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IL PASTORE DELL’ESSERE
(1889-1976)
Copyright © 2014-2015 Stefano Martini
MARTIN HEIDEGGER. IL PASTORE DELL’ESSERE
Esistenzialista o ontologo?
Appare oggi piuttosto datata l’interpretazione, risalente agli
anni Trenta e Quaranta e particolarmente diffusa nella Francia
dei Sartre (1905-1980) e dei Marcel (1889-1973), di
Heidegger come filosofo dell’esistenzialismo. Del grande
filosofo tedesco si conosceva allora soprattutto il capolavoro
del 1927, Essere e tempo (Sein und Zeit), incentrato
sull’analisi dell’esistenza umana – l’«esser-ci» (Da-sein) –,
secondo la celebre espressione heideggeriana. Il problema
ontologico, che pure era già presente, fondamentale,
nell’indagine di Heidegger, veniva trascurato dagli interpreti,
ad esclusivo vantaggio dell’analisi esistenziale.
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MARTIN HEIDEGGER. IL PASTORE DELL’ESSERE
Approfondimento
L’uomo, «l’ente a cui nel suo essere ne va del suo essere stesso», gode di una implicita
comprensione dell’essere dell’ente ed è in base a essa che pone in questione l’essere.
Primo compito di una «ontologia fondamentale» è dunque definire il senso della
domanda ontologica, interrogando l’ente interrogante, cioè l’essere dell’uomo. Tale
analisi preliminare, contenuta nella prima parte (la sola edita) dell’opera Essere e
tempo, è da Heidegger nettamente distinta da antropologia, psicologia e biologia, che
sono scienze «ontiche» dell’uomo, lo considerano cioè come un ente tra gli altri e non
nella sua peculiarità «ontologica» di ente che pone in questione l’essere. L’uomo, come
vedremo, non è un che cosa, ma un chi, una «esistenza» (Existenz): è ciò che Heidegger
definisce Da-sein, scomponendo il termine in «esser-ci», nel senso di «essere aperto» o
di «essere l’apertura».
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MARTIN HEIDEGGER. IL PASTORE DELL’ESSERE
Era questo il programma di una «ermeneutica della fatticità» sviluppato nei primi corsi
di Friburgo, nei quali i riferimenti storici privilegiati erano pensatori come Paolo,
Agostino, Lutero, Kierkegaard, Dilthey.
(354-430) (1483-1546) (1813-1855) (1833-1911)
Qui egli rimase fino al 1928, mantenendo tuttavia uno stretto legame con Friburgo, nei
pressi della quale, a Todtnauberg, nella Foresta Nera, egli si era costruito verso
la fine del 1922 una baita in cui era solito soggiornare nei mesi liberi dagli impegni
universitari.
La questione dell’essere.
Con Essere e tempo si ha dunque l’esplicita
formulazione del problema essenziale che travaglia
tutto il pensiero di Heidegger, dalle origini sino
alla fine, vale a dire la questione dell’essere. In
riferimento alle diverse prospettive secondo le quali
essa viene affrontata, si è affermata la consuetudine
di distinguere due fasi del pensiero heideggeriano:
Già nella prima fase, che arriva fino al 1929, bisognerebbe distinguere
(1) un primo momento che coincide con gli scritti giovanili fino alla
libera docenza, (2) una breve fase immediatamente successiva che si
situa agli inizi del primo insegnamento di Friburgo e che è
caratterizzata dal confronto critico col neokantismo e
dall’appropriazione della fenomenologia, (3) il periodo che comprende
gli anni dal 1919 al 1923 in cui Heidegger abbozza il programma di
un’ermeneutica della fatticità, (4) il periodo di Marburgo (1923-1929)
in cui viene elaborata l’ontologia fondamentale di Essere e tempo
attraverso l’analisi dell’esistenza e la «distruzione» fenomenologica
della storia dell’ontologia.
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MARTIN HEIDEGGER. IL PASTORE DELL’ESSERE
Ma è soprattutto in un voluminoso
manoscritto steso tra il 1936 e il 1938,
rimasto inedito, che Heidegger mette a fuoco
in maniera complessiva la mutata prospettiva
dalla quale egli guarda ora al problema
dell’essere pensato d’ora in poi come «evento»
(Ereignis): si tratta dei Contributi alla
filosofia (dall’evento) (Beiträge zur
Philosophie [vom Ereignis]), pubblicati solo
nel 1989 in occasione del centenario della
nascita del filosofo (in Italia nel 2007).
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MARTIN HEIDEGGER. IL PASTORE DELL’ESSERE
Tale principio è l’esserci. È l’esserci che, rapportandosi alle cose nell’atteggiamento del
«prendersi cura» secondo un proprio modo di vedere (Sicht), le «incontra» anzitutto e
per lo più come cose utilizzabili (Zuhandenes) legate in un insieme di rinvii, entro il
quale egli si orienta secondo una propria «circospezione» (Umsicht).
Approfondimento
Il mondo, a cui il Da-sein umano si apre, non è l’insieme o la somma delle cose
semplicemente-presenti in esso (Vor-handenheit), degli eventi isolati nello spazio e nel
tempo, secondo l’immagine «naturale» delle scienze; ma è la «significatività»
(Bedeutsamkeit) di ciò con cui si ha a che fare (in gr. tà prágmata), cioè delle cose-a-
nostra-disposizione (Zuhandenheit), che servono a qualcosa e rinviano a esso. Il
sentirsi situato (Befindlichkeit) apre l’uomo al nudo fatto del suo «essere-gettato»
(Geworfenheit) nel mondo, nel ci dell’apertura; mentre il comprendere è la proiezione
attiva, è «progetto» (Entwurf) o «interpretazione» (Auslegung) di qualcosa in quanto
qualcosa, cioè in quanto rinvia ad altro nella rete di significatività del mondo. In
questo modo l’uomo si prende cura delle cose, degli altri e di se stesso.
Approfondimento
La «cura» è l’essere del Da-sein umano, che insieme alla significatività del mondo ne
segna la «finitezza» o «effettività» (Faktizität) esistenziale, cioè il suo essere ogni volta
assegnato al mondo e dipendente da esso. Il senso della cura, lo «schema concettuale»
per la comprensione dell’essere dell’uomo, è la temporalità del tempo originario; non
il tempo volgarmente inteso come successione di istanti o datazione di eventi, ma
l’unità «estatica» di passato, presente e futuro, che si apre nel progetto, nel modo come
l’uomo ad-viene a se stesso, si precorre, e in tale ék-stasis o trascendenza definisce
anche il passato e il presente, la effettività da trascendere e il momento del «salto»,
della decisione (futuro).
Approfondimento
La temporalità è l’orizzonte in cui si inscrive la questione dell’essere della storia
dell’ontologia. Così il pensiero greco ha compreso l’ente nel suo essere come ousía o
parousía, come «essenza» o «presenza», come essere-presente: a partire, cioè, dal
tempo presente. Ma tale comprensione che domina l’intera tradizione filosofica si è
cristallizzata nel solo grado temporale del presente, oscurando così sia la congiunzione
«essere e tempo» sia la co-originarietà di passato, presente e futuro. L’omissione del
senso temporale e il concetto «volgare» di tempo come successione di istanti, di tempi
presenti, non sono semplicemente errori filosofici. Essi hanno la loro radice più
profonda in un modo di essere difettivo del Da-sein stesso, che ne segna la storia e che
Heidegger intitola «deiezione» (Verfallen).
Approfondimento
Per esso l’uomo cade dal proprio autentico poter-essere-se-stesso nel mondo quotidiano
della pubblica opinione e del si impersonale, caratterizzato dai fenomeni deiettivi della
«chiacchiera» (il si dice o la fama), della «curiosità» e della «ambiguità». L’uomo
comprende allora l’ente come cosa-presente (Vor-handenes) e se stesso come la cosa-Io
(Ichding), soggetto o coscienza isolata e «senza mondo». Al «vortice della deiezione»
Heidegger contrappone la possibilità, per l’esserci, di una esistenza autentica: essa si
fonda sulla decisione con cui l’uomo assume il progetto nel quale si trova gettato come
progetto proprio, uscendo dalla genericità delle opinioni impersonali che dominano la
chiacchiera quotidiana. Alla base dell’esistenza autentica c’è per Heidegger la decisione
anticipatrice della morte: tra tutte le possibilità che si offrono all’esistenza, solo la
morte è ineludibile, costitutiva e perciò autenticamente propria di ciascuno.
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MARTIN HEIDEGGER. IL PASTORE DELL’ESSERE
Approfondimento
Assumere consapevolmente questa possibilità (non, ovviamente, nel senso di
realizzarla morendo) apre l’esistenza a vivere autenticamente anche tutte le altre
possibilità al di qua di essa.
Nel semestre invernale del 1928-1929 Heidegger fece ritorno a Friburgo per tenervi il
proprio insegnamento (mantenuto fino al 1944 e interdettogli dopo la guerra). Ma
Heidegger non tornò in realtà come successore di Husserl. A questo momento risale
anzi il distacco definitivo tra i due, avvenuto, al più tardi, nell’autunno del 1930.
Nonostante la presa di distanze e il ritiro nell’esilio della Foresta Nera, alla fine del
conflitto mondiale Heidegger fu chiamato a pagare per il suo intermezzo politico.
Significativo è l’espediente adottato nel saggio del 1955 Su «La linea» (Über «Die
Linie»), in cui egli scrive la parola tedesca per «essere» con una barratura a croce: Sein,
spiegando che tale barratura allude non solo all’opportunità di cancellare ogni
rappresentazione metafisica dell’essere, ma anche al tentativo di pensare il darsi nella
radura dell’essere di quello che è chiamato l’insieme dei Quattro (Geviert), cioè il
rapporto tra Terra e Cielo, Divini e Mortali (Erde und Himmel, Göttlichen und
Sterblichen), i quattro contrari del mondo.
Geviert
Al contrario, nella tecnica sta la possibilità di un «altro inizio». Se infatti con l’età della
tecnica la metafisica giunge alla propria fine nel compimento e nell’esaurimento delle
sue possibilità, con tale conclusione si apre la possibilità per il pensiero di ascoltare il
richiamo dell’essere e di corrispondervi. Come è detto in conclusione della conferenza
La questione della tecnica (Die Frage der Technik, 1953): «Quanto più ci avviciniamo al
pericolo, tanto più chiaramente cominciano a illuminarsi le vie verso ciò che salva, e
tanto più noi domandiamo. Perché il domandare è la pietà del pensare».
Approfondimento
L’analitica esistenziale di Essere e tempo avrebbe dovuto aprirsi, in una terza sezione
della prima parte che non è mai stata scritta, in un’ontologia generale: dal tema
«Esserci e temporalità» Heidegger avrebbe voluto passare al tema più vasto «Essere e
tempo». Ma questo passaggio non c’è stato e non per motivi occasionali. Nella più volte
citata Lettera sull’«umanismo» si legge che l’incompiutezza di Essere e tempo è dovuta
all’inadeguatezza del linguaggio della metafisica, ancora dominato dal modello della
semplice-presenza, che conduce a identificare l’essere con l’ente, con l’oggetto,
dimenticando la differenza ontologica. Ma dal linguaggio della metafisica non si esce
facilmente: essa è qualcosa di più di un «errore» teoretico: è il «destino» stesso per cui,
nella cultura occidentale (che ha inizio in Grecia), l’essere si rivela nascondendosi (a
questo «gioco» di luce e oscurità Heidegger dà il nome di Lichtung, «radura»).
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MARTIN HEIDEGGER. IL PASTORE DELL’ESSERE
Approfondimento
La «differenza» non è per Heidegger la differenza fra essere ed ente, ma piuttosto il
«differire», da parte dell’essere, la propria manifestazione, rivelandosi (e, insieme,
nascondendosi) nell’ente, in modo di volta in volta diverso nelle varie «epoche» (dal gr.
epoché, «sospensione») della storia della metafisica. Nelle ultime opere di Heidegger (e
soprattutto in La questione del pensiero) si fa strada un’ipotesi diversa: la nozione
antimetafisica di «differenza» non è forse ancora oltre la metafisica, giacché l’essere
viene pensato, in base a essa, pur sempre a partire dall’ente, «per differenza»; l’essere
stesso è forse pensabile solo come arché dimenticata che regge tuttavia la storia della
metafisica. Può allora darsi che il mondo oltre-metafisico si lascerà dietro le spalle la
stessa «differenza» e l’«essere» stesso.
Approfondimento
A ciò sembrano alludere i passi (peraltro oscuri) in cui Heidegger parla dell’essenza
«bifronte» della tecnica moderna, la quale, se da un lato rappresenta la realizzazione
compiuta della metafisica, dall’altro può essere il «preludio dell’Ereignis», e l’Ereignis
(letteralmente «evento», ma il termine ha qui tutta una serie di connotazioni che lo
rendono altrettanto intraducibile, per dichiarazione di Heidegger stesso, del greco
lógos e del cinese tao) è quanto si colloca «oltre» l’essere stesso. A rigore, dell’Ereignis
non si può dire né che «è» (come l’ente), né che «si dà» (come l’essere), ma solo che «si
eventua».
Approfondimento
Se il linguaggio in Essere e tempo era uno strumento inadeguato, la via che Heidegger
adesso percorre non è quella di costruirsi uno strumento linguistico più efficace, ma di
mettere in questione la stessa concezione strumentale del linguaggio. Pertanto, da un
approfondimento della problematica di Essere e tempo sorgono i temi centrali del
«secondo» Heidegger: la storia della metafisica come destino dell’Occidente, l’essenza
della tecnica, la possibilità di un superamento della metafisica come suo compimento
nel mondo contemporaneo, l’essenza del linguaggio. Il compito del pensiero consiste in
quella che già in Essere e tempo egli aveva indicata come la «distruzione della storia
dell’ontologia», dove per «distruzione» (Destruktion, Abbau) si deve intendere un gioco
di «destrutturazione» che, «smantellando» la metafisica e il suo linguaggio, liberi lo
spazio per un pensiero non più metafisico, che superi l’oblio dell’essere.
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Approfondimento
È, così, naturale che gli «esercizi ermeneutici» di Heidegger si rivolgano soprattutto ai
pensatori greci (e in particolare ai presocratici) e a Nietzsche, cioè, rispettivamente,
all’inizio e alla fine della tradizione metafisica. Un altro «interlocutore» essenziale è
Hölderlin: se infatti il linguaggio della metafisica è inadeguato, la poesia è invece il
modello di un linguaggio non oggettivante, non ridotto a semplice strumento
d’informazione. Il linguaggio non è strumento perché coincide con lo stesso essere-nel-
mondo che caratterizza l’esserci. Perciò, non è l’uomo che dispone del linguaggio,
come non è l’uomo che decide se esistere o no: piuttosto, è il linguaggio a disporre
dell’uomo. «L’uomo», dice Heidegger, «parla solo in quanto risponde al linguaggio».
Anzitutto per la pubblicazione dell’intervista Ormai solo un dio ci può salvare (Nur
noch ein Gott kann uns retten), rilasciata da Heidegger nel 1966 al più diffuso
settimanale tedesco, “Der Spiegel”, con la condizione che essa fosse pubblicata dopo la
morte, e nella quale egli intendeva chiarire il suo impegno nazionalsocialista nel 1933
(sul quale in vita aveva sempre mantenuto un assoluto silenzio).
Fotografie varie.
Caricature.
Manoscritti.
Fonti.
E. Berti, F. Volpi, Storia della filosofia. Ottocento e Novecento, Laterza, Rom-Bari 1991;
Enciclopedia Garzanti di Filosofia e Logica, ecc., Garzanti, Milano 1993²;
F. Fédier, Prefazione. Venire a maggiore decenza e Postfazione. Per aprire un dibattito intonato a giustizia a
M. Heidegger, Scritti Politici (1933-1966), Piemme, Casale Monferrato 1998;
S. Tassinari, Storia della filosofia occidentale, 3**, Bulgarini, Firenze 1994;
G. Zaccaria, Presentazione a M. Heidegger, Scritti Politici (1933-1966), cit.
In memoria.
Desidero dedicare il corso di quest’anno a Franco Volpi (1952-2009), vicentino,
storico della filosofia e filosofo dell’Università di Padova, traduttore e/o curatore, oltre
che studioso, in particolare di Schopenhauer, Kant, Heidegger e Schmitt.
Fine.