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Andrea Palladio, 

pseudonimo di Andrea di Pietro della Gondola (Padova, 30


novembre 1508 – Maser, 19 agosto 1580), è stato un architetto, teorico
dell'architettura e scenografo italiano del Rinascimento, cittadino della Repubblica di Venezia.
Influenzato dall'architettura greco-romana, anzitutto da Vitruvio, è considerato una delle personalità più
influenti nella storia dell'architettura occidentale[3].
Fu l'architetto più importante della Repubblica Veneta, nel cui territorio progettò numerose ville che lo
resero famoso[4], oltre a chiese e palazzi, questi ultimi prevalentemente a Vicenza, dove si formò e
visse. Pubblicò il trattato I quattro libri dell'architettura (1570) attraverso il quale i suoi modelli hanno
avuto una profonda influenza sull'architettura occidentale

Teatro olimpico
L'interno del teatro è decorato con novantacinque statue, realizzate in pietra oppure stucco e
rappresentanti i personaggi legati alla fondazione dell'Accademia Olimpica o del teatro stesso[5].
La grandiosa frons scenae d'ordine corinzio è ispirata allo schema degli archi trionfali romani a
tre fornici.[6] La struttura è rinascimentale, di impronta manieristica. Nell'attico della frons scenae in
undici riquadri sono raffigurate le dodici fatiche di Ercole. Al centro, tra due Fame con le trombe, è lo
stadio con la corsa delle bighe, insegna dell'Accademia e ricordo dei Giochi Olimpici, istituiti da Ercole,
protettore del sodalizio vicentino e simbolo dell'uomo che, tramite la virtù, acquista la gloria. Sopra si
legge il motto, di origine virgiliana, Hoc opus, hic labor est. Lo stemma di Vicenza è retto da due
giovanetti.
La cavea ellittica è recinta da una balaustra con statue paludate all'eroica. Nella nicchia centrale sopra
la cavea sta la statua di Leonardo Valmarana, Principe dell'Accademia e promotore della costruzione,
rappresentato con vesti ed insegne imperiali (richiamo diretto alla figura dell'imperatore Carlo V
d'Asburgo)[7].

Villa capra
La costruzione, iniziata nel 1567 circa,[1] consisteva in un edificio quadrato,
completamente simmetrico e inscrivibile in un cerchio perfetto (vedi figura a lato). Descrivere la villa
come "rotonda" è tuttavia tecnicamente inesatto, dato che la pianta dell'edificio non è circolare ma
rappresenta piuttosto l'intersezione di un quadrato con una croce greca. Ognuna delle
quattro facciate era dotata di un avancorpo con una loggia che si poteva raggiungere salendo una
gradinata; ciascuno dei quattro ingressi principali conduceva, attraverso un breve vestibolo o corridoio,
alla sala centrale sormontata da una cupola. L'aula centrale e tutte le altre stanze erano proporzionate
con precisione matematica in base alle regole proprie dell'architettura di Palladio, che egli elaborò nei
suoi Quattro libri.[3] Proprio la sala centrale rotonda è il centro nevralgico della composizione, alla quale
il Palladio allargando verso l'esterno, nei quattro pronai ionici e nelle scalinate. La villa risulta così
un'architettura aperta, che guarda la città e la campagna.
Il progetto riflette gli ideali umanistici dell'architettura del Rinascimento. Per consentire ad ogni stanza
un'analoga esposizione al sole, la pianta fu ruotata di 45 gradi rispetto ai punti cardinali.[1] Ognuna delle
quattro logge presentava un pronao con il frontone ornato di statue di divinità dell'antichità classica.
Ciascuno dei frontoni era sorretto da sei colonne ioniche (esastilo ionico). Ogni loggia era fiancheggiata
da una singola finestra. Tutte le stanze principali erano poste sul piano nobile.
Palazzo te
Costruito tra il 1524 e il 1534 su commissione di Federico II Gonzaga, è l'opera più celebre
dell'architetto italiano Giulio Romano. Il complesso è oggi sede del museo civico e, dal 1990, del Centro
internazionale d'arte e di cultura di Palazzo Te che organizza mostre d'arte antica e moderna e di
architettura.

palazzo è un edificio a pianta quadrata con al centro un grande cortile quadrato anch'esso, un tempo


decorato con un labirinto, con quattro entrate sui quattro lati (Giulio Romano si ispira nell'impianto alla
descrizione vitruviana della casa di abitazione: la domus romana con quattro entrate, ciascuna su uno
dei quattro lati).
Il palazzo ha proporzioni insolite: si presenta come un largo e basso blocco, a un piano solo, la cui
altezza è circa un quarto della larghezza.
Il complesso è simmetrico secondo un asse longitudinale.
Sul lato principale dell'asse (a nord-ovest) l'apertura di ingresso è un vestibolo quadrato, con
quattro colonne che lo dividono in tre navate. La volta della navata centrale è a botte e le due laterali
mostrano un soffitto piano (alla maniera dell'atrium descritto da Vitruvio e che tanto ebbe successo nei
palazzi italiani del Cinquecento), in questo modo assume una conformazione a serliana estrusa.
L'entrata principale (a sud - est) verso la città e il giardino è una loggia, la cosiddetta Loggia Grande,
all'esterno composta da tre grandi arcate su colonne binate a comporre una successione di serliane.
che si specchiano nelle piccole peschiere antistanti. La balconata continua al secondo registro, sulla
parte alta della facciata era in origine una loggia; questo lato del palazzo fu infatti ampiamente
rimaneggiato alla fine del '700, quando fu aggiunto anche il frontone triangolare che sormonta le grandi
serliane centrali.
Le facciate esterne sono su due livelli (registri), uniti da paraste lisce doriche di ordine gigante. Gli
intercolumni variano secondo un ritmo complesso. Tutta la superficie esterna è trattata a bugnato
(comprese le cornici delle finestre e delle porte) più marcato al primo registro:
- Il primo registro bugnato, ha finestre rettangolari incorniciate da conci sporgenti (bugne rustiche).
- Il secondo registro ha un bugnato più liscio e regolare, con finestre quadrate senza cornice
Il cortile interno segue anch'esso un ordine dorico ma qui su colonne (semicolonne) di marmo lasciate
quasi grezze sormontate da una possente trabeazione dorica.
Qui la superficie parietale è trattata con un bugnato rustico non troppo marcato, regolare e omogeneo
senza rilevanti differenze fra primo e secondo registro.
G. Romano ispirandosi a un linguaggio architettonico classico, lo reinterpreta creando un'opera con un
ricco campionario di invenzioni stilistiche, reminiscenze archeologiche, spunti naturali e decorativi, quali
ad esempio:
- colonne giganti doriche inglobate in superfici parietali trattare a blocchi di pietra a superficie rustica
- alcuni conci del triglifo cadenti nel fregio della trabeazione che circonda e corona il cortile quadrato. Lo
si può notare nelle facciate sull'asse longitudinale (ossia nord-ovest e sud-est), al centro di ogni
intercolumnio un triglifo che sembra scivolare verso il basso, come fosse un concio in chiave d'arco; su
questi due lati anche gli intercolumni, come all'esterno, non sono tutti uguali. Questi dettagli spiazzano
l'osservatore e danno una sensazione di non finito all'insieme.
Pare che il palazzo fosse, in origine, dipinto anche in esterno, ma i colori sono scomparsi mentre
rimangono gli affreschi interni eseguiti dallo stesso Giulio Romano e da molti collaboratori. Oltre agli
affreschi le pareti erano arricchite da tendaggi e applicazioni di cuoio dorate e argentate, le porte di
legni intarsiati e bronzi e i caminetti costituiti di nobili marmi.
Vasari

Giudizio universale

quest’opera è un esempio da manuale di come il programma


d’immagini sia stato interamente impostato e articolato da un
teologo (il dotto benedettino Vincenzo Borghini), eseguito da due
artisti (Vasari e Zuccari) e finanziato da un principe (Cosimo I de’
Medici): una sorta di triangolo “trono-altare-pennello”.

I 3600 metri quadrati di superficie del dipinto sono distribuiti negli


otto spicchi verticali della cupola. Ciascuno di questi è individuato
da un numero, dall’orientamento verso i punti cardinali e verso i
diversi ambienti del Duomo. Così, ad esempio, lo spicchio
principale dedicato al Cristo giudice è il numero cinque, con
orientamento a est e alla tribuna del Corpus Domini.
Borghini risolve brillantemente il problema degli otto spicchi,
attribuendo le serie di sette (Doni dello Spirito, Virtù, Beatitudini,
Vizi capitali) ai sette settori e riservando l’ottavo spicchio a Gesù
Cristo e alla corte celeste. Ogni settore comprende tre Seniori
dell’Apocalisse con cetre, gigli e corone; un coro angelico con gli
strumenti della Passione di Gesù; una categoria di santi e di eletti;
una triade personificante un dono dello Spirito santo, una virtù, una
beatitudine, tra due angeli tubicini; una regione infernale con la
punizione di un peccato capitale. Le figure in alto sono collocate in
cielo, su terrazze di nuvole; in basso le figure occupano un
paesaggio terrestre caratterizzato da una pianura indistinta, dove
avviene la risurrezione dei morti, e dagli accessi al sulfureo mondo
infero. Di seguito descriviamo la struttura iconografica degli otto
settori (o spicchi, o angoli) seguendo la “Dichiarazione della
invenzione della pittura della cupola” presentata dal Vasari al
principe Francesco dei Medici.

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