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CON L
CIVILTA
I
N TIN
TE O
A
ST
civiltà romana
I
ROM A NA POPPEA
La moglie di Nerone
fra intrighi e scandali
TARIFFA R.O.C. POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE AUT. MBPA/LO-NO/008/A.P./2019 - PERIODICO ROC - S/NA
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a grandezza di Roma è tale che molti dei ed eroi ne
rivendicano la paternità. Così tanti che districarsi fra
le leggende della fondazione dell’Urbe diventa un
compito arduo, anche quando a farci da guida è Livio,
il più profondo conoscitore delle radici remote di Roma.
La cover story di questo numero è dedicata alla fondazione
della Città Eterna, per mettere ordine fra i tanti miti che la
popolano, indizi di un passato concitato e complesso, in
cui interagirono storie e popoli diversi.
Non si tratta di mere curiosità mitologiche: l’attaccamento
mostrato dai Romani alle loro narrazioni, per leggendarie che
fossero, fu sempre saldo e devoto, almeno fino all’avvento del
cristianesimo. Molte importanti vicende del periodo repubblicano
o imperiale possono essere comprese a fondo solo rifacendosi
agli esempi di virtù dei grandi eroi latini, che i consoli, i senatori
e i condottieri cercarono sempre di emulare e che costituivano
una sorta di prontuario etico a cui rifarsi in caso di dubbio o
difficoltà. La sacralità di Romolo, la pietas di Enea, il generoso
ausilio offerto dalla Lupa non erano solo echi di leggende lontane,
ma facevano parte del bagaglio morale di ogni cittadino, che in
loro trovava ispirazione per agire con tutto il coraggio e la dignità
che la madre Roma richiedeva ai suoi figli.
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SOMMARIO
6 Protagonisti
Mario contro Silla
12 Navi e navigazione
Dal Tevere al Mare Nostrum
18 Ab Urbe condita
Cover Story
48 Militaria
La cavalleria dei Romani
54 Mitologia
I versipelle, lupi mannari in toga
64 Letteratura
Lucrezio, poeta e filosofo
68 Luoghi
Nuove scoperte a Pompei
76 Il dado è tratto
Giochi
78 News
PROSSIMO
80 Libri, mostre, film NUMERO QUESTA CARTA
IN EDICOLA RISPETTA
82 Simboli
Il saluto romano
IL
MAGGIO L’AMBIENTE
CIVILTÀ ROMANA 5
MARIO
SILLA
CONTRO
6 CIVILTÀ ROMANA
PROTAGONISTI
P
er conoscere appieno il carattere di Lucio DA AMICI A NEMICI le sue memorie. L’uomo che aveva pianificato
Cornelio Silla basterebbe leggere il suo I ritratti marmorei ogni azione, eliminando senza pietà chi non si
epitaffio, dettato da lui stesso in punto di Gaio Mario (a sinistra) piegava ai suoi disegni, stava morendo di cancro
di morte: «Nessun amico mi ha reso servigio, e Lucio Cornelio Silla. dopo essere sopravvissuto a battaglie e intrighi.
nessun nemico mi ha recato offesa, che io non Inizialmente amici, La sua era stata una carriera atipica. A 30
abbia ripagato in pieno». Riconoscente verso divennero in seguito anni era ancora uno sconosciuto. Erede del
amici e alleati, crudele e vendicativo con chi acerrimi rivali, tanto ramo povero di una famiglia patrizia, la gens
non accettava il suo potere e le sue ambizioni. da dividere Roma Cornelia, aveva preferito gli ozi e i piaceri alla
Da due anni si era ritirato a Cuma per goder- in due fazioni. politica e alla carriera militare. Poi, la svolta:
si la maturità (aveva quasi 60 anni) e scrivere diventato benestante in maniera poco chiara
(forse grazie all’eredità di una ricca prostituta
che si era invaghita di lui), fu ammesso al ran-
go senatorio e sposò la cognata di Gaio Mario.
Eletto questore da Mario, che all’epoca era ›
CIVILTÀ ROMANA 7
MARIO CONTRO SILLA
8 CIVILTÀ ROMANA
PROTAGONISTI
CIVILTÀ ROMANA 9
MARIO CONTRO SILLA
10 CIVILTÀ ROMANA
PROTAGONISTI
CIVILTÀ ROMANA 11
VELE E TIMONE
Una nave da pesca
in un mosaico
ritrovato in Israele:
ben si nota uno dei
due timoni di pop-
pa. Nella pagina
a fronte, marinai
di un mercantile
governano le vele.
Le navi commerciali
non avevano remi.
12 CIVILTÀ ROMANA
NAVI E NAVIGAZIONE
DAL TEVERE
AL MARE
NOSTRUMPopolo di agricoltori e pastori, i Romani sconfissero
abili uomini di mare come i Cartaginesi
per dominare il Mediterraneo e le sue ricche rotte
di Mario Galloni
«N
avigare necesse est, vivere non est menti alimentari, espandere i commerci e, in
necesse» (Navigare è indispensa- un secondo tempo, imporre il proprio dominio
bile, vivere no) ruggì Pompeo anche sul mare. Era convincimento dei Romani
(106-48 a.C.) rivolgendosi alla sua che soltanto le vie d’acqua avrebbero
ciurma, per nulla convinta di sal- permesso all’Urbe di rompere l’ac-
pare con il mare in burrasca. Il cerchiamento impostole dagli
popolarissimo generale era Etruschi e dai popoli latini
ormai sulla cinquantina, che la circondavano.
carico di gloria e fresco
responsabile dell’annona, L’ACQUA NEL DESTINO
l’approvvigionamento ali- Nello stesso anno in
mentare dell’Urbe. Con cui nasceva la via Ap-
quella rampogna ai suoi pia (312 a.C.) il Senato
marinai, divenuta presto istituì la nuova carica dei
proverbiale, Pompeo foto- duumviri navales, i due ma-
grafò perfettamente il rappor- gistrati responsabili della ma-
to di Roma con il mare. nutenzione e della gestione della
Sorta a soli 30 km dal litorale, mal- flotta. I pronipoti dei rozzi pastori e
grado le profonde radici pastorali e agresti, la agricoltori che in un lontano giorno del 753
città di Romolo fu da subito consapevole della a.C. avevano visto Romolo tracciare il sacro
necessità di navigare per procacciarsi i riforni- pomerio, presero subito dimestichezza con ›
CIVILTÀ ROMANA 13
DAL TEVERE AL MARE NOSTRUM
ELEFANTI A BORDO il Tevere, le cui acque lambivano dolcemente l’intero basso corso del Tevere, dalla città fino
Un cucciolo di pachi- Campidoglio, Palatino e Aventino, i colli dove al mare, fu posto sotto il controllo romano dal-
derma viene imbar- avevano trovato posto i primi insediamenti. le conquiste di Anco Marzio, il quarto re, che
cato su una nave da Vicina al mare, ma allo stesso tempo lontana giunse alla foce e vi fondò la colonia di Ostia.
trasporto: in questo dalla costa quanto bastava per scamparne i pe- Le paludi del Velabro furono poi bonificate dai
modo Annibale portò ricoli, Roma fece del fiume una miniera d’oro. Tarquini, ma per diversi secoli il fiume conser-
in Europa gli animali Le barche che giungevano da Ostia trovava- vò in quell’area una profonda insenatura che
che avrebbe usato no in zona un ancoraggio naturale. All’altez- costituì il più antico Portus Tiberinus, sulla
nella campagna za dell’isola Tiberina le chiatte traghettavano cui banchina meridionale fu eretto l’austero
contro Roma. incessantemente persone e merci da una riva Tempio di Portuno (il dio dei porti), tuttora
all’altra. I Romani poterono utilizzare tali navi esistente: fu il primo porto fluviale di Roma,
in sicurezza a partire dall’epoca regia, dopo che mentre Ostia divenne il primo porto marittimo.
I nventata dai Greci nel VI secolo a.C., la trireme era un’imbarcazione relativamente piccola,
di poco pescaggio e che, essendo pensata per effettuare spedizioni belliche, generalmente di
breve durata, poteva essere realizzata anche usando legni non particolarmente pregiati e poco
stagionati. Per la sua maneggevolezza e velocità (pare potesse raggiungere, viaggiando a tutto
regime, i 10 nodi, con una media di 5) si impose come la nave da guerra preferita di tutte le
marinerie mediterranee (greca, fenicia, romana) e anche di quella persiana.
Nello schema a lato, i punti salienti dell’imbarcazione: 1) rostro in legno rivestito di bronzo,
usato per sfondare lo scafo della navi nemiche; poteva essere armato anche di lame per risultare 2
più efficace; 2) albero e vela di prua (l’esistenza di questa alberatura, pur citata da alcune fonti,
è tuttavia controversa); 3) occhio di prua, dipinto a scopo scaramantico e apotropaico, doveva
aiutare a “vedere” la rotta e ad affrontare più agevolmente la navigazione; 4) ponte superiore,
dove prendevano posto i militi assegnati al combattimento, talvolta avvantaggiati da una torre
che governava il corvo di arrembaggio; 5) vela centrale e albero maestro (in battaglia la vela
veniva ammainata e l’albero adagiato sul ponte); 6) tre ordini di rematori (trainiti in alto, zygiti 3
in mezzo e talamiti in basso); 7) poppa; 8) sedile dove trovava posto il pilota; 9) un timone su 1
entrambi i lati della poppa, in modo da manovrare meglio l’imbarcazione.
14 CIVILTÀ ROMANA
NAVI E NAVIGAZIONE
CIVILTÀ ROMANA 15
DAL TEVERE AL MARE NOSTRUM
LA CORAZZATA DELL’URBE
16 CIVILTÀ ROMANA
NAVI E NAVIGAZIONE
CIVILTÀ ROMANA 17
AB URBE
18 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY
CONDITA
La vicenda della fondazione di Roma
narrata da Tito Livio riunisce in sé
mito e realtà, per dare un passato
glorioso a un impero ormai mondiale
di Elena Percivaldi e Mario Galloni
S
econdo la tradizione, Roma fu fondata STIRPE DIVINA
da Romolo il 21 aprile 753 a.C., sul col- In questo quadro
le Palatino. Subito dopo, questi uccise il di Rubens (1577-
proprio gemello (Remo, reo di avere oltrepas- 1640), Marte,
sato con le armi in pugno il perimetro sacro accompagnato da
appena tracciato) e divenne il primo re della Cupido, si avvicina
città. Una storia, quella delle origini dell’Urbe, a Rea Silvia, figlia
tanto cruenta quanto affascinante, e che per di Numitore (re de-
questo ha ispirato sin dall’antichità letterati e posto di Alba Longa
artisti, che arricchirono le vicende con parti- e discendente di
colari degni di un romanzo. I primi artefici di Enea): concepirà
questa straordinaria invenzione letteraria (che con lei i gemelli Ro-
l’archeologia ha parzialmente confermato con molo e Remo. Enea,
il recupero di reperti greci dell’VIII secolo a.C. avo della ragazza,
nella zona del Foro Boario) furono gli scrittori era a sua volta figlio
romani che, durante l’età augustea, cercarono di Venere, pertanto
di ordinare le tradizioni leggendarie fornen- la stirpe dei re
dole di una struttura coerente. di Roma poteva
Il loro scopo era duplice: da un lato, quello di vantare ben due
creare un collante mitologico e simbolico tra le progenitori divini.
varie componenti che, nel corso del tempo, ave-
vano partecipato alla formazione dell’identità di
Roma; dall’altro (obiettivo ancora più urgente),
quello di nobilitare, attraverso il richiamo a ge-
sta eroiche e ascendenze divine, una città che
era nata in riva al Tevere da una comunità di
semplici pastori, e che ora, sul finire del I se-
colo a.C., era avviata con sempre maggior de-
cisione a imporsi come padrona del mondo. ›
CIVILTÀ ROMANA 19
AB URBE CONDITA
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20 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY
dovettero affrontare tempeste e naufragi. Lun- dal nome della moglie) e una nuova patria. L’EPOPEA DIPINTA
go il cammino incontrarono morte e amore La penna che Virgilio aveva intinto nel mito Sotto, Storie della
(celebre quello di Enea per la regina di Carta- fu raccolta da uno storico, Tito Livio, che conti- fondazione di Roma,
gine, Didone, che si uccise, disperata, alla sua nuò la narrazione attingendo dal copioso reper- dipinte dai Carracci
partenza). Quando finalmente approdarono torio di leggende a cui era rimasto il compito di (1590 ca., Palazzo
sulle coste laziali, erano già trascorsi più di set- narrare il passato remoto dell’Urbe, dopo che gli Magnani a Bologna):
te anni dalla fine della Guerra di Troia. archivi cittadini erano andati distrutti durante il 1) La Lupa; 2) Remo
famoso sacco di Brenno del 390 a.C. Secondo il e i ladri; 3) Remo in
DALLA POESIA ALLA STORIA racconto di Livio, Enea regnò per quattro anni e catene; 4) Uccisione
Sulla terra che gli dei avevano destinato loro alla fine di questo tempo felice venne assunto in di Amulio; 5) Profughi
regnava Latino, la cui figlia, Lavinia, era stata cielo tra lampi e tuoni (stessa sorte che sarebbe sul Campidoglio; 6)
promessa in sposa a Turno, capo dei Rutuli. toccata, molti anni dopo, a Romolo). Rimasta Romolo fonda Roma;
Ma ancora una volta il Fato rimescolò le carte vedova, Lavinia detenne il potere in attesa della 7) Ratto delle Sabine;
e la giovane, innamoratasi di Enea, venne con- maggiore età di Ascanio. Intanto la popolazio- 8) Spoglie di Acrone;
cessa dal padre all’eroe troiano. La guerra fra ne crebbe a dismisura e il figlio di Enea lasciò 9) Guerra con i Sabi-
Turno ed Enea fu inevitabile e si concluse con alla madre il timone della fiorente Lavinio per ni; 10) Morte di Tito
l’epico duello tra i due e la vittoria dell’esule andare a fondare una nuova città alle pendici Tazio; 11) Peste; 12) Il
che, ucciso il rivale, ottenne la mano di Lavi- del monte Albano. Su Alba Longa (questo il Veiente schernito; 13)
nia e con essa, finalmente, una città (Lavinio, nome della nuova colonia) Ascanio governò › Superbia di Romolo.
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CIVILTÀ ROMANA 21
AB URBE CONDITA
MADRI E PADRI fino alla morte e gli succedettero sul trono trenta to dove l’acqua era più alta, sbarazzandosene
Nell’ovale, Rea Sil- discendenti, fino a Numitore. Costui fu scelto per sempre. Ma sul destino dei due infanti, e
via, nuda e afflitta, dal padre, Proca, in quanto maggiore del fratello sulla futura nascita di Roma, vegliavano gli dei.
assiste inerme Amulio. Quest’ultimo, però, non accettò di far- In quei giorni, infatti, il fiume era straripato,
al ratto dei figli si da parte e, accecato dalla sete di potere, allagando parte dei terreni, e gli incari-
da parte di uno destituì brutalmente il fratello, ne uc- cati del doppio infanticidio decisero
sgherro di Amulio, cise i figli maschi e, per scongiurare di non avventurarsi fino al punto
usurpatore del trono qualsiasi altra discendenza legitti- stabilito, abbandonando il cane-
di Alba Longa. ma, ordinò alla nipote Rea Sil- stro con i fanciulli in un tratto
via di farsi vestale, obbligando- in cui le acque erano meno tu-
la in questo modo ad almeno multuose, convinti che la cor-
trent’anni di castità. rente li avrebbe comunque
Ma neanche al feroce Amu- ghermiti. Il Tevere fu però
lio, a quanto pare, era conces- di tutt’altro avviso e indiriz-
so di intralciare i disegni del zò il cesto verso una pozza di
Fato. Nonostante il divieto, la acqua bassa, dove il fagotto
nipote, a seguito di una violen- di vimini con i due lattanti si
za (forse di un pretendente, forse arenò sotto un albero di fico.
dello stesso Amulio), partorì due
gemelli, Romolo e Remo, e si affret- I FIGLI DELLA LUPA
tò ad attribuirne la paternità al dio Marte, Spinta dalla sete, alla pozza si avvicinò la
sperando così di giustificare la propria colpa. Gli Lupa, temuta dai pastori per la sua ferocia. Atti-
sgherri dello zio, però, non si lasciarono intene- rata dal vagito dei gemelli, però, la belva non li
rire dal racconto: la donna finì in catene, pena aggredì, ma offrì loro le sue mammelle (sul po-
spettante a ogni vestale che violasse l’obbligo di sto sarebbe poi sorto il santuario del Lupercale,
castità. Per Romolo e Remo, Amulio aveva inve- le cui tracce sono state riscoperte solo nel 2007).
ce un altro progetto: gettarli nel Tevere, nel pun- Sbalordito dall’improvvisa mansuetudine della
bestia, un pastore di nome Faustolo decise di
portare a casa i due neonati e di affidarli alla
PAROLE DI ROMA sua compagna, Acca Larenzia, perché li allevas-
Roma
se. Non mancarono i maligni che rimarcarono
come la donna, dedita al meretricio, fosse chia-
mata “lupa” (prostituta) dai pastori della zona.
Accuditi dalla coppia (all’insaputa di Amu-
L’origine del nome “Roma” era un mistero per gli stessi Romani, lio, che li credeva morti), i bambini crebbero
che fecero in proposito diverse ipotesi. Qualcuno riteneva che de- forti e sani insieme agli altri figli del pastore.
rivasse dal nome del primo re, Romolo, anche se è più probabile Partecipavano al duro lavoro negli ovili e pa-
il contrario, cioè che il fondatore abbia preso nome dalla città. scolavano le greggi, ma il loro passatempo pre-
Plutarco fornisce due interpretazioni: nella prima, Roma derivereb- ferito era quello di battere i boschi al comando
be dal greco rhomè, che significa “forza”; nella seconda, il nome di un piccolo esercito di coetanei, insieme ai
risalirebbe alla fanciulla Roma, figlia di Italo e Leucaria (oppure di quali tendevano imboscate alle bande di ladri
Telefo, figlio di Ercole), andata in sposa a Enea. che funestavano le campagne depredando i
Servio, vissuto tra IV e V secolo d.C., sosteneva che Roma de- contadini. Il bottino di quelle incursioni fini-
rivasse dal nome arcaico del Tevere, Rumon o Rumen, dalla ra- va equamente diviso tra tutti i pastori e, con il
dice linguistica indoeuropea ruo, che significa “scorrere”. Roma, tempo, la fama dei gemelli crebbe a tal punto
quindi, sarebbe stata la “città sul fiume” e l’appellativo romanus, che sempre più giovani vollero unirsi a loro. Di
in origine, avrebbe avuto il significato di “fluviale”. Un’altra spie- pari passo cresceva anche il rancore dei banditi
gazione fa discendere Roma dalla parola arcaica ruma, “mam- a cui era stato sottratto più volte il malloppo.
mella”, richiamando i seni della Lupa che allattò Romolo e Remo Un giorno, racconta Livio, durante la festa dei
oppure l’antico nome del colle Palatino, simile a una mammella. Lupercali, che si celebrava sul colle Palatino, al-
cuni briganti approfittarono della confusione e
Continua a pag. 26
22 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY
LO STORICO
LA NASCITA DI ROMA Al centro, Tito Livio
(59 a.C.-17 d.C.),
NELL’AB URBE CONDITA, LIBRO I, DI TITO LIVIO autore dei 142 libri
dell’Ab Urbe condita
Inter Lavinium et Albam Longam coloniam Tra la fondazione di Lavinio e la deduzione della (Storia di Roma dal-
deductam triginta ferme interfuere anni […] colonia di Alba Longa intercorsero pressappoco la sua fondazione),
Pax ita conuenerat ut Etruscis Latinisque fluuius trent’anni […] Il trattato di pace aveva stabilito che scritti nel corso di
Albula, quem nunc Tiberim vocant, finis esset per Etruschi e Latini il confine fosse rappresentato una dozzina di anni.
[…] Proca deinde regnat. Is Numitorem dal fiume Albula, il Tevere dei giorni nostri […] Ce ne sono arrivati
atque Amulium procreat, Numitori, qui stirpis Quindi regnò Proca. Egli generò Numitore e solo 35, di cui alcu-
maximus erat, regnum vetustum Silviae gentis Amulio. A Numitore, che era il maggiore, lasciò ni incompleti. Proba-
legat. Plus tamen vis potuit quam voluntas in eredità l’antico regno della dinastia Silvia. Ma bilmente, secondo le
patris aut verecundia aetatis: pulso fratre la violenza poté più che la volontà del padre o intenzioni dell’auto-
Amulius regnat. Addit sceleri scelus: stirpem la deferenza nei confronti della primogenitura: re, l’opera doveva
fratris virilem interimit, fratris filiae Reae Silviae dopo aver estromesso il fratello, sale al trono essere composta da
per speciem honoris cum Vestalem eam legisset Amulio. Questi commise un crimine dietro l’altro: 150 libri e narrare le
perpetua virginitate spem partus adimit. i figli maschi del fratello li fece uccidere, mentre storie di Roma dalla
a Rea Silvia, la femmina, avendola fondazione fino alla
Vi compressa Vestalis cum nominata vestale (cosa che egli fece morte di Augusto (14
geminum partum edidisset, passare come un’onorificenza), d.C.). La scomparsa
seu ita rata seu quia deus tolse la speranza di diventare di Livio interruppe la
auctor culpae honestior erat, madre, condannandola a una stesura al libro 142,
Martem incertae stirpis verginità perpetua. che forse si conclu-
patrem nuncupat. Sed nec deva con la morte
di nec homines aut ipsam La vestale, vittima di di Druso o con la
aut stirpem a crudelitate uno stupro, diede alla disfatta di Varo
regia vindicant: sacerdos luce due gemelli. Sia che in Germania, en-
vincta in custodiam datur, fosse in buona fede, sia trambe avvenute
pueros in profluentem che intendesse rendere nel corso del 9 a.C.
aquam mitti iubet. meno turpe la propria colpa
Tenet fama cum fluitantem attribuendone la responsabilità
alveum, quo expositi erant a un dio, dichiarò Marte padre
pueri, tenuis in sicco aqua della prole sospetta. Ma né gli dei
destituisset, lupam sitientem ex né gli uomini riescono a sottrarre lei
montibus qui circa sunt ad puerilem e i figli alla crudeltà del re: costui diede
vagitum cursum flexisse; eam submissas ordine di arrestare e incatenare la sacerdotessa e
infantibus adeo mitem praebuisse mammas ut di buttare i due neonati nella corrente del fiume.
lingua lambentem pueros magister regii pecoris Tuttora è viva la tradizione orale secondo la
invenerit: Faustolo fuisse nomen ferunt ab eo quale, quando l’acqua bassa lasciò in una secca
ad stabula Larentiae uxori educandos datos. la cesta nella quale erano stati abbandonati i
bambini, una lupa assetata proveniente dai monti
Romulum Remumque cupido cepit in iis dei dintorni deviò la sua corsa in direzione del loro
locis ubi expositi ubique educati erant urbis vagito; accucciatasi, offrì loro il suo latte con una
condendae. Et supererat multitudo Albanorum tale dolcezza che il capo pastore del gregge reale
Latinorumque; ad id pastores quoque la trovò intenta a leccare i due neonati: dicono si
accesserant, qui omnes facile spem facerent chiamasse Faustolo, il quale poi, tornato alle stalle,
parvam Albam, parvum Lavinium prae ea urbe li diede alla moglie Larenzia affinché li allevasse.
quae conderetur fore. Intervenit deinde his Romolo e Remo furono presi dal desiderio di
cogitationibus avitum malum, regni cupido, fondare una città in quei luoghi in cui erano stati
atque inde foedum certamen coortum a satis esposti e allevati. Inoltre la popolazione di Albani
miti principio. Quoniam gemini essent nec e Latini era in eccesso. A questi si erano anche
CIVILTÀ ROMANA 23
AB URBE CONDITA
I FUGGIASCHI aetatis verecundia discrimen facere posset, ut di aggiunti i pastori. Tutti insieme certamente nutrivano
Una terracotta del quorum tutelae ea loca essent auguriis legerent la speranza che Alba Longa e Lavinio sarebbero
I secolo, ritrovata a qui nomen novae urbi daret, qui conditam state piccole nei confronti della città che stava per
Pompei, con la raffi- imperio regeret, Palatium Romulus, Remus essere fondata. Su questi progetti si innestò poi
gurazione della fuga Aventinum ad inaugurandum templa capiunt. un tarlo ereditato dagli avi, cioè la sete di potere,
di Enea da Troia. La e di lì nacque una contesa fatale dopo un inizio
mano destra stringe Priori Remo augurium venisse fertur, sex abbastanza tranquillo. Siccome erano gemelli e il
quella del figliolo voltures; iamque nuntiato augurio cum duplex rispetto per la primogenitura non poteva funzionare
Ascanio, mentre numerus Romulo se ostendisset, utrumque come criterio elettivo, affinché fossero gli dei che
sulle spalle l’eroe regem sua multitudo consalutauerat: tempore proteggevano quei luoghi a indicare attraverso
trasporta l’anziano illi praecepto, at hi numero auium regnum segni augurali chi dovesse dare il nome alla nuova
padre, Anchise. trahebant. Inde cum altercatione congressi città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione,
certamine irarum ad caedem vertuntur; ibi in Romolo, per prendere gli auspici, prese come
turba ictus Remus cecidit. Volgatior fama est luogo di osservazione il Palatino, Remo l’Aventino.
ludibrio fratris Remum novos transiluisse muros;
inde ab irato Romulo, cum verbis quoque Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò
increpitans adiecisset, «Sic deinde, quicumque a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano
alius transiliet moenia mea», interfectum. Ita apparsi il doppio quando ormai il presagio
solus potitus imperio Romulus; era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano
condita urbs conditoris proclamato re l’uno e l’altro contemporaneamente.
nomine appellata. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base
alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero
Rebus divinis rite degli uccelli osservati. Ne nacque una discussione
perpetratis vocataque e dal rabbioso scontro a parole si passò al
ad concilium multitudine sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a
quae coalescere in terra. È più nota la versione secondo la quale
populi unius corpus Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe
nulla re praeterquam scavalcato le mura appena erette e quindi
legibus poterat, iura Romolo, al colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato
dedit; quae ita sancta aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d’ora
generi hominum in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le
agresti fore ratus, si mie mura». In questo modo Romolo s’impossessò
se ipse venerabilem da solo del potere e la città appena fondata prese
insignibus imperii il nome del suo fondatore.
fecisset, cum cetero
habitu se augustiorem, Sistemata la sfera del divino in maniera
tum maxime lictoribus conforme alle usanze religiose e convocata in
duodecim sumptis fecit. assemblea la massa (che nulla, salvo il vincolo
Alii ab numero auium quae giuridico, poteva unire nel complesso di un solo
augurio regnum portenderant popolo) diede loro un sistema di leggi. Pensando
eum secutum numerum che esso sarebbe stato inviolabile per quei rozzi
putant. me haud paenitet villici solo a patto di rendere se stesso degno
eorum sententiae esse di venerazione per i segni distintivi dell’autorità,
quibus et apparitores hoc diventò più maestoso sia nella persona sia,
genus ab Etruscis finitimis, soprattutto, grazie ai dodici littori di cui si circondò.
unde sella curulis, unde toga Alcuni ritengono che egli adottò il numero in base
praetexta sumpta est, et a quello degli uccelli che, con il loro augurio, gli
numerum quoque ipsum avevano pronosticato il regno. A me non dispiace
ductum placet, et ita la tesi di quelli che sostengono che tanto questo
habuisse Etruscos quod tipo di aiutanti quanto il loro numero siano stati
ex duodecim populis importati dalla confinante Etruria (da dove furono
communiter creato rege introdotte la sedia curule e la toga pretesta) tanto
24 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY
singulos singuli populi lictores dederint. […] questo tipo di aiutanti quanto il loro numero. Essi UOMINI E DEI
Centum creat senatores, sive quia is numerus ritengono che la cosa fosse tale anche presso gli Rilievo di un altare
satis erat, sive quia soli centum erant qui Etruschi, dal momento che, una volta eletto il re dedicato a Marte e
creari patres possent. Patres certe ab honore dall’insieme dei dodici popoli, ciascuno di costoro Venere, che illustra
patriciique progenies eorum appellati. forniva un littore a testa. […] Romolo elesse cento la scena dell’allat-
senatori, sia perché questo numero era sufficiente, tamento di Romolo
Iam res Romana adeo erat ualida ut cuilibet sia perché erano soltanto cento quelli che potevano e Remo. I gemelli
finitimarum civitatum bello par esset; sed ambire a una carica del genere. In ogni caso, tale vengono osservati
penuria mulierum hominis aetatem duratura onore valse loro il titolo di “padri”, mentre i loro da alcuni pastori e
magnitudo erat, quippe quibus nec domi spes discendenti furono chiamati “patrizi”. da Fauno, una delle
prolis nec cum finitimis conubia essent. Tum ex divinità più antiche
consilio patrum Romulus legatos circa vicinas Roma era ormai così potente che poteva del culto romano.
gentes misit qui societatem conubiumque novo permettersi di competere militarmente con Tra le rocce si nota
populo peterent. […] Vbi spectaculi tempus venit qualunque popolo dei dintorni. Ma per la penuria un’aquila, sacra a
deditaeque eo mentes cum oculis erant, tum di donne tale grandezza era destinata a durare Giove e destinata
ex composito orta vis signoque dato iuventus una sola generazione, perché essi non potevano a diventare uno dei
Romana ad rapiendas virgines discurrit. Magna sperare di avere figli in patria né di sposarsi con simboli dell’Urbe.
pars forte in quem quaeque inciderat raptae: donne della zona. Allora, su consiglio dei senatori,
quasdam forma excellentes, primoribus patrum Romolo inviò ambasciatori alle genti limitrofe
destinatas, ex plebe homines quibus datum per stipulare un trattato di alleanza con il nuovo
negotium erat domos deferebant. popolo e favorire la celebrazione di matrimoni.
[…] Quando arrivò il momento previsto per lo
[…] Nec raptis aut spes de se melior spettacolo e tutti erano concentratissimi sui giochi,
aut indignatio est minor. Sed ipse Romulus allora, come convenuto, scoppiò un tumulto e la
circumibat docebatque patrum id superbia gioventù romana, a un preciso segnale, si mise
factum qui conubium finitimis negassent; illas a correre all’impazzata per rapire le ragazze.
tamen in matrimonio, in societate fortunarum Molte finivano nelle mani del primo in cui si
omnium civitatisque et quo nihil carius humano imbattevano: quelle che spiccavano sulle altre per
generi sit liberum fore; mollirent modo iras et, bellezza, destinate ai senatori più insigni, venivano
quibus fors corpora dedisset, darent animos. trascinate nelle case di questi ultimi da plebei cui
era stato affidato quel compito.
CIVILTÀ ROMANA 25
AB URBE CONDITA
saltarono addosso ai gemelli per regolare i con- Remo, il ragazzo che avrebbe dovuto punire,
ti: Romolo riuscì a respingere l’assalto, mentre e apprese che aveva un gemello e che entrambi
Remo cadde prigioniero e venne condotto pri- avevano la stessa età dei suoi nipoti se fossero
ma al cospetto di Amulio, poi di fronte a Nu- scampati alle acque del Tevere. Convinto di
mitore, suo nonno, perché fosse punito. Nel trovarsi al cospetto di uno di loro, liberò Remo
frattempo, Faustolo decise che era venuto il affinché raggiungesse il fratello, in modo da
momento di svelare a Romolo la sua vera iden- averli poi con lui entrambi. Remo, però, corse
tità e i torti subiti dalla sua famiglia, suscitando a dar man forte a Romolo che, appresa la ve-
in lui un’implacabile sete di vendetta. rità sulla propria origine, si era già impegnato
Numitore, in preda ai dubbi, interrogò nell’assedio di Alba Longa. I gemelli ebbero la
meglio: giustiziarono Amulio e giunsero nella
piazza della città proprio mentre Numitore sta-
va spiegando alla folla gli orribili delitti perpe-
trati dal fratello usurpatore. Il popolo acclamò
il vecchio come legittimo sovrano, e i nipoti
ritrovati vennero salutati come liberatori.
IL VENERABILE FICO Ma Alba Longa stava stretta ai due ambiziosi
fratelli, che non chiesero ricompense, ma solo
26 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY
due fratelli capostipiti che incarnano opposti si espanse aprendo le porte a popoli provenienti IL DIO LUPO
modelli di civiltà, l’uno destinato a trionfare, dai dintorni, ai quali Romolo concesse asilo e la Nel tondo, Fauno
l’altro a soccombere. Romolo, eletto dagli dei e promessa di un nuovo inizio. Fra loro c’erano Luperco, o sempli-
da loro sacralizzato, sceglie come sede il Palatino schiavi e uomini liberi. Non pochi erano banditi cemente Luperco,
e traccia il “pomerio”, il perimetro al cui inter- dal passato fosco: per governarli fu istituito un divinità della Roma
no sarà compresa la comunità degli iniziati al consiglio e vennero scelti cento senatori, che sa- arcaica in onore del-
culto che renderà grande la città. Remo, rebbero diventati i padri del nuovo Stato. la quale, a metà feb-
invece, ne resta fuori, escluso dai Fatta Roma e costituito un nu- braio, si celebravano
misteri, e incarna il caos in- cleo originario di cittadini mag- riti di purificazione
differenziato che minaccia giorenti, restava il problema e fertilità: i Lupercali
l’ordine e la sopravvivenza di garantire un futuro a prendevano avvio
della comunità. Sovverte una città in cui scarseg- nella grotta presso
quest’ordine oltrepassan- giavano le donne. Anco- cui Romolo e Remo
do il confine tra sacro ra una volta fu Romolo erano stati ritrovati
e profano, compiendo a escogitare l’espediente da Faustolo.
così un sacrilegio: per che avrebbe garanti-
questo Romolo deve pu- to all’Urbe una florida
nirlo con la morte. discendenza. Organizzò
Fondatore, unificatore, sa- una festa (i Consualia, de-
cerdote e legislatore, Romolo dicati a Conso, protettore dei
rafforzò la propria autorità rive- raccolti) e invitò le comunità vi-
stendosi di abiti sontuosi e circondan- cine, tra cui i Sabini, raccomandan-
dosi di dodici littori, numero scelto non a caso: dosi di portare figlie e sorelle perché allietassero
alludeva a quello dei rapaci che gli erano appar- le danze con la loro grazia. A un cenno del re,
si nel cielo, o forse alle dodici città dei vicini i giovani romani si gettarono sulle innocenti
Etruschi, dai quali Roma aveva mutuato altri ospiti e ne fecero le proprie mogli e le madri dei
emblemi di potere, come la sedia curule (lo futuri Quiriti. Un episodio sicuramente enfatiz-
scranno pieghevole), la toga pretesta (indossata zato, ma che rivela come dietro la genesi della
dagli alti magistrati) e i fasci littori. città ci sia il legame fra genti diverse, unite per
Livio narra come Roma, dopo i primi tempi, gettare le basi della futura grandezza di Roma.
CIVILTÀ ROMANA 27
DANZE, ESTASI
E MUTILAZIONI
Il culto di Cibele, divinità di origine asiatica, si affermò a Roma
anche per la sua natura orgiastica e liberatoria, così distante
dalla rigidezza dei costumi antichi e, talvolta, decisamente sfrenata
di Elisa Filomena Croce
A
nno 204 a.C.: la Seconda guerra pu- ARRIVO NELL’URBE responso: per vincere la guerra, occorre porta-
nica incombe sull’Urbe. Si cerca con- L’ingresso del culto re a Roma il Lapis Niger, la pietra nera sacra
forto non solo nei generali, ma anche di Cibele a Roma a Cibele, colei che diventerà la Magna Mater
negli dei. Si consultano gli oracoli e i Libri secondo Mantegna dei Romani. L’Urbe era solita accogliere di-
Sibillini. Sono questi ultimi a dare il celebre (1505 ca.). vinità di ogni genere all’interno del suo pan-
28 CIVILTÀ ROMANA
RELIGIONE
theon, da Iside a Mitra, da Atargatis a Giove dio sorprese Agdistis mentre dormiva disteso CORTEO DIVINO
Dolicheno. Ma chi era Cibele e quale fu il suo sul ramo di un melograno. Gli legò i genitali A sinistra, la Patera
impatto sulla vita religiosa dell’Impero? in modo tale che lo sfortunato ermafrodito, di Parabiago, piatto
nello svegliarsi di soprassalto e cercando di d’argento del IV
UN MITO CRUENTO scendere dal suo giaciglio, perdesse in modo secolo d.C., ritrovata
Cibele era una divinità anatolica ori- violento e doloroso la sua parte maschile. nel 1907. Ha un
ginaria della Frigia, il cui culto, In tal modo, però, Agdistis inon- diametro di 40 cm e
fatto di danze estatiche, pro- dò di sangue il melograno e un peso di 3,5 kg.
cessioni e automutilazioni, fecondò la ninfa Nana, che Vi si vede il carro
era strettamente legato al diede alla luce Attis. Ama- di Cibele e Attis
susseguirsi delle stagioni, to sia da Cibele che da trainato da leoni.
anche se con il passare Agdistis (ormai soltan- Attorno a esso, tre
dei secoli assunse una to femmina), il bellis- sacerdoti battono gli
connotazione misterica. simo giovinetto venne scudi con le spade
Secondo una delle mol- promesso alla figlia del in segno di felicità.
te versioni del mito, Zeus re Pessinunte. Colmo di In cielo sono rap-
stesso s’invaghì di Cibele e rabbia, tuttavia, l’ex erma- presentati i carri del
tentò di prenderla con la for- frodito fece impazzire tutti i Sole e della Luna,
za. La dea riuscì però a resister- presenti al banchetto nuziale, mentre i quattro putti
gli, cosicché il seme del padre de- fino a indurli all’autocastrazione. nella parte bassa
gli dei cadde a terra, generando Agdistis. Lo stesso Attis si evirò sotto un pino e indicano le stagioni.
Costui si rivelò un ermafrodito estremamente morì dissanguato; dal suo sangue fiorirono le
lussurioso e lascivo, tanto da far infuriare tut- viole. La dea Cibele pianse così amaramente
te le divinità, tra cui Dioniso, che meditò la il suo amato che Zeus le concesse di resusci-
sua vendetta. Dopo averlo fatto ubriacare, il tarlo. Secondo altre fonti, invece, Attis era ›
CIVILTÀ ROMANA 29
DANZE, ESTASI E MUTILAZIONI
DEA MADRE figlio e amante di Cibele, ma si in- lani) si recavano al tempio della dea,
Sotto, statua di Ci- namorò della figlia del re di Frigia, sul Palatino, per ricordare la nascita
bele in trono, con- Pessinunte, e fu la dea stessa, inge- di Attis. Seguiva una settimana di
siderata come dea losita, a farlo impazzire, portandolo digiuni, penitenze e rituali purifica-
madre. Attorno a all’evirazione e poi alla morte. tori, che dovevano preparare il fedele
lei, i leoni del suo alla morte del dio: era il periodo detto
corteo. A destra, NASCITA E MORTE Castus matris, “digiuno della madre”.
un morsetto usato Mai come in questo caso, il rituale Finalmente, il 22 marzo, un pino, che
dai sacerdoti della era strettamente connesso al mito. simboleggiava Attis defunto, veniva
divinità per evirarsi. Le celebrazioni in onore di Cibele portato in processione dai dendrofori
In basso, un’incisio- e Attis, infatti, ripercorrevano i pas- (“portatori di piante”, membri di un
ne settecentesca di si salienti della narrazione: la nascita, collegio sacerdotale scelto fra gli appar-
Giovanni Battista l’autocastrazione, la morte e poi la re- tenenti ai ceti elevati) nella solenne cele-
Piranesi raffigu- surrezione del giovane. Non è strano brazione dell’Arbor intrat (“entrata dell’al-
rante il tempio di che queste feste venissero celebra- bero”). Il pino restava esposto nel tempio
Cibele a Roma. te ogni anno in concomitanza con come una salma in attesa di sepoltura.
l’equinozio di primavera, quando la Ma il vero culmine delle celebrazioni
natura sbocciava di nuovo, proprio era il cosiddetto Dies sanguinis, il “giorno del
come le viole sorte dal sangue di At- sangue”, il 24 marzo. I sacerdoti della dea,
tis, a sottolineare il legame del culto chiamati “galli”, si lanciavano in danze esta-
con l’alternarsi delle stagioni, il mori- tiche e orgiastiche, durante le quali si autofla-
re e rinascere della natura. gellavano, si mutilavano e si ferivano, così da
Iniziava tutto con una processione riempire del loro sangue il pino rituale, pro-
detta Canna intrat, il 15 marzo, prio come il sangue di Attis aveva ricoperto
in cui uomini muniti di giun- la pianta nel racconto mitico, facendo sboc-
chi (i cannephori, “portatori di ciare viole novelle. I nuovi adepti arrivavano a
canne”, appartenenti a un col- evirarsi, pratica necessaria per diventare gallus.
legio sacerdotale di popo- Alla sera, il pino sacro, bagnato dal sangue dei
30 CIVILTÀ ROMANA
RELIGIONE
PAROLE DI ROMA
Gallus
Oltre che il volatile e i
vicini d’oltralpe, la pa
indicava i sacerdoti di rola latina gallus
Cibele. L’etimologia è
be derivare dal nome incerta: potreb-
di un fiume della Frigia
ziati in Anatolia, o da , da i Galati stan-
un re di nome Gallus.
suo uso è ben affermato In og ni modo, il
. Altri studi ricollegano
alcuni demoni sumeri, il ter mine ad
i gallu, sessualmente am
tre in Mesopotamia esi bivalenti, men-
stevano sacerdoti chiam
proprio come i galli, pra ati kalu che,
ticavano sacrifici cruen
I galli, sacerdoti eunuch ti.
i della dea, stranieri o
che non potevano ess schiavi (visto
ere cittadini romani),
so da donna. Truccati si vestivano spes-
e abbigliati con vesti
turbanti, orecchini e ca sgargianti, ricchi
pelli lunghi, accentuav
ibrida che ricordava ano la sessualità
l’ermafrodito Agdistis
mito. Leggevano il futuro di cui parlava il
ai passanti in cambio
mentre nel giorno del di elemosine,
Dies sanguinis si lancia
balli estatici per le vie va no in canti e
della città, muovendosi
un tamburello o di un rap iti al ritmo di
cembalo, fino ad arriva
riversare il proprio sang re a mutilarsi e
ue sul selciato delle stra
de.
CIVILTÀ ROMANA 31
DELITTO E CASTIGO
Grandi legislatori e padri del diritto anche per noi moderni, i Romani avevano
una visione delle pene molto diversa dalla nostra. E non esitavano
a punire i trasgressori delle leggi, divine e umane, con spietata determinazione
di Francesca Garello
32 CIVILTÀ ROMANA
PENE E PUNIZIONI
NELL’ANTICA ROMA
R
oma ha lasciato in eredità al mondo mo- ALLE BELVE cetto di “giusta pena”. La differenza va ricercata
derno un complesso sistema di leggi di cui Nerone assiste alla nel significato che la punizione ha nella società
si trovano ancora molti elementi nei codi- fine di una martire romana e nella nostra: noi pensiamo che deri-
ci giuridici dei Paesi contemporanei. Per questo cristiana, legata a un vi dalla trasgressione di leggi civili, debba essere
fa una certa impressione constatare come le pene toro e trascinata per commisurata alla trasgressione e tendere a cor-
previste da questo sofisticato sistema siano molto l’arena: è il crudele reggere il reo; i Romani, al contrario, esigevano
lontane dalla nostra sensibilità e dal nostro con- supplizio ad bestias. che rimediasse alla violazione di leggi divine, ›
CIVILTÀ ROMANA 33
DELITTO E CASTIGO NELL’ANTICA ROMA
NEL SACCO concedesse una giusta vendetta alle parti lese e me di regole, definito mos maiorum, “costu-
Sotto, illustrazione costituisse uno spettacolo tale da insegnare al me degli antenati”, era sacro per i Romani.
della poena cullei popolo i rischi di certi comportamenti. In esso si trova l’intento di garantire stabilità
(pena del sacco): alla nascente comunità impedendo il sorgere
l’accusato vi veni- LA RICERCA DELLA PACE CON GLI DEI di faide e vendette incontrollate. A mettere
va cucito assieme Alla base delle normative più antiche di in crisi il patto sacro erano infatti le azio-
ad alcuni animali Roma c’è la necessità di mantenere la pax ni che coincidevano con possibili turbative
e poi buttato nelle deorum, il patto che garantiva l’armonia tra dell’ordine costituito: il tradimento contro lo
acque del Tevere. l’uomo e gli dei, che gli antichi facevano ri- Stato (perduellio), l’uccisione del padre (parri-
salire direttamente a Romolo. Questo insie- cidium), l’infrazione del legame tra patrono e
cliente, il veneficium (la somministrazione di
sostanze velenose) a scopo di aborto, l’appro-
priazione di terre di privati. A giudicare que-
sti reati era preposto il rex, non solo supre-
mo magistrato di Roma ma anche sacerdote.
Tutto il resto era considerato “privato” e la
giustizia veniva applicata dal pater familias,
piccolo re all’interno del nucleo familiare.
Le punizioni dovevano essere esemplari:
la perduellio era punita bastonando a mor-
te il reo dopo averlo appeso a un albero; il
parricidio con la poena cullei, il supplizio del
sacco (l’assassino, chiuso in un sacco di cuo-
io assieme a un cane, un gallo e una vipera,
veniva gettato in un fiume); chi infrangeva il
legame tra patrono e cliente veniva consacra-
to a Plutone, come fosse una vittima per un
sacrificio, e chiunque poteva ucciderlo; analo-
UN SOLLIEVO
PER I CONDANNATI
34 CIVILTÀ ROMANA
PENE E PUNIZIONI
CIVILTÀ ROMANA 35
DELITTO E CASTIGO NELL’ANTICA ROMA
MORTE VARIA rato dove venivano obbligati a lavorare inca- perché evitava l’esproprio dei beni e lascia-
Sotto, la pena degli tenati uno all’altro, senza mai poter uscire. va intatta la proprietà familiare per gli eredi.
schiavi ribelli guidati Tuttavia, l’imperatore Adriano abolì questa Fu praticato da molti personaggi illustri del-
da Spartaco. La pratica, considerandola troppo disumana. la storia romana, di solito in seguito a con-
crocefissione, molto Anche essere condannati alle mi- danne politiche. Il caso più noto è
usata a Roma, per- niere (ad metalla) o alla gladia- forse quello del filosofo Seneca,
metteva di lasciare i tura era considerato infaman- caduto in disgrazia per aver
condannati in vista, te. La prima, pur essendo partecipato a una congiura
come monito per una pena più lieve del- contro l’imperatore Nero-
gli altri. Nel tondo, la morte, non era più ne. Il modo più dignito-
due amanti: l’adul- umana. Lavorare nelle so di darsi la morte per
terio era soggetto a miniere equivaleva a un cittadino romano
condanne come l’e- una lenta agonia, in- era la sua spada, sulla
silio. Nella pagina fatti la maggior parte quale ci si doveva getta-
a fronte, una scena dei condannati, se aveva re dopo averla infissa nel
di decimazione. Tra scelta, preferiva la gladia- terreno, ma i più preferi-
i reparti macchiatisi tura, dalla quale, con un po’ vano aprirsi le vene immersi
di viltà sul campo, di fortuna e abilità, si poteva in un bagno caldo, che facilita-
veniva scelto un uscire vivi e magari perfino liberi. va il dissanguamento e permetteva
uomo su dieci, poi Esisteva anche una punizione adatta ai pa- di scivolare lentamente in un letale torpore.
ucciso dai suoi trizi o agli esponenti politici più eminenti, ma
stessi commilitoni. si trattava di una pena “definitiva”. Il suicidio LA MORTE COME SPETTACOLO
era considerato un’onorevole “uscita di scena” Quando si parla di punizioni nell’antica
in situazioni difficili ed era scelto dai nobili Roma, il pensiero corre però alle più
spettacolari e atroci, come la crocifissione
e la damnatio ad bestias. Esse occupano un
posto privilegiato nell’immaginario collettivo,
perché legate ai momenti fondanti del
cristianesimo, e sono state molto utilizzate
al cinema, fin dalle sue origini. Si trattava
di punizioni così crudeli che venivano
comminate solo agli schiavi e agli stranieri.
La crocifissione provoca una morte len-
ta, che poteva durare anche diversi giorni, e
nacque come punizione per briganti o schiavi
ribelli: il fatto che i condannati restassero vi-
sibili a lungo mentre agonizzavano costituiva
un monito per gli altri schiavi. Nel 71 a.C.,
6.000 ribelli seguaci di Spartaco furono cro-
cifissi lungo la via Appia, tra Capua e Roma.
Da allora non vi furono più rivolte servili
nella storia dell’Urbe. La stessa pena veni-
va comminata anche per omicidi, gravi fur-
ti, sedizioni o tradimenti. Degli ultimi due
crimini erano accusati in modo particolare i
cristiani che, rifiutandosi di riconoscere l’auto-
rità dello Stato e la sua religione, turbavano
l’ordine pubblico, infrangendo la pax deorum.
Essere gettati alle “bestie” (animali selvati-
ci genericamente intesi) inizialmente era una
pena legata alla guerra: Lucio Emilio Paolo,
vincitore della Terza guerra macedonica, nel
36 CIVILTÀ ROMANA
PENE E PUNIZIONI
CIVILTÀ ROMANA 37
A.D. 410,
IL SACCO
DI ROMA A lungo alleati di Roma contro gli altri popoli germanici, i Visigoti
di Alarico decisero infine di sfruttare la debolezza
dell’Impero per fare bottino e cercare la strada di nuove conquiste
di Lorenzo Vitali
I
l 24 agosto dell’anno 410 d.C., nel cuore SFREGIO ALL’URBE sediavano), si trattava per tutti di un’eventua-
della notte, i Visigoti comandati da Ala- Nella pagina a lità improbabile, se non impossibile. Eppure,
rico penetrarono nell’Urbe, che tenevano fronte, il sacco di mentre scendeva con il suo esercito verso le
sotto assedio ormai da mesi. Il condottiero Roma in un dipinto mura della Città Eterna, Alarico rispose in
germanico conduceva da anni una continua di Joseph-Noël questo modo a un monaco che lo pregava di
schermaglia contro l’Impero, pur avendo Sylvestre, del 1890. ritornare sui suoi passi: «Qualcosa mi spinge
combattuto più volte al suo fianco, quando Tra il 24 e il 27 a proseguire per questa via, dicendomi “vai a
a guidare gli eserciti di Roma era il vandalo agosto, i barbari Roma, e devasta quella città”».
Stilicone. Era dal 390 a.C., cioè dall’epoca in scatenarono l’inferno
cui i Galli guidati da Brenno avevano invaso nell’Urbe, ai danni di ASTUZIA O TRADIMENTO?
la città, che truppe nemiche non entravano persone e monumen- Come riuscì il condottiero gotico a entrare
più in quella che era considerata la capitale ti, ma per ordine di impunemente in una città fortificata e presi-
del mondo, anche se ormai il vero potere po- Alarico risparmiaro- diata da truppe agguerrite, forse inferiori per
litico si era trasferito a Costantinopoli e a Ra- no i templi cristiani. numero a quelle germaniche, ma certamente
venna. Per quanto la caduta dell’Urbe fosse meglio preparate e motivate? Per capirlo, oc-
temuta (era la terza volta che i Visigoti la as- corre fare un passo indietro e tornare a qual- ›
38 CIVILTÀ ROMANA
EVENTI
CIVILTÀ ROMANA 39
A.D. 410, IL SACCO DI ROMA
RE E GENERALI che mese prima, quando Alarico e i suoi ave- inferiore, con minori possibilità economi-
Sotto, Alarico, re dei vano posto l’assedio. Per garantirsi che Roma che, fu certamente la più colpita. Lo storico
Visigoti. Fu il primo non ricevesse approvvigionamenti greco Olimpiodoro, nella sua opera
della sua gente, divi- di alcun tipo, avevano bloccato Discorsi storici, scritta qualche
sa in tribù governate tutte le vie d’accesso; non decennio dopo i fatti, affer-
da singoli sovrani, solo quelle di terra, ma ma che «in quell’assedio
ad assumere il titolo anche il Tevere, impe- di Roma gli abitanti fu-
regale. A destra, un dendo che qualunque rono ridotti a mangiar-
particolare del sar- genere di rifornimen- si l’un l’altro». Forse si
cofago di Stilicone, to potesse arrivare dal tratta di un’esagera-
generale vandalo mare, cioè da Ostia o zione, ma di certo le
dell’esercito romano dal Porto di Roma. condizioni all’interno
che a lungo tenne Dopo mesi di asse- delle mura dovevano
a bada i Visigoti. In dio, la città venne ri- essere tragiche. Forse fu
basso, una preziosa dotta allo stremo dalla il popolino, ridotto alla
aquila gotica ritrova- carenza di cibo e dalle ma- fame, a decidere di aprire le
ta in Spagna. lattie. Un’epidemia di colera, porte per porre fine alla peno-
veicolata dal caldo e dalle pessime sa situazione. Procopio di Cesarea
condizioni igieniche, contribuì a fiaccare la (490-565) sembra condividere quest’ipote-
resistenza della popolazione. Quella di ceto si, abbellendola di particolari che paiono
romanzeschi (come la figura della “traditri-
ce” e il manipolo di servi che, nottetempo,
avrebbero superato le difese militari inter-
ne per aprire le porte); nella sua Storia delle
guerre scrive: «Alcuni riferiscono che Roma
fu espugnata in questo modo. Proba, donna
eminente e ricca della classe senatoriale ro-
mana, provò pietà per i Romani che stavano
per essere annientati dalla fame e dalle altre
sofferenze che stavano sopportando. Essi già
stavano per mangiarsi l’uno con l’altro; e ve-
dendo che non era rimasta loro alcuna spe-
ranza, poiché sia il fiume che il porto erano
bloccati dal nemico, comandò ai domestici
di aprire di notte le porte».
Lo stesso Procopio fornisce però
anche una seconda versione del-
le modalità che permisero ad
Alarico di entrare in città, e
scrive: «Ora dirò come Ala-
rico espugnò Roma. Non
essendo riuscito a espu-
gnarla con la forza o con
altro mezzo, pianificò il
seguente tranello. Tra i
giovani dell’esercito ne
scelse trecento di buo-
na nascita e di grande
valore e spiegò loro, in
segreto, che stava per donar-
li ai patrizi di Roma come
schiavi. Diede loro l’ordine
40 CIVILTÀ ROMANA
EVENTI
CIVILTÀ ROMANA 41
A.D. 410, IL SACCO DI ROMA
42 CIVILTÀ ROMANA
EVENTI
CIVILTÀ ROMANA 43
POPPEA
BELLEZZA INQUIETA
Esempio di fascino irresistibile, madre di una bambina divinizzata,
moglie adorata del famigerato Nerone: la vera figura di Poppea
resta un piccolo mistero, spesso infamato da storici pieni di rancore
di Edward Foster
S
SEMPRE INSIEME vetonio, storico e raccoglitore di pet- per i bagni di bellezza nel latte d’asina (di
Nel tondo, Poppea tegolezzi, parla della seconda moglie cui ci parla Plinio nella sua Storia naturale),
e Nerone a cavallo di Nerone in questi termini: «Poppea, è davvero difficile dirlo.
in un marmo di Isaia sposata dodici giorni dopo il divorzio da Ot-
da Pisa, databile a tavia, fu da lui [Nerone] amata in modo sin- DONNA MOLTO AMBIZIOSA
metà Quattrocento. golare». Non dice nulla dei suoi presunti vizi Poppea era nata nel 30 d.C., figlia di Tito
Il rapporto fra i due e si limita ad accennare al fatto che era «stata Ollio, che era stato pretore ai tempi di Tibe-
era così stretto che già moglie di un cavaliere romano». rio e amico di Lucio Elio Seiano.
condividevano non Un altro storico, Tacito, usa Quest’ultimo, prefetto del
solo la casa, ma un tono decisamente più pretorio, cioè comandante
anche i divertimenti maligno: «Viveva a Roma della guardia del corpo
(cosa infrequente per Sabina Poppea. Ebbe dell’imperatore, acquisì
le coppie romane). ogni altra dote fuorché un enorme potere du-
Nella pagina a l’onestà. Accattivante nel rante il periodo che Ti-
fronte, la matrona in parlare, possedeva intel- berio trascorse a Capri,
un dipinto francese ligenza non spregevole. tanto da diventare quasi
del Seicento, che ne Affettava contegno, ma era un secondo sovrano. Ti-
mostra in maniera libertina, e non faceva di- berio, convinto che Seiano
esplicita le proverbia- stinzione tra mariti e amanti. aspirasse al trono, lo fece desti-
li grazie muliebri. Dove si prospettava la convenienza, tuire e condannare a morte (era il 31
lì trasferiva la sua passione. Mentre era spo- d.C.). La sua caduta travolse anche il padre di
sata con il cavaliere romano Rufrio Crispino, Poppea, la cui vita politica fu stroncata. Per
da cui aveva avuto un figlio, si lasciò sedurre evitare l’onta, la ragazza assunse il nome del
da Otone, giovane, mondano e accreditato nonno, Gaio Poppeo Sabino, personaggio di
di intima amicizia con Nerone. Fu tutto ra- un certo prestigio, che era stato governatore
pido: dall’adulterio passò al matrimonio». della Mesia (nei Balcani) per diversi anni e
Chi fosse realmente questa donna, celebre console nel 9 d.C.; inoltre, aveva celebrato
44 CIVILTÀ ROMANA
DONNE
UN MARITO E UN AMANTE
Poppea era già sposata con Crispino quando
conobbe Otone, destinato a diventare il suo
secondo consorte. Otone apparteneva a una
famiglia di nobiltà etrusca (era nativo di Fe-
rento), suo nonno era stato senatore e suo pa-
dre amico di Tiberio; entrò presto in contatto
con Nerone e divenne uno dei suoi compagni
di gozzoviglie, favorendo il futuro imperatore
nel suo amore clandestino con la liberta Atte,
malvista da Agrippina. Quando s’invaghì di
Poppea, Nerone obbligò Crispino a divorzia-
re da lei per poterla prendere come amante.
Tuttavia, per rendere la cosa meno scandalosa,
propose a Otone di sposarla. Si era attorno al
58 d.C. e pare che Nerone fosse rimasto abba-
gliato dal fascino di Poppea durante un ban-
chetto. All’epoca, la donna aveva 28 anni e
di certo superava in esperienza (anche erotica)
il pur scaltro imperatore, appena ventunenne.
Un anno più tardi, il principe decise di di-
sfarsi dell’ingombrante madre Agrippina, che
aveva un rapporto decisamente ambiguo con
il figlio; si vociferava addirittura che, per te-
nerlo avvinto a sé e conservare il potere, avesse
tentato di allacciare con lui una relazione in-
cestuosa. Non è escluso che, come sostenuto
da alcuni, anche Poppea abbia avuto una ›
CIVILTÀ ROMANA 45
POPPEA, BELLEZZA INQUIETA
46 CIVILTÀ ROMANA
DONNE
CIVILTÀ ROMANA 47
LA CAVALLERIA
DEI ROMANI
Pur non essendo l’arma preferita della possente macchina da guerra
legionaria, la cavalleria rappresentò sempre un elemento
di forza e velocità da scatenare nei momenti decisivi della battaglia
di Giuseppe Cascarino
48 CIVILTÀ ROMANA
MILITARIA
S
FORZA D’ARIETE econdo la tradizione, Romolo diede bolico, indicativo del livello di ricchezza e di
Con le loro pesanti vita alla prima cavalleria romana con potere di chi lo possedeva, e raramente rive-
cariche, i cavalieri 300 uomini (gli equites), reclutati tra stiva un ruolo tattico durante le battaglie.
catafratti (sotto), il cui i cittadini benestanti che fossero in grado di
nome deriva dal gre- mantenere un cavallo. La proporzione di uno GLI ALLEATI IN SELLA
co e significa “pro- a dieci rispetto alla fanteria rimase sostanzial- Il nerbo della macchina militare romana
tetti fino in fondo”, mente invariata per secoli, quasi a testimo- era e rimase per secoli la legione, che sul
potevano cambiare niare l’estrazione puramente censi- campo di battaglia, grazie alla forza
il risultato di uno taria della cavalleria, nel solco e alla disciplina dei suoi fanti
scontro. Nel tondo, della tradizione di tutto il pesanti, risultava presso-
la lapide funeraria di mondo classico. I cava- ché invincibile.
un cavaliere. Nella lieri, detti anche cele- Sin dai tempi più
pagina a fronte, ca- res, erano organizzati antichi, per le funzio-
valieri leggeri, dalla in 10 squadroni di ni connesse all’im-
Colonna Traiana. 30 uomini ciascu- piego della cavalle-
no, le turmae, po- ria i Romani si affi-
ste ognuna sotto darono soprattutto
il comando di un agli Italici (i socii);
decurione. Il coman- quando costoro non
dante della cavalleria, furono più disponi-
il magister equitum, era bili, poiché avevano
sempre sottoposto al co- ricevuto la cittadinan-
mandante della fanteria. za romana, si rivolsero ad
Sotto il profilo tattico, la altri alleati, con cui affronta-
cavalleria romana, in epoca regia rono le guerre di conquista al di
e per buona parte del periodo repubbli- fuori dell’Italia. Scipione sconfisse Annibale
cano, ebbe compiti con il fondamentale contributo della ca-
di avanguardia, di valleria numidica, ossia nordafricana, dopo
esplorazione e di aver portato dalla sua parte un nemico fino
scorta, ma metteva in ad allora estremamente insidioso; allo stesso
atto anche azioni di modo Cesare sconfisse definitivamente Ver-
disturbo; inoltre, in cingetorige, ad Alesia, anche grazie all’inter-
caso di esito posi- vento della cavalleria mercenaria germanica,
tivo dello scontro, reclutata appena al di là del Reno, a cui ave-
inseguiva il ne- va fornito i propri cavalli.
mico in fuga. In La cavalleria legionaria romana rimase
buona sostanza, sempre quantitativamente contenuta, con
il cavallo serviva compiti di appoggio e di supporto alla le-
soprattutto per spo- gione, tanto che durante il periodo di mas-
starsi rapidamente sul sima espansione dell’Impero, coinciden-
campo di battaglia e per te con le guerre di Traiano, finì quasi per
supportare la fanteria in scomparire, delegando tutte le sue funzioni
difficoltà: in tal caso, una alle formazioni fornite dagli alleati.
volta raggiunto il punto del L’armamento tipico della cavalleria romana
campo di battaglia in cui rimase piuttosto leggero fino al periodo delle
era richiesto il suo interven- Guerre puniche. All’epoca, i cavalieri erano
to, il cavaliere scendeva da ca- privi di corazza e armati con lance sottili e
vallo e combatteva a piedi. fragili, oltre che con un piccolo scudo ro-
I Romani non furono mai tondo fatto di pelle di bue, il popanum, poco
grandi cavalieri. Per loro, come resistente e spesso inaffidabile. Dopo i gravi
per i Greci e gli Etruschi, il rovesci subiti contro le agguerrite cavallerie
cavallo aveva un valore sim- di Annibale, i Romani corsero ai ripari ›
CIVILTÀ ROMANA 49
LA CAVALLERIA DEI ROMANI
50
MILITARIA
tuali. L’altezza al garrese dei cavalli varia- La cavalleria dell’esercito romano pote- CORAZZATURE
va dai 120 ai 140 cm, contro i 160-180 va offrire un’ampia variabilità d’impiego, Al centro, una plac-
cm di buona parte degli esempla- in funzione delle varie ca di bronzo che
ri diffusi attualmente. esigenze. Esistevano ca- serviva a proteggere
L’armamento offensivo più valieri pesanti (i cata- le parti più vulnerabi-
comune era costituito fratti), cavalieri leg- li del cavallo, come
da una lancia (lancea), geri e arcieri a caval- fianchi e ventre.
lunga circa 2 m, che lo, detti hippotoxotai. Nella pagina a fron-
poteva essere scagliata La cavalleria pesan- te, il manichino di un
a breve distanza op- te propriamente detta cavaliere con armi e
pure usata per colpire nacque dalla necessità corazza, conservato
dall’alto verso il basso. di contrastare i cavalieri nel Museo romano
Era molto frequente an- corazzati dei Sarmati sul- di Canterbury.
che l’uso di una faretra appesa alla sella, la frontiera del Danubio. Costoro erano
contenente tre o quattro giavellotti corti (ia- protetti da pesanti corazzature, composte ›
cula), da lanciare a distanza ravvicinata. L’ar-
ma da fianco più utilizzata era naturalmente
la spatha, sottile e lunga dai 65 ai 90 cm,
impiegata per colpire soprattutto di taglio.
La protezione del cavaliere era affidata, ol- LA SELLA
tre che all’elmo e alla corazza ad anelli (lorica
hamata, l’unica in grado di consentire un’a-
deguata capacità di movimento al cavallo), a
uno scudo (clipeus) piatto e leggero, di for-
L a sella a quattro corni (scordiscum) era costituita da un telaio
di legno, rinforzato con profili in bronzo e rivestito di cuoio.
La presenza dei quattro corni, due davanti (inclinati verso l’ester-
ma ovale o esagonale, portato di solito appe- no, a contatto con le cosce del cavaliere) e due dietro (vertica-
so obliquamente alla sella. Altre protezioni li, all’altezza delle reni), aveva lo scopo di facilitare l’equilibrio
erano gli schinieri, che riparavano le gam- di chi montava il cavallo, impedendogli di scivolare dal dorso
be soprattutto negli scontri con la fanteria, dell’animale in seguito a urti o movimenti improvvisi; supplivano
mentre cosce e basso ventre erano coperti da in qualche modo all’assenza delle staffe, ancora sconosciute.
“ali” (pteryges) di cuoio o tessuto imbottito. La sella veniva appoggiata su una gualdrappa (tapetum) e as-
La sella era costituita da una leggera coper- sicurata all’animale con una serie di cinghie ventrali e pettorali.
tura di cuoio (ephippion), che proteggeva Questo tipo di sella appare rappresentata per la prima volta in
parzialmente anche il ventre del cavallo. epoca cesariana, e da allora costituì una dotazione costante per
la cavalleria romana fino all’avvento delle staffe, apparse solo
L’IMPIEGO TATTICO nel VI secolo d.C., ben oltre la caduta dell’Impero d’Occidente.
Il contatto con le valide ed esperte caval-
lerie galliche, contro le quali Cesare dovette
misurarsi arruolando contingenti gallici e
germanici, introdusse una serie di innova-
zioni importanti, tra cui l’adozione della
sella a quattro corni. Anche il resto della
selleria e dei finimenti di epoca imperiale
appare di derivazione o comunque d’in-
fluenza celtica. I Celti, a loro volta, si erano
avvalsi di numerosi elementi e innovazioni
tecniche provenienti dall’Europa centrale,
come per esempio gli speroni (calcaria). An-
che il cavallo era spesso dotato di adeguate
protezioni, in cuoio o metallo, sulla fronte
(prometopidion), sul petto (prosternidion),
sui fianchi (parameridion) e soprattutto nei
punti deboli, come il ventre e le cosce.
CIVILTÀ ROMANA 51
LA CAVALLERIA DEI ROMANI
capistrum
52 CIVILTÀ ROMANA
MILITARIA
pologie di cavaliere. Le corazze ad anelli tesero in legno più semplici, di provenienza orienta- CAVALIERI AMICI
generalmente ad allungarsi fino al ginocchio, le, probabilmente introdotti per la prima volta Nel tondo, un cava-
mentre le parti basse delle gambe dei cavalie- dagli Unni. La loro forma non modificava in liere sannita affresca-
ri, le più vulnerabili all’offesa da parte della modo sostanziale la tecnica equestre dell’epo- to in una tomba di
fanteria, venivano coperte sempre ca, che in assenza delle staffe conti- Nola. La cavalleria
più spesso da protezioni di va- nuava a basarsi su un delicato romana, soprattutto
rio genere, soprattutto a equilibrio del cavaliere sul- all’inizio, era spesso
segmenti metallici. La la sella. L’uso delle staffe composta da ele-
tendenza all’appesan- (skàlai) da parte della menti di altri popoli
timento dell’arma- cavalleria dell’Impero italici, i cosiddetti
tura culminò nel IV Romano d’Oriente socii. Sotto, rilievo
secolo in una mag- si diffuse soltanto raffigurante una
giore aliquota della a partire dalla fine carica di cavalleria
cavalleria catafrat- del VI secolo, a se- romana contro un
ta, potenziata per guito del contatto drappello di soldati
affrontare gli scon- con gli Avari, una barbarici. Nella
tri con l’omologa ca- popolazione noma- pagina a fronte, lo
valleria pesante persia- dica dell’Asia centrale. splendido elmo da
na, ma utilizzata anche La ferratura dei ca- parata di un ufficiale
sui fronti occidentali. valli apparve in forma di cavalleria del
I cavalli dei catafratti veni- piuttosto saltuaria dal IV-V I secolo a.C. (Mu-
vano dotati di una gualdrappa pe- secolo, mentre l’uso dell’ipposanda- seo di Nimega).
santemente corazzata con protezioni a scaglie lo (hipposolea), una sorta di scarpa metallica
metalliche, che avvolgeva quasi interamente assicurata agli zoccoli dei cavalli mediante le-
il corpo del cavallo, lasciando scoperto solo gacci in cuoio, era soprattutto una misura di
lo spazio per il fissaggio della sella. La sella a protezione contro i triboli, i micidiali chiodi a
quattro corni continuò a essere usata fino al V quattro punte seminati sul campo di battaglia
secolo, quando iniziarono a diffondersi modelli per ostacolare cavalli e fanti nemici.
scordiscum
ephippion tapetum
postilena
cingulum
CIVILTÀ ROMANA 53
LA FERTILE SFERZA
I Luperci corrono
per le vie di Roma
fustigando le don-
ne: era un rito di
passaggio stagio-
nale, che scacciava
gli influssi negativi
e attirava la fertilità.
Nella pagina a
fronte, il guerriero
troiano Dolone
travestito da lupo.
54 CIVILTÀ ROMANA
MITOLOGIA
LUPI MANNARI
IN TOGA
Animale totemico della città, a Roma il lupo aveva
anche un lato oscuro: il versipelle, o lupo mannaro. Presente
nel mito, compare nella letteratura grazie a Ovidio
e Petronio, che gli danno i connotati che tutti conosciamo
di Edward Foster
Q
uello dei lupi mannari non è un mito Sembra di assistere alla scena di un film hor-
romantico o moderno: di loro si ror, ma nella letteratura latina ci sono altri epi-
parlava già nell’antichità classica. In sodi simili, tutti molto efficaci dal punto di vista
Grecia era diffuso il racconto di Licaone, cru- drammatico. Della possibilità che un uomo si
dele re d’Arcadia che, durante un tramuti in lupo parlano anche Vir-
banchetto, avrebbe imbandito gilio (70-19 a.C.) nelle Bucoli-
a Zeus le carni di un prigio- che e Properzio (47-15 a.C.)
niero. Inorridito, il dio nelle Elegie. Spesso la
lo trasformò in lupo, trasformazione è conse-
costringendolo a nu- guenza di una maledi-
trirsi di carne umana. zione (come nel caso
Nelle sue Metamorfosi, di Licaone), oppure
il poeta Ovidio (43 dell’intervento di un
a.C.-18 d.C.) descrive maleficio; come quello
così la trasformazio- della Circe di Omero,
ne dell’empio sovrano: che trasforma in maiali
«Una volta raggiunto il i compagni di Ulisse. Vir-
deserto della campagna, si gilio parla del mago Meri,
mette a ululare. Invano si sfor- capace di trasformarsi in lupo
za di emettere parole. La rabbia gli grazie ad alcune erbe magiche: una
sale alla faccia dal profondo del suo essere, e volta mutato, è possibile vederlo «celarsi nel-
assetato come sempre di strage si rivolge contro le selve ed evocare anime dal fondo dei sepolcri».
le greggi, e anche ora gode a spargere sangue.
Le vesti si trasformano in pelame, le braccia IL LEGIONARIO MALVAGIO
in zampe: diventa lupo, ma serba tracce del- Properzio racconta di una strega in grado di
la forma di un tempo: la brizzolatura rimane governare il corso della Luna, avvincere la volon-
la stessa, uguale è la grinta rabbiosa, uguale il tà degli uomini e trasformarsi in un lupo nottur-
lampo sinistro negli occhi, uguale l’aria feroce». no. Queste creature mutanti erano chiamate ›
CIVILTÀ ROMANA 55
LUPI MANNARI IN TOGA
56 CIVILTÀ ROMANA
MITOLOGIA
CIVILTÀ ROMANA 57
CONTRO TUTTI
I VELENI
Spacciata come antidoto universale, la triaca, creata dal medico
di Mitridate, ebbe per secoli grande successo, fino a essere considerata
una panacea universale durante tutto il Medioevo e il Rinascimento
di Elena Guidi
U
n rimedio contro tutti i veleni: era SPEZIALI E FISICI di essere avvelenato, chiese al suo medico di
uno dei sogni dei potenti romani, Sopra, in una preparargli un rimedio capace di neutraliz-
soprattutto imperatori, e di coloro stampa medievale zare qualsiasi tipo di veleno. Il risultato fu
che (familiari, consiglieri, servitori) vivevano tedesca, lo speziale la “triaca” (o “teriaca”), parola che deriva dal
nella loro orbita, in un’epoca in cui morire a (farmacista) e il fisico greco e significa “rimedio”, “antidoto”.
causa di filtri e sieri velenosi non era affatto (scienziato) selezio- Si trattava di un farmaco particolare, com-
inusuale. Il sogno divenne realtà nel I seco- nano gli ingredienti posto mettendo assieme una cinquantina di
lo a.C., probabilmente non a Roma, ma nel per la triaca. ingredienti vegetali, carne di lucertola e miele,
Ponto (l’attuale Turchia settentrionale, sulle per addolcire la miscela e renderla appetibile.
rive del Mar Nero). L’ispiratore di questo ri- Pare che Mitridate assumesse questo farmaco
medio fu il re Mitridate VI che, per paura regolarmente e con successo, tanto che, quan-
58 CIVILTÀ ROMANA
MEDICINA
UN PIZZICO DI VIPERA
La formula della triaca fu quindi portata a
Roma, dove divenne di uso comune. Ma i me-
dici e gli speziali dell’Urbe non si adagiarono sui
successi dei loro colleghi pontici e pensarono di
perfezionare la miscela. A richiedere loro que-
sto intervento fu Nerone, che, proprio come
Mitridate, temeva fortemente di essere avve-
lenato. L’imperatoe chiese al proprio medico,
Andromaco, di creare un antidoto ancora più
potente dell’originale. Alla formula mitridatica
(che conteneva, tra le erbe e le sostanze vegeta-
li, anche mirra, incenso, timo, succo d’acacia,
finocchio, anice e cannella), Andromaco ag-
giunse una decina d’ingredienti, tra cui spicca-
vano l’oppio (ricavato dal lattice del papavero)
e la carne di vipera. All’epoca, infatti, si credeva
che un animale velenoso contenesse all’interno
del corpo l’antidoto al veleno che aveva in sé;
di conseguenza la carne di vipera sarebbe stata giorni prima di essere portata a compimento. DONNA E MEDICO
un eccellente antidoto agli attentati perpetrati Andromaco, primo archiatra (medico di Sopra, la cosiddetta
con il suo veleno. Non solo: la sostanza letale corte) di Roma, lasciò le istruzioni per la pre- “Bella profumie-
che, secondo le conoscenze di allora, era conte- parazione della triaca in un poemetto (che ra” in un affresco
nuta nella carne della vipera avrebbe cercato di però, secondo alcuni, fu redatto dal figlio, del I secolo d.C.
penetrare il corpo di chi l’assumeva, portando Andromaco il Giovane). Aver scritto la for- conservato al Museo
con sé anche il farmaco e rendendo la mula in versi e non in prosa servi- nazionale romano:
nuova triaca ancora più efficace. va, secondo Galeno (il celebre potrebbe trattarsi di
Oltre agli ingedienti già medico del II secolo), a me- una donna medico
citati, la pozione contene- morizzarla meglio e a fare in nell’atto di versare un
va cinnamomo, liquirizia, modo che non venisse altera- composto. Le donne
semi di rapa, resine varie, ta da interventi successivi. medico (medicae)
zafferano, nardo, pepe nero, Circa l’efficacia della triaca, non erano rare a
dittamo (simile all’origano), occorre dire che nessuno dei Roma. A sinistra,
lavanda selvatica, passiflora, suoi ingredienti ha effetto an- vaso rinascimentale
cardamomo e bitume giudai- tivenefico. La carne di vipera, per conservare la
co (una miscela di bitume, che nella soluzione di Andro- triaca: il successo del
essenza di trementina e argil- maco risulta essere l’ingre- farmaco durò secoli.
la). Il tutto veniva polveriz- diente principale, non ha
zato in un mortaio di ferro, alcuna efficacia terapeutica,
mescolato in modo complesso mentre alcuni ingredienti sono
e ridotto a forma solida o liqui- solo sedativi. Il più efficace è
da dopo un processo di fermenta- l’oppio, che riduce il dolore ma non
zione. La preparazione richiedeva combatte alcun tipo di veleno.
CIVILTÀ ROMANA 59
TONSOR,
BARBIERE
E ARTISTA
Pratica quotidiana per tutti i cittadini romani di un certo rango,
la rasatura era un’operazione apparentemente semplice
(ma non priva di rischi), affidata ad autentici artisti del rasoio
di Giacomo Alibrandi
N
ei primi secoli della LAME E LAMETTE tutto per evidenziarne la gio-
Repubblica, la cura A sinistra, un rasoio vinezza, che rendeva ancora
della barba e dei ca- da barba: proba- più divina la sua straordinaria
pelli non era certamente una bilmente aveva avventura umana, compiu-
delle preoccupazioni mag- un’impugnatura di tasi nel giro di tre sole de-
giori degli uomini dell’Ur- osso o di legno, cadi. Tutte le sue immagini,
be. Patrizi e plebei, in- andata perduta. siano esse statuarie, musive,
distintamente (come gli A destra, un paio di pittoriche o numismatiche,
antichi Greci), avevano la forbici: la foggia era lo mostrano sbarbato: una
barba e si facevano rego- la stessa di quelle prerogativa del dio solare
lare i capelli solo per non usate per tosare Apollo, con cui il macedone
avere un aspetto troppo capre e pecore. venne identificato.
scarmigliato. La moda del La moda del rasoio si
volto glabro sopravvenne solo diffuse prima in Grecia e
in epoca alessandrina, cioè dopo poi a Roma, quando gli
il 300 a.C. Alessandro Magno Ellenici cominciarono
venne eternato dall’iconografia a trasferirsi nell’Urbe.
con il volto imberbe, soprat- Pare che uno dei primi
60 CIVILTÀ ROMANA
VITA QUOTIDIANA
UN LAVORO PERICOLOSO
Nel I secolo, il viso ben
rasato e un taglio di capel-
li ordinato erano la norma
per i maggiorenti romani
(basti pensare alle imma-
gini di Mario, Silla o Ci-
cerone), sebbene qualche
senatore, richiamandosi
al costume dei padri, con-
tinuasse a portare la barba.
Svetonio descrive con tono
irriverente Gaio Giulio Cesa-
re: «Non solo si faceva tagliare
i capelli e radere, ma si depi-
lava, come gli fu da alcuni rim-
proverato: non si dava poi pace della
sua calvizie, e perciò si era abituato a
tirare giù dal cocuzzolo i radi capelli».
Come si vede, vezzi e crucci degli uo-
mini di una certa età erano gli stessi di
oggi e l’escamotage del riporto era già am-
piamente in uso. Poiché le richieste
della popolazione maschile erano
queste, esistevano professio-
nisti della rasatura e
del taglio: i tonso-
res. I più ricchi
avevano un ton-
sor personale, che
lavorava in casa,
come un dome- BEN RASATO
stico: ci si affidava alle Caracalla (188-217
sue mani sia alla mattina, appena d.C.) con il volto
dopo la sveglia, sia durante la giornata, perfettamente rasato
se gli impegni lo richiedevano. Tuttavia, e i capelli cortissimi.
quello del tonsor personale non era il caso A sinistra, un rasoio
più comune. I barbieri lavoravano normal- a mezzaluna.
mente nelle tabernae, cioè nei loro laboratori,
e accoglievano la clientela più disparata. ›
CIVILTÀ ROMANA 61
TONSOR, BARBIERE E ARTISTA
62 CIVILTÀ ROMANA
VITA QUOTIDIANA
CIVILTÀ ROMANA 63
LUCREZIO
POETA FILOSOFO
Celebrato subito dopo la morte ma quasi sconosciuto in vita, Lucrezio
ha lasciato alla letteratura latina uno dei poemi più grandiosi:
un’opera filosofica originalissima, capace di attraversare tempo e spazio
di Stefano Bandera
È
possibile tradurre in poesia un pensiero VENERE MADRE il suo celeberrimo poema filosofico in versi
filosofico? Gli antichi ritenevano di sì. La nascita di Venere De rerum natura (Sulla natura delle cose o, più
Due filosofi presocratici, Parmenide ed in un affresco di semplicemente, La natura).
Empedocle, vissuti fra il VI e il V secolo a.C. Pompei. Il poema
(uno della campana Elea, l’altro di Agrigen- lucreziano si apre UN’ESISTENZA MISTERIOSA
to), scrissero i loro trattati in versi, scegliendo con un’invocazione Quasi nulla si sa della vita di Lucrezio. Un
entrambi lo stesso titolo: Sulla natura (Perí alla forza ispiratrice passo del Chronicon, scritto da san Girolamo
physeos, in lingua greca). Quattro secoli più della dea. attorno al 380 d.C., riporta questa notizia re-
tardi, sulle loro tracce si mise uno dei più lativa al 94 a.C.: «Nasce il poeta Tito Lucre-
grandi poeti latini, Lucrezio, per comporre zio, che in seguito, impazzito per effetto di un
64 CIVILTÀ ROMANA
LETTERATURA
filtro d’amore, dopo aver scritto negli inter- amante della poesia (forse poeta egli stesso), POETA ERCULEO
valli di lucidità alcuni libri, che Cicerone ri- a cui Lucrezio dedicò il poema. Memmio A sinistra, incisione
vide per la pubblicazione, si uccise di pro- fu amico anche di Catullo, altro grande da un’edizione
pria mano all’età di 44 anni». L’anno lirico, e con lui compì un viaggio rinascimentale del
di morte sarebbe quindi il 50 a.C. in Bitinia, nel Nordovest dell’at- De rerum natura.
Elio Donato, grammatico del tuale Turchia. Fedele a Pom- Riscoperto nel
IV secolo, precisa però che peo nella lotta contro Cesare Quattrocento dagli
Lucrezio sarebbe morto lo e genero di Silla, Memmio umanisti fiorentini,
stesso giorno in cui un al- venne esiliato in Grecia at- il poema ebbe un
tro poeta, Virgilio, indossò torno al 53 a.C., dopo successo straordina-
la toga virile, quindi nel 55 essere stato coinvolto in rio e contribuì a far
a.C. Si tratta di differenze un episodio di corruzione. conoscere la filosofia
di poco conto: il periodo in Altro, della vita del poeta, epicurea anche a chi
cui si svolse la vita di que- non si sa, ma molti auto- non sapeva il greco.
sto grande pensatore e poeta ri latini (Plinio il Vecchio, Nell’immagine,
rimane comunque quello in- Seneca, Tacito) ne citano il Lucrezio è rappre-
tercorso tra la fine delle guerre nome. In alcuni versi della sentato come Ercole
civili e l’affermazione del pri- sua opera Amores, Ovidio dice che, ispirato dalle
mato di Giulio Cesare. esplicitamente che «i carmi del Muse, sconfigge con
Di sicuro Lucrezio conobbe Ci- sublime Lucrezio periranno» solo la ragione il drago
cerone, che parla di lui e della sua poe- il giorno della fine del mondo. Si trat- della superstizione.
sia in maniera estremamente positiva in una ta di pochi accenni fugaci, ma sufficienti a
lettera spedita al fratello. Altro suo amico fu cancellare l’ipotesi che il poeta fosse un per-
Gaio Memmio, uomo politico, senatore e sonaggio fittizio, dietro il quale si sarebbe ›
CIVILTÀ ROMANA 65
LUCREZIO, POETA FILOSOFO
66 CIVILTÀ ROMANA
LETTERATURA
CIVILTÀ ROMANA 67
NUOVE
SCOPERTE A
POMPEI A duemila anni di distanza dall’eruzione
che sconvolse la città, Pompei continua a restituire
tesori e sorprese, che ne svelano il vero volto
di Elena Percivaldi - foto del Parco archeologico di Pompei
A
ffreschi, mosaici, iscrizioni, oggetti, abitanti di Stabia con le navi della flotta misena.
resti umani e animali. Sono tante le Solo nel Settecento la tragedia assunse i con-
scoperte (alcune clamorose) che han- torni del dramma “vero”, vivo e palpitante. Cor-
no riportato l’attenzione sull’eruzione che nel reva l’anno 1710 quando un contadino di Erco-
79 d.C. distrusse Pompei, Ercolano e lano trovò per caso alcuni frammenti di
altre località intorno al Vesuvio, marmo: appartenevano al teatro
cancellandole per sempre dalla dell’antica città sepolta dai la-
Storia. L’evento è ben pre- pilli. Una quarantina d’anni
sente nelle fonti antiche dopo, gli scavi promossi
e non ha mai smesso di dal governo borbonico
affascinare e terrorizzare, riportavano alla luce
come ogni fenomeno le- Pompei, all’inizio ritenu-
gato alla forza della na- ta (erroneamente) Stabia
tura: incontenibile, im- e poi identificata grazie
prevedibile, ineluttabile. a un’iscrizione. Da allora, DOLCE RITRATTO
Il ricordo è rimasto confi- pur tra mille difficoltà e in- Nel tondo, un ritratto
nato per secoli alla sola dimen- terruzioni (l’Unità d’Italia, i di donna recente-
sione letteraria, rappresentata in bombardamenti della Seconda mente riscoperto a
massima parte dalle due lettere di guerra mondiale, la cronica mancan- Pompei: una fanciul-
Plinio il Giovane all’imperatore Traiano, in za di fondi), gli scavi sono proseguiti, con- la fine, elegantemen-
cui lo scrittore descriveva la sua fuga dall’eru- tribuendo a fare delle località vittime del Vesuvio, te acconciata, con
zione e la morte del celebre zio naturalista, Pli- e di Pompei in particolare, dei luoghi-simbolo. orecchini preziosi.
nio il Vecchio, nell’eroico tentativo di salvare gli Sono le uniche località al mondo dove si possa
68 CIVILTÀ ROMANA
LUOGHI
davvero respirare l’astmosfera di una città roma- dagato, che sta riservando moltissime sorprese. SECOLI DI SCAVI
na, e per questo sono diventate meta irrinuncia- La novità più clamorosa è senz’altro l’iscrizione Mappa di Pompei
bile del turismo di massa, grazie a innumerevoli a carboncino emersa nella stanza di una domus risalente al 1832.
dipinti, romanzi, film e sceneggiati. e datata al sedicesimo giorno prima delle calen- Gli scavi, iniziati
de di novembre, corrispondente al 17 ottobre. nel 1748, hanno
LA REGIO V, SCRIGNO DI SORPRESE Il graffito avvalorerebbe l’ipotesi, già formulata interessato finora
Gran parte dei ritrovamenti degli ultimi tem- dagli studiosi, secondo cui l’eruzione non sareb- circa 50 ettari
pi si è concentrata nella cosiddetta Regio V, un be avvenuta il 24 agosto, come tramandato dalla di terreno.
quartiere di Pompei in gran parte ancora non in- tradizione manoscritta delle lettere di Plinio il ›
CIVILTÀ ROMANA 69
NUOVE SCOPERTE A POMPEI
MACABRI RESTI
La stanza del graffito appartiene a una do-
mus ribattezzata dagli archeologi Casa del
Giardino. Il suo interno, oltre al bel portico
affrescato e a vari ambienti decorati, ha rega-
lato una macabra scoperta: i resti di almeno 5
individui, due donne e tre bambini. Gli sfor-
tunati pompeiani si erano rifugiati nella stanza
più riparata della casa, l’unica ad aver resistito
alla pioggia di lapilli. Uno sforzo vano, per-
ché durante la seconda fase dell’eruzione le
correnti piroclastiche travolsero gli ambienti
della dimora, provocando il crollo del tetto e
della parte superiore del muro, uccidendo tutti
i presenti. I resti giacevano confusi sul pavi-
mento, trascinati senza riguardo da tombaroli
entrati alla ricerca degli oggetti preziosi che le
vittime avevano radunato nel disperato tenta-
tivo di salvarli prima di fuggire.
Un dramma, quello delle fughe non riuscite,
testimoniato anche dai resti di un uomo (dap-
prima lo scheletro, poi anche il cranio) riemersi
tra il vicolo delle Nozze d’Argento e il vicolo
dei Balconi. L’individuo era sepolto da un gros-
70 CIVILTÀ ROMANA
LUOGHI
MOSAICI SPETTACOLARI
Sempre nella Regio V, poco lontano dalla
Casa del Giardino, si trova un’altra domus
inedita, la Casa di Giove, contenente ambien-
ti affrescati e una serie di mosaici pavimentali
dalle raffigurazioni uniche e senza precedenti.
Ribattezzata così per l’affresco del larario po- Primo stile (II secolo a.C.), con riquadri in STORIA DI LEDA
sto in giardino, in cui è raffigurato il padre stucco che imitano lastre marmoree (crustae) Sopra, l’affresco
degli dei, la domus era già stata parzialmente dipinte a colori vivaci (rosso, nero, giallo, raffigurante il mito di
interessata da scavi ottocenteschi. Prima an- verde), e cornici con modanature dentellate. Leda, ingravidata da
cora, una serie di cunicoli praticati dai tom- L’atrio era probabilmente completato, nella Giove sotto forma di
baroli ne avevano compromesso in più punti parte superiore, da un fregio dorico in stucco cigno. Sulla parete
la struttura. Gli scavi dei mesi scorsi hanno con rifiniture blu e rosse, attestato dai nume- perpendicolare si
riportato alla luce, oltre a varie ceramiche e rosi frammenti rinvenuti. Ma la scoperta più nota anche un gra-
oggetti metallici, gran parte della signorile clamorosa riguarda gli spettacolari mosaici zioso amorino. Nella
abitazione: una classica domus con atrio cen- che ornano il pavimento di due ambienti: pagina a fronte,
trale circondato da stanze decorate, ingresso raffigurazioni di eccezionale qualità artistica e particolare di un
lungo il vicolo dei Balconi e sul fondo uno prive di precisi riscontri, tanto da spingere gli affresco nella Casa
spazio aperto colonnato su cui si affacciano al- archeologi a ipotizzare che si riferiscano a miti del Giardino.
tri tre ambienti. L’atrio e le stanze conservano poco rappresentati e di carattere astrologico.
ancora una ricca decorazione nel cosiddetto Un unicum, insomma, ancora tutto da stu- ›
QUEL GRAFFITO
CHE RISCRIVE LA STORIA
CIVILTÀ ROMANA 71
NUOVE SCOPERTE A POMPEI
AFFRESCHI PICCANTI
Ulteriori affreschi, di tema decisamente pic-
cante, sono stati riportati alla luce in altre due
dimore di pregio che si affacciavano su via del
Vesuvio. Il primo, nell’ingresso di una domus,
rappresenta Priapo nell’atto di pesare il suo gros-
so membro su una bilancia: un tema ben noto
a Pompei e presente nella famosa raffigurazione
che campeggia all’ingresso della Casa dei Vet-
tii. Dio della mitologia greca e romana, secon-
do buona parte delle fonti, Priapo era figlio di
Venere e Dionisio, oppure di Venere e Giove.
Giunone, moglie di quest’ultimo, gelosa del suo
rapporto adulterino con la dea della bellezza, si
vendicò dando a Priapo un aspetto grottesco,
con organi genitali enormi. Il fallo, origine della
vita, era ritenuto dagli antichi Romani un sim-
bolo apotropaico: lo utilizzavano spesso contro
il malocchio o per auspicare fertilità, benessere,
buon commercio e ricchezza. Oltre al Priapo, la
domus ha restituito altri ambienti decorati, tra
cui svettano una parete con un volto di donna
entro un clipeo (scudo), e un cubicolo (stanza
da letto) decorato con una raffinatissima corni-
ce superiore e due pinakes (quadretti) nella par-
72 CIVILTÀ ROMANA
LUOGHI
te mediana: l’uno con paesaggio marino, l’altro re (all’epoca non si usavano ancora le staffe). DEI E DESTRIERI
con una natura morta, affiancati da animaletti. Selle dello stesso tipo sono documentate nel Nel tondo, un mo-
Altri due affreschi sono riemersi in un’abita- mondo romano a partire dal I secolo d.C., in saico della Casa di
zione attigua a quella del Priapo: raf- particolare in ambito militare. Le Giove, con raffigura-
figurano l’uno Narciso nell’atto giunzioni ad anello erano quat- zioni mitiche ancora
di specchiarsi, l’altro il mito tro per ogni bardatura e ser- da decifrare. Sotto,
di Leda e il cigno, anch’es- vivano a collegare le diver- uno dei cavalli
so popolare a Pompei e se cinghie di cuoio usate ritrovati in una stalla:
attestato da diverse ico- per bloccare la sella sul i resti della ricca
nografie. Quest’ultima dorso dell’animale. bardatura hanno
scena, carica di sensua- Le tracce di fibre ve- fatto ipotizzare che
lità, rappresenta con getali trovate dietro la appartenesse a
grande perizia pittorica il schiena di uno dei cavalli un ufficiale. Nella
congiungimento tra Gio- lasciano ipotizzare la pre- pagina a fronte, af-
ve, trasformatosi in cigno, senza di un drappo o di un fresco riproducente
e Leda, moglie di Tindaro, re mantello, e nello spazio tra le Narciso, venuto alla
di Sparta. Dal doppio amplesso zampe posteriori e anteriori un luce nei nuovi scavi
della donna, prima con il dio e poi calco fa pensare all’antica esistenza presso la Regio V.
con il marito, sarebbero nati i gemelli Castore di una sacca. Con ogni probabilità si trattava
e Polluce (i Dioscuri), Elena (futura moglie di quindi di bardature militari da parata: anche
Menelao, re di Sparta, e causa della guerra di in questo caso, un ritrovamento rarissimo.
Troia) e Clitennestra, poi sposa (e assassina) di
Agamennone, re di Argo e fratello di Menelao.
Infine, a poca distanza dalla domus è tornata alla
luce la parte superiore di una fontana, o di un
ninfeo, decorata con tessere vitree e conchiglie.
CAVALLI DI RAZZA
Ma non sono soltanto le domus del centro
cittadino a riservare sorprese. Nella zona di
Civita Giuliana, sita a nord, fuori dalle mura
del sito archeologico, è stata rinvenuta un’am-
pia villa suburbana conservata in maniera ec-
cezionale. Al suo interno diversi reperti (an-
fore, utensili da cucina, parte di un letto in
legno di cui è stato possibile realizzare il calco)
e, soprattutto, una stalla contenente i resti di
tre cavalli di razza, di cui uno con ricca bar-
datura militare. Si trovavano nei pressi di una
mangiatoia alla quale almeno uno di essi era
stato legato, e da cui aveva cercato invano di
liberarsi, terrorizzato dall’eruzione. Ciò che
resta della bardatura comprende cinque ele-
menti di bronzo: quattro sono frammenti di
legno rivestiti di lamina metallica a forma di
mezzaluna, mentre il quinto è formato da tre
ganci con rivetti, collegati da un anello a un
disco. La forma e la posizione hanno suggeri-
to che facessero parte del tipo di sella definita
“a quattro corni”, formata da una struttura di
legno con quattro propaggini (due anteriori e
due posteriori), che davano stabilità al cavalie-
CIVILTÀ ROMANA 73
GLI SPLENDORI DI
ERCOLANO Ritrovati sotto le ceneri dell’eruzione che seppellì la città
nel 79 d.C., questi splendidi gioielli ci restituiscono
un’immagine viva degli antichi ercolanesi: opulenti e gioiosi
di Maddalena Freddi - foto del Parco archeologico di Ercolano
S
ORO E PIETRE ono bellissimi, raffinati, unici. I pre- migliaia di persone. La collezione che viene
Sopra, una serie di ziosi monili ritrovati a Ercolano rap- messa in mostra in SplendOri. Il lusso negli
anelli esposti alla presentano molto di più che la sem- ornamenti ad Ercolano (nell’Antiquarium del
mostra, alcuni impre- plice testimonianza dell’agiatezza e del gu- Parco archeologico) raccoglie circa un cen-
ziositi da pietre dure. sto dei loro proprietari. Sono un’altra voce, tinaio di gioielli, monete, gemme, arredi e
Sotto, un bracciale in gran parte sconosciuta, che racconta le altri costosi oggetti appartenuti agli antichi
lavorato a coppelle, drammatiche ore di quel giorno di ottobre ercolanesi. Alcuni di essi sono stati ritrovati
di cui si nota l’inge- del 79 d.C. (la data, sembra ormai certo, va insieme ai loro proprietari, morti durante la
gnosa chiusura. spostata dall’estate all’autunno), quando il fuga, mentre cercavano invano di mettersi in
Vesuvio eruttò distruggendo Pompei, Erco- salvo dalla catastrofe; altri, invece, sono rie-
lano, Stabia e Oplontis, e con esse le vite di mersi dall’interno delle case, dove erano stati
abbandonati nella concitazione di quelle ore.
74 CIVILTÀ ROMANA
MOSTRE
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SplendOri.
menti ad Ercolano
Il lusso negli orna logico di Ercolano.
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UN’ESPERIENZA INTERATTIVA
Arredi, ornamenti e strumenti di lavoro,
decorazioni, mobili e moltissimi resti or-
ganici provenienti dalle case, dalle strade
e dalle mense degli antichi ercolanesi tor-
nano così a raccontare finalmente la loro
drammatica storia. Nella mostra, curata da
Marina Caso, il visitatore può anche fruire
di un’esperienza davvero unica: sarà infatti
CIVILTÀ ROMANA 75
IL DADO Il divertimento dei Romani non era fatto solamente
di ludi gladiatori o corse delle bighe, ma anche di giochi semplici.
Come i dadi, su cui si scommettevano cifre cospicue
di Eugenio Anchisi
G
randi amanti delle gare da imperatori famosi come Augusto, Claudio e
circo e degli spettacoli d’a- Nerone), nonostante le leggi impedissero que-
rena, i Romani nutrivano sto tipo di divertimento, consentito soltanto
anche la passione per i giochi durante i Saturnali, le feste che segnavano il
casalinghi, molti dei qua- passaggio dal vecchio al nuovo anno. Tra i gio-
li sono arrivati fino a chi su cui si scommetteva, i più diffusi erano
noi. Inoltre, erano forti probabilmente i dadi e gli astragali. Questi ul-
scommettitori (inclusi timi, chiamati anche aliossi, si ricavavano da-
gli ossi delle articolazioni posteriori di pecore
e montoni. La loro conformazione naturale,
arrotondata alle estremità, li rendeva adatti a
essere lanciati, proprio come i dadi, con la dif-
ferenza che gli astragali potevano ricadere su 4
facce anziché su 6. Ogni faccia aveva un valo-
re diverso (“1”, “3”, “4”, “6”) ed era possibile
ottenere differenti combinazioni numeriche.
Si giocava con quattro astragali (cinque, in al-
cune varianti) e la combinazione più alta era
il cosiddetto “colpo di Venere”, che consisteva
nell’ottenere quattro facce diverse nello stesso
lancio. Il colpo peggiore, invece, era chiama-
to “colpo del cane” (forse tutti “1”). Oltre agli
astragali in osso, ne esistevano di terracotta,
avorio, argento e oro. Si trattava di un gioco
molto diffuso anche tra i bambini.
76 CIVILTÀ ROMANA
GIOCHI
CIVILTÀ ROMANA 77
GLI ACQUEDOTTI
NEWS ROMANI
S.P.Q.R. NEWS
LE ULTIME NOTIZIE DAL MONDO ROMANO
IL MAUSOLEO
DI PLANCIA MAGNA UNA TOMBA
PER I FULMINI
Da poco scoperto in Turchia
L
Antalia, una vera autorità cittadina, a cui a prima a essere scoperta, qual- prese non finiscono qui, perché sono
furono dedicate diverse statue. Dentro il che tempo fa, fu la caserma di state rinvenute anche due “sepolture
mausoleo sono state ritrovate iscrizioni una guarnigione imperiale del di fulmini”. Nell’antica Roma, infatti,
relative alla sua vita e a quella dei fami- III secolo d.C. Accanto a essa, quando era usuale seppellire oggetti che fosse-
liari, utili a ricostruirne la storia. il cantiere della stazione Amba Ara- ro stati colpiti da saette. Si trattava di
dam, sulla linea della metropolitana un “patteggiamento” con la divinità,
C di Roma, riprese i lavori (era l’e- compiuto da un sacerdote chiamato
state scorsa), è apparsa la cosiddetta fulgurarius, e aveva lo scopo di placare
Domus del Centurione: una dimora il nume che aveva scagliato lo strale.
sontuosa, abitata con ogni probabi- Dentro le due sepolture sono stati rin-
lità dal comandante del castrum. Si venuti macerie, legni e un chiodo in
tratta di scoperte inusuali, perché ferro. Sulle cassette che contenevano i
non è facile trovare una caserma di 40 materiali colpiti dal fulmine compaio-
ambienti, con pavimenti e affreschi in no scritte che non hanno lasciato dub-
ottimo stato di conservazione. bi agli archeologi: una dice “Fulgur
Ma ancor più raro è individuare la conditum”, l’altra “Folgor conditum”.
casa del comandante militare, un’abita- La tradizione di seppellire oggetti
zione di 300 mq. Ben 14 stanze, dispo- colpiti da fulmini risaliva all’Età del
ste attorno a un cortile al cui centro bronzo, quando si delimitava con un
sorgeva una fontana. Anche qui, come recinto sacro il luogo dov’era avve-
nella caserma, sono stati ritrovati nuto il contatto con la saetta. Veniva
mosaici pregevoli, in pietra bianca e poi scavato un pozzo, in cui si gettava
grigia (sopra, un esempio). Ma le sor- tutto ciò che era stato colpito.
78 CIVILTÀ ROMANA
NEWS
(QUASI) IN ETERNO
Il ritrovamento in Inghilterra
C
he cosa rende le costruzioni ro- e acqua con cui venivano realizzate le vo visto guantoni romani scolpiti e dipin-
mane, molte delle quali hanno opere. Secondo lo studio, l’ingrediente ti, ma avere il privilegio di trovarne due
ormai più di duemila anni, così fondamentale del processo che rende di vero cuoio è assolutamente speciale»
straordinariamente resistenti e duratu- pressoché indistruttibili le strutture ha dichiarato Andrew Birley, direttore
re? Che i nostri antenati custodissero dei porti romani è l’acqua di mare, degli scavi archeologici di Vindolanda.
ancora alcuni dei loro segreti tecnologi- capace di dare origine a cristalli rari
ci era certo, ma le indagini condotte non e dalle forme inusuali. Studi condotti
erano mai riuscite a scoprirli. Oggi, gra- sull’antico Portus Cosanus, a Orbetel-
zie a uno studio realizzato dall’Univer- lo, hanno permesso di notare che ul-
sità dello Utah e diretto dalla geofisica teriori cristalli si erano formati all’in-
Marie D. Jackson (che l’ha pubblicato terno della struttura e dentro le sue
sulla rivista «Mineralogist»), si è forse crepe, a dimostrazione che la reazio-
giunti a capo del problema. ne con l’acqua salata continua anche
Come aveva già notato Plinio il Vec- dopo che il calcestruzzo ha fatto presa.
chio nella sua Storia naturale, le struttu- I cristalli rendono più forte il cemento
re romane realizzate nei porti e bagna- e aumentano la resistenza del calce-
te dal mare «diventano una massa uni- struzzo. «Questo processo sarebbe ne-
ca in pietra, inespugnabile alle onde e gativo per i materiali di oggi» spiega
ogni giorno più forte». Studiando vari la Jackson, «invece per quelli dei tempi
tipi di costruzioni antiche, la Jackson antichi funzionava a meraviglia. Non
è arrivata alla conclusione che il se- è detto che si possa applicare tale for-
greto è da ricercare nella perfetta mi- mula anche alle realizzazioni moder-
scela fra cenere vulcanica, malta, tufo ne, ma di certo vogliamo provarci».
CIVILTÀ ROMANA 79
GLI ACQUEDOTTI ROMANI LIBRI MOSTRE FILM
LIBRI | IL DONO DI AFRODITE, L’EROS NELLA LETTERATURA E NEL MITO IN GRECIA E A ROMA
Uomini, bestie, dei: nessuno riesce a resistere al potere di Afrodite (Venere, per
i Romani), la dea dell’amore nata dalla spuma del mare fecondato dai genitali di
Urano (a strapparglieli fu il figlio, Crono). Le conseguenze del suo dono magni-
fico, cioè l’amore in tutti i suoi aspetti, sia carnali che spirituali, vengono raccon-
tate, a volte anche in maniera assolutamente esplicita, nelle più famose storie d’a-
more delle letterature antiche: dall’epica alla lirica, dalla tragedia alla commedia,
dalla filosofia al romanzo, in un viaggio affascinante che comincia con Omero
e termina con la fine del mondo classico. Senza questa bellissima divinità, del
resto, che cosa ci rimarrebbe della grandezza del mito antico? Il libro propone un
suggestivo ed esauriente percorso nell’universo della dea, tanto onorata e lodata
da Greci e Romani (dei quali era diretta progenitrice, essendo madre di Enea), alla
scoperta dell’amore, a volte donato e a volte rubato, in un mosaico di avventure
dove la conturbante divinità non smette mai di sorridere della nostra ingenuità.
Girato nel 1969 da Guido Malatesta, regista specializzato in film scollacciati (suoi
sono anche Samoa, regina della giungla e Tarzana, sesso selvaggio), Le calde notti di
Poppea si inserisce in quel filone di lungometraggi “storici” che usano un nome noto
al pubblico per i suoi presunti vizi e licenziosità, con lo scopo di costruire uno spetta-
colo che di storico ha, in realtà, poco o nulla. Interpretato dalla cecoslovacca Olinka
Berova, il film tratteggia un’improbabile Roma imperiale in cui Poppea, campagno-
la arrivata in città, finisce inavvedutamente in un bordello dove dà inizio alla sua
ascesa sociale. S’innamora del console Claudio Valerio, uomo integerrimo, che la
rifiuta. Quindi fa da modella per una statua di Venere ordinata dall’imperatore e in-
fine sposa il figlio del senatore Tarquinio. Ma il suo destino è di diventare imperarice
fra le braccia di Nerone, anche se il suo cuore continua a battere per il bel Claudio
Valerio. Nonostante tutto, la pellicola presenta momenti alti e scene suggestive.
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IN GUERRA
TRA MITO E REALTÀ CON CARTAGINE
E
sisteva davvero il cosiddetto saluto ro-
mano? Stando agli studiosi, pare non vi
La straordinaria avventura
siano evidenze iconografiche tali da farci di Annibale nelle parole
credere che gli antichi Romani salutassero te- dello storico Cornelio Nepote.
nendo il braccio alzato, disteso e con la mano al-
lungata in avanti. Tuttavia si praticava certamente
un saluto a braccio alzato, anche se con il gomito ANTONIO
piegato e il palmo della mano leggermente rivolto verso
colui o coloro che si intendeva salutare (a destra, la statua
E CLEOPATRA
dell’Arringatore, del II-I secolo a.C.). Il gesto, in uso ancora Il tragico destino di due
oggi, è del tutto naturale. Mostrare il palmo della mano era amanti uniti dal potere.
anche un segno di pace e sollevare la destra un modo per
rendere onore, mostrare fedeltà e amicizia o esprimere un
giuramento. In alcuni rilievi, come nella Colonna Traiana, MACCHINE
si vedono personaggi con il braccio sollevato e quasi teso,
ma non pare si trattasse di un gesto codificato. Quando si
DA GUERRA
incontravano per strada, i Romani si salutavano piuttosto Le formidabili tecniche
con un’esclamazione (ave o salve, che significano, rispettiva- d’assedio dei legionari.
mente, “stammi bene” e “salute”). La stretta di mano era poco
usata (ma era un gesto tipico di quanti professavano il culto di
Mitra), mentre si preferiva tendere la mano leggermente solle- LA DOMUS
vata e alzare l’indice: anche questo un segno beneaugurante, che La fastosa casa dei patrizi
Sallustio chiama digitus salutaris, il “dito del saluto”.
Baci e abbracci entrarono in uso solo in epoca imperiale, men- e dei cittadini ricchi di Roma.
tre pare che tra militari si usasse già una forma di saluto simi-
le a quella moderna, con la mano destra alzata alla fronte (anche
questo gesto compare su alcuni rilievi). Generalmente si ritiene che
GLI SPECCHI
quest’ultima usanza sia invece medievale, derivata dal gesto di solleva- Magnifici oggetti di lusso
re la visiera dell’elmo per salutarsi fra cavalieri mostrando il volto. per la vanità delle matrone.
CIVILTA
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