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Introduzione

Per uno storico che s’accinge a descrivere Pericle, due sono i pericoli (opposti) da evitare: l’idealizzazione e
il relativismo. Spesso Pericle lo si conosce tramite agiografie (biografie a scopo celebrativo). A partire dal
XIX secolo, in particolare, viene considerato come un capo saggio e incorruttibile; da cinquant’anni, tuttavia,
questa visione idealizzata è stata demolita: sicuramente all’epoca

Atene era un apogeo culturale, politico e sociale, ma ci sono anche da riconoscere i limiti della democrazia
(si cura dei diritti del cittadino e non dell’uomo, come schiavi o donne).

Altro errore che lo storico deve cercare di non compiere è l’anacronismo: non si deve condannare Pericle in
base ai valori di oggi. Non si deve quindi trascurare l’ambiente sociale e politico in cui si svolge l’azione;
concentrandosi su un individuo, il cattivo storico tende a lasciar da parte la collettività.

Invece di scegliere tra individuo e popolo conviene invece optare per il rapporto che intercorre tra i due.

Breve storia di Pericle

Pericle nasce tra il 494 e il 493 a.C., dopo la caduta della tirannia nel 510 a.C. e alla fioritura della
democrazia. Imparentato con il riformatore democratico Clistene, Pericle gode d’ampio prestigio,
nonostante il padre Santippo venga ostracizzato (la revoca si ottiene nel 485 a.C. per il conflitto della
seconda guerra persiana); quest’ultimo porta alla vittoria Atene contro la Persia a Capo Micale nel 479 a.C.

Nel 463 a.C. entra in scena Pericle, che scaccia l’avversario Cimone, personaggio preponderante
nell’influenza ateniese dopo la scacciata di Temistocle. All’inizio deve vedersela con Tucidide di Alopece,
contrario alla crescita d’importanza del popolo all’interno della polis, poi ostracizzato nel 443 a.C. Pericle è
comunque sempre vittima nel corso del suo trentennio di “governo” di critiche, anche indiretti, alla sua
persona da parte di altre autorità.

Si ricordino grazie al suo intervento l’apertura delle magistrature ai ceti più poveri, la prima indennità della
vita civica (misthos) con la quale si pagano i giurati nei tribunali dal 450 a.C., l’erezione del Partenone tra il
447 e il 438 a.C., la terminazione delle Lunghe

Mura e l’ampliamento della flotta militare coi teti che ricevono un salario. In sostanza si procede tramite la
democratizzazione interna e l’imperialismo esterno.

Nel 454 a.C. trasferisce il tesoro federale della Lega di Delo sull’Acropoli, al fine di renderlo fruibile agli
interessi della democrazia. Proprio con la fine ufficiale della guerra persiana nel 449 a.C., la lega non viene
sciolta per rifiuto ateniese, che ne trae beneficio pecuniario, e dunque tocca a Pericle sedare le rivolte
(contro l’Eubea e Samo). Inoltre, Pericle deve far i conti dopo la pace dei Trent’anni del 446 a.C., con la
guerra del Peloponneso a partire dal 432 a.C. All’inizio si vede protagonista di difese via mare e di un’ottima
strategia militare ma, con la pestilenza ateniese del 430 a.C., muore per contagio.

La creazione del personaggio nell’antichità

Nessun decreto proposto da Pericle è giunto fino a noi, come così neppure le fonti archeologiche. Il miglior
modo per conoscere Pericle è affidarsi alla “Vita di Pericle” di Plutarco, nonostante il testo sia bifronte: da
un lato è relativamente imparziale, dall’altro tende un po’ troppo all’esaltazione della figura idealizzata.
Erodoto nelle “Storie” cita una sola volta Pericle, portando un giudizio negativo alla politica imperialista di
Atene, aspra nei confronti della Lega di Delo. In Tucidide l’ammirazione è invece evidente verso il
personaggio.I poeti comici, famosi per le accuse virulente verso i fatti d’attualità, gli criticano il
comportamento tirannico e i rapporti nefasti con la città. Le opere teatrali sono però frammentarie e
spesso tendono ad eccedere per suscitare ilarità; l’attacco “ad personam” è una delle caratteristiche
tipiche. La commedia tende dunque a lasciar troppo spazio all’individuo, che viene messo in primo piano.
Tucidide è fonte della rappresentazione idealizzata dello stratega: anche riportando i discorsi di guerra
dello stesso in modo razionalistico, rimane il fatto che non affronta gli ultimi due anni di vita. Pericle, in
un’opera che conta otto volumi, appare soltanto alla fine del primo per poi scomparire nel secondo, poiché
viene visto in rapporto alla guerra del Peloponneso e non nella sua intera vita. Nel IV secolo a.C. le fonti
oscillano ancora tra lodi e biasimo: per i discepoli di Socrate Pericle è un contro-modello (Platone lo
considera un pericoloso demagogo che corrompe il popolo); gli oratori attici tendono a glorificarlo.
Aristotele nella “Politica” trasforma lo stratega nella reincarnazione della prudenza (φρόνησις), l’attitudine
a ben deliberare, ma nella “Costituzione degli Ateniesi” attacca il suo decreto sul “misthos”.

Nella “Vita di Pericle” di Plutarco lo storico accosta lo stratega a Fabio Massimo facendo riferimento alla
prudenza. Le informazioni riportate vengono prese dai frammenti comici, dalle critiche e dalle osservazioni
socratiche, cercando di conciliarli invano. Alternando elogio e critica, esprime un giudizio contraddittorio;
per risolvere il problema, Plutarco divide la vita del suo eroe -ma anche nemico, in quanto discepolo della
scuola di Platone- in due sequenze: in un primo tempo, Pericle è un demagogo che elargisce doni al popolo,
in seguito cambia completamente atteggiamento e inizia a reprimere le aspirazioni del popolo
provocandone la collera. Inoltre, Plutarco, vivendo all’epoca dei Cesari, errando attribuisce allo stratega la
condotta di un imperatore romano.

Da questa rassegna di fonti si constata che scrivere una biografia di Pericle è impossibile, ma si possono
trattare i rapporti tra individuo e comunità.

I. Un normale giovane aristocratico ateniese

Nella “Politica” Aristotele definisce l’élite isolando un insieme di elementi che la distinguono dall’uomo
ordinario:

- i nobili natali Eugeneia


- la ricchezza ploutos,
- l’eccellenza arete
- l’istruzione paideia

Le facoltà tuttavia devono essere tollerate in una forma adeguata al popolo.

Pericle affronta il demos con passi prudenti e accorti, offrendogli garanzie e dimostrando una superiorità
compatibile con l’ideologia e le pratiche democratiche.

Eugeneia

In età arcaica ad Atene i “gene” rappresentavano un tipo di organizzazione sociale: per ogni tipologia di
gene venivano scelti un sacerdote o una sacerdotessa per il culto civico. Esistevano poi famiglie potenti
”oikoi”. Pericle non apparteneva alla nobiltà ma era comunque di un lignaggio prestigioso: era difatti figlio
di Santippo, capo del popolo e vincitore a Capo Micale, e Agariste, facente paterno parte dell’illustrissimo
oikos degli Alcmeonidi. Nell’onomastica greca, era d’uso dare al primogenito il nome del nonno. Questi
ultimi tuttavia si erano macchiati d’empietà (un antenato aveva tentato di prender potere ad Atene) e si
sospettava intrattenessero relazioni coi tiranni.Secondo lo storico Erodoto, Agariste, poco prima di partorire
Pericle, avrebbe sognato di partorire un leone. Questo episodio avrebbe preconizzato il destino eccezionale
del nascituro. Il segno però alimentava le leggende sulla nascita di alcuni tiranni e per di più il leone era
stato associato da Omero in poi al potere regale.

Ploutos

<Per entrare a far parte della vita politica ateniese bisognava che il patrimonio posseduto fosse considerato
legittimo dal popolo. Pericle era indubbiamente ricco, in quanto erede di Santippo; egli aveva diversi
possedimenti fondiari con schiavo di fiducia annesso, considerati particolarmente legittimi nell’Atene del V
secolo. Inoltre, nel 472 a.C. aveva dovuto compiere una liturgia, un servizio pubblico al quale sono tenuti
solo gli abitanti più benestanti: ci fa dunque ritenere che Pericle appartenesse ai pentacosiomedimni.

Nel VI secolo a.C. l’antenato Alcmeone, come racconta Erodoto, venne convocato da Creso, che gli avrebbe
donato tanto oro quanto fosse riuscito a portarne indosso per i suoi servigi; egli si fece cucire abiti più
grandi, si rotolò nella polvere aurea e si riempì la bocca d’oro per insaziabile avarizia, causando l’ilarità di
Creso.

Paideia

L’eloquenza era frutto di un lungo apprendistato. Bisognava dunque spendere denaro in questa educazione
per raffinare le proprie tecniche del parlato, essenziale in una democrazia.Pericle seguì un’approfondita
formazione retorica. Tucidide però lo riduce al semplice rango di sofista manipolatore, poiché faceva
prevalere il discorso sull’azione e disprezzava gli esercizi fisici. Gli si attribuivano due grandi maestri:
Anassagora di Clazomene elaborò un pensiero razionale e fu maestro di retorica; Damone di Oa lo iniziò alla
mousike, arte associata alla matematica e alla poesia capace di grande potere sugli uditori, quindi non
lontano dalla politica e a tratti pericolosa.

Ingresso nella vita politica

Nel 472 a.C. fu designato come corego e ottenne la vittoria alle grandi Dionisie: ebbe il compito di finanziare
la tetralogia di Eschilo. Il corego doveva trovare un coro, pagare un professionista per le lezioni dei coreuti e
finanziare economicamente maschere e costumi. Il fatto che Pericle sia stato in grado di occuparsi di questo
compito, significa che ai tempi aveva già ereditato il patrimonio di Santippo. Garantirsi una coregia
significava aggirare il limite d’età che ad Atene limitava l’ingresso a qualsiasi carica pubblica (l’età minima
era di trent’anni, Pericle ne aveva solo ventidue). Il corego veniva valorizzato agli occhi dei cittadini: aveva
un posto d’onore durante le tragedie, doveva indossare abiti speciali e poteva esibirsi nel coro
dell’orchestra. Si crede fosse proprio Pericle, durante I Persiani, a cantare l’elogio ad Atene.

Il processo contro Cimone

Il vero ingresso in politica si ebbe infine al termine di un clamoroso processo del 463 a.C. Lo stratega
Cimone dovette affrontare un processo relativo al rendiconto del suo operato: fu accusato d’aver preso
tangenti dal re di Macedonio, che non voleva nel suo regno attacchi ateniesi. L’accusa fu portata avanti da
Pericle ma si risolse in un nulla di fatto, dato che i rendiconti erano giudicati dall’Areopago, massimo
sostenitore di Cimone.

Indipendentemente dall’esito, questo processo garantì un ingresso clamoroso a Pericle nella scena politica.
C’è da dire che non si sa il perché di questa accusa: si potrebbe pensare che derivi dall’antica rivalità che
intercorreva tra le famiglie di Pericle e Cimone; certamente Pericle non fu visto come un sicofante, un
accusatore per tornaconto personale.

Le riforme di Efialte

Nel 462 a.C., mentre Cimone era occupato a guidare un contingente oplitico, Efialte, capo democratico,
spinse per una riforma democratica che tolse i poteri all’Areopago. Al suo ritorno, Cimone fu ostracizzato.
Messo in ombra dalla figura di Pericle, Efialte scomparve presto dalla memoria politica; venne ucciso di
notte in circostanze oscure. Secondo alcune fonti, Pericle non sarebbe stato del tutto estraneo a questo
omicidio; si tratta però di elucubrazioni prive di fonti certe.

II. Le basi del potere pericleo: lo stratega

Capo militare e oratore: ecco i due indissociabili elementi del potere pericleo. Questi si fondono
perfettamente nella figura dello stratega.
Lo stratega rieletto

Istituita all’inizio del V secolo a.C., la strategia divenne la magistratura più importante dell’età classica. Gli
strateghi formavano un consiglio di dieci uomini eletti4 anno per anno per ogni tribù dall’Assemblea.
Solitamente venivano scelti tra i benestanti, perché avevano una preparazione oratoria migliore. Avevano il
compito di comandare l’esercito, soppiantando l’arconte. Pericle occupò l’incarico quindici volte. Secondo
alcuni storici, talvolta fu eletto da tutti gli ateniesi e non solo dai membri della propria tribù. In un passo di
Tucidide si legge che a Pericle furono affidate nel 430 a.C., assieme alla carica di stratega, «tutte le
questioni»; tuttavia, le «questioni» qui son da intender in modo specialistico e quindi in senso stretto si può
tradurre con «tutte le questioni militari» e non finanziarie.

Lo stratega vittorioso

Pericle vinse numerose battaglie -nove, secondo Plutarco-, pur non essendo specialista di questioni militari;
seppe infatti circondarsi di esperti, come Menippo. Fu anche abile da sé di mettere in scena i propri
successi: per esempio, dopo la vittoria contro Samo del 439 a.C., Pericle onorò non solo i cittadini morti in
battaglia, ma fu anche in grado di sottolineare il proprio ruolo essenziale per la vittoria, paragonando il
proprio successo alla conquista di Troia («erano occorsi dieci anni per far capitolare una città barbarica […],
mentre lui in nove mesi aveva conquistato la principale e più potente nazione della Ionia»).

L’antenato Alcmeone sarebbe stato il primo ateniese a vincere alla corsa dei carri ad Olimpia. Tucidide parla
di «campi e […] proprietà» usando il plurale.I già eletti potevano essere rieletti.

5 Nel V secolo, si crede che i primi nove fossero eletti per tribù, il decimo tra tutti; questa supposizione
rimane comunque fragile secondo Aristotele. L’effigie in bronzo nell’Acropoli, probabilmente postuma,
valorizzava la sua funzione di stratega: la nudità lo accomunava agli eroi, mentre l’elmo designava il trionfo
militare.

Plutarco lo presenta, però, come beneficiario dei successi militari altrui, siccome non era un grande
stratega. Fu criticato dalla sorella di Cimone, Elpinice, per non essere sceso in guerra insieme agli altri;
Pericle tenne conto della critica, tant’è che nell’orazione del 431 a.C. non citò più Omero. Venne criticato da
Plutarco per aver evitato il ritorno dell’esiliato Cimone, che voleva valorizzarsi in guerra a favore della
patria, e per non aver portato i giusti ausili a suo figlio, impegnato nel 433 a.C. a Corcira contro i Corinzi.
Infine, durante tutta la carriera, Pericle elaborò un modo di combattere lontano dagli usi ateniesi,
preferendo spesso evitare lo scontro.

Lo stratega accorto

Plutarco lo paragona a Fabio Massimo, il Cunctator, ovverosia un temporeggiatore. Preferiva perciò


temporeggiare piuttosto che lanciarsi in imprese come l’ideale Achille, per evitare il fallimento della città; la
sua circospezione irritava tuttavia gli Ateniesi, che mal sopportavano gli indugi. Nella Grecia del V secolo
a.C. la prudenza poteva essere vista come viltà.Comunque, non è corretto considerare Pericle un pacifista:
non rifiutava la battaglia in sé, bensì solo un certo modo di affrontarla, ovvero senza preparazione.

Quando nel 431 a.C. scoppiò la guerra del Peloponneso, Pericle convinse i concittadini a trovar riparo nelle
mura e non a combattere truppe superiori e meglio addestrate. Pericle voleva servirsi della marina,
assolutamente più potente di quella lacedemone, abbandonando la chora; quest’ultimo punto suscitò più
resistenze, mettendo in pericolo l’autorità dello stratega. Nonostante le irritazioni, gli Ateniesi seguirono la
strategia periclea anche dopo la sua morte.

Le basi del potere pericleo: l’oratore


Pericle, secondo le fonti tucididee, appare come l’incarnazione dell’oratore perfetto, capace di
ammaestrare le masse con la parola e l’autorevolezza. Era anche in grado di tacere, donando
furbescamente la parola ai propri avversari in determinate situazioni.

Pericle e la retorica

Atene rispettava il principio dell’isegoria, cioè l’eguale diritto di tutti a poter prender parola all’assemblea:
colui che voleva parlare veniva cinto con una corona di mirto che lo rendeva inviolabile e proponeva un
decreto; in seguito qualcun altro prendeva la corona e parlava al popolo a favore o contro lo stesso decreto
proposto. Si trattava di un vero e proprio agone oratorio. Tuttavia, non tutti prendevano parte all’orazione,
o per mancanza d’istruzione o per mancanza d’importanza (gli anziani avevano diritto di precedenza) o per
la 1 F 7 4γραφ παρανόμων, un procedimento giudiziario per illegalità (nel caso di illegalità secondo i
giudici, il reo subiva una multa o la privazione dei diritti civili).

Nella Guerra del Peloponneso vengono riportati tre discorsi di Pericle:

• La dichiarazione di guerra

• L’orazione funebre del 431 a.C.

• Il discorso durante la pestilenza del 430 a.C.

Tutti e tre appaiono come discorsi sofistici, sicuramente non testimonianze autentiche della sua eloquenza.
L’opera di Tucidide permette comunque di conoscere l’autorevolezza e la pedagogia dell’arte oratoria
periclea: spesso rimproverava il popolo invece che lusingarlo, al fine di educarlo.

Il poeta Eupoli nella commedia “Demi” paragona la verve di Pericle ad un pungiglione che pizzica l’orecchio
degli ascoltatori. Per Plutarco, i poeti comici lo soprannominarono «l’Olimpio» e paragonarono la sua
parola alla folgore divina.

Pericle in tribuna

Ai tempi di Pericle, gli oratori parlavano pacatamente, con moderazione e misura, mantenendo quasi lo
stesso tono di voce e con una mano sotto la tunica (himation). Ciò che distingueva, però, Pericle dagli altri
oratori era la sua capacità di non reagire agli oltraggi subiti: in particolare, nel 430 a.C., quando gli si
addossò nell’Assemblea la responsabilità delle disgrazie avvenute, seppe rimanere in silenzio al disonore e
all’odio degli Ateniesi.Il fatto di non reagire agli insulti veniva tuttavia etichettato dagli avversari come
eccessivo distacco, come un rifiuto di comunicare coi cittadini. La sua solennità veniva quindi mal
interpretata da certi come una presa di posizione antidemocratica. Cratino afferma persino che Pericle
avesse aggrottato il sopracciglio in situazioni di oltraggio alla sua persona: nell’antichità, questo gesto
veniva identificato come una rappresentazione di sovrano disprezzo.

Pericle fuori scena

Chi prendeva troppo spesso la parola durante l’Assemblea poteva alla lunga infastidire i cittadini. Conscio di
ciò, Pericle inviava in tribuna persone della propria cerchia a sottoporre ad approvazione i propri decreti.
Questi prestanome potevano fungere anche da catalizzatori dell’odio popolare. Le rare apparizioni dello
stratega si trasformavano dunque in momenti di grande solennità per temi importanti sulla città; questo
isolarsi, però, dava adito a voci che volevano Pericle simile agli isolati e misteriosi, quasi divini, re orientali.

Nel IV secolo a.C. gli Ateniesi non si facevano più ingannare da certi stratagemmi e diffidavano da chi
studiava troppo minuziosamente le proprie apparizioni pubbliche.

IV. Pericle e l’imperialismo ateniese


A partire dalla metà del V secolo a.C., Atene stava subendo un processo di accelerata democratizzazione,
progredita parallelamente all’assoggettamento della Lega di Delo.Pericle, al di là del punto di vista militare
che lo vede attivo alle azioni per il funzionamento dell’impero, fu il primo a teorizzare la necessità
dell’imperialismo ateniese.

Pericle e la costruzione dell’impero ateniese

Nel 478 a.C. Atene e numerose città dell’Egeo fondarono una lega, la cui sede si trovava sull’isola di Delo. Le
città della Lega scelsero liberamente di riunirsi sotto la direzione ateniese per scongiurare il ritorno della
Persia; ogni polis, dunque, o inviava un contingente armato e triremi o pagava un tributo phoros.

In seguito alla pace di Callia, messo fine alla minaccia persiana, la Lega non sarebbe più dovuta esistere e
nel 448 a.C. vennero sospesi i versamenti. Tuttavia, Atene continuò ad eseguire prelievi, che risultarono
forzati, e trasferì il tesoro direttamente in città. Negli anni seguenti vi furono la rivolta dell’Eubea, di Samo e
di Bisanzio, sedate tutte e tre dagli Ateniesi, i quali cominciarono ad assumere l’archè al posto
dell’egemonia, considerando le città della Lega dei dipendenti piuttosto che degli alleati.

Le iscrizioni che trattano l’imperialismo ateniese potrebbero essere state scritte o tra il 450 e il 440 o tra il
430 e il 420 a.C. Importante è conoscere l’esatta datazione perché, fosse vero il primo caso, significherebbe
che è stato Pericle a volere l’irrigidimento dell’imperialismo, mentre, fosse vero il secondo, si parlerebbe
d’imperialismo solo sotto la guerra del Peloponneso. In realtà la seconda via è meno credibile. Secondo
alcune fonti, la Lega di Delo visse la trasformazione in impero sotto il servizio di Atene sin da quando
Cimone dominava la vita politica cittadina.

Per Atene l’impero era vitale, indipendentemente dalle convinzioni contrarie tenute dai diversi capi politici,
e come tale andava mantenuto, persino sfruttando la forza. Nemmeno Pericle, di fronte alle rivolte a
seguito della pace di Callia nel 449 a.C., non si fece scrupoli nel reprimere con la violenza le città
rivoluzionarie per mantenere lo status quo.

Pericle di fronte agli alleati

Tucidide nella pentecontaetia rammenta per ben due volte il coinvolgimento di Pericle nella repressione
degli alleati.Innanzitutto lo storico evoca la partecipazione dello stratega nella rappresaglia in Eubea nel 446
a.C. Il comico Aristofane nelle “Nuvole” ricorda un trattamento traumatico nei confronti dei rivoltosi. La
repressione dell’Eubea era divenuta per l’intera città simbolo della durezza dell’imperialismo ateniese.

Il secondo intervento avvenne tra il 440 e il 430 a.C., quando gli Ateniesi si scagliarono contro Samo,
ritiratasi dalla Lega di Delo. Oltre all’ingente tributo finanziario, la guerra è ricordata per la mole onerosa in
termini di vite sacrificate. Duride di Samo, originario della città ribelle, riferisce che agli Ateniesi catturati
veniva tatuata sul viso una civetta, effigie della città, in ricordo della crudeltà ateniese: difatti
precedentemente ai ribelli catturati dagli Ateniesi veniva tatuata la prua della nave di Samo. Tutto ciò
affinché i prigionieri diventassero merce di scambio tra i due popoli. Atene vittoriosa privò del potere
sovrano (mura, flotta e anche moneta) la città sottomessa.

Duride ci riporta anche il trattamento destinato all’élite di Mileto sottomessa: Pericle prese i comandanti e
li condusse in piazza, fece in modo che venissero legati a delle tavole per dieci giorni, per poi finirli con
legnate e disperderne i corpi senza sepoltura. Non degnare un defunto della degna sorte era un gesto
d’estrema crudeltà per i Greci.Anche l’espulsione degli abitanti di Egina nel 431 a.C. fu ad opera di Pericle.
Per placare le masse durante la guerra del Peloponneso, Plutarco ci riporta che egli assegnò i terreni
sottratti ai nemici: questi ultimi erano appunto gli Egineti, che subirono la sottomissione

per:

• Essere entrati relativamente tardi nella lega


• Essere stati una polis indisciplinata

• Mirare all’egemonia navale

• Aver provocato antipatie negli Spartani e quindi essere rei dello scoppio della guerra

Pericle stesso nomina Egina come un «bruscolo nell’occhio del Pireo», invitando gli Ateniesi a spazzar via la
città. Lo stratega ateniese si trovò quindi ad essere un continuatore della politica intrapresa dalla città negli
anni precedenti. L’originalità che gli s’avvalse in quest’ambito fu nella rappresentazione dell’impero. Nel
discorso del 430 a.C. ammette che sia stato ingiusto assoggettare la Lega di Delo, ma afferma anche
l’impossibilità di tornare indietro; sarebbe difatti troppo pericoloso rinunciarvi.

L’agire in modo tirannico impone o la neutralità o la presa di posizione dalla parte ateniese delle città della
lega, che altrimenti passerebbero al nemico.

L’Odeo e la tenda di Serse

Costruito tra il 446 e il 430 a.C., l’Odeo era una sala ipostila6, il più grande edificio pubblico d’Atene, adibito
agli spettacoli e dotato di un tetto. Fu creato a immagine e somiglianza della tenda da campo del Gran Re
Serse sotto la supervisione di Pericle. L’edificio dunque commemorava da una parte la vittoria sulla Persia,
dall’atra appariva come un manifesto imperialista per gli stranieri.

Il Partenone

Visto come punto focale d’Atene, si crede sia stato costruito grazie al tributo versato dalla Lega di Delo,
anche se non ne si è certi; nonostante ciò, ha rivestito il ruolo di luogo di giacenza del tesoro di Delo,
spostato lì nel 454 a.C. La stanza centrale era molto spaziosa, così da permettere la permanenza
dell’enorme statua di Atena Parthenos. Inoltre, rispetto agli altri templi greci, aveva una sala intermedia, tra
la cella e l’opistodomo, sorretta da quattro colonne, la camera delle vergini, ove venivano collocati i tesori
della città e della lega.

Un’economia periclea

Il V secolo a.C. era un periodo di grande prosperità per Atene, sia per la coniatura delle monete d’argento7
sia per il Pireo visto come centro nevralgico di scambio.

Dal punto di vista linguistico, la oikonomia era l’economia dell’oikos e non generalizzata come la
intendiamo oggi; da ciò scaturiscono due visioni diverse degli studiosi: una che intende l’economia
esclusivamente legata al terreno, un’altra in senso largo e generalizzata agli scambi col resto del
mediterraneo e alle entrate (prosodoi) ricevute dagli alleati.

La gestione nazionale dell’oikos

Dal punto di vista etimologico, l’oikonomia indica la gestione regolamentata della casa familiare, ergo della
sfera privata, ovvero dell’attività agricola, la risorsa essenziale. Solo gli zeugiti, che rappresentava un terzo
della popolazione ateniese nel V secolo a.C., potevano vivere solo dei frutti del proprio terreno.

Secondo Plutarco, Pericle avrebbe gestito il proprio terreno vendendo gli eccedenti al mercato; sfruttava a
dovere la moneta, inventata nel VI secolo a.C., che certi oppositori accusavano per essere la causa di
circolazioni di patrimoni e di stravolgimenti di gerarchie prestabilite. Pericle delegava un Evangelo, uno
schiavo istruito per amministrare il terreno, così da potersi dedicare nel tempo libero all’attività politica.
L’attività periclea gli permetteva, inoltre, di non spendere più di quanto produceva: vendeva subito tutta la
produzione agricola, così da poter attingere da questo risparmio per le immediate spese personali o per
quelle della città,

A colonne multiple.
Moneta corrente per gran parte del mondo greco senza dover metter mano al proprio patrimonio.
Quest’ultima modalità era contraria all’élite ateniese, che preferiva indebitarsi con elitari alla pari piuttosto
che porre attenzione sulle spese, tutto esclusivamente atto a mostrar prestigio. Il comportamento pericleo,
di conseguenza, poteva apparire come avarizia.

Il comportamento pericleo non era tuttavia razionale: egli, vendendo tutto e subito, faceva in modo che i
propri introiti fossero lesi; non attendeva periodi di fame della popolazione per metter sul mercato i
prodotti ad alto prezzo. Questa azione, però, lo mostrò certo come protettore del popolo prima che un
avaro.

Pericle e lo sfruttamento dell’impero

I salari militari costituivano per la città un primo mezzo d’arricchimento. Teti e meteci erano sicuri di venire
remunerati adeguatamente quando si imbarcavano sulle triremi: Atene manteneva più di diecimila
rematori e soldati per otto mesi l’anno. Si aggiungano anche i salari versati agli arcieri, ai cavalieri, alle
guardie degli arsenali presso Atene e ai magistrati mobilitati nei territori della lega: si trattava di altri
quattromila uomini. Tutti i posti di lavoro sopracitati venivano pagato con il tesoro della Lega di Delo.

Vanno poi ricordate le cleruchie, istallazioni di guarnigioni militari ateniesi su territorio alleato, moltiplicate
da Pericle: in queste terre gli alleati coltivavano per gli Ateniesi occupanti, che ricevevano una rendita dal
suolo occupato. Oltre ai ricchi, ne beneficiavano soprattutto teti e zeugiti.Grazie al controllo delle rotte
commerciali nel Mar Nero, gli Ateniesi potettero garantirsi un rifornimento continuo di grano dal Bosforo,
dato che l’Attica ne era sprovvista. Per mettere al sicuro l’approvvigionamento, Pericle creò le colonie di
Brea e Anfipoli, organizzò una spedizione verso il Chersoneso (tratto di controllo sugli stretti) e condusse
una spedizione militare nel Mar Nero. Per l’occasione vennero anche creati i guardiani dell’Ellesponto,
magistrati che avevano il compito di registrar le quantità di grano trasportate in patria.Atene prelevava il
phoros (sessantesimo del tesoro della Lega) e, secondo gli accusatori di Pericle, veniva usato per finanziare i
lavori nell’Acropoli, ove venne spostato il tesoro a partire dal 454 a.C. Certe ipotesi, tuttavia, spronano a
pensare che Atene avesse già a disposizione molte entrate (miniere del Laurio, bottini di guerra, tasse
commerciali …) e che quindi non necessitasse di sfruttare il tesoro della lega: per la ristrutturazione
ateniese, infatti, venivano spesi sette talenti l’anno (contro i 2000 acquisiti senza il tributo), in particolare in
favore della statua di Atena Poliàs, che aveva sostituito Apollo Delio.

Pericle e i misthoi

Secondo Plutarco, i grandi lavori ad Atene richiesero anche misthoi, «salari»; in particolare, Pericle creò
lavoro soprattutto per gli artigiani, anche se si registrano rappresentanti di diversi mestieri nei cantieri, oltre
che di diverse classi sociali. Si potrebbe pensare ad un piano pericleo di rilancio dell’attività economica e
contro la disoccupazione, ma le città greche non avevano una politica economica e, qualora intervenissero
nell’economia, lo facevano esclusivamente per aumentare le entrate. La politica monumentale di Pericle
aveva due obiettivi:

• Adornare la città di monumenti imponenti

• Cancellare l’oltraggio delle guerre persiane

Pericle, forse per aggiudicarsi i voti cittadini, moltiplicò i banchetti e gli spettacoli religiosi; istituì anche
l’indennità detta theorikon, destinata a spesare i cittadini che assistevano alle feste di Dioniso.Per evitar di
offrire a troppi cittadini questi indennizzi, la comunità ateniese nel 451 a.C. fu ridefinita da Pericle secondo
il principio dell’autoctonia, trasforma Atene in una città endogama: non erano più cittadini i figli nati da un
solo genitore ateniese o da entrambi genitori ateniesi non sposati, le donne e gli stranieri domiciliati ad
Atene. Pericle, però, fu il primo a non applicare la legge, richiedendo per l’unico figlio rimastogli, seppur
illegittimo, di non applicare la norma, affinché Pericle il Giovane potesse ereditare il patrimonio paterno.
VI. Pericle e la sua cerchia: famiglia e amici

Nelle città greche, famiglia e amici influenti consistevano in punti d’appoggio indispensabile per
intraprendere la carriera politica, ad Atene, però, provenire da una famiglia illustre poteva far presagire la
tirannia. Pericle si comportava come un membro dell’élite da una parte, si presentava come un uomo
completamente dedito al popolo dall’altra: teneva a distanza i parenti, rifiutava forme di φιλία, non
partecipava a banchetti privati.

Pericle e il suo oikos

Pericle poteva avvalersi sia di un’ascendenza illustre sia d’importanti alleanze matrimoniali: Pericle sposò la
cugina prima Dinomaca, nipote di Clistene; poi, terminato l’amore con questa e trovatole nuovo marito,
prese Aspasia. Il matrimonio ateniese riflette il dominio maschile sulle donne, è un contratto privato tra
uomini e la parte femminile è un oggetto passivo; l’unione matrimoniale privilegiata era quella col parente
più prossimo. Il matrimonio risulta quindi aver due obbiettivi:

• Mettere al mondo figli legittimi

• Stringere legami e vincoli di solidarietà tra gli elitari ateniesi9

In pubblico, comunque, Pericle si presentava ben distinto dalla cerchia familiare, intrattenendo anche
rapporti problematici cogli eredi, non volendo favorirli. Rifiutò anche di partecipare ai rituali di socialità
familiare (banchetti nuziali, cerimonie di festeggiamenti …), ove convenzionalmente si esibivano il proprio
potere e le ricchezze; non rispettò i costumi funerari 10, nemmeno per i figli (Pericle era il genitore di tutti
gli Ateniesi).

Pericle e la philia Atti a risarcire i cittadini per il tempo trascorso a prestare servizio per la città; spesso,
però questi indennizzi non riuscivano a coprire il salario di un lavoratore manuale.

I mariti di Dinomaca risultano aver tutti un alto lignaggio.

Tradizionalmente era vietato piangere per gli uomini (cosa che Pericle rispettò) ed era consuetudine che i
parenti prossimi aprissero il corteo funebre (Pericle non lo fece, eccetto per la morte dell’ultimo maschio
Parolo, per la quale non si presentò nemmeno in Assemblea), un’esibizione atta ad mostrare la ricchezza.
Secondo Plutarco, una volta entrato nella vita politica Pericle adottò un comportamento pubblico
trasparente e si tenne a distanza dalla cerchia di amici. Disertò anche il symposion, da sempre attirante
sospetti del popolo, poiché accessibile soltanto all’élite. Plutarco stesso condanna il comportamento
pericleo, venente meno alle regole della philia, non solo per scelta, ma anche per mancanza di tempo libero
skhole. Prima e dopo Pericle, invece, gli altri politici si servirono delle amicizie per consolidare il proprio
potere politico.Nonostante alcune fonti, però, Pericle ebbe una cerchia di amicizie, tra cui spiccavano anche
personaggi prestigiosi (poeti, filosofi, sofisti, architetti e artisti). Gli storici moderni hanno però constatato
come queste relazioni nelle fonti siano vaghe e pecchino di approssimazione; tuttavia, nonostante la
mancanza di una vera cerchia, gli avversari di Pericle se l’inventarono per poter dargli contro.

VII. Pericle e l’eros: tra unità civile e sovversione politica

L’eros greco incarna la potenza di un legame e non corrisponde all’amore italiano. L’eros vincola tra loro gli
individui come la philia, ma, mentre quest’ultima presuppone una forma di uguaglianza tra le parti, il primo
individua una gerarchia: l’eros unisce un cittadino libero ad una donna o ad un <i>eromenos</i> inferiori al
primo. Lo scioglimento dell’eros può creare poi squilibri anche a livello politico (nei rapporti d’amicizia),
mettendo quindi in pericolo il cosmo cittadino.

Pericle propugnò l’erotica civica, facendo in modo che ogni cittadino amasse la propria città come s’ama
l’amato. Fu però accusato di aver provato ogni amore eterosessuale e per questa sua smania d’aver messo
in pericolo la città: pervertiva difatti le mogli dei cittadini ed era manipolato dalle amanti straniere, secondo
gli accusatori. Aspasia, in particolare, venne dipinta come o etera o prostituta o legittima sposa o abile
maestra di retorica.

L’amoroso triangolo democratico: la città, il capo e il popolo

L’eros, secondo l’orazione di Pericle, avrebbe dovuto mantenere tutti i cittadini uniti per amor di patria. Con
questa metafora si nota un’esclusione totale delle donne nella vita cittadina: l’eros era principalmente
l’amore omosessuale tra un erastes, qui rappresentato dal cittadino, ed un eromenos, ovverosia la città.
Dalle parole dell’orazione nasce così una polemica che vorrebbe i cittadini come abusanti della città,
un’ingenua passiva; Pericle, al contrario di quanto detto dagli accusatori, non vuol mostrare un’Atene
sottomessa: nella cultura greca difatti l’eromenos è libero di rifiutare i favori dell’erates, il vero sottomesso
in certe circostanze, quasi costretto a donare continuamente al giovane. Socrate accosta la retorica periclea
ad un corteggiamento omosessuale. Persino i commediografi esaltano la parola periclea, sottolineandone il
potere d’attrazione: Pericle stringeva in una morsa amorosa gli ascoltatori. Il comportamento di Pericle
stregava per solennità e freddezza: era affascinante perché austero. Egli, comunque, affermava che uno
stratega non avrebbe dovuto lasciarsi distogliere dai propri doveri né dal denaro né dai piaceri erotici:
poiché in una posizione di potere qualsiasi atto sessuale prende la connotazione d’abuso, Pericle praticò
pubblicamente castità, nel privato invece fu accusato di sfrenatezze.Le fonti contemporanee parlano di
sfrenata lascivia da parte di Pericle nelle relazioni private. Lo stratega avrebbe utilizzato Fidia come sensale
per etere e mogli altrui, specialmente degli amici. Si dice persino che Parilampe, artefice di ambascerie in
Oriente dal quale trasse la pratica persiana d’allevare pavoni, facesse recapitare i volatili su ordine di Pericle
alle sue amanti; ciò porta a considerare Pericle quale tiranno orientale. Voci raccontavano addirittura che
Pericle avesse avuto rapporti incestuosi colla moglie del figlio Santippo, nonostante la maggioranza delle
fonti considerassero il fatto una leggenda. Sulla scena comica, infine, Pericle venne rappresentato come il
re dei satiri, un chiaro riferimento all’universo delle feste dionisiache.

Pericle e Aspasia

Pericle venne accusato di sacrificare gli interessi della città per una straniera ch’amò profondamente e
pubblicamente, ovvero Aspasia, una cortigiana di Megara: se all’inizio lo stratega aveva ripudiato gli eccessi,
ora li manifestava in una relazione con un’etera. I discepoli di Socrate presentavano Pericle come una
marionetta in mano ad Aspasia, che gl’avrebbe insegnato pure la retorica; Platone le attribuiva persino la
stesura dell’orazione funebre. Secondo la maggior parte degli avversari, Aspasia avrebbe sedotto lo
stratega non colla parola ma col corpo, arrivando a fargli scatenare la campagna di Samo13 e la guerra del
Peloponneso. Aspasia era una donna proveniente da Mileto e avida di ricchezze come lo sono le orientali.
Alcuni storici hanno visto in lei una prefigurazione di Mata Hari, doppiogiochista dei persiani mandata dagli
ambienti ionici per tessere intrighi. Non si sa molto sulla vita di questa donna, eccetto aneddoti più o meno
storici. Incontrò Pericle prima del 437 a.C. poichè il loro figlio, Pericle il Giovane, divenne stratega nel 406
a.C. (doveva aver almeno trent’anni). Secondo Bicknell, fu Alcibiade a portar con sé Aspasia, sorella di sua
moglie, ad Atene terminato l’esilio.

VIII. Pericle e gli dei della città

Ad Atene le pratiche religiose permettevano ai cittadini di sentire un’appartenenza comune: erano


convenzionate dallo stato e venivano celebrate dai politici per distinguersi. L’eccessiva dimestichezza cogli
dei, però, comportava il mostrarsi senza misura agli occhi dei cittadini. Pericle venne spesso assimilato a
Zeus nelle commedie, talvolta fu descritto come distante dai riti religiosi ed altre volte come personaggio
irriverente proteso verso l’empietà.

Il portavoce della religione civile


I rituali religiosi avevano cuore all’interno delle istituzioni democratiche. In quanto magistrato, Pericle
partecipava attivamente alla religione civile. Ciò che piaceva ai democratici non piaceva agli oligarchici:
nella Costituzione degli Ateniesi si legge che la religione

Da una parte vi sarebbero stati gli accoliti che lo avrebbero dipinto come un onnipotente, dall’altra
eminenze grigie che lo avrebbero manipolato per propri fini; i manipolatori sarebbero stati persino stranieri
(Pericle intratteneva relazioni al di là della città, era soprannominato l’Olimpio e veniva associato spesso a
Zeus Xenios, protettore degli stranieri).

12 Le etère (in greco antico: 1 F 1 1ταίραι), nella società dell'antica Grecia, erano particolari donne di
compagnia, per alcuni aspetti assimilabili a cortigiane e prostitute.

13 Essendosi schierata contro Mileto, patria di Aspasia, questa avrebbe indotto all’intervento.

14 Crotino nella sua commedia trasforma Pericle in un nuovo Paride e Aspasia in Elena di Troia. avrebbe
provocato disfunzioni in seno alle istituzioni, interrompendo questioni importanti

15; le feste avrebbero inoltre avuto come scopo la ridistribuzione delle ricchezze pubbliche a favore dei
cittadini più poveri (il popolo poteva divertirsi a spese dei più ricchi, versanti più somme alla città). Questa
situazione, secondo gli accusatori, venne accentuata da Pericle: risistemò alcune celebrazioni e introdusse
un concorso musicale per le Panatenee (democratizzazione della mousike, cultura delle Muse, riservata
solitamente all’élite).

Nel 448 a.C. lo stratega convocò un congresso di città per discutere, oltre che della pace e della libera
navigazione, anche dei sacrifici agli dei e dei templi, annullando la promessa di non ricostruire i luoghi sacri
distrutti dai Persiani. Iniziarono i cantieri nell’Acropoli e in tutta l’Attica

16. I nuovi monumenti, però, manifestavano sia la devozione verso gli dei sia la supremazia ateniese sugli
alleati.

Tra il 450 ed il 430 a.C. gli Ateniesi cominciarono a definirsi «nati dalla terra», ovverosia derivati dallo stesso
suolo dell’Attica, discendenti di Eretteo, e quindi nobili tutti fratelli. Vennero persino istituite le Hephaistia,
feste in onore di Efesto, che mobilitavano l’intera città. Pericle evocò il mito dell’autoctonia attraverso il
progetto dell’Atena Parthenos, la quale tra le mani teneva un serpente, Eretteo.

L’esponente di una pietà equivoca

Alla statua di Atena della Salute è associata una vicenda: si dice che un operaio dell’Acropoli fosse caduto
rovinosamente e dato per spacciato, ma a Pericle venne in sogno Atena per confidargli una tecnica di
guarigione e, attuata quest’ultima, l’operaio si rimise. Ciò sugella l’affinità elettiva tra lo stratega e la dea.

Gli avversari lo descrivevano come Zeus, per suggerire la sua hybris. Nella scena ateniese, inoltre, il dio
veniva spesso presentato come un despota che ascoltava unicamente i propri desideri. Pericle passava così
pure per un innamorato volubile, che gettava scompiglio nelle famiglie, disseminando come Zeus figli
illegittimi e seducendo molte donne.Lo stratega a volte sembra aver un pensiero razionale, altre volte
propugna una religione tradizionale. Diversi aneddoti lo descrivono come un sovrano sofista disincantato
dal divino. Lo stratega frequentò Anassagora e fu in buoni rapporti coi sofisti ateniesi, ma non
necessariamente era schiavo delle loro idee; anzi, voleva mostrarsi come autonomo e non prigioniero di
una dottrina, tant’è che annoverava tra i suoi amici anche seguaci della religione tradizionale. Secondo
Plutarco, abdicò invece ogni forma di controllo sulle sue abitudini cedendo alle credenze insensate una
volta colto dalla malattia. Le testimonianze sono contraddittorie: probabilmente Pericle non prese mai delle
ferme posizioni ma riuscì a mescolare bene le due.
Il processo di Socrate del 399 a.C. è un momento culminante per gli attacchi contro i liberi pensatori. Il
momento più imbarazzante per Pericle è sicuramente il ricordo cittadino di quanto accaduto ai suoi
antenati con l’ambasceria lacedemone, anche se non gli fu intentato mai alcun processo. Anzi, egli passò
alla storia come esempio di pietà: chiedeva di punire i trasgressori anche oltre i termini imposti dalla legge
(eccesso di rigore), perciò gli fu conferito il sospetto d’empietà. Gli avversari avrebbero anche perseguito i
membri della sua cerchia per questo reato: così fu per Fidia, accusato anche di hubris (eccessivo orgoglio)
nella costruzione dei monumenti pubblici, Anassagora ed Aspasia. L’empietà sarebbe stata resa un reato da
un certo Diopeite, il quale avrebbe proposto un decreto per condannare chi non credeva agli dei o chi
insegnava dottrine riguardanti spazi celesti.

IX. Dopo Pericle: il declino di Atene?

Plutarco presenta la morte di Pericle come momento di decaduta totale della città, anche se molti studiosi
sono scettici riguardo a questa visione manichea. Difatti, pure secondo Platone Pericle non rappresentava
un modello: sarebbe stato in parte un elemento di decadenza di Atene.

La morte di Pericle e l’entrata in scena dei demagoghi. Secondo la Costituzione degli Ateniesi, una volta
morto Pericle, il popolo scelse un prostates non onesto per guidare la città; per Plutarco, invece, i
successori dello stratega lasciarono ai capi del demos anche il governo dello stato. La morte di Pericle
avrebbe aperto la strada ai demagoghi, nuovi ricchi (neoploutoi) di poco conto, capaci di corrompere il
popolo: da un popolo sotto controllo grazie alla prudenza periclea, ad uno fuori controllo. In verità i nuovi
politici non erano sconosciuti di bassa estrazione sociale: Cleone, per esempio, proveniva da una famiglia
assai prospera. La vera critica ai demagoghi era di non possedere una ricchezza terriera, bensì una derivata
dall’artigianato e quindi malvista dalla parte intellettuale della popolazione. C’è da dire, tuttavia, che già nel
periodo pericleo questi personaggi esercitavano cariche politiche e si trovavano ad essere attivi in città,
pertanto le voci su tali sono soltanto dicerie messe in mostra dai comici, uguali a quelle rivolte a Pericle.

La critica socratica

Gli autori socratici elaborano un’immagine negativa di Pericle: egli non avrebbe saputo educare i
contemporanei. Le critiche s’incentrarono principalmente sulla paideia dei figli; questi non esitarono a
criticare il padre. Pericle, secondo Platone, non aveva insegnato ai figli ed ai pupilli l’arte di governare: i suoi
fiaschi in campo privato erano la prefigurazione degli insuccessi nella sfera pubblica. Pericle il Giovane,
secondo le parole di Senofonte, aveva proposto agli abitanti di ritornare ai costumi ancestrali tipici dei
Lacedemoni durante la guerra del Peloponneso: ciò è una testimonianza essenziale, la quale dimostra la
mancanza d’educazione del figlio dello stratega.

Nel dialogo platonico Gorgia Pericle si rivolge «alle masse come a bambini» per compiacerle. Tuttavia, per
Platone è colpa del popolo, che esercita un dominio terrificante, spingendo i politici ad adeguare i loro
comportamenti al minimo comun denominatore; l’élite è quindi ammaestrata dal popolo. Platone si scaglia,
però, apertamente contro la democrazia.

X. Pericle in disgrazia: un lungo purgatorio

Le feste ateniesi occupavano un terzo dell’anno.

Secondo alcuni gli storici, si devono a Pericle soltanto il Partenone, la statua di Atena Parthenos, i Propilei,
l’Odeo e il Telesterion di Eleusi.

Derivato dallo Sperma di Efesto caduto sull’Attica, venne allevato da Atena.

Le fonti non sono storiche e si rifarebbero forse soltanto a testi di commedie Pericle fino al XVIII era caduto
in oblio. Questa damnatio memoriae fu dovuta a pregiudizi antidemocratici dell’Europa monarchica e al
fatto che lo stratega fosse eccessivamente anodino nel rappresentare un grande maestro di vita
dell’antichità. Dopo un breve revival nel Rinascimento, venne ignorato dai moderni.

Pericle nel Rinascimento

Nel XV secolo l’umanista Leonardo Bruni nella sua <i>Laudatio florentinae </i>esaltava la propria patria,
repubblicana e appena cacciante i Visconti, alla stessa maniera dello stratega ateniese, attinto dalla
traduzione di Tucidide e Plutarco. Ancora al modello pericleo tornò per l’orazione funebre di un nobile
fiorentino: questa si trasformò in una celebrazione della città, della libertà e dell’uguaglianza dei cittadini.
Anche Valla, terminata la traduzione di Tucidide, la rese disponibile alla diffusione attraverso la stampa.

Nonostante questi primi tentativi di riportare in auge la figura di Pericle, egli rimase nell’ombra.

Le ragioni di una lunga eclissi

Quando erano tradotti, i testi antichi non erano necessariamente letti. Soltanto alcune opere rientrarono
nella cerchia delle degne di lettura. Uno tra tutti fu proprio Plutarco, che nel XVI secolo dilagò tra i colti
dell’epoca; nelle Vite parallele, però, Pericle veniva denigrato secondo le tradizioni più ostili. Tucidide al
contrario venne mal tradotto e quindi poco apprezzato e diffuso. Fino al XVIII secolo la storia era, inoltre,
considerata maestra di vita: avrebbe dovuto donare esempi selezionati e positivi per l’uomo del tempo,
cosa che Pericle non rappresentava secondo quanto trasparito dalle opere più diffuse. Lo stratega per di più
non appariva mai fulgidamente, veniva anzi talvolta soltanto citato. Era l’uomo del governo, di quel
governo che aveva ostracizzato Temistocle e giustiziato Socrate, venerati da pittori e poeti. Secondo
Macchiavelli, solo Solone sarebbe stato l’inventore della democrazia ateniese. Quando una sola volta cita
Pericle, lo fa per coprir di ridicolo le sue idee. Nel XVI secolo Bodin esaltava lo stato regale, il solo capace di
metter fine alle lotte intestine: paragonò gli imperi degli Antichi coi nostri, affermando che Pericle avesse
indebolito la parte più sana e dignitosa dello stato, l’Areopago; lo stratega sarebbe stato dunque
responsabile del declino di Atene, pur avendo una certa genialità nel guidare il popolo ed addomesticarlo
affinché non esplodesse in violenze. Mointagne vedeva in Pericle come colui che faceva uso della retorica,
parola menzognera, per corrompere.

Il dimenticato del Gran Siècle

A partire dal XVII secolo i grandi personaggi dell’antichità non erano più considerati modelli politici, ma
erano ammirevoli per comportamenti individuali; veniva principalmente esaltato Alessandro Magno. Dal
1670, siccome re Luigi XIV non aveva intenzione di essere paragonato a nessuno, cominciarono le critiche
verso gli antichi, sia greci sia romani. In questi contesti Pericle rimase sempre un personaggio marginale o
non venne nemmeno citato, comunque gli si relegò un’aspra critica.Alla fine del secolo i dialoghi dei morti
conobbero un successo smisurato. Grazie a Fénelon Pericle ottenne un ruolo da protagonista: egli propose
nei suoi dialoghi modelli da cui tenersi lontani, incluso Pericle nel ruolo di contro-esempio, che si
autodenunciava per aver provocato la guerra del Peloponneso.

Hobbes si cimentò nella traduzione della Guerra del Peloponneso, nonostante fosse poco interessante per
l’epoca. Rappresentò Pericle come un uomo integro e motivato unicamente dalla virtù e non dai propri
interessi. Inoltre, afferma che Pericle avrebbe tenuto un governo democratico soltanto di nome, ma di fatto
regale.

Pericle alla prova dell’Illuminismo

Il Settecento fu contraddistinto da un ritorno all’antichità, voluto soprattutto dalle scoperte di Pompei ed


Ercolano. Venne riscoperta anche la Grecia ma si preferì concentrarsi sul modello di Licurgo a Sparta
piuttosto che di quello pericleo ad Atene. La Vita di
Licurgo fu tradotta in una lingua più accessibile, mentre la Guerra del Peloponneso rimase sempre in
disparte. L’intera storia di Sparta, inoltre, veniva narrata nella Vita di Licurgo, mentre Atene si disperdeva in
otto Vite diverse. Sparta in più esercitava l’austerità dei costumi, che affascinava gli illuministi, e la critica
del lusso. Rousseau elogiava il modello spartano, volutamente austero ed ignorante (venivano cacciati via
gli intellettuali) a favore della saggezza delle leggi, e si scagliava contro Atene, più che una democrazia
un’aristocrazia tirannica. Per quanto riguarda Pericle, nonostante fosse pieno di talenti, sarebbe stato un
abile corruttore: attraverso l’arte e lo spettacolo avrebbe distratto il popolo al vero governo.

Nell’opera del 1788 di Barthélemy il lettore veniva a conoscenza dell’antichità attraverso un viaggio in
Grecia intorno al IV secolo a.C. Pur riconoscendo allo stratega virtù davvero eccezionali, non era
preoccupato per il bene pubblico: il tesoro pubblico gli sarebbe servito al solo scopo di lusingare la folla;
avrebbe esercitato un estremo rigore nei confronti degli alleati, influenzato soprattutto da Aspasia.
Barthélemy riconobbe Pericle come l’anti-eroe di una città alla deriva.

Gli uomini della Rivoluzione francese fecero continui riferimenti al passato in modo da identificare il mondo
nuovo con quello antico. I riferimenti furono prevalentemente romani, secondo gli studi giuridici seguiti dai
filosofi del tempo; quando ci si riferiva alla Grecia, la maggior parte delle volte i riferimenti andavano a
Sparta. In America, influenzata da Plutarco e Platone, i repubblicani non apprezzavano la democrazia
ateniese di V secolo, considerata anarchica. Venivano affascinati più facilmente dai Romani. In questo
contesto, Pericle diveniva bersaglio di attacchi violenti: un guerrafondaio privo di scrupoli accusato di aver
portato Atene alla rovina. In Francia, dopo la deposizione del re, Pericle venne a rappresentare il tiranno
liberticida. Addirittura l’abate Grégoire afferma che Pericle avesse indotto gli storici a mentire sul proprio
conto. I capolavori dell’arte attica furono poi essi stessi la rovina di Atene, perché pagati attraverso
estorsioni o rapine, che provocarono il risentimento degli alleati e la gelosia dei nemici. Negli scritti di
Camille Demoulins si trova l’unica valutazione positiva dello stratega. Uno dei pochi intellettuali della
Rivoluzione a possedere una ferrea cultura greca, lodò Pericle per aver evitato ogni forma di censura,
riuscire a ricevere critiche senza scomporsi. Sfortunatamente l’impatto dei suoi scritti fu pressoché nullo,
anche perché egli venne ghigliottinato nel 1794.

XI. Pericle ritrovato: la fabbrica del mito pericleo

In Germania nel XVIII secolo Pericle divenne incontestabilmente un’icona. I Tedeschi difatti preferivano la
Grecia a Roma ed erano attirati in particolar modo dalla Grecia classica e dall’Atene classica. Winckelmann
proponeva una visione incantate dell’arte ateniese del V secolo a.C. Nel giro di pochi decenni Pericle
diventò l’incarnazione del miracolo greco. Il XIX secolo fu caratterizzato dal problema dei nazionalismi. Lo
stato di Bismarck si avvicinò sempre più al modello spartano. Gli Inglesi invocarono il ricordo di Pericle in
fronte ai Tedeschi-Spartani. Dopo la Liberazione, Pericle venne presentato come il propugnatore di un
sistema imperialista, schiavista e maschilista.

Le radici del mito pericleo

Eusebio, Girolamo e Agostino proponevano il concatenamento storico secondo un ordine di quattro età o
secoli: gli Assiri, i Persiani, i Macedoni ed i Romani. La formula s’applicò a Pericle tardivamente sotto la
penna di Federico II di Prussia: il secolo di Pericle trovava la sua unità nella fioritura delle arti, non della
democrazia. L’espressione diventò in Francia cristallizzata durante la Rivoluzione, anche se all’epoca non
comportava nulla di positivo: gli eccessi dettati dal lusso ad Atene erano precursori della caduta
dell’impero. Anche Berthélemy utilizzò il secolo di Pericle per comprendere il periodo dell’infamante guerra
del Peloponneso. Nel secolo successivo, però, l’espressione assunse un connotato positivo: andò
elaborandosi una concezione di Atene borghese e liberale. L’illuminista Rollin descrisse la città come
illuminata, perché aperta alle arti e alle lettere e dal regime politico equilibrato; purtroppo, anch’egli
riconosceva a Pericle d’aver portato avanti una politica da demagogo e uno sperpero incontrollato di
risorse, che avevano inevitabilmente distrutto la polis, ma lo elogiava pure di non esser stato condizionato
dai giudizi del popolo. All’inizio del XVIII secolo in Germania vi fu l’ondata della storia greca, al fine di
differenziarsi da quanti seguivano quella romana e rendersi originali. I Greci, colla struttura statale
frammentaria e uniti dalla lingua e dai costumi, rappresentavano quello che sarebbe stata la
federalizzazione tedesca. Fu proprio grazie a Winckelmann che si delineò un secolo di Pericle fecondo e
positivo, apogeo dell’arte greca. Herder trasformò la demagogia periclea nel fondamento dell’apogeo
culturale ateniese (soltanto attraverso il consenso dei cittadini lo stratega aveva attuato la politica della
costruzione). Hegel pure celebrò Pericle, sedotto dal genio ateniese.

L’apogeo del mito pericleo

In seguito alla Rivoluzione francese vi fu un maggior apprezzamento e quindi criticismo della letteratura
storica: Tucidide ebbe così la rivincita su Plutarco e l’Atena periclea s’impose come città antica di
riferimento in Europa e negli Stati Uniti.Nell’élite britannica, però, la reputazione periclea era ancora
pessima nel XIX secolo. Pur avendo costumi frugali, Pericle avrebbe dato al popolo abitudini corrotte per
dominarlo meglio. Pure Young lo accusava di aver scatenato la guerra del Peloponneso per rendersi
indispensabile ai cittadini nel futuro. Grote, invece, insorse contro i luoghi comuni nella sua History of
Greece: difendeva una visione liberale e democratica della città greca, secondo il giudizio tucidideo, e
sollevava Pericle dalle accuse di aver provocato la guerra.L’opera di Grote ebbe grande risonanza in Francia.
Duruy nella sua Histoire grecque disprezzò Sparta in quanto macchina da guerra, elogiando invece l’Atene
borghese; arrivava persino a giustificare l’imperialismo della città. Per Durey, però, Atene rimaneva
un’aristocrazia elitaria. Nella Terza Repubblica Gambetta vedeva in Atene una garanzia per il nuovo regime
repubblicano: auspicava l’instaurazione di una repubblica moderata che associasse il lavoro del popolo, la
scienza degli studiosi e l’eleganza degli aristocratici. La febbre tucididea si estese anche in Germania,
arrivando ad elogiare il lavoro dello storico. La riscoperta di un modello pericleo positivo fu inevitabile:
uomo di stato e filosofo, avrebbe esercitato sul popolo un governo coerente e fermo, secondo Curtius.
Purtroppo, velocemente la storiografia tedesca prese le distanze da questa concezione, arrivando pure a
denigrare nuovamente Pericle per eccesso di libertà, che sarebbe scaturito in tirannide sugli alleati; Beloch
lo apostrofò pure come privo di talento militare e responsabile di una evitabile guerra intestina greca.

L’usura del mito pericleo

Solo in Inghilterra Pericle venne esaltato durante il primo conflitto mondiale. Gli autobus londinesi erano
stati coperti da manifesti in cui veniva riprodotta l’orazione funebre in cui lo stratega chiamava i
concittadini a replicare il coraggio dei soldati caduti. Gli Inglesi venivano associati agli Ateniesi, i Tedeschi
agli Spartani. Pericle e la sua Atene furono elogiati anche dal Churchill durante la seconda guerra mondiale.
La Germania sconfitta si identificò colla città ateniese del 404 a.C.: in entrambi i casi la disfatta militare era
accompagnata da un cambiamento del regime politico. Hitler venne accostato dagli storici conservatori a
Pericle: entrambi capi costruttori di grandi opere, entrambi erano importanti condottieri che avevano
saputo portar in auge la propria patria, ma, dopo la scomparsa dei grandi, i successori non avevano saputo
portar nulla di buono alla patria, facendola inevitabilmente precipitare. I nazisti, in effetti, ammiravano
Pericle per essere stato un capo carismatico in un momento di crisi del paese, non gli si poteva addossare
alcuna colpa per la disfatta ateniese (il popolo non aveva avuto coraggio, onore e patriottismo al pari dello
stratega) ma, anzi, doveva essere elogiato per i grandi lavori di costruzione e di esaltazione artistica. Alla
fine della seconda guerra mondiale la democrazia ateniese uscì a testa alta, grazie anche alla idealizzazione
del suo stratega attraverso le opere storiche di fine anni ’40, che trascuravano invece la storia romana, più
legata a Mussolini. De Sanctis in Italia esaltà Pericle non solo per l’abbellimento della città, ma anche per
aver eliminato la disoccupazione delle masse operaie ed aver instaurato una maggior giustizia sociale.

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