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Francesco Panizzoli*

VERSO UNA ONTOLOGIA FORMALE“TOMMASIANA”:


LA CONTRO-IMPLICAZIONE STRETTA CAUSALE

Riassunto. Proponiamo una interpretazione “ontica” dello schema modale KD45. “Ontica”
sta per interpretazione causale (fisica e metafisica) della relazione di accessibilità tra i mon-
di. KD45 con le sue proprietà di transitività, riflessività e simmetricità secondarie, esprime e
traduce efficacemente la struttura “fondazionale” della metafisica della partecipazione di
Tommaso d’Aquino, nel suo aspetto dinamico che è la causalità.
Definiamo inoltre la contro-implicazione stretta causale per formalizzare la relazione reale
effetto-causa, e attraverso di essa proponiamo:
1- un assioma di fondazione che a) lega l’essere ente, all’avere essere da parte di un “datore
di essere”; b) “costruisce” l’universo degli enti e c) dà una condizione di appartenenza ad
esso diversa dalla consueta autoidentità ( = ).
2- un assioma di causalità secondaria, che formalizza la condizione di possibilità che enti
diversi possano esercitare l’un l’altro un’azione causale.
3- un assioma di genere, che formalizza la condizione causale di appartenenza di genere.
Parole-chiave: Ontologia formale, KD45, esse ut actus, causalità, analogia, implicazione,
fondazione.

Abstract: Towards a “Thomasian” Formal Ontology: The Causal Strict Counter-


Implication. We propose an “ontic” interpretation of the modal scheme KD45. “Ontic”
stands for physics and metaphysics causal interpretation of the accessibility relation among
worlds. KD45, with its transitivity, riflessivity and symmetry secondary properties, effec-
tively expresses and translate the “foundational” structure of Thomas Aquino’s metaphysics
of participation, in its dynamic feature which is causality.
We also define the causal strict counter-implication in order to formalize the real effect-
cause relation, and trough it we propose:
1- an axiom of foundation, which: a) hold the to be being (ens) to the to have being by a “to
be-giver”; b) “builds up” the universe of beings; c) gives a inclusion condition in this uni-
verse different from the usual auto-identity condition ( = ).
2- an axiom of secondary causality, which formalizes the possibility condition of causation
among being.
3- an axiom of kind, which formalizes a causal inclusion condition in a kind.
Key-words: Formal Ontology, KD45, esse ut actus, causality, analogy, implication, axiom of
foundation.

*
XXXXX

Epistemologia XXXVIII (2015), pp. 45-65


Francesco Panizzoli

1. L’ontologia formale di stampo “tommasiano”

L’Ontologia formale è una disciplina contemporanea che negli ultimi


decenni sta avendo un seguito e uno sviluppo notevole1. Il suo programma
di ricerca ha dei precedenti illustri2 (Bacone, Descart, Leibniz, Frege, Hus-
serl) e lo si può ricondurre ad una antica idea di lingua philosophica uni-
versale, a “caratteri reali”, tramite la quale:
• i popoli possano comunicare oltre le differenze storico-culturali par-
ticolari;
• si possa esplicitare, tradurre e comunicare sia la conoscenza comune
del mondo (espressa attraverso i linguaggi naturali, che veicolano
comunque ontologie e “visioni del mondo”), sia la conoscenza scien-
tifica di esso (espressa in linguaggi tecnici, che veicolano ontologie
specifiche).
• Essa intende dunque costituirsi come characteristica universalis et
realis della conoscenza:
• universalis:1) tramite una analisi logico-simbolica (una ars combina-
toria) di tutti i concetti attuali o possibili che sorgono nelle scienze e
nel linguaggio del senso comune; 2) tramite la codifica di regole di
deduzione (un calculus ratiocinator) per argomentare e produrre va-
lidamente nuove conoscenze da ciò che già si conosce.
• realis: nel senso di una “enciclopedia unificata della scienza”, “un si-
stema rappresentazionale che ci renderebbe capaci di vedere nella
natura interna delle cose” (Cocchiarella 2001, p. 3); essa non solo
conterrebbe una ontologia generale (characteristica universalis), ma

1
Per un quadro aggiornato e ampio dei protagonisti, delle aree tematiche, degli indirizzi
di fondo e dell’evoluzione storica di questa disciplina contemporanea, si può consultare
www.ontology.com.
2
Se ne trova un bel tracciato storico in Rossi (1983). È l’idea di una lingua reale artifi-
ciale a caratteri reali (Francesco Bacone) che non esprimano lettere e parole, ma diretta-
mente cose e nozioni (al modo dei geroglifici egiziani e degli ideogrammi cinesi); è l’idea di
unamathesis universalis, sivearithmeticum opus integrum di John Wallis (1616-1703), uno
degli iniziatori dell’algebra, della crittografia, del calcolo infinitesimale; è l’idea pedagogica
di Giovanni Comenio (1592-1670), per cui la “perfetta lingua filosofica” ha due scopi fon-
damentali: “1) porre l’uomo a rinnovato contatto con la divina armonia che è presente
nell’universo, mostrandogli la piena coincidenza tra il ritmo del pensiero e quella della real-
tà, tra le cose e le parole; 2) porsi come l’unica possibile base per una piena riconciliazione
del genere umano, per una stabile pace religiosa” (Rossi 1983, p. 233); è il progetto di lin-
gua filosofica “perfetta” di John Wilkins (1614-1672), anch’egli padre della crittografia mo-
derna; è l’idea di caracteristica universalis/realis di Leibniz (1646-1716).

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Verso una ontologia formale “tommasiana”: la contro-implicazione stretta causale

anche le più specifiche ontologie di ciascun campo delle scienze


(realis).
A questo scopo essa coniuga linguaggi e stili differenti. Può considerarsi
oramai uno stadio molto avanzato del superamento della dicotomia analiti-
ci/occidentali della recente storiografia3, in quanto
si propone addirittura di tradurre i contenuti della filosofia occidentale
attraverso il simbolismo logico-matematico uniformemente condiviso dalla
comunità scientifica mondiale, strumento sintattico, semantico e pragmati-
co4 privilegiato per l’analisi logica di questi stessi contenuti.
Nei confronti delle ontologie e delle metafisiche continentali, questo
processo di formalizzazione5 ha dei vantaggi considerevoli. In sintesi:
• consente di sfrondare ogni produzione concettuale (ogni sistema di
pensiero prodotto nella storia) delle caratterizzazioni linguistiche e
culturali attraverso le quali i concetti sono storicamente espressi. Se
ne mettono in luce i nodi concettuali cruciali;
• consente di ri-formulare un’ontologia o una metafisica in un lin-
guaggio univoco e condiviso: il linguaggio simbolico della comunità
scientifico-matematica mondiale;
• ciò agevola enormemente l’analisi della forma logica, della struttura
concettuale di ogni ontologia/metafisica, e dunque l’analisi di consi-
stenza intrinseca di ogni sistema di pensiero: la sua coerenza interna,

3
È noto il dibattito apertosi in area italiana con la pubblicazioni della D’Agostini; cfr.
D’Agostini (1997); D’Agostini (1999).
4
Con “pragmatica” si intende la considerazione delle azioni (e in modo speciale le azio-
ni causali) quali raccordo efficace tra la sintassi-semantica e il reale. Ogni linguaggio, infat-
ti, in quanto sistema di rappresentazioni, è ontologicamente neutro, quindi l’analisi logico-
semantica sulla verità degli enunciati, sulla loro soddisfacibilità e sulla loro referenza ad
oggetti, è una analisi che permane a livello squisitamente linguistico. Ciò significa che il
riferimento all’ente extra-linguistico (mentale, fisico…) non può trascendere il livello
dell’ipotesi. Il riferimento all’ente ha senso solo quando dal piano delle rappresentazioni si
passa a quello delle azioni. La pragmatica fa si che il linguaggio da sistema di rappresenta-
zioni viene inteso come un insieme di atti linguistici di soggetti in relazione attiva-passiva
(causale) fra di loro (comunicazione) e con oggetti del mondo (conoscenza).
5
Formalizzare, in questa prospettiva, non significa scegliere arbitrariamente un sistema
formale per un dominio di riferimento e, dunque, semplicemente “applicare” la logica come
strumento e tecnica deduttiva a prescindere dal contenuto semantico e reale dei referenti, ma
– è qui il proprium potente e innovativo di una certa Ontologia formale – formalizzare il
processo stesso di scoperta. di assiomi adeguati agli oggetti, a partire da questi stessi (cfr.
Cellucci 2003, pp. 3-40 e 348-388). Quindi, propriamente, si formalizzeranno “le procedure
di costituzione di un determinato linguaggio rispetto al suo oggetto referenziale” (Basti
2011b, p. 50). Sarà un “processo asintotico di ricerca di assiomi sempre più adeguati e mai
esaustivi la ricchezza dell’essere del proprio oggetto” (Basti 1999, p.40).

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Francesco Panizzoli

la sua forza descrittiva/deduttiva del reale. È in questo senso che la


disciplina si chiama “ontologia formale”. “Formale” sta qui per
“strutturale”, per “analisi trascendentale” rispondente alla domanda
del “come è possibile”. È una analisi di struttura logico-reale;
• la formalizzazione consente la comparazione tra le varie ontolo-
gie/metafisiche, ora meno nascoste tra gli orpelli linguistici di lunghi
e ingarbugliati discorsi (a volte incomprensibili agli stessi cultori e
discepoli di tale o tal altra filosofia). Finalmente gli autori e i sistemi
di pensiero possono essere posti in dialogo concettuale tra loro, sca-
valcando le distanze cronologiche e linguistiche, in una ontolo-
gia/metafisica comparata, che si configura quasi come nuova disci-
plina teoretica;
• infine, la simbolizzazione promuove potentemente il confronto delle
filosofie con le acquisizioni delle altre scienze, soprattutto quelle fi-
siche (micro e macro) per quanto concerne le questioni sulla natura
del reale; scienze che sono già ad uno stadio di condivisione notazio-
nale di livello mondiale.
L’ontologia formale di cui, tramite questo scritto, vogliamo contribuire
alla costruzione, è di matrice “tommasiana”. Ciò significa che l’aspetto
contenutistico di matrice “continentale” lo acquisiamo dalla produzione te-
stuale di Tommaso d’Aquino (1225-1274)6 attraverso l’ermeneutica auto-
revole dal filosofo italiano Cornelio Fabro (1911-1995)7, a sua volta ulte-
riormente approfondita in termini “post-moderni”8 da Gianfranco Basti
(1954)9. Lavoriamo, dunque, al progetto di una metafisica formale e forma-
lizzata di stampo tommasiano di cui in questo scritto presentiamo un tassel-
lo fondamentale.

6
Si distingue la triplice aggettivazione: 1) “tommasiano”, 2) “tomista”, 3) “tomistico”
ad indicare 1) quel sistema di pensiero che ha la sua fonte diretta e viva nei testi di Tomma-
so d’Aquino, oggi facilmente consultabili on-line grazie alla monumentale opera di Roberto
Busa raccolta nel sito www.corpusthomisticum.org; 2) una particolare interpretazione “sco-
lastica” o “di scuola” del Dottore angelico, così come si è prodotta nei secoli; 3) la connota-
zione “negativa” o “estremista” o “riduzionista” delle prime due. Citiamo le opere di Tom-
maso con le usuali abbreviazioni delle rassegne bibliografiche.
7
Per uno studio dell’ermeneutica fabriana rimandiamo ai due capolavori di Fabro (1939
e 1960).
8
Basti parla di un “post-moderno costruttivo” per la filosofia, di un’era in cui possa av-
venire l’incontro – appunto fecondo e produttivo – tra le conquiste del pensiero e delle
scienze della era “classica” e di quella “moderna”. Incontro che superi le contrapposizioni
metodologiche, storiografiche e ideologiche sviluppatesi nei decenni e secoli passati (cfr.
Basti 2007).
9
Cfr. Basti (2011a, 2011b, 2014).

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Verso una ontologia formale “tommasiana”: la contro-implicazione stretta causale

La scelta dell’Aquino è prettamente teoretica. L’analisi formale del suo


sistema di pensiero ne mostra tutta la potenza espressivo/descrittiva del rea-
le; la struttura fondamentale del reale, declinata in termini di partecipazio-
ne/causalità/composizione/analogia risulta essere la più potente risposta
trascendentale alla questione ontologica fondamentale del “perché l’essente
e non il nulla?”. La metafisica tommasiana della priorità dell’atto sulla po-
tenza, della connotazione dell’essere come atto (esse ut actus), e del pro-
cesso risolutivo fino allo Stesso Essere Sussistente (Ipsum Esse Subsistens)
si configura come metafisica prettamente fondazionale, dove per “fonda-
zione” intendiamo lo spostamento dell’asse che determina il livello essen-
ziale delle cose ad un grado più profondo dell’usuale dicotomia essen-
za/esistenza.
Insieme a Tommaso d’Aquino assumiamo la Logica modale10, amplia-
mento intensionale11 della Logica formale estensionale tarskiana, come
strumento espressivo e deduttivo simbolico. E infine accogliamo alcune
importanti istanze dell’Ontologia formale del realismo concettuale/naturale
di Nino B. Cocchiarella (2007).
Proporremo un’interpretazione ontica12 dello schema modale KD45, in-
terpretazione che mostrala struttura analogico-causale dell’essere che si dà,
e comunicandosi costituisce l’universo degli enti in relazione. Questa strut-
tura dell’essere è ciò che lega insieme le diverse porzioni di realtà (cosmi-
che, fisiche, mentali, artificiali, metafisiche…) in un tutto che è al contem-
po ordinato e differenziato, autonomo in ogni sua “regione” ma non del tut-
to equivoco. L’essere si articola e agisce secondo una struttura che deno-
mineremo “euclidea” e che si candida con buone ragioni quale characteri-
stica universalis et realis di tutto ciò che c’è.
Abbiamo sopra precisato che con questo contributo vogliamo porre un
tassello del sistema formale-formalizzato tommasiano. Non esponiamo qui,
dunque, tutta l’articolazione della metafisica trascendentale-reale del-
l’Aquinate, ma ci soffermiamo sulla nozione di causa nella sua accezione
analitico-teoretica fondamentale, e nelle sue componenti (Prima e seconde)
fondamentali. Proporremo di queste una formalizzazione.

10
Una trattazione pressoché completa se ne ha nell’imponente Handbook di Blackburn,
Benthem (2007).
11
I concetti modali di possibilità e necessità (interpretati nei vari contesti aletici, deonti-
ci, temporali, dinamici ed epistemici) mettono fortemente in crisi il principio di estensionali-
tà sintattico della logica classica, come è noto.
12
Che riguarda la strutturazione reale, meta-fisica e fisica, dell’ente di natura.

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Francesco Panizzoli

2. La nozione di causa in Tommaso d’Aquino

La causalità è il momento in cui quella particolare “comunicazione” di


realtà strutturata dalla relazione partecipativa (“partecipare”: ricevere par-
zialmente una formalità che a qualcos’altro spetta pienamente e perfettamen-
te) si realizza effettivamente e il partecipante si costituisce come tale rispetto
al partecipato.
Si enim aliquid invenitur in aliquo per participationem, necesse est quod
causetur in ipso ab eo cui essentialiter convenit; sicut ferrum fit ignitum ab igne
(S. Th., Ia, q. 44, a. 1, co)13.

“Il ferro è caldo” significa: “il ferro partecipa del calore del fuoco. Il ca-
lore spetta al fuoco essenzialmente e pienamente; il ferro riceve calore nella
misura in cui è capace di riceverlo”.
Ma significa anche, analogicamente: “il ferro è reso caldo dal fuoco”, os-
sia: “il fuoco è causa dell’essere caldo del ferro”. La causalità è l’aspetto di-
namico secondo il quale il calore è effettivamente e realmente comunicato al
ferro da parte del fuoco. Essere causato è la equivalente dimensione dinami-
ca di essere per partecipazione. E come nella relazione di partecipazione la
risoluzione al limite di tutte le formalità porta alla partecipazione dello esse,
così, dal punto di vista dinamico, l’esse è l’effetto primo e proprio della cau-
salità: “prima rerum creatarum est esse et non est ante ipsam creatum
aliud”(In De Causis, lect. 4)14.Causare è porre in essere qualcosa, per influs-
so di un altro (aliud) che denominiamo “causa”.
13
Le citazioni (e le abbreviazioni dei titoli)dei testi di Tommaso sono riportate secondo
l’edizione del Corpus Thomisticum curato dalla UniversitatisStudiorumNavarrensis, come
in bibliografia.
14
L’esse è cioè che è causato “prima” di ogni altra cosa, è l’effetto “più comune”, “più
semplice”, “più intensamente unito” alla cosa più “intimo”. “Ante alias Dei participationes
esse propositum est, et est ipsum secundum se esse senius, eo quod est per se vitam esse, et
eo quod est per se sapientiam esse, et eo quod est per se divinam similitudinem esse.
Secundum quem modum etiam auctor huius libri hoc intelligere videtur. Dicit enim quod
hoc ideo est quia esse est supra sensum et supra animam et supra intelligentiam. Et
quomodo sit supra ista, ostendit subdens: et non est post causam primam latius, id est
aliquid communius, et per consequens neque prius causatum ipso; causa autem prima est
latior quia extendit etiam se ad non entia secundum praedicta. Et ex hoc concludit quod,
propter illud quod dictum est, ipsum esse factum est superius omnibus rebus creatis, quia
scilicet inter ceteros Dei effectus communius est, et est etiam vehementius unitum, id est
magis simplex; nam ea quae sunt minus communia videntur se habere ad magis communia
per modum additionis cuiusdam”, In De Causis, lect. 4.“Esse autem est illud, quod est magis
intimum cuilibet, et quod profundius omnibus inest, cum sit formale respectu omnium, quae
in re sunt” (S. Th., Ia, q. 8, a. 1, co).

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Verso una ontologia formale “tommasiana”: la contro-implicazione stretta causale

Quod id quod ab alio dependet, nunquam esse potest nisi per influxum eius
a quo est (De Pot., q. 3, a. 14, ad 4um s.c.);
hoc vero nomen causa, importat in fluxum quemdam ad esse causati (In Me-
taph. V, lect. 1, n. 3).

Definiamo “causa” tutto ciò che concorre a determinare, con il suo in-
flusso, l’essere del causato.
Propriamente è causato l’essere dell’ente, “tutto” l’essere dell’ente. In
senso assoluto, abbiamo quella specifica relazione causale denominata
“creazione”, ossia dipendenza totale e radicale intrinseca al fatto stesso di
avere l’essere; in senso secondario e fondato metafisicamente sul primo,
abbiamo la generazione/produzione che determina e articola l’esse dell’ente
nelle due dimensioni fondamentali, essenziale ed esistenziale, a loro volta
ulteriormente determinate nelle loro proprietà necessarie e contingenti.
Si intuisce, dunque, che sebbene per Tommaso il rapporto con la propria
causa non entri nella definizione dell’ente15 e non è quindi analitico alla
maniera kantiana, tuttavia esso appartiene alla ratio entis. L’ente, infatti,
per il fatto che ha l’essere (e dunque ne partecipa senza possederlo di natu-
ra) non può non essere causato in quanto tale16. L’analiticità non è semanti-
ca ma, potremmo dire, ontico-trascendentale: essere ente significa metafisi-
camente partecipare all’essere e dipendere radicalmente da un “qualcosa”
di superiore che si pone come responsabile sia della dazione di tale essere,
sia della sua permanente conservazione (o eventuale nihilazione). Cioè:
senza causa l’ente non è (relativamente o assolutamente)17.

15
“Habitudo ad causam non intret definitionem entis quod est causatum” (S. Th., Ia, q.
44, a. 1, ad 1um).
16
“Ens non potest esse, quin sit causatum” (S. Th., Ia, q. 44, a. 1, ad 1um).
17
È questa, in sintesi, la conclusione cui giunge Fabro nel suo iniziale lavoro (attraverso
cui si è imposto nel panorama filosofico italiano degli anni ’30) sulla nozione di causa in
Tommaso d’Aquino (cfr. Fabro 1936). “Il principio di causa esige che l’essere che comincia,
che è contingente e soggetto alla generazione e alla corruzione, che si mostra imperfetto e fini-
to... dipenda da un altro essere, il quale, almeno sotto questo aspetto e nel medesimo tempo,
non cominci, non sia contingente... ma duri, sia necessario, semplice ed infinito [...] Ora il dire
che l’essere comincia, che è contingente equivale a dire che quell’essere non è l’Essere, la for-
ma pura di essere, ma solo una imitazione più o meno deficiente e lontana: in breve, si indica
che quell’essere è per partecipazione della forma pura. Ma un essere per partecipazione dice
relazione immediata all’essere per essenza: così appare fondata sia la sua possibilità logica (in-
telligibilità) come quella reale (ordine immediato d’esistenza): senza questa relazione
quest’essere non può presentarsi al pensiero né come oggetto definito né come soggetto di real-
tà. Chi negasse pertanto questa relazione (di dipendenza verso l’essere per essenza) dell’essere
per partecipazione, negherebbe i fondamenti per i quali esso è quello che è, e coi fondamenti
sarebbe tolto di mezzo l’essere stesso. Adunque chi nega il principio di causalità asserisce

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Francesco Panizzoli

Tommaso delinea un duplice ordine causale composto dalla Causa prima e


dalle cause seconde. Si chiama “creazione” l’azione della Causa prima; “in-
formazione” l’azione delle cause seconde. Queste presuppongono la prima, da
cui traggono la loro sostanza, la loro potenza, la loro forza operativa, il fatto
stesso di essere cause. La causa prima non presuppone niente. Il duplice ordine
causale è correlato ovviamente alla duplice composizione interna all’ente di un
principio formale (essentia) – effetto delle cause seconde – e l’essere stesso,
comune a tutti – effetto della causa prima.
“Come intendere […] la duplicità di struttura di quest’azione causale, inte-
sa come duplice livello fisico e metafisico dell’unica relazione causale per
mezzo della quale ogni ente viene all’esistenza con certe proprietà?” (Basti
2002, p. 359-360). Sembra, infatti, che il livello fisico sia sufficiente a deter-
minare l’esistenza e la natura dell’ente. Eppure “il concorso causale di un in-
sieme di cause fisiche, sebbene necessario a giustificare l’esistenza di una cer-
ta localizzazione spazio-temporale dell’universo di un certo ente con la sua
essenza […] o la non-esistenza in una certa localizzazione spazio-temporale
di un altro ente con un’altra essenza incompatibile con quel concorso causale
[…] non è sufficiente a giustificate in assoluto l’essere di nessun ente” (Basti
2002, p. 360): ciò perché nessun ente è in grado di darsi l’essere – tutto il suo
essere – da solo. Sta qui la radicale contingenza dell’ente, qualsiasi esso sia,
anche un eventuale ente eterno. Come la partecipazione mostra chiaramente,
se un ente non è il suo stesso essere, allora lo riceve da altro. Questo ricevere
è, da parte del datore dell’essere, un causare nell’essere il partecipante. In que-
sto senso è allora necessaria anche una causa prima che dia consistenza al
plesso delle cause fisiche seconde; causa che si trova al di là del tempo e
dell’eternità e che sia la condizione di possibilità reale della connessione di
ogni altra causa necessaria (del “cosmo”) e che giustifichi, in ultimo, perché
gli enti di per sé contingenti hanno di fatto l’essere.
È questo duplice ordine causale che tentiamo di formalizzare. Per farlo,
partiamo da un testo di Tommaso che pone in relazione il metodo argomen-
tativo delle scienze assiomatiche con la connessione reale effetto-causa in
ciò che avviene secondo natura (o secondo tecnica).

l’impossibile (che l’essere per partecipazione non dipenda dall’essere per essenza) e
nell’ordine della conoscenza e nell’ordine del reale” (Fabro 1969, p. 43).

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Verso una ontologia formale “tommasiana”: la contro-implicazione stretta causale

3. L’ordine logico

Nelle scienze assiomatiche il necessario si trova costituito a priori, come quan-


do diciamo che se la definizione di angolo retto è tale, è necessario che il triangolo
sia tale, ovvero che abbia tre angoli uguali a due retti. Da ciò infatti che viene prima
e che viene assunto come principio, deriva necessariamente la conclusione.
Ma da ciò non consegue l’inverso, ovvero che se la conclusione è (vera) allora
lo è anche il principio. Poiché talvolta da premesse false può esser inferita una
conclusione vera. Pur tuttavia resta il fatto che se la conclusione è falsa lo è neces-
sariamente anche la premessa, poiché il falso non può esser inferito che dal falso.
In quelle cose però che avvengono a causa di qualcosa (propter aliquid) sia
secondo la tecnica o secondo la natura, quell’inverso di cui sopra ne consegue:
poiché se lo stato finale è o sarà, è necessario che ciò che è prima dello stato fina-
le o sia o sia stato. Se infatti ciò che viene prima dello stato finale non è, neanche
lo stato finale è: e questo è come nelle dimostrative, se non c’è la conclusione non
vi sarà il principio.
In altre parole, è evidente che in ciò che avviene a causa di qualcosa, lo stato
finale ha lo stesso ordine che nelle procedure dimostrative tiene il principio. E
questo poiché in effetti anche il fine è un principio: non dell’azione, però, ma del
ragionamento. Dal fine infatti cominciamo a ragionare delle cose che sono in re-
lazione al fine e nelle procedure dimostrative non ci interessa dell’azione, ma del
ragionamento, poiché nelle procedure dimostrative non vi sono azioni, ma solo
ragionamenti. Quindi è conveniente che il fine nelle cose che accadono in rela-
zione ad uno stato finale tenga il luogo del principio nelle conseguenti procedure
dimostrative. Perciò la similitudine è da ambedue i lati, sebbene con una inver-
sione della relazione fra i due dal fatto che il fine è ultimo nell’azione, ciò che in-
vece non è nella dimostrazione. (In Physica II, l. 15, n. 5).

Eccone una traduzione simbolica.

L’implicazione materiale

“Nelle scienza assiomatiche” domina l’implicazione materiale, che tra-


duce la lettera di Tommaso circa il rapporto tra antecedente e conseguente,
come è noto:


1° 1 1 1
2° 1 0 0
3° 0 1 1
4° 0 0 1

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Francesco Panizzoli

L’implicazione è falsa solo nel caso in cui l’antecedente è vero e il con-


seguente è falso (2°); è vera negli altri casi. Ma poniamo attenzione ai rap-
porti tra verità e falsità più da vicino. Sembra proprio che l’implicazione
abbia esiti paradossali, o comunque risulti “debole” nella traduzione
dell’implicazione tra contenuti (l’implicazione formale) e (soprattutto) nel-
la traduzione del rapporto causa/effetto.
Da una parte, infatti, l’implicazione ammette che il vero è implicato da
qualsiasi proposizione (casi 1° e 3°):

→( → )

Se è vera, allora è implicata da qualsiasi (valore di) .


Dall’altra parte (casi 3° e 4°), se è falsa, allora implica qualsiasi (valo-
re di) :

¬ →( → )

Ossia: dal falso segue qualsiasi proposizione.


Non è questo strumento che cerchiamo per formalizzare la causalità.

L’implicazione stretta di C. I. Lewis

Il giovane filosofo americano Clarence I. Lewis (1883-1964) denunciò


da subito i limiti e i paradossi dell’implicazione materiale (“⊃”)definita nei
Principia (cfr. Lewis 1918; Lewis 1932). Per rimediare ad essi proponeva,
in A survey of Symbolic Logic (1918) e nel successivo Symbolic Logic
(1932), una “restrizione” dei casi dell’implicazione che evitasse i casi pro-
blematici e consentisse di esplicitare meglio il senso forte di “implicare”.
A questo scopo definì la cosiddetta implicazione stretta18:

↠ ≝¬ ( ∧¬ )

non può essere vera senza l’esser vera di . Cioè segue da , e


l’esser vero di è necessitato dall’esser vero di . Ecco la tabella di verità:

18
Sostituiamo il simbolo originario di Lewis, ≺, con “↞↠”.

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Verso una ontologia formale “tommasiana”: la contro-implicazione stretta causale


1° 1 1 1
2° 1 0 0
3° 0 1 1
4° 0 0 1

L’implicazione “stringe” quella materiale e dichiara impossibile il caso


2°: da una premessa vera non può seguire una conclusione falsa. Ciò vale
certamente nella deduzione logica, nella direzione dalle premesse verso le
conseguenze.
In una scrittura equivalente si ha ( → ): l’implicazione è necessitata
in tutti i mondi possibili, e dunque deve essere vera in tutti questi (e dunque
si è eliminato il caso problematico in cui è falsa).

Il sistema S5

Con la pubblicazione di A Survey of Symbolic Logic nel 1918, e del suc-


cessivo Symbolic Logic, del 1932, in collaborazione con Cooper H. Lang-
ford, Lewis dava inizio ad una prima formalizzazione rigorosa della logica
modale (non la prima in assoluto), con i noti sistemi assiomatici S1-S5, che
si distinguevano dagli altri tentativi di studio della logica modale per
l’approccio meramente sintattico alla disciplina. Egli lavorò alla modaliz-
zazione del calcolo proposizionale ed aprì la strada all’idea di varie possibi-
li interpretazioni di tale apparato sintattico (arricchito dai simboli “◊” e
“”); egli stesso si occupò dei concetti di “obbligo” (interpretazione deon-
tica) di credenza e di conoscenza (interpretazione epistemica). I sistemi S1-
S5 divennero il punto di partenza di ogni ulteriore sviluppo della disciplina.
K. Gödel, E. Post, J.C.C. McKinsey, J. Dungundgij, R. Carnap, A. Prior e
infine A. Tarski e B. Jónsson approfondirono, corressero e ottennero risul-
tati ulteriori, al punto che i lavori di Lewis furono sostanzialmente dimenti-
cati per più di vent’anni.
I rapporti deduttivi tra i vari sistemi formali di logica modale concludo-
no categoricamente che il sistema KT5 (chiamato anche S5) è il più inclu-
sivo e potente di tutti (nel senso che i calcoli che sono ammessi nei vari si-

55
Francesco Panizzoli

stemi sono ammessi anche in esso)19. La sua rappresentazione grafica è la


seguente:

I mondi possibili (i cerchi del grafo) sono tra loro in una relazione di
equivalenza (le frecce esprimono le relazioni di accessibilità tra i mondi),
poiché sono riflessivi, simmetrici e transitivi, tutti con tutti: “per questo
motivo un modello come quello illustrato è detto modello totale” (Galvan
1990, p. 111). Si può capire, intuitivamente, perché esso sia il migliore gra-
fo per una interpretazione metafisica: esso esprime una totalità in atto di
mondi e relazioni che prescinde, in un certo senso, dalla “natura” di questi,
in cui dunque anche necessità e possibilità permangono ogni qual volta un
mondo “scompare” a favore di un altro.
S5 esprime il “sogno” di ogni attualismo metafisico, il “sogno” platoni-
co e il “sogno” hegeliano, tanto per citare i casi più emblematici, di una to-
talità di enti e relazioni in atto e necessarie.
La formalizzazione che tentiamo qui esplicita, invece, una istanza fon-
dazionale rispetto ad S5.

4. L’ordine causale

Come abbiamo già detto, vogliamo indagare la “struttura logica” della


relazione causale reale, che non è riducibile alla struttura logica della im-
plicazione logica, appena vista, del ragionamento apodittico. Sembra che la
verità della connessione causale causa-effetto abbia una direzione “inver-
sa”. Come fare?

19
Per uno schema dei rapporti di inclusione cfr. Hughes, Cresswell (1996), pp. 367-368;
cfr. anche Galvan S. (1990), pp. 67-68.

56
Verso una ontologia formale “tommasiana”: la contro-implicazione stretta causale

La contro-implicazione materiale

Innanzitutto scopriamo che nella grande tabella dei valori di verità esposta
nel Tractatus, viene definita una contro-implicazione materiale (“←”) con la
seguente tavola di verità20:


1° 1 1 1
2° 1 0 1
3° 0 1 0
4° 0 0 1

La contro-implicazione è falsa quando il conseguente è vero e


l’antecedente è falso. Questa condizione sembra essere molto vicina a ciò che
stiamo cercando. Nella relazione causale, infatti, un effetto vero, ossia esi-
stente in atto, realizzato, presuppone una causa anch’essa reale e vera. Nes-
sun ente (= niente) viene dal nulla. Se l’effetto è, anche la causa deve essere.

La contro-implicazione stretta causale

Ora se noi componiamo insieme la definizione di implicazione stretta


con la contro-implicazione, otteniamo la seguente contro-implicazione
stretta causale che così definiamo:

↞ ≝¬ ( ∧¬ )

Essa ha la tavola di verità della contro-implicazione, a sua volta “stretta”


dalla condizione per la quale il 3° caso della falsità (antecedente falso e
conseguente vero) è impossibile.


1° 1 1 1
2° 1 0 1
3° 0 1 0
4° 0 0 1

20
Cfr. Wittgenstein (1921, 5.101); Bochenski J. (1995, pp. 35-36).

57
Francesco Panizzoli

Riteniamo che questa soluzione esprima bene la relazione causale reale


tra effetto e causa in un modo epistemologicamente non razionalistico, os-
sia senza assumere a priori l’equivalenza tra legge logica e causa reale per
cui l’antecedente logico (la causa) non può non implicare il conseguente
(l’effetto), e viceversa.

Mentre in logica la verità della conseguenza non può fondare la verità della
premessa (= fallacia del conseguente) perché il vero può essere implicato dal fal-
so, in fisica [e, specifichiamo ulteriormente, in ontologia, N. d. A.] l’esistenza
dell’effetto suppone necessitativamente l’esistenza della causa, così da rendere
invertibile la relazione di implicazione materiale. (Basti 2002, p. 449).

5. L’assioma di fondazione

Con la contro-implicazione stretta causale vogliamo osare di più, e an-


dare a definire la dipendenza radicale da una Causa dell’essere in senso as-
soluto.
Sia il simbolo per la collezione universale degli enti; sia una costan-
te individuale fissata; sia ↞ il simbolo per la contro-implicazione stretta
causale, definita sopra.
Scriviamo finalmente il nostro assioma di fondazione:

AF: (∀ )( ∈ ) ⇔ ( ↞ )

Esso dice che appartiene alla collezione universale degli esistentise


e soltanto se è “causato” da nel senso della contro-implicazione stretta
causale, che è falsa solo in un caso: quando è vero (e dunque è) senza al-
cuna causa (con falso). Ripetiamo la tavola di verità:


1° 1 1 1
2° 1 0 1
3° 0 1 0
4° 0 0 1

58
Verso una ontologia formale “tommasiana”: la contro-implicazione stretta causale

Si hanno i seguenti casi:


1° causa ;
2° può non causare ;
3° il caso impossibile: esiste, senza causa;
4° non esiste né né .
La contro-implicazione stretta acquista un significato immediatamente
“causale” proprio perché è posta sull’esistenza (ovvero sull’appartenenza a
) dell’ente, e non su un suo modo qualitativo di essere: è qui che la speci-
ficità e la novità dell’impostazione tommasiana assume valore. L’ap-
partenenza alla classe universale è fondata su una relazione solo transitiva
(e seriale) “ad altro da sé”, e non anche simmetrica e riflessiva “a sé mede-
simo” (autoidentità), come nell’impostazione standard della logica; ciò fa
sì che non valga, nel sistema che si sta definendo, la riflessività esistenziale
che l’operatore di necessitazione reca con sé e che viene esplicitato
dall’assioma modale T: ( → ).
L’assioma ci dice anche che può essere enumerato fra gli esisten-
ti(ovvero “∃x”):
(∀ )( ∈ ) ⇔ ∃

dove però il senso di questo “esistere” è profondamente metafisico: in-


dica non l’esistenza di fatto o attuale dell’ente, ma la possibilità di essere
relativa alla Causa prima, il suo poter essere “tratto” dal nulla da parte di .
Definiamo così la nozione metafisica prima e fondamentale, quella di
ente ossia di avere l’essere, in relazione all’esser causato (/partecipare
l’essere) da una “causa” dell’essere. Essere ente significa esser causato
(/partecipare l’essere) da . Per cui:

≝ | ↞ }

è la collezione degli causati da . Nel (∀ ) è incluso qualsiasi ente,


qualsiasi “tipo” di ente, di cui possa dirsi che è e non solo che esista.

6. L’assioma di causalità secondaria

Se a livello metafisico esso riceve l’essere, a livello ontologico-fisico


l’essere dell’ente si modalizza ad un tipo di natura/essenza. La contro-
implicazione stretta causale ci consente anche di formalizzare questa di-
mensione secondaria della causalità. Essa è esercitata da ogni ente che non
sia la Causa prima . Sappiamo che tale causalità è fondata nell’essere e
nell’agire sulla Causa prima, nel senso che è sostenuta ed attivata origina-
59
Francesco Panizzoli

riamente. Sappiamo anche che il suo attualizzarsi si verifica ad un livello


che ha tutta la sua autonomia e specificità. Ricordiamo inoltre anche che il
genere naturale, dinamicamente inteso, è un plesso di cause seconde con
cui l’ente è in relazione. Per questi motivi, giungiamo a scrivere il seguente
assioma di causalità secondaria:

ACs :(∀ )(∀ )( ↞ ) ⇒ ( ↞ ) ∧ ( ↞ )

La condizione necessaria affinché un ente contro-implichi strettamente


un altro, è che entrambi contro-implichino (ossia siano causati) strettamente
(da) . Si vede “dietro” questi due assiomi presentati una struttura che la
logica modale denomina “euclidea”, che noi interpretiamo in termini causa-
li tramite l’implicazione stretta.
y

La causalità, così, acquisisce la proprietà della transitività.

7. L’assioma sul genere naturale

Si può ora ulteriormente tentare una assioma che regoli l’appartenenza


di genere, anch’essa causalmente fondata. Sia una variabile per genere
naturale; l’assioma sul genere dice che:

AG:(∀ )( ∈ ) ⇔ (∃ )( ↞ )

appartiene al genere se e soltanto se è causato da un individuo che


“già” è un A. Questo assioma traduce esattamente la lettera del pensiero ari-
stotelico-tomista sulla causalità seconda: il genere è un nome collettivo (un
nome comune) che sta per un plesso di agenti secondi (e dunque non è una
classe logica), che influiscono sull’ente e ne determinano tutta la struttura es-
senziale e categoriale. Per questo traduciamo l’influsso del genere su
come influsso di un altro ente (diverso da ) che è di “tipo” .

60
Verso una ontologia formale “tommasiana”: la contro-implicazione stretta causale

Assumiamo, inoltre, alcuni assiomi di Cocchiarella che consentono la ge-


rarchizzazione dei generi , ,…(cfr. Cocchiarella 2007, pp. 283-287 e 292).
%
(K5) !∀" #!∀" #[ (∃ )( ∈ ∧ ∈ ) → ≤ ∨ ≤ ]
(K6) !∀" #[!∃" #( < ) → % ( = [ /!∃" #( ∈ ∧ < )])]
(K7) (∀" )(∀ )[ ∈ → (∃" )( ∈ ∧ (∀" +)[ ∈ + → + ≤ ])]
(K8) (∀" )(∀ )[ ∈ → (∃" )( ∈ ∧ (∀+)[ ∈ + → ≤ +])]

(K5) afferma che, se è causalmente possibile che un ente appartenga a


due generi, allora l’uno è subordinato (o uguale) all’altro, o viceversa. “Ciò
significa che una famiglia di generi naturali ai quali ogni oggetto può ap-
partenere forma una catena di subordinazioni di un genere naturale ad un
altro – dove ogni genere naturale della catena è, così sembra, una struttura –
modello che è causalmente più determinata e più raffinata del genere natu-
rale cui è subordinata”(ivi, p. 285. Traduzione mia).
(K6) esprime l’esigenza per cui ogni genere naturale (A) è il sommo del-
le sue specie (B). Più in generale “ogni catena di subordinazione tra generi
naturali deve avere un sommo genere come ultima, sopraordinata struttura-
modello dentro la quale tutti i generi naturali di quella catena devono ade-
guatamente fissarsi”(ivi, p. 286).
Con (K7) si specifica ulteriormente che ogni oggetto che appartiene a
qualsiasi genere naturale (A), appartiene al genere naturale che è un sommo
genere (B), ossia ad un genere naturale che ha subordinato ad esso ogni ge-
nere naturale (C) al quale l’oggetto appartiene.
Ed infine (K8) fissa la condizione dell’infima specie, ossia della struttu-
ra-modello opposta al sommo genere: non la struttura causale sovradeter-
minata, ma la più “raffinata” e “vicina” al singolo oggetto. L’assioma dice
che se un oggetto appartiene ad un genere naturale (A), allora appartiene
anche al genere naturale (B) che è subordinato a tutti i generi naturali (C) ai
quali l’oggetto appartiene.
Questa assiomatica di Cocchiarella, alla luce dei due assiomi ACs e AG,
ottiene finalmente la spiegazione dell’apice “c” che il logico italo-
americano assegna agli operatori modali per indicare la possibilità/necessità
%
causale. Cos’altro significa, infatti, ( ∈ ), se non quanto abbiamo
messo come condizione nell’assioma AG, ossia: (∃ )( ↞ )? Noi di-
ciamo che la possibilità causale dell’appartenenza di un ente al genere
non è altro che il poter-esser-causato da un (plesso) che è .
Si può definire la possibilità fisico-causale come segue:
%
( ∈ ) ≝ (∃ )( ↞ ).

61
Francesco Panizzoli

8. KD45 ontico

Componendo insieme AF, ACS e AG abbiamo quella che noi chiamia-


mo la fondazione di S5, ossia l’assiomatizzazione logica delle condizioni
meta-logiche che costituiscono uno schema di equivalenza. Detto in altri
termini, stiamo interpretando in senso causale (ontico) lo schema modale
KD45 (solitamente interpretato in senso deontico) che ha il seguente grafo:

In KD45 ogni relazione di equivalenza (di qualsiasi “natura” essa sia,


causale, concettuale...) è relazionalmente compresa e stabilizzata entro un
range fissato da un “terzo” elemento esterno ad essa che pone in essere i
termini della relazione, in modo asimmetrico rispetto alla relazione stessa.
Questo “terzo” è condizione necessaria del verificarsi della relazione e del
suo stesso “sviluppo”, poiché rimane il referente costante dei due termini.
La relazione d’equivalenza ha il “compito” di qualificare (in qualsiasi sen-
so) i termini che relazione i quali invece esisteranno in virtù del terzo ele-
mento.
Interpretata in senso metafisico, lo schema esplicita la partecipazione
all’essere da parte dell’ente, che si costituisce tale per una doppia “accessi-
bilità” ad esso: 1) da parte di , primo ente a “sinistra” del grafo e 2) da
parte di tutti gli altri enti a “destra” del grafo. Questa doppia accessibilità la
interpretiamo come il doppio influsso causale, Primo e secondo, della Cau-
sa prima e delle cause seconde sull’ente. La Causa prima dà l’essere
all’ente, le cause seconde ne determinano la natura e le proprietà. Essere
ed essenza si rapportano perciò tra loro secondo la dinamica fondamentale
di atto/potenza, dinamica regolata e fondata sull’atto causale di e mediata
dall’ente stesso in quanto destinatario e depositario dell’essere.
In termini fisici, tale dinamica di mutua determinazione causale ci con-
sente una chiarificazione notevole e, dunque, anche una fondazione meta-
fisica, di alcuni fenomeni e scoperte della fisica contemporanea di notevole

62
Verso una ontologia formale “tommasiana”: la contro-implicazione stretta causale

portata e interesse21. Essa la si può proporre come modello teorico “nuovo”,


e forse maggiormente esplicativo di altri, nel dibattito (necessariamente)
interdisciplinare del tempo presente.
In termini meta-logici lo schema KD45 fornisce un nuovo modello fon-
dativo ai problemi epistemologici della verità dei proferimenti linguistici e
in generale della questione della referenza linguaggio-mondo, evidenziando
la struttura relazionale che causa, a partire dall’oggetto, la verità della pre-
dicazione (in questo senso l’introduzione della pragmatica oltre l’analisi
sintattico-semantica degli enunciati).
Inoltre, nodo teorico cruciale della logica contemporanea, svincoliamo
la condizione di esistenza dell’ente da qualsiasi criterio formale-qualitativo,
che sia il soddisfacimento di una proprietà o, al limite, dalla autoidentità.
L’esistenza è il “risultato” di una azione causale, non dell’ “essere uguali a
se stessi” ( = ). L’autoidentità è derivata, ossia fondata sul “ricevere es-
sere” da parte di .
Tutti questi livelli, metafisico, fisico, logico sembrano avere una mede-
sima struttura “di fondo”, appunto quella con le proprietà di KD45, che
tommasianamente qualifichiamo come analoga. Questa analogia non signi-
fica bisimilarità strutturale, nel senso che si possa porre una qualche biuni-
vocità tra elementi di una struttura ed elementi di un'altra. Non c’è alcun
“parallelismo” tra gli enti logici, fisici e i principî metafisici. Qui intendia-
mo una equivalenza modale tra le strutture, che mantiene tutta la assoluta
autonomia delle varie dimensioni del reale, le quali si analogano sia per la
dinamica causale che le struttura; sia perché le dinamiche fondamentali di
queste strutture sembrano andare secondo la mutua relazione atto-potenza.
La struttura KD45 riteniamo esprima con una buona efficacia espressiva
la struttura fondamentale della costituzione ontica dell’ente (di qualsiasi ti-
po di ente) e si candidi a buon diritto al ruolo di characteristica universalis
et realis, scopo di ogni buon programma di ontologia/metafisica formale.

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21
Facciamo riferimento alle strutture dissipative caotiche, e alla Quantum Field Theory,
di cui non è possibile parlare in questa sede.

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