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ROMANICO

Il termine venne riferito per la prima volta all'arte medievale nel


decennio 1810-1820, per indicare una fase storica priva, fino ad allora,
di connotazione critica. Si voleva così individuare uno stile che
precedeva le grandi cattedrali del Duecento e seguiva un periodo oscuro
di architetture nate dopo il crollo dell'Impero romano, considerate
ancora 'barbariche'. L'arco cronologico del R. venne collocato, dopo
molte incertezze, tra la fine del sec. 10° e la prima metà del 12°, mentre
al cinquantennio successivo vennero assegnate connotazioni diverse a
seconda delle regioni europee. Il nuovo impiego del termine esprimeva
già una valutazione del carattere percepito come fondamentale: una
tenue continuità con l'arte di costruire di Roma antica. D'altra parte si
poneva, come primo problema storiografico, la domanda circa le sue
origini. Con radicale differenza rispetto ad altri periodi della storia
dell'arte, il R. non nacque dalla crisi di uno stile precedente. L'orizzonte
in cui si collocò la sua affermazione era certo segnato da una crisi
profonda, ma non originata dall'esaurirsi e dal logoramento di una linea
stilistica. Sono piuttosto le componenti storico-sociali di tale situazione
a risultare decisive: il disfacimento dell'impero carolingio e del suo
effimero sistema di governo, con la conseguente formazione della
società feudale. A tale periodo, che precedette e preparò la comparsa del
R., corrispose una fase critica in cui l'arte del costruire appariva
nell'intera Europa drasticamente ridotta. La nascita del nuovo stile si
configurò quindi, in primo luogo, come un fenomeno di ripresa edilizia
su larga scala. Dal momento che la nozione di R. è frutto della cultura
moderna, non è possibile trovare traccia nelle fonti medievali di una
coscienza di tale stile. Negli anni intorno al Mille però era sensibile la
consapevolezza di disporre di forze rinnovate per la pratica costruttiva, e
di risorse in grado di concepire progetti di grande respiro che soltanto
pochi decenni prima sarebbero stati impensabili. La testimonianza più
chiara a proposito appare senza dubbio quella di Rodolfo il Glabro
(Historiae), da tempo richiamata come atto di nascita del R., che in
modo significativo riguarda soltanto l'architettura. In effetti difficilmente
si potrà sopravvalutare il valore dell'immagine, efficacissima, di una
candidam aecclesiarum vestem che ammantava il mondo intero,
registrata all'anno 1003. È significativo che secondo Rodolfo il Glabro la
ripresa non riguardi soltanto i grandi centri monastici ed episcopali, ma
anche i minora villarum oratoria, le chiese delle campagne: un fatto che
tutti gli studi sull'architettura degli anni intorno al Mille, condotti su
base territoriale, hanno confermato. È questo un dato fondamentale del
R.: fin dalla sua nascita l'architettura non fu un fenomeno di isole
culturali, di centri signorili di committenza (come era stato in buona
parte per la circoscritta rinascenza carolingia), ma una ripresa veramente
generalizzata, che interessò la base come i vertici della società. Tale
ripresa si verificò in un periodo sincronico, privilegiando quelle regioni
che erano state toccate soltanto in un secondo tempo, e talvolta in modo
marginale, dal dominio carolingio, come la Catalogna, l'Italia lombarda,
la Sassonia. Per la sua stessa genesi, dunque, il R. fu un fenomeno
tendente al particolarismo, alla policentricità, seguendo lo sviluppo e il
declino, talvolta rapidissimo, dei suoi centri diffusori. In questo senso la
dialettica tra caratteri costitutivi e innumerevoli varianti, se è
ovviamente propria di ogni stile, assunse ora un aspetto quasi caotico,
che soltanto verso la metà del sec. 12° tese a trovare forme di
omologazione. L'individuazione dei caratteri costanti pertanto è
un'impresa particolarmente ardua, che la storiografia si sforza da tempo
di sintetizzare. Appare chiaro comunque che nel R., per la prima volta,
l'Europa cristiana raggiunse un'unità stilistica effettiva, soprattutto in
rapporto alla frammentazione e al particolarismo che avevano
caratterizzato tutte le manifestazioni artistiche che oggi sono considerate
'preromaniche'. La riscoperta ottocentesca del R. annunciava una nuova
consapevolezza storiografica, giunta a piena maturazione soltanto nel
clima del romanticismo. Tale presa di coscienza fu un evento di grande
importanza nella storia culturale europea, perché portò per la prima volta
in aperta crisi l'idea, nata nell'Italia del Quattrocento, di un'unica
architettura 'gotica', frutto delle invasioni barbariche, protratta come un
caos indifferenziato fino alla riscoperta delle vere regole del costruire.
'Gotico' era un titolo massificante per l'arte di tutto il Medioevo. Era
stato Vasari a imporre la lettura di maggiore successo, nel proemio alla
parte relativa all'architettura delle Vite, accusando quelle fabbriche
"ridicole" di aver funestato a lungo l'Europa, nella perdita di ogni
contatto con i grandi modelli romani (Vasari, Le Vite, II, 1967, p. 22). Il
primo "esser valente in quella età rozza" sarebbe stato Buscheto,
architetto della cattedrale di Pisa, considerato a torto di origine greca
(Vasari, Le Vite, II, 1967, pp. 26-27).La nozione di R. rompeva per la
prima volta questi schemi ideologici rinascimentali e spingeva l'idea di
'Gotico' nell'arte del Duecento, formando una nuova periodizzazione
tuttora in uso. Tentativi di riconoscere accenni di rinascenza nell'arte
occidentale anteriore al Rinascimento in verità erano stati avanzati già
nel sec. 15°, ma destinati per il momento a scarso successo critico.
Soltanto nel Settecento, comunque, nel nuovo clima di illuministica
revisione dei pregiudizi ereditati dalla tradizione, si guadagnavano gli
strumenti per riconoscere l'autonomia di un periodo della storia dell'arte
fino ad allora sostanzialmente ignorato. L'idea di un'arte romanica si
fece strada così anteriormente alla coniazione del termine. Nella Francia
di Luigi XIV sono da registrare i primi tentativi di sondare con maggiore
profondità i secoli centrali del Medioevo. Félibien (1687), nonostante il
modello palesemente vasariano, riservava uno spazio inedito al periodo
che oggi è considerato romanico. Nasceva così la proposta innovativa di
dividere l'età di mezzo in due parti: il gothique moderne, vicino
all'attuale idea del Gotico, e il gothique ancien, che riuniva tutti i secoli
anteriori al 13° e posteriori all'Antichità, ancora indefinibili secondo
periodizzazioni più circoscritte. La distinzione di Félibien venne
condivisa dagli autori più attenti all'età medievale ed è significativo che
sia stata accolta, e ampiamente divulgata, nella voce Gothique redatta
per l'Encyclopédie da Jaucourt (1757). Il quadro era ancora di netta
condanna per le deviazioni del 'Gotico', prive di corretta ragione, ma la
coscienza delle sue articolazioni interne era ormai acquisita. Con intenti
diversi, legati al recupero della storia religiosa di Francia, la neonata
congregazione benedettina dei Maurini riscopriva le grandezze del
monachesimo medievale e stabiliva nella chiesa - romanica - di Saint-
Germain-des-Prés a Parigi il centro di coordinamento delle nuove
ricerche. Mabillon (1681) dava inizio allo studio moderno delle fonti
medievali. Gli antichi chiostri benedettini venivano così riscoperti e
valorizzati, e Montfaucon (1729-1733) varava l'ambizioso programma di
raccogliere e studiare i monumenti della monarchia francese in un'opera
dedicata a Luigi XV. Un primo criterio di classificazione artistica venne
così elaborato sulla base storica delle casate reali che avevano dominato
il paese dei Franchi, dai Merovingi, ai Carolingi, ai Capetingi, fino ai
Borboni. Per inquadrare un periodo ancora oscuro sul piano delle forme,
veniva stabilito un principio definibile di 'identificazione dinastica',
destinato a conservarsi fino a oggi nel lessico artistico soltanto per l'età
merovingia e carolingia. Alle ricerche storiche dei Benedettini dis.
Mauro in Francia corrispondono in Italia quelle di Muratori, che offrì un
contributo importante per l'età romanica (Muratori, 1739, col. 349) in
rapporto ai maestri comacini, che venivano considerati i soli portatori di
uno stile italiano anche nei secoli più oscuri del Medioevo, e collegati,
sulla base di confronti documentari allora ritenuti validi, alla regione del
lago di Como. Iniziava così la grande fortuna di questo mito dell'arte
lombarda, al centro di lunghi dibattiti nel secolo successivo. D'altra parte
Muratori negava con decisione che il Gotico nascesse in rapporto con i
Goti. Più tardi, in un clima ormai decisamente neoclassico, Milizia
(17852) accettava la distinzione di Félibien (1687) e articolava il
Medioevo in architettura 'gotica antica' e 'gotica moderna'. La linea di
demarcazione tra le due età veniva ora fissata al passaggio tra i secc. 10°
e 11°, riconoscendo precise distinzioni stilistiche: la prima architettura
era "mastina e greve", mentre nel periodo successivo nascevano
"fabbriche leggierissime della più sorprendente sveltezza, e d'un ardire
straordinario" (Milizia, 17852, p. 7). Il carattere di pesantezza e di
imponenza del R. divenne ricorrente nella critica successiva.Sul finire
del secolo in Germania le prime formedi cultura romantica aprirono
nuovi orizzonti. Si delineò così la consapevolezza, da parte di autori
diversi, che i popoli germanici al momento del loro stanziamento sulle
ceneri dell'Impero romano fossero stati portatori di nuovi principi
artistici, certamente barbari a confronto con l'arte classica, ma degni di
considerazione perché indici della loro civiltà.L'interesse verso
l'architettura delle popolazioni che al crollo dell'Impero romano avevano
occupato le Isole Britanniche si era da tempo consolidato. In una
monografia sulle antichità di Canterbury, Somner (1640) proponeva di
attribuire ai Sassoni modeste architetture in legno, mentre soltanto i
Normanni avrebbero introdotto, dopo la conquista (1066), l'uso della
pietra. Nel corso del sec. 18° però si diffuse la convinzione che alcuni
edifici del R. maturo, come la cattedrale di Oxford o il duomo di
Winchester, fossero frutto dell'ingegno dei primi costruttori sassoni.
L'ipotesi trovava larghi consensi, tra cui figurava quello, prestigioso,
dell'architetto regio Christopher Wren (1632-1723). Ai conquistatori
normanni si doveva la successiva introduzione di una nuova architettura,
che già anticipava le novità gotiche, caratterizzata dal pointed arc, nata
fuori dall'Inghilterra nel territorio francese (Ledwich, 1786). In epoca
romantica questa tendenza prevalse e si enfatizzò laSaxon Architecture
come un prodotto autentico della civiltà britannica. È significativo che
nel 1810 il medievista John Carter considerasse legittimo parlare di 'stile
sassone' anche per edifici posteriori alla conquista normanna, per la
stessa ragione che consentiva di definire di 'stile greco' la Royal Opera
House di Robert Smirke (1781-1867; Cocke, 1984). Sebbene nato in
Inghilterra, il termine romanesque tardò quindi a imporsi, e la
nomenclatura più seguita fu quella proposta da Rickman (1817), ancora
basata sulla distinzione tra Early English e Norman Style. Una tendenza
analoga si riscontra in Europa, mentre le guerre napoleoniche
accendevano i nazionalismi. Sulla base di una ricorrente metafora etnica
venivano identificate le costruzioni più antiche e attribuite alle
popolazioni germaniche stanziatesi durante le invasioni. L'interesse era
indirizzato a riscoprire i caratteri originari, nazionali, delle architetture:
dei Germani negli stati tedeschi, dei Longobardi in Italia settentrionale,
dei Visigoti in Spagna, degli Anglosassoni in Inghilterra. Negli stessi
anni, Séroux d'Agincourt (1808-1823) raccoglieva il materiale per un
bilancio delle arti nei secolidi mezzo. Per la prima volta si poteva
disporre di una raccolta vastissima di opere e illustrazioni, suddivise per
epoche, dove la quinta corrispondeva a un unico 'sistema gotico', esteso
dall'11° al 15° secolo. I tempi erano ormai maturi per assegnare al
'gotico antico' una connotazione più adeguata. Il moderno concetto di R.
comparve nel decennio 1810-1820, nel contesto di ricerche analoghe e
indipendenti. In Inghilterra il primo a parlare di romanesque architecture
fu William Gunn, mentre in Francia Charles-Alexis-Adrien de Gerville
utilizzò l'espressione architecture romane nel 1818 (Rey, 1988; Waldeier
Bizzarro, 1992, pp. 132-149). La nuova scelta terminologica annunciava
una visione del R. modellata su quella linguistica: trasferita sul piano
delle arti indicava una corruzione dell'età antica, in modo analogo a
quanto era avvenuto nelle parlate romanze, derivate dal latino. Il termine
romanesque era già usato dai glottologi inglesi del sec. 18° per indicare
il dialetto 'romanesco', inteso come latino degradato. Si voleva
identificare così un'arte che, nonostante la sua corruzione, aveva le sue
radici nell'Antichità classica. Gli altri paesi europei adottarono presto il
neologismo, ricalcato sulle diverse lingue.Nella prima metà
dell'Ottocento fu la scuola archeologica francese a offrire il più
importante contributoalle ricerche sullo stile appena codificato. Tale
interesse si affermò certo nel clima romantico ormai diffuso, nel fascino
acceso da François-René de Chateaubriand (1768-1848) e da Victor
Hugo (1802-1885) per un sentimento religioso radicato nel passato
medievale, ma secondo un orientamento che già guardava verso il
positivismo e il rigore scientifico. Il R., ormai promosso nella sua
cittadinanza tra le arti, era un mondo ancora sconosciuto, che doveva
essere analizzato con strumenti adeguati. Il modello più valido di
riferimento sembrava quello offerto dalle scienze della natura, che da
tempo affinavano i propri metodi, trovando nei lavori del naturalista
Carlo Linneo (1707-1778) il più moderno esempio di chiarezza e
coerenza. Con una metodologia derivata dalla classificazione botanica, i
ricercatori tentavano di individuare e distinguere scuole stilistiche nella
grande varietà dei resti romanici. Per superare le infinite particolarità si
poteva contare sul principio aureo di Linneo "varietates laevissimas non
curat botanicus". Nascevano così in Normandia la Société Linéenne, che
contava tra i suoi fondatori Arcisse de Caumont, e nel 1824 la Société
des Antiquaires de l'Ouest, dotata di un periodico prestigioso, la Revue
normande. Nel 1833, a partire da Caen, venivano istituiti
congressiscientifici periodici. Lo studio di Caumont (1824) diffondeva il
termine art roman e portava a maturazione un metodo destinato a
divenire modello di analoghe iniziative editoriali in altri paesi.
L'associazione diede i suoi frutti, stimolando la nascita della Société
Française d'Archéologie, dotata di uno strumento bibliografico come il
Bulletin monumental. Un nuovo strumento per analisi comparative e
dimensionali era offerto dalla litografia, importata in questi anni
dall'Inghilterra e utilizzata con sempre maggiore estensione nelle
pubblicazioni di storia dell'arte.Le ricerche condotte in Normandia nella
prima metà del secolo trovarono un punto di arrivo nell'articolo che
Quicherat (1854) dedicò al concetto di R., sotto l'angolatura non
dell'archeologo ma del linguista e del filologo, uscito dalla prestigiosa
Ecole des Chartes. Sulla base dell'affermato parallelo con l'evoluzione
glottologica, il R. non può essere considerato un semplice
imbarbarimento dell'Antichità, altrimenti anche le lingue romanze non
sarebbero che balbettanti degenerazioni. È in realtà uno stile di
formazione e di passaggio. Si delinea così una definizione che tende
all'equilibrio tra due opposti: l'architettura romanica è quella che ha
cessato di essereromana, sebbene mantenga ancora molto del romano, e
che non è ancora gotica, sebbene abbia già molto di gotico. L'idea
riduttiva del R. come intermédiaire era ormai consacrata, e apriva la
strada alla grande stagione del Gotico - e del Neogotico - pensato come
vero stile nazionale nella Francia del secondo impero.In Italia il termine
R. tardava a imporsi con significato univoco, e alcuni autori
proponevano di parlare di stile 'romantico', inteso come "dialetto romano
degenerato, o lingua romangia, o come per vezzo l'appellano taluni
romantica" (Sacchi, Sacchi, 1828, p. 6). Un certo successo avrebbe
ottenuto a fine secolo la designazione di 'romano-bizantino', caldeggiata
soprattutto da Arborio Mella (1885), che identificava la nascita dello
stile in un incontro tra influssi orientali e tradizione antica. La questione
al centro dei dibattiti in Italia era quella longobarda, che riguardava non
soltanto l'arte, ma il bilancio complessivo di un regno che aveva segnato
profondamente la storia nazionale. Il concorso bandito dall'ateneo di
Brescia nel 1826 chiedeva una valutazione sullo stato delle arti nell'Italia
longobarda (Castelnuovo, 1967): la risposta di D. Sacchi e G. Sacchi
(1828), legata al clima romantico, puntava nella direzione di enfatizzare
la componente simbolica, mentre Cordero di S. Quintino (1829)
risultava vincitore con unsaggio pionieristico che analizzava con metodo
archeologico, vicino alla scuola normanna di Caumont, le architetture
più significative dell'età di mezzo. Come avveniva in Inghilterra nei
confronti dei Sassoni, anche in Italia molti edifici dei sec. 11° e 12°
venivano abitualmente attribuiti all'età dei Longobardi, e spetta a
Cordero di S. Quintino il merito di aver avanzato solidi argomenti per
stabilire che un monumento come S. Michele a Pavia non coincideva
affatto con la costruzione voluta dal re Liutprando (712-744).Da parte
inglese, nel dibattito sempre più vivo sul R. un contributo decisivo
veniva da Hope (1835). La novità interpretativa consisteva ora
nell'attribuire un ruolo determinante alla Lombard Architecture, un
modo di costruire che, nato nell'Italia longobarda dei maestri comacini,
avrebbe conquistato l'intera Europa, diffondendo un'arte nuova basata su
canoni stilistici ricorrenti. Si trattava innanzitutto di elementi strutturali,
identificati nell'arco a tutto sesto, nei sapienti rapporti tra superfici
murarie e articolazioni regolari, nelle soluzioni dei pilastri e delle volte a
crociera, nei sistemi decorativi fantasiosi e grotteschi. L'arte romanica
trovava così nello stile lombardo un valido paradigma di riferimento e
un'origine storica precisa, offrendo alla cultura anglosassone un nuovo
motivo di interesse verso l'Italia, cheraggiunse soltanto nei volumi di
Porter (1915-1917) un coronamento definitivo. Pochi anni dopo le
ricerche di Hope, Burckhardt (1855) proponeva al viaggiatore tedesco
un percorso di Genuss, di godimento dell'arte italiana, attento anche alle
opere medievali. Ciò che più interessava all'accademico di Basilea non
era l'arte come fenomeno estetico, ma come indice di cultura: anche i
secoli 'barbari' potevano offrire monumenti di grande fascino, frutto
della civiltà italiana ai suoi inizi. Vengono così riscoperte le differenze
locali del R., nelle sue articolazioni regionali caratterizzate dal diverso
uso dei materiali edilizi, dalle chiese genovesi, collegate alla tradizione
pisana, alle declinazioni estreme del bizantinismo nelle basiliche delle
Venezie. Il R. italiano si rivelava più ricco rispetto a quello europeo, e
alla Toscana spettava il grande primato, che già guardava verso il
Rinascimento, di aver dato nuova vita all'impianto basilicale. Furono
queste considerazioni di Kulturgeschichte che incisero profondamente
negli sviluppi futuri della critica tedesca, e non soltanto in rapporto
all'Italia.Le indagini sullo stile come prodotto di una cultura
presupponevano naturalmente la riscoperta dei cantieri e dei sistemi
organizzativi delle maestranze medievali. Il contributo più significativo
a tale proposito veniva da Ruskin (1851-1852), che inaugurava una
nuova esaltazione delle corporazioni. Tale rivalutazione, innanzitutto
etica e religiosa, disprezzava apertamente l'avvento dell'arte
rinascimentale, con l'idea individualista dell'artista-genio. L'anonimato
dei maestri medievali non era che l'espressione della collettività del loro
operare. Si apriva così un grande filone di ricerca, che portò alla
scoperta dei segni lapidari e a grandi raccolte delle firme più antiche che
gli architetti romanici avevano lasciato sui loro monumenti (Lefèvre-
Pontalis, 1911; Mély, 1920-1921; du Colombier, 1953; Gimpel, 1958;
Harvey, 1984).Nella seconda metà dell'Ottocento è il tema delle scuole
regionali a guidare le ricerche. Nacquero nell'intera Europa associazioni
votate allo studio delle antichità locali, in genere connesse con le
accademie di scienze e di arti. Iniziò così un grande lavoro di
ricognizione e catalogazione dei beni artistici e architettonici conservati
nel territorio, dove un ruolo primario era assunto dagli stili medievali, in
parallelo con il successo, sempre più diffuso, dei revivals storicisti. Si
apriva anche l'epoca dei grandi interventi di restauro integrativo,
finanziati con impegno crescente da parte degli Stati europei che
identificavano nel patrimoniomedievale un simbolo primario dell'idea di
nazione. I restauri diretti dal giovane Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc
(1814-1879) alla Madeleine a Vézelay, a partire dal 1840, riuscivano
nella sfida di affrontare con criteri storici e mezzi tecnici aggiornati un
monumento-simbolo del R. francese. La nascente scuola strutturalista
segnava in Francia grandi risultati nell'analisi statica degli edifici storici,
necessaria premessa a ogni restauro. Il clima positivista favoriva tale
indirizzo, che alla fine del secolo trovò la migliore espressione nella
storia dell'architettura di Choisy (1899), per il quale il vero fattore di
metamorfosi di ogni stile non era da identificarsi nei caratteri formali,
ma nell'innovazione di soluzioni costruttive, di natura prettamente
strutturale.Si inaugura così una tendenza all'empirismo, particolarmente
nel settore dell'architettura: più che indagare i significati della cattedrale,
importa scoprire perché sta in piedi e comprendere le soluzioni
innovative elaborate dagli architetti. Viene superata la visione
ottocentesca che considerava le innovazioni strutturali frutto esclusivo
del Gotico, e si riscoprono le ricerche in atto sui sistemi voltati già a
partire dall'11° secolo. Nel Novecento la strada venne seguita da diversi
autori, tutti collegati, come punto di partenza, alle analisi di Choisy
(1899), da Porter(1915-1917), a Verzone (1942) fino a Kubach
(1972).L'analisi delle strutture prestava anche un nuovo supporto per
individuare, su solide basi, le scuole regionali del Romanico. Nel 1873
lo stesso Viollet-le-Duc (Eugène Viollet-le-Duc, 1996) aveva proposto
all'Esposizione universale di Vienna una Carte des Monuments
historiques de France che suddivideva l'intero territorio nazionale in aree
stilistiche, dai confini ben determinati. Lo stile che in tutti i paesi
europei meglio si adattava alla classificazione per régions monumentales
era senza dubbio il R., per la sua diffusione capillare nelle campagne e
nei centri minori, ma anche, e soprattutto, per essere quasi privo di
protagonisti noti. L'esiguo numero di nomi dei magistri tramandato dalle
fonti imponeva infatti soluzioni di catalogazione diverse da quelle legate
alle singole personalità artistiche, seguite con successo per altri periodi
della storia dell'arte. Il R. sembrava adattarsi in modo particolarissimo
all'idea di una Kunstgeschichte ohne Namen teorizzata da Heinrich
Wölfflin (1864-1945; Sciolla, 1995). Le principali ricerche condotte tra
Ottocento e Novecento seguivano così senza nuove alternative la traccia
dei percorsi regionali, e a tale modello non rinunciano le indagini
piùrecenti. Anche nel più ricco panorama sul R. europeo concepito dai
Benedettini di La Pierre-qui-Vire per il periodico Zodiaque, incerto tra
rigore scientifico ed esigenze di turismo culturale, si continua a seguire
un programma di edizione ripartito sulle regioni storiche, talvolta
identificate in modo semplicistico con i dipartimenti amministrativi
odierni. Il rischio per una lettura del R. in base al sistema delle scuole
rimane quello di perdere di vista gli scambi sovraregionali e le grandi
correnti di comunicazione dei modelli. È significativo che già Focillon
(1938b) denunciasse l'idea delle scuole come un prodotto, ormai
obsoleto, dell''archeologia dogmatica' ottocentesca.Intanto in Italia
proseguiva il dibattito sui maestri comacini e sullo stile lombardo. Le
ricerche di Boito (1880) contribuivano in modo considerevole alla
riscoperta del Medioevo e all'affermazione di una 'scienza dei
monumenti' che sostituisse le vaghe enfatizzazioni romantiche
(Maderna, 1995; Zucconi, 1997). All'alba dell'unificazione nazionale,
ottenne grande risonanza la proposta di Boito di vedere nello stile
lombardo un punto di riferimento primario per la formazione di una
nuova architettura, autenticamente italiana. Negli stessi anni Clericetti
(1869) contribuiva ad alimentare il mito dei maestri comacini, ma
soprattutto proponeva nuoveletture del rapporto tra arte e società, dove
l'architettura era 'specchio fedele' della storia dei popoli. A lui si devono
idee innovative sul ruolo assunto dalla liturgia per la formazione delle
opere medievali, e per l'arte lombarda un peso determinante si doveva
riconoscere al rito ambrosiano, conseguenza di una lotta per la
supremazia della Chiesa milanese. Si enunciava così il principio
storiografico di porre in relazione il R., nei suoi aspetti regionali, con gli
sviluppi autonomi del culto diocesano, un tema poi riscoperto dalla
critica novecentesca. Spetta però a Cattaneo (1888) il merito di aver
rivoluzionato alla radice le convinzioni tradizionali sull'architettura
italiana, con un volume dedicato ai progressi del costruire dal sec. 6° al
Mille, presto tradotto in diverse lingue. Entrava in crisi l'idea stessa di
un Medioevo nazionale unitario, mentre si riscopriva la continuità con
l'Antico e con il mondo bizantino, nella permanenza degli schemi
basilicali.Il secolo si chiudeva in Italia con il contributo di Merzario
(1893), che dava nuova forza al mito dei maestri comacini,
nell'immaginaria continuità di una 'storia artistica di milleduecento anni',
ininterrotta dai Longobardi al Neoclassicismo. Si può considerare questo
saggio come l'estremo tentativo di mantenere in vita una visione
romantica e appassionata del R., di fronte alle fredde analisi, sempre più
rigorose, della scuola archeologica. E fu, di lì a poco, il bilancio di
Venturi (1902) ad aprire una nuova fase, negando con decisione le
fantasie sulla 'leggenda comacina'. Libera dalle strettoie nazionalistiche,
dal gusto neomedievale e dall'interesse verso sistemi filosofici astratti, la
storia di Venturi offriva per la prima volta una lettura equilibrata del R.
italiano, basata sull'osservazione diretta delle opere, senza distinzione tra
arti maggiori e minori, nel tentativo di comprendere la rete dei contatti
stabiliti con l'Oltralpe. Pochi anni dopo l'allievo Toesca (1912) forniva
gli argomenti per riscoprire le radici dell'arte lombarda. Il suo esame non
era più centrato sulle architetture, come nella storiografia ottocentesca,
ma spostava l'interesse verso le opere figurative, pittoriche e miniate, in
gran parte inedite. Il R. lombardo guadagnava così una nuova portata
storica, superando i confini del costruito.Sul finire del secolo è il grande
sforzo di edizione delle fonti a rappresentare un evento rivoluzionario,
guidato dall'autorità della scuola di Vienna. Schlosser (1896) inaugurava
una svolta nella medievistica, concedendo al R. uno spazio privilegiato.
In Francia i contributi più significativi si collocavano nell'ambito
dell'Ecole des Chartes, e Mortet (1911) pubblicava il primo catalogo
complessivo di fonti documentarie per i secc. 11° e 12°, un lavoro
ancora oggi insostituibile, corredato di ampi commenti in nota e
suddiviso per scansione cronologica. Un programma ancora più vasto
era portato a termine più tardi da Lehmann-Brockhaus (1938) per la
Germania, la Lotaringia e l'Italia, esteso dal regno di Enrico II (1002-
1024) a quello di Federico Barbarossa (1152-1190). L'impresa seguiva
un primo volume, di più ridotta estensione, dedicato al sec. 10°
(Lehmann-Brockhaus, 1935). La scuola era esplicitamente quella di
Albert Ilg e di Julius von Schlosser, ma sullo sfondo si riconosceva il
modello dei prestigiosi Monumenta Germaniae Historica, che
guardavano per l'edizione delle fonti medievali agli estesi confini
dell'impero germanico, non senza un interesse politico-ideologico. Il
lavoro di Lehmann-Brockhaus fu condotto con criteri rigorosi di
classificazione filologica: le 3062 informazioni documentarie sono
suddivise per genere artistico ed elencate in ordine topografico, offrendo
in un volume finale un apparato ricchissimo di repertori. Dopo la
seconda guerra mondiale Lehmann-Brockhaus (1955-1960) completò il
suo impegno di edizione delle fonti artistiche con i volumi dedicati
all'Inghilterra, al Galles e alla Scozia. Al temine di tali imprese, gli
studiosi del R. potevano contare su un ricchissimo repertorio di
Kunstliteratur, sempre aperto a nuove integrazioni, ma che copriva
ormai gran parte del territorio europeo.All'inizio del Novecento entrò
definitivamente in crisi quella visione idealistica degli stili che tanto
aveva condizionato la storiografia del secolo precedente, e si tentarono
nuove codificazioni e nuove linee interpretative. L'interesse tornò sul
tema della nascita del R., ma con un taglio molto diverso da quello
ottocentesco. Il dibattito si polarizzò tra i sostenitori delle origini
orientali oppure nordiche dello stile. Già Corroyer (1888) aveva
proposto di riconoscere nelle chiese siriane dei secc. 6° e 7° una fonte
per l'architettura romanica. Nell'ambito della scuola viennese il dilemma
fu posto con chiarezza da Strzygowski (1901), che presentava
provocatoriamente il R. come l''arte orientale dell'Europa occidentale'.
L'Armenia era la regione che avrebbe fornito le soluzioni costruttive e
decorative più influenti per la nascita del nuovo stile. In Francia seguì
questo filone Baltrušaitis (1931; 1934), puntando addirittura all'arte
assira e sumera per riconoscere le origini dei motivi decorativi applicati
dagli scultori dell'11° e 12° secolo. Le corrispondenze formali
sembravano obbedire a logiche misteriose, indifferenti alle distanze di
tempo e spazio. Studiare gli apparati ornamentali apparentemente privi
di razionalità, le immagini iconografiche ricorrenti, il gusto per la
deformazione e per il grottesco, significava tentare di offrire una
spiegazione alternativa ai significati teologici, sulla base di regole
compositive formali. Il principale limite di tali proposte rimane la
difficoltà di fornire spiegazioni convincenti sui canali di contatto tra
Oriente e Occidente, e gli appelli ai Visigoti, ai pellegrini o alle crociate
hanno offerto, finora, pochi elementi di riscontro chiaramente
documentati. Di grande successo nel periodo tra le due guerre, il tema
degli influssi orientali ha conosciuto una certa stanchezza nella critica
più recente, e le proposte di Strzygowski e Baltrušaitis attendono ancora
di essere riprese e sottoposte a verifica con metodologie nuove.Mentre si
sviluppavano le ricerche sugli esotismi dello stile, il tema delle origini
del R. trovava una nuova sistemazione nella nascita del concetto di
Preromanico (franc. Préroman; ingl. pre-Romanesque; ted.
Vorromanik), delineando contestualmente il problema della prima arte
romanica (franc. premier art roman; ingl. first romanesque; ted.
Frühromanik). Si intendeva così identificare, e pertanto distinguere, le
forme artistiche anteriori al sec. 10° da quelle propriamente originarie
dello stile. Il protagonista di tale indirizzo fu Puig i Cadafalch, un uomo
politico fortemente impegnato nel movimento indipendentista catalano,
vicino nella progettazione al modernismo di Antoni Gaudí (1852-1926).
Ne derivava un forte sentimento di continuità storica, che la critica
troppo spesso non ha preso in adeguata considerazione. Dopo un primo
quadro sul R. catalano (Puig i Cadafalch, de Falguera, Goday i Casals,
1911-1918), Puig i Cadafalch (1930) estendeva le sue indagini nel
tentativo di riconoscere una 'geografia' del primo R., secondo caratteri
omogenei diffusi in una grande fascia dell'Europa centro-meridionale,
comprendente la Catalogna, la Provenza, la Svizzera, la Lorena, il
Belgio, la Renania, le regioni danubiane, la Lombardia, fino al limite
orientale della Dalmazia. L'idea di una fase soltanto preparatoria alla
maturità del Gotico fu definitivamente superata, e la massima
espansione dell'architettura romanica si riconobbe negli anni 950-1050,
condividendo la tesi delle remote origini orientali, nelle regioni della
Mesopotamia, della Siria e della Cappadocia. Il raggio delle ricerche
diveniva così vastissimo, rompendo i confini delle scuole regionali e dei
nazionalismi ottocenteschi. La fotografia, utilizzata in modo sistematico
come elemento di confronto, diveniva ora supporto indispensabile. Con
Puig i Cadafalch si definì meglio il metodo archeologico elaborato dagli
eruditi normanni nel secolo precedente: i monumenti vennero collocati
lungo una serie evolutiva, sulla base di analogie formali e strutturali,
parallela alla serie cronologica di notizie fornite dai documenti; in un
secondo tempo si cercarono le intersezioni tra le due serie e si
stabilirono i capisaldi di riferimento. Al centro si trovava l'indagine
comparativa, mentre era ormai possibile utilizzare un vasto repertorio di
documenti, fornito dai programmi di pubblicazione delle fonti:
l'archeologia si univa alla filologia.Nulla di simile era stato tentato fino
ad allora per comprendere le origini del R. meridionale, a parte gli studi
di Rivoira (1901; 1907) dedicati all'arte lombarda, veri saggi
pionieristici, che introducevano in Italia una seria applicazione del
metodo comparativo. La stessa strada venne seguita da Porter (1915-
1917) nelle ricerche che tracciavano un nuovo quadro, tuttora
ineguagliato, della Lombard Architecture. È significativo che, nella
prefazione all'edizione francese del suo volume sulla prima arte
romanica, Puig i Cadafalch ricordi che lo studioso americano aveva
dichiarato di persona una profonda affinità di metodo, riconosciuta
immediatamente. Nuove basi di confronto erano ormai stabilite, e anche
il Preromanico diveniva oggetto di studi specifici: si registrano, tra
Francia e Germania, le due grandi sintesi di Hubert (1938) e di Lehmann
(1938). Il ruolo dell'Oriente usciva da queste indagini fortemente
ridimensionato: era l'età carolingia a stabilire i modelli più innovativi,
endogeni, per lo sviluppo delle arti, potenziando le componenti
germaniche.Se Puig i Cadafalch e la sua scuola indirizzavano le ricerche
verso l'area mediterranea, nell'Europa settentrionale veniva seguito un
percorso parallelo di riscoperta del R. tedesco. Qui l'epoca aurorale
venne riconosciuta nell'età ottoniana (Jantzen, 1947; Grodecki, 1958),
secondo caratteri che mostrano scarse affinità con i monumenti
contemporanei del Meridione. I contatti con la grande storia divengono
più evidenti e l'idea di uno stile tedesco unitario per il secolo dell'anno
Mille è riflesso nel nome dinastico concordemente applicato a questa
fase, autentica erede dell'età dei Carolingi. Le origini della nuova
architettura, posta come vuole Grodecki (1958) "au seuil de l'art roman",
sono nelle terre del Nord e non in lontani esotismi mediterranei. Mentre
nelle campagne catalane e lombarde, nelle valli del Rodano e della
Saona, vennero riscoperti edifici di piccole dimensioni, scarsamente
documentati e marcati dal tratto distintivo di teorie di archetti e lesene,
al Nord fu l'architettura imperiale della Sassonia a imporre la grandiosità
di una nuova Raumordnung. Si aprì così il problema dei contatti e degli
scambi, in un'epoca in cui l'Italia e la Borgogna entravano nell'orbita
tedesca e divenivano province dell'impero: un filone di ricerca ancora
molto vivo nell'interesse contemporaneo.La scuola italiana entrava a
pieno diritto nei nuovi indirizzi grazie a Verzone, formatosi come
ingegnere, che nella sua opera intendeva recuperare la grande lezione di
Porter e Puig i Cadafalch, ma anche di Cattaneo e di Rivoira, per
riportare l'interesse sul costruito e sulle tecniche comparative. È
sintomatico che il lavoro di Verzone (1942) abbracci lo stesso arco
cronologico di quello considerato nell'opera di Cattaneo (1888), con
l'intento di riprendere e aggiornare quelle ricerche, in base a metodi
nuovi. Condizione a priori era stabilita non tanto nella fotografia quanto
nel rilievo architettonico, attento agli aspetti archeologici, eseguito di
persona dall'autore. Sostanzialmente estraneo alla cultura crociana allora
dominante in Italia, Verzone affinava i suoi metodi in una serie di
indagini condotte sul campo per alcune aree circoscritte, ricche di resti
romanici fino ad allora poco considerati - inizialmente il Novarese e il
Vercellese -condotte con attenzione estrema all'edificio nella sua tecnica
costruttiva e nelle stratificazioni archeologiche. Tornare alla sostanza
strutturale dell'architettura significava il superamento della sua visione
come immagine formale, che negli anni Trenta tendeva a imporsi in
molti autori. L'interesse si concentrava così sui caratteri empirici della
ricerca, recuperando le solide radici della scuola ingegneristica francese,
da Viollet-le-Duc a Choisy.Secondo un indirizzo diverso si colloca il
contributo di Focillon (1931), approdato tardivamente al Medioevo,
aggiornando una formazione rivolta verso altri temi. Lo studioso
guardava ai secoli di mezzo nel quadro di una 'biologia delle forme',
radicata nella cultura filosofico-letteraria francese e nell'eredità di Henri-
Louis Bergson (1859-1941). Attratto dalle esuberanze dell'arte
decorativa dei secc. 11° e 12°, egli elaborava una tesi carica di
conseguenze: la vera novità del R. consisteva per lui in un rapporto
originalissimo instaurato tra l'architettura e la scultura monumentale, un
rapporto basato su un equilibrio dinamico. Al momento del suo apice,
alla metà del sec. 12°, la scultura non si sviliva in ornamento aggiunto,
ma offriva un'arte pensata nella fase di progettazione, in sincronia con
l'edificio, realizzando una exacte convenance monumentale. Con
l'avvento della statuaria gotica tale equilibrio si spezzò. La visione di
Focillon, se pure non totalmente nuova, rappresentava per la lucidità
esplicativa una vera svolta, pur rischiando di lasciare fuori da un
bilancio del R. sviluppi importanti compresi nell'ambito scultoreo, come
l'oreficeria liturgica. D'altra parte le sue ricerche introducevano nell'arte
dei secoli 11° e 12° un metodo di analisi derivato dalla cultura tedesca -
in particolare dalle ultime posizioni di Alois Riegl (1858-1905) - che
interpretava la successione degli stili come un sistema di relazioni
formali, rivolgendo l'attenzione al significante più che al significato.A
questa visione del 'nuovo formalismo' si opponeva una lettura del
sistema dei significati, in chiave di simboli e allegorie di natura
religiosa, che trovava in Mâle (1922) il più autorevole sostenitore. La
forma non era un fenomeno autonomo dalla storia della cultura, ma
l'espressione figurativa di un significato: l'iconografia diventava così il
punto di osservazione privilegiato per comprendere l'essenza spirituale
dell'arte. Leggere tali sistemi di codici significava tracciare una storia
dei rapporti tra le opere figurative e gli sviluppi del pensiero cristiano.
Prosecuzioni più recenti si registrano in altri autori francesi (Davy,
1955; Beaujouan, 1961) e tedeschi nel settore dell'architettura
(Bandmann, 1951). Un filone di ricerche, che risente oggi di un certo
declino, tendeva pertanto a reinterpretare l'arte romanica sullo sfondo
delle grandi correnti teologiche e filosofiche che attraversavano
l'Europa, dando corpo alla nascente scolastica. Sulla medesima linea si
colloca l'idea di Francastel (1942) di riconoscere un 'umanesimo
romanico', che sarebbe alla base della rinascita artistica. In opposizione
alla scuola di Focillon, la comprensione del R. non poteva basarsi su
indagini puramente formali, ma sulla riscoperta - con una certa
enfatizzazione - dei rapporti con la renaissance humaniste guidata da
Cluny e dal movimento di riforma. Il R. guadagnava così il titolo di
umanesimo, portatore anche di valori laici, riconosciuto come una tappa
insostituibile nell'evoluzione dell'arte occidentale.Nel dopoguerra la
bibliografia sul R. poté contare su grandi tentativi di sintesi, condotti con
metodologie che ereditarono ben radicate differenze di orientamenti.
Agli eccessi di letture troppo spirituali reagisce Schapiro (1977),
difendendo nel R. i caratteri di vitalismo e di spontaneità, di fantasia
individuale priva di contenuto religioso. Il risveglio di un sentimento
estetico indipendente dal soggetto rappresentato, anche nell'arte
ecclesiastica, sarebbe alla base della rinascita romanica. Le analisi
puramente iconografiche appaiono devianti perché riducono l'arte a un
codice di simboli. In Francia anche il tema sempre vivo delle scuole
regionali ha trovato nuova forza in alcuni tentativi di sintesi, con i lavori
di Crozet (1962) e di Barral i Altet (Le paysage monumental, 1987), che
ha diretto, sempre su base topografica, un programma di ricognizione
per gli anni intorno al Mille.La cultura anglosassone ha fornito un punto
di riferimento primario con il volume sul R. affidato a Conant (1959).
Molti temi cari alla storiografia britannica tornano qui alla ribalta:
innanzitutto quello delle ripartizioni stilistiche. Conant formalizzò con
metodo una nomenclatura che riconosceva le origini del R. nel mondo
carolingio, sottolineando un processo di continuità storica: si parla così
di carolingian Romanesque, seguito dal pre-Romanesque (che
comprende le architetture irlandesi, anglosassoni e scandinave), e dal
protoRomanesque (riservato alle Asturie, alla Spagna mozarabica,
all'Italia lombarda e agli esarcati bizantini); il R. vero e proprio è poi
suddiviso in first e mature Romanesque. In tale quadro un ruolo
fondamentale fu attribuito a Cluny e alla sua scuola (che Conant aveva
indagato a lungo dirigendo gli scavi archeologici in Borgogna), e ai
percorsi delle vie di pellegrinaggio. Si tratta anche qui di un tema caro
alla storiografia inglese, consacrato dai dieci volumi di Porter (1923)
dedicati alla Romanesque Sculpture of the Pilgrimage Roads.
L'intervento successivo di Kubach (1972) può essere letto in parte come
una critica alle posizioni di Conant. Lo studioso di Colonia, che curò
dopo le devastazioni belliche i restauri di molte cattedrali tedesche,
preferì seguire la via tradizionale del percorso per regioni, innestando
però su questa traccia l'opposizione fondamentale tra chiesa voltata e
chiesa a soffittatura lignea, secondo un duplice binario di
classificazione. Un elemento prettamente tecnico, determinante per la
statica dell'edificio, diviene così il termine guida per tutta la ricerca.
Forti perplessità vennero avanzate contro l'ipotesi di una 'scuola
cluniacense', mentre il ruolo delle vie di pellegrinaggio risultava
drasticamente ridimensionato, sulla base della semplice considerazione
che si conservano chiese romaniche sulla strada per Santiago de
Compostela di aspetto interamente autonomo, e d'altra parte ne esistono
altre, situate in diversi contesti, che richiamano da vicino quella di
Santiago. Per queste teorie si sarebbe di fronte, secondo Kubach, a una
delle 'leggende moderno-romantiche della storia'. Il dibattito a distanza
tradiva orientamenti divergenti nella lettura del R., che si può dire
rimangano vivi nella ricerca e continuino a dare frutti in entrambe le
direzioni.La metafora linguistica da cui era nato il concetto di R. ha
conosciuto nuova fortuna negli ultimi decenni. Mentre nel secolo scorso
l'accento cadeva sul rapporto tra la formazione delle lingue romanze e
l'architettura, ora è la scultura che richiama il parallelo, in particolare
nella visione proposta da Salvini (1956). La plastica romanica sarebbe
nata soltanto nei decenni intorno al 1100, senza continuità con quella
ottoniana o bizantina, ma secondo uno sviluppo regionale che richiama
quello contemporaneo delle lingue romanze, in una "ricca varietà di
dialetti, diversi, ma simili nel loro tratto caratteristico di una lingua di
popolo che va organizzandosi in lingua letteraria" (Salvini, 1956, p. 41).
Il rapporto con i modelli classici sarebbe analogo a quello instaurato tra
le parlate romanze, alla ricerca di dignità letteraria, e la fonte normativa
del latino. Ancora una volta, la linguistica ha fornito una traccia per la
lettura dei fenomeni artistici.Appare chiaro a questo punto che la
nozione di R. è nata nella cultura occidentale in rapporto all'architettura,
e l'arte del costruire rimane tuttora l'ambito primo da cui è necessario
partire per tentare una sintesi dei caratteri stilistici. La pittura murale, la
miniatura e le arti suntuarie sono rimaste - a torto o a ragione -
sostanzialmente periferiche nei tentativi di definire questo stile, e
soltanto la scultura monumentale ha assunto un ruolo rilevante nella
definizione globale del R., ma non prima del termine del sec. 11°,
quando già i nuovi caratteri costruttivi si erano da tempo formati.Negli
ultimi decenni, a partire dalla critica di indirizzo marxista e dal
contributo della Nuovelle histoire di Marc Bloch (1886-1944) e Lucien
Febvre (1878-1956), un nuovo interesse si è sviluppato in rapporto ai
caratteri sociali dell'arte. Per il R. questo ha significato una riscoperta
del panorama storico in cui lo stile è nato, non tanto in rapporto
all'histoire événementielle, alla successione di grandi eventi che da
sempre avevano fornito la base per le letture cronologiche, ma piuttosto
alla struttura sociale in cui si collocavano le imprese costruttive. Ciò ha
consentito di riscoprire il R. come prodotto specifico della società
feudale nel suo momento di massima espansione. Negli ultimi anni le
ricerche si sono rivolte al tentativo di leggere, in maniera più rigorosa
rispetto alle prime enunciazioni generali (Hauser, 1955), il ruolo
determinante della committenza, laica ed ecclesiastica, nella formazione
dei cantieri, e il lento processo di emancipazione delle maestranze e
degli architetti come figure professionali autonome (Duby 1966;
Warnke, 1976; Claussen, 1991; Tosco, 1997).Molto è stato fatto, grazie
agli sviluppi più recenti delle indagini, in rapporto alle singole aree
regionali, con il contributo in forte espansione degli scavi archeologici,
che riservano uno spazio sempre maggiore anche ai secoli posteriori al
Mille. Se la catalogazione e i metodi di datazione hanno compiuto
progressi sostanziali, i grandi temi della storiografia del primo
Novecento appaiono in declino. I conflitti tra formalismo, strutturalismo
e spiritualismo, l'incontro tra Oriente e Occidente, le ipotesi sulle fonti
originarie dello stile, non sono più alla ribalta, e un assennato empirismo
di metodo storico prevale. Ciò di cui si sente il bisogno oggi è di nuovi
tentativi di sintesi dei dati, e tra i più recenti figura quello di Vergnolle
(1994), condotto con metodi coerenti e rigorosi per l'intera Francia. Ma è
la rete di relazioni sovraregionali e soprattutto sovranazionali che deve
essere ripresa, nell'intreccio dei rapporti tra forme artistiche differenti,
sulla base dell'organizzazione dei cantieri. In tale prospettiva, l'idea
stessa di uno stile romanico europeo può essere sempre considerata
un'ipotesi da verificare.

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