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Anabattismo e Calvinismo.
Un differente approccio alla Chiesa e all’Uomo
Relatore Presentata da
Professore Umberto Mazzone Zita Albergati
Sessione II
INDICE
INTRODUZIONE
1
CAPITOLO
I
–
CONTESTO
STORICO
3
1.1.
La
Riforma
protestante
3
1.2.
L’Anabattismo
4
1.2.1.
Nascita
e
diffusione
5
1.2.2.
Persecuzione
e
opposizione
12
1.3.
Il
Calvinismo
15
1.3.1.
Dalla
conversione
a
Ginevra
15
1.3.2.
Calvinismo
internazionale
20
CAPITOLO
II
–
ECCLESIOLOGIA
23
2.1.
Il
diverso
concetto
di
Chiesa
alla
base
dei
due
movimenti
riformati
23
2.2.
La
Chiesa
anabattista
25
2.2.1.
La
comunità
anabattista
25
2.2.2.
L’impatto
della
dottrina
anabattista
sulla
società
31
2.3.
La
Chiesa
Calvinista
34
2.3.1.
L’organizzazione
della
Chiesa
calvinista
35
2.3.2.
L’influenza
della
dottrina
calvinista
sulla
società
38
CAPITOLO
III
–
ANTROPOLOGIA
44
3.1.
L’importanza
dell’uomo
nei
due
movimenti
riformati
44
3.2.
La
natura
dell’uomo
per
l’anabattismo
45
3.3.
La
natura
dell’uomo
per
il
calvinismo
49
CONCLUSIONI
54
BIBLIOGRAFIA
55
INTRODUZIONE
Tramite
questo
lavoro
mi
accingo
a
presentare
la
Riforma
protestante
percorrendo
una
via
alternativa.
Verranno
trattati
due
movimenti
di
primo
piano,
interni
alla
Riforma,
rappresentanti
l’uno
l’ala
radicale,
quella
dei
dissidenti,
e
l’altro
l’ala
centrale,
quella
dei
Riformatori.
Con
il
primo
intendo
l’anabattismo,
corrente
meno
conosciuta,
e
con
il
secondo
il
calvinismo,
il
cui
eco
giunge
fino
ad
oggi.
In
questo
modo,
seguendo
lo
sviluppo
dei
movimenti
suindicati,
si
delineeranno
automaticamente
le
due
anime
della
Riforma.
Il
primo
capitolo,
avente
il
ruolo
di
contestualizzare
la
Riforma,
si
concentrerà
sulla
spiegazione
sintetica
del
significato
di
quest’ultima
e
sulle
condizioni
scatenanti
la
sua
nascita.
In
seguito
verranno
trattate
più
in
dettaglio,
in
due
sottocapitoli
distinti,
le
differenti
risposte
dell’anabattismo
e
del
calvinismo
al
disagio
impregnante
la
comunità
religiosa
coeva.
Oltre
alla
spiegazione
della
nascita
e
della
loro
diffusione,
per
ambo
i
movimenti,
saranno
poste
in
rilievo
delle
caratteristiche
precipue
nella
loro
storia,
divenute
elementi
fondativi:
per
l’anabattismo
emergerà
la
forte
opposizione
e
persecuzione
a
cui
fu
sottoposto,
mentre
per
il
calvinismo
il
suo
internazionalismo.
Il
secondo
capitolo
avrà
come
tematica
la
Chiesa.
Inizialmente
verrà
spiegato
come
la
diversità
tra
i
due
movimenti
abbia
la
sua
causa
principale
nel
concetto
di
Chiesa
posto
alla
base
della
loro
ideologia,
poiché
esso
finisce
per
condizionarne
sia
la
dottrina
che
la
disciplina.
Infatti
il
differente
concetto
di
Chiesa
è
uno
degli
elementi
su
cui
si
fonda
la
creazione
delle
due
ali
della
Riforma.
In
questo
frangente
verranno
approfonditi
concetti
quali:
“Corpus
Christianum”,
“caduta
della
Chiesa”,
“jus
reformandi”,
“Chiesa
visibile”,
“Chiesa
invisibile”,
etc.
Il
capitolo
sarà
suddiviso
in
due
parti:
da
un
lato
verrà
delineata
la
struttura
della
Chiesa
anabattista
con
le
relative
caratteristiche
principali
e
il
suo
conseguente
rapporto
con
la
società,
dall’altra
parte
verrà
tratteggiata
l’organizzazione
della
Chiesa
calvinista
e
ugualmente
posto
in
rilievo
il
suo
diverso
atteggiamento
nei
confronti
della
società
civile.
Tramite
questa
descrizione
si
vedrà
in
che
modo
e
in
quale
misura
il
diverso
concetto
di
Chiesa
abbia
potuto
influenzare
il
rapporto
della
comunità
cristiana
con
quella
civile,
i
cui
due
estremi
sono
una
completa
inclusione
o,
al
contrario,
un’esclusione.
All’interno
di
questa
analisi
verranno
soprattutto
evidenziati
i
rapporti
con
il
governo
civile
e
i
cittadini.
1
Il
terzo
ed
ultimo
capitolo
inerisce
l’antropologia
dell’uomo.
Inizialmente
si
vedrà
in
quale
misura
l’essenza
dell’essere
umano
sia
fondamentale
nella
creazione
della
dottrina
e
della
disciplina
dei
due
movimenti
riformatori.
In
seguito
il
capitolo
sarà
diviso
in
due
sottosezioni.
Nella
prima
verrà
trattata
la
visione
dell’anabattismo
sull’essere
umano
e
in
quale
rapporto
questa
concezione
si
trovi
con
l’ideologia
ecclesiastica.
Nella
seconda
sezione
si
svilupperà
la
medesima
analisi
concentrata
però
sul
calvinismo.
Fondamentale
nella
comprensione
della
natura
dell’uomo
la
trattazione
dei
seguenti
concetti:
il
“peccato
originale”,
la
“salvezza
e
rigenerazione”
e
soprattutto
la
nuova
natura
umana
scaturita
dal
sacrificio
di
Cristo.
2
CAPITOLO
I
-‐
CONTESTO
STORICO
1.1.
La
Riforma
protestante
La
Riforma
del
secolo
XVI
è
un
movimento
religioso
con
varie
sfaccettature,
che
nasce
in
seno
e
in
contrapposizione
alla
Chiesa
cattolica
e
al
cattolicesimo,
in
un
periodo
storico
considerato
frequentemente
il
momento
di
transizione
dal
Medioevo
all’Età
moderna
o
in
ogni
caso
un
periodo
di
grandi
stravolgimenti
e
cambiamenti.
Per
comprendere
il
motivo
dell’ampio
sostegno
che
incontrò
la
critica
e
la
dottrina
di
Lutero1,
in
un
primo
tempo,
e
il
prolificare
di
un
gran
numero
di
correnti
riformate
e
sette
religiose,
in
un
secondo
tempo,
si
deve
cogliere
il
forte
disagio
sviluppato
dai
credenti
nei
confronti
di
una
Chiesa
che
oramai
non
era
più
in
grado
di
rispondere
alle
necessità
dell’epoca
contemporanea.
Nei
secoli
passati
si
era
andata
delineando
una
figura
papale
sempre
più
legata
ai
poteri
temporali:
si
può
dire
che
il
papa
assunse
un
ruolo
racchiudente
al
proprio
interno
una
serie
di
interessi
e
competenze
a
livello
economico,
politico
e
religioso.
Questa
trasformazione
della
funzione
del
pontefice,
e
dunque
della
Chiesa,
aveva
subito
un’accelerazione
in
seguito
al
grande
scisma
di
Avignone
–
momento
di
grave
crisi,
dal
1378
al
1417,
in
cui
si
era
arrivati
all’elezione
simultanea
di
due
vicari
di
Dio
(per
alcuni
anni
ce
ne
furono
addirittura
tre)
–
perché
il
contrasto
al
conciliarismo2
si
era
tradotto
nel
rafforzamento
del
potere
papale.
Tale
compito
fu
intrapreso
con
grandi
risultati
dai
pontefici
del
Rinascimento
(da
Alessandro
VI
fino
a
Leone
X)
con
i
quali
la
figura
del
papa
diventò
sempre
più
simile
a
quella
di
un
monarca
a
capo
non
solo
della
Chiesa
di
Roma
ma
dello
Stato
della
Chiesa.
La
grande
differenza
rispetto
alle
altre
monarchie
fu
il
convergere
in
un'unica
persona
di
due
differenti
poteri
che
finivano
per
decretarne
la
superiorità.
Infatti,
egli
poteva
avvalersi
del
potere
temporale
e
al
contempo
del
potere
spirituale
(per
esempio
tramite
la
scomunica
aveva
l’opportunità
di
colpire
dei
nemici
dello
Stato
della
Chiesa).
Inoltre
la
Chiesa
di
Roma
poteva
contare
anche
sul
sostegno
economico
della
cristianità
che
proveniva
da
tutta
l’Europa
sotto
forma
di
decime,
indulgenze,
bandi,
sostegno
volontario,
etc.
e
del
denaro
derivante
dalle
1
Martin
Lutero
(1483
–
1546):
monaco
agostiniano
e
teologo
tedesco
che,
mettendo
in
dubbio
alcuni
aspetti
dal
cattolicesimo,
diede
avvio
alla
Riforma
protestante.
Il
centro
di
diffusione
della
sua
dottrina,
chiamata
luteranesimo,
fu
Wittenberg
dove
era
professore
all’Università.
2
Dottrina
secondo
la
quale
l’autorità
del
concilio
ecumenico
doveva
essere
superiore
a
quella
del
pontefice.
3
imposte
dello
Stato
della
Chiesa.
Non
deve
stupire,
dunque,
che
fosse
nata
una
grande
insoddisfazione
nei
confronti
di
una
Chiesa
e
di
un
capo
religioso
sempre
più
secolarizzati,
concretizzatesi
in
un
esteso
antipapismo.
A
fianco
dell’antipapismo
era
nato
anche
un
forte
sentimento
anticlericale
con
il
venir
meno
del
ruolo
di
guida
spirituale
del
clero,
assente
dalla
propria
parrocchia
o
diocesi
oppure
occupato
in
questioni
politiche,
senza
tralasciare
il
basso
livello
culturale
dello
stesso.
Questa
consapevolezza
della
direzione
in
cui
stava
andando
il
cristianesimo
era
legata
anche
allo
sviluppo
di
una
nuova
coscienza
critica
conseguente
all’aumento
del
livello
d’istruzione,
alla
diffusione
della
stampa
e
al
nuovo
interesse
del
laicato
per
le
questioni
religiose.
Di
fronte
alla
corruzione
della
Chiesa
e
alla
conseguente
perdita
di
credibilità
della
sua
istituzione
era
emersa
la
possibilità
di
interrogare
direttamente
le
Sacre
Scritture,
per
portare
a
un
rinnovamento
religioso
che
prevedeva
un
ritorno
al
cristianesimo
evangelico.
Si
arrivò
dunque
alla
vigilia
dell’avvento
di
Lutero
con
tutte
le
carte
in
tavola
per
l’inizio
della
Riforma.
La
linea
centrale
del
movimento
riformatore
era
rappresentata
da
Lutero,
Zwingli3,
Calvino4
e
dai
Riformatori
minori
–
come
Bucero5,
Capitone6,
Melantone7,
etc.
–
affiancati
da
vari
gruppi
o
personalità
isolate,
che
vengono
raggruppati
sotto
il
termine
di
“Riforma
radicale”,
“Ala
sinistra
della
Riforma”
o
“dissidenti”.
Seppure
rappresentanti
di
due
differenti
modi
di
pensare
la
Riforma,
entrambe
le
categorie
condividevano
gli
elementi
fondamentali
della
stessa:
“sola
scriptura,
solus
Christus,
sola
gratia,
sola
fide”8
e
sacerdozio
universale.
1.2.
L’Anabattismo
L’anabattismo,
appartenente
all’ala
radicale
della
Riforma,
può
vantare
il
contributo
di
numerosi
capi
carismatici
e
valorosi.
Infatti,
emerge
emblematicamente
l’inesistenza
di
una
3
Huldrych
Zwingli
(1484
–
1531):
una
volta
ordinato
sacerdote
si
avvicinerà
alle
posizioni
di
Erasmo
da
Rotterdam
per
poi
dare
vita
a
Zurigo
a
quella
corrente
della
Riforma
protestante
chiamata
appunto
zwinglianesimo.
4
Giovanni
Calvino
(1509
-‐1564):
umanista
e
teologo
francese
che
farà
della
città
di
Ginevra
il
centro
di
una
delle
correnti
più
influenti
della
Riforma,
il
calvinismo.
Martin
Bucero
(1491
–
1551)
:
teologo
tedesco
che
diede
un’impronta
significativa
alla
Riforma
a
Strasburgo.
5
6
Volfango
Capitone
(1478
–
1541):
teologo
tedesco
che
lavorò
a
fianco
di
Bucero
a
Strasburgo,
ma
su
posizioni
più
moderate
e
tolleranti
rispetto
a
quest’ultimo.
7
Filippo
Melantone
(1497
–
1560):
umanista
e
teologo
tedesco
che,
affiancando
Lutero,
contribuì
in
primo
piano
alla
diffusione
del
luteranesimo.
8
E.
Campi,
Nascita
e
sviluppo
del
protestantesimo
(secoli
XVI-‐XVIII),
in
G.
Filoramo
e
D.
Menozzi
(a
cura
di),
Storia
del
cristianesimo.
L’età
moderna,
Bari,
Editori
Laterza,
2006,
p.
8.
4
figura
completamente
assimilata
e
universalmente
riconosciuta
dal
movimento
religioso
come
guida
a
livello
dottrinale
e
disciplinare,
da
cui
prendere
il
nome.
Al
contrario
questo
avveniva
per
le
principali
correnti
della
Riforma:
da
Lutero
era
nato
il
luteranesimo,
da
Zwingli
il
zwinglianesimo
e
da
Calvino
il
calvinismo.
Il
termine
“anabattismo”
viene
cognato
in
senso
spregiativo
dagli
avversari
con
l’obiettivo
di
sottolineare
la
pratica
del
doppio
battesimo
istituita
dai
suoi
seguaci.
Seppure
passati
alla
storia
con
questo
nome,
essi
lo
rinnegavano
reputando
di
non
amministrare
un
nuovo
battesimo
ma
il
solo
valevole,
e
tra
di
loro
preferivano
chiamarsi
“fratelli”
o
“fratelli
in
Cristo”.
Questo
carattere
poliedrico
se
da
un
lato
può
essere
considerato
una
forza,
per
l’apporto
di
molteplici
menti
di
primo
piano,
dall’altro
“condanna”
il
movimento
ad
avere
al
proprio
interno
vari
gruppi
non
completamente
assimilabili
e
non
formanti
un
fronte
unico
e
compatto,
nonostante
la
condivisione
delle
linee
fondamentali.
Anzi
queste
differenze
hanno
portato
di
volta
in
volta
all’emergere
di
tensioni,
contrapposizioni
interne,
dispute,
fino
a
giungere
ad
estreme
conseguenze
scismatiche.
1.2.1.
Nascita
e
diffusione
L’anabattismo
nacque
in
seno
alla
riforma
di
Zurigo
promossa
da
Zwingli,
ma
in
opposizione
ad
alcuni
aspetti
di
quest’ultima.
Zwingli
aveva
iniziato
la
sua
predicazione
riformatrice
nel
1519,
essa
possedeva
molti
elementi
in
comune
con
il
luteranesimo:
dal
richiamo
alla
sola
autorità
della
Sacra
Scrittura
alla
giustificazione
per
sola
fede,
dall’opposizione
all’autorità
papale
e
conciliare
al
mantenimento
di
due
soli
sacramenti:
il
battesimo
e
l’eucarestia
(seppur
con
un’accezione
diversa
rispetto
a
Lutero)9.
Egli
voleva
istituire
una
Chiesa
fondata
unicamente
sulla
Parola
di
Dio
e
dunque
depurare
la
Chiesa
contemporanea
da
tutte
le
strutture,
credenze
e
pratiche
non
conformi
alle
Sacre
Scritture.
Tuttavia
Zwingli,
oltre
ad
essere
un
capo
religioso,
era
anche
un
capo
politico
il
cui
obiettivo
era
estendere
tale
riforma
a
tutta
la
Svizzera.
Per
realizzare
il
suo
obiettivo
era
necessario
che
la
riforma
a
Zurigo
procedesse
senza
intoppi
e
questo
era
possibile
unicamente
con
il
sostegno
delle
autorità
cittadine.
Naturalmente
tale
collaborazione
poteva
funzionare
unicamente
con
un’applicazione
graduale
del
rinnovamento
religioso
e
con
il
mantenimento
da
parte
del
Consiglio
cittadino
dell’autorità
in
merito
alle
questioni
religiose.
Infatti,
si
era
stabilito
che
il
Consiglio
assistesse
ai
dibattiti
dei
teologi
e
in
seguito
stabilisse
la
linea
da
R.
H.
Bainton,
La
Riforma
protestante,
Torino,
Einaudi,
2000,
pp.
81-‐82.
9
5
seguire.
Come
spiegato
dallo
storico
Ugo
Gastaldi,
fu
proprio
questo
il
motivo
della
discussione
tra
il
futuro
gruppo
di
dissidenti
–
Konrad
Grebel 10 ,
Felix
Manz 11 ,
Wilhelm
Reubin12,
Hans
Brötli13
e
Simon
Stumpf14
–
e
Zwingli:
la
riforma
della
Chiesa
era
diventata
una
riforma
di
Stato15.
L’occasione
dell’emergere
dell’opposizione
si
ebbe
durante
la
seconda
disputa
teologica
inerente
la
messa
e
le
immagini,
nell’ottobre
del
1523.
Alla
sua
conclusione
emerse
in
modo
netto
il
problema
dell’autorità
in
seno
alla
riforma:
se
da
un
lato
Zwingli
sosteneva
che
la
massima
autorità
fossero
le
Sacre
Scritture,
per
cui
ne
scaturiva
che
la
messa
sarebbe
dovuta
essere
sostituita
con
i
sermoni
e
le
immagini
eliminate
in
quanto
idolatre,
dall’altra
cedeva
l’effettiva
realizzazione
di
essa
al
Consiglio
cittadino,
che
decise
di
posticipare
l’introduzione
di
tali
aspetti
per
evitare
una
rottura
con
Roma.
All’accusa
d’incoerenza
da
parte
di
Grebel
e
Manz,
Zwingli
si
difese
distinguendo
la
diversa
sfera
d’azione
della
Parola
di
Dio
e
delle
magistrature:
la
prima
agiva
sull’interiorità
dell’uomo,
la
seconda
su
tutto
ciò
che
era
esterno
e
quindi
anche
sugli
elementi
esteriori
della
verità
evangelica,
come
la
Chiesa.
In
risposta
Stumpf
sottolineò
il
pericolo
di
un
allontanamento
del
governo
dalle
idee
della
riforma
e
del
conseguente
obbligo
di
tacere
la
verità
delle
Sacre
Scritture,
obbedendo
esteriormente
all’autorità
cittadina.
Di
pari
passo
con
l’esclusione
delle
loro
proposte
nelle
successive
dispute
e
con
l’emergere
della
linea
moderata
di
Zwingli,
la
loro
posizione
si
fece
più
radicale
e
prevalse
la
volontà
di
proseguire
con
più
coerenza
il
programma
di
riforme
che
avrebbe
portato
alla
restaurazione
di
quella
che
era
la
vera
Chiesa
cristiana.
Da
qui
un’analisi
dettagliata
delle
Sacre
Scritture
al
cui
interno
si
trovavano
i
lineamenti
di
tale
Chiesa:
per
prima
cosa
la
Chiesa
doveva
essere
separata
dalla
società,
in
secondo
luogo
doveva
essere
composta
solo
da
veri
credenti,
in
terzo
luogo
doveva
essere
fondata
sulla
Parola
e
infine
doveva
essere
applicata
una
disciplina
a
livello
sia
individuale
sia
collettivo.
Ugo
Gastaldi
sottolinea
che
non
si
deve
dimenticare
che
è
proprio
grazie
al
biblicismo
promulgato
da
Zwingli,
per
cui
veniva
tenuta
10
Konrad
Grebel
(1498
–
1526):
umanista
svizzero
diventò
uno
dei
massimi
teorici
dell’anabattismo
dando
vita
al
gruppo
dei
Fratelli
Svizzeri.
Particolarmente
attivo
nel
Canton
Sciaffusa
e
a
San
Gallo.
11
Felix
Manz
(1498
–
1527):
laico
fondatore
insieme
a
Grebel
dell’anabattismo.
Viene
ricordato
quale
primo
anabattista
ad
essere
stato
condannato
a
morte;
ciò
avvenne
il
5
gennaio
1527
a
Zurigo
in
terra
protestante.
12
Wilhelm
Reublin
(1480/4
–
1559):
ex-‐prete
tedesco
che,
oltre
all’importanza
negli
eventi
iniziali
del
movimento,
fu
indispensabile
per
la
diffusione
dell’anabattismo
nella
Germania
meridionale.
13
Hans
Brötli
(1494
–
1528):
ex-‐
prete
cattolico
pronunciatosi
per
primo
contro
il
battesimo
dei
bambini,
attirando
l’attenzione
e
influenzando
Grebel.
Simon
Stumpf:
ex-‐
prete
tedesco,
di
grande
importanza
nelle
dispute
pubbliche
tenutesi
contro
Zwingli.
14
15
U.
Gastaldi,
Storia
dell’anabattismo,
vol.
1:
dalle
origini
a
Münster
1525-‐1535,
Torino,
Claudiana,
1992,
pp.
75-‐86.
6
in
considerazione
tutta
la
Bibbia
indistintamente,
e
all’insegnamento
dell’analisi
e
dell’interpretazione
delle
Sacre
Scritture,
senza
sottostare
all’oscurantismo
della
tradizione,
che
nacque
l’anabattismo16.
La
rottura
definitiva
con
Zurigo
si
ebbe
la
notte
del
21
gennaio
1525
in
merito
alla
questione
del
battesimo.
In
precedenza,
il
gruppo
con
a
capo
Grebel
aveva
disquisito
su
questo
tema:
fu
sottoposta
a
radicali
critiche
la
validità
del
battesimo
dei
bambini
e
affermato
a
livello
teorico
il
battesimo
degli
adulti.
Essi
tentarono
di
convincere
Zwingli
della
veridicità
delle
loro
posizioni
durante
incontri
privati,
chiamati
i
“colloqui
di
martedì”,
portando
come
unica
prova
la
Bibbia.
Non
riuscendo
ad
arrivare
a
un
accordo
si
procedette
con
delle
dispute
pubbliche,
che
si
tennero
il
10
e
il
17
gennaio
1525,
in
seguito
alle
quali
il
Consiglio
cittadino
promulgò
due
decreti
volti
a
prevenire
la
diffusione
e
la
messa
in
pratica
di
queste
idee.
Il
primo
stabiliva
che
dovessero
essere
battezzati
tutti
i
bambini
entro
i
primi
otto
giorni
di
vita
o
in
caso
contrario
le
famiglie
sarebbero
state
bandite.
Mentre
il
secondo,
volto
a
colpire
i
responsabili
di
questi
“problemi”,
proibiva
al
fronte
dei
radicali
di
riunirsi
e
invitava
coloro
che
fra
essi
non
erano
cittadini
di
Zurigo
a
lasciare
la
città.
Questa
legislazione
ebbe
l’effetto
contrario
e
portò
alla
nascita
della
prima
vera
comunità
anabattista,
resa
ufficiale
dalla
pratica
del
battesimo
dei
quindici
membri
di
cui
era
composta.
Per
comprendere
l’eccezionalità
dell’evento
si
deve
considerare
che
è
il
primo
battesimo
di
adulti
nella
storia
moderna
del
cristianesimo.
Questo
piccolo
gruppo
si
lanciò
subito
in
un’intensa
attività
missionaria
volta
alla
diffusione
dell’evangelo
nei
territori
intorno
a
Zurigo
e
in
varie
località
della
Svizzera.
Non
deve
stupire
che
uno
dei
principali
insegnamenti
della
predicazione
fosse
che
la
Bibbia
era
il
libro
tramite
il
quale
ognuno
poteva
apprendere
da
sé
la
parola
di
Dio
senza
mediatori,
così
che
veramente
la
Parola
di
Dio
risultava
essere
la
massima
autorità
sopra
la
quale
non
si
poneva
nulla
e
nessuno.
Dal
1525
al
1526
sorsero
varie
comunità
nell’Appenzello,
nei
Grigioni,
ad
Argovia,
a
Basilea,
a
Lucerna
e
a
Berna.
Tuttavia
non
si
limitarono
a
questi
territori,
ma
ben
presto
valicarono
i
confini
della
Svizzera
grazie
all’opera
di
Reublin,
cui
va
anche
il
merito
di
aver
battezzato
Hubmaier17,
che
si
rivelerà
essere
un
esponente
di
primo
piano.
Dalla
Germania
l’anabattismo
di
diffuse
nei
vari
paesi
di
lingua
tedesca
–
dall’Alsazia
Ivi,
p.
74.
16
17
Balthasar
Hubmaier
(1480/1
–
1528):
antecedentemente
ordinato
sacerdote,
diventerà
uno
dei
massimi
teologi
dell’anabattismo.
Molto
attivo
come
predicatore
in
Germania
e
in
Moravia,
dove
formò
una
comunità
a
Nikolsburg.
7
alla
Moravia,
dalla
Baviera
al
Mare
del
Nord
–
grazie
all’opera
di
grandi
personalità
che
lasciarono
dietro
di
sé
nuove
comunità,
le
quali
divennero
a
loro
volta
dei
centri
missionari.
In
Germania
le
due
più
grandi
comunità
che
si
formarono
furono
ad
Augusta
e
a
Strasburgo.
Nella
città
di
Augusta
dal
maggio
del
1526
al
settembre
del
1527
si
sviluppò
una
comunità
di
migliaia
di
membri
che
fu
fautrice
di
un’intensa
attività
missionaria.
Quest’attività
fu
formalizzata
nel
“sinodo
dei
martiri”,
durante
il
quale
s’ideò
un
programma
di
evangelizzazione
razionalizzato,
in
cui
ogni
area
era
affidata
ad
un
predicatore
diverso.
L’obiettivo
del
programma
era
la
diffusione
dell’anabattismo
nella
Germania
meridionale,
nella
Germania
centrale,
nel
Tirolo,
in
Austria
e
in
Moravia.
Questa
conferenza
ebbe
luogo
il
20
agosto
del
1527
e
vi
parteciparono
una
sessantina
di
membri,
tra
cui
Hubmaier,
Hans
Hut
(1490
–
1527)
e
Hans
Denck
(ca.
1500
–
1527).
Quest’ultimo,
convertitosi
proprio
ad
Augusta
grazie
ad
Hubmaier,
diventò
uno
dei
capi
più
importanti
dell’anabattismo
e
fu
fautore
di
una
nuova
corrente,
la
corrente
spirituale.
Egli
a
sua
volta
seppe
convertire
all’anabattismo
Hans
Hut,
che
introdusse
per
la
prima
volta
nella
dottrina
l’evangelismo
escatologico
ed
ebbe
il
merito
di
portare
l’anabattismo
in
Franconia,
in
Moravia
(seppur
non
si
stabilì
a
causa
di
contrasti
con
Hubmaier),
in
Austria
e
nel
Tirolo.
In
questi
paesi,
in
seguito
a
una
serie
di
contrasti
con
i
capi
locali,
emerse
la
figura
di
primo
piano
di
Jakob
Hutter
(1500
–
1536),
che
divenne
il
capo
principale,
riconosciuto
dalla
maggior
parte
delle
comunità
austriache,
tirolesi
e
soprattutto
morave.
Dal
1533
al
1535
fu
in
grado
di
riorganizzare
a
livello
dottrinale
e
soprattutto
disciplinare
le
varie
comunità,
dando
loro
un’impronta
che
durerà
negli
anni
a
seguire.
L’elemento
più
caratteristico
della
nuova
organizzazione
fu
l’introduzione
della
pratica
della
comunione
dei
beni,
la
quale
oltre
alla
semplice
condivisione
prevedeva
la
produzione,
la
vita
quotidiana
e
l’educazione
dei
figli
in
comune.
La
città
di
Strasburgo
era
conosciuta
per
la
sua
grande
tolleranza
nei
confronti
delle
varie
correnti
della
riforma,
anche
quelle
più
radicali,
e
ciò
fece
sì
che
diventasse
un
centro
di
rifugio
per
le
persone
perseguitate
a
causa
della
religione,
tra
cui
gli
anabattisti.
Si
formò
una
grande
comunità
nel
1526
che
continuò
ad
avere
un’elevata
dinamicità
fino
al
1528.
Una
figura
particolarmente
importante
per
l’anabattismo
che
trascorse
un
periodo
della
sua
vita
nella
città
fu
Michael
Sattler
(1490
–
1527).
Bucero
e
Capitone,
i
rappresentanti
della
riforma
della
città,
lo
accolsero
positivamente
e
Sattler,
grazie
alle
discussioni
e
al
confronto
con
loro,
delineerà
in
modo
più
coerente
quella
che
era
la
dottrina
anabattista
scrivendo
un
sommario
in
venti
articoli.
Tuttavia
il
suo
più
grande
contributo
è
legato
alla
Confessione
di
8
Schleitheim18,
risultato
della
conferenza
tenuta
a
Schleitheim,
nel
Canton
Sciaffusa,
il
24
febbraio
del
1527.
La
Confessione
era
un
insieme
di
sette
articoli
redatti
con
l’obiettivo
di
specificare
un
canone
basato
sui
caratteri
comuni
della
corrente
biblicistica
dell’anabattismo,
tipica
dei
Fratelli
Svizzeri,
in
opposizione
ai
“falsi
fratelli”,
l’ala
spirituale
dell’anabattismo
rappresentata
da
Denck.
Non
fu
il
solo
capo
anabattista
che
troverà
rifugio
a
Strasburgo:
nel
1528
arrivò
Pilgram
Marpeck
(1495
–
1556),
che
animò
un
circolo
anabattista.
Egli
ebbe
il
grandissimo
merito
di
conciliare
la
linea
di
pensiero
di
Denck
e
Hut
con
quella
dei
Fratelli
Svizzeri
in
una
sintesi
che
racchiudeva
gli
elementi
migliori
di
ogni
sottogruppo.
Nel
1530
compare
Melchior
Hofmann
(1495
–
1543),
figura
di
grandissimo
rilievo
per
gli
eventi
futuri:
da
una
parte
per
la
diffusione
dell’anabattismo
nella
Germania
settentrionale
e
nei
Paesi
Bassi
e
dall’altra
per
l’introduzione
del
motivo
millenaristico,
esasperato
fino
a
stabilire
una
data
per
la
venuta
di
Gesù
Cristo
e
a
identificare
la
città
di
Strasburgo
come
luogo
dell’instaurazione
del
Regno
millenario.
Melchior
trovò
una
grande
adesione
e
il
suo
arresto
a
Strasburgo
finì
per
alimentare
il
fanatismo
dei
suoi
seguaci,
tradottosi
in
un
secondo
tempo
nel
millenarismo
rivoluzionario
di
Münster.
Si
deve
tenere
presente
che,
seppure
Hofmann
ideò
il
ritorno
di
Cristo
preceduto
da
un
combattimento
purificatore
che
avrebbe
dovuto
far
sorgere
le
città
libere
contro
l’imperatore,
il
papa
e
gli
eretici,
non
parlò
mai
della
discesa
sul
campo
di
battaglia
degli
anabattisti 19 .
Sebbene
si
possa
scorgere
un
cambiamento
di
tendenza
già
nel
millenarismo
di
Melchior,
dove
era
emersa
con
forza
una
volontà
vendicativa,
solo
negli
eventi
di
Münster
essa
ebbe
piena
espressione.
Quest’evoluzione
è
spiegata
molto
bene
da
Bainton,
che
identifica
nel
trattamento
verso
il
movimento
anabattista
da
parte
delle
autorità
il
motivo
della
perdita
graduale
di
fiducia
nel
pacifismo
e
soprattutto
la
nascita
dell’idea
secondo
cui
l’instaurazione
della
nuova
Gerusalemme
non
fosse
unicamente
opera
di
Dio,
ma
il
risultato
dell’azione
diretta
degli
eletti20.
Secondo
la
profezia
sostenuta
da
Hofmann,
sei
mesi
dopo
il
suo
arresto
era
previsto
l’avvento
di
Gesù
Cristo
ma
ciò
non
si
compì.
Dal
vuoto
lasciato
dalla
figura
di
Hofmann
emerse
un
nuovo
profeta
escatologico,
Jan
Matthys
di
Haarlem
(1500
–
1534),
il
quale
permetterà
il
passaggio
dal
pacifismo
18
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
pp.
216-‐220;
G.
Gonnet,
Vaudois
et
anabaptistes,
in
J-‐G.
Rott
&
L.
Verheus
(a
cura
di),
Anabaptistes
et
dissidents
au
XVI
siécle,
Baden-‐Bouxwiller,
Koerner,
1987,
pp.
19-‐34.
19
M.
Lienhard,
Gli
anabattisti,
in
L.
Mezzardi
(a
cura
di),
Il
tempo
delle
confessioni,
1530-‐1620/30,
vol.8,
Roma-‐
Borla,
Città
Nuova,
2001,
p.
126.
R.
H.
Bainton,
op.cit.,
pp.
102-‐103.
20
9
all’attuazione
della
violenza
e
della
vendetta
latenti.
Una
volta
divenuto
il
nuovo
profeta
istituì
dodici
apostoli
con
il
compito
di
diffondere
il
suo
messaggio
nelle
province
olandesi
e
in
terra
tedesca.
Molto
probabilmente
era
stato
in
grado
di
captare
il
clima
in
cui
si
trovava
a
predicare,
poiché,
seppur
su
posizioni
pacifiste,
fin
da
subito
esaltò
il
ruolo
della
violenza
e
della
punizione
degli
empi.
Emblematiche
in
questo
sento
le
parole
di
un
altro
anabattista,
Obbe
Philips21,
testimone
della
predicazione
nelle
comunità
anabattiste
di
due
apostoli
di
Matthys:
“essi
ci
confortavano
anche
dicendo
che
non
dovevamo
avere
né
ansietà
né
timore
come
ne
avevamo
avuto
per
lungo
tempo,
perché
sulla
terra
non
sarebbe
stato
sparso
sangue
di
cristiani,
ma
in
breve
tempo
Dio
avrebbe
liberato
la
terra
da
tutti
coloro
che
spargono
sangue,
da
tutti
i
tiranni
e
gli
empi”22.
Le
condizioni
per
la
svolta
in
senso
rivoluzionario
si
crearono
a
Münster
in
Vestfalia;
in
questa
città
si
erano
diffuse
precedentemente
le
idee
della
riforma
d’impronta
luterana
grazie
all’opera
del
commerciante
di
stoffe
Knipperdolling
e
al
predicatore
Bernhard
Rothmann
(1495
–
1535).
Il
23
gennaio
1532
era
stata
adottata
dal
Consiglio
una
confessione
di
fede
ideata
da
Rothmann.
Solo
in
un
secondo
momento
si
era
andata
formando
una
comunità
anabattista
alla
quale
aderì
lo
stesso
Rothmann,
che
sarà
anche
ricordato
per
il
suo
ruolo
di
teologo
del
millenarismo
rivoluzionario.
Il
vescovo
Franz
von
Waldeck,
di
fronte
a
questi
eventi,
cercò
di
riprendere
possesso
della
città
tramite
vari
tentativi:
il
28
gennaio
1534
mediante
un
editto
contro
gli
anabattisti
e
coloro
che
li
proteggevano,
che
non
ebbe
successo
grazie
alla
nascita
di
un
fronte
unico
rappresentante
la
riforma
per
ostacolare
il
ritorno
del
cattolicesimo,
e
in
seguito
tramite
il
falso
allarme
di
un
esercito
di
3'000
uomini
che
stava
marciando
verso
la
città,
che
ebbe
l’esito
di
far
prendere
le
armi
agli
anabattisti.
Ma
la
conseguenza
più
intrinseca
fu
l’attribuire
alla
città
assediata
(poiché
in
un
secondo
momento
fu
assediata
realmente)
e
al
gruppo
dei
credenti
in
armi
un
significato
trascendente.
Il
24
febbraio
dello
stesso
anno
Matthys
raggiungeva
due
dei
suoi
apostoli
arrivati
in
precedenza
in
città,
Jan
Beukelszoon
de
Leida
(chiamato
anche
Giovanni
da
Leida
visse
circa
dal
1509
al
1536)
e
Gert
tom
Kloster23,
e
ne
prendeva
il
comando.
Matthys
sancì
che
Münster
fosse
definitivamente
riconosciuta
come
nuova
Gerusalemme
e
gli
eletti
in
armi
21
Obbe
Philips
(1500
–
1568):
uno
dei
primi
a
diffondere
l’anabattismo
nei
territori
olandesi
e,
benché
convertitosi
a
causa
della
predicazione
di
Matthys,
fu
ben
presto
in
grado
di
vederne
i
limiti.
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
p.
507.
22
23
Gert
tom
Kloster:
nel
suo
ruolo
di
apostolo
ebbe
una
funzione
di
primo
piano
e
sarà
l’unico
che,
pur
fallendo,
si
avvicinerà
a
ricreare
l’esperienza
di
Münster
in
altre
città.
10
come
l’avanguardia
dell’esercito
dei
santi,
che
per
Pasqua
si
avverasse
l’avvento
del
Regno
di
Cristo
e
la
distruzione
della
terra
ad
eccezione
degli
abitanti
della
città;
inoltre
instaurò
un
governo
teocratico
ed
assoluto.
Seppure
fosse
stato
istituito
un
consiglio
di
obbedienza
anabattista,
il
potere
effettivo
era
nelle
mani
di
Matthys,
legittimato
dalle
sue
“rivelazioni”
tramite
le
quali
Dio
lo
guidava
e
lui
a
sua
volta
guidava
il
popolo.
Nel
tentativo
di
creare
una
comunità
più
simile
possibile
a
quella
apostolica
fu
abolito
il
possesso
privato
del
denaro
e
istituita
la
proprietà
collettiva
e
l’uso
comune
dei
beni
di
consumo.
In
questo
clima
sempre
più
teso
ed
esaltato
non
potevano
essere
tollerate
delle
opposizioni,
per
questo
si
ricorse
alle
esecuzioni:
la
prima
fu
voluta
da
Matthys
ma
è
solo
sotto
il
suo
successore,
Giovanni
da
Leida,
che
divennero
sistematiche.
Giovanni
da
Leida
fu
riconosciuto
quale
nuovo
profeta
in
seguito
alla
morte
di
Matthys,
che
perse
la
vita
in
una
sortita
oltre
le
mura,
e
fu
fautore
dell’introduzione
del
“comunismo
di
produzione”24
e
della
poligamia,
la
quale
suscitò
l’indignazione
della
popolazione
e
causò
la
nascita
di
ulteriori
dissensi.
Egli,
sfruttando
il
successo
di
alcune
spedizioni
militari
contro
l’esercito
del
vescovo,
arrivò
ad
assumere
il
ruolo
di
re
Davide
e
instaurò
definitivamente
una
dittatura
monarchica.
Malgrado
la
resistenza
degli
assediati
un
duplice
tradimento
consentì
all’esercito
del
vescovo
e
del
principe
Filippo
d’Assia
di
entrare
in
città
il
24
gennaio
1535.
I
sopravvissuti
furono
massacrati
e
i
capi
catturati
e
messi
a
morte.
Sia
Bainton25,
sia
Gastaldi26,
sia
Lienhard27
pongono
in
rilievo
come
bastò
il
singolo
episodio
di
Münster
per
condannare
irrimediabilmente
il
movimento
anabattista
e
giustificare
la
grandissima
repressione
che
ne
seguì.
Tuttavia
l’anabattismo
non
sparì
grazie
ad
un’opera
di
ripensamento,
mediante
la
quale
vennero
eliminati
tutti
gli
elementi
riconducili
a
detta
esperienza,
e
resistette
all’azione
denigratrice
e
violenta.
I
fautori
di
questa
grandissima
opera
di
delineazione
dei
principi
dottrinali
e
disciplinari
furono
Pilgram
Marpeck,
che
agì
nella
Germania
meridionale,
Menno
Simons28,
nella
Germania
settentrionale
e
nei
Paesi
Bassi,
e
Peter
Piedemann29,
il
quale
si
mise
alla
testa
degli
hutterini
della
Moravia.
24
M.
Lienhard,
Gli
anabattisti,
in
L.
Mezzardi
(a
cura
di),
Il
tempo
delle
confessioni,
1530-‐1620/30,
vol.8,
Roma-‐
Borla,
Città
Nuova,
2001,
p.
132.
R.
H.
Bainton,
op.cit.,
pp.
103-‐104.
25
11
1.2.2.
Persecuzione
e
opposizione
Il
movimento
anabattista
fu
caratterizzato
da
una
grandissima
opposizione
da
parte
sia
delle
autorità
cittadine
sia
delle
altre
correnti
religiose,
protestanti
e
cattoliche.
Proprio
per
questa
duplice
opposizione,
la
contestazione
si
espresse
tramite
due
canali
diversi:
la
legislazione
e
le
opere
teologiche.
Le
prime
misure
repressive
furono
applicate
a
Zurigo
nel
tentativo
di
limitare
la
diffusione
del
movimento;
inizialmente
la
loro
funzione
fu
di
avvertimento
ma
in
seguito
furono
estremizzate
fino
all’introduzione
della
pena
di
morte.
Infatti,
il
7
marzo
1526
fu
introdotto
un
decreto
che
prevedeva
l’esecuzione
tramite
affogamento
per
chi
si
fosse
reso
colpevole
di
ribattesimo
o
per
chi,
dopo
aver
ritrattato,
fosse
tornato
all’anabattismo.
Queste
misure
si
erano
diffuse
antecedentemente
nei
cantoni
cattolici
e
ora
venivano
applicate
anche
in
quelli
aderenti
alla
Riforma,
tant’è
che
dal
1526
si
vide
una
grande
limitazione
della
prolificazione
di
questi
gruppi.
Risulta
essere
molto
importante
comprendere
la
motivazione
di
una
reazione
così
estrema
nei
confronti
di
questo
gruppo
da
parte
di
Zwingli,
perché
è
un
motivo
che
accomuna
la
maggior
parte
dei
principali
esponenti
della
Riforma.
Come
spiegato
poc’anzi
l’obiettivo
politico
del
riformatore
zurighese
era
creare
una
Confederazione
elvetica
protestante
dominata
da
Zurigo
e
Berna,
pertanto
l’anabattismo
risultava
essere
un
ostacolo
che
andava
eliminato.
Questo
per
due
ragioni:
da
una
parte
minacciava
l’unità
religiosa
di
Zurigo
e
dall’altra
legittimava
l’accusa
di
dissolutezza
religiosa
da
parte
dei
cattolici,
i
quali
racchiudevano
tutti
questi
gruppi
sotto
il
termine
indistinto
di
Riforma.
D’altro
canto
le
autorità
cittadine
erano
preoccupate
per
gli
elementi
contrari
alla
società
costituita,
promulgati
dagli
anabattisti
e
travisati
fin
a
stabilire
che
l’obiettivo
del
movimento
fosse
principalmente
sovversivo
e
mirante
alla
distruzione
dell’autorità.
Di
pari
passo
alla
diffusione
dell’anabattismo
nelle
varie
nazioni
si
diffondeva
anche
la
legislazione
contro
di
esso.
Per
avere
un’idea
della
portata
di
tale
legislazione
è
indicativa
l’ipotesi
del
numero
delle
esecuzioni
avvenute
tra
il
1527
e
il
1529
proposta
da
Leinhard:
dalle
1'200
alle
1’500
esecuzioni
30.
Non
passò
molto
tempo
prima
che
le
autorità
facessero
fronte
comune
con
i
Riformatori:
quest’occasione
si
ebbe
con
la
Dieta
di
Spira.
Nella
Dieta
di
Spira,
il
23
aprile
1529,
i
rappresentanti
degli
Stati
cattolici
e
luterani
dell’Impero,
divisi
sulle
questioni
religiose,
si
trovarono
d’accordo
nella
condanna
dell’anabattismo
e
approvarono
30
M.
Lienhard,
Gli
anabattisti,
in
L.
Mezzardi
(a
cura
di),
Il
tempo
delle
confessioni,
1530-‐1620/30,
vol.8,
Roma-‐
Borla,
Città
Nuova,
2001,
p.
162.
12
unanimemente
il
mandato
imperiale
pubblicato
l’anno
prima
da
Carlo
V.
L’editto
prevedeva
indistintamente
l’esecuzione
capitale
di
tutti
i
personaggi
di
rilievo
del
movimento
e
di
coloro
che
erano
recidivi,
mentre
i
semplici
fedeli
venivano
sottoposti
a
pene
minori:
multe,
punizioni
corporali,
bandi
e
confische.
In
realtà
l’applicazione
dell’editto
variò
molto
da
luogo
a
luogo.
Per
esempio
nei
territori
appartenenti
alla
casa
degli
Asburgo,
sotto
il
cui
controllo
da
poco
tempo
si
trovavano
anche
la
Moravia
e
l’Ungheria,
la
repressione
fu
durissima.
Al
polo
opposto
si
può
vedere
la
linea
seguita
dalle
città
imperiali
della
Svevia,
che
trova
espressione
nelle
“Risoluzioni
di
Memmingen”,
redatte
in
seguito
a
varie
riunioni
tenutesi
dal
26
febbraio
al
1
marzo
del
1531.
Il
testo
stabiliva
da
una
parte
che
il
battesimo
dei
bambini
non
dovesse
essere
obbligatorio,
con
lo
scopo
di
indebolire
l’accusa
di
ribattesimo
contro
gli
anabattisti,
e
dell'altra
che
combattere
questo
movimento
con
le
misure
approvare
dal
decreto
imperiale
fosse
inaccettabile.
Rappresentativo
del
pensiero
di
coloro
che
sottoscrissero
queste
risoluzioni
è
un
passaggio
delle
stesse:
“Riguardo
agli
anabattisti
desideriamo
sinceramente
che
siano
trattati
con
la
maggiore
tolleranza
possibile,
in
modo
che
il
nostro
evangelo
non
sia
biasimato
od
impugnato
da
parte
loro.
Perché
noi
abbiamo
veduto
sinora
molto
chiaramente
che
i
trattamenti
esageratamente
severi
e
tirannici
nei
loro
riguardi
contribuirono
molto
più
a
diffondere
che
a
frenare
i
loro
errori;
poiché
molti
tra
loro,
alcuni
per
ostinazione
di
spirito
e
altri
per
semplice
pia
fermezza,
sopportano
tutti
i
pericoli,
anche
la
morte
stessa,
e
soffrirono
con
tale
pazienza
che
non
solo
i
loro
aderenti
furono
fortificati,
ma
anche
molti
di
noi
furono
messi
a
guardare
alla
loro
causa
come
buona
e
giusta”31.
Il
documento
sottolinea
un
aspetto
altrettanto
importante:
non
era
di
competenza
dello
Stato
intervenire
in
materia
religiosa
con
la
spada
e
la
coercizione
per
imporre
una
particolare
fede.
Come
si
può
vedere
non
tutte
le
posizioni
furono
favorevoli
alla
pena
di
morte
e
in
generale
alla
legislazione
repressiva
per
risolvere
la
questione
anabattista,
tuttavia
la
maggior
parte
delle
voci
discordanti
sparirono
dopo
gli
eventi
di
Münster.
Da
questo
momento
in
avanti
tutti
gli
anabattisti
furono
additati
come
rivoluzionari,
sediziosi,
assassini,
licenziosi,
vagabondi,
etc.
e
assimilati
agli
anabattisti
della
città
di
Münster.
Significativi
gli
avvenimenti
che
colpirono
le
comunità
hutterine
morave:
queste
comunità,
come
spiegato
in
precedenza,
erano
sorte
grazie
all’opera
di
Hutter
e
vivevano
in
relativa
stabilità,
al
di
là
della
legislazione
degli
Asburgo,
grazie
al
sostegno
della
nobiltà
locale;
tuttavia
sarà
il
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
pp.
393-‐394.
31
13
cambiamento
della
mentalità
collettiva
a
permettere
a
Ferdinando
d’Asburgo
di
portare
avanti
una
durissima
repressione
in
cui
perse
la
vita
lo
stesso
capo
religioso.
L’altra
grande
opposizione
era
rappresentata
dalle
opere
teologiche,
le
quali
possono
essere
divise
in
due
gruppi
principali:
quelle
volte
a
confutare
i
principi
della
fede
anabattista
e
quelle
volte
a
giustificare
la
legislazione
repressiva.
La
prima
opera
di
confutazione
teologica
fu
redatta
a
Zurigo
per
mano
di
Zwingli
ed
era
un
trattato
sul
battesimo
(Del
battesimo,
ribattesimo
e
battesimo
dei
bambini),
ma
ancora
più
importante
fu
la
confutazione
degli
articoli
di
Schleitheim.
Di
questo
genere
si
produssero
molteplici
lavori
per
mano
dei
Riformatori,
come
il
trattato
di
Calvino
Contro
nicodemiti,
anabattisti
e
libertini.
Fondamentale,
soprattutto
per
l’immagine
che
si
ebbe
per
lungo
tempo
dell’anabattismo
e
per
la
storiografia
successiva,
fu
l’opera
di
Bullinger.
Egli,
tramite
il
suo
trattato,
collegava
il
movimento
anabattista
ai
“profeti
di
Zwickau” 32
e
a
“Thomas
Müntzer” 33 ,
che
nell’immaginario
collettivo
godevano
di
una
pessima
reputazione
e
venivano
associati
ad
eventi
rivoluzionari,
andando
a
screditare
ancor
di
più
l’anabattismo.
Vediamo
invece
in
primo
piano,
nella
legittimazione
del
diritto
delle
autorità
civili
a
combattere
l’anabattismo
con
la
forza,
Lutero
e
Melantone.
Lutero,
essendosi
sempre
espresso
contro
l’uso
della
violenza
verso
gli
eretici,
per
giustificarla
dovette
definirli
quali
“bestemmiatori”,
in
quanto
a
differenza
degli
“eretici”
diffondevano
con
intento
sedizioso
la
loro
fede
rifiutando
il
ministro
della
Parola
di
Dio,
atto
gravissimo
di
ribellione
nei
riguardi
della
Chiesa
stabilita
e
della
società
cristiana:
spettava
pertanto
all’autorità
civile
mantenere
la
pace
pubblica
ed
eliminare
questa
minaccia.
Differentemente
Melantone
pone
in
maggior
rilievo
gli
elementi
di
opposizione
all’ordine
costituito
e
il
rifiuto
dei
credenti
di
far
parte
della
società.
In
ogni
caso
la
creazione
di
vere
e
proprie
confutazioni
teologiche
ed
opere
denigratorie
da
parte
dei
maggiori
esponenti
della
Riforma
–
Zwingli,
Bullinger 34 ,
Calvino,
Lutero,
Melantone
e
Bucero
–
mostra
non
solo
la
percezione
dell’anabattismo
quale
reale
minaccia
ma
anche
la
sua
incredibile
capacità
di
diffusione
e
di
prosperità.
32
Un
gruppo
di
tre
personaggi
apparso
nel
1521
a
Wittenberg:
contestavano
la
validità
del
battesimo
dei
bambini,
pur
non
arrivando
alla
pratica
del
battesimo
degli
adulti,
e
sostenevano
concezioni
ispirazionistiche
e
millenaristiche.
Figura
che
ebbe
un
ruolo
di
primo
piano
nella
guerra
dei
contadini.
33
Heinrich
Bullinger
(1504
–
1575):
teologo
che
succedette
a
Zwingli
nella
conduzione
della
Riforma
di
Zurigo.
34
14
1.3.
Il
Calvinismo
Il
calvinismo
nasce
da
Calvino
e
proprio
per
questo,
a
differenza
dell’anabattismo,
per
comprenderlo
ci
concentreremo
principalmente
su
quest’unico
grande
personaggio.
McGrath 35
ci
descrive
quest’uomo,
ponendo
in
rilievo
da
un
lato
la
sua
grandissima
intelligenza
e
la
sua
formazione
umanista,
caratteristiche
indispensabili
per
la
creazione
di
un
sistema
dottrinale
e
disciplinare
così
razionale
e
chiaro,
nonché
per
la
successiva
espansione,
e
dall’altro
il
suo
carattere
timido
e
asociale,
contro
il
quale
dovette
fare
violenza
per
portare
a
termine
il
mandato
affidatogli
da
Dio.
Un
altro
elemento
importante
da
ricordare,
sottolineato
da
Bainton36,
è
che
la
teologia
calvinista
nasce
nel
pieno
dell’espansione
della
Riforma
e
infatti
in
essa
si
possono
trovare
vari
elementi
in
comune
con
le
altre
correnti
precedentemente
sviluppatesi:
simile
al
luteranesimo
era
la
concezione
dell’eucarestia
come
veicolo
di
comunione
spirituale
e
l’uso
del
canto
dei
salmi;
dello
zwinglianesimo
emerge
la
medesima
sobrietà
nell’uso
dei
sussidi
religiosi
esterni
e
l’idea
della
creazione
di
una
repubblica
di
santi
e
dall’anabattismo
deriva
l’idea
della
Chiesa
come
una
comunità
di
credenti
convinti
e
il
conseguente
rigore
disciplinare.
Tuttavia
possedeva
due
elementi
caratteristici
e
associati
tra
loro:
l’attivismo,
cioè
la
grande
opera
missionaria
affiancata
da
un
esteso
intervento
nella
società,
e
l’internazionalismo,
a
causa
della
diffusione
a
livello
internazionale
di
questa
corrente
della
riforma
grazie
alla
sua
capacità
di
conquistare
interi
popoli.
La
centralità
dell’internazionalismo
del
calvinismo
non
relega
in
secondo
piano
l’esperienza
di
Ginevra,
come
vedremo
nel
capitolo
successivo,
perché,
seppur
contrastato
dall’autorità
cittadina,
Calvino
deve
molto
all’esperienza
ivi
vissuta.
1.3.1.
Dalla
conversione
a
Ginevra
Calvino,
a
differenza
della
maggior
parte
dei
capi
della
linea
centrale
del
movimento
riformatore,
non
era
un
teologo.
Si
era
diplomato
in
giurisprudenza
civile
a
Orléans
fra
il
1526
e
il
1528.
Fu
proprio
in
quest’occasione
che
ebbe
l’opportunità
d’apprendere
e
assimilare
il
metodo
scientifico
dell’umanesimo,
che
da
questo
momento
in
poi
diventò
una
costante
nel
suo
pensiero.
Esso
era
centrato
su
un
rinnovamento
basato
sullo
studio
e
35
A.
E.
McGrath,
Giovanni
Calvino,
il
riformatore
e
la
sua
influenza
sulla
cultura
occidentale,
Torino,
Claudiana,
2009.
R.
H.
Bainton,
op.cit.,
pp.
107-‐108.
36
15
l’analisi
dei
testi
originali,
che
in
un
secondo
momento
fu
applicato
alla
fede
cristiana
e
alla
Chiesa.
Ciò
avvenne
dopo
la
sua
conversione,
periodo
del
quale
non
si
sa
molto
per
sua
stessa
volontà
e
che
viene
descritto
da
Calvino
solamente
nella
prefazione
al
Commento
ai
Salmi
del
1557.
Senza
dilungarsi
sull’effettivo
processo
di
avvicinamento
alla
fede
riformata,
descrive
l’esperienza
come
una
“conversione
improvvisa”
per
unico
merito
dell’azione
di
Dio;
emblematica
la
metafora
da
lui
utilizzata
“Alla
fine,
Dio
cambiò
direzione
alla
mia
corsa
mediante
la
briglia
nascosta
della
provvidenza…
Mediante
una
conversione
improvvisa
alla
docilità,
domò
una
mente
troppo
ostinata
per
gli
anni
che
aveva”37.
Da
allora
si
sente
chiamato
a
servire
Dio
per
uno
scopo
preciso.
Tuttavia
si
sa
con
sicurezza
che
questa
conversione
avvenne
prima
del
suo
soggiorno
a
Ginevra:
dopo
l’inasprirsi
delle
tensioni
religiose
in
Francia,
si
era
recato
a
Basilea
per
un
periodo
in
cui
lavorò
e
pubblicò
la
prima
versione
della
sua
opera
più
importante,
Istituzione
della
religione
cristiana.
Già
allora
si
può
vedere
il
grande
interesse
di
Calvino
per
la
Francia
e
per
gli
evangelisti
francesi:
lo
scopo
dell’opera
era
di
dimostrare
al
re
di
Francia
Francesco
I
che
l’accusa
di
ribellione
e
sedizione
rivolta
ai
perseguitati
e
il
loro
accostamento
agli
anabattisti
fosse
falso.
Si
deve
ricordare
che
ci
troviamo
negli
anni
appena
successivi
agli
eventi
di
Münster,
a
causa
dei
quali
l’opinione
comune
era
concorde
nel
ritenere
tutti
gli
anabattisti
rivoluzionari
e
da
qui
l’accusa
o
il
sospetto
di
far
parte
di
questi
fedeli
legittimava
la
repressione.
Calvino
arrivò
a
Ginevra
nel
tentativo
di
raggiungere
la
città
di
Strasburgo,
che
come
menzionato
prima
non
solo
era
uno
dei
maggiori
centri
della
Riforma
ma
era
rinomata
per
la
sua
grande
tolleranza
religiosa,
per
mettersi
al
sicuro
a
causa
di
un’ulteriore
ondata
di
persecuzioni
in
territorio
francese
in
seguito
agli
eventi
dei
placards38.
La
città
aveva
già
aderito
alla
fede
riformata
grazie
all’opera
del
francese
Guillaume
Farel
(1489
–
1565)
e
dello
svizzero
Pierre
Viret39.
Di
pari
passo
con
la
loro
predicazione,
che
ebbe
luogo
dal
1533
al
1536,
si
andava
delineando
la
concreta
possibilità
di
liberarsi
dal
giogo
del
vescovo
di
Costanza
e
del
duca
di
Savoia,
creando
una
repubblica
cittadina
indipendente.
Il
Piccolo
Consiglio,
massima
autorità
cittadina,
era
consapevole
che
per
acquisire
l’indipendenza
necessitava
di
alleati
militari,
politici
ed
economici,
per
cui
cercò
la
vicinanza
con
Berna
e
la
Confederazione
elvetica.
Effettivamente
sarà
grazie
all’aiuto
militare
di
Berna
che
riuscirono
A.
E.
McGrath,
op.cit.,
p.
87.
37
38
Erano
stati
affissi
in
tutti
i
territori
francesi
dei
manifesti
che
criticavano
duramente
le
pratiche
religiose
cattoliche.
39
Pierre
Viret
(1511
–
1571):
teologo
della
Svizzera
francese,
che
inizialmente
incaricato
di
diffondere
la
Riforma
secondo
i
canoni
bernesi,
divenne
un
sostenitore
di
Calvino.
16
a
liberarsi
dall’assedio
dei
Savoia,
causato
dall’introduzione
di
alcuni
elementi
della
fede
riformata,
e
ad
acquistare
la
libertà.
Poco
dopo,
il
21
maggio
1536,
il
Consiglio
generale,
assemblea
dei
cittadini
aventi
diritto
di
voto,
si
riuniva
per
votare
la
completa
adesione
alla
Riforma.
Calvino
veniva
dunque
convinto
da
Farel
a
rimanere
a
Ginevra,
poco
dopo
che
era
diventata
una
repubblica
libera,
con
l’obiettivo
di
collaborare
alla
creazione
della
Chiesa
ginevrina.
Inizialmente
Farel
affidò
a
Calvino
incarichi
di
secondo
piano,
per
sua
stessa
volontà,
come
l’insegnamento
o
il
tenere
pubbliche
conferenze
sulla
Bibbia.
Nel
frattempo
lavoravano
assieme
alla
realizzazione
di
una
confessione
di
fede,
consegnata
poi
il
10
novembre
1536
al
Piccolo
Consiglio,
grazie
alla
quale
a
Calvino
veniva
riconosciuto
formalmente
il
titolo
di
pastore
e
predicatore.
Il
sostegno
raggiunto
nelle
elezioni
d’inizio
1537
portò
i
due
Riformatori
a
proporre
un
programma
più
“ardito”
inerente
la
disciplina
ecclesiastica,
Articles
sur
le
Gouvernement
de
l’Eglise,
contro
il
quale
sorse
ampio
dissenso.
Da
una
parte
la
celebrazione
della
Cena
del
Signore
una
volta
al
mese
si
scontrava
con
i
riti
bernesi
introdotti
precedentemente
dai
magistrati40
e
la
neonata
repubblica
non
si
trovava
ancora
nelle
condizioni
ideali
per
rinunciare
all’alleanza
con
Berna;
dall’altra
il
rigore
morale
richiesto
non
piacque
ai
ginevrini,
come
non
piacque
la
conseguente
perdita
di
autorità
del
Piccolo
Consiglio
in
materia
religiosa
a
causa
della
promozione
dell’autogoverno
della
Chiesa.
Con
l’aumento
delle
tensioni
si
arrivò
all’espulsione
di
Farel
e
Calvino.
A
questo
punto
Calvino,
secondo
i
propri
piani
precedenti,
si
recò
a
Strasburgo,
dove
trascorse
un
periodo
di
tempo,
dal
1529
al
1541,
molto
proficuo
per
il
suo
sviluppo
personale
e
intellettuale.
Non
solo
ebbe
la
possibilità
di
svolgere
la
funzione
di
ministro
pastorale
per
la
comunità
di
lingua
francese
presente
nella
città,
ma
poté
confrontarsi
con
i
grandi
Riformatori
lì
incontrati,
soprattutto
con
Bucero,
grazie
al
quale
ebbe
anche
l’occasione
di
partecipare
a
vari
incontri
diplomatici
internazionali.
McGrath
sottolinea
come
questi
anni
furono
indispensabili
per
la
formazione
del
suo
pensiero
e
per
l’abbandono
definitivo
degli
elementi
utopistici
e
astratti
della
sua
teologia41.
Nel
frattempo
a
Ginevra
la
situazione
era
andata
cambiando:
il
partito
oppositore
a
Farel
e
a
Calvino
aveva
perso
credibilità
in
seguito
al
disappunto
provocato
da
nuove
trattative
condotte
con
Berna
che
avevano
finito
per
rilevarsi
avverse
a
Ginevra,
tant’è
che
i
tre
delegati
responsabili
furono
processati
e
condannati
a
morte
in
contumacia.
Il
vuoto
lasciato
40
La
Riforma
bernese
basata
sul
modello
zwingliano
prevedeva
l’amministrazione
della
Cena
del
Signore
quattro
volte
l’anno.
A.
E.
McGrath,
op.cit.,
pp.
119-‐121.
41
17
da
questo
partito
fu
immediatamente
occupato
dai
sostenitori
di
Farel
e
Calvino,
i
quali
una
volta
preso
il
controllo
della
città
nel
1540
chiesero
ai
due
Riformatori
di
ritornare.
In
realtà
si
rivolsero
inizialmente
a
Farel,
il
quale,
essendo
occupato
nell’applicazione
della
riforma
a
Neuchâtel,
convinse
Calvino
a
prendere
il
suo
posto.
Se
in
un
primo
tempo
Calvino
sembrò
godere
della
libertà
sufficiente
per
applicare
la
riforma
alla
Chiesa
ginevrina
secondo
i
propri
canoni,
ben
presto
fu
evidente
che
il
Piccolo
Consiglio
e
il
fronte
dei
“libertini”42
non
avevano
alcuna
intenzione
di
rinunciare
al
controllo
sulla
città
anche
in
materia
religiosa.
Questo
fu
il
motivo
per
cui
iniziò
una
lunga
contesa
tra
il
Piccolo
Consiglio
e
il
Riformatore,
o
meglio
tra
il
Piccolo
Consiglio
e
il
Concistoro,
organo
istituito
nel
1541
con
il
compito
di
dirigere
e
disciplinare
la
struttura
ecclesiastica.
Infatti,
Calvino
non
possedeva
direttamente
dei
poteri
civili,
in
quanto
come
straniero
deteneva
lo
status
di
habitant 43
a
cui
era
precluso
il
godimento
dei
diritti
civili,
tuttavia
tramite
il
Concistoro
deteneva
un
ampio
controllo
in
materia
religiosa.
Dal
marzo
del
1553,
con
il
prevalere
della
coalizione
anti-‐Calvino,
vengono
allontanati
i
sostenitori
di
Calvino
dagli
organi
di
potere
e
ciò
porta
al
palesarsi
delle
ostilità
del
Piccolo
Consiglio,
il
quale
dà
avvio
ad
una
graduale
ingerenza
nelle
incombenze
del
Concistoro.
Proprio
nel
corso
di
queste
vicende,
che
si
risolsero
definitivamente
nel
1555,
ha
luogo
l’episodio
di
Michele
Serveto
(1511
–
1553).
È
interessante
sottolineare
come
quest’evento
così
controverso
mantenga
la
sua
ambiguità
anche
nella
storiografia.
Emblematico
il
confronto
di
due
citazioni:
“Gli
eretici
vennero
trattati
con
rigore
anche
maggiore
dei
cattolici.
Il
diniego
della
predestinazione
comportava
il
bando;
il
diniego
dell’immortalità
e
della
Trinità
divina
comportava
la
morte.
Gruet
venne
decapitato
e
Serveto
fu
mandato
al
rogo.
Tutti
coloro
che
si
opponevano
al
nuovo
regime
per
ragioni
morali
e
politiche
vennero
affrontati
energicamente
[…].
Tutti
gli
oppositori
della
riforma
furono
così
espulsi
sia
dalla
Chiesa
che
dalla
città.
Ginevra
diveniva
così
una
collettività
selezionata.
44
[…]
l’espulsione
dei
dissenzienti
e
l’accoglimento
dei
consenzienti
fece
di
Ginevra
una
città
di
santi” .
42
Così
venivano
chiamati
dalla
fazione
pro-‐Calvino
i
sostenitori
della
via
zwingliana
nell’applicazione
della
Riforma:
doveva
essere
il
Consiglio
cittadino
a
detenerne
la
piena
autorità.
43
Nella
città
di
Ginevra
esistevano
tre
differenti
categorie:
citoyens
–
cittadini,
i
quali
possedevano
i
pieni
diritti
civili;
bourgeois
–
residenti,
i
quali
avevano
il
diritto
di
partecipare
all’assemblea
annuale
incaricata
di
eleggere
i
responsabili
del
governo
della
città;
e
habitants
–
stranieri,
i
quali
oltre
all’autorizzazione
di
residenza
non
possedevano
diritti.
R.
H.
Bainton,
op.cit.,
pp.
115-‐116.
44
18
“
[…]
la
condanna
e
l’esecuzione
(inclusa
la
scelta
della
forma
di
esecuzione)
di
Serveto
furono
interamente
opera
del
Consiglio
della
città,
in
un
periodo
in
cui
era
particolarmente
ostile
a
Calvino.
I
perrinisti
avevano
riacquistato
il
potere
di
recente
ed
erano
ben
decisi
a
indebolire
la
posizione
del
riformatore
[…]
intendevano
dimostrare
la
loro
impeccabile
ortodossia,
come
premessa
per
scalzare
45
l’autorità
religiosa
di
Calvino
in
città.”
Come
si
può
vedere
Bainton
iscrive
il
caso
Serveto
al
tentativo
dei
Riformatori
di
creare
una
Repubblica
di
Santi
e
quindi
di
origine
prevalentemente
religiosa.
Invece
McGrath
descrive
gli
eventi
relegando
la
figura
di
Calvino
e
le
motivazioni
religiose
in
secondo
piano
e
sottolineando
il
ruolo
del
Piccolo
Consiglio,
legato
alla
sua
volontà
di
riacquistare
potere
in
materia
religiosa.
In
ogni
caso
certa
è
la
sua
condanna
a
morte
per
eresia.
Serveto,
precedentemente
accusato
d’eresia,
si
era
recato
a
Ginevra
nella
speranza
di
trovare
rifugio,
ma
anche
qui
fu
arrestato
e
sottoposto
a
processo.
Le
due
accuse
mosse
contro
di
lui
erano:
negazione
della
Trinità
e
negazione
del
battesimo
dei
bambini.
McGrath
pone
in
rilievo
come
all’epoca
fosse
procedura
comune
condannare
a
morte
o
bandire
coloro
che
venivano
accusati
d’eresia,
eppure
il
processo
di
Serveto
ebbe
un
grandissimo
eco
nell’opinione
pubblica,
dando
avvio
ad
un
lungo
dibattito
sulla
tolleranza
e
la
libertà
di
religione46.
Nel
frattempo
la
contesa
tra
Piccolo
Consiglio
e
Concistoro
continuava
e
gli
equilibri
sembravano
volgersi
a
favore
del
primo.
Tuttavia
sarà
proprio
la
sua
decisione
di
estendere
lo
status
di
bourgeois
ai
rifugiati
religiosi,
affluiti
in
massa
in
città
dal
1550,
a
capovolgere
la
situazione.
L’intenzione
dell’autorità
cittadina
era
di
risolvere
la
crisi
finanziaria
tramite
la
concessione
dello
status
di
bourgeois
previo
pagamento
di
una
tassa
di
ammissione,
ma
questa
manovra,
se
da
una
parte
ebbe
successo,
dall’altra
stravolse
gli
equilibri
politici.
Infatti,
i
profughi
religiosi
avendo
ora
la
possibilità
di
partecipare
alla
vita
politica
si
schierarono
senza
esitazione
a
favore
di
Calvino
e
della
sua
Riforma
e
ben
presto
dominarono
gli
organi
cittadini
garantendo
così
a
Calvino,
dal
1555,
la
possibilità
di
procedere
senza
opposizioni
e
di
dedicarsi
contemporaneamente
alla
diffusione
della
Riforma
nei
paesi
di
lingua
francofona.
A.
E.
McGrath,
op.cit.,
pp.
137-‐138.
45
19
1.3.2.
Calvinismo
internazionale
Come
detto
antecedentemente
uno
degli
aspetti
peculiari
del
calvinismo
è
l’internazionalismo.
Questa
caratteristica,
come
sottolinea
McGrath47,
deriva
dalla
capacità
di
adattamento
delle
idee
di
Calvino:
esse
di
volta
in
volta,
pur
mantenendo
integra
la
propria
essenza,
venivano
adattate
alle
situazioni
locali
in
cui
attecchivano.
Questa
particolarità
ha
garantito
da
una
parte
la
sua
grande
diffusione
–
Francia,
Olanda,
Scozia
e
Inghilterra
–
e
dall’altra
la
sua
sopravvivenza.
Naturalmente
altrettanto
importante
per
la
sua
diffusione
furono:
il
programma
di
pubblicazioni
e
distribuzione
indetto
dalle
tipografie
di
Ginevra,
il
successo
della
principale
opera
di
Calvino
(Istituzione)
che
garantì
la
diffusione
delle
sue
idee,
il
programma
missionario
portato
avanti
dalla
Venerabile
Compagnia
dei
pastori
di
Ginevra
nei
territori
francofoni,
il
ruolo
dell’Accademia
nella
formazione
di
futuri
calvinisti
e
la
creazione
di
un
unico
fronte
comune
con
la
Riforma
svizzera.
Prima
di
dedicare
il
proprio
impegno
alla
diffusione
delle
idee
riformate
nei
territori
di
lingua
francese,
Calvino
si
preoccupò
di
giungere
ad
un
accordo
con
Bullinger
in
merito
all’eucarestia,
denominato
Consensus
Tigurinus,
che
portò
all’unione
dei
riformati
svizzeri
in
quello
che
viene
chiamato
il
protestantesimo
riformato48.
In
seguito,
dopo
aver
sbaragliato
il
fronte
avversario
a
Ginevra,
affidò
alla
Venerabile
Compagnia
dei
pastori
l’incarico
di
portare
a
compimento
un
ampio
programma
di
evangelizzazione
basato
sull’infiltrazione
di
persone
fidate
in
Francia.
Questo
compito
doveva
essere
realizzato
in
segreto
e
a
tale
scopo
venne
creata
una
fitta
rete
di
collegamenti
lungo
la
quale
si
trovavano
case
sicure
che
fungevano
da
nascondigli.
Calvino,
pur
non
partecipando
in
prima
persona
alla
missione,
contribuì
ad
essa
tramite
un
ampio
scambio
epistolare,
mezzo
per
tenersi
in
contatto
con
le
comunità
evangeliche
della
Francia,
dispensando
consigli
e
aiuti
quando
necessario.
Un
ulteriore
contributo
era
garantito
dagli
immigrati
religiosi
e
dai
mercanti,
i
quali
utilizzando
la
città
di
Ginevra
unicamente
come
luogo
di
passaggio,
erano
al
contempo
importatori
ed
esportatori
di
informazioni.
In
questo
modo
diventavano
indirettamente
un
canale
di
divulgazione
delle
idee
riformate.
Nel
1557
la
Venerabile
Compagnia
dei
pastori
si
era
resa
conto
dell’impossibilità
di
continuare
la
sua
attività
senza
informare
il
Piccolo
Consiglio.
Quest’ultimo,
una
volta
venuto
a
conoscenza
della
situazione,
diede
il
proprio
consenso
alla
continuazione
delle
spedizioni,
Ivi,
pp.
229-‐235.
47
20
relegando
in
secondo
piano
il
pericolo
a
cui
poteva
andare
incontro
Ginevra.
Infatti,
qualora
la
città
fosse
stata
associata
all’espansione
delle
idee
evangeliche
in
terra
francese,
poteva
essere
accusata
di
promuovere
azioni
sovversive.
Grazie
alla
sua
opera
di
predicazione,
molti
gruppi
informali
si
trasformarono
in
vere
e
proprie
chiese
regolarmente
costituite.
Le
prime
chiese
che
si
crearono
furono
a
Parigi,
Meaux,
Poitiers
e
Orléans,
ma
ben
presto
molte
altre
città
aderirono
al
protestantesimo
riformato,
tant’è
che
dal
26
al
29
maggio
1559
si
tenne
il
primo
sinodo
internazionale
delle
chiese
riformate
di
Francia.
Di
pari
passo
con
la
nascita
di
nuove
chiese
emergeva
il
problema
della
carenza
di
pastori
che
potessero
guidarle.
Per
rispondere
a
questo
bisogno
Calvino
il
5
giugno
1559
istituì
l’Accademia,
la
quale
aveva
il
compito
di
formare
pastori
qualificati
e
riconosciuti
dalla
città.
McGrath
pone
in
evidenza
come
l’Accademia,
al
di
là
dell’importanza
del
suo
ruolo,
non
fu
in
grado
di
soddisfare
la
grande
richiesta
di
pastori
a
causa
della
sua
tardiva
creazione49.
Inoltre
la
sua
funzione
fu
surclassata
dall’emergere
di
molte
università
aderenti
al
calvinismo
e
questa
perdita
di
importanza
dell’Accademia
era
collegata
ad
una
graduale
perdita
di
influenza
della
città
di
Ginevra,
causata
dall’affermazione
del
protestantesimo
a
livello
internazionale50.
Nel
1561
la
paura
del
Piccolo
Consiglio
si
avverò:
l’attività
della
Venerabile
Compagnia
dei
pastori
era
stata
scoperta
dal
nuovo
re
di
Francia,
Carlo
IX.
Egli
inviò
una
missiva
in
cui
intimava
a
Ginevra
di
smettere
le
attività
di
predicazione
che
avevano
creato
vari
disordini
religiosi
in
Francia.
Il
Piccolo
Consiglio
con
un
espediente
risolse
la
situazione:
da
una
parte,
per
evitare
che
la
città
fosse
in
pericolo,
scaricò
la
responsabilità
della
situazione
sulla
Venerabile
Compagnia
dei
pastori
e
dall’altra
garantì
la
continuazione
delle
attività,
perché
non
possedeva
la
giurisdizione
per
intervenire
contro
un’organizzazione
privata.
Questo
permise
l’aumento
del
numero
delle
Chiese,
le
quali
arrivarono
circa
al
numero
di
1'785
unità
nel
176251.
La
diffusione
della
religione
riformata
e
l’aumento
dei
disordini
religiosi
indussero
la
reggente
Caterina
de‘
Medici,
madre
di
Carlo
IX,
a
promuovere
una
politica
di
tolleranza
che
“accordava
ai
riformati
francesi
il
diritto
di
convocare
i
sinodi
e
di
celebrare
il
culto
pubblicamente” 52 .
Tuttavia
sarà
proprio
questa
decisione
a
far
precipitare
la
situazione:
la
reazione
violenta
dei
cattolici
diede
inizio
“alle
guerre
di
religione”.
Seppur
iniziate
con
il
massacro
di
un
gruppo
di
ugonotti,
come
venivano
chiamati
i
calvinisti
francesi,
A.
E.
McGrath,
op.cit.,
p.
209.
49
21
e
susseguitesi
con
ulteriori
eventi
altrettanto
sanguinari,
l’esito
finale
fu
l’acquisizione
della
libertà
di
culto
e
dei
diritti
civili,
sanciti
da
re
Enrico
IV,
tramite
l’editto
di
Nantes
del
1598.
Il
calvinismo
a
questo
punto
era
già
un
movimento
internazionale.
Era
presente
nei
Paesi
Bassi,
principalmente
grazie
all’opera
del
pastore
Guy
de
Bray,
ex-‐allievo
di
Calvino
a
Ginevra,
ed
estensore
nel
1561
della
Confessio
belgica
e
in
Scozia,
grazie
all’opera
di
John
Knox,
giuda
del
movimento
riformatore
e
fautore
della
Confessio
scotica
nel
1560.
Era
riuscito
a
penetrare
anche
in
Inghilterra,
dove
la
Chiesa
anglicana
aveva
gradualmente
aderito
sempre
di
più
alle
idee
del
protestantesimo
riformato,
e
anche
nei
territori
tedeschi
a
discapito
del
luteranesimo:
emblematico
il
passaggio
al
protestantesimo
riformato
dell’elettore
Federico
III
del
Palatinato.
Come
sopra
menzionato,
con
l’affermazione
del
calvinismo
internazionale
Ginevra
perde
il
suo
ruolo
quale
centro
della
Riforma
sia
per
la
diffusione
delle
idee
sia
per
la
formazione
dei
pastori.
McGrath
indica
il
1564,
anno
della
morte
di
Calvino,
come
il
palesarsi
dell’allontanamento
del
calvinismo
dalla
sua
città
d’origine53.
A.
E.
McGrath,
op.cit.,
p.
228.
53
22
CAPITOLO
II
-‐
ECCLESIOLOGIA
2.1.
Il
diverso
concetto
di
Chiesa
alla
base
dei
due
movimenti
riformati
Come
abbiamo
potuto
apprendere
dal
capitolo
precedente,
esistono
molteplici
differenze
tra
l’Anabattismo
ed
il
Calvinismo.
La
maggior
parte
di
esse
deriva
dal
diverso
concetto
di
Chiesa
che
si
trova
alla
base
delle
loro
dottrine,
una
differenza
che
separa
più
generalmente
il
fronte
dei
riformati
da
quello
dei
radicali.
Lutero,
Zwingli,
Bucero
e
Calvino
avevano
come
obiettivo
una
riforma
della
Chiesa
che
eliminasse
in
modo
sistematico
gli
elementi
negativi
e
non
conformi
alle
Sacre
Scritture
dalla
Chiesa
tradizionale.
Tuttavia
il
moto
riformatore
aveva
un
limite
invalicabile
nel
concetto
della
continuità
storica
di
un’unica
Chiesa
cristiana
discendente
da
quella
apostolica
ed
esistente
in
quella
cattolica,
seppur
fortemente
corrotta,
per
cui
determinati
cambiamenti
erano
considerati
superflui
ed
eccessivamente
radicali.
In
opposizione
l’anabattismo
era
fautore
della
dottrina
della
“caduta
della
chiesa”,
per
cui
la
Chiesa
cristiana
non
esisteva
nella
loro
epoca
e
non
era
più
esistita
dai
tempi
degli
apostoli.
Seppure
ci
si
opponesse
alla
continuità
storica
della
Chiesa,
e
quindi
a
quell’istituzione
non
avente
più
i
caratteri
della
Chiesa
di
Cristo,
non
veniva
completamente
esclusa
una
continuità
con
il
passato.
Essa
riguardava
gli
stessi
fedeli:
in
ogni
epoca
sono
esistiti
dei
cristiani
fedeli
che
con
il
sostegno
dell’antica
tradizione
cristiana
eliminavano
l’oscurità
della
teologia
dei
Padri
della
Chiesa.
Quindi
riassumendo
i
Riformatori
desideravano
un
rinnovamento
della
Chiesa
tradizionale
mentre
i
radicali
desideravano
una
“restaurazione”
della
Chiesa
primitiva;
ma
questo
concretamente
cosa
significava?
Emerse
con
forza
questa
diversità
nel
momento
in
cui,
in
seguito
all’eliminazione
dell’autorità
papale,
si
trattò
di
stabilire
chi
detenesse
l’autorità
della
Riforma.
In
base
all’assunto
condiviso
indistintamente
da
ambedue
gli
orientamenti
della
Riforma,
l’unica
autorità
in
materia
religiosa
dovevano
essere
le
Sacre
Scritture.
Questo
significava
affermare
il
jus
reformandi:
a
livello
teorico
tutti
i
credenti,
se
illuminati
dallo
Spirito
Santo,
avevano
l’autorità
per
interpretare
il
Vangelo.
Tuttavia
i
Riformatori
si
resero
ben
presto
conto
del
problema
dell’effettiva
applicazione
di
questo
concetto,
la
cui
conseguenza
sarebbe
stata
una
proliferazione
di
vari
rami
riformati
che
avrebbe
portato
non
solo
alla
rottura
dell’unità
della
Riforma
ma
al
suo
fallimento.
La
soluzione
a
questo
problema
si
palesò
nel
mantenere
23
l’organizzazione
delle
chiese
riformate
e
formalizzare
la
modalità
in
cui
si
erano
andati
affermando
spontaneamente
i
moti
riformati
nelle
varie
città
o
regioni
dell’Europa,
dove
clero,
cittadini,
intellettuali
e
autorità
avevano
collaborato
per
la
riorganizzazione
della
Chiesa.
Questo
significava
che
il
jus
reformandi
veniva
affidato
al
Corpus
Christianum
nella
sua
espressione
locale
o
regionale,
reputando
che
fosse
una
soluzione
pratica
del
problema
e
contemporaneamente
rimaneva
il
diritto
della
libertà
di
espressione
e
di
dissenso
del
cristiano,
seppur
solo
in
linea
di
principio,
poiché
ben
presto
sarà
accantonato
a
favore
dell’unità
del
fronte
della
Riforma.
L’anabattismo
rifiuterà,
e
come
abbiamo
visto
fu
il
motivo
stesso
per
cui
nacque,
proprio
il
passaggio
del
jus
reformandi
al
Corpus
Christianum
reputato
una
contraddizione
del
principio
della
Sola
Scriptura.
Per
questo
motivo
si
opporrà
da
una
parte
all’interferenza
delle
autorità
civili
in
materia
religiosa,
sostenendo
la
separazione
tra
Stato
e
Chiesa,
e
dall’altra
alla
Chiesa
storica
in
cui
quest’unione
era
comprovata.
La
vera
Chiesa
non
doveva
essere
un’istituzione
a
cui
si
apparteneva
per
nascita
e
quindi
comprendente
indistintamente
tutta
la
popolazione
di
una
regione,
ma
un’unione
volontaria
e
consapevole
di
veri
credenti
nell’unica
vera
Chiesa.
In
questo
senso
sono
particolarmente
esaustive
le
parole
di
Ugo
Gastaldi:
“Non
c’era
più
una
chiesa
del
popolo
di
Dio,
ma
semplicemente
una
chiesa
di
popolo
(Volkskirche).
Anziché
essere
“corpo
di
Cristo”
(corpus
Christi),
la
chiesa
faceva
un
corpo
con
la
società
storica
di
cui
era
l’aspetto
sacrale
(corpus
christianum)”54.
Secondo
l’anabattismo
una
Chiesa
di
questo
tipo
non
poteva
che
portare
al
proprio
interno
il
seme
della
corruzione
e
infatti
una
prova
di
ciò
era
il
mediocre
livello
della
moralità
e
spiritualità
della
Chiesa
storica:
proprio
per
questo
non
ci
si
poteva
limitare
a
riformarla
ma
era
necessario
istituire
una
Chiesa
nuova.
Naturalmente
la
forte
critica
del
movimento
degli
anabattisti
alla
procedura
con
cui
veniva
applicata
la
Riforma
e
le
rivendicazioni
di
voler
istituire
l’unica
vera
Chiesa,
con
le
sue
conseguenze,
portarono
ben
presto
alla
rottura
con
la
Chiesa
di
Roma,
con
il
fronte
centrale
della
Riforma
ed
anche
con
le
autorità
politiche.
La
ricerca
di
perfezione
degli
anabattisti
e
la
volontà
di
un
ritorno
coerente
ed
incondizionato
alla
Chiesa
apostolica
non
devono
essere
fuorvianti
rispetto
all’uguale
fede
e
volontà
di
miglioramento
della
Chiesa
tradizionale
da
parte
dei
Riformatori.
Tuttavia
come
abbiamo
visto
questo
medesimo
“spirito”
percorse
due
strade
diverse
se
non
contrapposte.
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
p.
17.
54
24
Gli
stessi
Riformatori
si
erano
resi
conto
dei
difetti
della
Chiesa
contemporanea
tuttavia,
per
varie
ragioni,
non
arrivarono
alla
rottura
con
essa:
in
primo
luogo,
come
detto
antecedentemente,
una
rottura
con
la
Chiesa
costituita
era
contraria
alla
dottrina
dell’unica
Chiesa
storica,
in
secondo
luogo
erano
persuasi
della
necessità
di
procedere
con
cautela
nell’applicazione
della
Riforma
per
non
essere
additati
come
eretici
dalla
Chiesa
cattolica
e
della
necessità
di
agire
all’interno
del
Corpus
Cristianum
per
un’effettiva
riuscita,
e
infine
erano
sostenitori
del
principio
per
cui
esistessero
due
Chiese:
quella
invisibile
e
quella
visibile.
Per
il
fronte
dei
riformati
la
Chiesa
invisibile,
la
cui
effettiva
composizione
è
preclusa
alla
conoscenza
dell’uomo
e
la
cui
realizzazione
non
ha
un
completo
corrispettivo
nella
Chiesa
visibile,
corrispondeva
all’unione
spirituale
e
perfetta
dei
veri
credenti
sparsi
nel
mondo.
Infatti,
quest’ultima
era
la
realizzazione
imperfetta
della
Chiesa
invisibile,
poiché
a
fianco
dei
veri
credenti
coesistevano
gli
ipocriti.
Invece
per
gli
anabattisti
la
Chiesa
visibile
doveva
corrispondere
esattamente
alla
Chiesa
invisibile
e
solo
in
questo
caso
si
aveva
la
realizzazione
di
quella
che
era
la
vera
Chiesa.
2.2.
La
Chiesa
anabattista
Nel
delineamento
dei
caratteri
della
Chiesa
anabattista
sorgono
delle
difficoltà
dal
momento
che,
come
spiegato
nel
primo
capitolo,
il
movimento
non
è
composto
da
un
unico
gruppo
concorde
su
ogni
aspetto,
ma
da
vari
gruppi
che,
pur
condividendo
le
medesime
basi
dottrinali
e
disciplinari,
hanno
finito
per
aggiungere
degli
elementi
peculiari
derivanti
dalla
contingenza
o
dalle
persone
che
li
componevano.
Tuttavia,
proprio
grazie
alle
medesime
basi
da
cui
partono,
è
possibile
estrapolare
dalla
varie
comunità
i
caratteri
generali
condivisi
da
tutti
i
gruppi
anabattisti.
2.2.1.
La
comunità
anabattista
Dall’introduzione
di
questo
capitolo
emerge
la
base
ideologica
su
cui
è
fondata
la
comunità
anabattista:
essa
deve
essere
separata
dallo
Stato,
non
coincidere
con
il
Corpus
Christianum
e
accogliere
al
proprio
interno
unicamente
dei
veri
credenti.
Naturalmente
queste
condizioni
si
scontravano
con
l’immaginario
comune
e
portarono
al
delineamento
di
una
Chiesa
particolare
e
sovversiva,
come
spiegherò
più
esaustivamente
in
seguito.
25
In
quest’ottica
il
battesimo,
che
da
sempre
andava
a
indicare
la
modalità
con
cui
si
entrava
a
far
parte
della
Chiesa,
non
poteva
possedere
le
medesime
caratteristiche
di
quello
tradizionale,
altrimenti
la
Chiesa
che
si
andava
formando
avrebbe
finito
per
coincidere
ancora
una
volta
con
la
società
cristiana.
Per
gli
anabattisti
il
battesimo,
così
come
veniva
amministrato
dalla
Chiesa
tradizionale,
era
esautorato
da
tutti
i
suoi
contenuti
trascendentali
e
portava
alla
corruzione
della
Chiesa
stessa.
Questo
proprio
perché,
come
viene
sottolineato
da
Bainton,
per
gli
anabattisti
il
cristianesimo
non
era
unicamente
una
fede
trascendentale
ma
era
un
vero
e
proprio
stile
di
vita,
che
poteva
essere
attuato
solo
da
credenti
convinti,
morti
e
risorti
in
Cristo
e
dotati
di
una
vita
nuova55.
Di
conseguenza
il
battesimo
doveva
essere
il
segno
esteriore
della
conversione
interiore
e
quindi
indicare
da
un
lato
il
patto
del
credente
con
Dio
(la
decisione
volontaria
del
credente
di
far
parte
del
Corpo
di
Cristo
e
di
credere
alla
sua
opera
di
salvezza)
e
dall’altra
il
patto
del
credente
con
la
comunità
(la
decisione
di
far
parte
della
comunità
cristiana
comporta
il
condurre
una
vita
di
amore
verso
i
fratelli
ed
essere
disposti
a
sottostare
alla
disciplina).
Indicativo
in
questo
senso
il
primo
articolo
della
Costituzione
di
Schleitheim,
che
seppure
rappresentante
la
dottrina
dei
Fratelli
Svizzeri
era
condivisa
da
tutti
gli
anabattisti:
“Il
battesimo
deve
essere
concesso
a
coloro
che
hanno
imparato
la
penitenza,
che
credono
che
i
loro
peccati
vengano
cancellati
da
Gesù
Cristo
e
che
vogliono
vivere
nella
sua
resurrezione.
Pertanto
lo
si
deve
amministrare
a
coloro
che
lo
chiedono
per
se
stessi,
non
certo
ai
piccoli,
come
si
è
fatto
nel
regno
del
Papa” 56 .
Come
si
può
vedere
la
conseguenza
logica
della
necessità
che
l’amministrazione
di
questo
sacramento
sia
preceduta
dall’ascolto
della
Parola
di
Dio
e
dalla
fede
porta
al
ripudio
del
battesimo
dei
bambini.
Essi
sottolineano
come
il
battesimo
dei
bambini
non
abbia
alcun
valore
in
quanto
il
bambino,
non
avendo
consapevolezza
alcuna
della
propria
fede,
elimina
l’intrinseco
significato
di
conversione
interiore
del
battesimo
(emblematica
in
questo
senso
la
metafora
di
Hubmaier:
“[…]
è
come
una
insegna
dinanzi
ad
un’osteria
in
cui
non
c’è
vino”57)
e
finisce
per
rappresentare
il
segno
di
accesso
alla
società
cristiana.
L’amministrazione
del
battesimo
unicamente
agli
adulti
convertiti
porta
alla
creazione
di
una
comunità
che,
non
coincidendo
con
la
società
civile,
assume
l’aspetto
di
un
circolo
R.
H.
Bainton,
p.
97.
55
56
G.
Calvino,
Istruzione
breve
per
dotare
tutti
i
credenti
di
armi
contro
gli
errori
della
rozza
setta
degli
Anabattisti,
in
L.
R.
De
Michelis
(a
cura
di)
Contro
nicodemiti,
anabattisti
e
libertini,
Torino,
Claudiana,
2006,
p.
155.
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
p.
197.
57
26
separato.
Lo
sforzo
di
costruire
una
comunità
perfetta,
composta
unicamente
da
veri
credenti,
non
si
ferma
esclusivamente
al
ripudio
del
battesimo
dei
bambini,
ma
comporta
altresì
una
rigida
disciplina
interna
la
cui
massima
espressione
è
la
scomunica.
Essa
ha
come
obiettivo
di
limitare
i
peccati
involontari:
in
un
primo
momento
il
“peccatore”
viene
ammonito
segretamente
per
due
volte,
la
terza
volta
viene
bandito
pubblicamente
di
fronte
a
tutta
la
comunità.
Il
bando
consiste
nell’estromissione
del
credente
dalla
Santa
Cena,
poiché
si
reputava
che
il
permettere
ad
un
peccatore
di
condividere
insieme
agli
altri
fedeli
il
pane
e
il
vino,
rappresentanti
il
Corpo
di
Cristo,
avrebbe
portato
alla
corruzione
di
quest’ultimo,
non
diversamente
da
come
era
corrotta
la
Chiesa
tradizionale.
La
corruzione
di
una
parte
del
Corpo
di
Cristo
avrebbe
portato
alla
corruzione
del
tutto,
minando
il
loro
obiettivo
di
giungere
alla
creazione
della
comunità
cristiana
perfetta.
Seppur
la
scomunica
viene
riconosciuta
da
tutti
gli
anabattisti,
la
rigidità
nella
sua
applicazione
cambia
da
gruppo
a
gruppo.
Il
più
grande
dibattito
può
essere
sintetizzato
nella
domanda
se
alla
scomunica
dovesse
seguire
il
Meidung
(“evitamento”
dello
scomunicato):
da
un
lato
c’erano
coloro
che
reputavano
fosse
necessario
evitare
il
peccatore
nella
vita
comunitaria
e
questo
comportava
anche
la
divisione
dei
coniugi
qualora
uno
dei
due
fosse
stato
posto
al
bando,
dall’altro
c’erano
coloro
che
si
opponevano
ad
una
misura
così
radicale
nell’applicazione
della
scomunica.
È
molto
importante
tener
presente
che
la
scomunica
risulta
essere
l’unica
sanzione
con
cui
veniva
mantenuta
la
disciplina
nella
comunità
e
qualsiasi
interferenza
dello
Stato
era
preclusa.
A
questo
proposito
sia
Bainton
sia
Gastaldi
sottolineano
che
la
particolare
moderna
posizione
di
separazione
tra
Stato
e
Chiesa
portò
all’ancora
più
moderna
rivendicazione
della
libertà
religiosa58.
La
volontà
di
mantenere
integra
la
comunità
dei
veri
cristiani
portò
alla
formazione
di
una
visione
dicotomica
che
contrapponeva
tale
comunità,
pura
e
perfetta,
alla
società,
corrotta
e
malvagia.
Questa
contrapposizione
portò
all’affermazione
che
ci
dovesse
essere
una
completa
separazione
dal
mondo,
la
quale
comportava
un
disinteresse
nei
confronti
delle
cose
mondane
e
un
ripudio
di
tutte
le
istituzioni
religiose,
politiche
e
sociali
in
contrasto
con
la
Parola
di
Dio.
Questo
portò
ad
alcune
conseguenze
di
primo
piano:
l’astensione
dalle
cariche
pubbliche,
l’opposizione
alle
armi
e
alla
pena
di
morte
ed
il
rifiuto
dei
tribunali
civili.
M.
Lienhard
ricorda
che
nei
primi
tempi
l’obbligo
di
evitare
qualsiasi
contatto
con
coloro
che
R.
H.
Bainton,
op.cit.,
p.
98;
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
p.
20.
58
27
non
appartenevano
alla
loro
comunità
avrebbe
potuto
comportare
addirittura
l’astensione
dal
saluto59.
L’inutilità
delle
cariche
pubbliche
all’interno
della
comunità
anabattista
era
strettamente
legata
all’idea,
sostenuta
dallo
stesso
Lutero,
che
il
governo
civile
fosse
un’istituzione
voluta
da
Dio
per
punire
i
malvagi
e
proteggere
i
buoni.
Tuttavia
per
gli
anabattisti
un
governo
di
questo
tipo
non
era
necessario
nella
perfezione
della
comunità
cristiana,
poiché
non
esistevano
malvagi
e
l’unica
“istituzione”
esistente
era
proprio
la
Chiesa,
la
cui
massima
pena,
come
abbiamo
visto,
era
la
scomunica.
L’altro
aspetto
di
questo
concetto
è
il
divieto
per
il
cristiano
di
assumere
una
carica
magistratuale.
Tale
proibizione
si
fondava
sul
principio
che
contrapponeva
società-‐chiesa
e
male-‐bene,
per
cui
il
cristiano
svolgendo
una
funzione
terrena
avrebbe
finito
inevitabilmente
per
corrompere
se
stesso.
Sul
medesimo
piano
si
ha
il
rifiuto
della
violenza
che
si
esprime
nelle
armi
e
nella
pena
di
morte.
La
forza
di
questo
principio
è
testimoniata
nelle
lettere
inviate
da
molti
anabattisti
incarcerati
in
attesa
di
processo
o
dell’applicazione
della
pena,
alle
loro
comunità;
esse
diventarono
ben
presto
un
genere
letterario
molto
diffuso
e
apprezzato
nelle
comunità
anabattiste60.
Vediamo
come,
al
di
là
della
loro
situazione
contingente,
in
esse
gli
anabattisti
intimavano
ai
loro
fratelli
e
sorelle
di
non
indugiare
nella
vendetta
ma
amare
il
proprio
persecutore.
Inoltre,
in
linea
con
il
principio
che
“I
veri
credenti
cristiani
sono
come
pecore
tra
i
lupi
[…]”61,
ricordavano
che
la
persecuzione
e
la
tribolazione
del
cristiano
erano
un
segno
della
vera
Chiesa
e
del
discepolato
di
Cristo.
Un
esempio
emblematico
di
lettera
inviata
dal
carcere
fu
quella
di
Sattler,
la
prima
di
questo
genere:
“Se
voi
amate
il
prossimo,
voi
non
sarete
bramosi
di
punire
e
di
scomunicare,
non
cercherete
il
vostro
interesse,
non
penserete
il
male,
non
sarete
ambiziosi,
e
finalmente
non
vi
gonfierete;
ma
sarete
misericordiosi,
giusti,
mansueti
in
tutte
le
cose,
sottomessi
e
compassionevoli
verso
i
deboli
e
gli
infermi”62.
Per
quanto
riguarda
la
motivazione
che
anima
la
volontà
degli
anabattisti
di
non
volersi
sottoporre
al
giudizio
dei
tribunali
è
in
parte
la
medesima
retrostante
la
loro
opposizione
alla
funzione
di
magistrato:
la
perfezione
della
comunità
cristiana
non
rendeva
necessario
un
59
M.
Lienhard,
Gli
anabattisti,
in
L.
Mezzardi
(a
cura
di),
Il
tempo
delle
confessioni,
1530-‐1620/30,
vol.8,
Roma-‐
Borla,
Città
Nuova,
2001,
p.
152.
60
Le
lettere
di
martiri
sono
un
genere
di
letteratura
edificante
che
in
un
secondo
momento
furono
riunite
in
raccolte,
i
libri
dei
martiri,
insieme
a
qualsiasi
testimonianza
di
martirio.
Esse
sono
attualmente
una
fonte
indispensabile
per
la
ricostruzione
storica
del
movimento.
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
p.
91.
61
28
organo
di
questo
tipo.
Inoltre,
ancora
più
importante,
l’unico
a
cui
si
sottoponevano
a
giudizio
era
Dio.
Un
ulteriore
punto
di
distinzione
degli
anabattisti
fu
il
rifiuto
di
prestare
giuramento,
a
questo
proposito
prendo
ancora
una
volta
come
esempio
uno
degli
articoli
di
Schleitheim:
“Noi
abbiamo
raggiunto
quest’accordo
quanto
al
giuramento,
che
si
tratta
di
una
conferma
che
si
deve
rendere
solo
in
nome
di
Dio,
e
dicendo
il
vero
non
il
falso,
secondo
il
comandamento
della
Legge.
Ai
cristiani,
però,
nostro
Signore
Gesù
Cristo
ha
vietato
ogni
sorta
di
giuramento”63.
L’opposizione
al
giuramento
in
nome
di
Dio
derivava
dall’eventuale
impossibilità
di
eseguire
ciò
che
veniva
giurato,
questo
perché
il
compimento
del
giuramento
non
dipendeva
unicamente
dall’intenzionalità
della
persona
ma
anche
da
fatti
esterni
e
ciò
avrebbe
comportato
un
tradimento
nei
confronti
di
Dio.
Infatti,
l’opposizione
al
giuramento
era
in
parte
dovuta
all’uso
fatto
nella
società
che
finiva
per
privarlo
di
qualsiasi
valore.
In
sostituzione
di
un
giuramento
privo
di
valore
gli
anabattisti
dovevano
confermare
le
loro
promesse
e
i
loro
impegni
con
l’uso
del
“sì”
e
del
“no”.
Questa
promessa
non
aveva
un
valore
minore
rispetto
al
giuramento
perché,
essendo
i
cristiani
delle
persone
oneste
e
leali,
possedeva
la
medesima
funzione
vincolante.
Come
si
può
vedere
si
delinea
una
comunità
le
cui
caratteristiche
principali
sono
la
ricerca
della
perfezione
e
della
realizzazione
della
Chiesa
apostolica
e
la
conseguente
opposizione
alla
società
contemporanea.
Tuttavia
non
si
deve
pensare
che
ciò
comportasse
una
completa
chiusura
nei
confronti
del
mondo,
poiché
gli
anabattisti
ritenevano
che
l’evangelizzazione
fosse
il
grande
mandato
di
Cristo
e
di
conseguenza
il
cristiano,
come
vocazione
personale,
e
la
comunità,
come
espressione
comune,
dovevano
portarla
avanti.
Quindi
le
nuove
comunità
da
una
parte
rappresentavano
una
riproduzione
della
Chiesa
primitiva,
dove
i
fedeli
convivevano
in
conformità
con
la
via
del
Cristo
ed
in
cui
era
possibile
riconoscere
l’azione
dello
Spirito
Santo,
e
dall’altra
dovevano
essere
un
punto
di
partenza
per
un’ulteriore
evangelizzazione.
Questo
zelo
missionario
perse
parte
della
sua
forza,
in
seguito
agli
eventi
di
Münster,
a
favore
di
una
maggiore
organizzazione
e
disciplina
imposta
alla
comunità.
Inizialmente,
in
base
al
principio
che
l’azione
dello
Spirito
Santo
fosse
una
sola
e
i
suoi
doni
e
le
sue
manifestazioni
individuali
andassero
condivisi
con
tutta
la
comunità,
il
fedele
acquistava
una
nuova
dignità
che
derivava
dall’essere
considerato,
come
gli
altri,
una
voce
dello
Spirito
Santo
e
possedeva
quindi
la
libertà
e
il
diritto
di
interpretare
le
Sacre
G.
Calvino,
op.cit.,
p.
231.
63
29
Scritture
da
sé
e
diventare
lui
stesso
diretto
intermediario
di
Dio.
Questo
teoricamente
comportava
che
ogni
credente
potesse
assumere
il
ruolo
di
ministro
in
base
ad
una
propria
vocazione
interiore
ma,
come
pone
in
rilievo
Lienhard,
un
evangelismo
di
questo
tipo,
benché
funzionò
per
molti
anni,
non
era
destinato
a
durare
64 .
Infatti,
seppure
questo
principio
non
fu
mai
ripudiato,
i
disastrosi
eventi
di
Münster
resero
necessaria
una
delineazione
più
rigida
della
disciplina
nella
comunità,
ricorrendo,
tra
le
altre,
alla
clausola
di
porre
una
maggiore
attenzione
nella
scelta
del
futuro
ministro
tramite
un
discernimento
antecedente
l’assegnazione
di
tale
funzione.
La
maggiore
rigidità
della
comunità
non
ebbe
solo
delle
ripercussioni
sulla
modalità
in
cui
si
accedeva
alla
carica
di
ministro,
ma
incise
anche
sull’autorità
di
quest’ultimo.
Tale
cambiamento
emerge
con
forza
nelle
riunioni
dei
fedeli
che,
seppure
uguali
nei
contenuti
(preghiera,
discussione,
battesimo
dei
nuovi
credenti,
Santa
Cena
e
scomunica),
differivano
nel
ruolo
assunto
dal
ministro,
il
quale
finì
per
acquisire
una
posizione
di
rilievo
rispetto
agli
altri
fedeli:
svolgeva
la
funzione
di
lettore
delle
Sacre
Scritture
e
di
maestro
teologico,
deteneva
il
monopolio
dello
svolgersi
della
riunione
ed
in
alcuni
casi,
come
nelle
comunità
mennonite,
si
estingueva
lo
spazio
per
la
discussione
e
gli
interventi
individuali
del
singolo
credente.
Per
quanto
riguarda
il
numero
e
la
tipologia
dei
ministri
non
mi
dilungherò
a
lungo,
perché
ciò
dipendeva
dal
ramo
del
movimento
a
cui
apparteneva
la
comunità.
Generalmente
si
può
dire
che
fosse
condivisa
da
tutti
gli
anabattisti
la
necessità
che
ogni
comunità
avesse
almeno
un
ministro
istruito
sulle
Sacre
Scritture
e
svolgente
la
funzione
di
pastore
(amministrare
i
sacramenti
e
porsi
come
“guida
spirituale”).
Un
ultimo
punto
di
particolare
interesse,
seppur
non
condiviso
da
tutto
l’anabattismo,
è
il
passaggio
dalla
comunione
dei
beni
spirituali
a
quella
dei
beni
materiali.
Tutto
il
movimento
anabattista
condivideva
l’idea
secondo
cui
i
beni
terreni
non
andassero
cercati
e
quelli
presenti
fossero
divisi
equamente,
tuttavia
le
comunità
hutterine
andarono
oltre:
fu
imposta
la
comunione
dei
beni
materiali
e
la
comunione
di
produzione.
La
base
di
questo
sistema
comunitario
era
un’economia
di
tipo
agricolo-‐artigianale
ruotante
intorno
al
lavoro,
equamente
suddiviso
tra
i
credenti
e
svolto
in
una
fattoria
indispensabile
all’autosufficienza
della
comunità.
Da
sottolineare
che
fu
una
delle
prime
esperienze
di
comunismo
dei
beni
e
di
produzione
eseguita
con
un
discreto
successo
in
anticipo
sul
comunismo
contemporaneo.
64
M.
Lienhard,
Gli
anabattisti,
in
L.
Mezzardi
(a
cura
di),
Il
tempo
delle
confessioni,
1530-‐1620/30,
vol.8,
Roma-‐
Borla,
Città
Nuova,
2001,
p.
137.
30
2.2.2.
L’impatto
della
dottrina
anabattista
sulla
società
Bainton
pone
in
rilievo
come
la
Chiesa
ideata
dagli
anabattisti
non
avesse
per
obiettivo
la
sovversione
della
società,
a
differenza
di
quanto
veniva
loro
imputato
dagli
altri
Riformatori
e
dall’autorità
politica,
tuttavia
proprio
i
caratteri
di
rottura
con
la
struttura
politica
e
sociale,
se
applicati,
finivano
con
lo
stravolgere
l’ordine
costituito65.
Paradossalmente
se
da
una
parte
gli
anabattisti
si
disinteressarono
della
politica
e
della
società,
dall’altra
furono
posti
sotto
accusa
proprio
per
questa
condotta.
Il
primo
elemento
da
evidenziare
è
l’organizzazione
privata
di
questa
comunità,
perché
comportava
necessariamente
un
dilagare
di
riunioni
clandestine
su
cui
l’autorità
non
aveva
alcun
controllo.
Come
si
sa
bene
da
sempre
le
autorità
hanno
tentato
di
ridurre
al
minimo
quelle
che
potevano
essere
definite
delle
associazioni
private,
soprattutto
qualora
venissero,
come
in
questo
caso,
portate
avanti
da
un
gruppo
la
cui
sola
presenza
finiva
per
creare
delle
grandi
tensioni
nei
luoghi
in
cui
si
trovava:
sia
per
il
successo
che
aveva
la
loro
predicazione,
sia
per
la
paura
della
loro
portata
sovversiva.
Entrando
nel
merito
degli
elementi
peculiari
della
loro
comunità
vediamo
come
questo
carattere
di
stravolgimento
della
società
fosse
portato
ad
ampliarsi.
Tramite
il
rifiuto
del
battesimo
dei
bambini,
come
spiegato
in
precedenza,
si
rompeva
la
sovrapposizione
della
Chiesa
con
la
società
cristiana,
ma
cosa
significava
concretamente
la
fine
della
Chiesa
di
popolo?
Significava
la
perdita
di
controllo
della
Chiesa
sul
popolo
e
sulla
società,
non
solo
per
quanto
riguarda
l’effettiva
influenza
etica
che
un’istituzione
comprendente
tutta
la
popolazione
finiva
per
avere
sui
cittadini,
ma
perdeva
soprattutto
il
suo
ruolo
di
accompagnatrice
dell’uomo
nelle
tappe
più
importanti
della
sua
vita.
Il
battesimo
aveva
la
funzione
di
fare
entrare
il
bambino
nella
Chiesa
e
nella
società
civile
tant’è
che
il
registro
parrocchiale
fungeva
al
contempo
da
registro
anagrafico.
La
perdita
di
controllo
della
Chiesa
riguardava
anche
la
seconda
tappa
fondamentale
nella
vita,
il
matrimonio,
perché
gli
anabattisti,
ritenendolo
un’invenzione
umana
senza
riscontri
nelle
Sacre
Scritture,
finivano
per
opporvisi
e
sposarsi
al
di
fuori
dell’istituzione.
Questo
comportava
la
perdita
per
la
Chiesa
del
proprio
ruolo
di
soggetto
attivo
e
di
degno
interlocutore
all’interno
delle
strutture
sociali,
politiche
e
culturali
di
un
paese.
Tuttavia
gli
anabattisti
andarono
oltre,
poiché
non
solo
esautoravano
la
Chiesa
della
sua
autorità
temporale
ma
al
contempo,
promulgando
la
separazione
tra
Chiesa
e
Stato,
R.
H.
Bainton,
op.cit.,
p.
100.
65
31
privavano
le
autorità
politiche
di
qualsiasi
tipo
d’influenza
in
materia
religiosa.
L’impatto
di
questa
rivendicazione
non
si
limitava
alla
perdita
di
dominio
da
parte
del
potere
politico
in
un
determinato
ambito,
per
quanto
importante,
ma
in
molti
casi
significava
eliminare
un
canale
tramite
cui
il
potere
politico
agiva
e
influenzava
la
società.
Naturalmente
una
separazione
così
radicale
tra
Stato
e
Chiesa
non
poteva
che
avere
anche
delle
conseguenze
sul
tipo
di
rapporto
dei
veri
cristiani
con
l’autorità
e
la
società.
Questo
rapporto,
secondo
il
principio
per
cui
i
veri
cristiani
appartenevano
ad
una
comunità
perfetta
separata
dalla
società
degli
uomini,
doveva
fare
comunque
i
conti
con
l’impossibilità
di
un
estraniamento
completo
dalla
realtà
temporale,
pur
seguendo
le
regole
della
priorità
data
alla
Parola
di
Dio
e
del
disinteresse
nei
confronti
del
mondo.
Emblematico,
in
questo
senso,
il
rifiuto
di
prestare
giuramento
e
di
portare
le
armi.
Per
quanto
riguarda
il
primo
gli
anabattisti,
che
avevano
ne
avevano
trovato
le
basi
nelle
Sacre
Scritture,
sottolinearono
come
per
la
società
non
ci
dovessero
essere
particolari
differenze
perché
il
“sì”
o
il
“no”
della
promessa
anabattista
aveva
la
medesima
forza
del
giuramento
di
un
cittadino,
anzi
era
più
sicuro
il
suo
compimento.
Per
quanto
riguarda
il
rifiuto
di
portare
armi
la
situazione
è
più
complicata.
La
negazione
della
violenza
concretamente
significava
la
resistenza
a
qualsiasi
tipo
di
guerra
difensiva
o
non,
il
rifiuto
di
fare
la
guardia
e
talvolta
l’opposizione
al
pagamento
delle
tasse
volte
al
sostentamento
della
guerra.
La
gravità
di
tale
rivendicazione,
che
in
un
contesto
normale
derivava
dalla
mancata
assoluzione
dei
doveri
civici
da
parte
di
quelli
che
rimanevano,
in
tutto
e
per
tutto,
dei
cittadini
e
dal
mettere
in
dubbio
la
vita
sociale
e
civile,
era
potenziata
dall’effettiva
minaccia
dei
Turchi
sull’Impero.
Infatti,
seppur
l’Europa
fosse
attraversata
dalle
guerre
di
religione
e
dai
conflitti
di
potere
tra
i
vari
Stati,
sullo
sfondo
rimaneva
la
constante
minaccia
dell’invasione
turca,
considerata
il
pericolo
maggiore
per
la
cristianità.
In
questo
senso
risulta
esplicativa
ancora
una
volta
la
testimonianza
di
Sattler
al
suo
processo,
perché
furono
proprio
le
parole
inerenti
alla
guerra
a
decretarne
la
condanna
a
morte:
“Se
i
turchi
dovessero
fare
un’invasione,
non
si
dovrebbe
resistere
loro;
perché
sta
scritto:
Tu
non
ucciderai.
Non
dovremmo
difenderci
contro
i
turchi
e
i
nostri
persecutori,
ma
supplicare
ardentemente
Dio
nelle
nostre
preghiere
perché
egli
li
respinga
e
li
affronti.
In
quanto
al
mio
dire,
che
se
dovessi
approvare
la
guerra
io
marcerei
piuttosto
contro
i
cosiddetti
cristiani
che
perseguitano,
imprigionano
e
mettono
a
morte
i
pii
cristiani,
io
adduco
questa
ragione:
i
turchi
sono
dei
veri
turchi,
non
conoscono
niente
della
32
fede
cristiana,
e
sono
turchi
secondo
la
carne;
ma
voi
che,
pretendendo
di
essere
cristiani
e
vantandovi
di
Cristo,
perseguitate
i
pii
testimoni
di
Cristo,
siete
turchi
secondo
lo
Spirito”66.
Un’ulteriore
conseguenza
dell’opposizione
alla
società
costituita
fu
l’impossibilità
da
parte
del
cristiano
di
svolgere
un
incarico
ministeriale.
Questo
non
significava
un
disconoscimento
del
ruolo
dell’autorità
politica
da
parte
del
cristiano,
anzi
quest’ultimo
era
obbligato
a
rispettarla
fintanto
che
non
fosse
andata
contro
la
Parola
di
Dio;
per
questo
motivo
la
richiesta
dell’astensione
dal
giuramento
e
dalle
armi
non
era
considerata
dagli
anabattisti
contraria
al
governo
civile.
Come
si
può
vedere
in
questo
modo
si
finiva
per
minare
la
stabilità
dell’autorità,
in
aggiunta,
come
pone
in
rilievo
Leinhard,
affermare
che
un
cristiano
non
potesse
svolgere
una
funzione
politica
metteva
in
discussione
il
fondamento
stesso
di
tale
potere67.
Infatti,
come
ribadisce
Calvino
nella
sua
opera
di
confutazione
della
fede
anabattista,
il
movimento
si
opponeva
in
forza
a
qualsiasi
tipo
di
funzione
religiosa
e
di
guida
della
cristianità
che
deteneva
un
ministro
civile
e
non
riconosceva
il
possibile
vantaggio
per
la
cristianità
ad
avere
il
controllo
su
dei
punti
strategici
nella
società68.
Per
comprendere
a
fondo
l’impatto
che
queste
posizioni
sovversive
avevano
sull’opinione
pubblica
e
sulle
classi
dirigenti
è
di
grande
utilità
il
saggio
di
Leinhard
Les
autorités
civiles
et
les
anabaptistes:
Attitudes
du
magistrat
de
Strasbourg69 .
In
esso
l’autore
mostra
come
queste
rivendicazioni
e
le
loro
conseguenze
abbiano
finito
per
corrodere
l’essenza
stessa
della
città
di
Strasburgo,
da
sempre
favorevole
alla
libertà
di
coscienza
politica
e
religiosa,
fino
all’introduzione
graduale
di
una
legislazione
contro
gli
anabattisti.
Non
deve
quindi
stupire
che,
se
riuscirono
a
cambiare
l’approccio
di
una
città
come
Strasburgo,
in
altri
contesti
scatenarono
un
vero
e
proprio
dilagare
di
leggi
persecutorie,
anche
contando
che
gli
anabattisti
erano
accusati
di
altri
crimini,
come
la
poligamia
e
la
comunione
dei
beni70.
Queste
tendenze
concorrevano
al
tentativo
della
realizzazione
della
comunità
perfetta
di
Dio.
Si
può
anzi
dire
che
fu
proprio
la
volontà
di
preservare
quest’ultima
da
qualsiasi
forma
di
corruzione
e
ingerenza
della
società
che
portò
alla
formazione
di
idee
che
non
solo
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
p.
212.
66
67
M.
Lienhard,
Les
autorités
civiles
et
les
anabaptistes:
Attitudes
du
magistrat
de
Strasbourg
(1526-‐1532),
in
M.
Lienhard
(a
cura
di),
The
origins
and
charachteristic
of
anabaptism,
Den
Haag,
M.
Nijhoff,
1977,
p.
213.
G.
Calvino,
op.cit.,
pp.
205-‐231.
68
69
M.
Lienhard,
Les
autorités
civiles
et
les
anabaptistes
:
Attitudes
du
magistrat
de
Strasbourg
(1526-‐1532),
in
M.
Lienhard
(a
cura
di),
The
origins
and
charachteristic
of
anabaptism,
Den
Haag,
M.
Nijhoff,
1977,
p.
196-‐215.
70
La
poligamia
era
stata
introdotta
per
la
prima
ed
unica
volta
a
Münster,
mentre
la
comunione
dei
beni,
anch’essa
introdotta
per
la
prima
volta
a
Münster,
fu
in
seguito
ripresa
dalle
comunità
hutterine.
33
anticiparono
i
tempi,
ma
che
saranno
alla
base
del
mondo
moderno:
tra
esse
in
primo
piano
troviamo
la
libertà
religiosa
e
la
separazione
tra
Stato
e
Chiesa.
Per
concludere
in
modo
completo
quest’analisi
del
rapporto
delle
comunità
anabattiste
con
la
società
mi
sembra
interessante
ricordare
qui
uno
dei
pochi
esempi
di
comunità,
se
non
l’unico
nel
XVI
secolo,
che
visse
pacificamente
avendo
la
possibilità
di
stabilizzarsi
grazie
al
benestare
delle
autorità.
Come
ricorda
Ugo
Gastaldi
gli
anabattisti
olandesi,
in
prevalenza
mennoniti,
dal
1575
beneficiarono
della
tolleranza
del
paese
e
dell’appoggio
di
Guglielmo
d’Orange,
che
non
solo
permise
loro
di
portare
avanti
le
loro
attività
comunitarie
indisturbati,
ma
soddisfò
in
parte
anche
le
loro
rivendicazioni:
li
autorizzò
a
sostituire
il
giuramento
civico
con
una
dichiarazione,
a
pagare
una
tassa
al
posto
di
prestare
servizio
militare
e,
da
ultimo,
a
contrarre
matrimonio
davanti
alle
autorità
pubbliche
con
l’unica
clausola
che
in
seguito
una
Chiesa
riformata
ne
registrasse
l’atto.
La
benevolenza
del
paese
nei
confronti
degli
anabattisti
ebbe
il
risultato
di
un
loro
graduale
inserimento
nella
società,
tant’è
che
diventarono
parte
integrante
di
essa,
perdendo
quella
repulsione
verso
il
mondo
che
aveva
trovato
espressione
proprio
nel
rifiuto
della
società
civile
e
religiosa.71
Ritengo
che
sia
un
esempio
particolarmente
interessante
perché
potrebbe
far
supporre
che
un
diverso
approccio
da
parte
delle
autorità
nei
confronti
di
questo
movimento
avrebbe
finito
per
smussare
alcune
delle
loro
rivendicazioni
più
radicali
e
provocatorie,
tra
cui,
come
in
questo
caso,
l’avversione
nei
confronti
del
mondo,
eliminando
in
questo
modo
proprio
gli
elementi
sovversivi
che
più
facevano
paura
alle
autorità
e
all’opinione
pubblica.
Infatti,
furono
questi
la
causa
principale
della
loro
persecuzione
ed
essa
a
sua
volta
finì
per
rafforzare
l’idea
del
collegamento
della
società
civile
con
il
male
e
per
radicalizzare
l’opposizione
ad
essa.
2.3.
La
Chiesa
Calvinista
Come
spiegato
nell’introduzione
di
questo
capitolo,
Calvino
sosteneva
l’idea
della
continuità
storica
della
Chiesa,
per
cui
in
ogni
epoca
era
stata
presente
la
vera
Chiesa.
Quest’ultima
non
trovava
espressione
in
un'unica
Chiesa
ma
ogni
Chiesa
contemporanea,
se
avente
i
caratteri
idonei,
era
una
delle
espressioni
possibili
della
Chiesa
invisibile.
Questi
caratteri
dovevano
essere
la
pura
predicazione
della
Parola
di
Dio,
l’amministrazione
dei
sacramenti
secondo
l’istituzione
di
Cristo
e
l’obbedienza
della
comunità
alla
Parola
U.
Gastaldi,
Storia
dell’anabattismo,
vol.
2:
da
Münster
ai
giorni
nostri,
Torino,
Claudiana,
1981,
pp.
91-‐97.
71
34
predicata.
Infatti,
non
era
necessario
che
la
Chiesa
fosse
esteriormente
tutta
uguale
ma
il
Signore
aveva
dato,
appunto,
delle
direttive
generali
nella
realizzazione
dell’istituzione,
la
cui
elasticità
doveva
permettere
nascita
e
affermazione
della
Chiesa
in
varie
situazioni
ed
epoche
differenti.
Per
Calvino
il
cristiano
doveva
avere
l’obbligo
di
rimanere
all’interno
delle
varie
espressioni
istituzionali
della
vera
Chiesa,
anche
se
non
erano
perfette,
ed
anzi
il
cristiano
doveva
rimanere
proprio
con
l’obiettivo
di
eliminare
la
corruzione
e
gli
errori
interni.
Una
Chiesa
poteva
essere
abbandonata
e
ripudiata
solo
nel
momento
in
cui
percorreva
una
strada
non
più
conforme
alla
Parola
di
Dio.
L’importanza
di
un
impegno
costante
del
credente
nella
Chiesa
derivava
dal
fatto
che
quest’ultima
era
il
mezzo
con
cui
Dio
effettuava
la
santificazione
del
suo
popolo.
Non
deve
stupire
dunque
l’impegno
ed
il
tempo
dedicato
da
Calvino
nella
realizzazione
di
una
Chiesa,
la
cui
organizzazione
e
struttura
dovevano
essere
il
più
possibile
conformi
alle
Sacre
Scritture
ed
esenti
dagli
errori
della
Chiesa
tradizionale.
Ma
concretamente
che
organizzazione
aveva
l’espressione
istituzionale
della
Chiesa
invisibile
ideata
da
Calvino?
2.3.1.
L’organizzazione
della
Chiesa
calvinista
Calvino
ideò
un
governo
della
Chiesa
basato
su
due
piani
paralleli:
da
una
parte
si
trovava
il
Concistoro
e
dall’altra
i
vari
ministri
religiosi.
Il
Concistoro,
come
abbiamo
visto,
era
l’organo
che
aveva
il
compito
di
mantenere
la
disciplina
ecclesiastica
e
con
la
sua
opera
di
garantire
la
sopravvivenza
del
calvinismo
a
livello
internazionale.
Il
suo
incarico
consisteva
nell’occuparsi
di
coloro
che
rappresentavano
una
minaccia
per
l’ordine
religioso
e
nel
supervisionare
i
comportamenti
pastorali
e
morali.
Esso
era
composto
da
pastori,
scelti
dalla
Venerabile
Compagnia
dei
pastori,
affiancati
da
anziani,
scelti
dal
governo
civile
della
città.
La
duplice
composizione
del
Concistoro
era
strettamente
legata
all’idea
della
coincidenza
della
Chiesa
con
la
società
civile
e
alla
necessità
di
procedere
gradualmente
e
in
concordanza
con
le
autorità
politiche
nell’applicazione
della
Riforma.
Vinay
sottolinea
che
questo
non
significava
per
Calvino
la
separazione
tra
Stato
e
Chiesa,
ma
la
conseguenza
logica
ed
inevitabile
della
sovrapposizione
delle
due
comunità,
per
cui
era
necessaria
la
collaborazione
dei
due
poteri
in
determinate
35
attività72.
Tuttavia
le
pene
emesse
dal
Concistoro
erano
unicamente
di
natura
ecclesiastica,
per
cui
il
governo
civile
non
possedeva
l’autorità
per
intervenire.
I
Ministri
rispecchiavano
le
funzioni
più
importanti
estrapolate
dall’analisi
delle
Sacre
Scritture
riguardo
alla
Chiesa
e
ritenute
da
Calvino
indispensabili
nella
realizzazione
di
una
comunità
cristiana.
Il
primo
ministero
ritenuto
essenziale
era
quello
pastorale,
il
quale
aveva
due
compiti.
Il
primo
consisteva
nella
predicazione
e
nell’insegnamento
pubblico
e
privato
della
Parola
di
Dio,
opera
fondamentale
per
la
diffusione
del
Vangelo
e
per
la
conseguente
evangelizzazione
dei
popoli.
Grazie
ad
essa
la
Chiesa
continuava
ad
espandersi
e
la
Parola
di
Dio
rimaneva
pura.
Il
secondo
consisteva
nella
cura
delle
anime
la
cui
espressione
era
l’amministrazione
dei
sacramenti.
Calvino
riteneva
i
sacramenti
molto
importanti
perché
erano
un
segno
esteriore
dell’opera
di
Dio
ed
erano
un
mezzo
tramite
cui
Dio
ricordava
al
credente
il
suo
stato
di
grazia.
Il
secondo
ministero
era
affidato
ai
dottori,
il
compito
dei
quali
comprendeva
l’insegnamento
e
l’esegesi
della
Bibbia.
Sostanzialmente
dovevano
insegnare
ai
fedeli
la
vera
dottrina
ed
in
un
secondo
momento
controllare
il
loro
stato
di
fede;
inoltre
si
occupavano
della
preparazione
dei
pastori,
che
dal
1559
aveva
luogo
nell’Accademia.
Come
si
può
vedere
l’insegnamento
era
anche
una
prerogativa
dei
pastori,
tuttavia
se
da
un
lato
questi
ultimi
potevano
sostituire
i
dottori
nei
loro
compiti,
il
contrario
non
era
possibile.
Il
terzo
ministero
lo
svolgevano
gli
anziani,
essi
avevano
il
compito
di
controllare
e
salvaguardare
la
moralità
di
ogni
fedele,
i
suoi
costumi
e
più
in
generale
l’ordine
della
comunità.
L’importanza
di
tale
controllo
risulta
emblematica
considerato
che
Calvino
vi
a
dedicato
la
sua
opera
Ordonnances
ecclésiastiques,
revisionata
a
più
riprese.
La
radicalità
di
tale
controllo
non
deve
essere
sottovalutata:
non
solo
i
cittadini
venivano
costantemente
controllati,
ma
tutte
quelle
attività
che
non
erano
considerate
moralmente
accettabili
(il
bere,
le
taverne,
il
gioco
d’azzardo,
etc.)
erano
state
proibite.
Il
fedele
colto
nell’errore
veniva
in
un
primo
momento
richiamato
all’ordine
e
solo
in
seguito,
se
necessario,
ci
si
rivolgeva
ai
pastori.
Gli
anziani
venivano
scelti
dal
Consiglio
cittadino
e
ve
n’era
uno
per
ciascuno
dei
12
quartieri
di
Ginevra.
Il
quarto
ed
ultimo
ministero
concerneva
i
diaconi,
i
quali
erano
divisi
in
due
gruppi,
in
base
alle
diverse
funzioni:
da
un
lato
c’erano
coloro
che
si
occupavano
dell’elemosina
e
V.
Vinay,
Ecclesiologia
ed
etica
politica
in
Giovanni
Calvino,
Brescia,
Paideia,
1997,
pp.
111-‐112.
72
36
dell’amministrazione
dei
beni
della
Chiesa
e
dall’altro
coloro
che
assistevano
i
poveri
e
gli
infermi.
In
più
i
diaconi
svolgevano
anche
varie
funzioni
di
assistenza
agli
altri
ministri,
come
per
esempio
aiutare
i
pastori
ad
amministrare
la
Santa
Cena,
porgendo
il
calice
ai
fedeli,
oppure
insegnare
nelle
case
private.
Per
quanto
riguarda
la
funzione
di
assistenza
e
cura
di
poveri
ed
infermi,
inizialmente
veniva
realizzata
sul
posto,
dove
ciò
era
necessario,
in
seguito,
dal
1542,
venne
istituito
l’Hopital
général
che
diventò
il
centro
di
raccolta
per
queste
persone,
con
la
contemporanea
proibizione
della
pratica
della
mendicità.
Naturalmente
i
servizi
sanitari
per
le
persone
povere
erano
gratuiti
ed
addirittura
colui
che
si
occupava
di
curarli
era
un
medico-‐chirurgo.
Un’organizzazione
ecclesiastica
di
questo
tipo,
per
funzionare,
necessitava
di
un
rigido
controllo
che
si
esprimeva,
come
abbiamo
visto,
in
una
supervisione
dei
fedeli
ma
anche
degli
stessi
ministri.
Infatti,
c’era
una
procedura
per
la
scelta
della
persona
idonea
alla
magistratura
e
in
seguito
il
suo
operato
era
costantemente
esaminato
da
terzi.
La
nomina
a
ministro
doveva
essere
preceduta
da
una
vocazione
interiore
voluta
da
Dio,
tuttavia
era
necessario
che
la
comunità
cristiana
riconoscesse
tramite
una
votazione
l’”eletto”.
Egli
veniva
ritenuto
idoneo
qualora
dimostrasse
di
aver
percorso
una
vita
integra
e
al
contempo
di
essere
un
conoscitore
delle
Sacre
Scritture.
Vinay
sottolinea
come
questo
controllo
derivasse
dalla
volontà
di
Calvino
di
garantire
da
una
parte
il
passaggio
della
funzione
a
persone
realmente
degne
e
dall’altra
di
permettere
al
popolo
di
partecipare,
direttamente
o
tramite
rappresentanti,
alla
scelta
delle
loro
giudee
spirituali,
permettendo
una
effettiva
realizzazione
del
principio
secondo
cui
il
cristiano
doveva
impegnarsi
nella
Chiesa
esistente73.
Al
contempo
la
presenza
fondamentale
dei
ministri,
base
dell’essenza
e
del
funzionamento
della
Chiesa,
rendeva
necessario
lo
svolgimento
di
un
lavoro
esemplare.
Per
questo
motivo,
onde
evitare
un
allontanamento
dai
loro
compiti,
venivano
controllati
periodicamente
tramite
un
sistema
che
sfruttava
gli
organi
già
esistenti.
Infatti,
gli
anziani,
protettori
della
moralità,
erano
esaminati
dal
Concistoro,
mentre
i
diaconi
venivano
sorvegliati
da
più
persone:
i
pastori,
gli
anziani
e
uno
dei
quattro
sindaci
di
Ginevra.
Unicamente
per
la
verifica
del
lavoro
dei
pastori,
ritenuto
il
più
importante
nella
Chiesa,
venne
istituita
una
commissione
comprendente
due
membri
del
Consiglio
e
due
pastori
che
ogni
anno
lo
controllavano.
Ivi,
pp.
73-‐75.
73
37
Qualora
un
ministro
non
venisse
più
ritenuto
idoneo
per
la
sua
cattiva
condotta,
era
immediatamente
deposto,
atto
che
non
minava
il
concetto
di
autorità,
in
quanto
il
ministro
la
possedeva
unicamente
quale
“eletto”
da
Dio
e
scelto
dal
popolo.
L’importanza
del
controllo
della
moralità
dei
ministri
è
evidente
dall’attenzione
che
Calvino
espresse
nell’indicare
in
che
modo
e
a
che
livello
di
gravità
un
ministro
si
corrompeva:
“Per
ovviare
a
tutti
gli
scandali
della
vita,
sarà
utile
che
vi
sia
una
forma
di
correzione,
alla
quale
tutti
si
sottometteranno.
Sarà
anche
il
mezzo
per
mantenere
il
ministero
in
onore
e
per
evitare
che
la
parola
di
Dio
venga
disonorata
a
causa
della
cattiva
fama
dei
ministri.
[…]
Ma
si
deve
anzitutto
notare
che
ci
sono
dei
crimini
del
tutto
intollerabili
in
un
ministro,
e
ci
sono
dei
vizi
che
si
possono
invece
sopportare,
purché
si
ammoniscano
fraternamente.
I
primi
sono:
eresia,
scisma,
ribellione
contro
l’ordine
ecclesiastico,
bestemmia
manifestata
e
degna
di
pena
civile,
simonia
e
ogni
corruzione
per
mezzo
di
doni,
brighe
per
occupare
il
posto
di
un
altro,
[…].
I
secondi
sono:
modo
strano
di
trattare
la
Scrittura,
curiosità
che
porta
a
cercare
questioni
vane,
proporre
qualche
dottrina
o
modo
non
ammesso
nella
chiesa,
[…]”74.
Questa
diligenza
nel
controllo
della
Chiesa
da
parte
di
Calvino
derivava
anche
dall’idea,
precedentemente
spiegata,
di
doversi
impegnare
completamente
nella
creazione
di
una
Chiesa
e
di
una
società
esenti
da
errori
e
più
possibilmente
vicine
al
Vangelo.
Inoltre
ciò
avrebbe
garantito
una
maggiore
protezione
contro
le
diffamazioni
e
le
critiche,
sia
da
parte
di
Roma
che
da
parte
dell’ala
radicale
della
Riforma.
2.3.2.
L’influenza
della
dottrina
calvinista
sulla
società
La
sovrapposizione
della
Chiesa
al
Corpus
Christianum
comportò
un
impegno
attivo
della
prima
nel
secondo,
tramite
una
penetrazione
delle
idee
cristiane
in
tutti
gli
aspetti
della
vita
civile.
La
modalità
in
cui
quest’influenza
dovesse
avvenire
fu
ideata
e
propagandata
a
livello
teorico
da
Calvino,
tuttavia
nella
realtà
la
sua
applicazione
ebbe
gradi
diversi
nelle
varie
realtà
in
cui
si
diffuse
il
calvinismo.
Per
Calvino
la
Chiesa,
a
fianco
del
proprio
ruolo
di
custode
della
Parola
di
Dio
e
della
propria
diffusione
nel
mondo
con
l’obiettivo
di
ricondurre
l’uomo
a
Dio
e
restituirgli
la
sua
natura
perduta
dopo
la
caduta,
doveva
promuovere
la
completa
restaurazione
della
società,
la
cui
natura
si
era
andata
corrompendo
di
pari
passo
alla
corruzione
dell’uomo.
Vinay
pone
in
rilievo
come
la
duplice
funzione
della
Chiesa
fosse
collegata
proprio
alla
completa
Ivi,
pp.
137-‐138.
74
38
coincidenza
tra
comunità
ecclesiastica
e
comunità
civile,
per
cui
necessariamente
il
rinnovamento
morale
e
spirituale
dell’uomo,
in
quanto
cristiano,
andava
a
modificare
anche
la
vita
dei
cittadini
e
le
loro
istituzioni75.
Tuttavia
la
Chiesa
da
sola
non
era
sufficiente
a
contenere
la
natura
corrotta
delle
persone
e
della
società,
soprattutto
dal
momento
che
essa
non
deteneva
un’autorità
su
tutto
il
mondo
e,
in
ogni
caso,
una
parte
dell’umanità
rimaneva
destinata
alla
dannazione76.
Per
questo
motivo
Dio,
accanto
alla
Chiesa,
aveva
istituito
il
governo
civile
con
il
compito
di
contrastare
i
malvagi
e
proteggere
i
buoni.
Il
ruolo
di
questo
governo
provvisorio
era
appunto
vegliare
sulla
società
fino
al
giorno
del
giudizio
universale,
poiché
solo
nel
Regno
di
Dio
tutta
l’umanità
sarebbe
vissuta
in
conformità
alla
Parola.
Tuttavia
l’ordine
provvisorio,
seppur
inabile
e
impossibilitato
alla
creazione
di
una
società
uguale
a
quella
del
Regno
di
Dio,
doveva,
tramite
la
coercizione
e
le
leggi,
mantenere
l’uomo
e
la
società
in
una
morale
il
più
possibile
conforme
al
Vangelo.
Biéler
sottolinea
come
la
Chiesa
avesse
il
dovere
di
aiutare
il
governo
civile
in
questo
compito,
sia
come
soggetto
attivo
nella
società,
sia
vegliando
sull’ordine
costituito
dal
soggetto
che
garantiva
la
stabilità,
lo
Stato,
poiché,
non
possedendo
al
suo
interno
la
conoscenza
dell’ordine
di
Dio,
era
lui
stesso
soggetto
a
corruzione77.
La
Chiesa
assolveva
il
suo
incarico
tramite
i
cristiani,
infatti
quest’ultimi,
una
volta
acquisita
la
consapevolezza
delle
responsabilità
intrinseche
alla
loro
fede,
si
impegnavano
attivamente
nella
Chiesa
stessa
e
nella
società
civile.
Innanzitutto
li
vediamo
collaborare
alla
creazione
della
comunità
cristiana
all’interno
della
città,
espressa
in
parte
nell’applicazione
e
nell’obbedienza
alla
disciplina
ecclesiastica
che
influenzava
ogni
aspetto
della
comunità
civile
e
religiosa
ed
in
parte
nel
partecipare
all’elezione
di
coloro
che
avrebbero
detenuto
il
governo
dell’una
e
dell’altra
comunità.
Di
seguito
questa
collaborazione
comportava
anche
l’impegno
del
cristiano
in
quella
che
era
la
vita
civile
e,
dunque,
il
rispetto
dei
suoi
doveri
cittadini,
tra
cui
l’azione
politica,
con
l’obiettivo
di
migliorare
la
società.
Vinay
rileva
come
fu
proprio
la
maggior
coscienza
dei
credenti,
sviluppatasi
col
divenire
responsabili
della
Chiesa
e
della
sua
organizzazione,
a
permettere
una
successiva
acquisizione
dei
loro
doveri
civili
e
politici,
rigorosamente
interpretati
in
un’ottica
religiosa78.
Da
ultimo
il
cristiano,
in
conformità
al
ruolo
della
Chiesa
di
supervisionare
l’autorità
politica,
aveva
il
diritto
e
il
dovere
di
Ivi,
p.
109.
75
76
Calvino
sostenne
l’idea
della
predestinazione
secondo
cui
Dio,
tramite
un
decreto
eterno,
aveva
destinato
ogni
uomo
alla
dannazione
o
alla
salvezza,
ancora
prima
della
creazione
del
mondo.
A.
Biéler,
L’umanesimo
sociale
di
Calvino,
Torino,
Claudiana,
1964,
pp.
26-‐27.
77
39
disobbedire
a
un
governo
civile
opposto
alla
Parola
di
Dio,
in
quanto
il
suo
dovere
di
cristiano
lo
obbligava
ad
un’obbedienza
incondizionata
solo
nei
confronti
di
Dio.
Ciò
nonostante
la
sua
opposizione
non
doveva
mai
arrivare
a
mettere
in
dubbio
la
funzione
del
magistrato
in
quanto
tale,
ma
unicamente
riferirsi
all’integrità
della
persona
interessata.
Ugualmente
non
si
doveva
arrivare
a
sovvertire
l’ordine
costituito,
poiché
minando
il
governo
civile
la
società
sarebbe
finita
nel
caos
e
i
cristiani
sarebbero
venuti
meno
agli
altri
obiettivi,
sopra
spiegati.
In
sostanza
Calvino
chiede
al
cristiano
un
impegno
attivo
nel
mondo
ed
un
utilizzo
delle
proprie
energie
nel
miglioramento
di
quest’ultimo,
non
dimenticando
che
esso,
in
quanto
creato
da
Dio,
era
degno
di
attenzioni.
Tuttavia
per
evitare
una
fusione
della
Chiesa
con
il
mondo,
il
cristiano,
seppur
esteriormente
impegnato
nel
mondo,
doveva
mantenersi
staccato
interiormente.
Indicative
le
parole
del
Riformatore
nello
spiegare
quest’aspetto:
“Dobbiamo
imparare
ad
attraversare
questo
mondo
come
se
fosse
un
paese
straniero,
guardando
con
distacco
tutte
le
cose
terrene
e
rifiutando
di
porre
il
nostro
cuore
su
di
esse”79.
Infatti,
non
si
deve
pensare
che
Calvino
proponesse
un
tipo
di
governo
teocratico,
per
questo
motivo,
come
anticipato,
sottolinea
che
i
due
poteri,
della
Chiesa
e
dello
Stato,
dovrebbero
rimanere
separati,
agendo
nella
propria
sfera
di
competenza,
senza
alcuna
interferenza
da
ambo
le
parti.
Tuttavia,
nell’applicazione
pratica
della
teoria,
la
collaborazione
tra
i
poteri
suindicati
e
la
sovrapposizione
tra
le
due
comunità
ebbe
come
esito,
in
alcuni
casi,
il
superamento
di
questo
limite:
sia
per
quanto
posto
in
rilievo
da
Vinay
-‐
Calvino
dalla
sua
posizione
di
guida
spirituale,
pur
non
detenendo
dei
reali
poteri
politici,
finiva
per
influenzare
governanti
e
cittadini80
-‐
sia
per
quanto
posto
in
rilievo
da
McGarth
–
la
volontà
del
governo
civile
di
non
perdere
potere
nell’amministrazione
della
giustizia,
simbolo
dell’indipendenza
della
città,
fece
sì
che
finisse
per
intervenire
nel
punire
dei
cittadini
per
sanzioni
disciplinari
promulgate
dalla
Chiesa,
come
nel
caso
di
Serveto81.
La
portata
dell’influenza
della
Chiesa
sulla
società
emerge
palesemente
anche
dalle
funzioni
dei
ministri
religiosi,
i
quali,
avendo
la
loro
giurisdizione
sulla
comunità
religiosa,
influivano
sulla
stessa
organizzazione
della
comunità
civile.
Emblematico
è
il
caso
del
ministero
degli
anziani,
come
già
spiegato,
e
soprattutto
quello
dei
diaconi.
Il
servizio
del
diaconato
si
prendeva
cura
dei
malati,
dei
vecchi
e
degli
invalidi
e
al
contempo
dei
poveri,
A.
E.
McGrath,
op.cit.,
p.
250.
79
40
tramite
la
ridistribuzione
equa
dei
beni
economici
tra
i
membri
della
comunità.
In
questo
modo
si
esprimeva
la
necessità
della
solidarietà
tra
i
membri
del
Corpo
di
Cristo
e
al
contempo
si
vuotava
il
denaro
dalla
sua
valenza
corruttiva.
Come
si
può
vedere
Calvino
non
solo
era
consapevole
dei
disagi
sociali
ed
economici
che
impregnavano
la
società,
ma
con
una
grande
lucidità
nel
suo
sistema
teologico
ne
proponeva
la
soluzione.
La
Chiesa
doveva
riabilitare
la
reale
funzione
del
denaro
nel
mondo:
esso
era
considerato
un
mezzo
tramite
cui
Dio
donava
all’uomo
il
necessario
per
la
sua
sopravvivenza
e
per
lo
svolgimento
della
sua
vita,
sua
e
dei
suoi
compagni.
La
funzione
utilitaria
del
denaro
e
quella
di
segno
della
grazia
di
Dio,
in
quanto
suo
dono,
dovevano
essere
ristabilite
dalla
Chiesa
tramite
la
ridistribuzione
delle
ricchezze,
che
si
realizzava
grazie
agli
scambi
economici
legati
al
commercio
e
alla
divisione
del
lavoro82,
nella
solidarietà
che
muoveva
il
denaro
dal
ricco
al
povero
e
nella
scelta
volontaria
della
povertà,
seguendo
l’esempio
di
Cristo.
Calvino
era
molto
moderno
nella
sua
visione
del
denaro,
privato
dei
suoi
caratteri
negativi,
e
promuoveva
una
visione
positiva
del
suo
impiego.
Infatti
per
esempio,
a
differenza
degli
altri
cristiani,
non
si
opponeva
al
prestito
con
interessi:
quest’ultimo
era
accettato
in
tutte
quelle
attività
che
comportavano
un
guadagno,
al
contrario,
qualora
venisse
fatto
a
qualcuno
in
una
situazione
di
bisogno
e
non
in
grado
di
restituire
il
denaro,
l’interesse
era
condannato.
Come
si
può
vedere
anche
in
questo
caso
alla
base
della
rivalutazione
del
prestito
a
interesse
si
trovava
l’idea
della
ridistribuzione
delle
ricchezze.
Calvino
era
consapevole
che
non
era
possibile
eliminare
le
disuguaglianze
economiche,
ma
almeno
venivano
attenuate
ed
è
proprio
quello
che
realizzò
tramite
il
diaconato.
Biéler
sintetizza
molto
bene
tutto
questo
processo,
comparando
l’influenza
della
religione
sulla
società
del
XVI
secolo
all’influenza
dell’ideologia
politica
nelle
società
contemporanee83.
Infatti
vediamo
come
questo
stretto
rapporto
tra
fede
e
vita
quotidiana
portò
a
applicare
sistematicamente
il
concetto
della
vocazione
dell’uomo
a
servire
Dio
tanto
nella
Chiesa
quanto
nella
società
e
ciò
significava
che
ogni
attività
nella
vita
terrena
fosse
eseguita
per
servire
Dio
e
quindi
meritevole
di
dignità.
L’idea
che
ogni
uomo
avesse
un
determinato
compito
nella
società,
tramite
il
quale
serviva
Dio,
era
la
visione
di
come
dovesse
essere
applicata
e
vissuta
la
Parola
di
Dio
secondo
Calvino.
Quest’attivismo
nel
82
Nell’ottica
di
Calvino
la
divisione
del
lavoro,
conseguente
alla
vocazione
specifica
dell’uomo
nel
mondo,
incentivava
la
solidarietà
tra
gli
uomini,
perché
essa
comportava
un
continuo
scambio
tra
di
essi,
dalla
vendita
della
merce
o
di
un
servizio,
alla
necessità
di
comprare
i
beni
dagli
altri
e
ciò
finiva
per
legarli
strettamente
tra
loro.
V.
Vinay,
op.cit.,
p.
110.
83
41
mondo
aveva
finito
per
cambiare
il
volto
della
società,
poiché
ai
problemi
di
carattere
sociale
ed
economico
veniva
data
una
soluzione
o
una
giustificazione
religiosa,
tramite
la
“santificazione”
dei
vari
aspetti
della
vita
quotidiana.
In
questo
senso
l’esempio
migliore
è
il
lavoro:
Calvino
converte
la
visione
del
lavoro,
portatore
di
oppressione
e
fatica,
grazie
alla
sua
santificazione.
Il
lavoro
è
appunto
la
vocazione
dell’uomo
tramite
cui
obbedisce
all’opera
di
Dio.
Tuttavia,
per
eliminarne
il
carattere
di
oppressione
e
ingiustizia,
era
necessario
un
giorno
di
riposo
in
cui
l’uomo,
interrompendo
la
propria
attività
fisica,
lasciasse
da
parte
le
sue
preoccupazioni
e
si
dedicasse
completamente
a
Dio,
esprimendo
riconoscenza
nei
suoi
confronti.
McGrath
sottolinea
come
il
lavoro
in
questo
modo
finisse
per
essere
una
sorta
di
preghiera
produttiva
e
socialmente
benefica84.
Una
visione
di
questo
tipo
naturalmente
ebbe
delle
conseguenze
di
primo
piano
sulla
società.
Per
prima
cosa
venne
eliminata
la
concezione
negativa
del
lavoro
sostenuta
dalla
classe
aristocratica
e,
al
contrario,
qualsiasi
forma
di
ozio
veniva
condannata,
perché
segno
di
empietà.
In
questo
senso
vediamo
come
il
calvinismo
s’impegnò,
in
primo
piano,
nella
lotta
alla
disoccupazione,
in
quanto
la
sua
gravità
non
derivava
dal
non
avere
stipendio
per
vivere
ma
dal
non
poter
esprimere
il
proprio
servizio
verso
Dio.
Significative
le
parole
di
Calvino:
“Egli
ci
ha
ordinato
di
lavorare.
Quando
il
lavoro
è
tolto,
la
vita
dell’uomo
è
compromessa.
[…]
Ora,
dal
momento
che
Dio
ha
messo
la
loro
vita
nelle
loro
mani,
cioè
l’ha
collegata
al
loro
lavoro,
se
li
si
priva
dei
mezzi
necessari
è
come
se
si
tagliasse
loro
la
gola”85.
Vediamo,
infatti,
come
a
Ginevra
venissero
create
delle
nuove
professioni,
appositamente
per
dare
posti
di
lavoro
ai
poveri,
e
ci
si
impegnasse
per
trovare
una
qualsiasi
occupazione
per
tutti.
Non
era
importante
il
tipo
di
lavoro
che
il
cristiano
svolgeva,
poiché,
essendo
ogni
attività
fatta
al
servizio
di
Dio,
tutti
i
lavori
avevano
la
medesima
dignità.
Vinay
sottolinea
come
l’unica
preferenza
mostrata
dai
cristiani
fosse
la
scelta
di
un
lavoro
con
il
quale
ci
si
potesse
porre
al
servizio
del
prossimo 86 .
L’ultima
importantissima
conseguenza
era
che,
se
il
lavoro
s’intendeva
come
un
servizio
volto
a
Dio,
allora
il
salario
era
la
remunerazione
data
al
credente
per
la
sua
sopravvivenza.
In
questo
senso
un
salario
ingiusto
o
lo
sfruttamento
di
un
lavoratore
veniva
ritenuto
un
furto
di
ciò
che
Dio
aveva
donato
al
lavoratore.
Tuttavia
Calvino,
sapendo
che
questo
non
sarebbe
bastato
a
fermare
un
sistema
salariale
che
si
basava
sull’ingiustizia,
impose
l’introduzione
dei
A.
E.
McGrath,
op.cit.,
p.
275.
84
42
contratti
salariali
da
stipulare
tra
padrone
e
operaio
all’assunzione
dell’incarico
e,
qualora
in
seguito
fossero
emerse
incomprensioni,
era
possibile
rivolgersi
ad
arbitri
esterni.
In
un
certo
senso
Calvino
finì
per
ideare
una
società
utopica,
la
cui
realizzazione
sarebbe
dovuta
avvenire
gradualmente
grazie
all’azione
dei
cristiani
nel
mondo.
Di
pari
passo
con
la
conversione
di
città
e
nazioni
al
cristianesimo,
la
realizzazione
di
tale
società
sarebbe
stata
sempre
più
perfetta.
Tuttavia
Calvino
non
era
un
ingenuo
ed
era
consapevole
che,
senza
un
sistema
ecclesiastico
disciplinato
ed
ordinato
e
dei
mezzi
giuridici
ed
istituzionali
di
cui
servirsi,
entrambi
con
un
carattere
coercitivo,
il
sistema
utopico
non
avrebbe
trovato
la
ben
che
minima
applicazione.
43
CAPITOLO
III
-‐
ANTROPOLOGIA
3.1.
L’importanza
dell’uomo
nei
due
movimenti
riformati
L’uomo,
in
primo
piano
in
quanto
cristiano,
ha
un
ruolo
fondamentale
all’interno
del
delineamento
dei
due
movimenti
riformatori.
Questo
poiché,
come
emerso
dai
capitoli
precedenti,
il
cristianesimo,
sia
nell’espressione
anabattista
che
calvinista,
è
lo
strumento
tramite
cui
Dio
agisce
sull’essere
umano
per
mantenerlo
sulla
retta
via
o
trarlo
a
sé.
Tale
compito
nei
confronti
dell’uomo
finisce
per
influenzare
l’essenza
stessa
della
Chiesa.
Infatti
si
può
dire
che
la
cornice
entro
cui
si
sviluppa
la
struttura
dottrinale
e
disciplinare
della
Chiesa
è
da
una
parte
il
concetto
stesso
di
Chiesa
e
dall’altra
il
concetto
di
essere
umano
su
cui
si
fonda.
Come
esporrò
in
seguito
l’anabattismo
e
il
calvinismo
agiscono
in
modo
differente
nei
confronti
della
comunità
civile
e
religiosa
non
solo
in
base
alla
diversa
modalità
con
cui
la
Chiesa
doveva
svolgere
il
proprio
ruolo
nel
mondo
in
quanto
“sposa
di
Dio”,
ma
anche
in
base
alla
diversa
idea
che
aveva
dell’essenza
dell’uomo.
Se
magari
è
eccessivo
affermare
che
l’essenza
dell’uomo
è
la
causa
prima
di
determinate
caratteristiche
della
dottrina
e
della
disciplina
ecclesiastica,
sicuramente
essa
ha
finito
per
rafforzare
e
rendere
più
radicali
e
completi
i
suoi
aspetti.
Infatti
è
emblematico
come
al
concetto
della
comunità
cristiana
perfetta
promulgata
dagli
anabattisti
corrisponda
un
essere
umano
cristiano
perfetto
e
all’idea
di
una
comunità
cristiana
al
cui
intero
si
troveranno
sempre
degli
ipocriti
corrisponda
l’idea
di
uomo
che,
seppur
rigenerato,
mantiene
al
proprio
interno
i
germi
del
peccato
originale.
Come
vedremo
in
seguito,
nella
delineazione
della
natura
dell’uomo
risulta
fondamentale
l’idea
del
peccato
originale,
della
salvezza
e
rigenerazione
dell’uomo
grazie
all’azione
di
Gesù
Cristo
e
del
libero
o
servo
arbitrio.
Inoltre
centrale
nell’atteggiamento
dei
movimenti
riformatori
è
il
cambiamento
che
avviene
nell’umanità
dopo
l’avvicinamento
a
Cristo,
in
quanto
quest’ultimo
finisce
per
trasformare
la
natura
dell’uomo,
in
modo
più
o
meno
radicale.
Dal
momento
in
cui
l’uomo
diventa
cristiano,
con
il
conseguente
cambiamento
della
propria
natura,
è
portato
ad
assumere
un
atteggiamento
differente
nella
società
e
ad
adempiere
ai
doveri
verso
Dio
e
la
Chiesa.
Inoltre
tale
trasformazione
condiziona
lo
stesso
atteggiamento
della
Chiesa
che
può
differenziarsi
a
dipendenza
del
suo
interlocutore:
l’uomo
o
il
cristiano.
44
Generalmente
tutta
la
Riforma
è
unanime
nel
riconoscere
una
corruzione
ereditaria
che
colpisce
l’uomo
dal
momento
della
sua
caduta,
causata
dal
peccato
di
Adamo.
Questo
peccato
consiste
nell’allontanamento
da
Dio
conseguente
al
rifiuto
di
obbedirgli
e
comporta
la
corruzione
dei
doni
del
Signore.
Tuttavia
l’immagine
residua
di
Dio
non
scompare
completamente
dall’uomo
ed
è
proprio
ciò
che
lo
distingue
dalle
bestie.
Inoltre
essi
sono
altrettanto
unanimi
nel
riconoscere
l’azione
rigeneratrice
del
sacrificio
di
Cristo
sulla
natura
dell’uomo,
la
quale
trasforma
quest’ultimo
da
uomo
a
cristiano.
Da
qui
si
può
quindi
comprendere
che,
in
questo
capitolo,
con
il
termine
“uomo”
s’intenda
colui
che
si
è
allontanato
da
Dio
e
rimane
senza
la
sua
consolazione,
mentre
con
il
termine
“cristiano”
ci
si
riferisca
a
colui
che
si
ricongiunge
al
Signore.
Le
differenze
entro
i
Riformatori
sorgono
dal
momento
in
cui
si
addentra
più
in
profondità
in
questo
percorso
di
corruzione
e
redenzione,
poiché
essi
dissentono
da
un
lato
sul
grado
di
corruzione
della
natura
dell’uomo
e
sulle
relative
conseguenze
e
dall’altra
sul
grado
della
rigenerazione
dell’uomo
e
sulla
natura
del
cristiano.
Come
vedremo
queste
diversità
sussistono
anche
tra
l’anabattismo
ed
il
calvinismo.
3.2.
La
natura
dell’uomo
per
l’anabattismo
L’anabattismo
concordava
con
l’ala
centrale
della
Riforma
sulla
Sola
Fide
e
quindi
con
l’idea
che
alla
salvezza
l’uomo
non
poteva
in
alcun
modo
partecipare
poiché
unicamente
opera
di
Dio.
Tuttavia
fin
dal
principio
l’anabattismo
attenuava
quel
pessimismo
antropologico
sostenuto
dai
Riformatori
per
cui
l’uomo,
anche
dopo
il
suo
incontro
con
Dio,
manteneva
al
proprio
interno
i
germi
del
peccato.
Ugo
Gastaldi
sottolinea
come
questo
fosse
in
parte
dovuto
ad
una
minore
attenzione
posta
sul
peccato
originale
da
parte
degli
anabattisti 87 .
Infatti,
anche
nei
loro
testi
dottrinali,
il
tema
del
peccato
originale
era
generalmente
posto
in
secondo
piano
rispetto
al
tema
della
rigenerazione
e
santificazione
dell’uomo.
In
più
nel
movimento
anabattista
non
si
aveva
una
concezione
unanime
in
merito
alle
conseguenze.
Si
potevano
trovare
posizioni
più
moderate,
secondo
cui
l’uomo
dopo
la
caduta
si
limitava
a
sviluppare
una
tendenza
al
peccato,
e
posizioni
più
radicali,
per
cui
l’uomo
non
solo
aveva
un’inclinazione
al
male,
ma
era
portato
a
compierlo.
La
prima
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.1,
Torino,
Claudiana,
1992,
p.
20.
87
45
posizione
era
quella
maggiormente
condivisa
dagli
anabattisti
ed
è
indicativo
che
Franck88
all’interno
della
sua
opera
Chronica,
Zeytbuch
und
Geschychtibibel,
in
cui
dedica
un’intera
sezione
a
coloro
che
venivano
considerati
degli
eretici,
dirà:
“Riguardo
al
peccato
originale
pressoché
tutti
gli
anabattisti
insegnano
quanto
segue:
come
la
giustizia
(Gerechtigkeit)
di
Cristo
non
è
di
giovamento
ad
alcuno
a
meno
che
questi
non
ne
faccia
una
parte
del
suo
stesso
essere
mediante
la
fede,
così
anche
il
peccato
di
Adamo
non
può
danneggiare
nessuno,
eccetto
colui
che
ne
fa
una
parte
del
suo
stesso
essere
mediante
la
fede
e
così
produce
il
frutto
del
peccato.
[…]
Il
peccato
d’Adamo
similmente
condanna
soltanto
i
non
credenti
che
diventano
Adamo,
non
per
il
semplice
fatto
di
essere
nati,
ma
per
la
loro
particolare
fede
o
specie
di
fede;
in
altre
parole,
perché
essi
sono
radicati
e
piantati
in
lui
e
lui
in
loro”89.
Si
evince
che
l’uomo
per
eredità
tende
al
male
ma
non
necessariamente
debba
compierlo
e
perciò
risulta
maggiore
la
propria
responsabilità
nel
peccato.
Mentre
la
seconda
posizione,
più
vicina
all’antropologia
pessimistica
dei
Riformati,
incontra
una
minore
fortuna.
Uno
dei
suoi
principali
sostenitori
fu
Marpeck,
per
il
quale
Adamo
nella
sua
scelta
di
disobbedire
a
Dio
corruppe
inevitabilmente
tutta
la
sua
natura
e
rese
l’uomo
totalmente
peccatore.
Tutti
gli
anabattisti,
seppur
non
completamente
d’accordo
sul
peccato
originale
e
le
sue
conseguente,
concordavano
con
l’idea
della
rigenerazione
completa
dell’uomo.
La
grazia,
dono
di
Dio,
era
destinata
a
tutta
l’umanità
ed
offriva
all’uomo
la
condizione
della
salvezza.
Infatti,
così
come
la
caduta
era
stata
un
atto
singolo
ma
dalle
conseguenze
universali,
similmente
valeva
per
il
sacrificio
di
Cristo.
Tuttavia
solo
gli
uomini
che,
una
volta
giunti
alla
conoscenza
di
Dio
(direttamente
tramite
la
lettura
delle
Sacre
Scritture
o
indirettamente
tramite
la
predicazione
di
un
ministro)
e
pentendosi,
si
sono
abbandonati
al
Signore
ed
uniti
nel
Corpo
di
Cristo
erano
salvi.
Da
questo
momento
in
avanti
l’uomo
ritornava
ad
essere
responsabile
delle
proprie
azioni,
poiché
nella
riconciliazione
con
Dio
venivano
eliminate
le
conseguenze
della
caduta,
tra
cui
l’inclinazione
al
male
ed
il
servo
arbitrio.
Per
tali
affermazioni
gli
anabattisti
furono
accusati
dai
Riformatori
di
riportare
in
auge
l’utilizzo
delle
buone
opere
per
la
salvezza,
come
facevano
assiduamente
i
coevi
cattolici,
ma
ciò
non
era
esatto.
Indicative,
in
questo
senso,
le
parole
di
Ridemann,
uno
dei
massimi
88
Sebastian
Franck
(1499-‐1542):
fu
uno
dei
maggiori
rappresentanti
e
scrittori
della
corrente
spirituale.
Le
sue
opere
ebbero
una
grande
diffusione
anche
all’interno
dell’anabattismo,
influenzando
alcuni
dei
suoi
capi.
Per
quanto
riguarda
l’opera
sopracitata
Ugo
Gastaldi
elogia
la
chiara
e
l’obiettiva
esposizione
della
dottrina
anabattista
del
peccato
originale
contenuta
al
suo
interno.
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
p.
277.
89
46
teorici
del
secondo
anabattismo:
“non
abbiamo
alcuna
bontà
all’infuori
di
quella
che
Egli
soltanto
opera
in
noi,
benché
molti
dicano
di
noi
che
cerchiamo
di
essere
buoni
(fromm)
attraverso
le
nostre
opere.
A
questo
noi
diciamo
“no”,
perché
sappiamo
che
tutte
le
opere,
in
quanto
opera
nostra,
non
è
nient’altro
che
peccato
e
ingiustizia,
ma
in
quanto
essa
è
di
Cristo
e
compiuta
da
Cristo
in
noi,
essa
è
veramente
giusta,
buona,
amata
da
Dio
e
gradita
a
Lui”90.
Il
movimento
anabattista
non
riproponeva
quindi
l’introduzione
delle
opere
per
la
salvezza,
ma
poneva
al
centro
della
vita
cristiana
l’importanza
di
uno
stile
di
vita
che
seguisse
un
determinato
rigore
morale.
Da
una
parte
per
la
nuova
responsabilità
che
l’uomo
aveva
in
quanto
cristiano
in
seguito
alla
riacquisizione
del
libero
arbitrio
e
dall’altra
perché
si
aspirava
ad
un’applicazione
integrale
di
quelli
che
erano
i
precetti
delle
Sacre
Scritture
in
ogni
ambito
della
vita,
con
l’unico
obiettivo
di
onorare
Dio.
Un
ulteriore
elemento
di
sostegno
all’accusa
volta
verso
gli
anabattisti,
evidenziato
da
Lienhard,
era
l’aver
posto
in
rilievo
la
pericolosità
della
Sola
Fide,
la
quale,
se
mal
intesa
ed
applicata,
rischiava
di
giustificare
qualsiasi
forma
di
peccato
in
vista
della
salvezza
assicurata
da
Dio
ed
unicamente
opera
sua
91.
Questo
tema
era
molto
importante
per
l’anabattismo
ed
è
in
parte
su
di
esso
che
si
fondava
la
critica
alla
moralità
delle
altre
Chiese
storiche.
Emblematiche
sono
le
parole
di
Hubmaier
“la
sola
fede
ci
salva
e
non
le
nostre
opere,
incoraggia
la
gente
a
dire:
noi
non
possiamo
fare
niente
di
buono”92.
Proprio
per
evitare
questo
problema
l’anabattismo
poneva
al
centro
della
propria
dottrina
tanto
il
principio
della
giustificazione
per
fede
quanto
il
principio
della
trasformazione
totale
della
vita
del
cristiano,
che
doveva
seguire
l’esempio
di
Cristo
e
rispettare
la
disciplina
morale.
Il
bisogno
dei
dissidenti
di
una
maggiore
moralità
evangelica
non
deve
essere
sottovalutato,
tant’è
che
Bucero,
ritornando
sulle
proprie
posizioni
più
radicali,
arriverà
ad
ammettere,
in
una
lettera
inviata
a
Filippo
d’Assia,
che
l’unico
modo
per
riportare
gli
anabattisti
alla
Chiesa
costituita
fosse
applicare
a
quest’ultima
una
maggiore
organizzazione
della
vita
cristiana
e
una
più
seria
disciplina
ecclesiastica.
Infatti
l’anabattismo
condivideva
l’idea
di
una
vera
e
propria
rinascita
dell’uomo
in
seguito
al
ricongiungimento
con
Dio,
uomo
che
perdeva
la
sua
essenza
peccatrice
trasformandosi
in
un
essere
umano
completamente
diverso
dal
precedente.
Questo
“uomo
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.2,
p.
494.
90
91
M.
Lienhard,
Gli
anabattisti,
in
L.
Mezzardi
(a
cura
di),
Il
tempo
delle
confessioni,
1530-‐1620/30,
vol.8,
Roma-‐
Borla,
Città
Nuova,
2001,
p.
139-‐140.
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
1,
p.
347.
92
47
nuovo”
è
il
cristiano:
un
uomo
spirituale
posto
in
opposizione
alla
vita
terrena
e
alla
sua
parte
carnale
e,
contemporaneamente,
volto
alla
realizzazione
di
una
vita
conforme
alle
Sacre
Scritture
e
alla
volontà
di
Dio.
Dunque
in
sintesi
il
movimento
radicale
aveva
una
visione
maggiormente
positiva
dell’umanità,
nelle
sue
due
espressioni:
l’uomo
e
il
cristiano.
Per
quanto
riguarda
la
natura
umana,
come
esplicato
sopra,
si
va
da
posizioni
più
ottimistiche
-‐
l’uomo
ha
soltanto
un’inclinazione
al
male
-‐
a
posizioni
più
pessimistiche
-‐
l’uomo
è
volto
al
male.
Mentre
per
quanto
riguarda
il
cristiano
si
ha
una
visione
quasi
utopica:
l’anabattismo
era
un
fervido
sostenitore
della
perfezione
del
cristiano
e
della
possibilità,
grazie
alla
nuova
natura
integerrima
priva
della
corruzione,
di
intraprendere
un
percorso
di
santificazione.
Naturalmente
quest’ideologia
non
poteva
che
avere
delle
conseguenze
di
primo
piano
all’interno
del
movimento,
soprattutto
perché,
come
esplicato
da
Ugo
Gastaldi,
il
concetto
dell’“uomo
nuovo”
veniva
posto
al
centro
della
dottrina
anabattista
ed
era
uno
dei
suoi
elementi
edificanti93.
Innanzitutto
vediamo
come
l’idea
della
perfezione
a
cui
può
giungere
il
cristiano
abbia
portato
ad
una
ricerca
quasi
ossessiva
su
come
dovesse
essere
questo
cristiano
e
la
sua
comunità,
seguendo
quasi
alla
lettera
le
informazioni
estrapolate
dal
Nuovo
Testamento.
Uno
dei
risultati
principali
fu
il
rafforzamento
dell’idea
della
necessità
di
realizzare
una
vita
cristiana
comunitaria,
l’unica
possibile
espressione
del
cristianesimo
e
del
compimento
della
vocazione
del
cristiano.
In
essa
l’“uomo
nuovo”
doveva
condurre
una
vita
all’insegna
dell’amore
per
i
suoi
confratelli
ed
essere
responsabile
verso
di
essi.
In
più
la
nuova
condizione
di
libertà,
a
cui
era
giunto
il
cristiano,
rendeva
necessaria
l’introduzione
di
una
disciplina
ecclesiastica
a
cui
tutti
i
credenti
dovevano
sottostare.
Questa
disciplina
doveva
svolgere
una
funzione
di
deterrente
dal
peccato:
sia
per
evitare
che
un
cristiano
si
corrompesse,
sia
per
contenere
la
minaccia
della
diffusione
del
peccato,
qualora
si
palesasse.
Per
quanto
riguarda
la
pratica
della
scomunica
è
anche
in
questo
senso
che
può
essere
intesa:
da
una
parte
si
occupava
di
estromettere
dalla
Santa
Cena
il
cristiano
che
si
era
allontanato
dalla
retta
via,
il
quale
una
volta
pentitosi
veniva
reintrodotto,
e
dall’altro
la
“pena”
doveva
essere
abbastanza
radicale
e
visibile
per
scoraggiare
gli
altri
confratelli
dall’intraprendere
la
medesima
strada.
In
più
ancora
alla
base
del
provvedimento
della
scomunica,
così
come
più
in
generale
della
disciplina
ecclesiastica,
si
trova
proprio
il
principio
U.
Gastaldi,
op.cit.,
vol.
2,
p.
493.
93
48
della
responsabilità
del
singolo
cristiano
nei
confronti
della
comunità,
che
impone
l’esigenza
di
preservare,
per
quanto
possibile,
la
perfezione
di
quest’ultima.
Questo
significava
che
sia
il
peccatore
sia
gli
altri
confratelli
dovevano
rispettare
l’imposizione
della
pena
e
delle
regole
previste
dalla
disciplina
per
il
bene
della
comunità.
Inoltre
la
possibile
perfezione
a
cui
può
giungere
il
cristiano
e
la
comunità
cristiana
finiscono
per
rendere
ancora
più
evidenti,
pericolosi
ed
intollerabili
i
peccati
dell’uomo
e
del
mondo,
seppur
paradossalmente
l’anabattismo
abbia
una
visione
di
essi
meno
pessimistica
rispetto
ai
Riformatori.
Infatti
l’antropologia
anabattista
finisce
per
rafforzare
e
radicalizzare
il
principio
della
separazione
dal
mondo.
Questo
era
legato
all’idea
che
il
cristiano,
per
essere
veramente
perfetto
e
seguire
il
discepolato
di
Cristo,
doveva
svolgere
una
vita
esemplare,
per
tanto
venivano
precluse,
come
spiegato,
tutte
quelle
attività
che
non
trovavano
legittimazione
all’interno
delle
Sacre
Scritture:
la
funzione
di
magistrato
civile,
il
giuramento,
le
varie
espressioni
della
violenza,
il
commercio
e
le
attività
a
fine
di
lucro.
Da
ultimo
è
interessante
sottolineare
come
la
natura
dell’uomo
finisse
per
giustificare
una
delle
maggiori
e
più
sovversive
rivendicazioni
degli
anabattisti:
il
battesimo
degli
adulti.
Il
rifiuto
del
battesimo
dei
bambini
faceva
sorgere
la
questione
se
questi
ultimi
fossero
privi
o
meno
del
peccato.
Naturalmente
i
Riformatori,
sostenitori
dell’antropologia
pessimistica,
reputavano
che
il
bambino
senza
battesimo
fosse
condannato
alla
dannazione,
mentre
gli
anabattisti
ritenevano
che,
anche
senza
di
esso,
era
in
grado
di
giungere
alla
salvezza.
Ciò
trovava
giustificazione
proprio
nella
visione
della
natura
dell’uomo
sostenuta
dai
radicali
per
cui
l’uomo
aveva
solamente
un’inclinazione
al
male.
Infatti
il
bambino,
non
essendo
ancora
giunto
alla
conoscenza
e
alla
capacità
di
discernimento
tra
bene
e
male,
non
poteva
ancora
essere
corrotto
dalla
possibile
tendenza
al
peccato.
Perciò
il
battesimo
del
bambino,
se
amministrato
unicamente
per
la
sua
salvezza,
non
trovava
alcuna
legittimazione.
49
luogotenente
di
Dio
e
in
quanto
tale
doveva
governare
il
mondo
in
sua
vece.
In
questa
condizione
l’uomo
possedeva
la
libertà,
che
consisteva
nel
sottomettersi
alla
volontà
di
Dio,
intesa
come
esclusivo
modo
per
giungere
all’unica
vera
libertà,
e
aveva
la
possibilità
di
ottenere
la
vita
eterna.
Tuttavia
potendo
l’uomo
agire
sia
nel
bene
sia
nel
male
giunse
al
peccato
originale,
in
seguito
al
quale
fu
privato
del
libero
arbitrio
e
la
sua
natura
fu
corrotta
integralmente.
Questa
corruzione
del
primo
uomo,
poiché
ereditaria,
finì
per
intaccare
tutta
l’umanità,
alla
quale
non
rimaneva
più
alcuna
qualità
precedentemente
donata
da
Dio
ed
era
ora
schiava
del
peccato.
Infatti,
dalla
caduta,
l’uomo
rimaneva
solo
una
pallida
imitazione
di
quello
che
era
stato
e
la
sua
volontà
era
completamente
volta
al
male.
Cadier
pone
in
rilievo
l’attenzione
con
cui
Calvino
si
premura
di
sottolineare
come
la
natura
dell’uomo
non
fosse
naturalmente
corrotta,
ma
fosse
invece
una
condizione
anomala,
susseguente
la
caduta,
soggetta
a
modifica95.
In
questo
senso
il
sacrificio
di
Gesù
Cristo
compensa
la
caduta
del
primo
uomo.
Questo
stato
di
grazia
rimane
estraneo
all’uomo,
finché
non
acquisisce
la
consapevolezza
della
propria
condizione
e
si
ricongiunge
a
Dio.
A
tal
proposito
sono
emblematiche
le
parole
di
Calvino:
“Nell’uomo
si
trova,
infatti,
un
mondo
di
tale
miseria,
da
quando
siamo
privati
degli
oneri
celesti,
e
la
nostra
nudità
mostra
vergognosissimamente
un
cumolo
così
grande
di
obbrobrio
che
noi
ne
restiamo
confusi.
D’altra
parte,
è
necessario
che
la
coscienza
della
nostra
sventura
ci
sproni,
perché
possiamo
avvicinarci
almeno
ad
una
qualche
conoscenza
di
Dio.
Difatti,
il
sentimento
della
nostra
ignoranza,
vanità,
indigenza,
inferiorità
e
ancor
più
perversità
e
corruzione,
ci
porta
a
riconoscere
che
solamente
in
Dio
c’è
luce
di
saggezza,
incrollabile
virtù,
ricchezza
di
ogni
bene,
purezza
di
giustizia,
così
noi
turbati
dalle
nostre
miserie,
ci
volgiamo
a
considerare
i
beni
di
Dio
e
non
possiamo
aspirare
a
tendere
veramente
a
lui
se
non
dopo
aver
cominciato
ad
essere
del
tutto
insoddisfatti
di
noi
stessi”96.
Tuttavia
l’uomo,
seppur
riacquisti
le
qualità
precedentemente
perdute,
tra
cui
il
libero
arbitrio,
rimane
sempre
peccatore.
L’uomo,
tramite
il
battesimo,
simbolo
della
comunione
con
Cristo,
riceve
una
nuova
natura
che
lo
mette
nella
condizione
di
compiere
il
bene.
Ciò
nonostante
questa
natura,
se
in
potenza
è
recuperata
totalmente
dall’uomo,
sulla
terra
trova
espressione
solo
parzialmente.
Infatti
al
suo
fianco
persiste
ancora
la
natura
corrotta.
Questo
è
precisamente
quello
che
viene
chiamato
pessimismo
radicale:
l’uomo
seppur
rigenerato
rimane
sempre
un
peccatore.
Vinay
chiarisce
che
il
peccato
è
l’espressione
sia
di
J.
Cadier,
Che
cosa
ha
detto
veramente
Calvino,
Roma,
Ubaldini
Editore,
1972,
p.
38-‐39.
95
50
una
persistente
incredulità
verso
Dio,
sia
della
convinzione
umana
dell’autosufficienza
dell’uomo
da
cui
consegue
un
processo
di
chiusura
in
se
stesso
e
la
definitiva
corruzione
dei
residui
di
bontà97.
L’uomo
rimarrà
in
questa
condizione
di
debolezza
fino
all’istituzione
del
Regno
di
Dio
e
solo
allora
la
sua
nuova
natura
potrà
avere
completa
attuazione.
In
più
i
benefici
derivanti
dal
sacrificio
di
Cristo
non
sono
volti
a
tutta
l’umanità
poiché,
secondo
la
teoria
della
predestinazione,
Dio
ha
predisposto,
ancor
prima
della
creazione,
alcuni
alla
salvezza
ed
altri
alla
dannazione.
Anche
i
non
eletti
potevano
accedere
alla
Parola
di
Dio,
ma
senza
l’azione
dello
Spirito
Santo
essa
non
poteva
essere
realmente
compresa.
Infatti
McGrath
chiarisce
che
Calvino
sviluppa
la
teoria
della
predestinazione
proprio
come
spiegazione
del
motivo
per
cui
la
Parola
di
Dio
attecchisce
in
certe
persone
ed
in
altre
no98.
Questa
visione
pessimistica
sia
della
natura
dell’uomo
sia
della
natura
del
cristiano
ha
delle
conseguenze
di
primo
piano
sulla
dottrina
calvinista.
Innanzitutto
è
influenzata
la
vita
del
cristiano,
perché
la
condizione
di
dualismo
della
persona,
divisa
tra
natura
nuova
e
natura
peccatrice,
comporta
in
essa
una
quotidiana
azione
dello
Spirito
Santo,
che
ha
degli
effetti
visibili,
in
contrapposizione
alla
corruzione.
Infatti,
essendo
la
natura
intrinsecamente
peccatrice,
l’uomo
doveva
mettere
un
impegno
ancora
maggiore
nel
condurre
una
vita
retta.
Da
qui
ne
consegue
che
il
cristianesimo
risultava
essere
una
sorta
di
disciplina
autoimposta,
grazie
alla
quale
il
cristiano
viveva
in
conformità
con
le
Sacre
Scritture,
in
comunione
con
Gesù
Cristo
e
con
Dio.
Tale
dominazione,
che
il
cristiano
doveva
imporre
al
proprio
pensiero
e
al
proprio
corpo,
esprimeva
appunto
il
dominio
dello
Spirito
Santo
sulla
sua
persona
e
quindi
l’aspetto
visibile
della
grazia.
Invero
Calvino
nella
spiegazione
di
questo
concetto
dirà:
“Come
potremmo
pensare
a
Dio
senza,
al
tempo
stesso,
non
pensare,
dato
che
siamo
opera
sua,
che
per
diritto
naturale
e
di
creazione
siamo
soggetti
alla
sua
autorità,
che
la
nostra
vita
gli
è
dovuta,
che
tutto
quello
che
facciamo
e
intraprendiamo
deve
essere
a
lui
riferito?
Dato
che
così
stanno
le
cose,
ne
consegue
con
certezza
che
la
nostra
vita
è
sciaguratamente
corrotta,
ove
noi
non
la
destiniamo
al
suo
servizio,
perché
abbiamo
come
legge
la
sua
volontà”99.
Tuttavia
non
si
deve
pensare
che
l’atteggiamento
del
cristiano
fosse
la
conseguenza
della
paura
del
peccato
e
della
dannazione,
anche
perché
il
calvinismo
aderiva
integralmente
al
principio
della
Sola
V.
Vinay,
op.cit.,
p.
27.
97
51
Fide,
ma
era
dovuto
alla
paura
di
offendere
e
disonorare
colui
che
era
stato
così
generoso
e
buono
con
l’uomo,
Dio.
Come
si
può
vedere
Calvino,
alla
pari
degli
anabattisti,
reputava
che
la
grazia
non
fosse
unicamente
un
dono
passivo
ma
dovesse
avere
un’espressione
significativa
nella
vita
dell’uomo
e
da
qui
l’importanza
di
condurre
una
vita
in
linea
con
la
morale.
Inoltre
il
pessimismo
antropocentrico
rese
di
fondamentale
importanza
il
ruolo
della
Chiesa
nella
comunità
cristiana
e
nella
comunità
civile.
Effettivamente
la
Chiesa,
oltre
ad
occuparsi
della
diffusione
della
Parola
di
Dio
presso
coloro
che
ancora
la
ignoravano,
doveva
svolgere
la
funzione
di
faro
che
illuminava
la
via
del
cristiano
per
evitare
che
peccasse.
In
questo
senso
Calvino
sottolinea
l’importanza
dell’amministrazione
dei
sacramenti:
essi
dovevano
ricordare
la
condizione
di
salvezza
e
rigenerazione
in
cui
si
trovava
il
credente,
tramite
il
loro
significato
di
esteriorizzazione
del
cambiamento
interiore
avvenuto
per
dono
di
Dio.
Questo
ruolo
della
Chiesa
comporta
delle
conseguenze
nella
sua
stessa
organizzazione
e
in
quella
della
società
civile.
Infatti
Calvino,
ben
consapevole
della
debolezza
dell’uomo,
si
preoccupò
di
limitare
quanto
più
possibile
le
tentazioni
che
potessero
condurre
l’uomo
al
peccato.
A
tale
scopo,
come
spiegato
precedentemente,
nell’Ordonnances
ecclésiastiques
vengono
vietate
tutte
le
attività
considerate
moralmente
inaccettabili
e
imposte
delle
regole
a
cui
il
cristiano
doveva
sottostare
sia
nell’ambito
ecclesiastico
che
nell’ambito
civile.
Un’ulteriore
caratteristica
della
nuova
natura
e
dell’azione
dello
Spirito
Santo
sull’uomo
era
la
tensione
verso
gli
altri.
Calvino
sottolinea
che
l’uomo
è
di
natura
sociale
e
quindi
è
portato
a
vivere
con
gli
altri
e
ad
aiutarli.
Questa
propensione
verso
gli
altri,
unita
alla
consapevolezza
dell’imperfezione
umana,
fa
sì
che
il
cristiano
sia
portato
ad
agire
tanto
nella
Chiesa
quanto
nella
Società
con
la
consapevolezza
che
il
germe
del
peccato
non
si
trova
al
di
fuori
del
proprio
corpo,
nella
società,
ma
all’intero
di
se
stesso.
Difatti
il
Riformatore
sottolinea
l’impossibilità
di
giungere
alla
perfezione
umana,
poiché
tutti
i
credenti,
fin
tanto
che
sono
in
qualche
modo
in
contatto
con
il
mondo,
avranno
una
traccia
di
impurità
ereditaria
nella
loro
carne.
In
quest’ottica
il
cristiano
è
portato
ad
agire
ugualmente
sia
all’interno
della
comunità
cristiana
che
all’interno
della
comunità
civile.
Questo
perché
non
solo
la
società
civile
non
era
in
grado
di
portare
alla
corruzione
del
cristiano,
ma
al
contrario
la
sua
azione
nella
società
era
fautrice
di
una
rigenerazione
graduale
della
stessa.
Biéler
rimarca
come
la
rigenerazione
della
società
avvenisse
proprio
a
partire
dalla
comunità
52
cristiana
al
suo
interno
e
che
maggiore
è
il
numero
di
cristiani
in
essa,
maggiormente
quest’ultima
si
avvicinerà
alla
sua
forma
di
perfezione,
senza
tuttavia
poterla
raggiungerla
poiché
realizzabile
solo
nel
Regno
di
Dio100 .
Ciò
era
dovuto
anche
all’acquisizione
della
consapevolezza
dell’imperfezione
che
accomunava
tutto
il
genere
umano,
con
il
conseguente
sviluppo
di
un
senso
di
solidarietà
per
l’uguale
condizione,
e
questa
solidarietà
aveva
come
risultato
il
tentativo
di
aiutare
indistintamente
tutti
quanti.
Una
delle
sue
maggiori
espressioni
fu
il
diaconato
organizzato
dalla
Chiesa.
In
conclusione
si
può
sostenere
che
il
principio
dell’imperfezione
dell’uomo
e
dell’impossibilità
di
realizzare
la
comunità
perfetta
rafforza
anche
l’idea
della
necessità
del
governo
civile
per
impedire
la
degenerazione
della
società
nel
caos.
Questo
perché,
come
spiegato
in
precedenza,
il
governo
civile
ha
il
compito
da
una
parte
di
proteggere
i
buoni
e
dall’altra
di
reprimere
e
controllare
i
malvagi.
Di
conseguenza
la
sua
funzione
è
svolta
sia
sugli
atei,
la
cui
volontà
è
schiava
del
peccato,
sia
sui
cristiani,
poiché
seppur
provvisti
di
una
vita
nuova,
che
permette
loro
di
compiere
opere
buone,
la
loro
natura
perennemente
corrotta
li
può
condurre
facilmente
dalla
parte
dei
malvagi.
Perciò
il
governo
civile
è
indispensabile
al
cristiano
sia
nella
sua
funzione
protettiva
sia
nella
sua
funzione
coercitiva.
A.
Biéler,
op.cit.,
pp.
21-‐22.
100
53
CONCLUSIONE
Abbiamo
visto
come
ambo
i
movimenti
riformatori
tentino
di
rispondere
in
modo
idoneo
alle
questioni
aperte
dalla
Riforma
protestante.
Entrambi
danno
delle
risposte
originali
e
valide
seppure
opposte.
Quest’opposizione
ha
la
propria
origine
nel
diverso
concetto
di
Chiesa.
Esso
porta
per
l’anabattismo
alla
creazione
di
una
comunità
cristiana
perfetta
separata
ed
in
opposizione
alla
società,
considerata
intrinsecamente
corrotta.
Al
contrario
il
calvinismo
realizza
una
Chiesa
completamente
coincidente
con
il
Corpus
Christianum,
poiché
entrambi
impossibilitati
a
raggiungere
la
perfezione.
Benché
l’anabattismo
e
il
calvinismo
creino
una
dottrina
e
una
disciplina
ecclesiastica
contrapposte,
è
davvero
interessante
evidenziare
come
per
entrambi
assuma
un
rilievo
preponderante
lo
stile
di
vita
e
la
moralità
del
cristiano.
Infatti
tentano
di
promuovere,
tramite
vari
stratagemmi,
la
realizzazione
di
una
vita
cristiana
in
accordo
con
la
Parola
di
Dio,
intimamente
e
quotidianamente
vissuta.
Certamente
questa
volontà
di
incidere
sulla
vita
del
cristiano
comporta
delle
conseguenze
visibili
sul
rapporto
con
la
società
civile
e
sulla
sua
stessa
struttura,
che
tuttavia
differiscono
proprio
per
il
diverso
fine
che
i
due
movimenti
perseguono
nel
salvaguardare
lo
stile
di
vita
cristiano.
Gli
anabattisti
s’impegnano
nel
preservare
la
natura
perfetta
del
cristiano,
mentre
i
calvinisti
lottano
per
sopprimere
la
corruzione
vincolata
alla
natura
dell’uomo.
Proprio
per
questo
motivo
si
può
dire
che
il
concetto
di
essere
umano
finisca
per
legittimare
e
radicalizzare
la
dottrina
e
la
disciplina
ecclesiastica
dei
movimenti
riformatori.
Infatti,
al
ripudio
anabattista
del
mondo
e
di
tutte
le
sue
espressioni
mondane,
che
porta
alla
concettualizzazione
di
una
visione
dicotomica
in
cui
la
comunità
religiosa
e
la
comunità
civile
si
escludono
a
vicenda,
corrisponde
una
visione
dicotomica
della
natura
umana,
in
cui
il
cristiano
perfetto
viene
contrapposto
all’uomo
corrotto.
Ugualmente
alla
convinzione
calvinista
dell’impossibilità
di
realizzare
una
comunità
cristiana
perfetta,
per
cui
il
cristiano
è
portato
ad
intervenire
nel
mondo
con
l’obiettivo
di
migliorarlo
e
tutelarlo
dall’interno,
corrisponde
la
visione
di
una
natura
umana
che,
per
quanto
riavvicinatasi
a
Dio,
mantiene
al
proprio
interno
il
germe
del
peccato,
per
cui
l’allontanamento
dal
mondo
non
comporta
la
preservazione
della
natura
umana.
In
conclusione
è
interessante
porre
in
rilievo
come
un
confronto
della
diversa
risposta
data
dai
due
movimenti
al
disagio
diffuso
nella
comunità
religiosa
contemporanea
faccia
emergere
al
contempo
le
loro
originalità
e
le
loro
mancanze.
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