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SCIENTIA – http://www.scientiajournal.

org
International Review of Scientific Synthesis – ISSN 2282-2119
Vol. 124 – Section 3 – Article 02 – February 28th, 2013

Mitra e Gesù:
due facce di una stessa medaglia

Flavio Barbiero
Associazione Pangea – http://www.gruppopangea.com – Mussolente (VI) – Italy.
Scientia – Vol. 124 – Mitra e Gesù: due facce di una stessa medaglia

Indice

Vicisti Galilee! 3

Mitra e Gesù, due facce della stessa medaglia. 6

Le origini del Mitraismo e del Cristianesimo. 10

Giuseppe Flavio e San Paolo 11

Il Sol Invictus Mitra 14

Il Sol Invictus Mitra conquista l’impero romano. 15

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Vicisti Galilee!

Una ben nota tradizione cristiana narra che l’imperatore Giuliano, colpito da una lancia
persiana e sbalzato a terra dalla groppa del suo cavallo, prima di esalare l’ultimo respiro
sollevò una mano al cielo in un gesto di rabbia e di sfida, gridando: “Vicisti Galilee!”.
Si tratta di una tradizione fantasiosa, che non ha nulla a che vedere con i fatti come si
sono realmente svolti, creata da un cristianesimo che voleva accreditare l’immagine di un
imperatore impegnato in una titanica lotta contro Cristo, il “Galileo”, uscendone alla fine
sconfitto. Una tradizione fantasiosa creata per supportare un’immagine storicamente
infondata. Ed anche il concetto che questa immagine vuole trasmettere, e cioè che gli ideali
per cui Giuliano si era adoperato e battuto nel corso del suo breve regno fossero usciti
definitivamente sconfitti, è tutt’altro che sostenibile. Meno di trent’anni dopo, infatti, quegli
ideali trovarono pratica attuazione per opera dello stesso cristianesimo trionfante.
Giuliano è passato alla storia con l’epiteto di “Apostata”, non del tutto appropriato, in
quanto egli non era mai stato battezzato, anche se possedeva una conoscenza molto
approfondita della religione cristiana, al punto da discutere con cognizione di causa sulle sue
incongruenze, citando a memoria lunghi passi della Bibbia. Le sue critiche al cristianesimo,
però, erano puramente filosofiche e dottrinali; egli non perseguitò mai la Chiesa, ed anzi
proibì espressamente e condannò con fermezza ogni forma di violenza contro i cristiani.
Gli storici moderni lo hanno definito l’ultimo imperatore “pagano”, per gli sforzi che
profuse nel rivitalizzare e moralizzare i più noti culti pagani dell’antichità. Ma questo non gli
impedì di far completare la chiesa di Santa Costanza, a Roma, per farvi seppellire la propria
moglie Elena, e di essere sepolto lui stesso nella basilica dei dodici Apostoli, a
Costantinopoli. Né gli impedì di ordinare la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme
(i lavori, in effetti, furono iniziati, ma interrotti subito dopo, a quanto si dice a causa di un
terremoto).
In realtà Giuliano non era né cristiano, né propriamente pagano; era un adepto del Sol
Invictus Mitra, come prima di lui suo zio Costantino il Grande e come la maggior parte dei
senatori romani del suo tempo.
Sul mitraismo sono state scritte, soprattutto nell’ultimo secolo, una enorme quantità di
opere, che però ne forniscono un’immagine del tutto irreale ed estremamente confusa e
contraddittoria. La confusione nasce dal fatto che tutti gli storici moderni lo considerano una
vera e propria religione, La convinzione che il Sol Invictus Mitra fosse una religione si è
consolidata con lo storico Cummont, che alla fine del 19.mo secolo ha scritto quella che da
allora è ritenuta l’opera fondamentale sul mitraismo, partendo dal presupposto esplicito, vero e
proprio postulato privo di qualsivoglia supporto bibliografico o archeologico, che esso fosse
stato importato dalla Persia da un qualche ignoto legionario romano. Ed infatti il Cummont
dedica buona parte della sua opera a descrivere la religione solare persiana e le sue varie
diramazioni e filiazioni orientali, come il Mazdeismo, il Magismo e così via.
Uno dei maggiori studiosi moderni del mitraismo, M.J. Vermaseren, condivide
l’impostazione di Cummont, ma avverte: “Gli studiosi dei misteri di Mitra si trovano di fronte
ad una difficoltà insormontabile e cioè: per quanto riguarda la forma persiana del mitraismo
esistono soltanto evidenze letterarie, mentre il Mitra del mondo romano ci è noto quasi
esclusivamente attraverso fonti non letterarie, archeologiche. Franz Cummont, quel brillante

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studioso morto nel 1947, ha chiaramente descritto questa situazione nel suo libro Die
Mysterien des Mithra: ‘E’ come se, egli scrive, volessimo studiare il cristianesimo avendo a
disposizione soltanto il Vecchio Testamento e le cattedrali medioevali’. A causa di questo
enorme divario fra le fonti di informazione, la storia di Mitra è destinata a rimanere per
sempre incompleta e distorta.”
In altre parole, abbiamo da una parte un culto persiano di Mitra, sul quale esiste una
abbondante letteratura, ma nessun resto archeologico, o quasi; dal lato romano, invece,
abbiamo centinaia di mitrei ed altre testimonianze archeologiche relative a Mitra, ma
pochissime testimonianze letterarie sull’argomento, nessuna delle quali proveniente
dall’interno stesso dell’organizzazione, e cioè da uno dei suoi membri. Il problema nasce
appunto dal fatto che Cummont ha postulato fin dall’inizio della sua ricerca, senza mai
dimostrarlo, che il culto di Mitra quale veniva professato nell’impero romano fosse la
fotocopia della religione persiana.
Questo postulato è stato accettato acriticamente da quasi tutti gli studiosi successivi, che
si sono in maggioranza dedicati ad interpretare le evidenze archeologiche romane alla luce
della letteratura persiana. ad approfondire i vari aspetti del magismo persiano, o a ricostruire
gli aspetti esoterici ed astrologici del mitraismo romano, basandosi sulle scarne notizie fatte
filtrare dalle fonti antiche ed integrandole arbitrariamente con elementi presi a prestito dalle
fonti orientali e dalla mitologia greco-romana, per cercare di ricostruire in qualche modo
contenuti e significati dei vari gradi iniziatici in cui l’istituzione mitraica era suddivisa. Ne
risulta un quadro complessivo irreale, in stridente contrasto con quella che appare essere la
realtà storica ed archeologica di questa istituzione.
In realtà se c’è una cosa che appare con assoluta evidenza da tutto il materiale
disponibile è che il cosiddetto culto di Mitra, a Roma, non era una religione, ma una
confraternita di iniziati, divisa in vari livelli di iniziazione, che dalla religione orientale aveva
preso a prestito soltanto il nome ed alcune simbologie esteriori. Quanto ai contenuti, scopi e
modi operativi, niente accomuna il Mitra persiano e quello romano. L’istituzione mitraica
romana in nessun modo può essere definita una religione dedita al culto del sole. Sarebbe
come dire che la massoneria moderna è una religione dedita al culto del Grande Architetto
dell’Universo.
Il paragone con la massoneria aiuta a capire che genere di istituzione fosse quella
mitraica. Si tratta, infatti, di istituzioni sostanzialmente simili negli aspetti essenziali. Agli
adepti della massoneria non viene richiesto di professare una particolare religione, ma soltanto
di credere nell’esistenza di un’Entità superiore, comunque definita. Questa entità viene
rappresentata nei templi massonici con un sole inserito in un triangolo e con il nome di Grande
Architetto dell’Universo, che, guarda caso, è lo stesso che i pitagorici attribuivano al Sole. Nei
templi massonici vengono effettuati cerimoniali e rituali di iniziazione e di apertura/chiusura
“lavori”, mai, però, a carattere religioso. La religione è espressamente bandita dai templi ed
ogni adepto, nella sua vita privata, è libero di professare il credo che più gli aggrada.
Che ci sia una qualche connessione fra mitraismo e massoneria è tutt’altro che
improbabile, dal momento che ci sono profonde similitudini nell’architettura e nelle
decorazioni dei rispettivi templi, nei simbolismi, nei rituali e così via; ma non è materia che
possa essere trattata in questa sede. Il paragone è stato introdotto al solo scopo di far
comprendere quale tipo di istituzione fosse il mitraismo, che non era una religione dedita al
culto di una qualche specifica divinità, ma una associazione segreta di mutua assistenza, i cui
membri, nella loro vita pubblica, erano liberi di venerare qualsiasi divinità. E’ l’unica chiave

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di lettura che consenta di capire e conciliare le innumerevoli contraddizioni ed incongruenze,


cui ci si trova confrontati quando si voglia intendere il mitraismo come una religione.
Che il mitraismo non fosse una vera e propria religione è provato anche, come vedremo
in seguito, dalle attività in campo religioso dei suoi adepti, fra cui lo stesso Giuliano. Egli era
indubbiamente un adepto del Sol Invictus, ma non vedeva nessuna delle divinità venerate
nell’impero come “concorrente” di Mitra; si adoperò anzi in ogni modo perché tutte avessero
pari dignità e rispetto. Questo era assolutamente tipico della filosofia dell’organizzazione
mitraica, come viene spiegato approfonditamente nell’opera “Saturnalia”, composta intorno al
430 (ben dopo l’abolizione del paganesimo, quindi) dall’eminente scrittore Macrobio,
supposto pagano. In essa il senatore Pretestato, Pater Patrum del culto mitraico (la massima
carica dell’organizzazione), in amabile conversazione con i grandi senatori mitraici Simmaco
e Nicomaco Flaviano, si dilunga a spiegare come tutte le divinità pagane non siano altro che
diverse manifestazioni, o anche diverse denominazioni, di un unico Ente superiore,
rappresentato dal Sole, il Grande Architetto dell’Universo. “Paganesimo monoteista” l’ha
definito qualcuno, mentre altri parlano genericamente di sincretismo religioso. In effetti tutte
le religioni avevano pari dignità nei mitrei, dove comparivano le immagini delle principali
divinità pagane ed i cui adepti si professavano pubblicamente devoti alle più disparate
divinità, ivi comprese quella cristiana ed ebraica.
In quanto mitraico, Giuliano condivideva questa filosofia. Il grande ideale che egli
sognò di realizzare era perfettamente in linea con la filosofia sincretistica e tollerante del Sol
Invictus Mitra. Egli progettò, infatti, di fondere tutte le confessioni dell’impero in un’unica
super religione, retta da una casta sacerdotale e da una liturgia sincretistica unificate.
Egli cominciò con il richiamare dall’esilio e reinsediare nelle loro sedi i vescovi
ortodossi allontanati dal suo predecessore, l’ariano Costanzo; ma contemporaneamente
pubblicò un editto di restituzione dei beni e della libertà di culto per il paganesimo. Poi si
dedicò alla riorganizzazione delle gerarchie dei sacerdoti pagani, sul modello
dell’organizzazione sacerdotale cristiana. Per ogni provincia creò un gran sacerdote, non solo
per il culto imperiale, ma anche per il complesso di tutti i culti tributati agli dei, compreso
quello cristiano. Di questi provvedimenti sono state tramandate varie lettere di Giuliano, che
appaiono quasi delle vere e proprie encicliche, o lettere pastorali. In esse l’imperatore si
occupava di reclutamenti, consuetudini di vita, formazione e trattamento economico dei
sacerdoti, del servizio divino, che doveva essere tenuto tre volte al giorno, della fondazione di
case per le vergini, dedite alla vita ascetica, e di ospizi. Inoltre Giuliano fece redigere opuscoli
informativi per sacerdoti e libri di istruzione per l’insegnamento religioso.
Questo era il grande progetto di Giuliano che, stando all’anonimo estensore cristiano
della leggenda sulla sua morte, sarebbe stato sconfitto dal “Galileo” per mezzo di una lancia
persiana. Questo stesso progetto trovò invece pratica attuazione 27 anni dopo la morte di
Giuliano, ad opera dell’imperatore Teodosio che nel 392 emanò un decreto che aboliva
ufficialmente il paganesimo ed imponeva a tutti i sudditi dell’impero di professare la religione
cristiana di Roma. Dobbiamo concludere che il “Galileo” abbia trionfato, dunque?
Sembrerebbe proprio di si. Ma a ben guardare la religione che viene professata in suo nome
assomiglia in modo impressionante a quella super religione vagheggiata da Giuliano, che
doveva unificare tutti i culti professati nell’impero.
Anche l’ideale di Giuliano, quindi, alla fine ha trionfato. Quello che era risultato
perdente (ma forse la storia sarebbe andata diversamente, se l’ultimo imperatore “pagano”
avesse avuto più tempo) era soltanto il metodo attraverso cui egli si illudeva di poter

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realizzare quell’ideale, e cioè attraverso la tolleranza reciproca. Teodosio, invece, aveva


capito che l’unico modo per arrivarci era l’intolleranza. I templi pagani vennero chiusi o
distrutti ed ogni forma di culto pagano proibita; ma simboli, rituali, usanze, festività ed in
molti casi anche lo stesso clero vennero assorbiti in toto nel cristianesimo.
Il Cristianesimo ha ereditato in massa simboli e festività tipiche del mitraismo. Il giorno
sacro al sole è diventato la domenica, sacra al Signore. Il Natalis Solis Invicti è diventato il
Natale di Gesù. Il simbolo del sole è onnipresente in tutte le chiese cattoliche (basti pensare
all’ostensorio) e nelle immagini di Dio e dei santi, al punto che se un ipotetico archeologo
venuto da un altro mondo dovesse giudicare il cristianesimo soltanto dalle immagini e
simbolismi che compaiono nelle chiese e nelle rappresentazioni sacre, dovrebbe forzatamente
concludere che si tratta di una religione dedita al culto del sole. Si tratta, in ogni caso, soltanto
di immagini esteriori, perché a livello dottrinale e liturgico ha integrato un gran numero di
elementi giudaici.
In conclusione, il cristianesimo ha incorporato, rielaborandoli ed armonizzandoli in una
cornice dottrinale unitaria, sincretistica, gli elementi essenziali delle maggiori religioni
professate nell’impero romano, realizzando così, per altra via, il sogno di Giuliano.
Chi ha vinto, dunque, Giuliano o il “Galileo”? La risposta non può essere che una sola:
entrambi. Vedremo fra poco, infatti, che mitraismo e cristianesimo non erano nemici giurati e
neppure antagonisti, come ritenuto da molti storici. Erano due facce di una stessa medaglia,
entrambi funzionali allo stesso scopo e cioè al successo della più grande, ardita e fortunata
cospirazione dell’intera storia umana.

Mitra e Gesù, due facce della stessa medaglia.

Nel 384 d.C. moriva a Roma il senatore Vettio Agorio Pretestato, ultimo papa (acronimo
di pater patrum) di quello che impropriamente viene definito “culto” di Mitra.
Il suo nome e le sue varie cariche religiose e politiche sono incisi sul basamento della
facciata della Basilica di San Pietro, in Vaticano, insieme ad una lunga lista di altri senatori
romani, stilata fra il 305 ed il 390. La cosa che li accomuna è che sono tutti patres mitraici; e
ben nove di essi rivestono il titolo supremo di Pater Patrum, a riprova del fatto che era qui, nel
Vaticano, che si trovava la sede del capo supremo dell’organizzazione mitraica, fianco a
fianco, se non addirittura l’una dentro l’altra, con la Basilica fatta erigere nel 320
dall’imperatore Costantino.
Per quasi settant’anni i capi supremi di due “religioni” che si è sempre voluto far
apparire concorrenti ed in aspro conflitto fra loro, hanno convissuto pacificamente ed in
perfetta armonia nella stessa sede. Quanto fosse pacifica la convivenza è provato dal fatto che
fu lo stesso Pretestato, nel 367, in qualità di Prefetto dell’Urbe, a confermare sul trono di
Pietro il vescovo Damaso.
Pretestato affermava che avrebbe volentieri accettato di farsi battezzare, se gli avessero
offerto la cattedra di Pietro. Quel che successe alla sua morte, invece, fu esattamente il
contrario. Il titolo di Pater Patrum ricadde (oggi si direbbe per default) sul vescovo Siricio, che
fu il primo nella storia della Chiesa ad assumere l’appellativo di “papa”. Ed insieme ad esso
anche tutta una serie di altre prerogative, titoli, simbologie e beni materiali passarono in massa
dal mitraismo al cristianesimo.

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Per capire quello che appare come un vero e proprio “passaggio di consegne” fra il papa
mitraico e quello cristiano, bisogna risalire all’anno prima. Nel 383, infatti, il senato romano
aveva votato a stragrande maggioranza l’abolizione del paganesimo nell’impero d’occidente.
Un voto che ha lasciato perplessi gli storici, che si sono spesso domandati se fosse dovuto a
intimidazioni esercitate dall’imperatore Teodosio o a che altro.
E’ opinione comune fra di essi, infatti, che il senato romano fosse a quell’epoca in
maggioranza pagano. Anzi, si trova spesso scritto che proprio il senato costituiva l’ultima
roccaforte di resistenza del paganesimo contro il cristianesimo trionfante. Un’opinione che
contrasta in modo stridente con ripetute dichiarazioni di San Ambrogio, il quale in quegli
stessi anni affermava che i cristiani erano in maggioranza nel senato; affermazioni cui gli
storici non hanno mai dato alcun credito, ritenendole inattendibili. Chi ha ragione, Ambrogio
o gli storici moderni?
Certamente dobbiamo ritenere del tutto inverosimile che il vescovo di Milano, che
apparteneva ad una grande famiglia senatoriale e seguiva attentamente le questioni romane, si
sbagliasse su una questione del genere. D’altro canto, però, non possiamo neppure biasimare
gli storici, dal momento che prove documentali ed archeologiche confermano che la grande
maggioranza dei senatori romani erano allora “patres” del Sol Invictus Mitra, e quindi,
secondo l’opinione universalmente accettata, dichiaratamente pagani.
Quello che nessuno storico ha mai capito, però, o meglio non ha mai voluto capire
nonostante numerose evidenze storiche, è che le due condizioni, di adepto del mitraismo e di
cristiano (non battezzato), non erano affatto incompatibili.
L’esempio più lampante è costituito dall’imperatore Costantino, ma se ne potrebbe
compilare una sostanziosa lista. Costantino era adepto del Sol Invictus Mitra e mai lo rinnegò,
anche quando si proclamava “servo di Dio” e affermava di essere “il vescovo costituito da Dio
per l’umanità fuori dalla Chiesa”. Il suo biografo Eusebio lo definisce addirittura “il novello
Mosé” e “una sorta di vescovo universale”. Addirittura i vescovi del suo tempo consideravano
Costantino alla stregua di un tredicesimo apostolo, cosa che egli gradiva al punto che fece
costruire la basilica dei dodici apostoli, per esservi seppellito. Ma Costantino si fece battezzare
solo in punto di morte, continuò per anni a battere monete con simboli mitraici da un lato,
cristiani dall’altro e innalzò a Costantinopoli una statua colossale di se stesso con simboli
mitraici.
D’altra parte gli stessi senatori mitraici avevano in maggioranza mogli e figlie cristiane,
come testimoniato, fra gli altri, da San Girolamo. Un esempio illustre è quello di San
Ambrogio, ritenuto dagli storici inizialmente pagano, figlio di un pagano mitraico, il prefetto
delle Gallie Ambrogio, nonostante non ci sia alcun dubbio che la sua famiglia fosse cristiana e
vivesse in ambiente profondamente cristiano. Da bambino, infatti, Ambrogio amava giocare a
fare il vescovo e nel 353 sua sorella Marcellina ricevette il velo delle vergini consacrate dal
papa Liberio in persona, nella basilica di San Pietro. Formalmente, però, egli rimase “pagano”
fino al momento stesso in cui fu designato vescovo di Milano; fu battezzato, infatti, soltanto
quindici giorni prima di essere consacrato vescovo.
Il fatto è che a quell’epoca i cristiani destinati alla carriera politica (Ambrogio era
governatore del Nord Italia al momento della nomina a vescovo) erano battezzati soltanto in
punto di morte, oppure quando, per una qualche ragione, decidevano di abbracciare la carriera
ecclesiastica. Era la prassi, allora. Il senatore Nectarius, per esempio, che era stato designato
vescovo di Antiochia dal concilio di Costantinopoli del 381, fu costretto a posporre la

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cerimonia della sua consacrazione perché dovette prima provvedere a quella del proprio
battesimo.
Subito dopo il voto di abolizione del paganesimo, i senatori romani abbracciarono in
massa la fede cristiana (pur continuando a mantenere, in molti casi, mitrei privati), a
cominciare da quel Simmaco, pater mitraico, che è passato alla storia per la sua strenua
quanto vana difesa della tradizione “pagana”, di fronte all’imperatore Valentiniano. Pochi anni
dopo, infatti, il cristianissimo imperatore Teodosio, fanatico persecutore di ogni eresia e
residuo pagano, lo gratificò elevandolo agli onori del consolato.
E’ possibile, ci si chiederà, che una persona potesse aderire contemporaneamente a due
diverse religioni? Qui sta il punto essenziale. Si è già visto come, per un evidente quanto
incredibile equivoco, il cosiddetto “culto” del Sol Invictus Mithra è sempre stato ritenuto una
“religione”, sorta in parallelo al cristianesimo e in concorrenza con esso. C’è addirittura chi
ritiene che questa “religione” fosse talmente radicata e diffusa nella società romana, che
soltanto per un soffio perse la gara con il cristianesimo. Più moderatamente, il Renan
affermava che se per un qualche accidente il cristianesimo fosse abortito nel corso del quarto
secolo, il mondo sarebbe stato mitraico.
E’ un chiaro riconoscimento del potere e del capillare controllo che l’organizzazione
mitraica aveva conseguito nel corso del quarto secolo sull’intera società romana.
Organizzazione segreta di tipo esoterico, non certo religione. Nonostante il parere del Renan,
infatti, non si riesce proprio ad immaginare in che cosa potesse consistere una “religione”
mitraica romana, dal momento che gli adepti dell’organizzazione si proclamavano
pubblicamente fedeli o sostenitori di un gran numero di altre divinità, che comprendevano
praticamente l’intero olimpo pagano.
La maggioranza degli storici concordano sul fatto che gli adepti mitraici erano, a modo
loro, monoteisti. Quello che dimenticano di sottolineare è che, grazie alla loro particolare
filosofia sincretistica, essi “infiltrarono” e si impadronirono del culto (e delle relative
prebende) di tutte le divinità pagane.
Infatti tutte le “grotte” mitraiche ospitavano (esattamente come i templi massonici
moderni) una schiera di divinità pagane, come Saturno, Atena, Venere, Ercole e così via e gli
adepti di Mitra (che fra l’altro erano esclusivamente uomini, essendo le donne
categoricamente escluse dall’organizzazione) nella loro vita pubblica esercitavano la funzione
di sacerdoti al servizio non soltanto del Sole, che era venerato in templi pubblici ben distinti
dai mitrei (che erano invece minuscoli vani sotterranei accessibili solo agli adepti, i quali vi
tenevano riunioni ammantate dal più stretto segreto), ma anche di altre divinità romane.
Questo è provato al di là di ogni possibile dubbio proprio dalle iscrizioni che si trovano
sul basamento della Basilica di S. Pietro. Scorrendo la lista dei senatori ivi elencati, infatti, si
scopre che, oltre al titolo di “patres” del Sol Invictus Mitra, essi ricoprivano anche una lunga
serie di cariche nel culto di altre divinità, come sacerdos, hieroceryx, hierophanta e
archibucolus di Bronto o di Ecate, Iside e Libero, maior augur, quindecimvir sacris faciundis
e per finire anche pontifex di vari culti pagani, e naturalmente erano responsabili del collegio
delle vestali e del sacro fuoco di Vesta. Non c’era nel Senato alcuna manifestazione di culto
legato alla tradizione pagana che non venisse celebrata da un senatore mitraico. E quello
stesso senatore, il più delle volte, aveva alle spalle una famiglia profondamente cristiana. Ed
in ogni caso abbracciò immediatamente il cristianesimo non appena il paganesimo fu abolito.
Sorge allora spontanea una domanda: i senatori mitraici erano soltanto pagani o anche
cristiani? Su questo punto le evidenze in nostro possesso sono piuttosto ambigue. Anche il

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carattere dello stesso Mitra, come viene dipinto dagli scrittori cristiani, è assolutamente
ambiguo. Fra lui e Gesù esiste una lunga serie di analogie: Mitra era nato in una stalla, il 25
Dicembre, da una madre vergine, circondato da pastori che portavano doni. Era venerato nel
giorno dedicato al sole, la domenica. Attorno alla testa aveva un’aureola. Celebrò un’ultima
cena insieme ai suoi seguaci più fedeli, prima di far ritorno al a suo padre. Si diceva che non
fosse morto, ma che fosse asceso al cielo, da dove sarebbe tornato alla fine del mondo, per
resuscitare i morti e giudicarli, mandando i buoni in paradiso e i cattivi all’inferno. Garantiva
ai suoi fedeli l’immortalità, conseguita attraverso il battesimo.
Gli adepti di Mitra, quindi, credevano come i cristiani nell’immortalità dell’anima, nel
giudizio universale, nella resurrezione dei morti e nella fine del mondo. Celebravano la morte
di un salvatore che era risorto una domenica. Celebravano una cerimonia analoga alla Messa
cristiana, durante la quale consumavano pane consacrato e vino in memoria dell’ultima cena
di Mitra. E durante la cerimonia cantavano inni, suonavano campanelli, accendevano ceri e
usavano acqua consacrata. Essi condividevano con i cristiani una lunga serie di altre credenze
e pratiche rituali, al punto da essere praticamente indistinguibili da essi, agli occhi dei pagani
ed anche di molti cristiani
L’esistenza di una sotterranea connessione tra il cristianesimo ed il mitraismo fin dai
primi tempi è ammessa anche dai padri della Chiesa. Tertulliano scrive che i pagani “…
credono che il Dio dei cristiani è il Sole, perché è noto che noi preghiamo rivolti verso il sole
nascente e che nel giorno del sole facciamo festa (Tertulliano, Ad Nationes, 1, 13). Egli cerca
di giustificare la sostanziale identità fra le due “religioni” agli occhi dei fedeli cristiani,
attribuendola al fatto che satana avrebbe plagiato i rituali più sacri e le credenze della religione
cristiana. Costantino credeva che Gesù Cristo ed il Solo Invictus Mitra fossero entrambi
aspetti della stessa divinità superiore. Certamente egli non era il solo a nutrire questa
convinzione. I neoplatonici sostenevano che il mitraismo rappresentava un “ponte” fra
paganesimo e cristianesimo. Gesù era spesso chiamato con il nome Sol Iustitiae ed era
rappresentato con statue aventi le sembianze del giovane Apollo (curiosamente anche
Michelangelo, nel grandioso affresco del Giudizio Universale della cappella Sistina, ha
rappresentato Gesù con il volto dell’Apollo del Belvedere). Clemente di Alessandria descrive
Gesù alla guida del carro del sole attraverso il cielo, ed un mosaico del quarto secolo, in
Vaticano, lo mostra sul carro del sole, mentre ascende al cielo. Su alcune monete del quarto
secolo lo stendardo cristiano riporta la scritta “Sol Invictus”. Un larga parte della popolazione
romana pensava che il Cristianesimo ed il culto del sole fossero intimamente collegati, se non
proprio la stessa cosa.
Anche dopo l’abolizione del paganesimo, i romani continuarono a lungo a venerare
entrambi, sia Cristo che il Sole. Nel 410 d.C. papa Innocenzo autorizzò la ripresa di cerimonie
in onore del sole, sperando in questo modo di scongiurare il sacco di Roma da parte dei
Visigoti di Alarico. E ancora nel 460 papa Leone il Grande scriveva: “… molti cristiani, prima
di entrare nella basilica di San Pietro, si rivolgono verso il sole e si inchinano in suo onore”. Il
vescovo di Troy continuò a professare apertamente il culto del sole anche durante il suo
episcopato. Un altro notevole esempio in questo senso è dato da Sinesio di Cirene, un
discepolo della famosa filosofa neoplatonica Ipazia, che fu trucidata nel 415 ad Alessandria
d’Egitto. Sinesio, non ancora battezzato, fu eletto vescovo di Tolemaide e vescovo
metropolitano di Cirenaica, ma accettò la carica soltanto a condizione di non dover ritrattare le
sue convinzioni neoplatoniche o rinunciare al culto del sole. Ancor oggi il simbolo del sole è
universalmente presente in tutte le chiese ed in tutti gli oggetti di culto cristiani.

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Alla luce di questi fatti come dobbiamo considerare la posizione dell’istituzione mitraica
nei confronti del cristianesimo? Erano concorrenti o cooperatori? Amici o nemici? Forse la
migliore indicazione ci è fornita dalle monete che Costantino fece coniare fino al 320 d. C.,
con simboli cristiani su un lato, mitraici sull’altro. E’ possibile che Cristo e Mitra fossero due
facce di una stessa medaglia?

Le origini del Mitraismo e del Cristianesimo.

Per spiegare la stretta relazione esistente fra Cristianesimo e Mitraismo dobbiamo


risalire alle loro origini.
Per universale consenso, il cristianesimo come noi lo conosciamo è una creazione di San
Paolo, il fariseo che fu inviato da Gerusalemme a Roma nel 61 circa, dove fondò la prima
comunità cristiana della capitale. La religione predicata a Roma da Paolo era assai diversa da
quella predicata da Gesù in Palestina e praticata da Giacomo il Giusto, l’allora capo della
comunità cristiana di Gerusalemme. La predicazione di Gesù era in linea con il modo di vivere
e pensare della setta giudaica degli Esseni. I contenuti dottrinali del cristianesimo affermatosi
a Roma alla fine del primo secolo, invece, sono straordinariamente vicini a quelli della setta
dei farisei, a cui Paolo apparteneva.
Paolo fu condannato a morte probabilmente nel 67 da Nerone, insieme alla maggior
parte dei suoi discepoli. La comunità cristiana di Roma fu decimata dalla persecuzione
neroniana. Non abbiamo alcuna informazione su quel che accadde in seno a questa comunità
nei successivi 30 anni; un black out di notizie che lascia alquanto perplessi, perché sappiamo
per certo che durante quel periodo a Roma dovette succedere qualcosa di molto importante.
Infatti, alcuni dei più eminenti cittadini della capitale furono convertiti al cristianesimo, come
il console Flavio Clemente, cugino dell’imperatore Domiziano. Inoltre la chiesa di Roma
assunse una struttura monarchica e impose la sua leadership su tutte le comunità cristiane
dell’impero, che dovettero uniformarsi al suo modello ed alle sue credenze. Questo è provato
al di là di ogni dubbio da una lunga lettera di papa Clemente ai Corinzi, scritta verso la fine
del regno di Domiziano, in cui è chiaramente affermata la supremazia della Chiesa di Roma.
Ciò significa che durante gli anni del black out qualcuno che aveva accesso alla
famiglia imperiale aveva risollevato le sorti della comunità cristiana romana, al punto da
consentirle di imporre la propria autorità su tutte le altre comunità cristiane dell’impero. Ed
era “qualcuno” che conosceva perfettamente la dottrina ed il pensiero di Paolo, 100%
farisaico.
Anche l’organizzazione mitraica era nata nello stesso periodo e nello stesso ambiente.
Data la scarsità di informazioni scritte su questo argomento, l’origine e la diffusione del culto
di Mitra ci sono note quasi esclusivamente grazie ai reperti archeologici (resti di mitrei, scritte
dedicatorie, iconografie e statue del dio, rilievi, pitture, mosaici ecc.) che sono stati rinvenuti
in abbondanza in tutto l’impero romano. Queste testimonianze archeologiche provano in
maniera praticamente certa che, a parte il nome comune, non c’era alcuna relazione fra il culto
di Mitra romano e la religione orientale da cui si suppone (o meglio si postula) che sia
derivato. In tutto il mondo persiano, infatti, non è mai stato trovato nulla di simile ad un
mitreo romano.

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Scientia – Vol. 124 – Mitra e Gesù: due facce di una stessa medaglia

Quasi tutti i monumenti mitraici rinvenuti possono essere datati con relativa precisione,
dal momento che vi si trovano iscrizioni dedicatorie. Pertanto, tempi e circostanze della
diffusione del culto del Sol Invictus Mitra (questi tre nomi compaiono quasi sempre assieme
in tutte le iscrizioni, pertanto non c’è dubbio che si riferiscono alla stessa ed unica istituzione)
ci sono noti con ragionevole precisione e certezza. Conosciamo anche il nome, la professione
e le responsabilità di un gran numero di suoi membri.
Il primo mitreo di cui si abbia evidenza fu costruito a Roma, al tempo di Domiziano, e ci
sono precise indicazioni che fosse frequentato da persone vicine alla famiglia imperiale, in
particolare liberti giudaici. Il mitreo, infatti, fu dedicato da un certo Tito Flavio Igino
Efebiano, un liberto dell’imperatore Tito Flavio, pertanto quasi certamente un giudeo
romanizzato. Da Roma l’organizzazione mitraica si diffuse, nel corso del secondo secolo, in
tutto l’impero occidentale.
Probabilmente la coincidenza di tempo e di luogo tra il sorgere del chiesa romana e la
costituzione della prima cellula mitraica non è casuale. Il primo nucleo di cristiani “romani”,
infatti, è nato proprio all’ombra del palazzo imperiale, con la figura di spicco di Flavio
Clemente, notoriamente legato agli ambienti giudaici ed in particolare a Giuseppe Flavio (fu
condannato a morte dal cugino Domiziano, infatti, con l’accusa di “deviazioni giudaiche”).
Quest’ultimo, poi, considerato dagli storici semplicemente uno “storico giudeo”, era quasi
certamente cristiano, amico devoto, se non proprio discepolo, del fondatore stesso della
Chiesa romana, San Paolo.

Giuseppe Flavio e San Paolo.

Giuseppe Flavio era un sacerdote di alto rango che apparteneva alla più illustre delle 24
famiglie sacerdotali giudaiche. Al tempo della rivolta contro Roma aveva ricoperto un ruolo di
primo piano nelle tormentate vicende della Palestina. Inviato dal Sinedrio quale governatore
della Galilea, egli era stato il primo a combattere contro le legioni del generale romano Tito
Flavio Vespasiano, che aveva ricevuto da Nerone l’incarico di reprimere la rivolta. Barricato
nella fortezza di Jotapata egli resistette valorosamente all’assedio delle truppe romane, ma
alla fine dovette capitolare. Egli si arrese a condizione di poter parlare personalmente con
Vespasiano (Guerra Giudaica, III, 8,9). Il loro incontro segnò una svolta nelle fortune di
entrambi: Vespasiano qualche tempo dopo divenne imperatore, mentre Giuseppe non soltanto
ebbe salva la vita, ma fu “adottato” nella famiglia imperiale ed assunse il nome di Flavio. In
seguito ottenne la cittadinanza romana, una villa patrizia a Roma, una rendita annua a spese
dello stato ed enormi proprietà in Palestina. Il prezzo del suo tradimento.
Dopo alcuni anni, a Roma, Giuseppe Flavio cominciò a scrivere la storia di quegli
avvenimenti che lo avevano visto protagonista, con l’intento, a quanto sembra, di giustificare
il proprio tradimento. Era stata la volontà di Dio, egli afferma, che lo aveva chiamato a
costruire un Tempio Spirituale, al posto di quello materiale distrutto da Tito, legandosi ai
destini di Roma.
Queste parole certamente non erano rivolte ad orecchie giudaiche, ma cristiane. La
maggior parte degli storici sono scettici sul fatto che Giuseppe fosse cristiano, ma ci sono
forti elementi che lo confermano. In un passo famoso del suo libro “Antichità Giudaiche” (il
cosiddetto Testimonium Flavianum) egli dichiara di accettare due punti fondamentali, la

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resurrezione di Cristo e la sua identificazione con il messia delle profezie, che sono
condizione necessaria e sufficiente, per un giudeo del suo tempo, per essere considerato
cristiano. Le simpatie cristiane di Giuseppe traspaiono inoltre molto chiaramente da altri passi
della stessa opera, nei quali egli parla con grande ammirazione di Giovanni Battista e del
fratello di Gesù, Giacomo.
Le argomentazioni usate da Giuseppe Flavio per giustificare il proprio tradimento,
sembrano riecheggiare le parole di San Paolo a proposito del Tempio Spirituale. I due
sembrano essere in sintonia per quel che riguarda il loro atteggiamento nei confronti del
mondo romano. Paolo considerava suo compito liberare la chiesa di Gesù dalle strettoie del
giudaismo e dalla dipendenza dal territorio palestinese, e di renderla universale, legandola a
Roma. Essi sono in sintonia anche su altri punti fondamentali, come ad esempio sul fatto che
entrambi dichiarano di credere nella dottrina dei farisei, che è poi quella che è stata
pienamente recepita dalla chiesa di Roma.
Ci sono infine sufficienti indicazioni storiche per concludere con certezza che i due si
conoscevano ed erano legati da una profonda amicizia. Negli Atti degli Apostoli si legge che,
dopo essere tornato a Gerusalemme, Paolo fu condotto di fronte ai sommi sacerdoti ed al
Sinedrio per essere giudicato (Atti 22, 30). Egli si difese dicendo:
“Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo
della speranza nella resurrezione dei morti”. Appena egli ebbe detto ciò scoppiò una disputa
tra i farisei ed i sadducei e l’assemblea si divise. I sadducei infatti affermano che non c’è
resurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei, invece, professano tutte queste cose. Ne nacque
allora un grande clamore ed alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi in piedi protestavano
dicendo: “Non troviamo nulla di male in quest’uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse
parlato davvero?” La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse
linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e
ricondurlo nella fortezza.” (Atti, 23; 1-10)
Giuseppe era un sacerdote di alto rango e a quel tempo si trovava a Gerusalemme; era
certamente presente a quell’assemblea. Egli aveva aderito alla setta dei farisei all’età di 19
anni, pertanto doveva essere fra quei sacerdoti che si alzarono in difesa di Paolo. L’apostolo
fu consegnato al governatore romano Felice, che lo tenne agli arresti per qualche tempo, fino
a che fu inviato a Roma, insieme ad altri prigionieri (Atti 27, 1), per essere giudicato
dall’imperatore, al quale Paolo, in qualità di cittadino romano, si era appellato. A Roma egli
passò due anni in prigione (Atti, 28,29) prima di essere liberato, nel 63 o 64 d.C.
Nel sua autobiografia Giuseppe scrive:
“Tra i venticinque ed i ventisei anni mi imbarcai in un viaggio a Roma, per la seguente
ragione. Durante il periodo in cui fu governatore della Giudea, Felice aveva mandato alcuni
sacerdoti a Roma, per giustificarsi di fronte all’imperatore. Io li conoscevo come ottime
persone, che erano state arrestate su accuse insignificanti. Siccome volevo studiare un piano
per liberarli … mi imbarcai per Roma” (Vita, 3, 13).
In qualche modo Giuseppe riuscì a raggiungere Roma, dove strinse amicizia con un
certo Alituro, un mimo giudeo che era molto apprezzato da Nerone. Tramite Alituro, egli fu
presentato a Poppea, moglie dell’imperatore, e grazie a lei riuscì a far liberare i sacerdoti suoi
amici (Vita 3, 16). La coincidenza di date, fatti e persone coinvolte è assoluta, al punto che è
impossibile sfuggire alla conclusione che Giuseppe venne a Roma, a suo rischio e spese,
appositamente per liberare Paolo ed i suoi compagni, e che fu proprio grazie al suo intervento
che l’apostolo fu rilasciato. Questo presuppone che i rapporti fra i due fossero molto più stretti

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Scientia – Vol. 124 – Mitra e Gesù: due facce di una stessa medaglia

che non una semplice conoscenza occasionale. Pertanto Giuseppe doveva conoscere del
cristianesimo molto più di quanto traspare dai suoi scritti, e la sua conoscenza proveniva
direttamente dagli insegnamenti di Paolo, di cui era verosimilmente un discepolo.
Quando Giuseppe tornò a Roma al seguito di Tito, nel 70 d.C., il suo maestro era stato
giustiziato, insieme a una gran parte dei cristiani che lui stesso aveva convertito; la Giudea era
sta cancellata dal novero delle nazioni; il Tempio distrutto; la famiglia sacerdotale quasi
sterminata e la sua stessa reputazione macchiata dall’onta del tradimento. Doveva essere
animato da un forte risentimento e da un irreprimibile desiderio di rivincita e vendetta. Le
circostanze storiche e gli indizi a nostra disposizione suggeriscono uno scenario a prima vista
incredibile, ma che nella prospettiva storica appare ampiamente giustificato. Esistono validi
motivi per ritenere che i fondatori della organizzazione mitraica fossero gli stessi che hanno
assunto il controllo della nascente religione cristiana a Roma e hanno imposto la leadership
della chiesa romana su tutto impero
Non sembra azzardato, infatti, ritenere che Giuseppe Flavio, uomo di fortissima
personalità ed enormi risorse, abbia lucidamente concepito un piano che in quelle circostanze
sarebbe apparso a chiunque assolutamente folle. Quell’uomo, seduto fra le rovine fumanti di
quella che era stata la sua patria, circondato da pochi sopravvissuti, umiliati e demoralizzati,
rifiutati dai loro stessi connazionali (almeno altri 14 sacerdoti di alto rango, considerati
traditori, lo avevano seguito a Roma), dovette progettare nientemeno che di conquistare
quell’enorme potentissimo impero che lo aveva sconfitto, e di insediare i propri discendenti e
quelli degli uomini intorno a lui quale classe dirigente di quello stesso impero.
Il primo passo di questa strategia era di assumere il controllo della neonata religione
cristiana e di favorirne la penetrazione nel mondo romano, a scapito del paganesimo. I
fuorusciti giudaici venuti a Roma al seguito di Tito erano in gran parte sacerdoti, erano
provvisti di grandi mezzi economici e godevano della protezione dell’imperatore; ma erano
tenuti al bando dalla comunità giudaica, per cui non può stupire che fossero inclini ad
avvicinarsi al mondo cristiano. Non dovettero incontrare eccessive difficoltà nell’assumere la
guida dello sparuto gruppo di cristiani che erano sopravvissuti alle persecuzioni neroniane,
tanto più che erano legittimati dai precedenti rapporti di Giuseppe Flavio con San Paolo.
Erano trascorsi soltanto sei anni da quando Giuseppe aveva ottenuto la liberazione di
Paolo dalla prigione. L’apostolo doveva essere morto da non più di tre anni. Giuseppe deve
essersi sentito moralmente obbligato a continuare l’opera del suo vecchio maestro, di cui
conosceva perfettamente la dottrina. Rendendosi conto del suo potenziale di propagazione nel
mondo romano, si dedicò anima e corpo alla sua implementazione pratica, coadiuvato dai
sacerdoti superstiti (il primo papa romano di cui si abbiano evidenze storiche certe, infatti,
Clemente, era sicuramente un giudeo romanizzato di condizione sacerdotale). Una volta
ricreata una forte comunità cristiana nella capitale, che comprendeva addirittura alcuni
membri della famiglia imperiale, non dovette essere difficile imporre l’autorità della chiesa
di Roma sulle altre comunità cristiane sparse per l’impero, prime fra tutte quelle che erano
state create o catechizzate dallo stesso Paolo.

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Scientia – Vol. 124 – Mitra e Gesù: due facce di una stessa medaglia

Il Sol Invictus Mitra.

Giuseppe Flavio sapeva fin troppo bene che una religione non ha futuro se non entra a
far parte integrante di un sistema di potere politico. Il suo obiettivo primario, pertanto, dovette
essere quello di conquistare il potere politico. Grazie alla millenaria esperienza della sua
famiglia ed alla sua stessa esperienza di vita, Giuseppe sapeva che il potere politico, specie in
un organismo elefantiaco come l’impero romano, era basato sul potere militare, ed il potere
militare su quello economico, a sua volta basato sulla capacità di influenzare e controllare le
leve finanziarie del paese. Egli deve avere quindi pianificato la creazione di una
organizzazione che assumesse prima o poi il controllo di queste leve. Allora l’impero sarebbe
stato nelle sue mani e la nuova religione sarebbe stata lo strumento per controllarlo.
Ma qual era il piano di Giuseppe Flavio per realizzare questo ambizioso progetto? Non
dovette inventare nulla di nuovo. Il modello era già lì, l’organizzazione segreta creata da
Esdra tra le 24 famiglie sacerdotali rientrate dall’esilio babilonese, la quale aveva assicurato
alla famiglia sacerdotale giudaica potere e prosperità per mezzo millennio. Dovette apportarvi
soltanto alcuni ritocchi, per mimetizzare questa istituzione nel mondo pagano sotto le
sembianze di una religione misterica, dedicata al dio greco Helios, il sole, per l’indubbia
assonanza con il nome della divinità ebraica El, o El Elyon. Il dio fu presentato come
invincibile, il Sol Invictus, per galvanizzare lo spirito dei suoi adepti, ed al suo fianco fu
posto, come inseparabile compagno, una divinità solare di quella stessa Mesopotamia da dove
gli ebrei avevano avuto origine, Mitra, l’inviato del Sole sulla terra per redimere l’umanità. E
tutto attorno ad essi, nei mitrei, furono poste le statue di varie divinità pagane, Atena, Ercole,
Venere e così via. L’insieme era un evidente riferimento a Dio Padre, ed al suo inviato sulla
terra Gesù, circondati dai loro attributi di saggezza, forza, bellezza e così via, che era
chiaramente comprensibile ad un cristiano, ma era perfettamente pagano agli occhi di un
pagano.
Questa organizzazione non aveva alcun fine religioso: il suo unico scopo era preservare
l’unione fra i suoi membri e garantire loro sicurezza e prosperità, tramite il mutuo supporto ed
una strategia comune intesa ad infiltrare tutte le posizioni di potere della società romana. I
lavori che venivano svolti nei mitrei erano coperti dal più rigoroso segreto. Nonostante
l’organizzazione mitraica abbia operato per tre secoli ed abbia avuto migliaia di adepti, molti
dei quali eminenti letterati, non è giunta fino a noi neppure una parola, scritta direttamente da
un suo membro, su quel che accadeva nel corso delle riunioni mitraiche, quali decisioni
venivano prese e così via. Questo significa che fu sempre mantenuto il più rigoroso riserbo sui
lavori che venivano svolti in un mitreo.
Non abbiamo informazioni storiche sulle modalità di reclutamento dei membri
dell’organizzazione mitraica. E’ probabile che l’accesso al livello operativo, quello
decisionale dal terzo grado in su, fosse riservato ai soli membri e discendenti delle famiglie
“fondatrici”. Nei gradi inferiori, invece, potevano certamente essere affiliate anche persone
non appartenenti a queste famiglie, come nel caso dell’imperatore Commodo. Questo sistema
di reclutamento è perfettamente in linea con le evidenze storiche ed archeologiche in nostro
possesso. Anche al culmine del suo potere e diffusione, il Sol Invictus Mitra appare una
istituzione di elite, con un numero assai limitato di adepti. La maggior parte dei mitrei, infatti,
erano stanze molto piccole, che non potevano ospitare più di una ventina di persone.
Certamente, quindi, non era una religione di massa, ma un’organizzazione a cui

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appartenevano soltanto i vertici delle forze armate e della burocrazia imperiale. Tuttavia non
sappiamo se l’organizzazione reclutasse i suoi membri fra gli alti ranghi della società romana,
o se al contrario fossero i suoi membri ad “infiltrare” tutte le posizioni di potere di questa
società. Le evidenze storiche in nostro possesso favoriscono questa seconda ipotesi, ma non si
possono escludere eccezioni.

Il Sol Invictus Mitra conquista l’impero romano.

Sia le fonti scritte che le testimonianze archeologiche confermano che da Domiziano in


poi Roma rimase sempre la sede più importante del Sol Invictus Mitra, che si era saldamente
insediato nel cuore stesso dell’amministrazione imperiale, sia nel palazzo vero e proprio che
nella guardia pretoriana. Da Roma l’organizzazione mitraica si diffuse immediatamente nella
vicina Ostia, il porto con il più grande volume di traffico commerciale dell’intero
Mediterraneo, dove confluivano merci da ogni parte dell’impero, per soddisfare l’insaziabile
appetito della capitale. Nel corso del secondo e terzo secolo vi furono costruiti almeno una
quarantina di mitrei, evidente dimostrazione che i membri dell’organizzazione mitraica
avevano assunto il controllo delle attività commerciali del porto, sorgente di entrate
incalcolabili e di grande potere economico.
Nel contempo l’istituzione mitraica si diffuse in tutto il resto dell’impero, in particolare
in quello occidentale. Il primo mitreo di cui si abbia notizia al di fuori della cerchia romana fu
costruito intorno al 110 d.C. in Pannonia, a Poetovio, il maggior centro doganale della
regione, ad opera dei funzionari della dogana. Quasi contemporaneamente sorse un mitreo
presso la guarnigione militare di Carnutum, sempre in Pannonia e subito dopo in tutte le
province danubiane (Rezia, Norico, Mesia e Dacia). Dalle iscrizioni rinvenute nei mitrei
sappiamo per certo che tra gli adepti dell’organizzazione figuravano i funzionari delle dogane,
che raccoglievano le gabelle poste su ogni genere di trasporto dall’Italia verso il Centro
Europa e viceversa; i funzionari imperiali che controllavano i trasporti, la posta,
l’amministrazione delle finanze e le miniere; ed infine gli ufficiali che comandavano le
guarnigioni scaglionate lungo il confine. Contemporaneamente al bacino danubiano, sorsero
numerosi mitrei anche nel bacino del Reno, a Bonn e Treviri. Seguirono poi la Britannia, la
Spagna ed il Nord Africa, dove sorsero mitrei già nelle prime decadi del secondo secolo,
sempre associati a centri amministrativi e guarnigioni militari.
Le evidenze archeologiche, quindi, dimostrano che nel corso del secondo secolo i
membri del Sol Invictus Mitra occuparono le principali posizioni dell’amministrazione
pubblica, divenendo la classe dominante nelle province esterne dell’impero, soprattutto
nell’Europa centrale e settentrionale. Abbiamo visto in precedenza che i membri del Sol
Invictus Mitra avevano infiltrato anche la tradizionale religione pagana, assumendo il
controllo del culto delle principali divinità, a cominciare dal Sole.
La mossa vincente, tuttavia, quella che rese irresistibile l’ascesa dell’istituzione
mitraica, fu la presa di controllo dell’esercito. Giuseppe Flavio sapeva per esperienza
personale che l’esercito poteva diventare l’arbitro del trono imperiale. Chi controllava
l’esercito controllava l’impero. L’obiettivo principale che egli fissò per l’organizzazione
mitraica dovette essere quello di infiltrare l’esercito e assumerne il controllo.

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Scientia – Vol. 124 – Mitra e Gesù: due facce di una stessa medaglia

Ed infatti ritroviamo mitrei in tutti i luoghi in cui erano stazionate delle guarnigioni
militari. In poco meno di un secolo l’istituzione mitraica riuscì ad assumere il controllo di
tutte le legioni stazionate nelle province esterne e lungo i confini, al punto che il “culto” del
Sol Invictus Mitra è considerato dagli storici come la religione tipica dei soldati romani.
Prima ancora che all’esercito, tuttavia, le attenzioni del Sol Invictus si erano rivolte alla
guardia pretoriana, la guardia personale dell’imperatore. Non è un caso che la seconda
iscrizione dedicatoria mitraica, in ordine di tempo, riguardi proprio un comandante del
Pretorio e che la concentrazione di mitrei fosse particolarmente elevata nei pressi delle
caserme dei pretoriani. L’infiltrazione di questo corpo militare deve essere iniziata già al
tempo degli imperatori Flavii. Essi potevano contare sulla fedeltà incondizionata dei liberti
giudaici, che dovevano tutto ad essi, la vita, la sicurezza ed il benessere. Gli imperatori
romani erano riluttanti a mettere la propria sicurezza personale nelle mani di ufficiali
provenienti dai ranghi del senato, il loro maggior opponente politico, pertanto i quadri della
loro guardia personale furono formati principalmente da liberti e membri dell’ordine equestre
(a cui fu sempre riservato il comando del Pretorio). Questo dovette favorire in modo
particolare il Sol Invictus Mitra, che fece del Pretorio un suo feudo incontrastato fin dagli
inizi del secondo secolo.
Una volta acquisito il controllo del pretorio e dell’esercito, il Sol Invictus Mitra fu in
grado di mettere le mani anche sulla carica imperiale. Questo avvenne nel 193 d.C., quando
Settimio Severo fu proclamato imperatore dall’esercito. Nato a Leptis Magna, nel Nord
Africa, da una famiglia equestre di alti burocrati, egli era certamente un membro mitraico,
avendo sposato Giulia Domna, sorella di un certo Bassiano, sacerdote del Sole Invitto. Da
allora in poi la carica imperiale fu prerogativa del Sol Invictus Mitra e tutti gli imperatori
furono proclamati tali (o rimossi) dall’esercito o dalla guardia pretoriana.
Giudicando in prospettiva, appare evidente che l’obiettivo finale della strategia
concepita da Giuseppe Flavio era la completa sostituzione della classe dirigente dell’impero
romano con membri del Sol Invictus Mitra. Questo obiettivo fu conseguito in meno di due
secoli, grazie alla politica messa in atto dagli imperatori mitraici.
I ranghi dell’amministrazione imperiale romana provenivano quasi totalmente da nuove
famiglie di origine ignota, che erano emerse nel corso del primo secolo e agli inizi del
secondo, in antagonismo all’aristocrazia senatoriale, tradizionalmente contrapposta al potere
dell’imperatore. Questo gruppo di famiglie formavano il cosiddetto ordine equestre, che ben
presto divenne un feudo incontrastato del Sol Invictus Mitra.
Gli imperatori mitraici provenivano tutti dall’ordine equestre e governarono in aperta
opposizione al senato, umiliandolo, privandolo delle proprie prerogative e beni materiali e
colpendolo fisicamente con l’esilio e la condanna capitale di un gran numero dei suoi membri
più eminenti, tanto che nel corso del terzo secolo buona parte delle antiche famiglie
senatoriali scomparvero dalla scena. Contemporaneamente essi cominciarono ad immettere
nel senato un gran numero di famiglie equestri. Questa politica era stata iniziata da Settimio
Severo e sviluppata da Gallieno (il quale, è bene ricordarlo, fu anche l’autore del primo editto
di tolleranza nei confronti del Cristianesimo), che stabilì per decreto che tutti coloro che
avevano ricoperto la carica di governatori di provincia o di prefetto del pretorio, incarichi
riservati entrambi all’ordine equestre, entrassero di diritto a far parte del senato. Questo
diritto fu poi esteso ad altre categorie di funzionari, grandi burocrati ed alti ufficiali
dell’esercito (tutti membri dell’organizzazione mitraica, dobbiamo supporre). Il risultato

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Scientia – Vol. 124 – Mitra e Gesù: due facce di una stessa medaglia

finale fu che nel giro di un secolo praticamente l’intera classe equestre transitò nei ranghi del
senato, soppiantando le famiglie della originaria aristocrazia romana ed italica.
Nel frattempo la diffusione del cristianesimo attraverso l’impero procedeva
speditamente. Ovunque arrivassero i rappresentanti di Mitra, lì immediatamente sorgeva una
comunità cristiana. Alla fine del secondo secolo si contavano almeno quattro sedi episcopali
in Britannia, sedici in Gallia ed altrettante in Spagna e praticamente una in ogni grande città
del Nord Africa e del Medio Oriente. Nel 261 il Cristianesimo fu riconosciuto come religione
lecita dal mitraico Gallieno e mezzo secolo dopo fu proclamata religione ufficiale dell’impero
dal mitraico Costantino, sebbene fosse ancora largamente minoritaria nella società romana (i
cristiani erano allora meno del 20% dell’intera popolazione). Da quel momento in poi fu
gradualmente imposta alla popolazione dell’impero, con una serie di misure che culminarono,
alla fine del quarto secolo, con l’abolizione delle religioni pagane e la “conversione” in massa
del senato romano.
La situazione finale per quanto concerne le classi dirigenti dell’impero occidentale era
allora la seguente: l’antica nobiltà di origine pagana era virtualmente scomparsa e la nuova
nobiltà senatoriale, che si identificava con la classe dei grandi proprietari terrieri, era costituita
in gran parte da ex membri del Sol Invictus Mitra. Sul piano religioso il paganesimo era stato
completamente eliminato ed il cristianesimo era divenuto la religione di tutti gli abitanti
dell’impero. Esso era controllato da gerarchie ecclesiastiche che provenivano interamente
dalla classe senatoriale ed erano dotate di immense proprietà fondiarie (fra l’altro esenti da
tasse) e di poteri quasi reali nell’ambito delle proprie diocesi.
Le famiglie mitraiche erano diventate padrone assolute di quello stesso impero che
aveva distrutto Israele ed il tempio di Gerusalemme. Tutte le alte cariche dell’impero, sia
civili che religiose, e tutta la sua ricchezza erano nelle loro mani, e la carica suprema, quella
dell’imperatore, era stata assegnata in perpetuo, per diritto divino, alla “Gens Flavia”. Da
Costantino in poi, infatti, tutti gli imperatori romani o pretendenti tali, nessuno escluso,
avevano il prenome Flavio, verosimilmente discendenti da famiglie il cui capostipite aveva
quello stesso prenome (non dimentichiamo che il primo mitreo romano fu dedicato da Tito
“Flavio” Igino Efebiano, e che fra i suoi membri più eminenti dovevano figurare “Flavio”
Clemente e Giuseppe “Flavio”).
In poco più di tre secoli il piano di conquista ideato da Giuseppe Flavio era stato portato
a compimento. A questo punto l’istituzione del Sol Invictus Mitra non era più necessaria per
assicurare le fortune dei suoi membri e fu liquidata. Era stata lo strumento della cospirazione
più di successo dell’intera Storia.

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