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«Studi e ricerche», VIII (2015) 1


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STUDI E RICERCHE

Vol. VIII

2015
«Studi e ricerche», VIII (2015) 3
Direttore scientifico
Francesco Atzeni

Direttore responsabile
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SOMMARIO

TRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA

All’origine dell’infirmidade di Adelasia di Torres,


tra fonti archivistiche e fonti letterarie
MARIANGELA RAPETTI - ANNA LAURA FLORIS 9

Magister Gratia Orlandi phisicus de Castello Castri


al servizio dell’infante Alfonso d’Aragona
BIANCA FADDA 31

L’Expedixió a Sardenya de 1409


MARIA TERESA FERRER I MALLOL 41

Fons antics i moderns relatius a Sardenya a la Biblioteca de Catalunya


ANNA GUDAYOL 85

Le fonti sull’Inquisizione spagnola: i processi a Nicolás Blancafort


MARIANGELA RAPETTI 133

INTERVENTI

Juifs provençaux en Sardaigne dans le Moyen Âge


CECILIA TASCA 159

Dalla Fuci al Movimento dei Laureati.


Organizzazione e consolidamento degli intellettuali cattolici
LUCA LECIS 169

TRA CONTEMPORANEITÀ E INTERDISCIPLINARIETÀ

L’idea di nazione nella propaganda elettorale del


partito conservatore da Churchill a Thatcher
EVA GARAU 183

Progetti musicali conservativi:


il rapporto tra Gavino Gabriel ed Ennio Porrino
LARA SONJA URAS 215
«Studi e ricerche», VIII (2015) 5
RASSEGNE E RECENSIONI

Le nuove frontiere della Chiesa africana negli anni di Paolo VI


LUCA LECIS 231

Les maux de la mine. Malattie e rischi sanitari nella storia mineraria


ELEONORA TODDE 235

Biblioteche di compositori, 2015-2017. Berio, Clementi,


Dallapiccola, Maderna, Malipiero, Nono, Petrassi, Pizzetti, Scelsi
PAOLO DAL MOLIN 247

La Sardegna nel Fondo Diplomatico Alliata di Pisa (1261-1375)


MARIANGELA RAPETTI 249

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TRA MEDIOEVO
ED ETÀ MODERNA

«Studi e ricerche», VIII (2015) 7


8
All’origine dell’infirmidade di Adelasia di Torres,
tra fonti archivistiche e fonti letterarie1
MARIANGELA RAPETTI - ANNA LAURA FLORIS

1. Un obiettivo ambizioso

Adelasia di Torres (1207-1259?) è un personaggio che ha affascinato storici e studio-


si di ogni epoca. La leggenda della regina triste del XIII secolo, «figura che ha saputo
e potuto ergersi a piccolo, malinconico mito anche e proprio per la sua scarsa cono-
scibilità»2, è stata immortalata da Enrico Costa e recentemente riproposta nel ro-
manzo di Grazia Maria Poddighe3.
Figlia del Giudice turritano Mariano, moglie di Ubaldo Visconti prima e di
Enzo di Hohenstaufen poi, Adelasia trascorse gli ultimi anni della sua vita chiusa
nel castello del Goceano, come narra la cronaca sarda medievale conosciuta come
Libellus iudicum turritanorum, affetta da «una infirmidade qui si creiat de morrer»4.
La descrizione dell’anonimo cronista ha destato l’attenzione di chi scrive nell’am-
bito di una rilettura dei documenti medievali sardi volta a individuare le descrizioni di
patologie ascrivibili alla sfera della depressione5. Il caso di Adelasia si è rivelato di
particolare interesse, perché riporta una condizione patologica dai tratti salienti e,
come verrà evidenziato più avanti, descritta in modo relativamente particolareggiato.

1
Il presente saggio, articolato secondo un piano di ricerca comune, è frutto di un’elaborazione differenziata:
le parti 1-3 (pp. 9-20) sono state curate da Mariangela Rapetti, le parti 4-8 (pp. 20-29) sono state curate da
Anna Laura Floris.
2
Dalla prefazione di M.G. Sanna a E. Costa, Adelasia di Torres, nuova edizione a cura di M. G. Sanna,
Ilisso, Nuoro 2008, p. 7.
3
Il romanzo di G.M. Poddighe, L’ultimo inverno di Adelasia, Carlo Delfino, Sassari 2002, dal quale è stata
tratta un’opera teatrale, interpreta la psicologia di Adelasia.
4
A. Sanna (a cura di), Libellus Iudicum Turritanorum, S’Ischiglia, Cagliari 1957, p. 53. Su Adelasia e la sua
famiglia cfr. L.L. Brook - F.C. Casula, Genealogie medievali di Sardegna, Due D Editrice mediterranea,
Cagliari-Sassari 1984, ‘Case indigene del giudicato di Torres’, pp. 195-196.
5
Il progetto di ricerca, finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna ex L. R. 7/2007 (Promozione
della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna), è stato portato avanti dalle due
autrici tra il 2010 e il 2012, sotto la guida delle docenti Cecilia Tasca e Bianca Fadda (Dipartimento di
Storia, Beni culturali e Territorio, Università degli Studi di Cagliari), alle quali chi scrive esprime la
propria gratitudine. Un ringraziamento va anche al prof. Mauro Carta (Dipartimento di Sanità Pubbli-
ca, Medicina Clinica e molecolare, Università degli Studi di Cagliari) per i preziosi suggerimenti e le
indicazioni fornite nei due anni di ricerca. Alcuni risultati sono stati pubblicati in M. Rapetti, A.L.
Floris, La Sardegna medievale come crocevia fra culture: la prospettiva della medicina isolana fra accidia cristiana
e melanconia islamica, in Atti del VI Congresso in Sardegna di Storia della Medicina, Cuec, Cagliari 2014, pp.
57-83, e in M. Rapetti, A.L. Floris, C. Tasca, Entre acédie et mélancolie, pistes «sardes» de réflexion, in
Nouveaux terrains, nouvelles pratiques (II): perspectives internationales, sous la direction de Claude Wacjman
et Olivier Douville, «Psychologie clinique», n.s., n. 38, 2014/2, pp. 168-181. <http://dx.doi.org/
10.1051/psyc/201438168>.

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Scrivere di Adelasia di Torres senza presentare fonti inedite, bensì proponendo
la rilettura di fonti abbondantemente note – tanto archivistiche quanto letterarie –
è, senza ombra di dubbio, un atto temerario. Tuttavia, la recente storiografia ben si
avvale di metodi e strumenti mutuati da altre discipline, così come da diversi anni,
ormai, spinge verso sinergie e integrazioni tra più settori di ricerca6. La lettura della
fonte storica può essere agevolata dal confronto con l’esperto, tanto quanto lo
specialista interessato alla storia della sua disciplina ha talvolta esigenza del suppor-
to dello storico e dell’archivista per poter rendere la sua indagine più efficace.
Attraverso l’integrazione dello studio storico con le competenze in materia di
psicoterapia e salute mentale è stata eseguita, dunque, una rilettura delle fonti in
chiave ‘clinica’, supportata da un’attenta ricerca sull’evoluzione dell’approccio alle
patologie depressive nel contesto culturale del Mediterraneo medievale.
La moderna nosografia della depressione, infatti, richiama più di quanto si pensi
le descrizioni tanto dell’accidia monastica quanto dell’affezione melancolica che,
canonizzata da Ippocrate, Galeno e Avicenna, ha riscosso grande successo nella lette-
ratura medica tardomedievale. La melancolia è un fenomeno variegato e complesso
la cui sfera comprende, accanto all’umore depresso, anche ansia e tristezza, delirio,
paranoia, follia, perdita della ragione, desiderio di solitudine, agitazione, tendenza
al suicidio. Con tale repertorio di comportamento alterato, frutto di cause non
visibili o inaccessibili, dalla prima formulazione in poi ha ricevuto letture diverse e
ispirato approcci differenti: una patologia per la quale era necessario individuare
delle cure, facendo appello ora alla taumaturgia ora alla medicina (soprattutto grazie
ai medici ebrei, veicolo della cultura greca e islamica in ambito mediterraneo)7; tra
i Padri della Chiesa, invece, le descrizioni della melancolia venivano scalzate dall’in-

6
Settori di ricerca specifici e di nicchia, come la storia della medicina e la storia della psichiatria, hanno
recentemente trovato giovamento dalla riflessione condivisa tra i professionisti e gli storici, si pensi ai
congressi di Storia della medicina in Sardegna organizzati dall’Ordine dei medici chirurghi e odonto-
iatri della Provincia di Cagliari e dall’Associazione Clemente Susini. Tuttavia, fino a poco tempo fa,
simili scambi non erano affatto scontati. Scriveva infatti, nel 1991, Patrizia Guarnieri: «In Italia, dove
medici e storici non hanno purtroppo una consuetudine di scambi e anche nel comune interesse per
la storia tendono a ignorarsi, l’esclusiva del campo è stata rivendicata in genere dai medici docenti di
storia della medicina all’università, che hanno sostenuto la insuperabile necessità dell’approccio inter-
no alla medicina (…); in pratica, ritengono più o meno illegittimo l’accesso al campo da parte degli
storici non medici (…). D’altra parte, fra gli storici professionisti non manca la tentazione di liquidare
in nome della loro professionalità il discorso storico che non provenga dalle proprie fila. (…). Lo
storico di mestiere deve certo, di contro all’improvvisazione, far valere la necessità di strumenti metodolo-
gici e conoscenze adeguate al fare ricerca», cfr. P. Guarnieri, La storia della psichiatria. Un secolo di studi in Italia,
L.S. Olschki, Firenze 1991, pp. 10-12.
7
Il fenomeno melancolico, secondo la scuola ippocratica, era caratterizzato da paura e tristezza, inappe-
tenza, insonnia, agitazione e perdita della ragione, ed era originato dalla bile nera. Ippocrate (V-IV sec.
a. C.) lo descrive sia negli Aforismi (VI, XXIII) che nelle Epidemie (III, 16, caso II). Questa descrizione
è stata ripresa più volte, ad esempio, il medico ebreo Sabbetay Donnolo, attivo verso il X secolo
nell’Italia meridionale, associava alla bile nera il pianto, l’ansia e l’insonnia, cfr. G. Lacerenza, Le
sezioni sulla malinconia nella Practica, in Umana, divina malinconia, «Quaderni di studio Indo-Mediterra-
nei» III, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2010, p. 164.

10
dividuazione di un vizio da prevenire (Tristitia o Accidia)8; ancora, vi si individuò un
trasporto mistico verso la divinità, o l’indole naturale dell’uomo di genio, o in altre
circostanze, come per la malattia mentale in generale, venne associata a cause diabo-
liche9. Questi concetti, che si sono diffusi nel Mediterraneo medievale in maniera
disomogenea, hanno rappresentato le chiavi di lettura per la riflessione intrapresa.
Sulla base del patrimonio culturale del XIII secolo, si è azzardata un’interpreta-
zione delle parole usate dall’anomino cronista del Libellus, sono state individuate
nelle fonti su Adelasia quelle che potrebbero essere state le cause scatenanti della
sua infirmidade e, al contempo, si è cercato di comprendere i significati di malattia e
guarigione così come essi si collocavano nell’universo di un cronista medievale.

2. Le fonti

La cronaca turritana fu composta nella seconda metà del XIII secolo, probabilmen-
te da un monaco locale spinto dall’intento di dimostrare che la Chiesa era l’unica
detentrice dei diritti feudali sul Logudoro10. Il manoscritto è stato sicuramente
rimaneggiato in ambito catalano e spagnolo, evidentemente con lo stesso obiettivo
di confermare il dominium eminens del Papato sulla Sardegna, sul quale si fondava la
validità dell’infeudazione di Bonifacio VIII a Giacomo II d’Aragona11.

8
La descrizione di accidia formulata da Giovanni Cassiano (IV-V sec.) riprendeva i sintomi evocati da
Ippocrate e Galeno, parlando di abbattimento e tendenza al suicidio: il monaco sofferente provava avver-
sione, disgusto, confusione mentale. Cassiano illustrava l’accidia in Le istituzioni cenobitiche (libro V, X, 2).
9
Per un interessante excursus sull’evoluzione del concetto di melancolia nel corso dei secoli si rinvia a G.
Minois, Storia del mal di vivere, Dedalo (Collana Storia e civiltà), Bari 2005.
10
Già nel 1202 papa Innocenzo III affermava la sua autorità al giudice Comita, padre di Mariano, al quale
l’Arcivescovo di Pisa aveva estorto un giuramento di fedeltà in funzione antigenovese e contro gli altri giudici
sardi, cfr. D. Scano, Codice diplomatico delle relazioni tra la Santa Sede e la Sardegna, Arti Grafiche B. C. T., Cagliari
[1940-1941] (a seguire CDR), vol. I, p. XIII; ivi, docc. V-VI. La prima notizia relativa alla pretesa sovranità del
papa sull’isola risale all’epoca di Alessandro III (1159-1181) e fu probabilmente una reazione all’infeudazione a
favore del comune di Pisa compiuta nel 1165 da Federico Barbarossa, perché il papa chiese l’intervento
genovese in difesa dei suoi diritti sull’isola. Gli storici hanno spesso dibatutto sull’origine di questa rivendi-
cazione, e per un più approfondito studio dell’argomento rinviamo agli studi di M.G. Sanna, Il Regnum
Sardinie et Corsice, in Sardegna e Corsica: percorsi di storia e di bibliografia comparata, a cura di M. Da Passano, A.
Mattone, F. Pomponi, A. Rovere, Unidata, Sassari 2000, pp. 214-230; Id., L’istituzione del Regnum Sardinie et
Corsice: un problema storiografico, in A.M. Oliva e O. Schena (a cura di), Sardegna Catalana, Institut d’Estudis
Catalans. Presidència, Barcelona 2014, pp. 46-59, e Bonifacio VIII, Giacomo II d’Aragona e la questione del
regnum Sardinie et Corsice, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo», 112, 2010, pp. 503-528.
11
«Un confronto con il condaghe della SS. Trinità di Saccargia, opera rimaneggiata nei primissimi decenni
del ‘600 e a cui il nostro manoscritto fa esplicito riferimento al capitolo terzo (‘segundu aparet in su
gundague’) evidenzia i medesimi caratteri linguistici, quindi una contemporaneità di realizzazione; così
pure la grafia, che è spagnoleggiante e italianeggiante ad un tempo, e l’utilizzazione di determinate parole
per riferimenti politici e geografici conosciuti solo nel Basso Medioevo, come Regnu Sardiña e Cabu de
Logudoro per indicare la zona settentrionale dell’isola». Cfr. A. Orunesu - V. Pusceddu (a cura di), Cronaca
medioevale sarda: i sovrani di Torres, Astra, Quartu Sant’Elena 1993, p. 10. Esisteva nel XVI secolo, a
Madrid, una copia del manoscritto, e gli studiosi concordano sull’esistenza di due distinte tradizioni del
testo. Sulla storia del manoscritto cfr. A. Sanna (a cura di), Libellus cit., pp. 21-25.

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Il libellus fu copiato ai primi del XVIII secolo per essere conservato, insieme ad
altri documenti relativi alla storia della Sardegna, presso l’Archivio di Torino12,
dove è stato ritrovato da Enrico Besta grazie alle annotazioni di Giuseppe Manno13.
Il manoscritto torinese, attribuibile ad un archivista piemontese – perché è evidente
dagli errori che egli non conosceva la lingua del testo – è intitolato Condagues de Sardinia,
e si pensa che si tratti del quaternione iniziale di una più vasta raccolta di copie di atti
pertinenti alla Sardegna e risalente al XVIII secolo. Consiste di dieci carte, con la
decima scritta solo sul recto. Il quarto inferiore destro della decima carta è oggi man-
cante, ma se ne servì nella metà del XVIII secolo Michele Antonio Gazano per com-
porre la sua Storia della Sardegna. Gazano faceva infatti riferimento alla ratifica del
testamento di Adelasia, notizia che cadeva proprio nella parte mancante del codice14.
Il primo a servirsi di questa fonte fu Giovanni Francesco Fara, che nel II libro del
De rebus sardois lo richiamava più volte poiché, diceva, riportava notizie da lui non
conosciute e non trovate altrove15. L’affermazione del Fara rientra a pieno titolo in
quelle che sono le peculiarità delle fonti letterarie, tramandate in maniera casuale e
spesso non confrontabili con altre fonti coeve. Una fonte letteraria è, inoltre, poco
attendibile: la sua veridicità dipende tanto dalla precisione del compilatore, quanto
dall’obiettivo che ne ha portato la redazione.
Tra le informazioni che il Fara non poté verificare altrove, e che non sono mai
state confermate dalla ricerca sulle fonti archivistiche, è certamente l’esistenza del-
l’arcivescovo Aspisio. Già il Gazano sottolineava che Aspisio non figura nella crono-
tassi degli arcivescovi turritani, e che se lo si vuol identificare con Opizzo (testimo-
niato nel 1230-31), le date non corrisponderebbero perché l’arcivescovo Opizzo,
diceva, era già morto nel 1238, e non poteva essere pertanto testimone, come è
asserito nel Libellus, delle azioni di Adelasia16. Ma la cronotassi presenta molte lacu-
ne: le testimonianze documentarie sugli arcivescovi di Torres tra il 1233 e il 1249
non riportano i nomi dei prelati17. Secondo Massimiliano Vidili, autore di un re-
cente studio sugli arcivescovi di Torres, è da confermarsi l’identificazione con Opiz-
zo, che, stando al Libellus, avrebbe incontrato tre volte Adelasia: nel 1238 dopo la
morte del primo marito, poco tempo dopo per convincerla a non sposare Enzo, e
infine poco prima della morte.
12
Archivio di Stato di Torino, Sez. Corte, Paesi – Sardegna – Materie Ecclesiastiche, Cat. III. Abbazie e
Priorati – mazzo I, fasc. 10 Abbazie e Priorati in genere (Manoscritto Storico intitolato Condagues de
Sardinia; O sia Memorie Storiche de’ Giudici, Marchesi, Conti, e Visconti, che si sono segnalati in detto Regno,
e specialmente nel Capo di Logudoro, per donazioni fatte alla Chiesa).
13
E. Besta, Prefazione al Liber Iudicum Turritanorum, The New York, Palermo 1906, p. V; G. Manno, Storia
di Sardegna, vol. I, Alliana e Paravia, Torino 1825, p. 403.
14
M.A. Gazano, La Storia della Sardegna, vol. I, Reale stamperia, Cagliari 1777, pp. 410-413. Sulla genesi
e la diffusione dell’opera del Gazano si veda G. Salice, Circolazione del libro e reti amministrative nello
Stato sabaudo, «Studi e Ricerche», VI, 2013, pp. 73-90, p. 85 ss.
15
G.F. Fara, De Chorographia Sardiniae libri duo, de rebus Sardois libri quatuor, Ex Typographia Regia,
Augustae Taurinorum 1835, p. 224.
16
M.A. Gazano, La Storia della Sardegna cit., vol. I, pp. 410-413.
17
R. Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna, Città Nuova, Roma, 1999, p. 850.

12
D’altra parte, però, l’arcidiocesi di Torres è governata tra il 1249 e il 1252 da Stefano, e di
conseguenza Aspisio non poteva essere presente al terzo incontro con Adelasia riferito dal Libellus
iudicum Turritanorum, mentre non si conosce nessun riscontro per gli altri due incontri18.

L’impossibilità di confermare l’esistenza di Aspisio limita notevolmente l’attendi-


bilità della fonte letteraria. Tuttavia, altri elementi – tanto le fonti storiche quanto la
scelta delle parole operata dal cronista – spingono verso la prosecuzione dell’analisi.
Il Libellus poco si sofferma sugli ultimi avvenimenti del Giudicato di Torres, e le
vicende di Adelasia e del suo entourage devono essere ricostruite attraverso un’atten-
ta lettura dei documenti che la riguardano tanto direttamente, quanto indiretta-
mente. Una preziosissima fonte è rappresentata dalla corrispondenza pontificia, in
gran parte accessibile grazie all’edizione diplomatica di Dionigi Scano19, al Codex
Diplomaticus Sardiniae di Pasquale Tola20, nonché grazie a Les Registres de Gregoire IX
pubblicati da Lucien Auvray21 e alla più recente edizione, curata da Mauro Sanna,
delle lettere di Onorio III alla Sardegna22.
Per gli stretti rapporti intrattenuti dai giudici di Torres con Genova, risultano
fondamentali le edizioni degli atti notarili curate da Vito Vitale23 e Geo Pistarino24,
ma per gli anni precedenti il regno di Adelasia si rivela importante anche l’esame dei
Libri Iurium25 e degli Annales ianuenses del Caffaro e dei suoi continuatori (1100-
1293)26. Infine, si è tenuto conto di altre cronache, come quella di Salimbene di
Parma (1221-1288)27.
Gli studi storici su Adelasia e il Giudicato di Torres sono numerosi, e un confron-
to fra questi è stato importante sia per ricostruire date e avvenimenti a volte discor-
danti, sia per verificare come gli storici hanno interpretato le parole dell’anonimo
cronista, l’unico ad aver lasciato traccia di questa infirmidade. Tra i diversi testi, si ricorda-
no Enzo re di Sardegna di Alessandra Cioppi28 e, più recenti, i saggi di Mauro Sanna29.

18
M. Vidili, La cronotassi documentata degli arcivescovi di Torres cit., p. 111, n. 114.
19
D. Scano, CDR cit.
20
P. Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, t. I-II, regio typographeo: puis apud fratres Bocca, Augustae
Taurinorum 1861-1868 (a seguire CDS).
21
L. Auvray, Les Registres de Gregoire IX, 4 voll., Thorin, Paris 1896-1955.
22
M.G. Sanna, Papato e Sardegna durante il pontifcato di Onorio III (1216-1227), Aonia Edizioni, Raleigh 2012.
23
V. Vitale, Documenti sul castello di Bonifacio nel secolo XIII, R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria,
Genova, 1936.
24
G. Pistarino (a cura di), Le carte portoveneresi di Tealdo de Sigesto: 1258-59, Società Ligure di Storia Patria,
Genova 1958.
25
D. Puncuh (a cura di), I Libri iurium della Repubblica di Genova I. 2, Pubblicazioni degli Archivi di Stato
(Collana Fonti, XXIII), Roma 1996.
26
C. Imperiale, Annali Genovesi di Caffaro, Tip. del Senato, Roma 1923.
27
Salimbene da Parma, Cronica, a cura di F. Bernini, 2 v. G. Laterza e Figli, Bari 1942.
28
A. Cioppi, Enzo re di Sardegna, Carlo Delfino, Sassari 1995.
29
M.G. Sanna, Prefazione a E. Costa, Adelasia di Torres cit.; Id., Enzo Rex Sardiniae, in Bologna, re Enzo e
il suo mito, Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna (Collana Documenti e Studi, 30),
Bologna 2001, pp. 201-212; cfr. anche Id., La cronotassi dei Giudici di Torres, in La civiltà giudicale in
Sardegna nei secoli XI-XIII. Fonti e documenti scritti a cura dell’Associazione «Condaghe S. Pietro in Silki»,
Sassari 2002, pp. 97-113.

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3. Vicissitudini e tormenti di Adelasia

Mariano II de Lacon-Gunale divenne giudice di Torres nel 1218. Sposatosi ai princi-


pi del XIII secolo con Agnese di Massa, sorella di Benedetta di Cagliari, ebbe da lei
tre figli: Adelasia, Benedetta e Barisone30. Una quarta figlia, Preziosa, nacque da
un’anonima concubina e fu legittimata una volta adulta. In un’epoca di forti con-
trasti tra le città di Pisa e Genova per il controllo dei mercati, il giudice era legato
alla famiglia Doria da vincoli di parentela, ed era alleato dei Genovesi31.
Tra il 1215 e il 1217 i fratelli Lamberto e Ubaldo Visconti si impossessarono del
Giudicato di Cagliari a spese di Benedetta di Massa e invasero la Gallura, dove parte del
territorio era da tempo controllato dai giudici di Torres32. Mariano II, con il placet di
papa Onorio III (1216-1227), mosse guerra ai Pisani. Ne fu sconfitto, e dovette sottosta-
re alle condizioni di pace siglate con il trattato di Noracalbo del 18 settembre 1219: il
Giudicato gallurese rientrava, così, completamente nelle mani di Lamberto Visconti.
Quest’ultimo era rimasto vedovo di Elena de Lacon, erede gallurese. Secondo quanto
stabilito dagli accordi di pace, il loro figlio Ubaldo sposò la figlia di Mariano, Adelasia33.
Sappiamo di queste nozze dal primo documento che menziona la donnikella,
all’epoca ancora minorenne: Onorio III, ritenendo l’unione ingiuriosa per la Santa
Sede, con lettera del 9 aprile 1220 incaricò il suo cappellano e legato in Sardegna,
Bartolomeo, di impedire il trasferimento di Adelasia in Gallura o di annullare il
matrimonio, contrastando in ogni modo i Visconti34. L’azione di Onorio III fu
inutile e il matrimonio fra Adelasia e Ubaldo non fu annullato. Un prezzo politico,
certo, che però non significò la piena sottomissione del Giudicato alla città di Pisa,
e Mariano non cessò i suoi rapporti con Genova35.

30
«E tregende su dictu Juigue Mariane cun sa dicta mugere sua donna Agnesa, fetin tres figios: sa prima
fuit domicella Alasia, sa quale apisit pro mugere Juigue Baldu de Gallura, fradile de Juigue Juan
Bisconte de Pisas; sa atera suit domicella Beneita, qui istetit mugere de su Conte de Ampurias in
Cadalungia, sa quale no lassait herede perunu; sa ateru fuit domicellu Barisone, su quale isteit Juigue
a pustis sa morte de su babu (…)». Cfr. A. Sanna (a cura di), Libellus cit., p. 52.
31
I Libri iurium della Repubblica di Genova riportano che Costantino II di Torres, prozio di Adelasia, aveva
stipulato un trattato di alleanza con la città già nel 1191, di fatto assoggettando il Giudicato agli interessi
politici ed economici di questa: cfr. D. Puncuh (a cura di), I Libri iurium della Repubblica di Genova cit., vol.
I. 2, doc. 409, p. 377. Si veda anche G.G. Ortu, La Sardegna dei giudici, Il Maestrale, Nuoro 1995, p. 128.
32
Cfr. CDS, vol. I, sec. XIII, doc. XXXV. Non si sa ancora da quanto tempo e per quale motivo i giudici
turritani avessero il controllo di queste terre, si veda M.G. Sanna, La Gallura in epoca medievale: 1.
Storia politico-istituzionale della Gallura medievale, in S. Brandanu (a cura di), La Gallura, una regione
diversa in Sardegna: cultura e civiltà del popolo gallurese, Icimar, San Teodoro 2001, pp. 111-118.
33
Cfr. CDS, vol. I, sec. XIII, doc. XLII. Onorio III fece una richiesta d’aiuto ai milanesi il 10 novembre
1218 ma non abbiamo alcuna prova di un effettivo intervento. Il trattato di pace di Noracalbo è edito
in T. Casini, Scritti danteschi, Città di Castello 1913, doc. I, pp. 124-126.
34
Cfr. CDR, vol. I, sec. XIII, docc. LXXI-LXXII (Archivio Segreto Vaticano (a seguire ASV), Reg.
Onorio III vol. 10, cc. 168v-169).
35
C. Imperiale, Annali Genovesi di Caffaro cit., III, p. 44. Nel settembre 1224 Mariano promette a Pietro
Doria, legato del Comune di Genova, di osservare la convenzione già fatta con lo stesso Comune: cfr.
CDS, vol. I, sec. XII, doc. CXXXVI; sec. XIII, docc. XLIV, XXXI.

14
Quando il giudice morì, suo figlio ed erede Barisone aveva appena 10 anni, e fu
affiancato nell’amministrazione del Giudicato dallo zio Orzocco. Nel 1233 fu rin-
novata la convenzione con Genova, già sottoscritta dal padre e dal nonno, conce-
dendo notevole libertà ai mercanti genovesi a discapito della parte pisana e creando
notevoli malcontenti che furono, negli anni, accentuati dall’imposizione di nuovi
tributi. Sappiamo dalle fonti che queste nuove gabelle, contrariamente alla prassi,
andarono a gravare anche sugli ecclesiastici.
Gli scontri che derivarono dal malcontento furono fatali per il giovane Barisone.
Il tragico evento portò Adelasia e Ubaldo, già giudice di Gallura dopo la morte di
suo padre Lamberto, sul trono di Torres: era il principio del 1235. Mariano aveva
disposto che, qualora Barisone fosse morto senza eredi, gli uomini del regno avreb-
bero dovuto scegliere come sovrana Adelasia o sua sorella Benedetta, e la scelta
cadde sulla prima. Gregorio IX prese atto del giuramento di fedeltà dei sudditi e
confermò Adelasia regina di Torres36.
Dalle lettere del papa apprendiamo che furono alcuni notabili logudoresi a ca-
peggiare la ribellione «adversus quondam Parasonum [fratrem tuum] dominum eo-
rum». Questo dato, così come il fatto che Adelasia e Ubaldo non furono graditi ai
cittadini sassaresi, non è presente nel Libellus37. È evidente che, nonostante la presa
di posizione di Onorio III al momento delle nozze, la ragion di stato aveva riavvici-
nato la Santa Sede di Gregorio IX ai giudici turritani:
Nos igitur tuis precibus inclinati, quod ab eodem Parasonio super hiis provide factum et ratum
habentes, auctoritate apostolica confirmamus, et presentis scripti patrocinio communimus38.

I giudici, evocando il ruolo del papa come signore di Torres già riconosciuto dai
loro predecessori, si rivolsero a Gregorio IX per avere aiuto contro i sassaresi: il
potere della giudicessa è confermato dal papa, e i coniugi sono dispensati dagli
obblighi loro estorti dai cittadini di Sassari39.
Adelasia, in veste di Regina Turritana e Gallurensis, donava irrevocabilmente tutte
le sue proprietà alla Chiesa di Roma, mantenendone il governo in nome di questa
e disponendo che, in caso di sua morte senza eredi, tutto rientrasse alla Chiesa. Con
atti di poco successivi, la donazione veniva confermata con il consenso di suo mari-
to Ubaldo, e Adelasia prestava il giuramento di fedeltà e vassallaggio nelle mani del
legato pontificio Alessandro.

36
Morto Barisone, il Consiglio dei Prelados e Lieros del Logudoro scelse Adelasia, sposa del giudice di
Gallura, a discapito di Benedetta mugere de su Conte de Ampurias in Cadalungia: cfr. A. Sanna (a cura di),
Libellus cit., p. 52 e CDR, vol. I, sec. XIII, doc. CXIX.
37
Ubaldo e Adelasia cercarono di prendere possesso di Sassari elargendo larghe promesse ai cittadini
genovesi che avevano, invece, cercato di respingerli. Gregorio IX, in una lettera dell’11 ottobre 1236,
accoglie la supplica di Adelasia esentando i giudici dall’attuazione delle promesse, cfr. CDR, vol. I, sec.
XIII, doc. CXX.
38
Cfr. CDR, vol. I, sec. XIII, doc. CXXII.
39
L. Auvray, Les Registres de Gregoire IX cit., nn. 3349, 3350, 3352, 3355.

«Studi e ricerche», VIII (2015) 15


Ubaldo, nel confermare quanto dichiarato dalla consorte, dichiarava di guidare
il Giudicato turritano in nome della Chiesa, prestando a sua volta giuramento di
fedeltà, ma rifiutando di prestare giuramento per il Giudicato di Gallura, poiché già
lo aveva fatto nei confronti del Comune di Pisa e, senza un proscioglimento di
questo precedente atto da parte del Pontefice, avrebbe rischiato lo spergiuro40.
Scrive Mauro Sanna su Adelasia:
Il suo matrimonio con Ubaldo Visconti non era dovuto ad un amore romantico, concetto,
questo, tutto moderno, o addirittura contemporaneo. Però i due regnanti si sostenevano l’un
l’altro, e se Ubaldo non avrebbe mai potuto regnare su Torres senza il suo legame con Adelasia,
è altrettanto vero che ella aveva bisogno di un marito capace per reggersi sul trono. Fu perciò un
duro colpo per lei la morte di Ubaldo nel 123841.

Ubaldo morì poco dopo aver fatto testamento «et lassait sa dicta donna Alasia
pro donna de Logudoro». Non avendo discendenti diretti, dispose che il regno di
Gallura passasse a suo cugino Giovanni, figlio dello zio Ubaldo, il quale pronta-
mente occupò il Giudicato con le sue truppe, ostacolando così le intenzioni del
papa di sottomettere anche la Gallura tramite Adelasia42.
Tra aprile e maggio, Gregorio IX scrisse alcune lettere consolatorie ad Adelasia,
invitandola a convolare presto a nuove nozze, poiché la vedovanza non si addiceva al
suo ruolo: la tranquillità della regina e del territorio da lei amministrato sarebbero
state garantite solo con un nuovo matrimonio. Nelle intenzioni del papa che spera-
va, dice il Tola, «di stabilire per sempre i diritti che i papi pretendevano al Regno di
Torres, e a tutta la Sardegna», il nuovo marito di Adelasia doveva essere a lui gradito,
e infatti lo individuò presto in Guelfo di Porcari, toscano, discendente di una fami-
glia devota al pontefice43.

40
Il Tola e il Casula datano questi atti, editi dal Muratori nelle Antiquitatae Italicae, nel mese di marzo,
rispettivamente il 3 e il 29, fatta eccezione per il giuramento congiunto, che secondo il Casula è del
3 marzo 1327. Lo Scano riporta i regesti dei due documenti riconoscimento del feudo papale indican-
do il 3 marzo 1236 per quello di Ubaldo e il 29 marzo 1236 per quello di Adelasia, che si trovano
rispettivamente ai ff. 252v e 253 di uno stesso volume della cancelleria pontificia. Ma sempre lo Scano
osserva che la data del 3 marzo lascia qualche dubbio poiché altri atti testimoniano che il cappellano
Alessandro, che compare in questo documento, fu nominato legato solo alla fine dell’anno, e l’ipotesi
è plausibile visti anche altri documenti simili datati 1237, tra i quali si dona alla S. Sede il castello di
Monte Acuto; cfr. CDS, vol. I, sec. XIII, docc. LVII-LXI (dei quali il LX si trova regestato in CDR, vol.
I, doc. CXVI, e ivi, doc. CXVII); CDS, vol. I, sec. XIII, docc. LXIII, LXX, LXXII-LXXIV, LXXVI. Il
Tola li estrae da L.A. Muratori, Antiquitatae Italicae, Tomus sextus, Dissertatio LXXI, Ex Typographia
Societatis Palatinae, Mediolani 1742. Vedi anche F.C. Casula, Aggiornamento e note storico-diplomatisti-
che al ‘Codex Diplomaticus Sardiniae’. Rettificazioni cronologiche, in P. Tola, Codice Diplomatico della Sarde-
gna, tomo I, p.I, rist., Carlo Delfino editore, Sassari 1984, pp. XXXI-XXXVI.
41
M.G. Sanna, Prefazione a E. Costa, Adelasia di Torres cit.
42
Il testamento, rogato a Silki il 27 gennaio 1238, è conservato nel fondo Baille della Biblioteca
Universitaria di Cagliari. Cfr. CDR, vol. I, doc. CXLI (29 aprile 1238).
43
P. Tola, Adelasia, in Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna: ossia, Storia della vita pubblica e
privata di tutti i Sardi che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtu’ e delitti, Tip. Chirio e Mina, Torino
1838, vol. I, p. 55.

16
Il papa comunicava inoltre ad Adelasia che un rifiuto avrebbe comportato la
scomunica e la perdita del Giudicato. L’azione del papa non fu abbastanza rapida e
decisiva, perché i Doria, parenti di Adelasia, nutriti da interesse filoimperiale, si
opposero al matrimonio con Guelfo e combinarono le nozze con Enzo di Hohen-
staufen, figlio di Federico II. Evidentemente ancora miravano ai diritti sul Giudica-
to e ritenevano utile alla loro causa un accordo con l’imperatore, non solo nella
sfera sarda ma in un più ampio raggio politico ed economico.
Narra il Libellus
Restende battia sa dicta donna Alasia […] passait su Archiepiscopu de Turres, clamadu donnu
Aspisiu, genoesu, et totu sos Perlados et Lieros de Logudoro et Juigue de Arvore, Juigue Pedru,
decretaint de coiuari a sa dicta Juiguisa donna Alasia cun sardu bonu de Sardinnia o cun qualqui
grande Señore de terra manna, qui manteneret su istadu de Logudoro. In custu mesu, istende in
unu pensamentu, ordinain sos de Oria, ziò est Manuele, Federicu et Principale, de goiarella cun
su figiu de su Imperadore. Fuit in Lombardia: mandait imbaxadores a sa dicta donna Alasia
narande qui li queriat dare su figiu, clamadu Entio, a maridu, pro qui haviat voluntade de
conquistare tota sa Sardinna44.

I fatti sono parzialmente confermati da alcuni documenti: il papa chiedeva l’aiu-


to di Pietro, giudice di Arborea, per sostenere Guelfo e proteggere Adelasia, inve-
stendo di questa responsabilità anche il cappellano Rolando, in quel momento
legato della Sede Apostolica45. Nonostante le resistenze papali – Gregorio IX arrivò
ad ordinare a Pietro di rinchiuderla nel castello del Goceano – Adelasia accettò il
matrimonio con il giovane Enzo. L’interpretazione successiva vuole che la donna
fosse tanto attratta dalle descrizioni sul suo pretendente, quanto ambiziosa di entra-
re nel casato degli Hohenstaufen: «li plaquit de modu qui consentisit de faguer su
dictu matrimoniu»46.
Nell’ottobre del 1238 Enzo si recò in Sardegna e sposò Adelasia. Divenuto giu-
dice, restò sull’isola solo per pochi mesi. Il titolo di rex Sardiniae, puramente teori-
co, era stato formulato da Federico II affinché Enzo potesse ribadire l’autorità del-
l’Impero sul mondo cristiano47. Egli in realtà assunse la dignità regale e il titolo di
giudice di Torres, ma si fregiò anche del titolo di giudice gallurese, senza ottenere il
riconoscimento dalla Corona de Logu, che aveva seguito le disposizioni di Ubaldo e
aveva conferito il titolo a Giovanni Visconti.

44
A. Sanna (a cura di), Libellus cit., p. 53.
45
Cfr. CDR, vol. I, docc. CXLI, CXLII, CXLIII, CXLIV, CXLVI, CXLVII.
46
A. Sanna (a cura di), Libellus cit., p. 53. Descritto dal cronista Salimbene di Parma (1221-1288) come
un «giovane valente, di gran cuore e di umor gaio e sollazzevole, [che] aveva mente sveglia e fantasiosa.
Le donne sospiravano per lui, il padre suo lo prediligeva, e Enzo si dimostrò sempre perfetto, primeg-
giando per il tratto signorile e cortese». Coraggioso ed ardito: un condottiero nato, ma incline all’arte,
colto e raffinato.
47
Gli atti relativi ad Enzo lo menzionano più come rex Turritanus et Gallurensis che come rex Sardiniae. Anche
il sigillo regio, descritto in un documento degli anni di prigionia conservato presso l’Archivio di Stato di
Genova, riporta la dicitura regis Turris et Gallurii. Federico II e Manfredi di Sicilia invece si rivolgono a lui
come rex Sardiniae. Cfr. A. Cioppi, Enzo re di Sardegna cit., pp. 36-38.

«Studi e ricerche», VIII (2015) 17


Enzo svolse tutte le funzioni connesse al ruolo di re di Torres, dimorò a Sassari,
e relegò Adelasia al ruolo di semplice giudicessa consorte anche quando, abbando-
nata la Sardegna, nominò dei vicari che lo sostituirono assumendo, talvolta, la
qualifica di giudici di fatto48.
In un certo modo, questo matrimonio ha inserito Adelasia nella storia d’Euro-
pa. Come moglie di Enzo è, alla volta, citata, raccontata, romanzata: «è una fama di
riflesso, come di riflesso ci appare tutta la vita di Adelasia»49. I primi a menzionarla
sono i commentatori di Dante, nel celebre passo sul barattiere sassarese Zanche, ma
nella maggior parte dei casi le informazioni son del tutto sbagliate, e comunque
limitate agli aneddoti. Spesso, anche in pubblicazioni recenti, Adelasia è definita
«regina di Sardegna» in quanto consorte del re di Sardegna, oppure, come nel caso
di Walter Ullmann, è detta «erede al trono di Sardegna»50.
Dopo le nozze Adelasia fissò la sua dimora nel castello del Goceano, impoverita
e delusa da un matrimonio storicamente immortalato come sbagliato:
Fatu su matrimoniu, a contu d’esser donna istetit serva, qui mai pius appasit bene. Et istande in
su casteddu de Gosiano, ispogiada de dogni bene sou et penitendesi de su qui haviat fattu, isteit
comente qui esseret in prexone. Se li afferrait una infirmidade qui se creiat de morrer; mandait
a chiamare su prehigadore, clamadu frade Pedru de Ardari et a frade Seraphinu e si confessait cun
issos, et fata sa confessione, fetit venner su notariu (…)51.

L’abbandono rapido del consorte non fu certo l’unica causa dello stato d’animo
tanto romanzato della nostra Adelasia: con il matrimonio la giudicessa si era messa
contro il papa in persona, e presumibilmente il cronista nel citare la infirmidade
mirava a dimostrare proprio il fatto che Adelasia stesse male perché aveva agito in
disprezzo della fedeltà giurata al papa.
Il 20 marzo 1239 il pontefice aveva scomunicato l’imperatore Federico II per
essersi attribuito la Sardegna e per averla nominalmente ceduta al figlio Enzo, nono-
stante circa venti anni prima ne avesse riconosciuto il dominium eminens a papa Ono-
rio III, promettendo di servirlo nella difesa delle isole. Successivamente, il legato
pontificio Orlando scomunicò i coniugi, come testimonia una lettera di papa Inno-
cenzo IV del 23 ottobre 124352.

48
Il primo fu Calcerario, ricordato in un atto del notaio Tealdo, e nel 1241 fu la volta di Riccardo
Manospello. Nel CDS è menzionato il vicario Corrado Trinchis (di Trinchi). Un documento del
1254, conservato a Marsiglia, menziona il vicario Giovanni di Sorrente, mentre fonti successive
indicano Ugolino della Gherardesca. La leggenda riporta fra i vicari anche Michele Zanche, perso-
naggio immortalato da Dante, le cui informazioni si ricavano solo dai commenti alla Commedia.
J.L.A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici II, Excudebat Henricus Plon, Parsiis 1852-
1861, vol. V, p. 946.
49
M.G. Sanna, Prefazione a E. Costa, Adelasia di Torres cit., p. 29.
50
W. Ullmann, Il papato nel Medioevo, Laterza, Roma 1999, p. 262: «l’imperatore seguì l’esempio del
nonno», ovvero il Barbarossa che fece sposare Enrico VI con Costanza di Altavilla, erede di Sicilia.
Sappiamo bene che i risultati non furono altrettanto gloriosi.
51
A. Sanna (a cura di), Libellus cit., p. 53.
52
CDR, vol. I, doc. CLI.

18
«Ispogiada de dogni bene sou»: senza più il suo regno, scomunicata dal papa,
abbandonata dal marito, e forse povera. La perdita economica subita da Adelasia è
testimoniata da due atti notarili53. Povera e sola, Adelasia si stava sottomettendo di
nuovo alla Chiesa. Nel 1243 il papa delegò il priore del monastero di S. Maria di
Budelli e l’arcivescovo di Oristano di assolverla e riaccoglierla in seno alla Chiesa,
insieme ad altri partigiani di Enzo ravvedutisi54.
Nel 1244, la donnikella donò la villa di Saruke (Gallura) ai benedettini di Santa
Maria di Budelli, che l’assistevano55. I monaci inviarono a Roma il confratello Do-
nato per patrocinare la causa di Adelasia, e il denaro necessario al viaggio fu chiesto
in prestito al notaio Tealdo, scriba communis del Castello di Bonifacio:
(…) da donna Adelasia regina turritana 51 libre e 8 soldi genovini che ella ancora mi deve per una
somma da me prestatale e con la quale pagai: 10 libre a Giacomo di Portovenere per aver condotto
a Roma il frate Donato (...); 15 libre a tutta la servitù, 7 libre e 8 soldi [per altre spese], 10 libre
per un cavallo per Gando e 6 libre per l’affrancamento del suo servitore Bonifacio (…)56.

Nel 1246 Adelasia chiese l’annullamento della sua unione con Enzo, adducendo
a motivo gli adulteri del marito. Innocenzo IV, dopo aver incaricato l’arcivescovo di
Oristano di svolgere accurate indagini, sciolse il matrimonio dichiarandone la nulli-
tà (e lasciando Enzo libero di convolare a nuove nozze con la nipote di Ezzelino da
Romano, nel 1249).
Gli storici sembrano concordi nell’asserire che l’atto pontificio non fu un gesto
pietoso nei confronti di una donna redenta ma uno stratagemma politico per infie-
rire contro Enzo, anche se i diritti di questi al titolo regio, conferiti dall’imperatore,
non vennero meno con l’annullamento.
La situazione era molto tesa: sin da prima del 1246 Enzo aveva impedito che
arrivassero nel suo Giudicato disposizioni e lettere di Innocenzo IV, e aveva inoltre
ostacolato la concessione di benefici a molti ecclesiastici. I vescovi di Ploaghe, Am-
purias e Sorres furono rimossi dalle loro sedi perché fedeli alla S. Sede, e si impedì

53
Lo Scano data le fonti 8 febbraio 1239 sulla base dei documenti che li precedono in quel registro. Cfr.
D. Scano, Castello di Bonifacio e Logudoro nella prima metà del XIII secolo, «Archivio Storico Sardo», 20,
1936, pp. 41-42. Geo Pistarino, invece, li data al 1245 sulla base di uno studio complessivo dei registri
e dell’attività del Tealdo. Questa ipotesi pare accordarsi alle informazioni contenute nelle lettere
papali. Inoltre, se il matrimonio si è celebrato nell’autunno del 1238, pare strano che già nel 1239
Adelasia ritenga di dover inviare un messo presso il papa per chiedere l’annullamento del matrimonio.
È possibile che il debito sia stato contratto poco dopo, ma il documento deve essere successivo. Cfr.
G. Pistarino (a cura di), Le carte portoveneresi di Tealdo de Sigestro: 1258-59, Società Ligure di Storia Patria,
Genova 1958, pp. 11-13.
54
Regesto in CDR, vol. I, doc. CLII (23 ottobre 1243).
55
Cfr. CDR, vol. I, doc. CLIV: riporta una copia, compilata a Civita Castellana dal notaio Scoto,
dell’atto di Adelasia datato 11 giugno.
56
Il notaio, oltre all’intensa attività dovuta alla sua professione, esercitava diverse operazioni finanziarie
e raggiunse una solida posizione economica imbastendo relazioni con i notabili di Corsica e Sardegna:
«(…) solvi pro ea Iacobo de Portovenere qui portavit fratrem Donatum ad Romam libras decem (…) et
pro Bonifacio servitore suo libras sex pro eius manomissione», cfr. V. Vitale, Documenti sul castello di
Bonifacio nel secolo XIII cit., docc. CCX- CCXI.

«Studi e ricerche», VIII (2015) 19


l’arrivo dei sostituti eletti: il riavvicinamento di Adelasia al papa aveva inasprito le
reazioni dei ghibellini sardi.
Adelasia ricorse all’aiuto di Genova per sostenere la lotta contro i partigiani del
marito. Le cronache genovesi dell’epoca riportano che la giudicessa fu aiutata eco-
nomicamente dai genovesi, a favore dei quali impegnò ville e corti. Accadde così
che, nell’impossibilità di restituire i debiti, Adelasia lasciò larghi possessi nelle mani
dei genovesi.
L’ultimo documento che la menziona è del 1255, quando il nuovo papa Alessan-
dro IV annuncia a lei e agli altri giudici sardi (Guglielmo di Capraia per l’Arborea,
Chiano di Massa per Cagliari e Giovanni Visconti per la Gallura) di aver affidato
all’arcivescovo di Cagliari Leonardo, uomo colto e virtuoso, l’incarico di risollevare
le sorti della Chiesa sarda dalle pessime condizioni morali e materiali. Una cronaca
pisana ci narra che morì nel 1259, dato compatibile con la sua assenza nella relazio-
ne sulla visita in Sardegna del 1263 dell’arcivescovo Federico Visconti57.
Sappiamo che poco prima di morire riconfermò la donazione fatta insieme a
Ubaldo, nel marzo 1237, a Gregorio IX: l’erede di tutti i suoi possedimenti era la
Chiesa, e secondo il Libellus la giudicessa confermò per due volte la sua volontà
dinnanzi ai monaci. Ma, ormai, il regno di Torres era stato smembrato dalle famiglie
genovesi, e non esisteva più.
Nella narrazione solo in una circostanza il significato si allarga ad individuare una condizione
personale piuttosto che un ordine sociale, e cioè quando Adelasia, dopo il matrimonio con re
Enzo, ‘a contu d’esser donna istetit serva’58.

4. Scelte e scenari dietro l’infirmidade

Con le sue complesse e sfortunate vicende, inserite in una trama di equilibrismi


politici e giochi di potere, Adelasia è una delle poche donne a conquistarsi una
propria autonomia e un proprio spazio nella Sardegna medievale. Nella prospettiva
di una ricerca storica in ambito psicopatologico, ciò che rende raro e prezioso il
vissuto di una donna, i cui drammi personali si intersecano con i protagonisti della
Storia, è la descrizione del suo stato di salute. Il Libellus, non solo attesta una condi-
zione di malessere, ma parallelamente ci traspone la posizione del cronista nei con-
fronti di un tipo di infirmidade in cui convergono aspetti fisici, psicologici, emozio-
nali e comportamentali. Un cronista che, abbiamo detto, corrisponderebbe presu-

57
E. Cristiani, Gli avvenimenti pisani del periodo ugoliniano in una cronaca inedita, «Bollettino Storico
pisano», 26/27, 1957-58, pp. 3-104, p. 57. Il testo della relazione del Visconti si trova in CDS, vol. I, pp.
380-383, n. 103. Sul Visconti cfr. D. Lucciardi, Federico Visconti arcivescovo di Pisa, Giardini, Pisa 1932,
I, pp. 7-48 e II pp. 7-37; E. Cristiani, I diritti di primazia e legazia in Sardegna, Antenore, Padova 1963; pp.
419-427; R. Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna cit., p. 267 ss.
58
A. Orunesu - V. Pusceddu, Cronaca medioevale sarda cit., p. 24.

20
mibilmente ad un monaco locale della seconda metà del XIII secolo, e il cui fine era
di rendere come cruciale, su più livelli, il ruolo della Chiesa. In assenza di testimo-
nianze scritte per sua volontà, ad eccezione degli atti di donazione, non conosciamo
la personale prospettiva della donnikella sui suoi eventi, e in questa analisi pertanto
non può avere altra formula che una ricostruzione con un forte uso del condiziona-
le, in quanto ci giunge mediata dagli schemi di chi descrisse le mosse, i ripensamenti
e la sorte della regina. In un’ottica diacronica, la posizione sociale, i matrimoni
importanti e il rapporto con i Papi potevano garantire una giusta risonanza nella sua
epoca, ma l’interesse che nel corso del tempo si rinnova ciclicamente sembra invece
sorgere in seno allo spaccato psicologico che la giudicessa si guadagna, praticamente
unica nel suo genere, suscitando interpretazioni svariate e svelando, nei consecutivi
approfondimenti, dettagli talvolta dimenticati, talaltra confusi, o ancora occultati.
Nella sua prima presentazione alla storia, la vicenda di Adelasia è incastonata fra
le biografie dei Guidici turritani, in un’opera connotata da schematismi fortemente
codificati, improntati ad una sapiente miscela di propaganda politica ed edificazio-
ne morale, che scorrono lineari attraverso le vicende individuali dei sovrani. In base
alle loro scelte questi vengono infatti consegnati alla storia come homines sabios,
virtuosos e prudentes, in grado di governare bene, di mantenere la pace e di servire Dio,
oppure come inetti, autori di decisioni avventate e lontani dai costumi cristiani.
Agli uni la gloria della bona memoria, agli altri l’infelicità59.
Adelasia cade drasticamente nella seconda categoria, e la sua infelicità è riporta-
ta, in una logica schiacciante, alle sue scelte sbagliate, in particolar modo alla deci-
sione di scostarsi dalle istruzioni papali di prendere, come secondo marito, un per-
sonaggio consono alle direzionalità che questi intendeva imprimere al quadro poli-
tico nazionale e internazionale60. Adelasia, per quanto scossa dal recente lutto del
primo marito Ubaldo, decide di opporsi e di concedere la mano a Enzo di Hohen-
staufen, figlio di Federico II. Forte del senno di poi, il cronista riferisce di un catti-
vo presagio sulla sua sorte recapitato alla Regina: «le consigliarono di non persevera-
re nei suoi intenti in alcun modo, perché ciò sarebbe stato un male per lei, e inoltre
avrebbe comportato la rovina del regno»61.

59
Il corsivo è tratto dal Prologo del Libellus: «Pro qui es cosa laudabile e plaquente a Deu et a su mundu tener
memoria de sas cosas antigas et maxime de sos sabios, virtuosos et prudentes nomine, pro leare exemplos
virtuosos et seguire sos vestigios de sas bonas operas insoro, a tale qui potamus aquistare cuddu honore,
laude et fama qui issos an aquistadu et specialmente de sos Señores et Regidores qui sun istados in su Regnu
de Sardiña». (È cosa lodevole e desiderabile per Dio e per il mondo che si conservi la memoria delle cose
antiche e in particolare degli uomini saggi, virtuosi e prudenti, per portare esempi di virtù e seguire i costumi
delle loro opere buone, di modo che possiamo acquistare quell’onore, lode e fama che essi hanno acquista-
to, e in special modo [quelle relative a] i governanti e reggenti che sono stati nel Regno di Sardegna). Cfr.
A. Orunesu - V. Pusceddu, Cronaca medioevale sarda cit., pp. 14-15.
60
«Cun sardu bonu de Sardinna o cun qualqui grande Señore de terra manna, qui manteneret su istadu
del Logudoro», cfr. A. Sanna (a cura di), Libellus cit., p. 53.
61
Ibidem, traduzione a cura della scrivente.

«Studi e ricerche», VIII (2015) 21


Buona parte delle sventure di Adelasia prendono effettivamente origine da que-
sta scelta, ma l’analisi del complesso dei documenti a nostra disposizione porta alla
luce una realtà ben più intricata: donna Alasia, Judiguesa de Logudoro, aveva un vasto
repertorio di drammi privati che potevano costituire una corposa base di infelicità,
e le conseguenze infauste del matrimonio con Enzo andavano ad inscriversi in una
trama personale costellata di forti responsabilizzazioni e ripetuti traumi, che il cro-
nista del Libellus, per motivi di sintesi o funzionalità, non ritiene di dover richiama-
re. Tornando indietro di alcuni anni, troviamo una Adelasia ancora minorenne
sulle cui spalle gravano le responsabilità di un matrimonio combinato a tavolino
con il pisano Ubaldo Visconti. In un solo atto si celebra per lei il suo stato, in linea
con i canoni dell’epoca, di merce di scambio, e nel contempo un’offesa verso Ono-
rio III, che tenta inutilmente di invalidare delle nozze che rischiano di compromet-
tere i suoi piani di dominio sull’isola.
L’adesione a questa scelta, che le appartiene ma è non sua, porta il Papa a puntare
un dito indignato proprio contro lei, in quanto membro di una coppia che lo
turba ed offende come capo della Cristianità, e contestualmente, sembra solo una
contingenza, come regnante politico. Questo strappo si ricucirà solo alcuni anni
più avanti, dopo un sanguinoso assestamento degli assi di equilibrio tra pisani e
genovesi per il controllo del territorio.
Nel frattempo, è proprio in seno alle conseguenze politiche e strategiche di que-
sto matrimonio che si inscrive la situazione che vedrà coinvolto fin dalla prima
adolescenza il fratello Barisone, fino alla sommossa che degenerò nella distruzione
di chiese e palazzi e che porterà all’assassinio del ragazzo, appena quindicenne, e di
molti suoi fedelissimi. Sulla morte di Barisone le notizie sono discordanti: il Libellus
narra che «morisit in Romangia in sa villa de Sorso, et jacet su corpus sou intro de
sa ecclesia de Santu Pantaleu», ma dalle lettere di uno scandalizzato Gregorio IX
(1227-1241) apprendiamo che il giovane fu dato in pasto brutis animalibus.
L’eco dell’efferato assassinio giunge anche in Francia, dove il cronista Alberico de les Trois
Fontaines [nella metà del XIII sec.] esprime, pur nella solitudine del chiostro, il suo dolore per un
re appena quindicenne «crudeliter occissus et membratim detruncatus et mutilatus»62.

Ancora giovanissima, Adelasia vede e sente la tensione di un periodo politico di


transizione e infiammato dalle lotte imprimersi come stigmate nella sua carne, e con
la perdita della sua spensieratezza e della pace nel suo regno piange un fratello le cui
sorti non possono che configurarasi come evento fortemente traumatico. Ma, nel
Libellus, la vita di Adelasia sembra quasi iniziare quando, rimasta vedova di Ubaldo,
commette quello che agli occhi del narratore si configura come una scelta infausta e
funesta, specie considerando che lo scopo dell’opera nel suo complesso era di dimo-
strare come la Chiesa romana fosse l’unica detentrice dei diritti feudali sul Logudoro.

62
G.G. Ortu, La Sardegna dei Giudici cit., p. 170. Cfr. A. Sanna (a cura di), Libellus cit., p. 52. Per la lettera
del papa cfr. Les Registres de Gregoire IX cit., n. 3350.

22
Forti responsabilità gravavano quindi sulle sue opere, e le mosse successive mo-
strano una personalità caratterizzata da ispirazioni contradditorie, orientate da un
lato a ricercare la sottomissione alla Chiesa, dall’altro a emanciparsi rendendosi
responsabile di scelte controcorrente e centrifughe.
A rappresentare la prima di queste due categorie la scelta di donare (come abbia-
mo visto, nel 1237), nelle vesti di Regina Turritana e Gallurensis, le sue proprietà
logudoresi alla Chiesa, mantenendone il governo in suo nome e disponendo che, in
assenza di eredi alla sua morte, la Chiesa ne rientrasse in definitivo possesso.
Adelasia sembra desiderare di inscrivere i suoi territori e i suoi confini all’interno
di un’entità più grande, legittimata da Dio e quindi potenzialmente infallibile,
mettendosi simbolicamente nelle condizioni di non errare. L’altro versante risulta
quindi quasi paradossale, nella scelta di accettare come marito proprio il pretenden-
te massimamente invisto alle alte sfere ecclesiastiche, Enzo di Hoenstaufen. Con
una netta opposizione, di fatto, agli espliciti desideri di Gregorio IX, succeduto ad
Onorio III, che la invitava a maritarsi col toscano Guelfo di Porcari, la cui famiglia,
devota al pontefice, poteva assicurare continuità nelle strategie governative. Una
mossa dalle sembianze polarmente opposte a quelle che sembrava indicare la sua
inclinazione precedente, testimoniata dalla donazione. Non abbiamo accesso al fat-
tore che realmente spinse Adelasia ad una scelta così forte, se non supposizioni
legate ai difficili e controversi rapporti tra papi e regnanti.
Ciò che si può dire è che, da un punto di vista umano, le forti responsabilizzazio-
ni, i ripetuti lutti e i traumi non sembravano aver minato lo spirito della regina,
nella cui presa di posizione brilla di uno smalto assai diverso da quello che la carat-
terizzerà negli anni successivi della sua esistenza. Il matrimonio con Enzo, figlio di
un Federico II ansioso di intralciare i piani di Gregorio IX, non è un romantico
sodalizio d’amore né la grigia routine di una rampolla altolocata, ma consegna Ade-
lasia alla storia serva invece che domina, defraudata dei suoi beni come regina, abban-
donata come consorte, scomunicata come cristiana.
L’esilio volontario in un castello, in uno stato di isolamento, povertà e solitudi-
ne, costituirà il sottofondo della sua futura condizione, il tormentato stato di ango-
scia di una nobile sarda medievale.

5. Difficoltà interpretative

Su questo punto, riccamente celebrato nella storia, si apre una sezione interpretati-
va sulla quale è necessario procedere con prudenza ed estrema attenzione ai confron-
ti tra le testimonianze.
Un primo snodo è costituito dal rapporto tra Libellus e verità storiche: grazie alla
convergenza delle vicende di Adelasia con fatti politici di ampia e documentata
rilevanza la gran parte dei fatti ha trovato conferma, mentre persistono su alcuni
punti delle significative zone d’ombra. Come sottolinea laconico Enrico Besta,

«Studi e ricerche», VIII (2015) 23


nelle mani di colui che dettò o fece scrivere il nostro libello la storia era dunque probabilmente
uno strumento di lotta ond’è possibile che non solo in quella tesi [diritti di eredità e successione
di Adelasia] ma anche in qualche altro punto la realtà storica sia stata violentata63.

Complica ulteriormente la vicenda il fatto che la formulazione con la quale ci è


pervenuta la cronaca riportata nel Libellus non è la versione originale, ma il frutto di
consecutivi rimaneggiamenti64. Accertato lo scopo palese di dimostrare i diritti del-
la Chiesa, le analisi passate hanno avuto un approccio prevalentemente storico e di
linguistica comparativa, avendo il fine di stabilire i margini di veridicità del docu-
mento. Su questa scia, ma con lo scopo di condurre un approfondimento intorno
alla qualità della infirmidade di Adelasia, il cui ruolo all’interno della vicenda è foca-
le, il raffronto tra le fonti ha permesso, nella nostra indagine, di isolare in tale
fenomeno patologico delle caratteristiche tali da accendere l’ambizione di formula-
re un parallelismo con una patologia ‘moderna’. Paradossalmente, a tenere fino ad
ora poco accessibile questa possibilità di interpretazione è intervenuto un eccesso
di zelo nel cercare di rendere comprensibile una cronaca in logudorese medievale.
Solo un’attenta comparazione tra gli studi ed edizioni sul Libellus di Gazano
(1777), Besta (1906), Sanna e Boscolo (1957), fino al più recente di Orunesu e
Pusceddu (1993) ha permesso di evidenziare come di edizione in edizione prendes-
sero forma piccole divergenze. Queste, consone ad un progetto di migliore scorrevo-
lezza del racconto, si esplicano principalmente nella riformulazione delle frasi, con
l’accorpamento o smembramento di alcuni periodi e le variazioni su una punteggia-
tura presumibilmente già arbitraria nella formula seicentesca; non avendo accesso
allo scritto medievale, non è opportuno addentrarsi in congetture in merito a que-
sto aspetto.
Chiarito questo punto focale, si ritiene che attraverso una traduzione più ade-
rente al testo alcune peculiarità dello stato patologico di Adelasia possano trovare
maggiore enfasi. Di seguito si propone una tabella sinottica in cui, a partire dal testo
di riferimento si propone una nuova traduzione65.

63
E. Besta, Liber Iudicum Turritanorum cit., p. VII. Si veda anche M. A. Gazano, La Storia della Sardegna
cit., vol. I, p. 369.
64
Sulle questioni linguistiche e sui successivi rimaneggiamenti operati sull’opera originale in ambito
catalano-aragonese e successivamente spagnolo, e piemontese in un secondo momento, cfr. A. Orune-
su - V. Pusceddu, Cronaca medioevale sarda cit., p. 11; A. Sanna (a cura di), Libellus cit., pp. 21-31; 41-44.
65
La traduzione è stata curata con l’ausilio di M. Puddu, Grammàtica de sa limba sarda, Condaghes,
Cagliari 2008.

24
TRASCRIZIONE TRADUZIONE TRADUZIONE
A. Sanna A. Orunesu - V. Pusceddu A. L. Floris

Fatu su matrimoniu, a contu Celebrate le nozze, infatti, la re- Fatte le nozze, invece di essere
d’esser donna istetit serva, qui gina invece di vivere come tale regina fu serva, e mai più ebbe
mai pius appisit bene. fu trattata al pari di una serva. bene (buoni periodi).
Et istande in su casteddu de Si ritirò nel castello del Goce- E dimorando nel castello del
Gosiano, ispogiada de dogni ano e, defraudata di ogni suo Goceano, spogliata di ogni
bene sou e penitendesi de su diritto e autorità, non conob- suo bene e pentendosi di ciò
qui haviat fattu, isteit comen- be più pace. che aveva fatto, vi stette come-
te qui esseret in prexone. se si trovasse in prigione.
Se li afferrait una infirmida- Afflitta dal rimorso per la deci- Se la ghermì una malattia che
de qui si creiat de morrer; sione fallace che aveva preso e le faceva credere di essere sul
mandait a chiamare su prehi- dall’angoscia per la perduta li- punto di morire; mandò a
gadore, clamadu frade Pedru bertà si ammalò gravemente e chiamare un predicatore, fra-
de Ardari et a frade Seraphi- temette di morire. Mandò a te Pietro di Ardara, e frate
nu et si confessait cun issos, et chiamare frate Pietro di Arda- Serafino e si confessò con
fatta sa confessione, fetit ven- ra, un predicatore, e frate Se- loro. Una volta fatta la con-
ner su notariu et nait: rafino per confessarsi, e poi fece fessione, fece venire il notaio e
venire il notaio al quale disse: disse:
‘Leade tottu, in presentia de ‘Prendete atto, alla presenza di ‘Prendete atto, alla presenza di
custos Padres, comente su questi religiosi, che il regno di questi religiosi, che il regno di
Regnu de Logudoro (…) Logudoro (...) Logudoro (…)’
Migorait de cussa infirmida- La salute di Adelasia migliorò Migliorò da quella malattia e
de, et istandesi in c(asteddu) e i Prelati e i Liberi del Logu- restandosene nel castello del
de Gosianu, comente est na- doro, rattristati perché non Goceano, come è detto, tutti i
radu, totu (sos Perlados) et Lie- potevano vederla liberamen- Prelati e i Liberi del Logudo-
ros de Logudoro ist(ande atri- te finchè restava relegata nella ro, essendo parecchio rattri-
stados meda pro) qui non la fortezza del Goceano, la por- stati per il fatto che non pote-
podian vide(r liberamente co- tarono al palazzo reale di Ar- vano vederla liberamente come
mente que)rian, de la batisin a dara, dove la regina trascorse desideravano, la portarono al
su palatu (de Ardari, et passait giorni sereni. palazzo di Ardara, e lì trascor-
in)nie bonu tempus. se un periodo positivo.
Si infirma(it, et tandu mandait) Ammalatasi nuovamente Si riammalò, e dunque mandò
a chiamare a su Episcopu mandò a chiamare prima il a chiamare il vescovo donnu
d(onnu Aspisiu, su quale) la con- vescovo donnu Aspisio per rac- Aspisio, il quale la confessò66.
fessait et fatta sa con(fessione fe- cogliere la sua confessione, ed Una volta fatta la confessione,
tit venner su) notariu et confir- in seguito il notaio per ratifi- fece venire il notaio e confermò
mait su p(actu qui haviat fattu care l’atto di donazione che il patto che aveva fatto in pre-
dae) nantis de frade Predu de aveva fatto in passato alla pre- senza di frate Pietro da Ardara
(Ardari et de padre Sera)phinu, senza di frate Pietro e frate Se- e frate Serafino, e fatta che fu
et fatta qui appisit (sa confessio- rafino. Dopo pochi giorni la confessione dopo pochi gior-
ne, a pustis de pa)gas dies mori- morì e fu sepolta nella chiesa ni morì e fu sepolta nella chiesa
sit et f(uit sepellida in sa ecclesia) di Ardara davanti all’altare di Ardara davanti all’altare
de Ardari, dae nantis d(e su al- maggiore. maggiore.
tare magiore).

66
È opportuno rilevare che, in un testo altrimenti sintetico, la confessione in questione viene citata in
poche righe due volte, quasi a voler ribadire che l’aspetto spirituale, a scanso di equivoci a sfondo
materialistico, è da considerarsi prevalente.

«Studi e ricerche», VIII (2015) 25


6. Alcune riflessioni

Dobbiamo questa pagina al fatto che questa infirmidade si prestasse particolarmente


bene ad essere sfruttata al fine di rimarcare gli effetti nefasti nei quali si poteva
incorrere dando un dispiacere al papa e quindi a Dio. Pur consapevoli della possibi-
lità che sulla descrizione gravi un’enfasi finalizzata a maggiore efficacia, è interessante
rimarcare che lo schema sequenziale delle azioni e la descrizione della malattia goda
di una sostanziale buona logica interna e credibilità. L’interpretazione dell’autore,
interessata, e quella del traduttore, allineatasi per correttezza sulla chiave di lettura
riportata nel testo, non dà luogo a dubbi: da un lato il dolore per aver perso tutto,
e dall’altro il pentimento per la sua maldestra operazione, sono le cause di questa
tormentata angoscia, i cui riscontri si poterono apprezzare anche sul piano fisico,
con l’insorgere di una patologia connotata dalla paura di un esito catastrofico, la
morte. La gravità di tale evento è da correlarsi con lo stato di scomunica che gravava
sulla coscienza della regina, aspetto che evidentemente era lungi dal sottovalutare,
in quanto avrebbe precluso perdono e salvezza. D’altra parte, tale visione degli even-
ti è perfettamente compatibile con gli schemi mentali che potevano essere propri di
una donna cristiana altolocata nel XIII secolo, cui peraltro la sequenza post hoc ergo
propter hoc poteva aver insegnato in modo inequivocabile che l’offesa al papa era
seguita, e quindi causava, un aggravamento dello stato di salute e potenzialmente la
morte. Nella nostra lettura, l’aspetto terapeutico si declina in due momenti diversi:
la confessione è da inquadrarsi come un tentativo ricorrente di lenire i sintomi,
quando questi si presentavano in forma di attacco acuto, mentre per quanto riguar-
da la mossa più definitiva del ricorso al notaio per la donazione, è da presupporre
che questa sia avvenuta non sistematicamente dopo ogni singola confessione, ma in
una unica occasione, che si descrive come risolutiva, almeno per qualche tempo. Ne
conseguirà, infatti, il miglioramento de cussa infirmidade, e anche in questo caso la
sequenza post hoc ergo propter hoc propone un esplicito miglioramento occorso in
seguito alla donazione alla ecclesia santa romana. Il messaggio è chiaro: guarisce il
ricongiungersi con Dio, passando attraverso la sottomissione al papa; con l’ammis-
sione della colpa e il ritorno con un capo piegato dall’evidenza. Dove non giunse
frate Pietro vi potè giungere un notaio, con buona pace della spiritualità. Un perdo-
no lenisce, ma una donazione guarisce! Sfruttare al meglio questo episodio – e la
logica morale che se ne poteva desumere – poteva avere un ottimo riscontro tanto
nell’educazione del popolo che dei potenti: non era una ignorante contadina ad
aver testato gli effetti di un peccato di superbia, ma una regina.

7. I tratti della patologia

Al di là del pathos profuso sulla tragedia di una regina – e sul perorare una certa
causa – la descrizione del testo a noi pervenuto propone un modello patologico

26
in cui alcuni degli elementi evidenziati, per quanto non esaustivi, consentono di
formulare una ipotesi sulla tipologia, nello specifico, di cui soffrì la sventurata
donnikella.
«Se li afferrait una infirmidade qui si creiat de morrer». Innanzitutto, la qualità
del verbo afferrare sembrerebbe indicare un’azione rapace che piomba dall’alto, a
ciel sereno. Nell’impianto complessivo del brano consacrato ad Adelasia la crona-
ca sembra improntata a descrivere non una singola malattia connotata da un aspe-
cifico malessere, ma piuttosto degli accessi patologici ricorrenti in occasione dei
quali la malcapitata regina sperimentava la paura di morire. A far da sfondo di tali
momenti, «istetit comente qui esseret in prexone»: non «afflitta per la perduta
libertà», come poeticamente riporta la traduzione italiana in circolazione, bensì
più strettamente «stette come se fosse in prigione», ossia, visse uno stato di ricer-
cato isolamento, cui, stando alle testimonianze storiche, nessuno la costrinse.
Considerando che contrasse matrimonio con Enzo nell’ottobre del 1238, Adela-
sia fece ingresso nel castello del Goceano presumibilmente intorno al 1239-1240,
in quanto è riportato che Enzo dopo alcuni mesi partì alla volta del padre Federi-
co II, impegnato in ampi progetti, e restò assente per un tempo imprecisato, forse
non compiendo mai alcun ritorno.
La scomunica scoccata in seguito al matrimonio, e revocata per Adelasia nel
1243, è presumibilmente un serio fattore predisponente nell’insorgenza del suo
disturbo e, da un altro lato, un principio motivante nell’animare, nel giro di meno
di un anno (1244), la decisione su un’opera concreta di devozione: la donazione ai
monaci di Santa Maria de Budellis.
Nel frattempo, stando alla cronaca, la sua permanenza nel castello del Goceano è
descritta nei termini poco equivoci di carcere volontario. L’anelato annullamento
del matrimonio con Enzo, reo quantomeno di ripetuti tradimenti, arriva nel 1246.
Dopo la donazione e in seguito al trasferimento al palazzo di Ardara, il Libellus
riporta una situazione di giorni felici (bonus tempus). In realtà la situazione era molto
tesa: il riavvicinamento di Adelasia al papa aveva inasprito le reazioni dei ghibellini
sardi, mettendo la regina nella condizione di ricorrere all’aiuto di Genova contro i
partigiani del marito.
Nel Libellus, la descrizione degli avvenimenti successivi è assai contratta, aspetto
che non ci aiuta nella comprensione del decorso della patologia: quello che sappia-
mo è che dopo qualche anno Adelasia ricade nella malattia, e nuovamente mette in
atto la sequenza di eventi che connotarono le sue mosse precedenti.
Stavolta ad essere convocato è una autorità superiore, l’arcivescovo donnu Aspi-
sio, e una volta fatta la confessione, in presenza nuovamente di un notaio, rinnova
alla Chiesa la donazione fatta in presenza dei due prelati, a sua volta rinnovo di
quella fatta nel 1237, all’epoca del suo matrimonio con Ubaldo. Purtroppo gli
Archivi non restituiscono traccia di questi rinnovi della donazione alla Chiesa, per
cui difficile è datare gli avvenimenti. L’abbandono da parte di Enzo è ipotizzato
verso la metà del 1239, la morte entro il 1259.

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8. L’ambizione di una diagnosi in absentia

Questi dati contribuiscono a dare pienezza ad un quadro di ansia ed angoscia, in


buona parte ampiamente motivata. Alla percezione di aver causato con le proprie
mani un grosso disagio a sé e al proprio regno, si coniugava la previsione catastrofica
di un esito che poteva essere per lei di continui e insanabili conflitti e quanto al suo
regno, di saperlo smembrato e straziato dal ferro. Il complesso di questi fattori, in
coerenza con quanto descritto dalla formulazione originale della cronaca, consenti-
rebbe, pur con tutte le cautele del caso, di associare il modello patologico proposto
nel testo ad un Disturbo da attacchi di panico, nella misura in cui si possono evi-
denziare: il carattere ricorrente e improvviso (evocato dalla qualità del verbo afferra-
re) delle crisi, la paura di morire (sintomo chiave del panico), la reclusione nel castel-
lo (interpretabile come evitamento e isolamento, in piena coerenza con l’assetto
comportamentale dell’ansia).
La mancanza assoluta di altri sintomi rilevati nella regina ci impone di essere
estremamente prudenti, ma su un altro versante la soluzione da lei ideata per ‘guari-
re’ dalla sua malattia, la confessione, e in una mossa risolutiva e conclusiva la confer-
ma della donazione alla Chiesa del regno di Logudoro, implicitamente ci comunica
che non ritenesse di mera natura fisiologica il suo disturbo, e che quindi non vedesse,
a maggior ragione, altra possibilità di ripresa che il ricorso ad una entità superiore.
Al contempo, presente per difetto, si celebra l’esautoramento del ricorso alla
medicina, almeno al fine di alleviare i sintomi. Una situazione ibrida di angoscia,
agitazione e tristezza poteva in realtà ben evocare, al periodo, una condizione di
melancholia, sulla quale se da un lato orbitava uno stigma di predisposizione al male,
dall’altro aveva una millenaria codifica come malattia e una certa schiera di rimedi
atti a contrastarne i sintomi, come un purgante a base di elleboro, o forse una
terapia basata sulle proprietà dei lapislazzuli, o ancora dei bagni rilassanti, uniti
magari a passeggiate e conversazioni piacevoli67. Stando al testo, le passeggiate erano
fuori discussione, o comunque interne al castello; le conversazioni ci furono, ma è
difficile immaginarle come piacevoli: il testo ci comunica che avevano la forma di
confessione, e quindi ipotizziamo che l’aspetto piacevole fosse legato principalmen-
te alla catarsi che ne derivava.

9. Tra conclusioni e aspetti aperti

Dal matrimonio con Enzo alla morte di Adelasia corre un lasso di tempo di circa 20
anni, che può vantare solo pochi punti fermi. Il primo è la donazione fatta ai mona-

67
Cfr. C. Tasca, M. Rapetti, M.G. Carta, B. Fadda, Women and Hysteria in the History of Mental health,
«Clinical Practice & Epidemiology in Mental Health», 8, 2012, pp. 110-119. <http://
www.benthamscience.com/open/cpemh/index.htm>.

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ci di Santa Maria de Budelli, che l’avevano evidentemente assistita, e tra i quali
potremmo identificare Pietro e Serafino, rogata l’11 giugno 1244. L’anno prima il
papa neoeletto aveva incaricato il priore di quel monastero e l’arcivescovo di Orista-
no di assolverla dalla scomunica, e nel 1246 Adelasia aveva chiesto e celermente
ottenuto l’annullamento del matrimonio con il fedifrago Enzo, dopo essersi inde-
bitata con il notaio Tealdo per inviare a Roma il monaco Donato.
È forse in questi anni che si svolgono i fatti narrati nel Libellus? La «infirmidade
qui se creiat de morrer» è ascrivibile al periodo 1239-1259? Se fosse così, come
riteniamo, la nostra regina sperimentò nel suo stato patologico la paura di morire
alla pur non verdissima età di 31 anni, una paura a quanto pare immotivata nell’im-
mediato, visto che passarono circa 15 anni (calcolando dalla donazione del 1244, a
malattia conclamata), prima della sua morte, o scomparsa dalle scene.
Poche altre informazioni possono essere utili alla datazione degli ultimi avveni-
menti. La definitiva chiarezza su questo punto è probabilmente ancora lontana,
fino a quando gli Archivi non restituiranno un documento che provi o neghi i fatti
narrati. Ciò che resta in piedi, nonostante le avversità della ricerca documentale, è il
ruolo ‘educativo’ qui rappresentato dalla descrizione di una patologia, che presen-
tando singolari affinità con i tratti di un disturbo attualissimo, accende la tentazio-
ne di rappresentare ancora una volta la storia della regina Adelasia in una chiave
quanto mai moderna.

Mariangela Rapetti
Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio
Università degli Studi di Cagliari
Via Is Mirrionis, 1 - 09123 Cagliari
E-mail: mariangelarapetti@gmail.com

Anna Laura Floris


Via Trincea dei Razzi, 54 - 09123 Cagliari
E-mail: annalaurafloris@gmail.com

SUMMARY

This paper analyzes the archival and literary sources related to Adelasia, the last
queen of the Sardinian medieval kingdom called Torres. More precisely, the paper
will focus on the 13th century chronicle called Libellus judicum turritanorum, related
to the last years of life of the queen, during which she behaves in way that nowadays
could be interpreted as psychopathological. By comparing the abovementioned sour-
ces, the paper tries to identify which disease (infirmidade) affected the queen.

Keywords: Adelasia of Torres, Illness, Psychopathology, History, Chronicle, Archive.

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