdi giunse al melodramma
124
Incertezza delle partiture secentesche
127
L'« Orfeo ,. monteverdiano
129
Il melodramma si diffonde
130
Il melodramma a Roma: Stefano Landi
133
Monteverdi madrigalista
135
Nasce a Venezia il teatro d'opera pubblico
137
Monteverdi a Venezia

Dopo Monteverdi
140
141
Francesco Cavalli
M2
Il melodramma italiano in Europa
143
Marcantonio Cesti
144
Due scuole: Venezia e Napoli - Prodromi del comico in musica

L'Oratorio e la Cantata
147
148
Giacomo Carissimi
Arie e Cantate
150

Capitolo nono SCOPERTA DELLE FORME ANGELICHE


153
Trionfo degli strumenti
153
15.3
Organo, Cembalo, Violino
155
Carattere della polifonia strumentale
Girolamo Frescobaldi e la musica organistica
156
162
Il clavicembalo
163
Il violino: un nuovo monarca

La nuova musica per archi


166
Sonate da camera e da chiesa
167
Il Concerto
168
I compositori violinisti
170
Arcangelo Corelli
171

Capitolo decimo LA CRISI DELL'IDEA RELIGIOSA IN ITALIA 174


E LA FONDAZIONE DELL'EUROPA MUSICALE
In Spagna più strumenti che voci
178

Il Seicento musicale m Inghilterra


178
Henry Purcell
179

Il Seicento musicale m Francia


181
181
Il « Ballet de cour "
Giovan Battista Lulli
183
189
Le musiche francesi non teatrali

Il Seicento musicale tedesco


190
Il Corale luterano
192
Il Corale e l'organo
193
Voci e strumenti
195
Heinrich Schiitz
197
Organisti tedeschi
198

Capitolo undicesimo l QUATTRO E VANGELISTI DEL SETTECENTO


201
Spirito e forza del Settecento
201
Alessandro Scarlatti: un intermediario
20.3
VIli Indice generale

Antonio Viva/di
p. 204
Il « Prete rosso ,.
Il concerto vivaldiano 204
Altri autori di musica strumentale 205
209
Domenico Scarlatti 209
Una vita quasi tutta in ombra 209
Domenico Scarlatti e le sonate 210
La sonata clavicembalistica dopo Scarlatti 215

Giovanni Sebastiano Bach 216


Modestia di musico 216
Dominio musicale di Bach 221
La Fuga bachiana 223
Bach, servo di Dio e maestro degli uomini 224

Giorgio Federico Haendel 227


227
Una vita esuberante
Haendel in Italia 229
231
Da Hannover alla conquista di Londra
Rivalità con gli operisti italiani a Londra 233
236
Il nuovo Haendel: gli Oratori

Capitolo dodicesimo DALL'OBLIO ALLA PREOCCUPAZIONE DRAMMATICA 243 Un fenomeno


irriproducibile 243

Il melodramma nel Settecento 244


Metastasio e il « suo ,. melodramma 245
La musica nell'opera metastasiana 247
I sopranisti e la messa in scena del melodramma 249
Le Arie 251
Dispute di filosofi 252
Il melodramma e i suoi maestri 253
Operisti « seri » in Italia 255
Giovanni Adolfo Hasse 256
Nicolò Jommelli 256
Traetta, Perez, Di Majo 257
L'opera seria in Francia 258
Jean-Philippe Rameau 258
Gluck 260
Esordio conformista di Gluck 260
Calzabigi e la riforma gluckiana: « Orfeo e Euridice ., 261
Conseguenze della riforma gluckiana 263
L'« Alceste » 264
265
Gluck a Parigi Gluck e Piccinni: «Guerre des deux mus1ques ., 267
L'opera comica 269
Origine dell'Intermezzo 269
Vitalità dell'opera comica 271
Il comico nella musica 273
Altri aspetti dell'opera comica 277
L'opera comica a Napoli e Venezia 280
l tre periodi dell'opera comica 282
Primo periodo: Giambattista Pergolesi 282
Secondo periodo: Galuppi, Piccinni 284
Terzo periodo: la produzione di maniera 287
289
Giovanni Paisiello
290
Domenico Cimarosa
293
L'opera comica francese
L'opera comica nel resto d'Europa 296
Indice generale Capitolo diciassettesimo L'ULTIMO DEGLI
INNOCENTI F ranz Schubert
Capitolo tredicesimo CONQUISTA DELLA VERITA Qualche piccola gloria
SINFONICA La « forma-Sonata » Anni fecondi
L'arte di Schubert
Struttura della « fonna-Sonata » l « Lieder,.
La « forma-Sonata ,. affermazione di principi spirituali La musica strumentale di Schubert
Le varie tesi sull'origine della « fonna-Sonata,. IX
Luigi Boccherini
Franz ]oseph Haydn
Una vita tranquilla P- 298 300
Spirito haydniano e « forma-Sonata »
300
304
Capitolo quattordicesimo L'OTTIMO MONDO 307
311
POSSIBILE Volfango Amedeo Mozart
La perfezione musicale 312
La vita 312
Le composizioni sacre 320
Mozart e l'opera « seria»
Mozart e l'opera « comica »
« Il ratto del serraglio ,. 325
« Le nozze di Figaro »
Il « Don Giovanni » 326
« Cosl fan tutte » 326
« Il flauto magico». 329
La musica strumentale "'
337
339
Capitolo quindicesimo ccEGO SUM,,: LA PARABOLA .342
DI BEETHOVEN Rottura dell'equilibrio classico 343
346
La filosofia di fronte alla musica
Conseguenze della Rivoluzione fr·ancese
349
350
Luigi Cherubini, precursore di Beethoven 3'3
Cherubini e il teatro
Maturità di Cherubini: « Medea ,.
357
Beethoven ,8
Il pensiero
358
L'artista e l'uomo
361
Da Cherubini a Beethoven: dramma e sinfonia
Beethoven e la « forma-Sonata ,. 362
Beethoven e la « Fuga ,.
La nuova forma beethoveniana
365
Beethoven e la natura 369
Lo « scherzo » beethoveniano 370
Il significato di Beethoven
3n
376
Capitolo sedicesimo GLORIE E MISERIE DEL 377
ROMANTICISMO 379
Fino a che punto Beethoven fu « mcompreso ,. 383
Ripercussioni in Europa 386
391
392
393
396 Field e i " Notturni ,.
396
397
Nicolò Paganini
Franz Liszt
399 Precocità musicale di Liszt
399 Musica, misticismo, filosofia
Viaggio in Italia
404 Il virtuoso della tastiera
411 La grande amicizia Liszt-Wagner
419 L'abate Liszt
421 Liszt: una vocazione musicale impura
433 Liszt e il futuro della musica
x
Indice generale

Capitolo dicio//esimo LO SCISMA D'OCCIDENTE p. 445


NELLA MUSICA Musica melodrammatica e 445
musica pura
448
Il melodramma o//ocentesco 448
Desiderio di concretezza 449
Spirito militaresco 451
Influssi allieriani e francesi 453
L'" artista di canto" 455
Sinfonismo e sonatismo 455
457
L'ascetismo spirituale
Il culto della forma
460
Capitolo diciannovesimo ROSSINI 463
466
" Novità " di Rossini
485
Le opere serie di Rossini
491
Il " Guglielmo T eli »
Rossini e l'opera buffa
499

Capitolo ventesimo SVILUPPI E REAZIONI DEL 499


ROSSINISMO 501
Conseguenze rossiniane in Francia e in Germania 502
Eredità rossiniane in Italia
504
Vincenzo Bellini
508
Il teatro di Vincenzo Bellini
510
Gaetano Donizelli
512
La preoccupazione del canto
519
Carlo Maria von W e ber 520
520
E.T.A. Holfmann
Ludwig Spohr
L'ultimo Weber 523
523
Capitolo ventunesimo l ROMANTICI INTEGRALI 524
Berlioz 527
532
Le aspirazioni berlioziane
La nuova scrittura orchestrale 535
Berlioz e il poema sinfonico
535
La via strumentale e il roma11ticismo 536
538
La scelta 543
Il pianoforte: strumento romantico
Clementi, l'italiano a Londra 549
552 Saint-Saens
552 Lo « stile ,. di Saint-Saens
556 Lalo e Chabrier
563
564 Franck
566
571 Altri maestri francesi
575 ••
584
l n d ice generale
p. ,86
Chopin ,116
-
Purezza e novità di Chopin
,98
Il linguaggio cbopiniano
Chopin e il pianoforte
602

Capitolo ventiduesimo TRE ROMANTICI INTROVERSI 602


Romanticismo nordico e borghese 606
Mendelssohn 606
Una felice ma troppo breve vita 608
Mendelssohn e Goethe 609
Carattere musicale di Mendelssohn 612
Alterne fortune della musica di Mendelssohn
613
Schumann 613
Un borghese audace 618
Slancio romantico 633
Schumann compositore: la musica pianistica 634
La musica da camera 635
l « Lieder,. 636
Le Sinfonie 639
La musica per il teatro e gli Oratori
642
I tedeschi e la musica pura
644
Brahms 644
Vita di Johannes Brahms 647
Appagato desiderio di sicurezza 651
Il Brahms cameristico 658
Il Brahms sinfonico 661
La vocalità brahmsiana

663
Capitolo ventitreesimo DUE AUSTRIACI ISOLATI
663
Anton Bruckner
665
Il mondo sinfonico di Bruckner
670
Hugo Wolf
673
«Der Corregidor ,. e altre musiche 675
Wolf, maestro del « Lied »

680
Capitolo ventiquattresimo l CASI DI FRANCIA
682
Il « grand opéra ''
683
Auber
684
Meyerbeer
686
Gounod
686
Georges Bizet
689
Lineamenti del genio bizetiano
694
696 « Tristano »
697 « l maestri »
« L'anello »
698 " Parsifal »
l ndice generale
700
Xli
p. 702
Capitolo venticinquesir.to ALLE FRONTIERE 702
D'EUROPA Nazionalismo musicale
707
In Spagna 708
710
L'azione di Felipe Pedrell
Albeniz e Granados 710
In Boemia 712
713
Smetana
Dvorak
71.5
I n Scandinavia 717
Grieg 718
In Finlandia 718
Sibelius 719
In Russia 721
Glinka
723
Caratteri etnofonici russi 726
« Nazionalisti » e << occidentalisti » 728
Ciaikovski 729
Il « Gruppo dei Cinque » 732
Rimski-Korsakov 733
Borodin
735
Mussorgski 737
Lirismo di Mussorgski

740
Capitolo ventiseiesimo IL SOGNO PIÙ GRANDE 740
Spiriti ottocenteschi 743
Verdi e Wagner
747
Verdi 747
Il « primo » Verdi n2
« Rigoletto ,. 753
« Il trovatore » 7.54
« La traviata >> 755
Dai « Vespri >> alla « Forza del destino >> 756
« Don Carlos » 757
« Aida » e il Requiem 759
« Otello » 763
" Falstalf »
764
Wagner
764
Wagner e la « rivoluzione » 768
La concezione wagneriana 770
La vocalità di Wagner 770
Nuova fluidità del ritmo 771
Penetrazione nell'incosciente 772
Interpretazione della natura
773
Dall'« Olandese volante » al « Lohengrin ,.
774
775 780
778
Xlii
Indice generale

Capitolo ventisettesimo A CAVALLO TRA DUE SECOLI


783
p.
78}
Sviluppi del wagnerismo
783
Richard Strauss
788
Da Humperdinck a Pfitzner
789
«W agneriani ,. fuori di Germania
790
Lorenzo Perosi
792
L'opera verista
793
Pietro Mascagni
794
Giacomo Puccini
798
Giordano, Leoncavallo, Cilea

L'Impressionismo
799
800
Claude Debussy
804
Maurice Ravel
807
Paul Dukas
809
Manuel de Falla
810
Inftuenze impressioniste fuori di Francia
813
Zandonai, Wolf-Ferrari, Pizzetti

Capitolo ventottesimo LA RIVOLUZIONE DEL NOVECENTO


816
Le polemiche
816

Le musiche
820
820
Tre precursori: Mahler, Reger, Busoni
822
Schi:inberg e la scuola viennese
823
Alban Berg
824
Hindemith
« Le group des Six ». Honegger
825
826
Milhaud, Auric, Poulenc
828
In Russia
829
In altri paesi
833
In America

La Nuova· Musica e le recenti avanguardie


8}5

In Italia
838
838
Alfredo Casella
838
Gianfrancesco Malipiero
839
Luigi Dallapiccola
839
Petrassi, Ghedini
840
Lualdi, Mortari, Lattuada
841
Altri compositori italiani
843
Giancarlo Menotti

Igor Stravinski
843

849
Bibliografia essenziale

856
Indice dei nomi

STORIA
DELLA MUSICA
Capitolo primo

LA DOMANDA VIETATA: CHE COSA� LA MUSICA

Come tutti sanno, una parte non trascurabile del progresso umano consiste nel
condannare come inutili e ingenui, come infantili e indegni di perderei tempo, buon numero
di quei problemi che ieri o ier l'altro parevano essenziali, che a padri e ad avoli toglievano il
sonno e che pure, sfuggendo alle tenaci ricerche, mandavano da lontano un messaggio: «
Se sei buono a risolverei, tu possiederai i segreti della vita ». Scaduti i tempi della pietra
filosofale, della quadratura del circolo e dell'elisir di giovinezza, quest'indagine intorno alla
possi bilità di definire la musica parve più dura a morire. E iniziata con gli inizi d'ogni
pensiero, con i primi tentativi di affidare a una scrittura il pensiero perché durasse, perché
testimoniasse di se medesimo anche in futuro, essa vivacchiò sino ai giorni presenti, dopo
aver raggiunto i suoi fastigi più alti tra la seconda metà del XVIII e la seconda del XIX secolo.
Ma oggi come oggi, giorno in cui scrivo, chiedersi che cosa è la musica farebbe sorridere
un vero scienziato o un vero filosofo. Cooesti personaggi, cui si deve da tutti il più grande
rispetto, codesti uomini sacrificati alle fatiche della conoscenza, hanno identificato qua e là,
in questo mondo sottoposto alla loro decifrazione, una certa quantità di « inconoscibili », e
hanno anzi posto la vera sapienza nell'ammettere lealmente l'incapacità umana di pene
trarli. L'umano sapere va attraversando una fase di umiltà che mi piace.
Ma insomma, tempo fu in cui gli antichi vollero raffigurare nella musica quasi un'orma
fuggevole impressa dagli iddii durante i loro viaggi terrestri, o l'eco di un'armonia superiore
in un mondo basso e per natura sua discor dante. Tempo fu in cui, cercandosi di rifare con
le nostre forze l'ordine su premo creato da Dio per atto semplice del suo pensiero, i mistici
cattolici, ondeggianti tra le compiacenze scientifiche di Aristotele e le adesioni ideali di
Platone, intravidero nella musica una specie di iniziazione previlegiata, dove gli occasionati
incontri matematici, derivati dal pitagorismo, sembravan quast annunciare il Verbo
attraverso il Numero.
Nella ricerca disperata dell'<< in sé >) delle cose, del nocciolo ultimo oltre il quale la
nostra conoscenza non potess� più operare le sue successive riduzioni, nella corsa al
noùmeno, estrema essenza di tutta la realtà sensibile, vero atomo o elettrone ideale,
paragonabile all'atomo o all'elettrone del mondo fisico, la filosofia tedesca che annunzia e
accompagna il Romanticismo si soffermò spesso sulla soglia della musica, come davanti a
un tempio possibile dell'Isi velata, della divinità misteriosa generatrice di tutta la vita.
Ma alfine gli uomini lasciaron ricadere le braccia; la compagna ch'era sempre con loro
rifiutava di svelare il suo volto. Allora, alla speranza di totali defini zioni succedette una
fredda cautela; e il segreto sospiro di rimpianto che accom pagnò la rinuncia venne
compensato dal senso di una nuova vittoria, quella
Storifl della murit:tJ
4

appunto della conoscenza che virilmente constatava la


limitatezza dei propri stru menti. Precursore di questa politica
prudente, per la parte in cui essa poteva riguardare la musica,
fu gii11, ancora un secolo addietro, Eduard Hanslick. Nel suo
famoso opuscolo Del bello musicale, codesto scrittore negò alla
musica il potere di rappresentare o di disegnare i sentimenti
umani, e volle circoscrivere il suo attri buto all'imitazione del
semplice moto dei sentimenti, meglio ancora, com'egli dice, al ((
moto di un processo psichico )).
Vedremo, fra poco, come questo carattere dinamico della
musica sia in realtà una delle sue energie essenziali, sebbene
in forma diversa da quella additata dallo Hanslick. Qui basti dire
che negare alla musica la capacità di conoscere i sentimenti e
conferirle l'ufficio specifico di rappresentare i loro movimenti è
forse un errore di logica elementare.
Oggigiorno, dopo i trionfi e le crisi del relativismo, io credo che,
da ta luni, il contenuto ultimo della musica sia considerato in
modo non dissimile da quello che si pratica circa il contenuto
ultimo della matematica. Sotto questo aspetto, anzi, può
ravvisarsi tra matematica e musica una certa parentela, ben più
in tima e profonda che non il banale accidente costituito dalla
misurazione e suddivi sione del tempo, dalla regolarità dei ritmi
musicali e dall'assunzione dei divisori 2 e 3, mediante i quali
l'unità ritmica originaria vien frazionata in molteplici maniere.
� ben vero che la volgare credenza intorno a misteriosi
rapporti tra musica e matematica nasce tutta dal suddetto
intervento di due numeri innocentissimi; ma codesto intervento
non è più importante di quanto sia stato, nella poesia
tradizionale, il conteggio delle sillabe, di quanto sia, in pittura,
l'osservanza delle proporzioni. L'autentica analogia che io vedo
intercorrere fra la matematica e la musica risiede nell'attributo
comune di scoprire verità in un campo ideale, esclusivamente
intuitivo, e di constatare più tardi come queste veriti11
aderiscano ad altri piani. Nello stesso modo per cui gli
assiomi e i postulati della matematica si traducono e
confermano nelle esperienze fisiche, le intuizioni
musicali, nate da un'attività indipendente dello spirito,
trovano echi nella vita dei singoli individui , si trasformano, per
chi le ascolta, in interpretazioni della vita, appaiono come
profezie e come anticipazioni valevoli nel più lontano futuro.
Tutto questo avviene però per naturale trasposizione, senza
che il nostro senso critico possa aver tempo e modo di
esercitare confronti. Noi oggi non crediamo più che la pittura e la
scultura siano trasformazioni, tanto meno imita ZIOni, della realtà
visibile; pensiamo piuttosto che il pittore possegga sentimenti e
immagmt tali che, espressi, rivestano forma visiva; cosl come le
immagini e i sentimenti del poeta si ordinano in pensieri elocuhili.
Tuttavia, siccome il mondo visibile non creato da pittori e
scultori, cioè la natura, ha una sua realtà che cade
quotidianamente sotto i nostri occhi; siccome il mondo delle
parole ha un'altra realtà sua propria, oggetto di attività
n d
diversissime da quelle del poeta, ecco che .oi, deviati �Ua
o
pr !lliscuità delle forme, nel percepire un quadro o un poema
m s
sta ? come dt �ur�att da reminiscenze estranee, dall'impulso
istintivo a istituire spurte cnmparaztont.
Ma in musica forma e sostanza si confondono; il mezzo musicale
non serve che per quella sola espressione e gli equivalenti naturali
e u
di esso - siano il canto d �li �lli o lo stormire delle fronde -
son troppo rudimentali per poter mat servtre a raffronti. Se noi, in
u
determinate condizioni, possiamo pensare che _n be} tramonto
è più bello di un bel quadro (cioè siamo condotti, per via di
rtcurdt, a porre il tramonto naturale di fronte ad illusioni di
tramonti contenuti in opere di pittori) mai, durante l'audizione di
una musica, sentiremo l'opera del
La domanda vieta/a: che cosa è la musica 5

musico inferiore a un qualsiasi equivalente naturale. In modo non dissimile, il discorso di un


poeta, tutto fatto di parole, di combinazioni di parole e di giri di frase che ritroviamo nella
vita d'ogni giorno, non ci risulterà mai cosl essen ziale, cosl autonomo, cosl inaccessibile ad
altre espressioni, com'è il discorso del mu sicista. Discende in tal maniera sulla musica un
attributo di verità che invano noi cercheremmo nelle altre arti, e che appunto può
rassomigliarsi alla verità della matematica ; un attributo di libertà ideale che nessuna delle
altre arti possiede.
È :t questo punto, io credo, che entra in giuoco la forza del movimento, di un
movimento, per altro, assai diverso da quello che intendeva lo Hanslick. Considerando il
processo creativo della pittura e della poesia, noi constatiamo ch'esso solidifica i sentimenti
e le immagini, vale a dire li fissa, li ferma, li documenta nell'opera d'arte. Fra il balenlo
dell'immagine e il suo prender corpo nel quadro o nel poema !nterviene la memoria, la
quale, per segni o per parole, ricostruisce e ritraduce la genesi originale. La musica, al
contrario, non ha bisogno di compiere questo lavoro; non riferisce, ma agisce; non annota,
ma è l'atto stesso e puro della creazione; non è successiva, ma simultanea ai sentimenti. E
tanto ciò è vero, tanto ciò è venuto preoccupando l'animo degli artisti, che noi oggi, in
questi tempi moderni, vediamo la pittura e la poesia tendere a una liberazione da qualsiasi
reminiscenza della realtà naturale, e per tanto, sia ermetismo od altre analoghe forme
cercar di avvicinarsi ai modi peculiari della musica.
Arrivati qui i miei lettori diranno: << Ecco qua uno che, dopo essersi inchinato ai filosofi
e averci fatto sapere che li frequenta e rispetta, cerca, alla chetichella, di definire la musica.
Falso amico dei saggi, entra nella loro casa con mille restri zioni mentali, e poi, quando
quelli guardano dall'altra parte, depone in terra una bomba e se ne va senza neanche
salutare )).
Nossignori. I lunghi discorsi che precedono son stati pronunciati in pura perdita. E se
han voluto segnare qualche lineamento della musica, non è stato per arrivare a una sintesi.
Attività sempre rinnovata e cangiante, la musica sfugge alle sintesi. Perché ogni musica
grande è un caso particolare, è il mezzo ultimo concesso ai singoli per esteriorizzarsi, per
convincersi e per provare di essere quelli e non altri.
Ma se noi perveniamo a fare della musica un vero complesso vitale, a sentirla legata al
ritmo della nostra vita, compagna di tutti i giorni, confidente di tutti i segreti, in tal caso
possiamo conoscerla per un atto semplice di simpatia fisica e ideàle, nello stesso modo per
cui conosci<tmo l'aria ed il pane, i figli e le madri , le spose e gli amici. Non sono queste
cose e persone trascese al disopra delle necessità dialettiche, pressoché impossibili a
definirsi e pure oggettivate in una certezza ben salda, più salda di ogni appercezione
logica? Vivendo in strettissimo legame con noi, qualcosa di noi si è come propagato in
esse, ed è questa ombra nostra che ci guida nel giudicarle, questo vero cui noi aderiamo
naturalmente.
Più che una riga di definizione, cerchiamo di estrarre dalla musica come un fluido
perenne, di mantenere intatto il suo moto, di sorvegliare e preservare la sua· vita. In un
mondo tutto chiuso da leggi fisiche e morali, tutto serrato dalle catene delle conseguenze,
la musica apre grandi spazi ideali e ognuno poi li riempie con la letizia di un'antica libertà
perduta, con la letizia di poter soddi
sfare il suo desiderio più umano, ch'è il desiderio di essere e di creare. Nessuna attività
terrestre concede appagamento cosi pieno a un cosi fondo desiderio, nes sun'arte
compenetra più strettamente l'ascoltatore con l'autentico creatore.
carità
Narriamo dunque la storia della musica senza mai dimenticare questa sua
ve
�so gli uomini. Vedremo come, nel loro segreto, gli uomini l'abbiano sempre npagata.
Capitolo secondo

AL TEMPO DEGLI DEl FALSI E BUGIARDI

Anche la musica, come cento altre attività dell'uomo, sembra divisa in due grandi
tronconi dall'apparire del Cristianesimo. E se un distacco cosl netto, una cesura cosl
irrimediabile sono, nel campo della musica, il frutto di una semplice contingenza (cioè
non dipendono dall'essenza profonda della dottrina cristiana) non per questo essi ci
appaiono meno decisivi. Diremmo che il Cristianesimo, tutto ribollente di novità e tutto
acceso di scintille rivoluzionarie, liquidasse tal
volta il passato e inaugurasse l'avvenire anche al di fuori di qualsiasi suo inter vento
volontario.
Fatto sta che la musica di tutte le civiltà precristiane, la musica dell'« an· tichità >>,
come suoi dirsi, è affratellata in un unico destino piuttosto desolante; quello di non poter
mai venire conosciuta in maniera veramente persuasiva. Lo impediscono l'estrema
scarsezza dei brani musicali superstiti, la difficoltà di inter
pretarli, i dubbi intorno agli strumenti e, infine, tutta quella congerie di studi, remoti o
recenti, che attraverso convinzioni personali e opposti giudizi finiscono col render la
materia sempre più misteriosa e confusa.
Discesa fra gli ultimi ricordi dell'uomo, la ricerca musicale si stempera nel dominio
dell'antropologia, si perde tra le silici dell'età della pietra, brancola tra le palafitte di
vecchissime tribù lacustri. E ci parla di un primitivo utilitarismo musicale, cosl come
utilitario dovette allora rivelarsi ogni atto dei nostri proge
nitori, di questi radi antenati quotidianamente impegnati in guerre minime per farsi un po'
di posto sulla terra e ricacciare un po' indietro la natura. Per richiamare le greggi sparse
uno avrà pensato di soffiare in una canna recisa; per segnalare un pericolo ai compagni
e farli raccogliere fuori dalle caverne un altro avrà steso una pelle d'animale sopra un
guscio di tartaruga marina, poi ci avrà battuto sopra con una delle sue mani. Una madre,
per far dormire il piccolo, avrà incominciato a mugolare una nenia. Non importa se
questa preistoria mu sicale è tanto lontana dalla Quinta beethoveniana, quanto Io è da
una bella donna l'autorevole scimmione di Darwin. Anche l'evoluzione ha il suo fascino e,
a qual
<:uno, questo paziente ingranamento può sembrare più magico del « fiat lux » della
Bibbia.
Naturalmente, c'è anche l'ipotesi imitativa : l'uomo che ascolta i canti dell'usi gnolo e
tenta di riprodurli con uno zufolo; l'uomo che ode frusciare la ramaglia e con un ordigno
inv
rudimentale le si accompagna. Patroni illustri di codesti antichi �ntori sono Sigfrido,
nel secondo atto dell'opera wagneriana, e il dio Pan, osunato cacciatore di lepri e di
ninfe. Senonché il primo, poco fortunato, non lasciò gran traccia nella storia degli
l
istrumenti musicali ; mentre il secondo, con � sua zampogna battezzata << Siringa » in
memoria della fanciulla perdbta, sarebbe mentemeno che il primo fabbricante di organi.
1
Al tempo degli dei falri e bul(iardi

Il mistero delle origini. Come tutti vedono, questo viaggio meraviglioso


ama
verso i paesi della preistoria musicale può condurci alle più
gravi dissipazioni. Perché due cose bisogna sopra tutte curare di
della musica come pura favella e
non confondere: lo scoprimento
l'attimo in cui essa intravvide il mondo espres
sivo a lei destinato.
Non ci rendiamo conto di quanto il passaggio dovette essere
insensibile e difficile da fissarsi; ma come un filologo terrebbe ben
distinti i primi bagliori del linguaggio dai primi della poesia - la
dalla parola disinteressata e ideale - cosl
parola pratica, insomma,
noi dobbiamo sceverare, nella prei della musica, il fatto di
storia
aver fabbricato suoni per spirito utilitario e mi
metico, dalla meraviglia
di scoprire in questi suoni uno specchio della coscienza.
II sorgere di questa meraviglia fu senza dubbio antichissimo,
bilmente, quanto il ritrovarsi materiale dei suoni;
tanto antico, proba
ma fu fenomeno svol gentesi in un p1ano diverso, fu l'accendersi di
un'immaginazione particolare nel
l'animo di individui un po' diversi
da�li altri; di quegli individui , insomma, che furono i grandi artisti
delle età primigcnie, e che pur vestiti di pelli o armati di clave,
meritano, anche da parte di noi moderni, il titolo di maestri ». «

Grandi imprese di caccia o di guerra spingevano una mano a


tracciar rozze figure sulle pareti delle caverne, ad esteriorizzare in
segni la loro mirabilità e la loro memoria. Ma ancora guidavano
una voce a celebrarle nel canto, e i più giovani, ritenendone la
melodia, fissavano con altro mezzo, per i venturi, la stessa
mirabilità e la stessa memoria. Ci fu dunque anche un intento
storico nel primo bal
bettio della musica? Lo si può credere;
qualunque cosa si può credere, in un campo cosl vasto, in un
mondo cosl lontano che, trovandosi quasi vuoto di fatti accertabili,
sembra messo là apposta per venir riempito dal nostro bisogno di
ipotizzare.
Restava da procurarci almeno un barlume intorno all'essenza
di questa musica preistorica; e fu provveduto col provvidenziale
sistema analogico. Cioè, si disse, se gli uomini delle caverne e
delle palafitte possedevano un grado di civiltà simile a quello dei
moderni indigeni australiani, degli attuali abitanti delle isole
Andamane, dei negri dell'Africa centrale e cosl via, la musica di
presso a poco alla musica dei
queste tribù arretrate corrispon derà
nostri progenitori. Si disse, e si partl con apparec
chi grammofonici
per le suddette regioni ; poi, al ritorno, se ne ricavarono dischi, e,
accomodati in poltrona, si stette ad ascoltare un concerto dell'età
della pietra.
Ma ecco che la vita dell'uomo va a poco a poco mutando.
All'impulso cieco di esistere, cioè di non morire per mancanza di
alimenti o per soggiacimento alle avversità della natura, si unisce
anche il desiderio di lasciare di sé una memoria. Testimoni
d'innumerevoli catastrofi, spettatori di innumerevoli cancellazioni,
gli uomini, cosl come riparano dalle intemperie del cielo i propri
corpi , incominciano a riparare dalle intemperie del tempo i propri
pensieri. Fissare questa parte di se stessi in un monumento, in un
papiro o in una tavola di pietra, significa riconoscere la propria
importanza di viventi e proiettarne un'ombra sopra materia meno
labile e caduca della propria carne.
Per la porta dell'orgoglio o per la porta della speranza
l'umanità entra nell'epoca (( storica ». S'inizia l'età dei documenti,
l'età di quegli atti svariatissimi che vogliono (( docere )), che
vogliono insegnare il ricordo ai sopraventuri. Siamo
paragonata agli
dunque nell'antichità, in un'ora del mondo che
ster
minati secoli della preistoria, può tuttavia sembrare il giorno di
ieri.
Ebbene, come già accennammo, fra tutte le attività umane di
questo periodo la musica è quella che lasciò di sé minor traccia;
quella che, in confronto all'etica o al modo di fare la guerra, alle
dottrine religiose o alle dottrine filosofiche, all'architettura, alla
pittura o alla poesia, rimane presso che sconosciuta, una cosa di
cui tutti parlano ma che più non ci parla.
• Storia della musica

LA MUSICA NELL'ANTICHITA

Immutabili tradizioni d'Oriente. Per meglio chiarire questa circostanza, dividiamo il


mondo antico, cosl all'ingrosso, in due grandi sezioni : quella formata dai popoli che
gravitarono più o meno intorno al mare Mediterraneo e quella com posta dalle genti
asiatiche di civiltà precoce ed insigne. Queste ultime, i cui massimi esponenti sono i
Persiani, gli Indiani e i Cinesi, non impressero alla loro musica quel moto evolutorio
profondo, quella totale metamorfosi che costi tuisce il carattere individuale, inconfondibile,
della musica europea ed euro peizzante. Per quanto ci è dato di stabilire, la musica
attuale dei Cinesi e degli Indiani, dei Cingalesi e degli abitanti di Bali si dichiara custode
fedelissima di venerande tradizioni.
Sopra di essa i secoli trascorrono lenti, com'erano i secoli di una volta; e fenomeni
addirittura antitetici (un Rossini e un Wagner a quarant'anni di di stanza ) le risulterebbero
assolutamente inconcepibili. Noi dunque, almeno per quanto concerne l'Oriente asiatico,
possederemmo ancora in atto una <( musica dell'antichità �>. C'è infatti chi lo crede; chi,
duro da morire alle favole, a una favola bellissima come questa, si procura un passaggio
su di un transatlantico e naviga con ragionevole spesa verso la voce musicale dei
millenni prima di Cristo.
Altri però, ed io fra questi, ritengono che anche i Cinesi e gli Indiani abbiano sublto
la loro evoluzione musicale e che la realtà dei fatti non corrisponda, presso di loro, a un
innegabile spirito di conservazione e a un rispetto tutto religioso verso la persistenza e
immutabilità del genio razziale. Cause materiali ci inducono in questa opinione; ed esse
sono, precisamente, l'incertezza delle no
tazioni musicali, tanto complicate cl.! fomentare il contrasto interpretativo; la fallacia della
tradizione orale legata a p.:-rturbazioni di mille specie ( fra cui non ultima la
perturbazione degli organi vocali), l'uso dei <( terzi » e <( quarti >> di tono comune a tutti gli
Orientali e per natura sua passibile di continue Auttua
zioni in quanto operante su differenziazioni minime fra nota e nota; da ultimo, una teoria
cosl complicata, cosl compiaciuta nelle divagazioni metafisiche, cosl so vrapposta al fatto
musicale ed espressivo puro, da sconvolgerlo con nuO\·e interfe renze, come se quelle
prima accennate non fossero già sufficienti.
In condizioni siffatte, noi riterremo appunto, di codeste musiche antiche, quasi
soltanto il grave armamentario dottrinale. Qui i testi e i documenti non scarseggiano; ci
permettono di ricostruire i tipi di scala, di rilevare come i Cinesi a certi gradi di essa scala
attribuissero un principio maschile, a certi altri un principio femminile; come le dodici
lunazioni avessero la lor parte nell'impianto d�l lyù, istrumento base della musica cinese
antica; come i pund cardinali e gh elementi semplici della natura concorressero, insieme,
ad altre determinazioni di suoni; come, infine, la gerarchia delle note corrispondesse alle
gerarchie poli tiche, ai prlncipi e ai ministri, al popolo e all'annona. Lo stesso per gli
Indiani, di cui una lunga documenta?.ione, che ha prin cipio con i sacri libri dei Veda, ci
guida attraverso il complesso di scale e ci ammaestra intorno all'identità dei suoni con i
a
colori e al loro personificarsi nelle tre c ��e antiche dei bramini, dei guerrieri e dei
paria.
P h� s u s
. .tu e . � q �sti a�a �inanti simbolismi, ricorrenti ogni tanto anche fra sohtart
t
musicisti occidentali rn forme più o meno diverse (Berlioz, intorno alla metà dell'<?t ?
a c
Cento, !r � �rà il ritratto psicologico di ogni singola tonalità mo derna; Scrtabrn, al
prmctpto del secolo nostro introdurrà in orchestra la tastiera a colori; molti noti ed ignoti
ravviseranno un'indole maschile nel modo maggiore,
AJ tempo degli dei falsi e bugiardi
l

un'indole femminile nel modo minore); più che su questi affascinanti


simbolismi, fermiamo la nostra attenzione sopra un carattere
orientale, voglio dire sul suo
intimo e perenne della musica
carattere magico, che la differenzia in modo mar
cato dalla musica
dell'Occidente.
Da noi la musica tradizionale (la musica, per intenderei, dal
'500 al principio del '900) rappresenta un aumento di potere
conferito per vie segrete alla coscienza. L'estrema sottigliezza del
suo discorso, la capacità di esprimere sfumature di pensiero
tenuissime, di registrare in un sol segno quella simultaneità di
sentimenti che la parola sarebbe costretta a spezzare, a diluire e
a distruggere, accendono nel nostro animo una specie di
esultanza, lo ridestano a uno stato di veglia più accorto e
recettivo, propagano dal cuore al cervello un ritmo di vita più
serrato; affrettano, io credo, i battiti del sangue e il balenlo delle
immagini.
La musica orientale, al contrario, un poco pel suo andamento
omofono, ma soprattutto per il suo ritmo, di volta in volta
ossessionato nell'iterazione oppure frantumato in membri che
la mu
sfuggono a una precisa identificazione, sica orientale con il
degli
suo insistere nell'ambito di poche note e con il largo uso
strumenti a percussione, tende invece a smorzare le nostre facoltà
cono scttlve, e fissandole sopra un'unica immagine, ne sospende a
poco a poco l'in
stancabile opera, sicché, vinta la nostra volontà, ci
assoggetta alla sua.
È la lucida intelligenza dantesca, dono degli eletti nel cospetto
di Dio, che si contrappone al Nirvana dei buddisti: è la capacità di
affisarsi nel sole, retaggio supremo delle creature apollinee, che
contrasta alla rinuncia delle umane potenze.
Forse dagli Egizi il nome musica. Lasciamo dunque la musica degli
orientali e volgiamo lo sguardo alla musica dei popoli
mediterranei, risuonata mentre di volta in volta essi lottano per la
supremazia politica. Qui, se non per il caso degli Ebrei (dove pure
di
le solite riserve mantengono tutto il loro valore) nessun aiuto
tradizioni orali ci assiste. Le grandi civiltà degli Egizi e degli Assiri,
dei Babi
lonesi, degli Etruschi e dei Greci non soltanto sono
decadute come personalità politiche, ma si sono ancora dissolte
come personalità etniche.
In questa dispersione dei tratti razziali, nessun canto,
evidentemente, si è potuto tramandare di bocca in bocca e
perdurare fino a noi, sia pure in veste deformata o spuria. Spiriti
delle lontananze storiche saranno certo rimasti nella musica dei
popoli nuovi, succeduti agli antichi sulle stesse terre e sulla riva
degli stessi mari. Ma, dato che ci manca un punto di riferimento
primo, l'iso
lare questi spiriti è impresa del tutto disperata. E il punto
di riferimento primo ci manca, perché quelle genti, tanto
inventare un sistema di
industriose in altre arti, o non seppero
notazione musicale, o, avendolo inventato, lo adombra
rono
anch'essi di significati cosi sottili che la nostra mente, non
altrettanto industriosa, è oggi incapace di decifrarli. Da ultimo,
dove la notazione esisteva e sembrava più docile
all'interpretazione, il tempo si è incaricato di far piazza pulita,
sicché, avendo risparmiato soltanto scarsi frammenti, ci ha
impedito e ci impedirà di pervenire a una vera conoscenza.
ei
Ricadono sotto il primo caso gli Egiziani, gli Assiri, gli Etruschi
Babi
lonesi. Di questi popoli non risulta che avessero segni per
fissare la musica. E pertanto, se agli Egiziani rimane il vanto di
aver forse creato il nome di musica da una radicale che indica
loro sacerdoti
l'elemento acqua )) principio di tutte le cose, se dei
«

si tramanda che gorgheggiassero intorno alle sette vocali dell'alfa


beto per accompagnare le pratiche magiche, non meno dei
confratelli essi sono muti e impenetrabili. Sulle pareti interne delle
oiramidi, nelle pitture murali e nei bassorilievi delle metropoli
scomparse, dal N ilo all'Eufrate, dall'Appennino al
10 Storia della m11rica

Libano, noi vediamo dipinti o scolpiti molti esseri umam tn atto di suonare o
cantare; da scavi o da ritrovamenti fortuiti noi siam venuti in possesso di autentici
strumenti dell'epoca. Ma gli uni e gli altri ristanno immobili e la loro voce si è solidificata
nella pietra, è svanita via dai bocchini dei flauti e dalle corde delle arpe. Su quelle tarde
età musicali ristagna il più profondo silenzio.

Israele e la tradizione orale. Un fantasma di scrittura e un'abbondante messe di


tradizioni orali presenta invece la musica degli Ebrei antichi. Tuttavia quei due elementi,
quando vogliamo interrogarli da presso. ci fan guadagnare ben scarso vantaggio nella
conoscenza viva di quanto andiamo cercando. Difatti, i segni com
plicati che noi troviamo sulle interlinee dei Salmi davidici han sl tutta l'aria di riferirsi a
valori melodici, ma la loro eloquenza non va più in là di cosl parca constatazione. Si
cercò di scioglierne la favella compulsando il Talmud, somma di tutto lo scibile e
notiziario di tutta la storia d'Israele, e si vide il gran testo restar silenzioso, esso che, fino
a quel punto, aveva sempre fornito risposte. I più disperati conclusero che quei segni,
ovvero quelle << note rabbiniche », non significavano niente; altri che si trattasse di una
specie di stenografia segreta, assolutamente ap
prossimativa, non già lusingata di poter fissare con esattezza ogni singolo suono, ma
contenta di rammentare l 'andamento generico di qualche frase melodica, dove tut tavia
l'estro del cantore poteva di volta in volta liberamente espandersi.
Ritraiamoci, dunque, da questa fessura che 2vevamo scoperto in mezzo al muro di
cinta della musica ebraica, e vediamo se non si possa passare per quel l'altro pertugio,
vale a dire il pertugio della tradizione orale.
Qui ci si presentano circostanze allettanti. Di tutti i popoli mediterranei, l'unico che
abbia conservato intatta la propria coesione etnica e che professi ancor oggi una
religione più vecchia del Cristianesimo, è proprio il popolo ebraico. È dunque un popolo
di condizioni ideali per compiere i più delicati trapassi di generazione in generazione; un
popolo che ha una sua fissità millenaria e che è abituato a custodire a lungo le cose.
Ma la musica è una creatura così impressionabile che, anche nel breve viaggio da
una bocca ad un'altra, essa trova sempre modo di distrarsi; e quando sembra assorta in
un compito è invece pronta a raccogliere gli echi più lontani, perché il suo destino cons!
ste in un perpetuo divenire e nell'alimentare in se stessa volontà antitetiche.
. Possiamo noi persuaderei che i canti sinagogali, quali ci si presentano nelle pnme
raccolte a stampa ciel xvr secolo, tengano esatta fede ai loro modelli dei tempi di Esdra e
dei M acca bei , cioè di tempi che risalaono a duemila anni più indietro? o

lo non riesco ad illudermi. E se pure, ascoltando l'Eili, eili o il Kol Nidrei (due inni
del Tempio che si possono :1nche girare sul grammofono) noi abbiamo un'impressione di
gravità malinconica, un senso di strana fissità davanti all'in sistenza della preghiera , non
della s gg
per questo dobbiamo abbandonarci alle lusinghe u_ �stione letteraria o
moderm CIÒ che rcai o e ciò
dimenticare che per le nostre orecchie di occidentali .� � �
he con estr fac1l
� . è semplicemente orientale possono confondersi �ma �ta. A1 creatori
cons ataz on
d1 « fatti >> non resta se non annotare qualche � ! .e stanca, segnare qualche
eb a1ca, tns1e e col car
linea formale; riconoscere nell'antica musica � � �ttere monodico
t1po salmod1co >> che 1 sulla
comune a tutte le sue consorelle, quel « . .ntona le varie sillabe
medesima nota, quasi clecla mando, e s
.olo d1 tratto tn tratto s'innalza in brevi volute
melodiche. Poi ritenere tre « genen >> essenziali di canto sinagogale: uno che scorre dal
CO
principio alla fine ?Je un monologo (sia pure eseguito dal coro)· un altro <<
responsoriale >> in
'
CUI la voce di solista che pronuncia il « corpo >> del salmo si alterna con il �oro
Al tempo degli dei falsi e bugiardi

che canta l' (( alleluia >> iniziale e finale; un terzo, << an ti fonico », dove un versetto scelto
vien ripetuto a modo di ritornello e sempre sulla medesima melodia. Al pari degli altri popoli
antichi , gli Ebrei non conoscevano ((armonia » nel senso nostro della parola ; cioè
praticavano una musica esclusivamente monodica. Ricchissimi di istrumenti, non li
usavano di regola se non per accompagnare all'unisono o all'ottava la linea del canto, tanto
più che anche la danza sacra e profana sembra si svolgesse sopra musiche vocali.
Anch'essi, infine, riconoscevano nella musica virtù educatrice, potere di allontanare l'uomo
palla bestia, una sorta di avviamento a precoci beatificazioni.
Tutto qui. La pagina sulla musica ebraica si chiude, presso a poco, con lo stesso
magro bilancio con cui si sono chiuse le altre. Come se noi avessimo voluto conoscere
l'anima di una persona, e tutto quello che fu possibile di sapere fosse stato una notizia sul
colore delle sue vesti, un cenno intorno alle sue nor
mali abitudini.

l misteri della musica greca. Ma adesso ci mettiamo per mare, e avendo bordeg giato le
cento isole dai nomi divini, avendo intravisto ogni tanto la costa asiatica non più definibile di
un tenue vapore, leghiamo la barca a un sasso della terra
greca e tendiamo l'orecchio nei lontani mattini profumati di rose. In questo paese gli uomini
sembran meno trasognati che non nelle altre re J!ioni del mondo antico. Religiosi anch'essi,
lo si capisce; più religiosi di noi mo derni, in un senso, se religione è come vivere sempre in
mezzo a presenze divine, e codeste presenze rintracciare in qualsiasi cosa, inseguirle se
trascorrono v1a, incarnarle in aspetti umani per illudersi di averle più familiari. Ma poiché
I'Oiimpo non è montagna cosl ardua come l'Himalaia, né i suoi accessi sono tanto impervi
come i disperati deserti dell'Asia e dell'Africa, ecco che gli abitatori di questa terra hanno
scalato l'alta casa degli dèi. Ci si sono ar rampicati avendo per guida la ragione; e questa
donna che regge una lampada meravigliosa ha fatto vedere come un tal viaggio, più
che a un'alpestre scalata, assomigli a un coraggioso sprofondarsi in se stessi. Dalla
considerazione della pro pria dignità di uomini, i Greci hanno imparato a conoscere un
nuovo potere; al concetto di divinità incomprensibile, terribilmente distante dalle ore
terrestri, hanno sostituito l'idea di un ordine superiore, di cui l'ordine mentale dell'uomo
filosofico è una specie di stampo o una sorta di presentimento Sotto l'influsso di codesti
pensieri, l'arte non è più un lungo e oscuro lavoro, un nuovo servaggio da aggiungersi agli
altri, un cumulo paziente di mille fatiche. La timida speranza di compiacere al Dio, la
segreta espressione di un sentimento personale depositato cosl, furtivamente, tra le pietre
dei monumenti anonimi o sugli zoccoli dei bassorilievi, si sciolgono a poco a poco e
diventano l'immagine di un franco dominio. È l'artefice che sorge su dal banco dell'artigiano,
lo storico che soppianta il cronista, il filosofo che annulla il sacerdote, il poeta che disereda
il rapsodo. È insomma, nel mondo antico, un tempo moderno. Ma allora, ci vien fatto di
chiedere, se la musica quale noi intendiamo e viviamo, la musica creazione di singoli ed
interprete di sentimenti universali è certo la più giovane di tutte le arti , non avranno, questi
Greci, acceso almeno una scintilla da cui bruciò poi, in quattro secoli, tutto il gran fuoco
della mu sica occidentale?
lovero, considerando la poesia e la filosofia degli Elleni, la loro statuaria e la loro
architettura, quel che in esse ci appare non è soltanto un grado altissimo di bellezza e di
potenza argomentatrice ( le arti di alcuni popoli orientali non sono affatto inferiori), ma
ancora un tipo formale e un modo tecnico vicinissimi ai no-
12 Storia della musica

stri, tanto vicini che talora sembran quasi sopravanzarli. Un frammento di Saffo o un
brano di Sofocle son molto più << moderni » di una canzonetta del Chia brera o di una
tragedia dell'Alfieri ; e nelle linee di un tempio ateniese noi sen tiamo un equilibrio ancor
caldo e perfetto, cioè ancora vivente in quella zona del nostro spirito in cui si
compongono le verità architettoniche.
Accesa da tutte queste constatazioni, la curiosità con la quale noi ci volgiamo a
cercare la musica greca è dunque naturale e legittima. Essa spera di vederla svincolarsi
dai soliti poli intorno cui si aggirano le rimanenti musiche antiche, e, con atto originale di
libertà, gettare, anche di qui, il seme dell'arte occi
dentale.

Appena incamminati, ci si fanno innanzi le più vaghe lusinghe. Questa mu · sica è


dappertutto; nel chiuso dei templi e negli atrii delle case ospitali, nei boschi dove si
celebrano i riti agresti e nelle grandi adunate dei giuochi pitici. Accompagna
puntualmente qualsiasi forma di poesia e i poeti ne parlano come di una forza divina. I
filosofi, intenti a seguire il meccanismo della conoscenza ed il suo estrinsecarsi nelle
varie attività dell'uomo, la studiano da presso e, insieme con la poesia, le assegnano
caratteri di arte << temporale », in opposizione alla pit
tura e all'architettura che sono arti dello spazio.
I più avventurosi, cui le lunghe meditazioni conducono alla visione di ordini
universali, son colpiti da talune simmetrie nascoste nei -sistemi sonori, ravvisano nella
musica l'incarnazione del numero e, attraverso una specie di stupore eucli deo, confidano
di giungere al cielo arrampicandosi per una scala di note. Quando poi, più tardi, le prime
dottrine cristiane si mescolano allo spirito classico e, insieme con quelle, sembrano
rivivere più antiche tradizioni egizie o orientali, la musica entra a far parte di complicate
teosofie dove le sette sfere celesti emettono i sette suoni << vocalici » e quindi li
sospingono in basso sino a fecondare le con sonanti e dar cosl nascita alla musica-
poesia.
Proseguendo la strada, troviamo addirittura trattati sistematici, opere spe ciali che
fissano e dichiarano le varie teorie musicali, la natura degli intervalli me lodici e la
costituzione delle gamme, il carattere degli strumenti e le buone regole degli strumentisti.
Ancora un passo, e ci si rivelano le lettere dell'alfabeto appli cate a ogni singola nota delle
scale per indicarne l'altezza e per fissarne le altera zioni, nonché altri segni grafici che
vogliono specificarne i valori di durata, cioè la differente fisionomia ritmica.
Siamo dunque armati per decifrare i monumenti superstiti della musica greca, per
trar fuori una voce dalle pietre e dai papiri.
Ma ecco che, a questo punto, quello che sembrava cosl chiaro si intorbida.
e assai
Innanzitutto, i testi su cui possiamo esercitare la nostra indagine sono ben pochi
brevi ( delle
_ �eno di una decina a tutt'oggi), e noi sappiamo, anche dall'esempio .
r1 rico
�er�he m torno alla lingua etrusca, quanto sia necessario, per simili struZIOni, Il
possedere un materiale ampio ed esteso.
In secondo luogo, sia che si trovino su papiri o su stele marmoree e, sia che
compaiano entro codici assai posteriori, i segni sono spesso mutili o incerti e la loro
t
lettura diviene cosl controversa. Dei due famosi << Inni ad Apollo », che �ovansi scolpiti
degli Ateniesi a Delfo, esistono, ad esem pio, par
sulle pareti del Tesoro �cchie
interpretazioni e codeste interpretazioni differiscono tra di loro in tal mamera, che tu, di
volta in volta, ti trovi innanzi una musica assolutamente nuova. Il frammento corale
come
dall'Oreste di Euripide (opera dello stesso trageda, �ra d'uso in quei tempi) viene
assegnato da qualche studioso al « genere cromatico », da qualch'altro al « genere
enarmonico )). Conterrebbe cioè, rispetti-
Al tempo degli dei falsi e bugiardi ti

vamente, o dei semplici semitoni facilmente accessibili al nostro orecchio, o dei quarti di
tono a noi addirittura impercettibili.
In tanta miseria di testi e in tanta incertezza di versioni, noi che conosciamo le infinite
lacune della notazione musicale moderna cosl ingegnosa, d'altronde, cosl capace di
segnare il massimo delle intenzioni del compositore; in tanto ab bandono d'ogni tradizione e
in tanta carenza di qualsiasi continuità storica, come potremo mai sperare di conoscere
davvero la musica greca?
C'è una sensazione inspiegabile, ma sicura, nel fondo del nostro giudizio mu sicale, ed
è che le creazioni sonore, di mano in mano che si allontanano dal giorno della loro nascita,
"ubiscono profonde alterazioni attraverso il fatto esecutivo; in quanto che esse, essendo
non soltanto lo specchio della coscienza creatrice, ma al tresl la lastra sensitiva su cui
verranno ad imprimersi la volontà e il desiderio de gli esecutori, la loro speranza di sentirsi
tradotti e di vedersi rappresentati, si piegano quasi, s'incurvano sotto questa azione non
ben nota agli stessi che la ope rano. La debole costituzione concettuale della musica, cioè
la sua rinuncia ad im porre limitazioni dell'immagine, a ridurre i pensieri in tipi definibili e ad
arre starne il corso per trovar tempo di renderli discorsivi, tutto questo, e la parte che
l'esecutore vi prende, assai più grande di quanto non succeda in altre arti, cooperano a
rafforzare il processo. Una Sinfonia di Mozart o una Sonata di Scar latti non sorio certo più,
oggi, quel che erano viventi gli autori. Che saranno, in confronto ai giorni di Atene, gli Inni
ad Apollo e lo Stàsimo di Euripide, gli Inni di Mesomede e l'Epit�ffio di Sekeilos?
Se non che, anche per il caso dei Greci, cosl come per il caso degli Ebrei e dei Cinesi,
degli Indiani e di altri popoli antichi, il gran discorrer di musica che noi troviamo nelle pagine
degli storici, nelle alinee dei filosofi e nei versi dei poeti , ha lasciato un'impronta sui marmi
delle città trapassate: l'orma, muta ed immo
bile, che la musica vi ha impressa passando.
Curvi con reverenza su questo nobile segno, noi possiamo ricostruire altri atti
appartenenti alla vita esteriore della musica greca ; atti che, in parte, sono simili a quelli
d'altre musiche antiche, in parte sembrano originali e ristretti alla sola terra ellenica.
Un primo atto è questo: che presso i Greci la musica, considerandola se condo il
criterio con cui noi siamo abituati a considerare la nostra, cioè rifacen doci sempre ad opere
individuali di grandi artisti, ci appare più diffusa di adesso in estensione, assai meno di
adesso in profondità. Vale dire, quell'arte compariva in tutto il cerimoniale quotidiano degli
uomini , discendeva normalmente negli abi turi della plebe e saliva ai palazzi dei potenti, si
confondeva con l'insegnamento, diciamo così, elementare dei cittadini, era materia di
concorsi aperti a tutti, veniva fatta oggetto a leggi dello Stato. Ma , forse proprio per questa
sua divulgazione straordinaria, eh 'è anche prodotto della concomitanza strettissima con la
poesia e la drammatica, per quel fare di pratica usuale tra religiosa e politica, tra rituale e
mondana, noi siamo indotti a credere che avesse un gran valore logico, che po tess� dar
materia a interminabili discussioni, classificazioni e riduzioni, induzioni simboliche e
valorizzazioni terapeutiche, ma che, insomma, fosse ben scarsa di quel senso di linguaggio
che noi le riconosciamo, linguaggio forse il più perfetto e potente ad esprimere la essenza
riposta dell'individuo; certo il solo che ne sappia rappresentare determinate immagini.
È noto come Simonide di Ceo dichiarasse esser la pittura una poesia muta e la poesia una
pittura parlante. Meditando su codesto slogan, altri vecchi autori vollero far riserve sulla
differenza degli oggetti offerti « all'imitazione )) della pit tura e << all'imitazione )) della poesia.
Orbene, quando teniamo presente che la
Storia della musica
14

musica greca è un'emanazione diretta della poesia, noi possiamo concludere che anche
alla musica quegli antichi attribuissero un ufficio mimetico (tr6pos mimé seos ), vale a
dire un ufficio eminentemente descrittivo. Che la poesia degli ellenici sia trasvolata ben
più in alto, tutti lo sanno; ma per quel ch'è della musica, io mi terrei proprio all'idea di
Simonide.
Una musica descrittiva, dunque, che accompagnò in antico e melodizzò gli
esametri dei rapsodi omerici, che intonò più tardi le effusioni dei lirici, che con centrò,
insieme con la danza e con l'effetto visivo dei teatri, l'intento unitario dei poeti tragici.
Questo carattere descrittivo non doveva tanto risiedere in una nobile onomatopeia o in
un tentativo di render visibili, attraverso i suoni, le im magini espresse dal poeta, quanto
nel ricercare dentro la parola, nel complesso dei suoni non ancor musicali, ma già
regolati, che costituiscono la parola, il punto di partenza, o quasi la scintilla che potesse
generare una melodia.

Come accade presso tutti i popoli, anche presso i Greci la poesia ha prece duto di
gran tempo il sorgere della prosa; ed operando sopra un linguaggio « quan titativo »
essa cercò naturalmente nella « quantità )) le regole della propria orga m zzazione.
Questa << quantità » consisteva proprio nel pronunciare certe sillabe con una «
durata )) più lunga, certe altre con una << durata )) più breve. Se dunque, come vuole
Platone, il ritmo << è l'ordine nel movimento », ecco che il modo di pronun zia dei Greci
offriva già al musico che volesse intonare dei versi un presupposto da cui era impossibile
prescindere. Ciò riesce tanto più chiaro, quanto più noi teniamo presente che la poesia
greca, fosse epica o lirica, fosse drammatica o cele brativa, era sempre una poesia << da
recitarsi », prima che una poesia « da leg gersi )),
Ma accanto alla << quantità », l'idioma greco usava un << accento )) assoluta mente
diverso dal nostro; cioè non intensificava l'emissione di voce sopra una o un'altra sillaba
delle parole (come noi facciamo) ma innalzava o abbassava il tono di essa con
fluttuazioni di per se stesse melodiche. Codeste fluttuazioni, per virtù di un istinto oscuro
che tende a identificare, nella nostra mente, l'idea di « alto » con acutezza e l'idea di <<
basso )) con gravità di suono, fornivano un secondo ele mento, quasi una fatalità
1
generatrice, al compositore di musica vocale •
Il particolare comportamento della musica greca, davanti al fatto della « quan tità ))
e dell'« accento tonale », se anche non dominò sempre e strettissimamente i compositori,
certo compiacque moltissimo a quell'indole speciale della razza per cui l'arte sconfinava
volentieri nella scienza e la scienza sconfinava nell'arte, per cui i filosofi erano insieme
poeti e i poeti prendevano figura di sapienti.

Tutto il gran teorizzare che si fa sulla musica rientra nelld vocazione dialet tica del
d
popolo ellenico. Poiché la musica ha una sua parte ( la sua parte più ca ��a)
n z
facilme �e logiciz .abile, è naturale che i Greci vi si siano applicati con gtOia. E come 1
geometri trasformavano sulla sabbia una figura nell'altra, come i filosofi concatenavano i
loro sillogismi, come i pensatori traducevano in ordini uni
versali .gli o·r� m
ini mini .i della natura, cosl i musici, con non minor meraviglia, con non
r r
mmo . �1cu �zza d1 possedere nella mente l'istrumento perfetto delle verità supreme,
SI Inebriavano a muovere i tetracordi nella scala, a spostarli e a rivoltarli,

' Vedremo più avanti come il tentativo di risuscitare codesti sistemi in tempi moderni operando su
linguaggi che obbediscono a tutt'altre leggi, abbia creato non poche confusioni � deluso non poche
speranze.
Al tempo degli dei falsi e bugiardi t5

a unirli e a disgiungerli. Quando poi le loro operazioni eran chiuse, essi ne conse gnavano i
resultati ai più savi e costoro ne traevano ammonimenti morali. Ah, ma la musica è troppo
libera cosa! E se questo commovente lavoro riu sd in altri campi a immortali edificazioni, io
credo che, nella musica, non otte nesse gran che di buono. Perché, in fondo in fondo, non
riconobbe in quest'arte l'alto spirito trascendente e la costrinse in una specie di sudditanza,
lei che, sola, era capace di sfuggire alle servitù meccaniche della conoscenza. La musica
greca, insomma, mi ha tutta l'aria di farsi costantemente precedere dalle regole, di voler
trovare nella sua pratica realizzazione la conferma di proposizioni logiche. Pieni di questo
dubbio, noi tendiamo l'orecchio nel vuoto, se mai, per una ricostruzione fallace, per uno
sforzo suggestivo di estendere il poco che sappiamo, esso non si popoli di qualche lieve
parvenza e non sciolga un poco del suo mille nario segreto.
Diremmo che nel suo insieme, se dovesse riecheggiare improvvisa, una tal musica
produrrebbe in noi una prima e generale impressione, un'impressione di malinconica
staticità. E ciò, mi sembra, non per assenza di un moto ritmico vero e proprio quale noi
intendiamo ( ché anzi la musica dei greci era a modo suo rit
matissima), ma piuttosto per la mancanza di quei movimenti del pensiero musi cale, di
quelle rapide escursioni e di quei rapidi ripiegamenti che noi, per la lunga abitudine, quasi
più non avvertiamo nella musica nostra.
Del resto, anche la maniera assolutamente diversa di considerare il ritmo mu sicale ci fa
volgere verso quella impressione. Perché, infatti, il sistema greco, per cui l'unità ritmica più
semplice, pur aggruppandosi in nuclei binari e ternari non fa succeder questi in serie
regolari ( tutte di due o tutte di tre), non ammette, in altri termini, una misura del tempo che
duri invariabile come misura « tipo )); il sistema greco, io penso, attraverso questa libertà
apparente di ritmo, rinuncia a esercitare sul tempo quella presa di possesso e quel ferreo
dominio che vi eser cita la musica attuale con processo un po' ingenuo, ma chiaramente
volontario e corroborante. Ingenuità, un'altra energia che ha vivificato il corpo della musica
nostra, che noi troveremo, nascosta, anche fra le pagine più superbe dei maestri europei, e
che sembra inoperante nel concetto musicale dei Greci. ·

Accanto alla staticità di pensiero, ci colpirebbe ancora, nella musica ellenica, un


senso di non finito, un senso di non saper trovar mai i termini o i cardini del discorso;
un'impossibilità di concludere, cioè di affermare con gioia l'immagine anche la più
avventurosa. Questo, come resultato generale dei « modi >> usati dai greci, modi assai
distanti dal nostro « maggiore )) e << minore )), modi dove noi cerchiamo istintivamente, e
non li troviamo, quei punti di posa, quelle
cade
confluenze _nzali che formano il
sottinteso, il presupposto e il
presentimento della
musica.
Attraverso questa staticità
malinconica, questo ritmo che
non riuscire mai ad avviarsi e questo
fraseggiare un po' sempre vettero
intonarsi gli antichi canti epici, quindi le
brevi liriche altri poeti, diciamo cosi, individualisti; le composizioni corali
d celebrative, funebri e conviviali; le esaltazioni pindariche
della tragedia.
Un accompagnamento strumentale sommesso, volta la infiora superiormente con un'altra a
in verticale) e la cetra, un accompagnamento da quella principale.
'l':r.''l'f'·�r::-:-
troppo potenti, raddoppia all'unisono o ·nc,, • ..,. e ricca, ma assai simile
aul\J:. (o flauto con cura i timbri canto, oppure tal

Ai nostri orecchi moderni, e sopra tutto SI pensi ai cori della tra-


ti

IL SISTEMA MUSICALE GRECO

Il sistema musicale greco si fonda sul te tracordo,


quattro corde e quindi quattro note, intese sempre in
senso discendente. La qualità del tetracordo dipende
dalla posizione del semitono contenuto in esso ed il
suo nome nasce, probabilmente, dai luoghi d'origine.
Per chiarezza useremo sempre il nome delle note oggi
in uso.

Il modo era costituito da una armonia e cioè da un


sistema completo formato da due tetracordi dello
stesso genere.

Quando l'unione di due tetracordi non manteneva il


semitono nella stessa posi zione, si ricorreva ai
letracordi congiunti, in luogo dei disgiunti sopra
citati, poiché
porre due tetracordi insieme con diverse posizioni nel
semitono era inammissibile come, nella musica
classica. è inammissi bile sovrapporre due tonalità
differenti.
Storia della musica

• Tetracordo dorico (semilono in basso): mi - re - Tetracordo frigio (semilono in meuo): re - do -


do - si si - la
� t. !7 l.
• T elracordo /idio (semi tono in alto): do - si - • Dorico: la-sol-fa-mi= mi-re-do-si
la - sol
r
� l. • Frigio: sol-fa-mi- !..:::.!.e-do-si-la
a
• Lidio: fa-mi-re-do= do-si-l -sol.

• Modo dorico: mi-re-do-si=la-sol-fa-mi. • Modo


frigio: re-do-si-la= sol-fa-mi-re. • Modo lidio: do-
si-la-sol=fa-mi-re-do.

Infine VI era il modo m iso/idio, costituito dalla successione: si-la-sol-fa= mi-re-do-si.

•I perdorico:

la-sol-fa-mi= mi-re-do-si= la-sol-fa-mi


•l perfrigio:

sol-fa-mi-re= re-do-si-la= s l-fa·mi-re

Dai modi principali si derivano i modi se condari spostando in


alto o in basso il tetracordo inferiore e superiore; il risul tato di
tale procedimento generava gli ipermodi ( tetracordo
spostato in alto) e gli ipomodi ( tetracordo spostato in basso).
• l per/idio:

fa-mi-re-do= do-si-la-sol= fa-mi-re-do • l


pfldnrico:

mi-re-do-si= la-sol-fa-mi= mi-re-do-si • I pofrigio:

re-d n-SI-la= sol-fa-mi-re= re-do-si-la • lpnlidio:

do-Ji-/a-ml =fa-mi-re-do = do-si-la-sol


Al tempo degli dei falsi e bugiardi
n

L'intero grande sistema si componeva di quattro armonie complete più una nota aggiunta, detta
proslambanomene:
l" tetracordo inseriva l'alterazione del diesis (il sistema ::2
hyperbolaion conosce solo l'alterazione ascen dente e non 4" tetracordo
la discendente, il bemolle, noto al medioevo), hypaton
'l:' tetracordo
la sol fa mi diezeugmenon l'enarmonico prattcava l'intervallo del quarto
di tono. 3" tetracordo mi re do si - LA me so n
m1 re do SI
sol fa m1

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..c ... ..c ... " ... c c E - .. � .. v .. .. la ESEMPIO DI TETRACORDO DORICO
· ;::; ..
z Q., E- z Q., E- Q., NEI TRE CENERI

• Dinloniw: mi-re-do-si.
GENERI
• Cromatico: mi-do clicsis-clo naturale-si.
I greci usavano tre generi: diatonico, ero·
matico, t•narmonico. Il diatonico è quello
... •Enarmonico : mi-cln-'''-si; dm•c * corrispon
espresso negli esempi precedemi , il cro matico "'
... de al quurto eli 10110 tra il do e il si.

Nella teoria musicale greca, infine, il concetto di tono corrispondeva all'adattamento delle corde della lira alla
successione di toni e di semitoni del modo prescelto; potremo dire, grossolanamente, che equivaleva al nostro
trasporto.

NOTAZIONE
La notazione greca era di due tipi : una per la musKa strumcntnlc (kmsis) c unn pl'r la musica vocale (/exis).
La krusis si basava su lettere ebraiche, fenicie e greche che indicavano ognuna la nota allo stato naturale, al quarto di
Inno c al semitono superiore a seconda se erano poste diritte, coricate o rovesciate.
Ln lexis usava solo le lettere dell'al fabeto greco, ponendole in rosizionc normnle. carovolta o munite di episema n
seconda delle note alle quali si rifL·rivano.

11 Storia della m11sica gedia eseguiti da dodici e fin quindici c �e �i, un ta


o u
! t
sos �gno
e
orchestrale s "!bre rebbe stranamente flebile. Un vasto « piZzicato », mfatu, lo stesso che
ud1amo punteggiare tutta la musica antica, sprovvista di archetti per far vibrare le corde,
r
un vasto « pizzicato �> e un femmineo suono di flauto debbono aver accompagna � i
disperati urli dell'eroe piagato nel Filottete di Sofocle, o il tremendo coro de1 Tebani
imploranti da Edipo la liberazione della città.
Son proprio i gridi realistici di Filottete (o mòi, mòi! papài, papài! ) che mi fanno
meditare intorno ai « quarti di tono » probabilmente usau nel « genere enarmonico » greco.
E che, cioè, mi fan domandare: codesti <( quarti di tono �> vanno intesi nel senso preciso
ch'essi hanno nella musica orientale, o sono piutto sto modulazioni minime fra due note
contigue, specie di <( glissando �> e di <( por tamenti » vocali, originati dalla
declamazione viva del verso tragico, dallo sforzo doloroso con cui l'attore pronunciava
parole particolarmente impressionanti, de stinate a suscitare orrore o pietà nell'uditorio?
Trasvoliamo anche su questa inutile domanda, e chiudiamola là, insieme con tutti
gli altri misteri della musica greca. Quanti ne restano! il passato è forse ancor meno
scrutabile dell'avvenire.
E se noi leggiamo dei vecchi rapsodi, e poi di Alcmane e Stesicoro, di Ana creonte e
di Simonide, di Pindaro e di Alceo, di Eschilo e di Euripide, di tutti questi grandi poeti,
insomma, ch'erano insieme perfetti musici e perfetti cantori, la nostra mente vi crede, ma
la nostra coscienza che si guarda attorno e fa con fronti con i tempi moderni avverte
qualcosa d'incomprensibile, non riesce a dar vita alla nuda notizia storica. Ma già, non fu
Sofocle creato comandante di armate, poi che nella gara tragica era riuscito assoluto
trionfatore?

Roma: compendio della musica precristiana. Sulle lunghe penisole del Pelopon neso
e sulle coste pietrose delle Cicladi, sul ponte gettato verso l 'Asia e sulle fo reste di
Tracia, il flebile suono che abbiamo cercato di evocare si spegne. Anche tutta quella
civiltà meravigliosa si oscura, e trapassa a poco a poco sopra un'altra penisola. La
schiatta dei pastori, già insigne per imperi potenti, ne va creando
uno nuovo sui colli del Tevere. Roma si avvia verso il più grande dominio. Con l 'avvento
di Roma, noi facciamo un passo indietro nella conoscenza della antichità musicale.
Infatti, da tutti i codici e da tutti i manoscritti, da tutte le pietre illustri scampate al tempo e
alle devastazioni, non una melodia ci è giunta, di quante risuonarono sotto il cielo latino.
Il campo è dunque tutto aperto alle ipotesi ; non si può riempire se non d'ipotesi.
Considerando il carattere riflesso dell'intera arte romana in genere e la sua stretta
derivazione dai Greci, ritrovando nei teorici romani da Cicerone a Vitru vio, da Plinio il
Vecchio a Macrobio, da Sant'Agostino a Boezio, la ripetizione più o meno pedestre delle
domine e dei sistemi ellenici, si dedusse che anche la pratica musicale romana avesse
dovuto sottostare alla medesima servitù. Ciò è quasi certamente vero, se noi ci riferiamo
a quell'età in cui, dopo i primi contatti guerrieri, le relazioni greco-romane divennero
consuetudinarie. Allora, legata alla catena dei prigionieri , o impacchettata nel bagaglio
degli istitutori e nelle valigie degli artisti arruolati, la musica greca inondò tutta Roma
come un'ultima mer
canzia da esportare, insieme coi sistemi filosofici e la cosmetica, la poesia e la sarto
tecnica, l'architettura e il galateo pei signori.
Ma i cinque lunghi secoli che comprendono la monarchia e mezzo corso della
repubblica, non furon certo secoli privi totalmente di musica. Noi anzi al contra rio,
sappiamo di cerimonie sacre, di celebrazioni nazionali e di rapp;esentazioni
popolaresche in cui la musica aveva la sua brava parte. Scartato da tutte queste
Al tempo degli dei falsi e bugiardi ti

attività l'apporto greco, gli studiosi, assai poco inclini ad


ammettere nei Romani una nativa virtù musicale, hanno stabilito
strumenti e di melodie. Che la
che fossero gli Etruschi i fornitori di
civiltà di un tal popolo, già molto avanzata in con
fronto di quella
romana e territorialmente contigua, possedesse energie sufficienti
espandersi è molto verosimile ed è provatissimo per quanto
ad
riguarda altri ge
neri d'arte. Ammettiamolo dunque con tranquilla
coscienza; ma non escludiamo neppure che, in quell'età più
remota, l'età della tibia e della buccina, dei Carmi Salii e di altri inni
sacerdotali, delle nenie funebri e dei Canti trionfali, un fondo meno
illustre ma non trascurabile, vale a dire il patrimonio delle antiche
genti autoctone, degli Osci e dei Tirreni, degli Umbri e d'altre
schiatte, portasse anche un suo contributo al formarsi della
musica romana.
In modo non differente, se la musica della tarda repubblica e
dell'impero dev'essere stata effettivamente vassalla della musica
greca, è assai probabile che le nuove conquiste, e i nuovi contatti
con l'Oriente e con i popoli barbari, si siano riflessi anche sull'arte
dei suoni, cosl come si riflessero sul costume, sulla religione e
sugli ordinamenti politici.
Una serie di congetture può sorgere e propagarsi da
considerazioni di questo genere. Ma son tutti lavori di pura
induzione o esercizi di analogismo storico e psicologico. Ciò che ci
pare sicuro è che Roma, con quel suo carattere di prima
veramente mondiale, abbia come unificato e compendiato
metropoli
tutto lo sci
bile musicale di molti secoli e di molte genti, per poi
legarlo, morendo, al nuovo impero spirituale che s'insediò sui suoi
colli.
Capitolo terzo

LA GRANDE CANTICA DEL CRISTIANESIMO


Cosl, finalmente, veniamo a un'età musicale che non sia ammutolita. Saliamo, dal
bassopiano delle supposizioni e delle ipotesi, alla zona ariosa dove l'arte resuscita, anzi
preserva la vita dalla regione torbida delle induzioni al giar dino verdeggiante della
certezza; dagli ambienti chiusi, tutti fumosi di parole e di vani raffronti, ai siti d'aria aperta
in cui si può sedere per terra e ascoltare. Chi ci conduce è il genio del Cristianesimo, un
buon genio che ha detto alla musica (( rimarrai in eterno, e insieme con le tue sorelle
testimonierai di una pe rennità umana, vincerai il tempo e la morte per custodire una
memoria degli uo mini, sarai un segno anche tu, d'ora innanzi, per cui essi riconoscano di
durare e di continuare )).
Fra le tante conseguenze dello spirito conservatore della Chiesa, questa, di aver
finalmente <( fissata )) la musica, non è delle meno importanti. Per noi, è ad dirittura un
beneficio impagabile.
Quest'opera di (( fissazione >> si esplicò, dapprima, attraverso la cura metico losa di
salvaguardare la tradizione orale; in seguito, attraverso il lungo sforzo di pervenire a un
sistema di seri ttura sempre più sicuro e preciso. La struttura vaga mente militare della
Chiesa e il suo bisogno di espandersi e di difendersi contri buirono anch'essi, e non poco,
a raggiungere questo mirabile risultato.
Ma nel campo della musica, che cosa aveva il Cristianesimo da custodire, da
tramandare e diffondere?
Aveva un immenso patrimonio di canti , una lunga serie di preghiere intonate
lentamente e forse faticosamente accumulate in più secoli, dai tempi apostolici sino ad
oltre il primo millennio. E codeste musiche esclusivamente vocali ed unisone ( vale a dire
ignare di armonia nel senso nostro del termine e schive d'ogni accom
pagnamento istrumentale) rappresentavano una parte intrinseca della sua costitu zione
sociale, erano l'incontro S!JOntaneo fra il suo spirito più intimo e l 'arte dei suoni.
Ben pre;;to, cioè ancor prima che l'Impero dei Cesari si scindesse nei due domini
d'Occidente e d'Oriente, nelle due sedi di Roma e di Bisanzio, il canto re ligioso del
Cristianesimo, da un'uni�à originaria facilmente ammissibile, incomin ciò a differenziarsi
in quelle due medesime direzioni. L'avvenuta frattura e l 'orien tamento singolo dei due
Imperi accelerarono il processo; le vie di Costantinopoli e di Roma diversero sempre più.
Ma mentre la prima, subendo in pieno gli effetti di politiche e di avvenimenti dissolvitori,
condusse alle molte frazioni delle Chiese greche, delle Chiese russe ortodosse e delle
minori comunità orientali, la seconda parve superare ogni evento contrario e mantenne
una coesione eroica di fronte alle azioni frantumatrici; gettò le basi di quell'unità
occidentale che oggi ancora non vuole morire; fu, in una parola, una strada veramente
cattolica.
La grande cantica del Cristianesimo Zl

I canti delle Chiese greche, bizantine


La musica e le varie Chiese cristiane.
per quanto importantissimi e icc�i ?i e pressi e
e slave, � � <;m
musicale, ri asero inatti':'i
� '?ello svolgimento dell'arte fin quast at
gtorm nostn, fin quando ctoè, nelle reg�oru ad essi pertinenti,
dette scuole nazionali ». I canti della Chiesa oc
sorsero le cosl <<

invece, difesi o propagati dal Cattolicesimo, condivisero


cidentale,
la sorte impe
riale di questo, rimasero sempre vivi e presenti nel
cammino dell'arte e quando decaddero fu per generare forme
nuove, dove tuttavia un alito del loro spirito sopravvisse e fecondò
l'avvenire.
Anch'essi presentarono divergenze, e verso il secolo v si
suddivisero come in gruppi di stili, seguendo le differenziazioni
i quat
liturgiche della Chiesa cattolica, tro riti, Ambrosiano a
Milano, Romano nel resto d'Italia, Gallicano nelle terre franche,
Mozarabico nella SpagM. Ma, a parte il fatto che le due ultime
liturgie scomparvero nel limite di quattro e di sei secoli per
ritornare in seno alla liturgia romana; a parte la circostanza che
l'ambrosiana ha un ristretto dominio, io credo che si sia troppo
calcato su innegabili peculiarità musicali di ognuna di esse e
troppo sorvolato sui caratteri comuni, sullo spirito profondo che le
resto, mancando ogni monumento sicuro del canto
affratella. Del
gallicano e del canto mozara
bico, un confronto diretto non si può
ambrosiano. Qui, cer tamente, noi avvertiamo
fare se non col canto
un'indole particolare, una maniera sua propria, un ca
rattere
inconfondibile; ma, nello stesso tempo sentiamo pulsare il
san Per queste
medesimo gue, la linfa pura del Cattolicesimo.
ragioni, e per i limiti che il mio libro è tenuto a osservare, con
sideriamo soltanto il canto romano )) come prima e grande
<<

apparizione storica della musica; tanto più che l'azione di


proselitismo intrapresa per tutta l'Europa, quella che si estese alla
Thule ) è
Germania e all'Inghilterra, all'Irlanda e fino all'« ultima )

un'azione essenzialmente romana. I riti ambrosiano, mozarabico e


gal
licano mantennero sempre un carattere un po' regionale e non
ebbero mai in se stessi quella forza propulsiva che al « romano ))
derivava da molte circostanze, non ultima dall:esser specchio
diretto dell'autorità papale.
Ora, diciamo subito che la musica del Cristianesimo prtmtttvo
non è agevole da accostarsi e oppone al nostro desiderio di
conoscerla difficoltà di ogni sorta. Avvenne di lei come di certi
com
grandi affreschi, che età dimentiche o troppo pi�ciute nel
breve spazio della propria esistenza, sbiancarono con mani
d'intonaco per pitturarci sopra figure più facili, e che più tardi,
sospinti dal rimorso e dalla vergogna, altri uomini hanno restituito
alla luce.
Nel caso degli antichi canti cattolici, non soltanto si verificò un
processo di contaminazione, come vedremo parlando di forme
musicali successive, ma da parte degli stessi sacerdoti officianti si
smarrl la genuina purezza. Possiamo dire che, verso il XII o il XIII
secolo, il corpo vigoroso di tutte quelle musiche andò ormai
dissolvendosi, fino a ridursi in scorie e frantumi nella prima metà
del 1 800.
merito dell'Ordine Benedettino (e in
La lunga fatica benedettina. Fu
certa mi
sura anche dell'Ordine di San Brunone) quello di aver
fatica di riedificazione. I figli di San
incominciato allora una pietosa
Benedetto vantavano una lunga tra
dizione musicale; e le loro
illustri abbazie, Montecassino e Pomposa, Nonantola e Benevento,
Novalesa e Bobbio per quanto riguarda l'Italia; San Gallo, Bam
la
berg e Metz per i paesi germanici; Cluny e Solesmes per la
Francia; Canterbury per l'Inghilterra e Toledo per la Spagna; le
loro illustri abbazie, sparse a diecine e a diecine per tutta
l'Europa, erano state autentiche palestre di attività artistica, centri
di raccolta e di smistamento delle melodie, officine dove i canti
venivan
22 Storia della musica

fissati sulle pergamene e dove si studiavano pazientemente 1 mezz1 più semplici


e più sicuri per ritrovare un alfabeto sonoro.
Rivendichiamo pure al camaldolese abate Pietro Alfieri il merito di aver precorso il
movimento restauratore; certo è che da Sole�mes in Francia ebbe prin cipio l'azione più
organica e più decisa per opera di Dom Prosper Guéranger, di Dom Joseph Pothier, di
Dom André Mocquereau, e che a costoro si affiancarono Francesco Saverio Haberl 1 in
Germania, in Italia l'�tbate Guerrino Amelli, l'abate Ferretti , Giovanni Tebaldini,
monsignor Raffaele Casimiri e altri ancora. Un mo
vimento imponente, che dal 1850 circa può dirsi in atto fino ai giorni nostri e che ha ormai
resuscitato, nella sua intierezza e nella sua vitalità artistica, il nobile edificio dell'antica
musica cattolica.
Com'è facile intendere, questo destino particolarissimo del canto cristi�tno agl
tuttavia sopra i suoi rapporti pubblici, sopra le sue relazioni con il mondo degli
ascoltatori; e, anche se attualmente rinvenuto alla vita, lo tiene lontano dai con tatti
ordinari . Lo fa ristare, un po' sdegnoso, in un'aristocratica solitudine di cui si accontenta,
dentro un'atmosfera quasi occulta, tale da riconnetterlo anche per un fatto visivo alle sue
lontane origini storiche, al tempo eroico quando riempiva di sommesse preghiere il cavo
delle Catacombe e il volgo della metropoli pagana, udendo come un sotterraneo
rimbombo, credeva che Plutone respirasse nelle vi scere negre dell'Ade.
Per conoscerlo veramente non serve entrare in una chiesa qualsiasi o leggerne i
soliti frammenti trascritti in notazione moderna. Bisogna rifare i grandi itinerari benedettini
, in pellegrinaggi di poca compagnia, ben diversi dai pellegrinaggi wag neri�ni a
Bayreuth o dalle escursioni mozartiane a Salzburg. Cercare avvisi pub blicitari sui tavoli
dei grandi alberghi non serve; agli uffici turistici non danno in formazioni in proposito. Ma
quando, per vie segrete, noi saremo giunti a varcare le porte dei sacri recinti, le porte
ancor oggi suggellate dal comandamento del Pa triarca « Ora et labora »; quando avremo
ritrovato i superstiti o i successori de gli antichi cenobi , Montecassino, Cava dei Tirreni e
Subiaco in Italia; Einsiedeln in Svizzera; Beuren in Germania ; Ramsgate in Inghilterra; la
cappella delle Be nedettine della rue Monsieur a Parigi; Montserrat in !spagna ; allora
soltar.to la grande cantica del Cristianesimo nascente, questo immenso recitativo ch'è
tutto insieme un soliloquio e un colloquio, un grido di aiuto e un'esclamazione di ri
conoscenza, un'introspezione accorata e un'espansione giubilante, ci investirà del suo
fascino millenario e ci offrirà il primo esempio sicuro, ancor vivo, di una grand'opera
musicale.
Chi giudica il canto cristiano senza aver mai assistito a una Messa o a un Ufficio di
Benedettini, non solo parla di cosa che non conosce, ma di cosa quasi contraria a quella
che vuole intendere. Perché l'Ordine di Benedetto da Norcia e, in minor misura, l'Ordine
dei Certosini ( il caso del Capitolo milanese, pel canto ambrosiano, è un caso a parte)
sono gli unici organismi che dispongano oggi dei solisti e del coro necessari , numerosi
come si conviene, tutti esperti in questo ge nere di canto assolutamente diverso dal canto
normale e tutti in grado di leggerne con sicurezza i testi, di possederne con sicurezza la
cifra.
f
Attraverso audizioni di questo genere, in cappelle e chiese talvolta prive di �deli,
l u
talvo !a q �si �ude di ornamenti come voleva la primitiva osservanza, noi ritroveremo 1
segm d1 una energia musicale potentissima, di un'energia tanto più

' Va tuttavia osservato che lo Haberl <lissentì dalle tesi delle scuole francese e italiana venendo anzi
accusato di impurità col sostenere l'edizione cosiddetta « Medicea " del Graduai � �tregoriano.
La grande ca1ttica del Cristianesimo 23

sicura quanto più i suoi mezzi di estrinsecazione sono semplici, e incontreremo con
meraviglia non pochi atteggiamenti, non pochi modi di periodare che la no stra musica
moderna si è illusa di attingere, stanca delle sue complicazioni e del suo lungo cercare.

Alle fonti del Canto Cristiano. Il canto cmuano ha già dunque, nel puro fatto della
sua presenza musicale, tutti gli attributi e i poteri della legittimità artistica; ma codesta
legittimità vien confermata anche indirettamente, quando noi tentiamo di ricostruire il
suo cammino. Perché, allora, ragioni esterne e ragioni intime, con
tingenze storiche ed energie autonome, tutto si compensa e compenetra fino a creare
un'unità originale, un fenomeno umano necessario, una conseguenza ideale perfetta.
Da un lato c'è il fattore geografico, politico e teorico che agisce sulle sorti della
Chiesa nascente; dall'altro c'è il genio segreto della sua dottrina; entrambi portano in se
stessi una predestinazione musicale.
È chiaro innanzi tutto come il Cristianesimo (nato in Palestina e per nulla opposto
alla religione locale, di cui si considerava anzi un compimento, una realtà ultima
annunziata dai vecchi profeti) basasse una propria liturgia su quella ebraica e ne
accettasse, insieme, il largo senso di ospitalità verso la musica. D'altra parte, una
marcia gloriosa porta per tempo la Croce dalla Palestina in paesi grecizzanti o
comunque soggetti all'influsso culturale greco, paesi di lunga esperienza musi
cale, dove la musica è anzi già legatissima agli ordini filosofici. Se la nuova religione
derivò dal mondo ellenico il suo primo linguaggio ufficiale (quell'idioma ch'era un poco il
personaggio aulico dell'antica Europa, considerato come mezzo ideale per esprimere i
più alti pensieri ) è evidente ch'essa ne ascoltasse anche la musica con grande
attenzione.
Tuttavia, gli influssi ebraico e greco sulle sorti della melopea cristiana vanno
considerati con molta prudenza, allo scopo di non fraintenderli e di non elevarli al di là
del loro giusto valore.

Per quanto riguarda la fonte ebraica, il fatto che la Messa ed altri riti cri· stiani
siano basati sulla salmodia sinagogale autorizza ad ammettere insieme un trapianto
quasi identico di quell'antico modo di canto. Ma ciò, io credo, più per la veste e per
l'esterna costituzione, insomma per i tre andamenti ( « diretto », (( responsoriale >), ((
antifonico >> ), che non per un'intima analogia d'espressione. I molti confronti istituiti fra
melodie cristiane e melodie israelitiche desunte da raccolte del XVI secolo, non mi
persuadono affatto. Il trovare identità di fram
menti melodici , sopra tutto in una musica come quella delle età antiche, per sua natura
impersonale e rigorosamente centrata intorno a nuclei generativi immuta bili, non
presenta che scarsa importanza. Quel che conta (come del resto conta anche nella
musica moderna) sono i rapporti tra i frammenti, l'alito di vita ch'essi sprigionano nel
loro succedersi e che una trasposizione anche minima può bastare a distruggere; la
totalità inscindibile, infine, che sola e solo intieramente riflessa, può trasmetterei lo
spirito dell'opera d'arte.
Anche qui, assai meglio che le misurazioni da tavolino e i freddi raffronti col doppio
decimetro dell'analogia, valgono le audizioni dirette. Chi ha assistito a un grande Ufficio
di monaci benedettini e ai canti rituali di una grande Sina goga sa benissimo che cosa
pensare in proposito. Ma già, ad orecchie poco av vertite, la musica del Settecento non
suona tutta uguale, e alle orecchie di un mio amico orientale non suonava tutta uguale
la musica europea? Del resto, come già dissi più indietro, le antologie di canti ebraici
sono troppo recenti per-
Storia tltlla musica
24

ché noi possiamo giurare su una loro fedeltà bimillenaria. Rigidi custodi della tra
dizione orale i rabbini saranno stati senz'altro; ma come escludere che in tanti secoli
non sia trapassato in quei canti proprio esattamente un sentore delle me lodie
cristiane e che, in tal maniera, le famose somiglianze non siano cavalli di ritorno?

La derivazione greca mi sembra di tutt'altra specie.


Già noi vedemmo come lo spirito sillogico dei Greci si applicasse decisamente
alla musica, e come anzi, proprio nella musica, esso non riuscisse a risolversi, non
riuscisse mai a farsi travolgere dalla potenza intima di quest'arte. Ora il Cristiane simo,
benché avesse costituito una dottrina teologica e morale del tutto trascen dente i limiti
del mondo classico, pure fu pieno di rispetto verso la sua organiz zazione concettuale.
Lo sforzo del pensiero greco in vista di <( dimostrare >> la ve rità e di ridurla in
proposizioni; il giuoco dialettico, cosl facile ad essere inter pretato come uno stampo
fedele, direi quasi simmetrico degli ordini superiori; le meraviglie della conoscenza
ancor fresche e pertanto ancora immuni dal morso dei dubbi e dalla corrosione della
critica; tutto questo rappresentava un insieme di fascini cui il Cristianesimo nascente
non poteva sottrarsi 1•
Fatto sta che il canto cattolico si appropriò per intero la teoria musicale dei
Greci: la ripeté con ben scarse varianti nelle esposizioni dottrinarie dei propri
trattatisti, si studiò di rientrare nelle sue regole con lo stesso ossequio che gli sco
lastici tributeranno più tardi ad Aristotele, a Cicerone o a Severino Boezio. Imper niò le
melodie su otto <( modi >> (o scale) che derivano dai modi greci e li subor dinò a due a
due con un meccanismo schematico, fratello carnale del sistema dei tetracordi.
Ma al di là di tutto questo, vale a dire del passaporto necessario per met tersi in
regola con le tremende autorità del mondo classico, possiamo noi dire che la
melopea cristiana, il suo « animus >> musicale, intendo, abbia stretta relazione con
quella dei Greci?
So bene che il punto di riferimento primo ci manca, e che la nostra igno ranza
della musica ellenica rende difficile una conclusione ovvero permette di for mularne
all'infinito. Se però noi avremo ritenuto il particolar carattere di suddi tanza che legò la
musica alla poesia presso i Greci, e lo avremo raffrontato con
la libertà melodica dei canti cristiani, con le avventurose ascensioni degli Alletu;a, col
loro franco gorgheggiare sulle vocali e col contrasto non di rado rilevabile fra accento
musicale e accento prosodico; vedremo già ridursi di molto le possibilità di analogie.
cris
E se ancora avremo pensato alla rigorosa diatonicità delle melodie �iane, in
confronto al cromatismo di certi (( generi >> greci, quelle possibilità subtranno un'altra
falcidia. Da ultimo, diciamo pure che i radi frammenti di mu sica greca rimasti (almeno
nello stato attuale della loro interpretazione) hanno ben poco a vedere con le melopee
della Chiesa cattolica. Del resto, la musica el
lenica doveva essere eminentemente rappresentativa e, a modo suo, passionale e
drammatica. Ora tutti sanno come questi caratteri siano non solo assenti, ma ad
diritntra antitetici all'indole del canto cristiano.

, il tentativo di svincolarsene con uno strappo violento sarebbe stato anche


. � _D'altronde . IIDpohuco. �l
po tu
penstero greco-romano era l'anima operante di un immenso corpo sociale, e un tal cor . st offriva .tto
v?
intiero all'azione della nuova dottrina. Preservandolo, il processo trasform�tl . sarebbe multato più
rapido. Sotto questo punto di vista gli accostamenti tanto ��� nferut, San Tommaso e Aristotele, San
Bonaventura e Platone si possono ritener valtdt anche per i primi tempi della predicazione cristiana. '
La grande cantica del Cristianesimo

Su questa linea di ricerche, sempre


L'incontro tra Cristianesimo e musica.
un poco meccaniche e molto spesso fallaci, vale a dire nella
considerazione del puro fatto sonoro, massa quasi inerte se noi la
di energie
spogliamo del suo fiato vitale e di quel complesso
concordanti che, anche nel mondo organico, segnano il pas
saggio
della vita; su questa linea di ricerche, fonti al canto cristiano
probabil più sicure e abbondanti si potrebbero trovare
mente
nell'insieme di musiche del
l'antica Asia Minore, là dove tante
schiatte differenti si erano mescolate e so praffatte e dove persino
gli iperborei Cimmeri, persino i remotiGsimi Sciti si eran già
affacciati da secoli alla finestra del mondo mediterraneo. Le
melodie della Chiesa bizantina, sia considerate in se stesse sia
rintracciate nelle loro estreme propaggini {da un lato il cante bondo
andaluso, dall'altro le melopee dell'antica liturgia russa) mi
inducono in quella opinione.
Oltre a questo, non pochi atteggiamenti della dottrina cristiana,
del
l'elogio l'umiltà e la riabilitazione dei poveri, il simbolismo
esalta
parabolico e la poetica zione della Madre, mi sembrano
assai più vicini a una spiritualità extra-europea che non al rigido
ra
orgoglio divino e nazionale degli Ebrei, all'antropomorfismo
ziocinante dei Greci. Fu là, tra genti inclini alla contemplazione e
in per
travolte petuo dalle più straordinarie vicende, tra genl!i
le eva
assuefatte a consolarsi con sioni fantastiche e meglio
capaci di sentirle » che di rappresentarle »; fu là, io credo, che il
<< «

Cristianesimo trovò maggior copia della sua materia musicale


grezza.
Ma comunque andassero le cose, al di sopra di codeste
ragioni esteriori e di codeste incidenze, v'è un motivo ben più
musica. In parte esso è
intimo nell'incontro fra Cristianesimo e
motivo generico, comune a tutte le religioni dell'uni {motivo
verso
che tiene del magico, come vedemmo a proposito delle musiche pa
gane); in parte è destino personale, racchiuso nell'essenza
Sulla fiducia dei Greci di poter
profonda della nuova dottrina.
rendere intelligibili gli ordinamenti di
vini, io non credo che sia
necessario di insistere; ma dico che anche le teologie orientali
logicizzano e verbalizzano i rapporti fra l'uomo e Iddio assai più
che la teologia cristiana. Nel buddismo medesimo anche l'ascesi
trascendente del Nirvana riesce sempre a trovare parole; quando
di trasmettere l'estasi ai
la parola proprio non soccorra, c'è modo
corpi, componendoli nell'immobilità contemplante, annul
lando in
essi la volontà fisica. Nell'ebraismo, poi, l'uomo mantiene di fronte
alla divinità una certa altierezza ininterrotta, né mai lo vediamo
ritrarsi per impotenza di esprimersi.
Il Cristianesimo, al contrario, pone con franca mansuetudine
l'inconoscibi
lità ultima del Padre; e il Cristo vivente, quanto più in
lui si confonde, tanto più intercala il suo dire di lunghi silenzi. È lo
stadio più alto della preghiera, la più perfetta ascesi e la più
intima comunione.
Da simili altezze non era possibile ripiegare, scendendo a
ritroso per la scala delle parole; ma poi che un segno ne doveva
sopravvivere, e insieme con esso l'impulso a rinnovare quei
rapimenti, i fedeli si volsero istintivat:nente alla musica. La
musica, la cosa più vicina al silenzio eloquente. Impredicabile è
«

Iddio -
scrive Sant'Agostino - intraducibile in parole e pure impossibile a

tacersi. Lo can
terai senza costrizione di sillabe e il cuore godrà,
dall'impaccio delle pa
libero role ». È nella mistica della Cristianità
Dc:'tt
primitiva, non ancor regolata dall'opera dei �ri e dei Padri,
e
che la musica assume per la prima volta quella figura unitaria
m�1 endente, quell'ader
p �nza a un complesso di immagini
particolari che noi oggi ravv1s1amo nel concetto d1 arte. La
musica dei primi tempi cristiani è già dunque
Z8 Storia della musica

un'attività autonoma, necessaria al gran dramma umano dell'esprimersi. A confe rirle


nuova forza fecondatrice, a far di lei un'energia indistruggibile e tale da durare nelle
civiltà che verranno, sopraggiunge ben presto il trapasso dell'idea im periale dalla
Roma dei Cesari alla Roma dei Pontefici.
Codesta eredità romana vien raccolta dalla Chiesa e dal canto cristiano len
tamente. Fino al m secolo inoltrato, la lingua ufficiale della liturgia cattolica è la lingua
greca, e in greco si cantano i testi della Messa e delle altre preghiere rituali. Non tutti
qt)esti testi si fissano subito nelle forme presenti ( tal uno, come il Credo, viene
addirittura introdotto molti secoli dopo); e per tutto questo periodo, anzi fino a un poco
più oltre, soltanto i sacerdoti, nei loro vari ordini, s'incaricano della parte musicale. Il
canto chiesastico è allora strettamente solistico. Ma alla fine del m secolo e al
principio del IV, mentre il latino sostituisce ormai il greco tra le comunità della penisola
e tra quelle che si vanno propagando per l'Europa occi dentale, in Oriente sorge l'uso
di far partecipare anche i fedeli al canto di deter minate preghiere o di farli rispondere
coralmente a taluni versetti dei solisti. Gli stretti rapporti fra i due Imperi, già favoriti
dall'editto costantiniano del 313 che proclama il Cristianesimo culto ufficiale dello
Stato, divulgano ben presto anche m Occidente la notizia di cosl importante novità
liturgico-musicale.

Poesia del canto ambrosiano. Che Sant'Ambrogio, arcivescovo di Milano, sia stato il
primo ed unico ad importare fra di noi la consuetudine del canto corale non si può,
oggi , Riù dire. Il proeesso dev'essersi verificato, quasi simultaneamente, per opera di

più i dividui, in regioni diverse dell'Occidente. Possiamo invece rile
vare come quel presule, ex-prefetto dell'Impero, umanista avanti lettera e tipo pre
coce del germano romanizzato, abbia innalzato la sua diocesi a un grado altissimo di
eccellenza musicale, non tanto per l'accettazione di quella pratica quanto per
l'autorità del suo genio che seppe creare, o almeno trascegliere e raccogliere, canti di
grande bellezza, inni di nobile poesia.
Già dissi come l'indipendenza del canto ambrosiano dal gran corpo del canto
latino non si deve sopravalutare. Tuttavia, le melodie milanesi hanno caratteri pro pri
e, fra questi, accennerò a due tendenze opposte: quella di accontentarsi di linee
semplici, dove a ogni sillaba corrisponde una nota, e quella di adergersi in volute
ornamentali sontuose, in cui il senso della parola vien trasceso nell'ultima vocale e,
su questa, il cantore si abbandonava a libere fantasie. � insomma il pro cedimento «
melismatico >> condotto alle sue ultime conseguenze.
Altro atteggiamento peculiare è quello di non ripetere quasi mai gli incisi, di non
imitarli nel corso della composizione e di non rispondervi, attuando in tal maniera una
forma simile alla « melodia infinita » dell'estetica wagneriana. Anche l'ambito della
melodia ambrosiana è generalmente serrato, con largo uso dell'in
tervallo di quarta discendente alla fine dei periodi e con struttura tonale non sem pre
ben precisa. Tutto questo conferisce a certi canti un'eloquenza grave e un po' oscura,
un sapore di ammonimento lontano, una capacità coraggiosa di affrontare i più duri
pensieri. Vedasi, in proposito, il tractus evangelico Videns Dominus flentes sorores
Laxari.
Altra volta il genio ambrosiano è francamente innico, e allora ricorre a brevi frasi
melodiche, incisive e plastiche, tutte piene di mistica marzialità. � il caso, fra tanti,
della salmodia Magnificai.
r
. Malgrado queste energie personali il canto ambrosiano, pur evolvendosi e ar !
cchendosi anche dopo la morte del suo fondatore ( 397 d. C.), non si spinse ma1,
come vedemmo. oltre i confini della sua diocesi.
La grande cantica del Cristianesimo Z7

Gregorio Magno, « inventor musicae ». Torniamo quindi alla considerazione del canto
romano e al suo rapido costituirsi in musica ufficiale dell'intero · orbe cat tolico. Il
pontefice che introduce anche in Roma la pratica corale è Dama so ( 366- 384 ), lo
stesso che, adottando come traduzione unica dei testi sacri la traduzione
latina di San Gerolamo, compie un ultimo passo verso la definitiva latinizzazione della
Chiesa occidentale. Sotto Celestino I (422-432) la (( Schola cantorum » pon tificia è
saldamente organizzata e sotto Leone, Gelasio e Simmaco, si istituisce l'Ufficio
dell'anno liturgico e se ne scrivono e pubblicano le melodie. Successivi pontefici
rivolgono alla musica attente cure; finché, nel 590, sale sulla cattt>dra di San Pietro il
benedettino romano Gregorio. Questo pontefice, che si meritò dai posteri il nome di
(( Magno >> e che legò la propria memoria ad avvenimenti storici quali la conversione
dei Longobardi e l'evan�elizzazione dell'Inghilterra , compie tutta un'opera
importantissima nel dominio del canto ecclesiastico.
Egli riordina le melodie, le trasceglie, forse ne compone di nuove (dato che non
poche testimonianze ci presentano Gregorio come un vero (( inventar musi cae >> ), ne
purga o ne stilizza la linea e le raccoglie infine in un Antiphonarium che fa fissar con
catene al ma��ior altare della Basilica. Nell'arduo intento cat tolico di costruire la
dottrina e l'imperio come cose immutabili, come entità eterne giusta la promessa di
Cristo, l'atto di Gregorio (sia autentica storia o lep:j!enda ) è una rappresentazione
simbolica della medesima volontà di perpetuarsi.
Ma il santo Pontefice riordina ancora la distribuzione delle parti, se cosi posso dire,
le quali compongono il personale delle sacre funzioni. Di modo che
vien precisato nella Messa l'ufficio del (( celebrante ». che
consiste nel cantar prt>ghiere e benedizioni e nel rivolgersi con frasi di
saluto alla comunità dei fedeli; l'ufficio dei diaconi, suddiaconi e lettori, che è quello di
intonare i passi delle Scritture; l'ufficio della (( Schola cantorum >> che ha luogo
nell'lntroitus, nel Graduale, nell'Al
leluia e nella Communio; l'ufficio della folla, che viene limitato a brevi risposte e ad
affermazioni di giubilo. La maggiore o minore difficoltà dei canti è regolata secondo la
maggiore o minore educazione degli individui i quali dovranno eseguirli. È chiaro che i ((
pezzi di bravura >> toccheranno dunque ai (( cantores >>.
L'intervento di Gregorio Magno è un fatto decisivo nella storia del canto cattolico;
tanto decisivo, che esso entra nella leg�enda; che fa del suo protago nista il creatore
ex-nihilo di un'arte nuova ; che dà luogo ad attributi antonomastici, come quello di
(( scolari di San Gregorio >> adoperato per indicare i cantori ro mani ; che finalmente,
intitola a lui il complesso delle musiche vocali antiche, vale a dire procrea il termine
corrente di (( Canto gregoriano >>.
Ora, fra le molte glorie non controllabili , accumulate dai contemporanei e dai
posteri più vicini sul capo di questo Pontefice, ce n'è una che riguarda un fatto di
particolare interesse. È quella d'esser stato Gregorio un inflessibile correttore di
sconvenienze musicali, un mistico ch'abbia richiamato anche il canto ad austerità più
cristiane 1 •

1 Per giudicare di una tal faccenda ci mancano i necessari elementi comparativi. Ma se noi ci riportiamo
alle invettive antimusicali di taluni Padri della Chiesa e di taluni Santi dei primi secoli i quali vorrebbero sbandire
ogni canto dalle cerimonie religiose; se noi confron tiamo codeste invettive con le constatazioni accorate di
scrittori pagani del tardo Impero; dobbiamo concludere che presso i Romani si fosse verificata una vera
e
degenerazione del gusto ":'usicale, una corsa a quella superficialità sommaria, goffamente licenziosa
odiosamente sen
timentale, che trionfa anche presso di noi sotto le insegne della canzonetta. Un'ombra di queste
bastardaggini dovette infiltrarsi nell'antico canto chiesastico, favorita, come sempre av· viene, dalla facilità dei
virtuosismi canori.
Le rampogne e le esortazioni rinunciatarie di Clemente Alessandrino e d'altri scrittori, non furon dunque
nulla di paragonabile al tetro ostracismo musicale dei Puritani inglesi, ma
28 Storia della musica

n r r i
Sviluppo del canto gregoriano. Gregorio .Mag ? muo � nel 604, e p �pr � dal
secolo vn al secolo x il canto che ormai poss1amo ch1amare col nome d1 lut assurge
ai suoi più alti fastigi. Mentre le melodie più antiche, ormai codificate e stilizzate son
poste al sicuro da eventuali contaminazioni, molte di nuove ne ven gono co:nposte,
u
sia sulle parti << fisse » della Messa (nuovi Kyrie, n ?vi Gloria e nuovi Agnus Dei) sia
sulle parti « mobili )) (lntroitus, Graduale, Allelu1a, Tractus, Vangelo, Olfertorio ).
L'istituzione di nuove feste religiose e l'Ufficio dei Santi di nuovo creati richiedono
altre musiche; il patrimonio gregoriano si arricchisce in maniera straordinaria.
Contemporaneamente, le « Scholae cantorum )) si moltipli cano per tutta Europa, e
insieme con le Scuole gli studi monastici, dove le melodie gregoriane sono
diligentemente annotate e la teoria dell'arte è diligentemente de finita. ·'·
Scambi intensi di codici c di istruttori, di calligrafi e di « belle voci )) avven gono
fra una Scuola e l'altra, fra una Basilica e l'altra, fra un monastero e l'altro, anche
lontanissimi, attraverso una rete itineraria che, considerando l'epoca, ci sembra quasi
incredibile. Monaci cantori, in piccoli drappelli o in coppie solitarie, traversano le Alpi
con sacco a pane ricolmo di antifonari; si mettono per mare su fragili velieri, e, dopo
viaggi protratti per mesi, arrivano in Francia o in !spagna, in Germania, in hghilterra o
in Irlanda; vi diffondono le melodie più belle e vi insegnano la retta maniera. Ne! lungo
cammino battono alla porta di cenobi isolati; incontrano là altri religiosi, come loro
assetati di musica, come loro esperti nel canto. Affollano le tappe di discussioni e di
dimostrazioni, riprendono la strada arricchiti di nuove esperienze.
È l'epoca in cui Pipino il Breve si fa cedere due cantori dal papa Stefano II e li
spedisce nell'abbazia di San Medardo in Francia perché ne sollevino il livello
musicale. I solisti più valenti divengono oggetti di dono fra i potenti; regalarne uno di
quelli bravi è segno di straordinaria simpatia. È l'epoca in cui Carlo Magno porta a
Roma i suoi cantori e si sente dire ch'essi « mugghiano come tori ». L'im
peratore ci resta male, ma non osa contrastare il giudizio. Prega piuttosto il papa di
cedergliene un poco dei suoi e se ne va tutto felice perché il papa lo ha ac contentato.
Fra tanto fervore e fra sl copiosa opera creativa, incominciano a emergere nomi
su dal silenzio dell'anonimo. Ci si fanno innanzi Alcuino, abate di Tours e ministro di
Carlo Magno; l'arcivescovo magontino Rabano Mauro, Aureliano di Réomé, i tre
Notker dell'abbazia di San Gallo, Notker Balbulus, Notker Secondo, Notker Labeone;
poi Ukbald, monaco fiammingo, Remigio d'Auxerre e infine, oltre le soglie dell'anno
Mille, il nostro illustre Guido di Arezzo.
Tutti costoro confondono insieme l'impulso creatore con l'attività teoretica; sono
�rattatisti un poco freddi, invischiati tra gli impacci delle regole e fra l'inter pretazione
delle regole e sono, nello stesso tempo, cantori ispirati, inventori per sonali di .�elodie
i m

�so �a liberi artisti. �solare in essi il « saggio )) dal poeta è �osa quas1
.

1mposs1b1le; l arte e la scuola s1 compenetrano strettamente, si saldano m una delle


unità caratteristiche del Medio Evo; compongono quella figura ideale che Dante,
qualche secolo dopo, vedrà rifulgere « massima )) nel « filosofo » Guido
� i i
!n
u ? �ell : l_'i �entore �!
e Dolce stil novo. Anche presso i compositori grego rtamsu l
1sp1raz1one artistica non ha ancor cessato di fremere, che già vien fatta

u po s t b · C
�a pro �ta �guinaria con � un pericolo che sem 1 ava tremendo e che effettivamente esisteva. 1ò �
unportante da ncordare, perché costituisce il primo sintomo di una lotta per petua, e che pure, qualche volta, per
'
favorevole incontro di circostanze � riuscita a tradursi m forme nuove e vitali.
[A grande cantica del Cristianesimo Zl

oggetto di indagini e già vuoi essere spiegata, come quell'ardore


che, nelle menti, tiene viva la sete e la speranza di « sapere ».
Come nelle antiche arti visive dei Greci e degli Orientali noi
incontriamo una certa ricorrenza di tipi », vere forme permanenti <<

in contrasto assoluto con la mutabilità e la varietà individualistica dei


moderni: cosl, nella musica gre�oriana, esiste una persistenza di
nuclei centrali generativi (forse rappresentanti il fondo melodico
primitivo) dalla quale il compositore ha come paura di allontanarsi.
Que
sti nuclei centrali rappresentano, pel subcosciente dei musici,
come veri assoluti; sono come specchio di quell'universale divino
sforza di attingere al di
che l'ansia del pensiero medioevale si
sopra delle realtà effimere. Ne risulta un processo cu
rioso e l'arte
si contempera di cautele scientifiche. C'è già lo sforzo dantesco di
teologare in poesia e di condurre le immagini nel castello sicuro
delle verità teo
logali.

LA NOTAZIONE MUSICALE

Ma l'impegno di serbare incorrotte le sacre melodie e, nello


stesso tempo la necessità politica di diffonderle, fanno converger gli studi
verso la meta di una notazione musicale sicura. I codici più antichi
che ci rimangono son quelli del IX e del x secolo; tuttavia è accertato
che ne dovettero esistere di assai più vecchi, che cioè le prime
notazioni del canto cristiano risalgono più addietro; prima ancora
di San Gregorio. Induzioni intorno ai caratteri grafici di questo materiale
distrutto sono naturalmente impossibili, e pertanto noi dobbiamo prender
come puflto di partenza gli anni fra 1'800 e il 900 dopo Cristo.
Il concetto base delle primitive notazioni gregoriane deriva
dall'osservazione degli andamenti melodici, ed è Io stesso, in sostanza, su cui
si fonda la nostra notazione moderna: vale a dire che il corso delle melodie ( cosl
come il corso delle parole attraverso l'accentazione) segue dei
movimenti ascendenti e discen
denti che si possono rappresentare graficamente.
Essendo l'idea di acutezza vocale legata, per n:1turale istinto umano, all'idea di salita e
l'idea di gravità legata a quella di discesa, una linea che le vogli� raffi gurare
s'innalzerà da un piano ideale nel primo caso, se ne abbasserà nel secondo.
Ma la medesima osservazione dimostrò ancora che, nell'ambito delle melodie,
questi rapporti di ascesa e di discesa si raggruppano e si ripetono,
piccoli organismi simili. Come in discorsi di significato
costituendo molti
differentissimo pos
sono rinvenirsi sequenze di sillabe uguali, cosl nei discorsi
musicali avremo casi ricorrenti di tre note che si ripetono, di tre note che
salgono o discendono per gradi congiunti, di tre note delle quali la prima e la
terza risuonano sulla me desima altezza mentre la seconda si innalza o
si :1bbassa, di incisi che salgono o scendono procedendo nelle due
prime note per gradi congiunti e nelle altre per intervalli di terza o
quarta; cento comcinazioni insomma, che attentamente consi
derate e quindi isolate dal contesto, vengono a formare cotne delle <<

tessere >> melodiche le quali poi riunite, disegnano il mosaico della


composizione. Proseguendo nella osservazione, gli studiosi gregoriani si
accorsero di un altro fatto; vale a dire che gli accenti della lingua latina
costituivano come degli antecedenti o, se vogliamo, come dei presentimenti di
parecchie di tali situazioni melodiche »
<<

l In latino gli accenti non si scrivevano; ma i grammatici ne


neumi.
conoscevano profondamente i caratteri e ne avevano compilato una
lista semiografica. Dei quattro accenti p incipali, o « melodici », ad
r

esempio, l'« acuto » indicava elevazione di voce, il grave » <<

abbassamento, il « circonflesso » elevazione e abbassamento


sue-
Storia della musica
30

cessivi l'« anticirconflesso » abbassamento e rielevazione. Ecco qua subito, fra questi
'modi di pronuncia rispettatissimi nell'arte oratoria (vero ponte di passaggi �
fra il parlare
e il cantare), quattro << situazioni melodiche »; cioè: un gruppo dt due note in cui la
seconda è più alta di registro della prima; un gruppo di due note in cui la seconda è
più bassa; un gruppo di tre note in cui l'intermedia è più alta della prima e della terza;
un gruppo di tre note in cui l'intermedia è la più bassa.
Tenendo presenti i segni degli accenti latini, e valendosi di un procedimento
concettuale non molto dissimile da quello dei geroglifici egiziani e da quello della
moderna stenografia, i gruppi di note o << situazioni melodiche » vennero allora
rappresentati con segni grafici complessi, con linee curve e spezzate, con uncini ri
volti all'insù o all'ingiù, con virgole ingrossate che paiono farfalle in volo, con un
insieme di ligure alquanto misteriose ma che rappresentano già un progresso al
confronto delle lettere alfabetiche greche e romane. Perché là, infatti, se l'esatta
estensione degli intervalli non può essere fissata, l'andamento generale dei fram
menti melodici risulta abbastanza evidente. I segni in questione vennero chia mati <<
neumi », con voce greca derivata da pneuma (fiato, respiro) o più proba bilmente da
néuo (indico, accenno).
Naturalmente si escogitano anche neumi adatti ad indicare una singola nota, un
suono preso in se stesso, e tali sono la « virga )) e il << punctum », rappresen tanti
insieme l'unità ritmica indivisibile; ma i più caratteristici risultano quelli di due note
come la << clivis )) e il « pes », quelli di tre come lo « scandicus )) il « climacus )) il «
torculus )) e il « porrectus »; quelli infine di carattere franca mente ornamentale (una
specie dei nostri << gruppetti )) e << abbellimenti )) ) come il « quilisma )), il «
pressus )) e il « salicus )), Ognuno di questi termini adombra il movimento melodico
del neuma corrispondente; la « clivis )), o << piegatura )), rappresenta due note di cui
la seconda discende; il « quilisma )), o << rotolino )), un « gruppetto )) ascendente e
discendente fra due suoni contigui, lo « scandicus )), o << saliente )), un movimento
che s'innalza, e cosl via discorrendo.


l1)/
•• /· .
punctum vuga clivis p es scandicus climacus torculus porrectus quilisma pressus

Il ritrovato di questi primi neumi era senza dubbio ingegnoso; ma presen tava
ancora assai profonde lacune. Innanzi tutto peccava di pericolosa approssi mazione,
perché l'esatta estensione degli intervalli non poteva venirvi fissata; in secondo luogo
mancava di un punto iniziale di riferimento, e, per conseguenza, non teneva conto
della tonalità detle melodie; da ultimo non rispecchiava affatto il valore dei singoli
suoni, la loro durata nel tempo. Rappresentava, insomma, un richiamo mnemonico
utilissimo, ma presupponeva costantemente una conoscenza più o meno sicura dei
canti in questione. Non valeva ancora a superare del tutto la tradizione orale.

c
Il rigo. In simili condizioni il grande sforzo della scrittura neumatica, perseguito ?n
parecchi secoli, è tutto inteso a rag
pazienza e con fatica lungo il corso di giungere tre
precisi obiettivi: fissare gli intervalli, ossia risolvere i neumi nelle loro note costituenti;
stabilire l'altezza tonale; indicare in modo grafico la durata dei valori ritmici. Si
verificano prove e tentativi d'ogni genere, avvengono progressi
La grande cantica del Cristianesimo 31

e regressi, ci sono idee solitarie sprovviste di qualsiasi seguito e altre che gettano il seme
di successivi svolgimenti. Accanto ai neumi puri, limitantisi alla derivazione dagli accenti
melodici dei latini, si affiancano i neumi « puntati », vale a dire dissolti nei loro componenti;
altri mezzi e altri sistemi si escogitano, fin tanto che alla mente dei ricercatori non balena
l'uovo di Colombo del rigo.
Stabilendo un asse grafico e facendo allontanare i neumi da esso nell'un senso e
nell'altro ( vale a dire al di sopra e al di sotto), proporzionando le distanze dal l'asse e
cercando di rispettarle, si incomincia a risolvere il problema degli inter valli. A quest'asse,
rappresentato da una linea rossa, si attribuisce convenzional mente la personalità di una
nota, di modo che i due segni, immediatamente supe riore e immediatamente inferiore,
potranno già indicare con precisione altre due note. L'aggiunta di una nuova linea, questa
volta colorata in giallo, permette di portare a cinque il numero dei suoni fissabili sulla
pergamena. A poco a poco le linee diventano quattro, non più variamente colorate ma tutte
rosse o tutte nere; lettere alfabetiche, riportate all'inizio delle linee stabiliscono la nota cui
ogni linea corrisponde 1 .

I neumi quadrati. Intanto, però, l'invenzione del rigo a�l profondamente sulle figure dei
neumi; e i fantastici uncini, le unghie di cavallo, le farfalle e fruste, andarono
imborghesendosi in note quadrate, parenti ragionevoli e più carnose dei vecchi punti.
Questi <( neumi quadrati », che hanno in realtà il bordo inferiore ricurvo per naturale effetto
del colpo di pennello o di penna, divennero d'uso generate verso l'xi secolo, al tempo di
Guido d'Arezzo (900-1050), e attraverso una loro varietà più tarda, del 1 300 e del 1400,
servirono di esempio a tutte le trac;cri.zioni moderne del canto gregoriano. I corali
attualmente in uso son dunque tutti a neumi quadrati, sia che si riferiscano a melodie
originariamente scritte con questo sistema, sia che rappresentino traduzioni di più vecchi
neumi puntati.
L'ultimo problema proposto all'ingegnosità dei teorici gregorianisti era quello di
stabilire la dovuta durata dei suoni , il valore delle singole note nei membri ritmici. Qui gli
antichi studiosi non seppero raggiungere quella certezza di risul tati che avevano ottenuto
nel fissare l'andamento spaziale e l'intonazione delle melo die; tanto che, dopo molti tentativi
e molte complicate proposte, essi parvero come disperati e verso il secolo XI ebbero l'aria di
abbassare le armi.
I quattro sistemi principali furono questi : l) deformare in vari modi la figura stessa del
neuma allo scopo di indicarne contemporaneamente la durata; 2) so vrapporre tratti
orizzontali ai neumi di durata maggiore, cosl come nell'analisi prosodica delle lingue
classiche si segnavano con tratti orizzontali le sillabe « lun ghe »; 3) aggiungere ai neumi
lettere abbreviative di avvertimenti ritmici (ossia t = lene ( tieni), n t = ne teneas ( non
tenere), x = expecta (aspetta), st = statim (subito), e cosl via; 4) tirar barre verticali, più o
meno pronunciate per avvertire che in quei punti si doveva osservare una pausa.
Ma tutto ciò riusciva molto incerto, perché ignorava assolutamente la suddi visione
dell'unità ritmica prima e, sopra tutto, perché si rivolgeva a una musica

1 Anzi, in un determinato momento, l'idea del rigo musicale appare cosl meravigliO!Ia, che il già citato Ukbald di
Saint-Aimand (840-930) la moltiplica generosamente, e sopra un tra liccio di otto o dieci linee pensa di trascrivere le
siUabe delle parole cantate, rappresentandole alle varie altezze melodiche corrispondenti. Questo tuttavia fu un
esperimento isolato come quello di altri studiosi, i quali cercarono di riportare diagrammaticamente le prime sette
dell'alfabe
lettere �o latino tutt'allora in uso come nomenclatura teorica delle note; i quali, cioè, fecero quanto no1
faremmo, se scrivessimo il tema dei Maestri cantori wagneriani in rutte lettere su) pentagramma: do; sol, sol sol; mi fa
sol la ... etcetera.
32 struttura ritmica.
Storia della musica
la quale era tanto semplice nella sua linea
melodica audace e quas.i sfuggente nella sua quant'era complessa e libera,

Guido d'Arezzo e la nuova scrittura. Fra tanto ardore di ricerche e fra tanti sforzi
verso la conquista del più pratico e del più semplice, quindi ancora fra le glorie della
musica gregoriana, va considerato il sistema sillabico di indicare le note, cioè la cosl
detta << solmisazione >> . Al ritrova t o della solmisazione si lega il nome di Guido
d'Arezzo, anche se l'opera di questo monaco ha avuto i soliti e noiosi precursori e
anche se, sopra tutto, essa non fu subito cosciente della propria immensa portata.
Come abbiamo visto, i suoni continuavano a rappresentarsi me
diante le lettere; all'epoca di Guido, per esser più precisi, con le sette prime lettere
dell'alfabeto latino, maiuscole in corrispondenza delle note dal la al sol imme
diatamente superiore, minuscole nell'ottava che seguiva in altezza. Al di sotto del
primo la (indicato con la lettera maiuscola A) si considerava ancora un sol basso e lo
si segnava con un << gamma » greco maiuscolo.
Ma tutto questo era una vera rappresentazione, cioè un trapasso dal fatto sonoro
al fatto visivo, durante il quale la personalità musicale dei suoni andava intieramente
perduta. Chi metteva in pergamena una di quelle lettere, maiuscola o minuscola
ch'essa fosse, sapeva di compiere un'operazione del tutto statica, di inscrivere sui
fogli il nome di un morto. La << voce >> delle note non sopravviveva tra lo scricchiolìo dei
calami ; quell'immagazzinaggio alfabetico le ammutoliva . e stecchiva.
Occorreva dunque un'altra cosa; occorreva che, chiamando per nome una nota,
essa rispondesse nell'unico modo che a una nota conviene, e cioè col suo << suono
personale ». Occorreva che, come a dire il nome di una persona conosciuta noi ci
rappresentiamo agli occhi della mente, di colpo, la sua fisionomia e il suo gestire,
cosl . a dire il nome di una nota, noi potessimo intendere con l'orecchio mentale la sua
voce, ciò che costituisce il suo connotato musicale inconfondibile.

Nel silenzio della sua clausura Guido d'Arezzo aguzzò disperatamente l'ingegno,
E a forza di concentrarsi, notò una circostanza curiosa nell'antico inno a San Giovanni
mediante il quale i cantori romani imploravano il favore del Battista sopra le loro
fatiche vocali. Constatò che ogni versetto incominciava con una nota immedia
mente superiore a quella iniziale del versetto precedente; vale a dire che i suoni
iniziali d'ogni versetto si trovavano disposti sopra una scala diatonica ascendente;
infin�, che il numero di versetti caratterizzati da questa circostanza era di sei, pro prio
come i suoni dell'esacordo, la misura di scala allora in uso dopo il decadi mento dei
tetracordi. L'inno a San Giovanni o Sinfonia, secondo il termine adope rato da Guido,
aveva un altro vantaggio, era cioè popolarissimo e nelle orecchie di tutti.
Forte di codesti elementi, il nostro benedettino si sentl un leone. Il sistema degli
esacordi obbediva ancora all'eterna preoccupazione dei Greci, la preoccupa zione di
suddividere la scala dei suoni in tanti frammenti simmetrici dove il semitono fosse
sempre al medesimo posto. Per far cadere il semitono fra la terza e la quarta nota,
invariabilmente, era necessario impiantare gli esacordi sul do, sul sol e sul fa,
bemollizzando in quest'ultimo caso il si. Dato che le note iniziali di ciascun versetto
dell'inno al Battista formavano un esacordo ascendente, Guido pensò di far aderire le
sillabe corrispondenti ai rapporti tonali, cioè di render a poco a poco istintiva,
immediata e vivente, l'associazione di idee fra il nome della nota e la sua posizione
relativa nell'esacordo. Ci arrivò, ma non proprio nel senso che noi oggi intendiamo.
La grande cantica del Cristianesimo

Le parole dell'inno eran queste: « Ut queant laxis Resonare fibris Mira ge storum
Famuli tuorum, Solve polluti Labii reatum, Sancte Joannes ,._ Come si vede, le sillabe in
maiuscola (che sono le prime di ciascun emistichio e che ca dono su note �\scendenti per
1
grado congiunto) danno Ut , Re, Mi, Fa, Sol, La. Mediante l'uso di codeste sillabe, il
musico era messo in grado di appropriarsi l'individualità dei vari suoni, e cantando « Mi », ad
esempio, « sentire ,. la re lazione tonale di questa nota, il suo rapporto d'intervallo melodico
di terza nei confronti della fondamentale dell'esacordo, la sua natura di suono collocato nel
semitono (Mi, Fa ); cantando <c La ))1 <c sentire » la condizione di ultima nota dell'esacordo e
cosl via.
Mancando ancora, nel tempo di Guido, l'introduzione teorica del concetto di <c ottava »,
ossia di riproduzione regolare e costante dei suoni pur modificati per maggiore altezza o
per maggiore gravità, le sillabe dell'inno finivano con l'in dicare in una sola volta suoni
diversi, il cui unico attributo comune era quello di occupare posizioni identiche negli
esacordi.
In questa maniera, la sillaba <c Re )) indicava sempre il secondo suono del l'esacordo, ma
non si curava ch'esso fosse solamente un re e non anche un la e un sol. La sillaba « Fa ))
designava chiaramente la seconda nota del semitono, ma poteva corrispondere tanto a un
fa dei nostri, quanto a un si bemolle o a un do.
C'era insomma, nel sistema di Guido, un po' di quell'ambiguità che serpeg giava
nell'inno a San Giovanni. Anche qui per <c laxis fibris )) poteva intendersi « a gola spiegata »,
oppure <c con le corde vocali affaticate »; e il <c reatum polluti labii )) poteva essere la colpa di
un labbro macchiato da discorsi impuri come la noia di una gola infetta dal raffreddore. La
Sinfonia, in altri termini, era tutt'in sieme un'istanza di grazie spirituali e uno scongiuro contro
gli abbassamenti di voce.
L'innovazione di Guido non si impose all'istante; lui stesso, da buon aristo telico, aveva un
certo ritegno ad abbandonare le lettere dell'alfabeto. Ma ormai l'idea era lanciata ; e, come
già dissi, più che il fatto meccanico (i tedeschi e gli inglesi usano ancor oggi le lettere) valse
il concetto di unire strettamente al l'indicazione della nota il suo dato musicale, quel
connotato sonoro che la dif ferenzia dalle altre e che nasce, in primo luogo, dalla sua
posizione nella scala.

CARATTERI E STRUTTURA DEL CANTO GREGORIANO

Quanto ho esposto finora può dar soltanto una Scuola di Solesmes. Non ogni cosa è chiari
pallida idea delle tremende affrontate dalla difficoltà

tuttavia, attraverso uno studio minuto dei neumi, attraverso il raffronto ,�.._ maniere
........

calligrafiche e attraverso l 'analisi dei neumi quadrati più tardi ( precisa dei neumi primitivi
), i dotti benedettini son pervenuti a canto gregoriano e a renderlo ancor vivo nelle loro
mirabili esf�cuzlq(II. Una tal musica è
per certo assai dissimile dalla nostra.
noi dobbiamo spogliarci della nostra
natura; innanzi tutto
trappuntistico e armonico ormai
plurisecolare, quindi del
fine del moderno concetto di ritmo. .
Quattrocento anni di musica polifonica
subcoscienza contrappuntistica ; non è
raro il un unisono nel corso di una
composizione rientati. Il profano non se ne
rende

' Ancor oggi i francesi usano denominart' ut il


una specie di
tutto a un tratto troviamo quasi diso
simultaneità di suoni

IL SISTEMA MUSICALE
GREGORIANO

Derivato dal sistema musicale greco, ha, rispello ad


esso, le seguenti fondamentali differenze:
la successione non è più discendente, ma ascendente;
tendenza ad allargare l'ambito al penracordo in luogo del
lelracordo e a far scomparire i luoghi di congiunzione.
Presenza di un modo autentico a cui cor· risponde un
modo plaga/e; precisazione di una finalis (identica nel
modo autentico e nel rispenivo plaga le) e di una domi·
nante, in genere sul quinto grado nei modi autentici e
sul sesto grado nel modo plagale con le eccezioni che
segneremo a suo luogo.
Storia della
musica

• Primo
modo
(dello
anche:
Dorico, Protus authenticus ): (La dominante si sposta anche qui di un grado per
re-mi-fa-sol-la-si-do-re (finalis re; dom. la). corrispondenza con il modo au tentico).

• Secondo modo (dello anche: lpodorico, Protus • Quinto modo (dello anche: Lidio, Tritus aut h. ):
plagalis): /a-sol-la-si-do-re-mi-/a ({inalis fa; dom. do).
la-si-do-re-mi-fa-sol-la (finalis re; dom. fa).
• Sesto modo (dello anche: 1 polidio, Tritus plag.):
(Come si vede è stato ouenuro con il si stema degli
ipomodi greci e cioè portando in basso l'uhimo do-re-mi-fa-sol-la-si-do (finalis fa; dom. do).
retracordo del modo au tentico).
• Seuimo modo (dello anche Misolidio o Tetrardus
auth.):
modo (detto anche: Frigio, Deute rus
• Terzo
authenticus ): )
sol-la-si-do-re-mi-fa-sol (finalis sol; dom. re .
mi-fa-sol-la-si-do-re-mi (finalis mi; dom. do).
• Ouavo modo (dello anche: lpomisolidio, T etrardus
(La dominante fa eccezione, spostandosi al sesto grado
plag. ):
per evirare la nora si di problematica soluzione per la
sensibilità medioevale). re-mi-fa-sol-la-si-do-re (finalis sol; do m. do).
(La soluzione eccezionale della dominante è dovuta al
• Quarto modo (dello anche: l pofrigio, Deu terus carauere diverso del modo anche se ha nole identiche al
plagalis ): primo).
si-do-re-mi-fa-sol-la-si (finalis mi; do m. la).

Vi sono infine dei modi aggiunti rappresentati dai seguenti:


Nono modo (dello anche: Eolio): da la a la (finalis la; domina,te mi). Decimo modo (detto
anche: lpoeolio): da mi a mi (finalis la; dominante do). Undicesimo modo (dello anche:
Ionio): da do a do (finalis do; dominante sol). Dodicesimo modo (dello anche: lpoionio): da
sol a sol ({inalis do; dominante mi ).
La grande cantica del Cristianesimo •

differenti è un presupposto insopprimibile della nostra struttura musicale. Il con trappunto


poi, collegandosi con le leggi dell'armonia, ha creato passaggi obbligati, fuochi di
repulsioni e di attrazioni, come sarebbero l'urgenza risolutiva sprigio nantesi dalla
relazione di « dominante », « sensibile » e « quarto grado »; il senso di riposo, di
traguardo, racchiuso nella « tonica » e nell'accordo perfetto di tonica.
Queste contingenze armoniche fondamentali ( non di rado contingenze assai più
complesse ) sono presenti in modo costante anche al ragazzo che canta per suo conto
una canzone raccolta sugli organetti, anche all'appassionato che ha sentito un'opera e
che si porta a casa il motivo. Ripetendo fra di loro quell'unica linea melodica, vale a dire
al di sotto dell'unisono ch'essi posson cantare, l'uno e l'altro conservano il ricordo della
base armonica, sanno benissimo, pur se incapaci di spiegarlo, dove la stessa not3 ha
un valore armonico e dove ne ha un altro.
Nel canto gregoriano tutto ciò non esiste. Là, veramente, noi ci troviamo in nanzi
alla << melodia pura »; quella « melodia pura » di cui tanto si parla a pro posito di musica
italiana ottocentesca senza tener presente che molti dei suoi fa scini, la gioia risolutiva e
la predestinazione cadenzale, sono fatti armonici assai
prima d'esser fatti melodici. Nel canto gregoriano, ogni forma subcosciente di rea
lizzazione armonica, ogni intrusione contrappuntistica che il nostro istinto vi po trebbe
inserire, si risolvono in elementi ad esso contrari e vanno inesorabilmente rigettati. Ciò
fa concludere che l'audizione del canto gregoriano è tanto difficile quanto lo è la sua
esecuzione.
Un secondo elemento delle antiche melodie religiose, ad esse caratteristico e alla
odierna sensibilità ormai estraneo, è l'elemento << modale ». Per modalità noi intendiamo
l'ordine di successione che i suoni della scala naturale possono assumere dentro
porzioni di essa simmetricamente considerate, e che sta legato alla posizione dei due
semitoni, nella medesima scala naturale contenuti.
La musica moderna ( tralascio i recentissimi sistemi ) è basata sull'ottava,
porzione di scala naturale in cui i rapporti fra toni e semitoni sono irripetibili lungo il
corso di sette gradi ascendenti, quindi si riproducono nello stesso ordine, ma ad altezza
maggiore. Nell'ottava moderna, la posizione dei semitoni dà luogo a due

sole situazioni: o essi cadono rispettivamente fra 3" e 4° e fra r e go grado ( scala
maggiore ), o si trovano fra 2o e 3" e fra r e go (scala minore ). È ben vero che una tal
disposizione si può impiantare su tutti i sette gradi della scala, ma ciò non farà altro che
« riprodurre >> la medesima circostanza ; aumenterà le tonalità, ma lascerà invariato il
numero dei << modi », sempre gli stessi, maggiore o minore.
Il canto gregoriano, al contrario, fa scorrere i due semitoni nei gradi della scala con
varietà ben maggiore della musica moderna, e situandoli fra 2° e }0 6° e 7"; 2° e 3° - 5° e
-

6°; l o e 2° - 5° e 6°; ] e 2° - 4° e 5°; 4° e 5° - 7° e 8°; 3° e 4° - 7° e 8°; 3° e 4° - 6° e r; 2° e 3°


o

- 6° e 7°, costituisce otto modalità differenti, denominate con i numeri ordinali latini o con
gli antichi termini greci. Di codesti otto modi, soltanto il sesto (ipolidio) presenta i
semitoni nelle stesse posizioni in cui li presenta la nostra scala maggiore; tutti gli altri
non sono né maggiori né minori. In tali circostanze, dare per mezzo di parole un'idea di
quel che siano le modalità gregoriane, è cosa assolutamente impossibile 1.

' Notiamo però qualche fatto: nei nostri maggiore e minore il rapporto fra 7o e go grado è
invariabilmente un rapporto di semitono, vale a dire che il punto di scala importantissimo, dove la
fisionomia
successione irripetibile dei suoni finisce per riprodursi identica in regione più alta, ha una
�ostante e fortemente caratterizzata. Nel gregoriano, tranne per il caso del V e del VI modo, •l rapporto fra
ibil
7° e go grado è sempre rapporto di tono intero. Il sapore della sen � �, cosl potente nella musica nostra, è
dunque quasi ignoto alla musica gregoriana; e questo 10 d1co partendo dal nostro punto di vista; perché, in
effetti, mancando di strutrura armonica,
Storia della musica

Da ultimo (e questo è ancor più difficile da penetrarsi ) i « modi » gregoriani


posseggono carattere di modalità e di tonalità insieme, a tal punto che venivano
chiamati indifferentemente modi e toni. La tonalità moderna, come già dissi, con siste
nel riportare fedelmente, su tutti i successivi gradi dell'ottava, la situazione dei
semitoni producente i modi maggiore e minore.
Codesto fatto si traduce in varietà estetiche che non han nulla a che fare con la
differenza da noi percepita fra maggiore e minore. Dà luogo a differenze di colore, ad
alterazioni sottili della fisionomia musicale che solamente gli esperti sono in grado di
identificare. Se io travesto in minore il « Di quell'amor ch'è pal
pito » della Traviata, anche il più modesto orecchiante se ne accorgerà subito. Ma se
io, dalla tonalità di fa maggiore, lo trasporto nella tonalità di re bemolle mag giore o
altra simile, può capitare che anche musicisti consumati non se ne avve dano subito.
Presso i gregoriani le cose si presentano tutte diverse. Là, per esempio, la
disposizione del Modo I (o dorico), impiantata da re a re, col primo semi tono fra il 2° e
3° grado (mi - fa) e il secondo semi tono fra il 6° e il 7° (si - do ) non potrebbe venir
trasportata e riprodotta, poniamo, da fa a fa, anche se io mi re
golassi in modo da aver sempre i semitoni nello stesso posto, se cioè, per ottenere
questo, abbassassi a bemolli il la, il si e il mi. Per il musico gregoriano, il modo era
irriproducibile ad altezza diversa; conteneva già in se stesso un senso di tonalità
impossibile a tradursi ulteriormente; non solo alla collocazione dei semitoni era legato
l'orecchio di quegli antichi, ma all'individualità precisa di tutte le note com
ponenti la scala.
Tutto questo ci fa intravvedere nella sensibilità musicale dei gregorianisti un lato
piuttosto misterioso, una capacità percettiva che noi possiamo solo vaga mente
raffigurarci per via di deboli ed inesatte analogie e che forse soltanto i più studiosi
benedettini, segregati dalla pratica della musica moderna, sono riusciti a riacquistare e
ad attivare in se stessi. Sotto un tal punto di vista, le melodie eccle siastiche hanno una
certa parentela esteriore con quelle che noi immaginiamo esser state le musiche
greche; un qualcosa di indeterminato e di non concludibile. Ma siccome, qui,
l'organismo della frase è già largo, estremamente vario e pieghevole, ricchissimo di
sottonuclei intermedi e di disegni ritmico-melodici, quell'indetermi natezza e quella
inconclusione non hanno nulla del disordine dialettico o della rudimentalità discorsiva.
Si traducono al contrario in un'eloquenza superiore, ri volta ad oggetti che non
soggiacciono alle nostre leggi , che, per venire affermati, non hanno bisogno di
riduzioni formali e di classificazioni ca!c:goriche, né di essere ogni tanto costretti in
punti di passaggio passionali obbligati.
La cantilena gregoriana ti dà l'impressione di una forza ininterrotta e tran quilla, tanto
sicura di se stessa da poter rinunciare a ogni altra cosa, anche a quelle
estrinsecazioni vagamente sensuali che sono l'affermare e il concludere. L'emozione
del canto gregoriano non risiede nell'immanenza del suo svolgi mento, non
n a
accompagna il corso materiale delle sue melodie. Essa è piuttosto un ripe � �ento
che assale l'ascoltatore a viaggio già consumato; è come un riguar dare mdretro
quando tu sia asceso sulla cima di un monte ma la tua mente e le tue membra non
hanno più memoria dell'ascensione. '

b
u!' antico ascoltatore di canto j!regoriano non poteva avere il concetto di sensibile che noi ab !amo.
d un
Ancora: sopra otto modi ecclesiastici, ben cinque presentano la ter1:.a iniziale composta 1 . tono e
mezzo, com'è la ter'l.a iniziale del nostro minore. Ci sarebbe cioè, nelle melodie gregonane, una certa
preponderanza di indole minore che noi ormai imbevuti di modalità mo· derne, realmente crediamo di
avvertire durante i primi contat;i con quelle musiche.
La grande cantica del Cristianesimo

Ultimo fra i caratteri più importanti che l'antica musica ecclesiastica non ha
tramandato alla musica moderna e che, pertanto, stan di fronte a questa in atteg
giamento quasi avverso, è la costituzione ritmica.
Accennai, poco innanzi, a un che di audace e sfuggente nel ritmo delle canti lene
gregoriane. Per meglio intenderei, è anche qui necessario richiamare lo stato attuale del
ritmo nella struttura della musica moderna.
Per noi moderni, il ritmo non è più soltanto l'<( ordinato movimento » pla tonico,
l'immissione della nostra intelligenza nella massa bruta del tempo, la conse guente
presa di possesso, natura) risultato della nostra predisposizione a generare forme
definite; l'atto di sintesi mediante il quale, in una serie di suoni, noi ravvi siamo punti di
slancio e di riposo, le « arsi » e le (( tesi » cosl strettamente legate all'istinto della danza. Il
ritmo, per noi, è anche il prodotto di distribuzioni sim metriche, attraverso le quali lo
scorrere del tempo si sottomette come a colpi di staffile regolarmente vibrati, vale a dire
susseguentisi ad intervalli esattamente uguali. Già all'infuori dei ritrovati meccanici
tura pareva incamminarci per questa strada e ciò si
(pendoli, orologi, ecc. ), la libera n a· ·
verifica quando noi senti
vamo pulsare il sangue alle tempie o ascoltavamo il respiro
giusto di un ad dormentato, o, camminando spediti su una strada liscia, in perfette
condizioni di corpo e di spirito, il nostro passo si componeva in successioni perfette.
A poco a poco, però, per un processo oscuro della mente, le filiazioni più semplici,
e pur tanto diverse fra di loro, dell'unità (il due pari e il tre dispari), queste prime
florescenze dell'energia creatrice, andarono insinuandosi nel mono tono succedersi dei
respiri o dei passi. Ci fu effettivamente un accento più marcato sul passo destro,
conseguenza del nostro destrismo fisiologico, o tutto avvenne per produzione
spontanea dello spirito?
Fatto sta che i battiti regolari , fossero quelli del polso o del respiro, del camminare
o del pendolo (oggi vi potremmo aggiungere quelli del treno che passa a intervalli
precisi sulle giunture delle rotaie ) incominciarono a prendere un accento ogni due o
ogni tre, ebbero una specie di testa emergente ogni due o tre volte dall'isocronismo
delle perpendicolari.
Soltanto colpi di pendolo molto spaziati , passi giganteschi che si seguissero a ben
larghi intervalli potrebbero ormai sfuggire a questo incolonnamento per due o per tre ;
tutti gli altri vi si debbono rassegnare e ciò costituisce le nostre categorie ritmiche
infrangibili, il ritmo binario e il ritmo ternario; in una parola, la musica misurata, a
battute simmetriche, che scorre invariata e invariabile dal principio alla fine d'ogni
singola composizione. Tanto che alcune forme, oltre che per altri caratteri, si
individualizzano ancora per la loro appartenenza a uno dei tipi ritmici : il rondò, la
gavotta, la marcia. ecc., al tipo binario; il minuetto, il valzer, il bolero, e cosl via, al tipo
ternario.

La musica gregoriana, invece, non è dominata da queste ferree leggi. Essa


possiede una sua ritmica, ma più libera, più ricca, meno umiliata da servitù che l'uomo
s'è creato e che, una volta tollerate, esso non è stato più in grado di rigettare.
Muovendo dai principi greci, il canto ecclesiastico raggruppa sl i tempi primi in organismi
binari e ternari, ma questi fa succedere senza una rego larità prestabilita, avendo per
sole guide, e contemporaneamente, il valore ritmico
delle parole intonate, i loro rapporti nel contesto, e, sopra tutto, la preoccupa zione e il
piacere di plasmare queste mobili figure.
Per meglio chiarire questo concetto, noi dobbiamo rifarci ancora all'attuale stato della
ritmica moderna. Gli spazi di tempo compresi fra l'inesorabile suc cessione dei battiti
posson riempirsi di nuove generazioni; le quali, purché rispet-
31 Storia della musica

tino l 'ordine di quelli (cioè facciano cadere i periodi rigorosamente sul cadere dei battiti,
i s m l
secondo la regolare frequenza prestabilita) si adagiano fra _ .otto '! : tipli dei battiti
stessi con figurazioni più rade e men rade, popolano gh mtersttzl con quozienti binari o
ternari. È una libertà grande, ma che però non oltrepassa determinati confini; una libertà
che, in ultima analisi, deve sempre quadrare con la più forte quadratura assunta a
principio. . Per ottenere un'idea, sia pure assai pallida, della ritmica gregonana, Imma
.

giniamo una grande abbondanza di codeste figurazioni intermedie, ma svincolata


intieramente dall'obbligo di far tornare i conti. Immaginiamo, cioè, la più fanta
siosa successione di valori lunghi e valori brevi, di aggruppamenti binari e ternari e di
effiorescenze sottilissime, di disegni complessi, i quali abbiano tutti la preoc cupazione di
vivere il loro breve ciclo vitale, di comporsi singolarmente in belle proporzioni e in agili
prospettive, senza conoscere poteri esteriori oltre quello ben alto e un po' recondito di
'
un ultima armonia ideale.
Un altro termine analogico del ritmo gregoriano, anch'esso tuttavia appros simativo
e imperfetto, si potrebbe trovare in quel senso musicale che i grandi prosatori hanno
acutissimo; quella distribuzione accorta e pure istintiva di arsi e di tesi, di parole
convenientemente accentate, di cesure e di rapidità sillabiche, di contrasti nella
costruzione dei periodi e di lontane rispondenze, che pure affran cata dalla rigidezza
metrica della poesia, dalle equazioni del verso e dalla ricor renza delle strofe, è
nondimeno ·una effettiva azione ritmica, un'introduzione d'ordine nel movimento. In tal
procedere dei prosatori, noi notiamo, anzi, la cura assidua di eliminare situazioni proprie
dalla poesia, come sarebbero le rime e la disposizione di parole risolventesi in versi.
Perché, appunto, un endecasillabo nascosto in un brano di prosa ci disturba ? Perché il «
numero » della prosa è un altro, regolato da sue proprie leggi gelose.
Del resto il canto gregoriano, muovendo teoricamente dalla prosodia clas sica basata
sulla quantità delle sillabe (cioè sul tempo impiegato a pronunciarle ) e agendo sul latino
ecclesiastico il quale al contrario è nella pratica un linguaggio ad accenti intensivi , si
trova già, per natura, in posizione di duplicità ritmica; ha già nelle sue stesse origini, un
destino di libertà assai singolare.

Con lineamenti insoliti , adunque, con una fisionomia inconfondibile, la gigan tesca
figura del canto gregoriano appare oggi a noi , dominando dall'alto del suo trono tutta la
musica del primo millennio cattolico. Le innumerevoli melodie degli Antifonari (cioè le
melodie della Messa e dell'Ufficio), le innumerevoli melodie dei Responsoriali, destinate
alle preghiere delle ore canoniche, quelle dei Graduali ed lnnarii; tutto l'immenso
patrimonio musicale della Chiesa è là, simile a un discorso rivolto dalla terra al cielo,
privo di intenti propriamente artistici, sem
plicemente desideroso di spiegarsi e di farsi intendere.
Non c'è voce di singolo uomo che sormonti la collettività corale; I'Ecclesia cancella
l'individuo e di tante ombre umane fa un corpo supremo. Aggiunge alla
a
?
forz . elle parole una forza nuova, e così bene la conosce che non esita a sovrap
porvJsl. Sa che la musica è il più potente mezzo per esprimere il fondo del cuore; quando
la musica lo comanda assume a legge suprema i suoi accenti e i suoi liberi ritmi .
E così, con un'aderenza totale allo spirito della dottrina e allo spirito dell'età che
rispecchia, la grande cantica del Cristianesimo assimila in se stessa
� d
a �oscienza .ei _IX;Jpoli. Stabilisce su tutta Europa un nuovo impero musicale, è
ms1eme un prmc1p1o e una fine, un alfa e un omega, una nuova unità, simmetrica
grande cantica del Cristianesimo
La 31

Anche Dante, quando vuoi .ridestare l'estasi musicale dei suoi lettori con temporanei,
e attraverso quest'estasi vuoi far loro comprendere le armonie del Purgatorio e del
Paradiso, riferisce i canti che ha udito risuonare nel regno della speranza e nel regno della
certezza. Sono le melodie intonate in tutte le chiese, gli inni ascoltati in tutti i monasteri ; le
prime parole bastano perché ognuno ritrovi l'incantesimo. A dire che le anime purganti
cantavano In exitu Israrl de Aegypto o Te lucis ante terminum Rerum creator
poscimus, sa di avvin cere i suoi lettori meglio ancora di quanto non potrebbe farlo con «
l'alta fantasia ))
.

Ci fu nella storia della Chiesa un'età eroica e questa età ebbe per sua epopea la
musica gregoriana.
Capitolo quarto

MA FUORI DELLE CHIESE C'� IL MONDO

L'edificio ideale del Cattolicesimo è allora come una configurazione dei suoi
innumerevoli edifici di pietra. Stanno questi nelle città non più tanto affollate,
sormontando con le moli architettoniche le case basse del popolo; si radicano sulle alture
solitarie a guardia delle valli, e un mucchietto di capanne fumose vive come un armento,
un po' discosto, ai lor piedi. Compiute le fabbriche, si traccia il solco invalicabile e ci si
scrive sopra « clausura )); chiuso il cerchio dei concetti, se ne consegna al dogma la fatale
conseguenza.
Nell'un caso e nell'altro lo spirito si sente definitivo, non riassumibile, ora che le
promesse si accordano con l'apparenza delle cose, e delle lettere stampate sul libro
dell'universo si possiede con sicurezza la chiave. Una vertigine scono sciuta al
paganesimo invade il cuore dei monaci ; perché la loro sapienza trova sempre riprove
nella sapienza divina, perché al suono terreno risponde la conso nanza dei suoni celesti.
Accanto ai digiuni e alle penitenze, accanto alla preghiera e al lavoro, tutti quei religiosi
hanno scoperto un modo nuovo di testimoniare Iddio: scoprire nei propri pensieri l'ombra
del pensiero supremo. A poco a poco, par loro che sulla terra ci siano più idee che
uomini; che la loro mente generi assai più che non il grembo delle donne. Possiedono
tutto, l'ansia dei padri e la sicurezza dei figli.
Ma come sempre avviene, quando un grande istituto umano crede di esaurire in se
stesso ogni limite della vita, anche la Chiesa, la Chiesa medioevale tanto unitaria, tanto
comprensiva di quello che si può sapere e che si può desiderare di sapere, ha le sue
cecità e le sue inavvertenze.
Largo è l'abbraccio, uno dei più vasti che la storia ricordi ; ma qualcosa gli sfugge,
di quanto l'uomo idoleggia al di là degli altari, la proiezione del suo esi stere quotidiano,
l'impulso insopprimibile a non esser sempre discepolo ma a vi vere, un'ora, un'ora almeno
da maestro; il bisogno, infine, di possedere in proprio un suo libero segreto.

Clero, Guerrieri, Plebe. Le vicende della musica profana nell'epoca dominata dal canto
gregoriano si allineano fra le eterne riscosse dell'individualismo; e il loro carattere
personale, anziché diminuito, sembra ancor più marcato dalla netta distinzione fra le
classi sociali. Sono tre grandi individui che si muovono allora nella storia musicale - il
Clero, i Guerrieri, la Plebe - con tutte le incertezze, ma con tutta l'oscura forza degli
anonimi.
I guerrieri, attraverso l'ordinamento feudale e la distribuzione di contee e baronie, di
ducati e di marchesati, tendono anch'essi a disurbanizzarsi. Per sor vegliare i domini val
meglio una rocca a cavaliere dei valichi che un palazzo in
Ma fuori delle chiese c'è il mondo

città. La plebe, continuamente minacciata da invasioni e


saccheggi, pensa di offrire un bersaglio più piccolo disperdendosi
nelle campagne.
Ma in queste nuove solitudini, gli uni e l'altra si trovano a tu
per tu con se stessi. In maniera diversa e per ragioni del tutto
ascetico, e,
diverse, subiscono anch'essi una specie di processo
in luogo della contemplazione divina, l'isola
mento li spinge alla
contemplazione del proprio io.
I guerrieri rimuginano fra loro la memoria delle gesta trascorse;
all'atto immediato di compierle succede l'atto di ripensarle.
Cessando d'essere azioni i movimenti diventano immagini; le
fare;
cose fatte si confondono con le cose che si desidererebbe di
nasce dal ricordo il presentimento, dalla volontà la prede

stinazione.
Dall'altra parte, la plebe bisognosa di pane, che ha offerto il
suo braccio alla fabbrica dei monasteri e dei castelli, incomincia
anch'essa a costruirsi un nuovo mondo fantastico dove sono
frammenti della Chiesa e della Corte e dove
riemergono, assai di lontano, spiriti che la sua ingenuità non ha
·
m ai del tutto eliminato.
Durante le grandi cerimonie sacre, o anche durante i lavori
d'ogni giorno (basta che posino il piccone un istante per
asciugarsi il sudore) gli uomini del popolo sono investiti da ondate
di canti. Le ascoltano e le ritengono con la loro mentalità
particolare, se ne servono per interpretare a modo proprio i segni
più urgenti, per evadere, anche in via provvisoria, dalla vita che li
preoccupa. L'epoca dei grandi ludi popolari è ormai chiusa; le
arene che hanno bevuto il sangue dei martiri sono deserte, e
quelle non riconsacrate dalla Croce si drizzano come fantasmi tra
le illustri rovine. I signori hanno i loro tornei e le loro giostre
d'armi, ma le circondano di aristocratica riservatezza e ne fanno
un distintivo di casta. È allora che fra i tre mondi coesistenti si
insinuano bizzarri intermediari.
Preso nel suo complesso, il �enio nazionale dei
Giullari e menestrelli.
appare come un invilitore della musica. Al disopra dei
Romani
prodotti raffinati, greciz
zanti, ciò che veramente allietava i sudditi
dell'Impero era una forma bassa mescolata di lazzi facili e di
melodie ordinarie; un genere che, trasportato nel tempo e tradotto
nelle possibilità del tempo, può assomigliarsi, ahimè, alle nostre
produzioni canzonettistiche. A spacciare questa tristissima merce
provvedeva una torma di istrioni, un'orda zingaresca accampata
sulle piazze e sui trivi ; intoccabile da�le classi sociali, ma da
tutte, nello stesso tempo, ascoltata.
Ebbene, questa schiatta di vagabondi più tenaci di ogni altra,
distruzioni,
più forte di ogni altra di fronte alle invasioni e alle
questa sl:hiatta che innume
revoli cadute hanno abituato a cadere
in piedi, che ha acquistato l'elasticità della gomma, è ancor Il dopo
il tramonto di Romolo Augustolo e il succedersi dei regni barbarici,
dopo l'evangelizzazione d'Europa e lo stabilirsi dell'impero franco,
in Italia o in
sostanzialmente identica sia che noi la consideriamo
Inghil
terra, in Aquitania o in Provenza, sulle rive del Reno o sulle
rive del Tago. Immemore e sprovvista di qualsiasi piano per
l'avvenire, essa, dalle bassure in cui ha sempre vissuto, è
destinata a prender parte, senza saperlo e senza volerlo, nel
nuovo svolgimento della musica.
Non importa se qui li chiameranno ancora istrioni,
cantimpanchi, o giullari; se là il loro nome sarà quello di ;ongleurs o
di minstrels. Son dovunque gli stessi, son come gli orsi (animali del
loro repertorio) i quali, col balordo passo da plantigradi e con l'aria
di andar sempre a zonzo, CQmpiono, effettivamente,
trasmigrazioni di miglia e miglia.
(( Costoro - scrive un manoscritto inglese dell'epoca prima di venire
a
Storia della musica

consistenti rimproveri inventano abili giuochi per divertire la folla, gettano e


infilzano mele sulle lame dei pugnali, imitano il canto degli uccelli con la voce,
a e q
fingono assalti a fortezze, saltano attr � �so �attro cerchi, suonano i
b
�im �li, la chitarra e la cornamusa, compongono v1v1de g1ghe e
rappresentano storie co1 loro canti male ordinati )). Trascinando pel guinzaglio scimmie e
cammelli, i liberi giul lari vagano da una provincia a un'altra; e insieme con le loro
esibizioni portano attorno le notizie politiche, i resoconti di battaglie lontane, i pettegolezzi
del giorno e le musiche. Come non hanno casa, non hanno una legge che ne protegga i
diritti; se vengon percossi, possono rivalersi in una sola maniera : rendendo le busse non
al corpo, ma all'ombra del loro percuotitore.
Con tutto questo il popolo li ama; li amano i signori, somministrando in giuste parti
le bastonate e le monete; li ama forse, in segreto, qualcuno dei monaci sapientissimi,
anche se la Chiesa, ufficialmente, riman ferma a spregiarli e a con dannarli. Perch'essi,
infatti, come risulta dal vecchio manoscritto inglese, prov vedono a tre bisogni umani che
il canto ecclesiastico aveva negletto: il bisogno del suono istrumentale, il bisogno della
danza, il bisogno della rappresentazione VISIVa.
Questi tre elementi son talmente innati alla nostra natura, che almeno due di essi,
l'istrumentalità e l'obbiettivazione drammatica, si ritrovano, sia pure em brionali, nello
stadio più tardo della musica gregoriana.
Gli storiografi, che hanno l'obbligo di presentare sempre le carte dietro richiesta dei
loro colleghi, non muovon foglia che documento non voglia. E così . poi che i documenti,
anche se scarsi, son tutti dalla parte della musica chiesastica (l'unica che poteva averne),
è naturale ch'essi tendano a identificare nel seno di quella, non solo le manifestazioni
storiche primordiali, ma altresl il loro germe generativo.
Che la Chiesa medioevale fosse allora la dominatrice degli spiriti e la somma della
sapienza non sarò io certo a negare. Ma come possiamo escludere che certi suoi
atteggiamenti nel campo della musica, certe sue evoluzioni e quasi deroghe dalla legge
primitiva, non siano i riflessi di un'influenza profana? Immutabile nella sostanza, la
Chiesa, col suo profondo senso storico, ha sempre adattato le forme al genio dei tempi ;
oltre a ciò quei suoi membri che attendevano alla pratica musicale erano innanzi tutto
artisti, cioè individui perpetuamente attenti e sen sibili a tutto quanto avesse rapporto con
l'arte loro.
Alla luce di questi concetti, mostriamo anche noi un po' di carte e facciamo vedere
che, se il mondo medioevale è dominato dalla forza della Chiesa, codesta forza si
deforma, si piega, cede - sia pure lentamente e malvolentieri - ai fluidi emanati dal
mondo.

L'organo: un dono di Bisanzio. Noi già sappiamo come la liturgia cattolica più antica
entali
bandisce dalla esecuzione dei canti ogni concorso di accompagnamenti istru � :
Per circa sette secoli essa rimane ferma in questo atteggiamento, impa
_ vida,
espress
disinteressata e costante; ma quando muta proposito, non è perché abbia � dal
pro
proprio seno una creazione personale; è perché un istrumento fano, Sino a quel
s a for
momento usato per scopi niente affatto religiosi, smantella la � _tezza e vi penetra
d1 Tro a della
dentro con strategia squisitamente mondana, vero cavallo �
c qui dell'organo, di questo per
_omplimentosità dipiomatica. Parlo sonaggio per n01 tanto
dell'i
ortodosso, che arriva da Bisanzio nel 757 d. C. come dono C?peratore Costantino
Copronimo a Pipino il Breve re dei Franchi e che, non SI sa bene se per idea di questo
monarca o per suggerimento e per esperienza
Ma fuori delle chiese c'è il mondo

precedente del suo collega orientale, viene adoperato subito in chiesa, accompa gnando
all'unisono e all'ottava le melodie gregoriane.
Quando noi oggi, in una grande basilica, leviamo gli occhi verso la loggia organaria,
pensiamo istintivamente che una tal macchina sia nata Il dentro, in sieme con le curve degli
archi, con la plasticità delle colonne e con la luce delle ogive. E invece, essa si riconnette,
da un lato, alla mitica siringa del dio Pan (a quell'uso utilitario, sapete, che un amante
ingegnoso e per nulla impressionabile seppe trarre da una ninfa metamorfosata in canna ),
dall'altro, a un apparecchio idraulico di C tesi bio d'Alessandria e a certi calcoli precedenti
del vecchio Ar chimede.
L'acqua era un po' una fissazione di Archimede; dovendo scoprire la lef!ee del peso
specifico, quel saggio andò a prendere un bagno, dovendo farsi ammaz zare da un rozzo
Romano scelse ancora di trovarsi immerso in una vasca. Ma è un elemento che non
sempre si trova ; e allora, poi che l'ufficio dell'acqua era soltanto quello di comprimer l'aria
necessaria a scorrere nelle canne, si pensò di sostituirvi le braccia e servirsene per
azionare il mantice. Un braccio, anzi : ché i primi organi erano giocattolini e si portavano in
giro come fisarmoniche, e a pompar l'aria bastava la sinistra, mentre la destra batteva a
pugni chiusi sui grossi e radi tasti. !strumento, insomma, tutt'altro che sacro e chiesastico;
istrumento che si sarà trovato di certo anche nel bagaglio bizzarro dei menestrelli e giullari.
Quand'esso penetra nella cattedrale del buon Pipino, in dimensioni più grandi e
proporzionate alla potenza di un imperatore di Bisanzio, l'effetto prodotto sui fedeli è
addirittura formidabile. Si parla di deliqui, di morti secche e di altri accidenti poco meno
'
funesti ove andò a sboccare l entusiasmo e l'impressione degli ascoltatori. Costoro infatti ,
per via delle orecchie, ricevevano la prova di come Iddio uscisse ogni tanto di chiesa e poi
ritornasse dentro portando con sé tutto quanto aveva trovato. Lo metteva sugli altari e ci
insutflava lo spirito.

FORME PROFANE DERIVATE DAL GREGORIANO

Tropi e Sequenze. Un'altra circostanza di quelle così dette « generatnc1 », per cui la
melopea gregoriana in un suo ultimo svolgimento avrebbe lasciato cadere i semi di
successive forme profane, è l'apparizione delle Sequenze, dei Tropi , e del loro cugino il
Dramma Liturgico.
Senza impantanarci nelle questioni storiche, nello stabilimento delle date precise,
nella ricerca delle precedenze e cosl via seguitando, diciamo in poche pa role ciò che
fossero quei tre personaggi .
Già noi vedemmo come l'Alleluia dei canti sacri, movendo dal significato letterale del
termine ( << lodate Iddio con gioia, celebrate il Signore con giubilo » ), avesse dilatato
all'estremo la sua struttura sillabica e attraverso il puro suono delle vocali si fosse
stemperato nell'entusiasmo di lunghe frasi melodiche. Nel corso di un 'Alleluia il senso della
parola si perde intieramente di vista, tanto son- fitte le note tra una sillaba e l'altra, tanto
l'ultima vocale si prolunga in rinnovantisi vocalizzi. È il procedimento melismatico condotto
alla sua estrema conseguenza, la libertà musicale che prende il volo infischiandosi
allegramente della prosodia e che afferma con gagliarda convinzione i suoi diritti a
un'esistenza autonoma.
Fra il IX e il x secolo, in Francia o nell'abbazia di San Gallo, si verifica un fenomeno che
noi, agli effetti dell'accennata autonomia, potremmo chiamare involutivo, cioè si
compongono versetti latini tali da potersi adattare, ogni sillaba una nota, alle lunghe frasi
allelujatiche, precedentemente intonate sulle semplici
Storia della musica

vocali a e u i a. Ma siccome i versetti presentano una specie di andamento a strofe, vale


a dire ripetono ogni due lo stesso schema metrico, anche il frammento di melodia che ha
facilità di
ricevuto le sillabe del primo versetto si ripete una seconda volta per
composizione. Fatto ancor più interessante, non di rado u inci�?
? dell'Alleluia originario,
invece di ripresentarsi identico secondo la mamera g1a detta, vien come trasposto in
regione più alta o più grave della scala, viene insomma riprodotto con intervalli melodici
uguali o assai simili, ma iniziando da una nota differente.
Questa formula melodica, comunissima , anzi fondamentale nella musica mo derna,
era esclusa diligentemente dal canto gregoriano più classico, alla cui natura discorsiva,
al cui spirito « oratorio >> nel senso più elevato del termine, risultava avversa e sarebbe
apparsa un molesto rallentarsi dell'eloquenza. Un tal genere di componimento è quello
che fu tramandato sotto il nome di Sequenza, da un etimo non del tutto chiaro che gli
studiosi identificano in modi diversi, e fu collocato nella Messa subito dopo il canto
dell'Alleluia.
Nemici eterni della generazione spontanea, ergastolani della motivazione, gli stessi
studiosi hanno naturalmente cercato « il perché » della Sequenza e ci hanno assicurato
ch'essa avesse una causa in fondo in fondo pratica ; nascente, in altre parole, dall'intento
di facilitare ai cantori l'esecuzione degli Alleluja. Pare, infatti, che con l'appoggio di molte
sillabe e di un senso periodale più esteso, il ritenere cosl lunghe frasi come son quelle
dei Giubili allelujatici risultasse meno arduo agli esecutori , e l'audizione si chiarisse
meglio agli ascoltatori.
Siccome poi l'apparizione delle Sequenze si lega ad alcuni nomi precisi di vecchi
gregorianisti, quali Notker Balbulus ( 840-9 12? ), Waldram, Ekkardt I, Vipone, e assai più
tardi Adam de Saint-Victor ( XII secolo) il quale si sottrasse quasi intieramente al clima
ecclesiastico per dar preferenza al verso sillabicamente misurato e regolarmente
accentato, ecco che queste innocenti composizioni ven
sizioni
gono assunte come primi esempi di musica « individualistica », come prime impo _ di
una volontà personale sopra il fondo collettivo e anonimo del canto
gregonano.
Ebbene, io sono anche qui di parere contrario. L'origine della Sequenza non mi
sembra né così meccanica né così cosciente come gli studiosi ci mostrano; e il suo
significato storico non mi appare per nulla personale.
Difatti, gli elementi specifici di questo genere liturgico - applicazione di nuove parole
a canti già esistenti, ripetizione o trasposizione pressoché identica di brevi incisi
meh�ici, interpolazione di disegni ex-nova tra i pilastri melodici inamovibili (nel caso
nostro gli Alleluia fondamentali), - sono elementi eterni incon�ondibili della musica
b
popolare. Chi ha qualche pratica del folclore conosce �ne ti .processo delle sue
canzoni , dove la melodia è appunto il materiale primo, dt creaziOne spesso lenta e
il_
irregolare, di origine non mai identificabile, e dove ,testo poetico è un atto secondario,
un bisogno di obbiettivazione che succede,
p1u o meno alla lunga, dopo che l'indefinito della melodia ha quasi stancato o
scoraggiato le capacità d'astrazione .
. . Nel secondo carattere delle composizioni sequenziali, poi, la presenza dello
s 1 1to profano, anzi s hiettamente popolare, mi sembra ancor più chiara e avver
p � �
t
�blle. Il popolo poss1ede un numero assai limitato di preoccupazioni estetiche; CIÒ che
musi
gli piace non ha mai bisogno di giustificarsi, e in lui l'abbandono alla �a si effettua in
modo totale, anche, e sopra tutto, mediante uno stato di
e d
�tas1 <;>v'esso ve �e sci
_ogliersi in facili formule le difficoltà della vita, in rapide
Simmetrie comporsi le discordanze, in pronti echi trovar risposta qualsiasi domanda.
Cosi, nulla gli è tanto istintivo quanto il ripetere una frase che lo abbia
Jl,fa fuori delle chiese c'è il mondo

soddisfatto, quanto il conferire alle sue immagini una disposizione regolare e or dinata,
crearsi punti di riferimento sicuri e ancor più sicuramente prevedibili, aspettare confluenze e
luoghi di posa, saper bene ch'essi ci sono e che al momento buono non lo inganneranno.
Tutto questo che in poesia sta creando la rima e l'andamento strofico rigo roso (non
dimentichiamo che all'epoca delle Sequenze gli idiomi volgari vanno consolidandosi e
vanno imponendosi adagio adagio sopra il latino), tutto questo, musicalmente parlando,
sbocca appunto nell'iterazione melodica, nell'esatta rispon denza dei frammenti di frase, in
quel giuoco di parentele strette e di filiazioni vicine, che il canto gregoriano aveva ignorato o
ripudiato e che ormai urge, ancor timido ma incontenibile, nel seno fondo dell'anima
popolare. Da ultimo, noi dob biamo tener presente la danza e ricordare come una tal forma
d'arte, sorta di poesia o di musica muta, espressione un poco provvisoria e ancor indecisa
tra la sensazione e l'immagine, sia una pratica per il popolo insopprimibile, soggetta
quant'altra mai alla ricorrenza dei periodi, quindi alla loro ripetizione e alla loro regolata
distribuzione.
Considerazioni siffatte ci portano a concludere che la Sequenza ecclesiastica, meglio
ancora gli elementi attivi di essa, non furono prodotto personale di singoli compositori e
poeti gregorianisti, non furono un ritrovato della teoria a scopo didattico e mnemonico, ma
rappresentarono l'influsso del mondo sull'animo artistico di quegli esuli dal mondo,
esercitatosi per vie segrete e onestamente ignote a chi le seguiva.
Che Notker Balbulus spieghi a un collega le sue ragioni della Sequenza e cerchi di
logicizzarle, da buon studioso medioevale, non significa niente. Di fronte a Notker sta
Tutilone, un altro monaco, vissuto verso il 900, compositore di Tropi (cioè di canti assai
simili alle Sequenze), pel quale la causa di « tanta dol
cezza, di tanta armonia suscitata » sta nell'aver « cercato » le sue ispirazioni sopra la crotta e
il salterio, sopra due strumenti, infine, di schietto tipo profano. Il medesimo discorso vale
anche per i Tropi testé menzionati e per il cosl detto Dramma Liturgico. I Tropi si
comportavano suppergiù come le Sequenze 1, tranne che l'aggiunzione di nuovi versetti non
si verificava sui vocalizzi melisma tici dell' Alleluja, ma su quelli del Kyrie e dell'lntroitus.
Pertanto, doveva rego larsi in modo da far correre un senso logico tra la prima parola Kyrie (
Signore) e l'ultima eleison ( abbia pietà). Assai più importante era il fatto esecutivo, in
quanto i Tropi venivano cantati alla maniera responsoriale, tra solista o « tra pista >>
(esecutore dei versetti ) e il Coro che rispondeva Kyrie, o Christe, o eleison.

Il Dramma Liturgico. Il Dramma Liturgico ( avvertiamo qui che il termine è del tutto
moderno, cioè indica una circostanza storica di fatto, oggi pienamente assodata, della
quale però i protagonisti non si rendevano ben conto e alla quale non dettero un nome
specifico) il Dramma Liturgico, considerato sotto l'aspetto poetico, è un ingrandimento del
modo di procedere instaurato con le Sequenze e con i Tropi ; giacché, al par di quelli,
sviluppa concetti già sinteticamente rac
chiusi nella liturgia o ne inserisce di nuovi che possono prender posto fra due momenti della
Messa. Suo intento immediato è rivivere, e far vedere rivissute, le vicende più importanti e
più ricche di elementi fantastici che la storia cristiana

o
' Nei Tropi, soprattutto quando l'originaria frase gregoriana non disponeva di melismi . ne praticava di
troppo brevi, si aveva un vero ampliamento dell'invenzione melodica: ciò d1ede sfogo agli impulsi creativi

nell'ambito del gregoriano.


... Storia della musica

quotidianamente rievoca negli Evangeli della Messa e nel « titolo >> di questa ( feste
particolari, ricorrenze di date, commemorazioni di Santi). La Strage degli inno centi e l
'Adorazione dei Magi, la Crocifissione e la Resurrezione, basta un nulla per trasportarle
dallo stadio narrativo allo stadio rappresentativo, tanto più che il testo evangelico, tutto
fiorito di dialoghi e di discorsi diretti pronunciati da Cristo, dai suoi seguaci, dai suoi amici,
dai suoi nemici, ha già in se stesso un chiaro schema drammatico.
Il passaggio avvenne dunque spontaneamente, senza fatica, col beneplacito più o
meno entuasiastico delle supreme autorità religiose. Esecutori della nuo vissima
rappresentazione (timida, d'altra parte, e quasi appena accennata ) furono i medesimi
sacerdoti officianti, i diaconi, suddiaconi e ragazzi delle Scholae Can torum; cornice
ambientale il servizio divino delle solennità principali; sfondo sce nico l'altare delle
basiliche, il Coro, in tempo di Pasqua il Sepolcro.
La materia sonora del Dramma Liturgico è gregoriana per le tonalità e per il giro
melodico; ma presenta tutti quegli aspetti di concentrazione, di iterazione e di « rima
musicale » che ho additato nelle Sequenze e nei Tropi. Deriva da questi ultimi, insomma,
con stretta discendenza e forse ne accentua i caratteri, sino ad assumere quelli di
un'ordinata stroficità nei periodi melodici.
Tralascio tutte le questioni storiche ed erudite collegantisi col Dramma Li turgico ( la
precedenza svizzera o francese, gli influssi bizantini che è possihile riscontrarvi ,
l'immissione di incisi romanzi nel testo latino) e rilevo anche qui un'azione non legittimata,
ma ciò nonostante diretta e vittoriosa, del genio mon dano. Assai prima che sorgessero i
Tropi dialogati e le Sequenze, il popolo e i signori << agivano >> le loro immagini poetiche e
le loro fantasie. Non cessò mai di agirle quella plebe italica che la tragedia di tipo greco
aveva assai poco com mosso, ma che andava pazza per semplici e animate commediole,
cadute all'ultimo grado di << guittismo >> e trascinate per le vie di campagna; quella plebe
italica che ha nel proprio seno il << contrasto >> dialogico e il « lamento >> soliloquiale. Non
cessarono di agirle la plebe franca ed i nobili ; forse gli stessi bardi celtici , questi
misteriosi cantori e sacerdoti senza chiese, i quali, secondo taluni, avrebbero praticato
una specie di poesia sceneggiata.
'
L apertura di varchi nel solido bastione ortodosso non è dunque un atto vo lontario
della Chiesa, una generazione spontanea intesa a scopi pratici; ma è piut tosto un'ipoteca
che il mondo accende sul suo edificio primitivo e cui la Chiesa de cide di sottomettersi , un
po' per polerla controllare da vicino, un po' perché lo
spirito artistico è unitario, universale, e coloro che nel puro canto gregoriano sa pevano
tanto innalzarsi non avrebbero potuto restare impassibili di fronte al bello, all'ingegnoso,
all'espressivo, all'entusiasmante, qualunque ne fossero la provenienza e l'aspetto.
D
Certamente, la forza propagatrice della Sequenza, dei Tropi e del �amma Liturgico fu
1
tanto più grande in quanto quei tre generi di composizione, ch �ramente determinati,
definiti ed eccellentemente eseguiti, emanavano dalla Ch1esa, vale a dire dall'autorità più
P an •
alta dell'epoca. Ma noi diremmo quasi che il �enio .rof . ? . ansioso di accelerare i
·
tempi del su o gran viaggio, abbia insinuato 1 propri spmu nel castello sacro allo scopo di
ottenere una specie di investitura e che poi, ritiratili, li abbia incamminati con più ardore
sulle vie del mondo.
Giacché •. Liturgici si allontanano

in �eve volger di tempo, Tropi e Drammi
tanto da ogm rehg10sa purezza che la Chiesa, preoccupata, li allontana dai luoghi
consacrati .
g , n m
. . Incominciò il diavolo a metterei la sua coda; e fu quando i drammatisti litur �cl . no . .ai
paghi di dipingerlo odioso e spregevole, lo caricarono di tali attribu ZIOni vensuche che anche gli
esorcisti più severi ne rimasero molto inquietati. Fu
Ma fuori delle chiese c'è il mondo

poi la volta del ciuco, prezioso ausiliario della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto, cui
le lodi e le azioni di grazie, le assimilazioni iperboliche e le compara zioni minacciarono di
una canonizzazione grottesca.
Espulso dai templi, il Dramma Liturgico, a seconda delle nazioni e delle va rietà
formali, divenne Mistero, Devozione, Moralità, Historia, Ufficio in rima, Mi rade Play, e si
accampò di preferenza sui sagra ti, sulle nude piazze antistanti le cattedrali.
I nostri allegri giullari, i clerici vagantes che son come gli ambulanti della bigiotteria
grossolana, i goliardi e cento altri personaggi pittoreschi dell'epoca vi si gettano sopra con
avidità di novizi e n'esce alla fine un gran pasticcio di motivi sacri e satirici, di parodie e di
sconcezze, di allegorie volgari e di ammonizioni vi
sionarie. Nella bella compagnia non mancano anche i monaci bizzarri; e cosl, at traverso i
Testamenta asini, i Carmina Burana e i Sacerdos et /upus, noi vediamo verminare ai
piedi delle guglie gregoriane un guazzabuglio assurdo ma pieno di sangue vivo, pieno di
audacie e di pentimenti, d'ingenuità e di arditezze, il quale, se non ha generato direttamente
più compiute forme di arte, ha pure mantenuto un fermento d'idee che ritorneranno staccate
e imprevedibili negli svolgimenti po steriori della letteratura e della musica.

La Lauda. I gran produttori di codesto tipo di opere sono sopra tutto i paesi di Oltralpe.
L'Italia profana non rimane estranea alle fantasie dei giullari e goliardi ; ma il suo spirito
poetico-musicale sembra più tenacemente attaccato all'ispirazione religiosa; e anche
quando le forme melodiche e modali del gregorianismo sembrano ormai superate presso il
gusto attivo del popolo, quando la lingua volgare ha de
cisamente soppiantato il latino, qui nella Penisola noi assistiamo al fiorire di un genere
ancor puro, il quale anzi, al misticismo trascendentale e un poco dialettico della melopea
gregoriana, oppone un'ingenuità estatica, una meditazione raccolta e frescamente umana,
un elemento nuovo, insomma, nel quadro complesso della re
ligiosità medievale.
Alludo alla Lauda, che raggiunge il suo massimo splendore nel tempo di Santo
Francesco ma che già fu in atto a Firenze durante la seconda metà del secolo xn, per opera
di Compagnie di Laudesi , ovvero confraternite di laici dedicate all'esal tazione di Iddio.
La Lauda Spirituale, che per la forma dei testi poetici vien collegata alla lirica e che
anche musicalmente ci presenta chiaro intento lirico, è tuttavia un altro esempio
importantissimo del processo di emancipazione dal dominio gregoriano, cioè di
un'autonomia profana progrediente e gravida di avvenire. Le melodie delle Laudi, ristrette in
breve giro di note e assai vicine ai nostri modi maggiore e mi
nore, cantate all'unisono e accompagnate probabilmente da salteri, viola, liuto e tromba,
echeggiavano sulle piazze cittadine e lungo le vie ai santuari , sintetiche ed immediate,
bene articolate sillabicamente, esenti da mollezze e dolcemente do mestiche.
Se anche l'origine francescana è da rigettarsi perché troppo tarda rispetto alla nascjta
della Lauda, certo è che modeste composizioni, cosl profumate d'aria aperta e cosl segnate
di passi, sembran proprio ispirate da quei Santi vaganti, Santi popo lari e vorrei dire « da
strada », che sono proprio indigeni dell'Italia. D'altra pane, la giustificazione artistica della
Lauda ci è offerta chiaramente dalla sua storia suc cessiva : è di qua che germinò l'Oratorio,
forma gloriosa della musica antica e moderna.
In conclusione, una volta consumato il primo millennio dell'era cristiana, il puro canto
gregoriano non produce più grandi opere secondo lo spirito antico.
Storia della musica
..

Il patrimonio secolare viene salvaguardato ancora e difeso, ma può dirsi che ogni nuova
composizione, sia pur nata nell'ambito religioso e destinata a finalità reli giose, ha in sé il
moto di diffuse inquietudini, il segno di immagini profane ormai già insuperabili e resistenti
a qualsiasi purificazione. Merito grandissimo della Lauda è dunque quello di aver saputo
ritrovare la purezza accettando francamente i modi e l'ispirazione popolare, riuscendo a
fissare l'attimo di grazia artistica che pur vi esisteva, n debole e pericolante fra i richiami
di reminiscenze spurie, fra le lusinghe della facile parodia e gli allettamenti dello
scientismo scolastico, fra le minacce della bravura e le sirene del meraviglioso.
A condividere la fortunata sorte della Lauda stanno poche Sequenze, fra le
moltissime composte dopo i tempi di Notker Balbulus, che la Chiesa ufficiale ha
sanzionato della sua approvazione ed ammesso nella liturgia. Composte nella forma
dell'Inno, vale a dire collegantisi con forme bizantine di gran lunga anteriori, a strofe latine
di piedi preferibilmente giambici, dove però la quantità sillabica non ha più valore e solo
dominano l'accento tonico e la rima o assonanza, codeste Se quenze presentano melodie
facili, incisive, regolarmente articolate e animate da un
ritmo che è ormai ben simile al nostro; sono insomma indipendenti dal genuino potere
gregoriano e attingono anch'esse agli spiriti popolari. Le più note sono il Veni Sancte
1
Spiritus di papa Innocenzo III (che morl nel 1216) , la Lauda Sion di San Tommaso
Aquinate, lo Stabat mater di Jacopone e quel Dies irae che troppi ancora si ostinano ad
attribuire a Tommaso da Celano (morto nel 1 320) e che, invece, l'abate Guerrino
Amelli ha dimostrato di oltre un secolo più antica.

LA MUSICA TAOVADOAICA

Nel colmo del Medio Evo la Musa profana ha dunque varcato la soglia dei tempi i;
s'è come incoronata a quegli altari che detengono il monopolio delle con sacrazioni, e
resa più sicura e più forte è andata incamminandosi verso i suoi nuovi destini. La massa
multiforme dei musici mondani , sempre un poco giullareschi in quel tempo, sempre un
poco segnati da una specie di irregolarità artistica, è en trata con frode nel campo
avverso, ha compiuto la sua razzia e s'è dileguata senza quasi farsi osservare.
Ma ci fu un dominio poetico-musicale dove i geniali avventurieri agirono a viso
scoperto, un dominio quasi totalmente estraneo alla Chiesa (opposto alla Chiesa, chissà,
nel suo intimo), che si accentra .tutto intorno alla figura del Guer riero, terzo personaggio
del complicato dramma medievale.
L'uomo d'armi del Medio Evo non ha più nulla del suo predecessore classico. Nella
pratica bellica Roma ha ceduto il campo alle nazioni germaniche, ed è sulle nazioni
germaniche che l'Europa tutta modella adesso i suoi ideali di guerra. Chi possiede un
braccio gagliardo e uno spirito audace si mette al servizio del re o imperatore; ma sa
s e
bene che, cosl facendo, si mette innanzi tutto al servizio di se ste �o. P �ché il re o
imperatore, in caso di vittoria, procederà a una larga distri buzione d1 terre, perché il re o
imperatore è come la matrice inesauribile di tanti piccoli re o imperatori.
Per reggere immensi domini in epoca di scarse comunicazioni , mancando un
elemento coesivo come era stato a tempo suo l'idea di Roma e una classe di accorti
amministratori come erano stati i pretori e proconsoli, il feudalesimo adotta il sistema di
una specie di federazione di armati, dove la fedeltà è affi
data allo spirito di conservazione e alla speranza di maggiori guadagni ; più va-

' Più recente è l'attribuzione a Stefano di Langton, arcivescovo di Canterbury (1165-1228).


Ma fuori delle chiese c'è il mondo •

gamente, all'investitura divina che l'imperatore ha ricevuto dalle mani del Vi cario di Cristo.
In tutto questo una vera dottrina statale scarseggia e abbondano, invece, un
sentimento un po' fantastico dell'eroismo in genere, una coscienza un poco avven turosa
dell'eroismo personale, una fiducia illimitata nelle buone stelle, e una certa compiacenza
delle audaci solitudini. Nell'animo di ciascun feudatario c'è la pre messa del cavaliere
errante; e se quelli di Leonida alle Termopili eran stati tre cento, Rolando è solo a difendere
per ore ed ore il passo di Roncisvalle.
Il Guerriero di questi secoli è una creatura eminentemente musicale, e tutti quei conti
e baroni, che trascorrono nei castelli isolati g!i intervalli fra una guerra e l'altra, non possono
accontentarsi della musica che la Chiesa dispensa. Tendono l'orecchio ai canti dei
menestrelli col semplice scopo di riposarsi ; ma poi, adagio adagio, vi ravvisano la
possibilità di una personale estrinsecazione, sicché, piana
mente, sotto il segno di spiriti nuovi, essi concludono un'alleanza coi liberi musici della
strada.
Gli spiriti nuovi sono il senso della propria gloria, il fuoco delle inimicizie personali, le
passioni politiche e l'amore. Alimentati da una energia individuali stica tutta propria del
feudalesimo (la stessa, in fondo, che non ha mai lasciato durare i regni barbarici, l'impero
carolingio e il sogno conciliativo di Dante), co desti spiriti si riplasmano nell'arte, dopo il
lungo hHervallo ecclesiastico che li aveva allontanati. Il giullare italico, pezzente e quasi
intoccabile ai cavalieri, si eleva verso lo scop germanico, ch'è un cantore solenne di gesta,
ma prima di tutto un armato fra armati ; si avanza verso il bardo celtico che costituisce una
specie di casta oligarchica; i confratelli stranieri si abbassano un poco verso il giullare, e
cosl, a mezza strada, essi s'incontrano e danno nascita ai Trovieri e Trovatori.
La patria originaria di questi nuovi artisti è veramente la Francia (Francia settentrionale per
i Trovieri, Francia meridionale per i Trovatori ); ma essi cam minano tanto e posseggono
una tal forza di penetrazione, che in breve tempo l'Eu ropa n'è invasa e cantare alla maniera
trovadorica diventa comune in qualsiasi na zio:-�e, sia che i cantori assumano nomi
indigeni e si servano dell'idioma indigeno, sia che adottino, anche stranieri, il titolo e il
linguaggio dei loro primi maestri .

La « trouverie ». Per circa due secoli, dal 1 100 alle soglie del 1 300, il trobar, vale a dire
l'inventar rime e rivestirle di musica, assume l'aspetto di un'attività sociale, una seconda
natura come fu l'opera lirica nel Settecento e Ottocento, com'è il cinematografo nei tempi
nostri. Assai più rapidi che le mercanzie e le notizie, i canti trovadorici corrono le strade
d'Europa; e i loro motivi poetici diventano una specie di repertorio universale, s'impongono
alle menti come autentiche cate
gorie dell'immagine. C'è tutta un'organizzazione per spacciare i prodotti di quest'im mensa
azienda di versi e di melodie; ci sono senza dubbio dei managers che coor dinano gli
scambi fra i castelli e le piazze.
Perché la trouverie arruola sotto i suoi segni personaggi di qualsiasi ceto, re e principi
feudali, ecclesiastici e chierici, cavalieri senza dominio e giullari anno biliti. Il trovatore
perfetto è colui che sa comporre insieme i versi e la musica e che, una volta compostili, sa
cantarli con buona voce accompagnandosi alla vie/la o al liuto.
Senonché, un'ugola d'oro e una mano destra agli strumenti non sono cose di tutti ; si
verificano allora leali associazioni fra creatori veri e propri e fra esecutori, i quali mettono a
disposizione dei primi le loro doti vocali e virtuosistiche. Coppie che si completano a
vicenda passano di castello in castello, di competizione in com
petizione; si suddividono equamente le vittorie e le sconfitte.
50 Storia della m11sica

I più grandi signori, se non è per intraprendere viaggi d'amore come Jaufré Rude!
marchese di Blaia non possono sottrarre gran tempo al governo det loro
domini e dediCarlo �ll'es � ressione artistica. Siccome son però anche loro convinti
sostenitori della propaganda, ecco scritturano colleghi di più bassa condizione, � dopo
averli ammaestrati in modo conveniente li lanciano attraverso le strade dt Europa.

Gli argomenti trattati dai trovatori sono numerosi e di vario carattere; �utta via, anche in
essi, noi riscontriamo una forte tendenza al raggruppamento dt nu clei informativi,
insomma quella spinta alla definizione e alla classificazione, quel l'indirizzo sistematico
che è particolare della cultura medievalistica. Per gli artisti dell'epoca non esisteva una
preoccupazione di libertà nel senso che noi oggi in tendiamo; ma piuttosto il dovere di
aderire come meglio possibile a quattro o cin que concetti centrali, quegli stessi che, per
venire più chiaramente fissati, possede vano ognuno la loro brava rappresentazione
allegorica.
L'amore vi ha larga parte, e anche se si stilizza in un codice assai meccanico,
compiaciuto di sillogismi rigorosi e di bravure metaforiche, è tutto diverso dal l 'amore
degli artisti pagani. Ci senti la donna germanica; quella che nei tempi eroici condivideva
la fatica dei soldati e che, non più chiusa dentro i ginecei o nelle case, trasmigrava con le
tribù guerriere, viveva i pericoli comuni e confortava le comuni sciagure, aveva già, per
naturale portato dell'esistenza, una sua funzione ristoratrice, era già immessa,
naturalmente, negli interessi gelosi degli uomini. E ci senti la donna ombra delle donne
evangeliche, la figliola ormai imperibile della Ma
dre di Cristo; creatura che si è rivelata in momenti supremi , nella gestazione e nel parto,
nella miseria domestica, nell'ansia della fuga e nella malinconia dell'abban dono,
nell'angoscia del giudizio e nella disperazione del martirio.
Non importa se questo amore (un poco per la concezione dell'epoca che ri tiene
dovere della poesia il mantenersi al di sopra del reale in un dominio superiore regolato da
leggi armoniose, un poco per il già accennato istinto sistematico) non importa se questo
amore agisce sempre per personaggi obbligati, « la dama >> vaga mente adombrata, « la
pastorella >> affascinante come una dama, <� il marito >> inde gno di entrambe e « l'amico
>> che veglia sui convegni notturni. Dalla dura perga mena scolastica affiora non di rado il
soffio di una vera passione, oppure, ch'è lo stesso, la fantasticheria di una passione
immaginaria, ma cosl accesa nell'animo del poeta da renderla viva e convincente.
Accanto all'amore, che dà luogo alla grande camo e a forme minori come il ieu
parti (canzone dialogata intorno a problemi del codice amoroso), all'aubade ( rac conto
dell'amico compiacente), alla camo de toile (narrazione di sventure amorose la cui
protagonista è una donna all'arcolaio), alla pastourelle e alla rom ance; accanto
all'amore, altri sentimenti forniscono soggetto alla lirica trovadorica. E sono il com pianto
per la morte di grandi personaggi (che inspira il pian h), il risentimento o l 'ammirazione
(che si sfogano nel sirventese), il disgusto e l'amarezza (che assumono forma satirica e
si traducono nell'ennui). C'è infine un tipo poetico che potremmo chiamare « d'attualità »
v n
e che si manifesta nella pre:dcanxa, canzone dove i trovatori �rsa � concetti e
immagini attinenti le grandi Crociate e dove l 'amore, il rimpianto dt lasc1are l'amata e l
'incertezza del ritorno si fondono in motivi religiosi assai spesso efficaci per la loro
urgenza umana. '

La musica applicata a tali schemi poetici (e ad altri ancora che non ho nomi nato) è. una
u
m �ica di « modalità » marcatamente gregoriana; tanto che gli studiosi non esuano a
rtlevare in ciascun brano il tono ecclesiastico cui la melodia 11ppar-
5t
Ma fuori delle chiese c'è il mondo

tiene. Questa circostanza, quando noi ricordiamo il distacco dalla modalità grego riana già
operato in proporzioni notevoli da molte musiche coeve, ci appare come una riprova del
carattere intenzionalmente « dotto )) dell'arte trovadorica e del ri ferimento ecclesiastico
verso cui, durante il Medio Evo, si orientava qualunque at
tività intellettuale che non volesse confondersi del tutto col genio plebeo. L'indole
particolare delle melodie ( si tratta sempre di musiche monodiche, dove la viella, il liuto od
altri istrumenti si limitavano a seguire all'unisono, a intercalare qualche accordo e arpeggio,
o, al massimo, a inserire timide fioriture), l'indole delle melodie è difficile a definirsi, anche
perché l'interpretazione dei neumi, cui vennero affidate nei codici, risulta tuttora un poco
controversa. A volte esse si muovono in un ambito assai ristretto, nell'intervallo di una
quinta o poco di più a volte si slan ciano ardite, con ascensioni e cadute improvvise.
Quasi tutte indulgono a melismi, a veri e propri << gruppetti >> che si staccano rapidamente
da una nota per rapidamente tornarvi e che hanno una stretta rasso miglianza con le
analoghe ornamentazioni del canto popolare spagnolo, sfuggendo
anch'essi, io credo, a un'intonazione precisa e rigorosamente diatonica. Molte ab � on
dano dell'intervallo di terza, e quest'uso talora insistente (sopra tutto alla chiusa dei periodi
melodici) fa stranamente pensare a scale delle musiche orientali, dove il pen tacordo non si
succede tutto per << seconde )), ma in determinate regioni procede
1
appunto per « terza )> •
In quanto alla struttura melodica, c'è una nuova affermazione del periodo sim metrico,
degli incisi generatoti, del ritornello, e di altri atteggiamenti già riscontrati in forme popolari,
ancora contenuti in composizioni precedenti o contemporanee, di argomento profano e
testo latino, quali furono il Rondellus e il Conductus, ca ratteristico, questo, per la sua
pratica di applicar parole latine sopra melodie di can zoni in volgare.
La ritmica, infine, non mi sembra affatto chiarita dalle ingegnose e pur con tr:lddittorie
interpretazioni dei dotti. La misura ternaria in cui essi trascrivono quasi costantemente le
melodie trovadoriche è forse un'anticipazione troppo affrettata di tempi non ancora maturi ;
il risultato troppo sommario di un'analisi metrica dei te sti poetici e del loro adeguarsi in ritmo
prosodia.
musicale secondo le leggi della moderna .
Per far tornare i conti in modo regolare, codesti studiosi son sforzati a ridurre i melismi
in veri e propri << gruppetti )), ovvero a introdurre terzine, cinquine o figu razioni settenarie,
alle quali poi attribuiscono il valore di un'unità ritmica. Ciò mi par contrario a quel carattere
di libera declamazione che il canto trovadorico do vette certo possedere e al suo bisogno
essenziale di far ben comprendere le parole, direi quasi di farle preminere di fronte alla
musica.
Non vorrei che l'attrazione dei canti
danzati (anche questi appar•"'�"�""
pertorio dei trova tori e naturalmente più
regolari nel ritmo) abbia ese·rc!l�,
flusso tirannico sulle interpretazioni dei
dotti occitanisti . A mio
il fatto quasi costante che i versi delle
poesie trovadoriche
proposizioni logiche compiute (che la
stessa proposizione non prende quasi
mai posto fra l'ultimo emistichio di un

1Un influsso orientale non si può escludere a rono


alle Crociate e con le Crociate molte immagini
sieme, a considerarla con occhio un po' staccato,
degli specialisti, la musica trovadorica di fronte al partecipa
mitiva, ingenua, di una ingenuità ogni tanto variata ma te connesse. Nell'in
e
_quasi s n:'Pre elegante, amabile, ricca di quell'igno�. entusilismo
ci suona assai pri
mus1ca postenore. ...,.... infantili di « farle grosse �; che sarà la vittoria della
52 Storia della musica

sivo) fa pensare all'esistenza di cesure musicali alla fine di ciascun verso, cesure as sai
simili ai respiri << ad sensum )) del canto gregoriano (forse riempite da accordi strumentali)
le quali, comunque, dovevano contrastare con la quadratura ritmica da noi moderni
intesa.

Trova/ori e trovieri. Fra i trovatori e trovieri più famosi, le cui biografie assai ro manzate
vennero trasmesse dalle vidas del tempo, ricorderò nel periodo antico Gu glielmo VII
conte di Poitiers, Jaufré Rudel, celeberrimo pioniere dell'amore di terra lontana, giunto
fino a noi con la sua poesia e la sua musica; Bernart de Ventadorn, che cantò per tutto il
Mezzogiorno di Francia e per l'Inghilterra; Bertran de Born di dantesca memoria;
Marcabru satirico e moraleggiante.
Nella prima metà del Duecento incontriamo Folquet de Marseille, Arnauld Daniel,
Rambaut de Vaqueiras, Peire Cardinal e Peire Vidal 1• Chiudono la lunga serie Thibaut
de Champagne re di Navarra, e Adam de la Hale, il quale, nel 1 285, produsse alla Corte
Angioina di Napoli un ]eu de Robin et de Marion, considerato come il lontano precursore
dell'opera comica. Sulla loro scena pittoresca di castelli un po' favolosi, in un'atmosfera di
auten tica poesia dove il monarca si fonde al pezzente, in un mondo allusivo ed ermetico
che ti scambia le regine con le pastorelle e i figli di pellicciai con i figli d'imperatori, i
trovatori ingombrano due secoli di storia, poi spariscono in attesa del Romanti cismo, di
questo instancabile disseppellitore, cui l'idea di un misero di gran talento, amante
disperato di principesse, quadrava magnificamente ed esemplificava, come meglio non si
poteva richiedere, l'eterna lotta dello spirito contro il macigno della materia incoronata.
L'intenso traffico dei trovatori svolgentesi attraverso l'Europa non assunse dap
pertutto il medesimo aspetto.
In Italia dove la Cavalleria, in fondo in fondo, non era mai bene penetrata negli
spiriti e tanto meno nelle consuetudini, dove i Comuni tendevano a ispirare nuovi ideali e
dove il linguaggio nazionale andava spiegando un suo genio poetico assai divergente da
quello delle altre nazioni, la trouverie rimase allo stadio di cu
riosità letteraria, fu un esercizio di bravura e forse una << posa )). Ebbe certamente
influsso sopra successive forme poetiche (minore assai sopra forme musicali ), ma un
tale influsso è di quelli che possiamo dire indiretti, di quelli che serpeggiano na scosti e si
rivelano a distanza di tempo.
Fatto sta che i trovatori italici, oltre a seguire i colleghi d'Oltralpe nell'uso della lingua
·

provenzale, li tallonano servilmente per ciò che riguarda gli argomenti, i metri, lo spirito
della poesia. Circa la musica trovadorica di produzione italiana, nulla ci è consentito di
dire, perché i codici con cui ci vennero tramandati i poemi dei vari Lanfranco Cigala,
Alberto Malaspina, Bartolomeo Zorzi, Terramagnino da Pisa, Sordello di Goito e altri
molti, non portano segni decifrabili di intonazione melodica.
In Spagna, Germania e Inghilterra, fu tutta una cosa diversa. Là il genio na-

. .'Peire Vidal assomma in se stesso tutti i caratteri pittoreschi del tipo trovadorico. Gran VIaggiatore,
e
�orre qua e là _poe�ando e cantando, in Francia e in Ungheria, in Spagna e in Italia; mezzo gu �nero
a i o t
e segret _r1o �� potentat _. partecipa alla quarta Crociata, si fa vedere a Malta e racc _n _a d1 aver
h
sposato m. C1pro una mpote dell'imperatore, sicché trova naturalissimo di chia mam 1m�eratore anc �
lu1. Alle v�lte si considera cosl straordinario che Alessandro Magno, qualora s1 fossero venficate certe
b
cucostanze, sarebbe stato uno zero in confronto suo· altre volte, invece, si ab �tte nell'angoscia e n�lla
m po d
disperazione. All'idea esaltatrice dell'amore, ' quella che . fa « co _ �tam � prode �r graz1a della
propria amica », si contrappongono nei suoi canu momenu d1 volganss1ma rabb1a; alle contemplazioni
liriche, la contumelia che sa di ricatto.
Ma fuori delle chiese c'è il mondo

tivo assimilò profondamente l'arte dei cantori francesi, ricreandola poscia in forme vive e
indipendenti. Le Cantigas devote di Alfonso re di Castiglia, le canzoni amo rose dei
Minnesinger tedeschi, le melodie scozzesi e irlandesi di questo periodo, pur ispirandosi
per molte strutture alla maniera trovadorica, non mancano di nuovi ele menti ; sopra tutto le
composizioni dei Minnesinger, che presentate in veri e propri tornei poetici nella Wartburg,
contemperano le modalità e la ritmica gregoriana con un carattere largo, solenne, con una
spiritualità un poco assorta ed intensa.

La musica a ballo. Ma sotto il segno del Guerriero doveva redimersi e nobilitarsi anche l
'ultimo modo espressivo innato nella natura musicale degli uomini. Alludo alla danza, che
non mai intermessa dal tempo delle glorie pagane, commerciata di contrabbando ma con
costanza per parte dei giullari e istrioni, bandita dalle chiese e pur entratavi di soppiatto
attraverso le processioni regolate, i movimenti ritmici e i raggruppamenti plastici degli
esecutori del Dramma Liturgico; viene assunta dai trovieri e dai trovatori come
manifestazione aulica e mondana, riceve una sorta di diploma e cosi laureata ritorna tra le
masse del popolo.
La musica a ballo dei trovatori è pur sempre vocale, sia che presenti carattere
solistico o carattere responsoriale, con risposta del Coro alle strofette intonate dal solista.
Nel Rondeau, nel Virelai e nella Ballade, è assai importante l 'uso del refrain, cioè di una
strofe e di una melodia appartenenti ad altra canzone ben nota, che si intercalano e
ripetono, a versi staccati, fra le stanze e la musica del nuovo compo
nimento. Attraverso il refrain dei trovieri, in una forma per cosi dire ipertrofica, si manifesta
ancora quel bisogno tutto musicale che ho già ricordato, quella memoria musicale cosi
diversa dalla memoria ordinaria, per cui il ritorno di una melodia o di un inciso, la ripetizione
di un disegno, il rinnovarsi di una frase in diversa posi
zione della gamma, assumono significati speciali, intraducibili in altre forme perché
assolutamente autonomi e cittadini esclusivi in un mondo spirituale a parte. La musica
vocale a ballo dei trovatori si proietta anche sulla musica danzistica per soli istrumenti, la
quale, pur contando una sua esistenza precedente, si fortifica e si modella sopra quegli
illustri esempi . Lo Stanpites e la Ductia ( in provenzale Estampida e Dansa ) finiscono col
rappresentare le due forme strumentali dell'epoca; e con ritmo ternario la prima, binario la
seconda, esse riproducono attraverso il meccanicismo del refrain Io schema del Rondeau e
delle canzoni a ballo trovadori che. Il loro pratico ufficio e le circostanze favorevoli di non
esser legate alle neces sità della declamazione affrettano, in questo genere di musiche, il
processo formativo della modalità « maggiore » moderna, la simmetria dei periodi, l 'uso
d'intervalli più estesi , l 'inizio dello svolgimento melodico, della progressione e delle
conclusioni cadenzali.
L'accenno alla modalità <� maggiore >> , che si va imponendo in queste liete arie di
ballo, mi fa pensare al grande stacco ormai operatosi fra la concezione musicale dei
gregorianisti e quella dei nuovi compositori. Infatti, ancor nel secolo xv Adamo di Fulda, un
severo teorico dei modi ecclesiastici, assegnerà al Tono Sesto un ca
rattere religioso per eccellenza, un colore quasi triste, mentre codesto Tono è pro prio
quello che riproduce il nostro attuale « maggiore >> , il <� modo >> della Dansa e
deii'Estampida, il compagno degli allegri passi ritmati.

GLI STRUMENTI MEDIEVALI

spreco di su
. In tanto <:>ni, è giusto che la razza degli istrumenti allignasse ga· gharda e
desse una smentita, almeno una volta, alla teoria darwiniana della so pravvivenza del più
volgare. Già che ho tirato in ballo il profeta dell'Evoluzione,
Storia della musica

dedichiamo un pensiero al vecchio affare della funzione e dell'organo, e fermiamoci


un istante a considerare se i nuovi istrumenti che in quel periodo storico si vanno
affacciando alla vita siano stati il prodotto necessario a estrinsecare nuove ispira zioni,
o se non abbiano, con la loro personalità meccanica, suggerito e procurato queste
stesse nuove ispirazioni.
L'alternativa è aperta, fra l'ottimismo mistico e il materialismo pessimista; tra i
fedeli del libero arbitrio e i duri a morire del determinismo.
lo starò in mezzo, con salomonica saggezza, e dirò, ad esempio, che se l'inven
zione dell'arco (a quest'epoca attribuita) par proprio un atto di volontà esercitato sopra
gli strumenti a corda con lo scopo di trarne fuori un suono più legato e più intenso, più
vicino a quel suono della voce umana che è allora l'istrumento_ regale, molti
atteggiamenti melodici e ritmici dovettero nascere quasi per caso, da scoperte
avventurose degli istrumentisti, da falli, addirittura, occorsi nello studio e nell'ese cuz
iOne.
Per caso; un caso specialissimo, in ogni modo, come quello del soldino battuto
sul marmo dell'osteria che, sia storia o leggenda, suggerisce a Beethoven un tema
della Quinta Sinfonia.
Lungi dal volermi dissanguare dentro i gineprai dell'istrumentalistica medie vale,
addito però alla meditazione dei caritatevoli tutti quei lontanissimi artefici che,
muovendo il più delle volte da semplici considerazioni professionali e dal fer vore della
ricerca scientifica, hanno arricchito il patrimonio dei mezzi sonori.
Il tipo del ricercatore paziente, il quale, senza un genuino impulso artistico, si
dedica per vie empiriche o teoriche a costruire ordigni meccanici, capaci poi << di
parlare >> come gli uomini parlano, esistette certo anche in quei secoli remoti e noi di
qui lo salutiamo e lo rispettiamo.
Avendo già detto qualcosa dell'organo, che fra << portativo >> e << positivo >>
( cioè posato a terra o su tavole e naturalmente più grande del primo) va sempre
meglio affinandosi, nomino adesso i progenitori del violino, vale a dire gli istrumenti a
corde vibrate da un arco, privi o muniti di cassa armonica risonante. Trala
sciando le precedenze e le questioni sui luoghi d'origine, ricordo tra i primi la /idula,
una vera cetra che invece di venir pizzicata è sottoposta al tocco dell'arco, e la chrotta
(ossia la crouth dei britannici ); tra i secondi la ribeca, una specie di viola, la viella in
cui la cassa armonica , per quanto ancor piatta, presenta già delle incurvature laterali
v
favorevoli al giuoco dell'arco, strumento preferito dai trovatori e tro 1 en; infine la
ghironda, la mirabile e cara << viola degli orbi )), la << lyra men dicorum )), dove l'archetto
è sostituito da una ruota girevole a manovella, che stri sciando sulle corde le mette in
vibrazione.
Gli strumenti a corda e a pizzico continuano naturalmente a fiorire; la cetra
classica si tramuta nel salterio, il liuto si perfeziona e tien testa alla concorrenza della
mandola, che i Crociati hanno importato dall'Oriente. Tra i << fiati >> ci sono flautL dritti
e traversi, un oboe rudimentale chiamato calamus in latino, chalumeau in Francia,
schalmei in Germania, ciaramella in Italia, oboe che a volte s'ingigan
i
t .sce .e dà nascita alla bombarda 1; c'è l'oli/ante, nobile corno d'avorio, e quindi p1ffen
e trombe lunghe senza chiavi.
. !strumento �nfibio è il timpanon (ancor oggi usato dai tzigani ) ossia una cetra
onzzontale le cui corde vengono percosse a mezzo di speciali mazzuole. La << per
c
�ssione >> vera e propria annovera infine tamburi e tamburelli , campanelli e piatti
dt bronzo, sbarre metalliche cave, trattate col sistema della campana a martello.

1 Anche la tenora dal timbro raro e suggestivo, usata tuttora in Catalogna ad accom pagnare
quella danza stradale che è la sardana, è una sorta di grosso oboe.
Ma fuori delle chiese c'è il mondo 55

Ricca di un tale armamentario meccanico (mai raccolto, d'altronde, in rag


gruppamenti unitari del tipo delle nostre orchestre) la musica profana del Medio Evo si
affianca alla composizione ecclesiastica. Nella pratica degli istrumenti essa esperimenta
sempre più profondamente le meraviglie di una vita non umana, di un mondo diverso dal
mondo visibile e tattile, dove il suono liberato all'udito è, in definitiva, un semplice
accidente, un semplice filo aereo destinato a collegarlo col nostro; un mondo che, anche
restaurato nel suo silenzio, non cesserebbe di venir retto da leggi sue proprie, di
possedere movimenti e intrecci di movimenti, asso ciazioni ideali, prospettive e scorci,
possibilità di affermazioni e di argomentazioni impossibili in qualsiasi altro mondo
umano, reale o immaginato.
Il canto vocale, sopra tutto il canto gregoriano, il quale non poteva nemmeno
sottintendere una polifonia o un'armonia, è ancora specchio delle nostre categorie
terrestri, ha la discorsività e la fiducia argomentativa della nostra coscienza logica; si
rivolge, in buona parte, verso quelle zone dell'essere e dell'individuo psicologico cui si
rivolgono e si fanno intendere la poesia e la pittura, la dialettica e la reto
rica, l'eloquenza e la speculazione filosofica, l'uso quotidiano e incosciente dei sensi. La
musica strumentale, al contrario, è la scala marmorea che induce nel tempio di Iside, la
magica voce che insegnerà ai discepoli come si sollevi il velo della dea. Ciò che agli
antichi apparve come cima della saggezza, vale a dire il naturale trasformarsi della
parola in melodia, sarà superato da ben altre ascensioni. Non
si tratterà più di conferire alle parole una più facile forza persuasiva, ma di pene trare in
un paese diverso, alle parole precluso. Dopo la Cantica del Cristianesimo, l'Era di
mezzo getta il seme di questo nuovo prodigio. La grama vita dei giullari porta nel
grembo il martirio dei grandi compositori.
Capitolo quinto

CONCORDIA DISCOAS: L'INIZIAZIONE AL MISTERO


Fino a questo punto, la musica che abbiamo considerato è una musica esclu
sivamente monodica. Una musica, in altri termini, che noi oggi non riusciamo più a
concepire. Il suono puro, isolato, soddisfatto nella propria personalità individuale,
esaurito tra i brevi limiti del suo nascere e del suo morire, è un'entità ormai per duta cui
nemmeno la nostalgica speranza di Claude Debussy è riuscita a ridare una vita. Ma
anche il suono ricadente in un altro, la semplice catena di suoni, la orno fonia tuttora
praticata dai popoli orientali in maniera pressoché assoluta, questo s(Q}rso
miglioramento del discorso oratorio dove la parola si accontenta di diventare più
echeggiante e quasi di enfasizzarsi (non importa se il dato immediato è vocale o
istrumentale ), questo andamento ancora espositivo e lineare, legato alla fatica di do
ver dire una cosa alla volta, è stato ormai trasceso dalla nostra sensibilità attuale.

LA POLIFONIA

Musica, per noi, ha ben altro significato. E se osassi correggere Platone e


Lessing, direi che la musica signoreggia su tutte le arti, perché essa è simultanea
mente un'arte del tempo e un'arte dello spazio. Perdono a Platone, abitante in un
mondo esclusivamente monodico; ma non riesco a perdonare a Lessing, uomo del
secolo XVI II e cittadino della Germania, personaggio situato benissimo, dunque, per
riconoscere insufficiente l'antica e classica definizione.
Musica, da ormai più che sei secoli, vuoi dire un modo espressivo che si
succede e si sviluppa accaparrandosi per tale scopo una porzione di tempo, ma che
procede, insieme, facendo avanzare più linee dello spazio ideale; che introduce un
movimento là dove pittura, scultura e architettura, rappresentatrici del plurimo, erano
state costrette a ridursi immobili, e dove la poesia e la drammatica, custodi del moto,
avevan dovuto stemperarsi nella serie delle singole immagini, abbando
nando a un malsicuro potere di sintesi l'ufficio di conservarne la memoria e di rico
struirne a posteriori la somma totale.
Guardando un quadro io assimilo nel medesimo tempo più immagini d'ordine
diverso come possono essere la pietà di un gruppo religioso e il paesaggio che serve
da sfondo, d'ordine opposto come possono essere la mistica calma di un San
Sebastiano e la feroce scompostezza dei suoi carnefici, il sonno oblioso di una
Venere e la sveglia attenzione di un Marte che la contempla.
Ma tutte queste immagini non scorrono più nel tempo, io non so da dove
vengano né dove andranno, come nacquero e come si risolveranno; s'io voglio met
terle in moto debbo uscire dall'opera d'arte, debbo spingermi nel suo passato e nel
suo futuro, vale a dire in due dati che l'artista non mi ha offerto e che riman gono
arbitrari secondo la qualità degli osservatori.
Concordia discors: l'iniziazione al mistero Sl

Leggendo un poema o assistendo alla recita di un dramma, io vengo condotto di


parola in parola a percepire le immagini del poeta; vale a dire la mia percezione si
gnificante,
effettua attraverso un movimento, iniziato da una prima parola di per sé insi
ancor lont nissima dalla rappresentazione che si intend raggi
� . � �ngere, e conchiuso da
un'uluma, che mediante la sua presenza, completa 1l cerchio ver bale, necessario
all'artista per comunicare l'immagine stessa.
Legato a un tal meccanismo dove l'originaria unità immaginativa è costretta a
sgranarsi nelle singole unità delle parole, il poeta che voglia esprimere più im magini
simultanee, nell'immediatezza con cui gli si presentano, non può far altro se non riferirle
una dietro l'altra o cercare di andar serpeggiando d'una in un'altra, sperando poi, come
dissi, che il lettore faccia la strada a ritroso e per mezzo di un atto riassuntivo pervenga
a reintegrarle nella loro complessa esistenza primitiva.

Con l'avvento della polifonia, cioè a dire con la scoperta di speciali rapporti tra i
suoni , rapporti cosl fatti che più linee melodiche possono comporsi insieme, risonare
una sull'altra, vivere ognuna la propria vita e pur concorrere a crearne un'altra maggiore;
con l'avvento della polifonia, risolta nel (( contrappunto )) che riguarda specialmente i
moti melodici, e nell' « armonia )) che ne assume e consi
dera i risultati verticali (in entrambi i casi, comunque, un fatto di simultaneità
espressiva ), la musica, da un mondo d'immagini già tutto suo, sale a una zona ancora
inaccessa e riesce ad attuare nel movimento la pluralità più spontanea.
Subitanee associazioni d'idee, reminiscenze remotissime e improvvisamente
evocate, presentimenti e fatalità conclusive cui già, non appena balenata, noi sen tiamo
avviarsi l'immagine; persistenze di sfondi nel tempo stesso che il pensiero sembra
allontanarsi per libere strade; ritorni inaspettati, trasfigurazioni dove l'og getto trasfigurato
rivela alla nostra meraviglia tutti i suoi riposti poteri; scoperta di equazioni nel non
misurabile, di antagonismi irriducibili nel già numerato; fasci d'ombra gettati attraverso la
luce e sottili illuminazioni di oscurità francamente accettate; ciò che vive e si muove
dentro un mondo non nostro, creato però da noi per il bisogno di esser più liberi, per la
necessità di abitarci più intieri, con tutto quell'essere unito che la vita di qua sentiamo a
ogni momento spezzare; la libertà vera e la totalità vera, di farsi protagonisti di un moto
e il non esserne semplicemente trascinati o informati ; il raggiungi mento di una
condizione che noi sentiamo reale e che tuttavia è straniera alle incerte realtà
dell'esistere; ecco la ragione ancor sconosciuta, dove la musica adesso s'inoltra
inforcando il cavallo alato della polifonia.
Son mille le cause per cui oggi noi consideriamo stupidissima la vecchia sto riella
delle « tenebre del Medio Evo )) ma forse, la più perentoria è proprio questa che riguarda
il grande faro acceso sull'aurora musicale. Il Medio Evo era « tene broso )), perché
desiderava di non venir disturbato nelle proprie meditazioni; e i pettegoli ometti moderni
hanno preso per un cavo di buio quel ch'era semplice mente una gran porta chiusa.
Chiusa sopra un silenzio indispensabile a sentir le voc1 supreme.

Il primo passo: Diafonia od Organum. Com'è naturale, la straordinaria ricchezza delle


possibilità poli foniche (sia considerate sotto l'aspetto tecnico sia considerate sotto
fu, in principio, se non una modesta moneta
l'aspetto estetico) non · un cosl
'
timido sfruttamento da non render credibile l'impianto delle successive miniere. Il primo
passo allungato su un cammino di miglia e di miglia, la prima pietra di una cattedrale, il
primo verso di un poema sono però i più coraggiosi atti di tutta
i a t
5I Storia della musica l'opera; essi vincono con la fede la d �per ?te incer �zza della

f u
.�èta. Sicché il primo polifonista dovette certamente � !re d1 una �pec1ale

�en�d.IZlo�e.
La storia, che quando vuole ammmistrare la pm alta gmst1z1a diventa sorda e
muta, non ci ha conservato il nome di questo Cristoforo Colombo della musica. E
nemmeno ci fa conoscere l'epoca in cui avvenne il prodifio.
Ma a forza di scrutare e di almanaccare, i sapienti sono venuti a concludere che
dovette essere un uomo del Nord, un Danese o Norvegese di condizione quasi
certamente ecclesiastica, vissuto, cosl all'ingrosso, fra il 700 e 1'800 dopo Cristo.
Dicendo uomo, dico naturalmente più uomini, poi che il bene ed il male sono soggetti
a immediate propagazioni. Fatto sta che la pratica polifonica si diffuse con rapido
corso attraverso l'Europa nord-occidentale, nei Paesi Bassi, in Francia e in Gran
Bretagna, ed ebbe ben presto un primo referendario o teorizzatore nella persona di
quel monaco Ukbald 1 che già incontrammo, poscia in Scoto Erigena, altro teologo del
IX secolo, quindi in Geraldo di Barry, compilatore della minu
ziosa Descriptio Cambriae.
Questi primi studiosi, convinti che il vocabolo greco indicante cc due >) o cc due
volte » si riducesse in latino alla particella cc dia », chiamarono il nuovo ritrovato col
nome di cc diaphonia », senza immaginare che in greco, dove « dia >) ha il suo significato
di cc fra, fra mez7o », il termine veniva a dire proprio l'oppo
sto, vale a dire cc suono differente », cc suono contrario », sconcordanza. La dia fonia di
Ukbald e de' suoi compagni consisteva nel far camminare sopra una melo dia di canto
gregoriano un'altra voce, a distanza di una cc quinta giusta >). Era insomma un
contrappunto cc a nota contro nota >), dove gli intervalli armonici risul tavano
invariabilmente quali una serie di cc quinte >).
Così procedendo, la linea della parte aggiunta doveva, per forza di cose, ripro
durre esattamente tutti i disegni della melodia gregoriana, ascendere dove quella
ascendeva, seguirla negli abbassamenti, restare immobile se l'altra ribatteva una
nota. Al carattere di cc nota contro nota )) la diafonia aggiungeva dunque anche quello
di « moto retto », cioè di movimento simultaneo delle due parti nella mede sima
direzione. Siccome però i ragazzi cantori avevan voce più alta di registro che non gli
adulti diaconi e suddiaconi, e siccome la melodia gregoriana doveva con servare il suo
carattere preminente, ecco che quest'ultima venne ben presto raddop piata all'ottava
sopra. La cc parte aggiunta >) era cosl contenuta dentro una serie Ji ottave, e se veniva
a trovarsi in rapporto di cc quinta >) nei confronti dei diaconi (cioè dei bassi ) produceva
per converso una serie di cc quarte » nei confronti dei ragazzi (cioè dei sopra n t).
Anche da una descrizione tanto succinta, appar chiaro un carattere importante
della diafonia ukbaldiana ; vale a dire che l'impulso donde provenne fu un impulso
armonistico assai più che un impulso contrappuntistico. Giacché nella relazione �i cc
nota �antro nota stabilita fra la melodia gregoriana e la parte sovrapposta, Il moto
>)

rimaneva sempre uno solo; l'elemento nuovo era costituito dal nuovo �apore �
i
e.
i
suoni s �goli formanti la melodia gregoriana, i quali sposati a quella mnocenuss1ma cc
qumta », apparivano come oggetti ben noti illuminati tutto a un tratto da una luce
sconosciuta.
Ciò va ben ritenuto da chi voglia sceverare nella storia della polifonia la pre
m i
�nderanza dei « �ment . armonici » sui cc momenti contrappuntistici >) e il loro
ncorrere attraverso 1 secoli. Senza addentrarci qui, adesso in una questione che
o ù
inc �treremo pi . tardi, diciamo soltanto che la polifoni� nacque cc armonica », entro
ben presto m una lunga cc fase contrappuntistica )) segnata da qualche ritorno

' Ukbald di Saint·Amand sembra sia vissuto tra 1'840 e il 930.


Concordia discors: l'iniziazione al mistero •

armonico, cercò di contemperarsi fra armonia e contrappunto nel XVIII secolo, durò tale
sino alla fine dell'Ottocento, quando il momento armonico prese a riapparire e ad
imporsi, e oggi è ritornata verso un indirizzo schiettamente contrap puntistico.
Ma nella diafonia di Ukbald e soci noi dobbiamo considerare due altri ele menti
interessantissimi : la natura degli intervalli armonici che la costituiscono e la loro marcia
monotona e parallela da un capo all'altro della composizione.
Difatti, le resultanti del modo di procedere ukbaldiano, le quinte, le quarte e le
ottave, per venire accettate teoricamente, come legittime costruzioni innalzate sulle
fondamenta sacre delle singole note gregoriane, dovevano per necessità logica
assumere valore di (( consonanze », cioè d'intervalli armonici scaturiti da una sim
patia reciproca tra due suoni, di cerchio armonico ben conchiuso dove fosse possi bile
ristare e posare.
D:ciamo subito come noi oggi , secondo l'armonia tradizionale moderna, clas
sificheremmo gli intervalli della diafonia. Per noi, le quinte e le ottave sono tutta via
consonanze; ma, tra le consonanze, son le due ritenute più povere, quelle che
(( producon meno armonia », che, nel caso dell'ottava, quasi non ne produèono; la
quarta, poi, vien collocata tra le dissonanze. Se badiamo infine al movimento contenuto
nei primi saggi d'armonia diafonica, noi troviamo che tutti quei seguiti di quinte, di quarte
e di ottave successive sono proprio quelli rigoros;:�mentP repudiati dal contrappunto
moderno, sotto colpa di suonar (( duri , vuoti, e anti· musicali >>.
È anzi importante di ricordar le ragioni per cui i teorici dell'armonia moderna
spiegano la povertà delle successioni di ottave e la durezza delle successioni di quinte.
Nel caso delle ottave essi si riferiscono al fatto ovvio che codesto inter vallo è come il
doppione del suono più basso, e alla circostanza, meno �rcettibile, che essendo
l'ottava il primo dei suoni armonici naturali (quello cioè più prossimo al suono
fondamentale) essa non può raggiungere ancora il carattere di vera armo nia. Nel caso
delle successioni di quinte, pur ammettendo più difficile una spiega· zione, gli stessi
teorici rintracciano la causa della (( povertà >> nell'esser la quinta il secondo de' suoni
armonici ( ancor molto vicino alla fondamentale), e la causa della « durezza >> nella
circostanza che siffatte successioni (( danno come l'idea di due voci procedenti in due
tonalità diverse >>.
Orbene, è proprio attraverso questo disprezzo moderno nei confronti di ottave e di
quinte, e attraverso le ragioni addotte per motivarlo, che a me pare di poter ricostruire
l'idea che guidò i diafonisti alla scelta di quei maltrattati intervalli e a servirsene
ingenuamente nel più condannato dei (( moti retti >>.
All'epoca di Ukbald il canto gregoriano godeva ancora di un prestigio dog matico.
Accanto al suo valore religioso ed etico, al suo ufficio di intermediario tra l'umanità e
Iddio, alla sua funzione educativa e sociale, ogni volontà di sin goli individui si
riconosceva annullata o, per lo meno, si sentiva strettamente su bordinata.
In questa condizione reverente e timorosa, due intervalli (( poveri >> come l'ot tava e la
quinta potevan persuadere i musici di non commettere attentato contro l'integrità delle
sacre melodie. Nel caso speciale della quinta, inoltre, quella fa mosa idea delle due voci
(( procedenti in due tonalità diverse » quadrava magnifi camente col desiderio di non
compiere eresie. Giacché, appunto la voce superiore fotografava nel tono della
(( dominante >> la melodia inviolabile del basso, e attra verso il costante rapporto delle
(( quinte giuste >> si illudeva di non manometterla. Per ciò che riguarda le quarte, i teorici
del IX secolo deducevano il carattere di (( consonanza >> dal semplice fatto di essere il ((
rivolto >> delle quinte, e certo non
80 Storia della musica

si preoccupavano di sapere che la quarta non è contenuta nella sen e


armomca na turale.
La diafonia di Ukbald, in condusione, m'ispira un grande rispetto; e quando
scrittori moderni la chiamano << un sistema brutale », oppure << un'orribile cacofo nia •• , io
so che han ragione, ma penso che le caravelle di Colombo erano insomma tre
mirabili barche.

Il discantus: scoperta del moto contrario. Seguire le vicende della diafonia fa rebbe
troppo lungo il discorso. Dirò soltanto che il termine grecizzante si tra sformò ben
presto nel nome latino di Organum, sia che si volesse intendere l'azione di mettere
insieme più voci (organizzare ), sia che si volesse alludere all'organo « istrumento •),
dove la pratica diafonica passò ben presto e fu molto facilitata dal meccanismo della
tastiera.
In breve volger di tempo l'Organum, o diafonia che dir si voglia, prese però ad
evolversi ; e un nuovo atto di libertà, di fronte al rispetto pel canto gregoriano,
condusse all'invenzione del << moto contrario •) , mostrando come una quinta po tesse
allargarsi in una ottava e una ottava cadere in una quinta, solo che la voce aggiunta,
o superiore, salisse di una terza allorquando la melodia gregoriana scen deva << di
grado •) e si abbassasse ancora di una terza nel caso opposto.
La scoperta del « moto contrario •) , assolutamente decisiva per le sorti future
dell'arte polifonica, in quanto costituisce un netto impulso all'espansione espressiva,
un'avanzata eccentrica e coraggiosa verso regioni sconosciute, una fede commo
vente di poter reggere e procreare anche allontanandosi dal sicuro appoggio della
linea gregoriana, è uno dei molti atti d'ordine ideale i quali dimostrano come la
Chiesa, volendo totalizzare nel suo seno ogni attività artistica e. speculativa, nu trisse
da se stessa più di un serpe che l'avrebbe poi morsicata.
Non vorrò certo paragonare a Lutero, a Bernardino Ochino o a Giordano Bruno, i
Giovanni di Garlandia 1, i Roberto di Sabillon , i Cottonio o gli altri noti ed ignoti cui si
attribuisce il primo studio della diafonia << per moto contrario •) . Ma certo è che codesti
ecclesiastici , senza rendersene conto e senza desiderarlo, an davano preparando la
rovina della musica gregoriana. Infatti, per naturale legge di orgoglio artistico, l
'interesse dei musici andò sempre più addensandosi sopra la << voce aggiunta •• ; il
nuovo potere si tradusse in meraviglia e in ardore ulissico di procedere sempre più
avanti. La pratica del Discantus (come fu subito chiamata la diafonia per moto
contrario in cui i due canti si allontanavano, si differenzia vano l'uno dall'altro) non
tardò a stancarsi del procedimento « a nota contro nota •) .
Su due suoni successivi della melodia gregoriana, la parte aggiunta prese a
distenderne più d'uno; si produssero ampie frasi e melismi di cui solo le prime note
cadevano su una nota della melodia gregoriana ; questa poi, mentre il disegno libero
si svolgeva, restava ad attendere prolungando a forza di polmoni il suo suono.
Se l'Organum di Ukbald aveva già intorbidato la purezza delle melodie ec
clesiastiche, colorandole di tinte ingenuamente armoniche, il Discantus dei poste r!ori
i . I
frances . ed inglesi attentò duramente al ritmo discorsivo di quelle sacre mu Siche . I .
sott1le ·� numero •) gregoriano, commisto di libertà melodiche e di preoc c p o
� �zl �l
s 1
pro ?d1che, non poté reggere di fronte a questa nuova azione che ne d1lu �a 1
valon, tendendo inesorabilmente ad allungarli e a eguagliarli. Un segno estenore della
grave offesa recata all'autentica personalità gregoriana si rispec

1 Giovanni di Garlandia è il nome di ben due teorici medievali della musica: uno nac que verso il 1
190 in Inghilterra. L'altro visse più tardi, nel 1 300.
Concordia discors: l'iniziazione al mistero 11

chiò nei nuovi termini allora introdotti per indicare le melodie della Chiesa. Non si parlò
più di canto « romano >> o << gregoriano », ma di canto « fermo » o « piano »; e, in realtà
dopo esser state tramortite in un elemento vitalissimo com'è il ritmo, scaglionate in
lunghe serie di note interminabili, le antiche musiche re
ligiose potevan dar benissimo l'idea di « ferme >>, l'idea di « piane », al paragone della
voce aggiunta sempre più ricca di figurazioni, sempre più snodata in linee ascendenti e
discendenti.
Ma, nello stesso tempo, un'altra corrente polifonica, non più tanto incantata
dall'autorità gregoriana, condotta piuttosto da un libero senso delle combina zioni sonore
e forse dal subcosciente che la serie armonica naturale ha lasciato sempre vivere in noi,
incomincia a sovrapporre due note in rapporto reciproco di « terza >> o di << sesta >>.
Si attua cosl, in Inghilterra, il tipo del Gymel (Gemellus), lunga catena di terze per moto
retto, dove il suono più basso è quello del canto fermo; più tardi il tipo detto Falso
bordone, in cui le terze son due e invece di sovrapporsi si sottopongono teoricamente
alla linea del canto fermo, producendo in tal modo una successione di << accordi perfetti
di terza e quinta ». Dico teori camente perché all'atto pratico, sia che le lunghe serie di
quinte incominciassero a suonare ostiche, sia che difficoltà di esecuzione lo
consigliassero, la voce più bassa veniva trasportata << all'ottava sopra >> e la sua
relazione di quinta con la nota del canto gregoriano si tramutava cosl in una relazione di
quarta. Alla fine, insomma, il Falso bordone si risolveva in una successione di << accordi
di terza e sesta » dove la melodia ecclesiastica originaria occupava, fra le voci
esecutrici, il posto mediano.
Tutti questi generi di composizione, arricchimenti e miglioramenti del canto
gregoriano secondo la mentalità dei loro cultori, s'introdussero assai presto nella liturgia
delle chiese occidentali, adattandosi a quelle parti del servizio divino che più ne
offrivano il destro. Ma, come dissi, distrussero per larga parte l'originalità primitiva ; tanto
che, con perfetta ragione, si può affermare che la nascita della polifonia costò all'arte la
perdita della tradizione gregoriana autentica.
ESCE DALLE CHIESE LA POLIFONIA

Intanto, però, Discantus e Falso bordone avevano acqu1s1to alla ·musica due
nuovi elementi fondamentali. In primo luogo si era scoperto come una nota, du rante
tutto il tempo della sua risonanza, potesse reggerne una o più altre, sia sopra sia sotto,
in modo tale da produrre senso gradevole e da risvegliare immagini scono sciute. In
secondo luogo si era esperimentata la possibilità di combinare insieme tre suoni e si era
accesa la speranza di riuscire ad aumentare questo numero. Il contrappunto e
l'armonia, con i loro scambi incessanti e con le loro reciproche generazioni, sono
dunque già in atto fra il xn e il XIII secolo e forniscono i mezzi, a una musica appena
adolescente, per compiere l'evoluzione più rapida fra tutte quelle che abbiano compiuto
le altre arti.
Attraverso il canto polifonico e la sovrapposizione delle voci, gli uomini di scoprono
un retaggio nativo come dimenticato o dormiente nel fondo della loro natura, e la
scoperta assume a poco a poco l'aspetto di un ritrovamento; teorici dell'epoca parlano
<< di istinto che conduce i ragazzi cantori a combinare insieme le loro voci »; in
Inghilterra l'arte polifonica assume quasi l'aspetto di un'arte popolare. Lo spirito
scientifico del Medio Evo, anzi il suo impulso unitario a ri durre tutto in scienza, agisce
profondamente sullo sviluppo della nuova compo SIZione.
Difatti, come tutti comprendono, le infinite possibilità associative dei suoni
Storia della musica
Il

sembravano invitare a una paziente ricerca; nelle loro attrazioni e repulsioni si poteva
intravvedere un'immagine del mondo celeste, del mondo ideale e del mondo organico;
i mille contrappunti diversi sovrapponibili alla stessa melodia di « canto fermo »,
parevano comportarsi in modo consimile ai mille modi di sviluppare una stessa
proposizione logica, sicché i Magistri delle cantorie guardavano ai dottori degli Studi
scolastici con l'intesa e la confidenza di sicuri colleghi.
Questi Magistri son tutta gente di chiesa; non potrebbero non esserlo, dacché la
polifonia riveste sul principio un carattere di serietà un po' ritrosa e non ha nulla a che
vedere con il gai savoir dei trovatori e giullari, con quella « gaia scienza » dov'entrano
donne e cavalieri, tornei d'armi e corti d'amore.
Ma l'insidia è ancora una volta Il pronta; una duplice insidia, che procede
allegramente dal mondo, dal suo ardore naturale di rappresentarsi, e che s'an nida
nella mente stessa dei fantastici ricercatori, sta come accovacciata sotto i loro
seggioloni abbaziali. Un miraggio di bravura, chissà, un'illusione di poter risolvere di
nuovo in sintesi unitaria le due energie in cui la musica è . andata spezzandosi ; una
reazione difensiva, forse, la quale per vecchio consiglio politico spera di do mare i
ribelli facendo loro posto nel governo delle repubbliche; qualcosa di tutto questo
spinge i polifonisti a un passo temerario, li persuade a combinare insieme il << canto
fermo », il libero contrappunto e i ritornelli profani più in voga.
Dall'altra parte, il mondo che frequenta le chiese e che nel varcarne le porte non
si toglie certo di dosso, insieme col cappello, le sue sensibilità particolari e le ragioni
della propria vita privata, ascolta, a modo suo, le nuove invenzioni dei Magistri. le
ritiene e lt> porta fuori. Non COI •ta che sia tanto breve il pezzo di strada dalla chiesa
alla casa; è lungo abbastanza perché, nel tragitto, il ricordo assuma nuovi colori, si
associ ad altri ricordi e soppesi fra se stesso le più dispa
rate comparazioni.
Attraverso questi attivi scambi , attraverso il fermento mondano e la curio sità artistica
degli ecclesiastici, in mezzo a volate e a frenate, a slanci audaci e a improvvisi
pentimenti, le forme monodiche profane, il Conduclus ed il Rondellus, pur
mantenendo la loro struttura dei periodi, assumono facilmente la veste poli fonica. Il
concetto principe della polifonia primitiva, quello cioè di muover da una base
inalterabile, quasi da un datum assunto a priori, è, sul principio, stret tamente seguìto.
Ma al posto di una melodia di « canto fermo » il tenor (vale a dire la voce che « tiene >>
codesto canto) intona qui qualche not� motivo di can zoni trovadoriche o troviere; in
seguito, anche il disegno melodico del tenor è
2 liberamente inventato. Nell'officina musicale annessa alla scuola di Notre-Dame a
i o
Parigi, la maniera di comporre in polifonia si sviluppa e consolida. I Magislri Le � '?o
t
e Pero tino 1, i due Franchi (o Franconi ) 2, un Pietro da Parigi e molti Bri �nmcl che
accorrevano là, per imparare e operare, dissertano sulle questioni teo nche e creano
gran quantità di lavori, giungendo ormai taluno a raggruppare nel Conductus fin
quattro voci.

Il Motetus. Nel 1200, un'altra forma polifonica che nasce e fiorisce è quella detta
a
Motetus (d . un d!minuitivo di mutus o dal francese mot, parola); forma che,
r 1 s e
attrave �ando var � fa ! . presentandosi sotto specie diverse, ha il carattere co
stante d1 muoversi ordmar1amente a tre voci, e di presentare: nel tenor un fram-

n
' Fu Peroti � ( 1 190-1203 circa ) che, superando in tecnica Leonino, contrappuntò il lenor con due o tre voct.
' Franco da Parigi e Franco da Colonia, o, secondo opinioni recenti, un unico Franco, che visse sia a Parigi
sia a Colonia.
t.vncortlifl tliscors: l'ini:t:ifl:t:ion� fll misuro D

mento gregoriano; nella voce intermedia (ossia nel duplum, chiamato pure
motetus per antonomasia) una frase di canzone profana con adattatevi parole
non reli giose; nella voce più alta (ossia nel triplum) una melodia generalmente
più mossa
delle precedenti, dettata in libera invenzione e in testo profano. Nella pratica
del Motetus (che col proceder del tempo viene anche trattato a quattro voci) si
insinua ben presto il principio di scambiare, fra le voci stesse, i differenti
andamenti ritmici e melodici, vale a dire di tenere più piana la voce che prima era
stata condotta in maniera mossa e fiorita, e di muovere e fiorire la voce che
prima seguiva valori più lunghi e più regolari. Si applica anche qui, insomma, la
tendenza scolastica a esperimentare tutti « i possibili », a stabilire tutte le con
dizioni in cui il « datum » possa su�sistere.
Anche il canto profano abbraccia la polifonia. Un tal fermento d'idee e un tal
lavoro di esperienze si riverberano di colpo anche sulla musica schiettamente
popolare. Mentre il tenor del Motetus e delle forme analoghe incomincia ad affi
darsi a un istrumento (a una viella, a un liuto, a una fidula), le canzoni a ballo
non riescono più ad accontentarsi della monodia. Si arruolano anch'esse sotto
la bandiera dell'arte polifonica ed entrano anch'esse decisamente nella nuova
era ar
monica e contrappuntistica.
È ancora nel Duecento l'enigmatico Rondello Sumer is icumen in ( « Sta ve
nendo l'estate » ), attribuito all'inglese monaco Fornsete. Chiamo enigmatico
questo documento in forma di Canone 1 perché tutto, in esso, denuncerebbe
un'epoca assai posteriore; e soltanto l'attestazione di un dotto, il quale ne ha
scoperto l'ori ginale redatto in neumi del secolo xm, può convincerci (sino a un
certo punto) del contrario.
Orbene, il Canone di Fornsete, a ben quattro voci, impiantato su una sorta
di bordone cantato da due bassi ( il che porta a sei il numero di parti reali), con
la sua purezza di contrappunto, con le sue armonie sempre « complete », in un
tempo in cui la terza non si « sentiva » ancora quale parte integrante e discrimi
nante dell'accordo perfetto, coi suoi ingegnosi « scambi » e incroci di parti, costi
tuisce, nella prima metà del Duecento, un'autentica meraviglia, un fatto troppo
sor prendente e troppo isolato per non insinuare nell'animo più di un dubbio. Del
testo, negli Organa a tre parti e in altre composizioni del già citato Perotino, il
quale visse prima di Fornsete, noi troviamo già in atto, se pure
rudimentalmente, artifici musicali tra i più sottili come il « contrappunto doppio »,
tra i più fecondi di avvenire come le « imitazioni ».

IL NUOVO CONCETTO DEL RITMO: ARS MENSURALIS

sfalsato il ca
La polifonia, sovrapponendosi al canto gregoriano, ha dunque
rattere delle sacre melodie e sopra tutto ne ha distrutto il ritmo. Ma questa di
struzione non poteva giustificarsi se non per mezzo di una nuova creazione. I
dati del problema erano adesso chiariti; per poter eseguire a dovere i Discanti

1 Nella composizione poli fonica denominata Canone tutte le voci (o parti) concorrenti sono esattamente le
stesse, sia dal punto di vista melodico sia dal punto di vista rinnico; ma codeste parti son cosl congegnate ch'esse
possono scorrere su se stesse come le due parti di un regolo snodato. Vale a dire che codeste voci non incominciano
tutte insieme con la prima ( il che produrrebbe un unisono) ma « entrano ,. successivamente se volete scalarmente a

distan� di Lo spostiiiTiento derivante da codeste « en'trate ,. che si susse o


�o. si ri
brevi . tempo. � solve m talt rapporti
da fonnare un complesso d'armonia e di contrappunto. � ch
1aro che non tutte le �elodie si possono « canonizzare •;
quelle che ricadono sotto codesta condizione sono pensate dt proposito, secondo leggi e accorgimenti studiati dalla
tecnica del contrappunto.

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