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PRIMA DI NEWTON

I GRECI

Le domande principali che ci dobbiamo porre sono sostanzialmente due. La prima è come Newton
sia arrivato a sintetizzare la sua teoria della gravitazione e la seconda, la più naturale, è se qualcuno
prima di lui ci avesse mai pensato.
La risposta a queste due domande risiede nell'analisi storica del percorso che ha dato a Newton gli
elementi per formulare le sue idee.
La scienza è spesso rottura col passato, soprattutto quando nascono e si sviluppano idee innovative,
ma le rotture si generano spesso dall'analisi delle idee già esistenti.
In particolare l'uomo ha sempre cercato di crearsi un modello della realtà e la matematica gli è
sempre venuta incontro in questo intento. La matematica permette di creare dei modelli che
permettono di fare previsioni sul futuro. Detta in modo meno altisonante, i modelli permettono di
prevedere il verificarsi di un certo fenomeno e le previsioni quantitative devono combaciare con le
osservazioni sperimentali a nostra disposizione.
Quando questo non accade lo scienziato si pone delle domande e cerca di capire se l'errore si trova
nei calcoli fatti o nel modello, se si può ampliare il modello della realtà o se il modello deve essere
sostituito con qualche nuova idea.
Questo è successo a Galileo mentre cercava conferme della legge medievale la quale imponeva che
se un corpo cade lo fa con velocità costante: egli era convinto di questa legge, ma i suoi accurati
esperimenti coi piani inclinati gli diedero torto, così cominciò a prendere in considerazione l'idea
che fosse l'accelerazione ad essere costante e da questo fatto formulò quello che oggi chiamiamo
principio di inerzia, idea la cui paternità gli è riconosciuta proprio da Newton1.
Cominciamo dunque con l'analizzare lo stato del pensiero prima di Newton.
Partiamo dall'origine del pensiero scientifico, ovvero analizzando le idee di alcuni pensatori greci
che hanno influenzato il pensiero medievale.

1 E. Bellone, BEAUTIFUL MINDS. ENRICO BELLONE RACCONTA GALILEO E KEPLERO, Ed La Repubblica –


L'Espresso, Milano 2010
1.1 Le concezioni pro Tolemeo
In età classica (IV-II sec A.C.) molti filosofi contribuirono a formare la visione dell'Universo che
divenne il pensiero dominante nel Medioevo.
Parliamo del loro modello di Universo2, perché la teoria di Newton abbatterà alcune delle barriere
poste dai filosofi greci e perché parlare di una teoria della gravitazione ci costringe anche ad
accennare ad alcuni fatti astronomici.
Cominciamo accennando a Parmenide. Egli sostenne che l'Universo dovesse essere chiuso e
sferico: ricordiamo che tutta la geometria euclidea è dimostrabile usando riga e compasso e che per
varie ragioni, che qui non riportiamo, il cerchio è una delle figure più care ai greci.
Platone e Aristotele rinforzarono questo concetto, parlando di sfere celesti e immaginando un
Universo modellato secondo i solidi platonici in vari “strati” in movimento.
Le cose che ci preme sottolineare sono le seguenti. La Terra è posta al centro dell'Universo, mentre
il sole e tutti gli altri pianeti ruotano attorno ad essa. Per questo motivo il modello di Universo viene
detto geocentrico.
Secondo la Fisica di Aristotele i moti indotti da un motore, come quello che muove le sfere celesti,
sono di tipo uniforme e quindi le velocità delle sfere, ovvero dei pianeti, sono costanti. Questo fatto
costringerà i greci a modificare il modello di Universo introducendo una serie di artifici matematici
di cui parleremo fra poco.
Un'altra cosa importante da sottolineare è che Aristotele, le cui idee permearono tutto il Medioevo,
pose una barriera tra il mondo sublunare e il mondo sopralunare.
Tutti i fenomeni che accadevano sulla Terra e nello spazio tra Terra e Luna erano di natura diversa
da quelli che accadevano oltre la Luna.
Questo fu uno dei muri che Newton riuscì ad abbattere con la sua teoria.
La Sfera delle stelle fisse, quelle che noi vediamo ruotare, ma che dopo un anno sembrano ritornare
nelle stesse posizioni, era vista come immutabile e quindi il modello di Universo potremmo
definirlo, in termini moderni, statico.
La concezione dominante del periodo classico, ovvero quella di Aristotele, viene tramandata al
Medioevo grazie al lavoro di riorganizzazione e scrittura di Tolomeo, vissuto nel periodo
Alessandrino (II a.C.- III d.C.).
L'opera di Tolomeo, Almagesto, grazie all'uso del cerchio, fornisce un modello matematico che
riesce a prevedere le posizioni delle stelle e a dar ragione dei moti osservati di stelle e pianeti allora
conosciuti.
Il modello è tutt'altro che semplice, ma riesce a dar ragione delle misurazioni fatte da Ipparco in età
classica. In particolare il modello di Aristotele non riusciva a spiegare perché alcuni pianeti, in certi

2 Il ramo della moderna fisica che si occupa dei modelli dell'Universo si chiama Cosmologia.
periodi dell'anno, si muovessero in senso inverso rispetto al moto usuale, seguendo delle traiettorie
che alcune volte sembravano addirittura dei cappi (vedi figura seguente).

Tale moto, detto moto retrogrado, viene spiegato dal modello tolemaico immaginando che il moto
dei pianeti sia dato dalla composizione di moti circolari uniformi.

Come mostra la figura il pianeta poteva muoversi su di una circonferenza più piccola, detta
epiciclo, mentre il centro dell'epiciciclo, detto deferente, si muove a sua volta attorno alla Terra.
Le osservazioni, talvolta, richiedevano l'uso di più epicicli, ognuno col suo deferente, per descrivere
il moto di un singolo pianeta e addirittura di vari equanti, ovvero di diverse velocità angolari.
Finiamo questo paragrafo dicendo due cose.
Innanzitutto la forma del cerchio, non solo rispettava i canoni di bellezza e simmetria che tanto
erano cari ai Greci, ma anche forniva la possibilità di fare calcoli pratici per confermare o
aggiustare il modello.
Da ultimo ricordiamo che l'Almagesto, così come tante altre opere matematiche greche, ad esempio
gli Elementi di Euclide, fu tradotto, tramandato e diffuso dagli Arabi ed è grazie a loro se la
maggior parte del patrimonio greco è giunto fino a noi.

1.2 Le concezioni contro Tolomeo


Nel periodo classico non tutti la pensavano come Aristotele e non tutti avevano una visione
geocentrica dell'Universo.
Una posizione interessante da ricordare è quella di Lucrezio, espressa nel “De Rerum Natura”, in
cui Lucrezio afferma che l'Universo non può essere finito. Lucrezio porta delle argomentazioni
interessanti a sostegno di questo, affermando che se l'Universo fosse finito tutte le masse prima o
poi si ritroverebbero concentrate tutte in uno stesso punto.
L'idea è interessante perché ci permette di farci quantomeno tre domande, a cui però risponderemo
analizzando le idee di Newton.
La prima è la seguente: La forza di gravità della Terra sugli oggetti è attrattiva, ma c'è anche una
forza esercitata dagli oggetti sulla Terra? D'altra parte sembra logico aspettarsi che la Terra eserciti
una forza ad esempio sul Sole ma anche che il Sole eserciti una forza sulla Terra. Ed è anche logico
immaginare che tale forza sia attrattiva: d'altra parte non si è mai visto un oggetto cadere verso
l'alto!
La seconda è la seguente: la forza di gravità agisce anche quando due corpi sono lontanissimi?
Lucrezio infatti deve pensare che solo se due corpi sono infinitamente lontani allora la loro forza di
attrazione è zero. Questo in qualche modo dice che Lucrezio era convinto che la forza dovesse
essere inversamente proporzionale alla distanza tra i corpi. Questo non è proprio esatto, ma ne
riparleremo nelle prossime lezioni.
La terza è invece la seguente: qual è l'effetto della forza di attrazione su una massa quando su di
essa agiscono altre masse? La cosa che appare chiara dall'idea di Lucrezio, e che è corretta, è che la
forza deve essere di tipo centrale, ed è per questo che si parla di centro di gravità.
In effetti i greci insegnavano che la Terra è sferica, non che è piatta, e questo avvalora l'idea che la
gravità attiri le cose verso il centro della Terra.
Ma se ci sono più masse, come nel caso dell'Universo, cosa succede? Su questo torneremo più
avanti come promesso.
Aristarco fu uno dei filosofi che pose la questione dell'eliocentrismo. L'idea è quella del moto
relativo: chi si muove rispetto a chi? Anche se non avevano i treni i greci sperimentavano quello
che sperimentiamo noi alla stazione dei treni quando non sappiamo stabilire se siamo noi che ci
stiamo muovendo o se è il treno di fronte a noi che si muove.
Quindi nulla vieta, come effettivamente accade, che sia la Terra a muoversi rispetto al Sole e che
quello che noi osserviamo sia l'effetto di un moto relativo. Aristotele fu il grande delatore di questa
teoria. La critica di Aristotele era acuta. Se allungate un braccio davanti a voi e guardate un dito
prima chiudendo un occhio e poi chiudendo l'altro, supponendo che lo sfondo non sia bianco ma
che la parete abbia degli oggetti di riferimento, si nota che rispetto allo sfondo la posizione del dito
cambia. Questo effetto è detto effetto di parallasse e Aristotele criticò l'approccio eliocentrico
usando questo argomento. Infatti egli sosteneva che se è la Terra a muoversi cambiando il punto di
vista dell'osservatore si dovrebbe notare questo effetto sui corpi celesti più vicini rispetto alle stelle
fisse. Questo effetto non era mai stato osservato, perché effettivamente non è osservabile ad occhio
nudo. L'effeto di parallasse fu osservato e misurato da Bessel solo nel 1838, quindi molto tempo
dopo l'affermazione della stessa teoria di Newton la quale, come vedremo, poneva il Sole al centro
del Sistema Solare.
Tutte le misurazioni e le osservazioni che erano a disposizione dei greci derivavano dal lavoro di
Ipparco il quale fu il primo a creare quello che noi oggi chiameremmo Catalogo Stellare. Plinio,
nel suo “Naturalis Historia” ci racconta di Ipparco e del fatto che egli mise in dubbio che le stelle
fisse fossero in qualche modo immutabili. Ipparco osservò quelle che lui chiamò Stellae Novae,
fenomeni stellari che in linguaggio moderno sono esplosioni di supernove, un possibile stadio
finale della vita delle stelle. Le stellae novae saranno poi osservate anche nel cinquecento, ma
abbiamo notizie di tali osservazioni anche dai cataloghi cinesi. Questi fenomeni ricominciarono ad
essere catalogati in maniera sistematica nel 1718 da Halley, quello che diede il nome alla cometa, il
quale osservò delle supernove nelle costellazioni di Sirio, Arturo e Aldebaran.
Concludiamo questa lezione ribadendo quello che volevamo sottolineare: la concezione Tolemaica
sopravvisse alle critiche dei suoi oppositori perché riusciva a spiegare le osservazioni fatte da
Ipparco, forniva cioè un modello di Universo che era difficilmente attaccabile date le osservazioni a
disposizione dei greci.
In ogni caso, molte caratteristiche della forza di gravità erano state messe in luce anche da coloro
che non sostenevano il geocentrismo tolemaico.
L'influenza di Aristotele e la Chiesa Cattolica contribuirono in buona parte a cristallizzare la
situazione fino al '500, quando il catalogo di Ipparco cominciò ad essere aggiornato.
Con l'avvento di nuove osservazioni e grazie all'uso del cannocchiale si cominciarono a notare delle
incongruenze e il modello di Tolomeo cominciò a scricchiolare.

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