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Stefania Sini

Cercarsi fra gli sciami: considerazioni sparse


sulle attuali teorie della metafora

Di questa logica poetica sono corollari tutti


i primi tropi, de’ quali la più luminosa e,
perché più luminosa, più necessaria e più
spessa è la metafora, ch’allora è vieppiù lo-
data quando alle cose insensate ella dà sen-
so e passione, per la metafisica sopra qui
ragionata: ch’i primi poeti dieder a’ corpi
l’essere di sostanze animate, sol di tanto
capaci di quanto essi potevano, cioè di
senso e di passione, e sì ne fecero le favole:
talché ogni metafora sì fatta viene ad esse-
re una picciola favoletta.
G. Vico, Scienza nuova

But we would begin to dispute if I asked


for a clear vote about whether this senten-
ce I am now delivering contains no meta-
phors.
W. Booth, Metaphor as Rhetoric

Fare il punto da un’ottica propriamente letteraria sugli studi dedi-


cati alla metafora oggi significa trovarsi di fronte a una ingente
mole bibliografica non facile da sceverare. La corposa e variegata
offerta di titoli sull’argomento, molti dei quali allettanti, esibisce
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infatti una tale latitudine disciplinare da rendere problematica la


verifica della loro pertinenza rispetto al campo della teoria e della
critica della letteratura. Una volta scelto un corpus di testi suffi-
cientemente esteso da poter garantire una qualche dignitosa fon-
datezza all’analisi, ci si deve rassegnare all’evidenza che larga parte
di questi lavori non affronta neppure tangenzialmente questioni
relative alla retorica o alla stilistica.
Ecco che cercando e leggendo e valutando e confrontando gli stu-
di attuali sulla metafora si finisce così con l’interrogarsi ancora una
volta, ironia dei ricorsi storici, intorno al significato di questa otti-
ca propriamente letteraria. Forse pure ci toccherà rispolverare l’or-
mai desueto avverbio specificamente?1

1. Uno sguardo indietro


Certo, sono passati ormai più di trent’anni da quando infuriavano
le battaglie contro le “mappe dell’impero” e si inasprivano le “cri-
tiche della letterarietà”; il mutamento epocale nel frattempo
sopraggiunto fa quasi sorridere di tanta passione teorica e soprat-
tutto di tanta partecipazione a questioni siffatte, ormai impensabi-
li, mi sembra, negli studi letterari oggi.
Ma proprio da più di trent’anni fa vorrei prendere le mosse. Da
una voce autorevole, quella del critico e teorico Wayne Booth, che
intervenendo nel 1978 a un congresso dedicato alla metafora orga-
nizzato dall’Università di Chicago fa il punto sugli studi fino ad al-
lora disponibili intorno a questo fascinoso argomento e cerca di
trarne alcune conclusioni condivisibili2.
Come del resto, si parva licet, tenteremo di fare anche qui.
Anche allora, peraltro, la mossa preliminare è la presa d’atto di
una crescita esponenziale di studi sull’argomento avvenuta nei
decenni precedenti. «Le discussioni esplicite su qualcosa chiamato
metafora», scrive Booth, facendoci subito dono della sua predilet-
ta retorica dell’ironia, «si sono moltiplicate astronomicamente ne-
1 — E ancora più ironica risulta una simile interrogazione a chi, come me, muove da fon-
damenti teorici ereditati da maestri che tanto hanno fatto – con risultati persuasivi, cioè
non solo distruggendo certi slogan, ma offrendo altresì modelli significativi di comprensio-
ne dell’opera letteraria – per contestare appunto la vis separatoria, il mito, di origine jakob-
soniana, poi accolto dalla koiné strutturalistico-semiologica, della differenza specifica tra
ciò che è letterario e ciò che è extraletterario. Il riferimento è innanzitutto a F. Brioschi, La
mappa dell’impero [1983], il Saggiatore, Milano 20062; C. Di Girolamo, Critica della lettera-
rietà, il Saggiatore, Milano 1978. Vorrei ricordare inoltre i successivi lavori di Brioschi: Un
mondo di individui. Saggio sulla filosofia del linguaggio, Unicopli, Milano 1999 e Critica
della ragion poetica e altri saggi di letteratura e filosofia, Bollati Boringhieri, Torino 2002.
2 — W. Booth, Metaphor as Rhetoric: The Problem of Evaluation (with Ten Literal “The-
ses”), “Critical Inquiry”, V, n. 1, 1978, pp. 49-72; poi in On Metaphor, ed. Sh. Sacks, The
University of Chicago Press, Chicago 1979, pp. 47-70 e 173-174; quindi in Id., The
Essential Wayne Booth, edited and with an introduction by W. Jost, The University of
Chicago Press, Chicago–London 2006, pp. 74-99. Qui faremo riferimento al testo incluso
nel volume curato da Sacks.
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gli ultimi cinquant’anni»3. Una tale crescita non si spiega soltanto


con «la vasta crescita generale della scrittura scientifica e critica».
Certamente, «anche gli shakespearisti si sono moltiplicati, così co-
me gli studiosi di Omero, Dickens, e di Carlo II. Ma di studenti
della metafora vi è un vero e proprio pullulare»4.
Il rilievo vede coesistere la sferzata ironica e l’impennata iperboli-
ca, attraverso la quale si squaderna la profezia. Se l’anno 1977 «ha
prodotto più titoli» di quanto ne abbia prodotti «l’intera storia del
pensiero prima del 1940»,
senza dubbio avremo presto più metaforici che metafisici
– o dovremmo dire metamortuari, gli imbalsamatori della
metafora morta? Ho infatti fatto i conti con la mia calco-
latrice tascabile per l’anno 2039: a quel punto ci saranno
più studenti della metafora che persone.5

Il punto che qui ci interessa non è tanto che Booth registri una in-
cremento elefantiaco della bibliografia sulla metafora6, tale da deli-
neare la prospettiva di un futuro distopico dove gli studenti che se
ne occupano sono più numerosi degli abitanti del pianeta, né l’os-
servazione che lo stesso significato del termine metafora si sia am-
pliato oltremisura tanto da rasentare lo svuotamento («sicuramente
quando una parola può significare tutto, rischia di non significare
nulla»7). La ragione per cui abbiamo voluto prendere le mosse da
questo vecchio scritto è soprattutto la lucida e lungimirante lettura
della trasformazione in corso dello spazio disciplinare in cui la
metafora si colloca:
Sta di fatto che tutti noi siamo parte qui di un movimento
intellettuale, molto curioso, forse infine inspiegabile. Indi-
pendentemente da come la definiamo, la metafora sembra
stia occupando non soltanto il mondo degli umanisti ma
anche il mondo delle scienze sociali e naturali.8

2. Senza scomodare Kuhn


Così in effetti è accaduto. La fascinosa illustre principessa della
retorica, da sempre, peraltro, oggetto di solerte curiosità da parte

3 — Ivi, p. 47. Traduzione mia, come sempre d’ora in avanti, salvo diversamente indicato. I
corsivi sono sempre del testo originale, salvo diversamente indicato.
4 — Ibidem.
5 — Ibidem. Questo divertente vaticinio ha goduto peraltro di ampia circolazione in
ambiente nordamericano, citato così spesso fino quasi a divenire un topos fra gli addetti ai
lavori.
6 — Ricordiamo del resto che già la rassegna bibliografica di W.A. Shibbles, Metaphor: an
Annotated Bibliography and History, Language Press, Whitewater (WI) 1971, conteneva
quattromila titoli.
7 — W. Booth, Metaphor as Rhetoric, cit., p. 48.
8 — Ibidem.
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dei filosofi, ha riscosso nell’ultimo quarto del Novecento una trion-


fale accoglienza al di fuori del recinto delle belle lettere, inoltrandosi
via via – trasferendosi, per l’appunto – in territori sempre più distan-
ti dalla gittata della vetusta virtù dell’ornatus (sia pur rivestita nei
panni dell’agguerrita “retorica ristretta”). La destinazione cui il
tropo dei tropi attualmente sembra essere giunto è duplice e di pri-
mo acchito contraddittoria: l’indagine empirica settorialmente spe-
cialistica da un lato, la scorribanda fruttuosa ai confini delle discipli-
ne dall’altro. Gli esperimenti mirati delle neuroscienze e le multi-
formi teorie cognivistiche determinano questo doppio incedere che
la metafora ci mostra oggi.
A caratterizzare la transizione dal vecchio paradigma – se voglia-
mo chiamarlo così, ma quale? – all’odierno – ancora in corso di
assestamento9 – vi sono dunque un mutamento dell’orizzonte teo-
rico cui il problema metafora va ad inscriversi e insieme la messa a
punto di nuovi strumenti di analisi per scandagliarne la funziona-
lità operativa.

3. Interazione
Trattenendo ancora lo sguardo sulla seconda metà del secolo passa-
to, ricordiamo come i saggi, ormai considerati classici, di Max
Black10 abbiano prodotto un mutamento significativo rispetto agli
scenari disciplinari della tradizione retorico-letteraria. Lo studioso di
matematica e di logica affronta la metafora da una prospettiva emi-
nentemente epistemologica. L’idea di fondo, già tracciata da Ivor A.
Richards nella Filosofia della retorica (1936) e, secondo me, ancor
prima da Jurij N. Tynjanov in Il problema del linguaggio poetico
(1924)11, è quella dell’interazione semantica innescata nella fattispe-
cie dalla metafora e attivata dalla sua interpretazione. Il modello in-
terattivo di Black spazza via la concezione tradizionale del linguaggio
metaforico come opzione ornamentale o stilistica che subentra a
espressioni letterali di base, concezione diffusa nelle due varianti
sostitutiva e comparativa. Se «in un contesto dato» affermo, ponia-
mo, che Pietro è una tassa, secondo Black non sto né sostituendo con
il sostantivo tassa un altro aggettivo letteralmente equivalente per
colmare un vuoto del vocabolario o per abbellire l’effetto dell’espres-
sione, né paragonando l’oggetto tassa all’uomo Pietro in base a una

9 — Forse dovremmo parlare di un passaggio avvenuto dal paradigma strutturalistico a


quello cognitivistico. Ma ci inoltreremmo in un oscuro ginepraio perché tra i due momenti
vi è molto altro e la soluzione di continuità è difficile da visualizzare.
10 — M. Black, Modelli, archetipi, metafore [1962], trad. di A. Almansi e E. Paradisi,
Pratiche, Parma 1983.
11 — I.A. Richards, La filosofia della retorica [1936], trad. di B. Placido, Feltrinelli, Milano
1967; Ju.N. Tynjanov, Il problema del linguaggio poetico [1924], trad. di G. Giudici e L.
Kortikova, Il Saggiatore, Milano 1968.
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qualche somiglianza fra i due termini. In realtà prima della costruzio-


ne della metafora sarebbe stato difficile trovare questa somiglianza
letterale tra i due termini. Piuttosto che esprimere una somiglianza
già esistente, la metafora crea somiglianza. Pertanto, «quando adope-
riamo una metafora abbiamo due pensieri di cose differenti contem-
poraneamente attivi e sorretti da una singola parola o frase, il cui
significato risulta da una loro interazione»12. La cornice Pietro intera-
gisce con il focus tassa producendo «un nuovo significato, che non è
propriamente il significato letterale, né propriamente il significato
che avrebbe un sostituto letterale»:
Il nuovo contesto (la cornice della metafora, nella termino-
logia che ho adottato) impone alla parola focale un’estensio-
ne di significato: il lettore deve prestare attenzione contem-
poraneamente sia al vecchio che al nuovo significato.13

Dunque come già affermava Richards, «il lettore è spinto a “trovare


connessioni tra le due idee”»14. Ecco che è stato chiamato in causa il
lettore, e in effetti momento essenziale della trattazione di Black è
l’impalcatura pragmatica su cui essa poggia. Ineludibile è appunto
la situazione reale – il contesto dato – dove la relazione comunicativa
che i parlanti intessono fra loro attraverso la metafora è parte inte-
grante del significato che la metafora viene a ricevere. Ascoltando la
mia affermazione Pietro è una tassa, il mio interlocutore non deve
tanto ricorrere al significato di tassa fornito dal dizionario, quanto
viene invitato ad attivare il sistema dei luoghi comuni associati alla
parola in questione («che magari», precisa Black, «includono mezze
verità o anche errori, per esempio come quando una balena è classi-
ficata tra i pesci»). Ma ciò che è importante è non tanto che i luoghi
comuni siano veri o falsi, quanto che siano «prontamente e libera-
mente evocati. Proprio per questo una metafora che funziona in una
società può sembrare assurda in un’altra»15. Parafrasando Black, l’ef-
fetto che si ha chiamando metaforicamente un uomo tassa è quello di
evocare un sistema tassa di relativi luoghi comuni (puntuale, indero-
gabile, fastidiosa, punitiva ecc.). Si proiettano questi luoghi comuni
sull’immagine di Pietro. E questa ne viene modificata. La metafora
tassa sopprime alcuni dettagli (luoghi comuni associati) relativi al
genere uomo di cui Pietro fa parte. Per esempio automaticamente
sopprime le idee di intelligenza, o di profondità, o anche allegria
che pur concernono il povero Pietro. Qui Pietro è visto attraverso
l’immagine della tassa. Pietro, per dir così, si “tassizza”. E vicever-
12 — M. Black, Modelli, archetipi, metafore, cit., p. 55.
13 — Ivi, p. 56.
14 — Ivi, pp. 56-57.
15 — Ivi, pp. 57-58. (Dubito però che il nostro esempio trovi delle smentite in altre culture.)
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sa: attraverso la metafora, l’immagine della tassa, che è stata appli-


cata a Pietro, si carica dei luoghi comuni relativi a Pietro. La tassa
si “pietrizza”.
Questa interazione determina un incremento di conoscenza. Si
crea un nuovo regno concettuale. E naturalmente questa interazio-
ne è un’attività, è un fatto pragmatico, in cui i soggetti costruisco-
no i significati e in tal modo interpretano il reale.
La proposta di Black presenta alcuni essenziali nodi teorici densi
di possibilità di sviluppo; sottolineiamo in particolare la latitudine
epistemologica e l’impostazione pragmatica dello studio della me-
tafora, la valenza conoscitiva ad essa attribuita, la nozione di inte-
razione, che costituisce una sorta di punto di non ritorno per le
successive teorie della metafora, e che verrà accolta e declinata in
modi estremamente differenti16. Tra questi, come vedremo più
avanti, ci sembra degna di speciale interesse l’ipotesi conflittuale.

4. L’incarnata e quotidiana mente letteraria


Nel 1980 esce Metaphor We Live By di George Lakoff e Mark John-
son17, considerato unanimemente il testo fondatore dell’approccio
cognitivista alla metafora. Presupposto teorico di tale approccio,
che come’è noto nasce dall’incontro di diverse discipline quali la lin-
guistica, la psicologia, la filosofia e la neurologia, è la nozione di
mente incarnata (embodied), cioè radicata nell’esperienza umana
sensibile e sensomotoria. L’attività del pensiero nasce e si sviluppa a
partire dalla materialità irriducibilmente immanente del corpo, dal
suo orientamento nello spazio e dalle sue interazioni con gli altri
corpi e con gli oggetti del mondo. Il pensiero astratto si produce
attraverso l’elaborazione percettiva di compiti quotidiani che la
sopravvivenza richiede. Ogni significato proviene dunque dal corpo.
Come scriverà in seguito Mark Johnson:
Una teoria incarnata del significato cerca le origini e le strut-
ture del significato nelle attività organiche di creature incar-
nate in interazione con i loro mutevoli ambienti circostanti.
Vede il significato e tutti i nostri funzionamenti superiori
svilupparsi e venire plasmati dalle nostre abilità di percepi-
re cose, manipolare oggetti, muovere i nostri corpi nello
spazio, e valutare la situazione in cui ci troviamo. […]
L’idea centrale è che la nostra esperienza del significato sia
basata innanzi tutto sulla nostra esperienza sensomotoria,
sui nostri sentimenti e sulla nostra connessione viscerale
16 — Possiamo tuttavia pensare che a tale “punto di non ritorno”, data la sua estrema pla-
sticità, siano giunte indipendentemente da Black anche altre proposte teoriche e che esso
sia, pertanto, sostanzialmente poligenetico.
17 — G. Lakoff - M. Johnson, Metafora e vita quotidiana [1980], a cura di P. Violi,
Bompiani, Milano 19982.
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con il nostro mondo; quindi su varie capacità immaginative


di usare processi sensomotorii per comprendere concetti
astratti.18

La ragione, pertanto, è legata da un continuum esperienziale all’at-


tività percettiva e motoria, la quale produce le strutture elementari
da cui si generano i concetti astratti. Per esempio il concetto di
circolarità:
Impariamo la logica corporea dei movimenti circolari con
i nostri occhi, piedi, e mani, e questa conoscenza del cor-
po procede anche nella nostra comprensione di argomenti
circolari, processi circolari, e temporalità circolare.19

Ecco allora che «molti dei nostri concetti fondamentali, ivi com-
presi quelli che formano le basi dell’etica, della politica e della fi-
losofia, affondano le loro radici nel movimento e in altre esperien-
ze corporee a livello pre-riflessivo»20.
Il passaggio dal vissuto percettivo minimale al sistema concettuale
complesso si attua, secondo Lakoff e Johnson, proprio attraverso il
meccanismo della metafora. Semplicemente: «comprendiamo l’e-
sperienza metaforicamente quando usiamo l’elemento di un ambito
di esperienza per strutturare l’esperienza di un altro ambito»21.
La mente umana, scrive da parte sua Mark Turner, è costitutiva-
mente letteraria22. Molto prima di tradursi nella capacità di rico-
noscere o scrivere sonetti, la mente letteraria rinvia all’origine del
nostro modo di pensare e agire. L’immaginazione narrativa, l’orga-
nizzazione del mondo in storie, è lo strumento fondamentale del
pensiero. Con storia (story) Turner intende l’attività cognitiva pri-
maria che organizza la realtà: una storia è un evento o un’azione,
che coinvolge attori e oggetti. Le più elementari storie spaziali
sono secondo lo studioso americano il punto di partenza di tutte
le descrizioni possibili che si possono dare degli eventi; la cono-
scenza del mondo esterno si compie attraverso la proiezione
(projection) di storie. Una storia può essere proiettata su un’altra,
ovvero instaurare con essa un legame o un’intersezione, sulla base
di una struttura condivisa. Una storia di partenza (o sorgente –
source story) nota viene proiettata su altre storie di arrivo (o bersa-
glio – target stories) ignote che così diventano comprensibili.

18 — M. Johnson, The Meaning of the Body. Aesthetics of Human Understanding, The Uni-
versity of Chicago Press, Chicago 2007, pp. 11-12.
19 — Ivi, p. 26.
20 — Ibidem.
21 — G. Lakoff - M. Johnson, Metafora e vita quotidiana, cit., p. 182.
22 — M. Turner, The Literary Mind. The Origins of Thought and Language, Oxford
University Press, Oxford 1996.
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5. Schemi iconici. Personificazioni


Turner chiama parabola (parable) l’esito di tali proiezioni. Il mon-
do è quindi il prodotto di una grande catena di parabole che pro-
cede gradualmente dal noto all’ignoto. A cominciare dall’immagi-
ne del tempo, che si origina con tutta evidenza dalla proiezione di
schemi spaziali:
Pensiamo al tempo, che di per sé non ha forma spaziale,
come avente forma spaziale – lineare, per esempio, o cir-
colare. Ci piace pensare agli eventi nel tempo, che pure
non hanno forma spaziale, come aventi forme spaziali –
continuità, estensione, discretezza, conclusione, indeter-
minatezza, circolarità, rapporti parte-intero, e così via.
Questo modo di pensare il tempo e gli eventi nel tempo
nasce dalla proiezione di schemi iconici [image schemas]
dallo spazio al tempo.23

A sottendere la percezione delle storie vi sono dunque pochi, sem-


plici, ricorrenti schemi iconici, o forme sintetiche spaziali, che co-
stituiscono le griglie strutturali proiettate da un evento all’altro
(image-schematic structures of events), i modelli esperienziali del-
l’interazione percettiva tra la persona e la realtà esterna. Ogni
evento infatti «ha la sua struttura interna»:
Può essere puntuale o esteso, singolo o ripetuto, chiuso o
aperto, che preserva, crea, o distrugge entità; ciclico o
non ciclico, e così via. Tale struttura interna è iconico-
schematica: è radicata nella nostra comprensione di picco-
le storie spaziali. Tecnicamente, questa struttura interna
di un evento viene chiamata il suo aspetto [aspect]. Mi
riferirò ad essa liberamente come alla sua forma evento
[event shape]. Pensiamo a una stagione come nuovamente
ritornante, al tempo come procedente lungo una linea, a
una ricerca come in corso, a una vendita come chiusa, a
un lampeggio puntuale (come un punto spaziale).
Nessuno di questi eventi ha letteralmente la forma spazia-
le o corporea che noi associamo ad esso, ma noi usiamo
questi schemi iconici per strutturare e riconoscere gli
eventi.24

Quanto Turner sta affermando è dunque la funzione conoscitiva


del traslato, che dal quadro percettivo più semplice fino al model-
lo culturale più complesso traccia la mappa del reale e ne appron-
ta simultaneamente la traduzione linguistica. Anche la nozione di
causa si determina a partire dall’esperienza concreta: strutturiamo
infatti spesso le relazioni causali come collegamenti e percorsi:
23 — Ivi, pp. 17-18.
24 — Ivi, p. 28.
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Lo schema iconico del movimento lungo un percorso può


essere proiettato su una causa non fisica, come quando di-
ciamo: «L’economia è precipitata al suo punto più basso».
La situazione iniziale (economia forte) viene compresa at-
traverso la proiezione come inizio del percorso, e la situa-
zione finale (cattiva economia) viene compresa attraverso
la proiezione come punto finale del percorso. Entrambe le
situazioni sono comprese iconico-schematicamente attra-
verso la proiezione da un luogo spaziale. La relazione cau-
sale che connette la prima situazione alla seconda viene
compresa iconico-schematicamente come un percorso tra
il primo e il secondo luogo.25

Oppure tendiamo a costruire nessi cusali ricorrendo alla personifi-


cazione di oggetti inanimati:
Le piccole storie spaziali implicano eventi e oggetti. Rico-
nosciamo alcuni di questi oggetti come attori animati. Di
quando in quando è stato considerato filosoficamente
imbarazzante pensare a oggetti inanimati come a cause in
sé. Gli oggetti e gli eventi sembrano avere una pretesa di
esistenza oggettiva, ma l’animazione e l’essere agente ap-
paiono come elementi soprannaturali e sospetti all’interno
di una teoria scientifica. Sono stati fatti tanti tentativi per
ridurre l’animazione […]. Abbiamo eliminato gli dèi dei
fiumi e le divinità del vento e gli spiriti degli alberi dalle
nostre descrizioni del mondo naturale. Ma le piccole sto-
rie spaziali sono spesso popolate da attori animati che non
danno segno di sparire. Che cosa sono?26

La risposta non sembra per nulla complessa: «riconoscere oggetti


(diversi da noi) come aventi sensazioni dipende dal riconoscerli
come in grado di muoversi: possiamo inferire le loro sensazioni
dal loro movimento». E questa è già una parabola:
Vediamo una piccola storia in cui un attore diverso da noi
si comporta in certi modi, e proiettiamo su di esso i tratti
dell’animazione e dell’attività da storie in cui noi siamo gli
attori.27

A questo punto è del tutto evidente quanta ricchezza provenga al


tropo dei tropi da tali formulazioni, e quale portata conoscitiva oltre
che filosofica sia ad esso conferita: tra le righe semplici e piane, qua-
si disarmanti, di Turner, vediamo infatti emergere questioni per nul-
la semplici come il problema dell’intenzionalità28. Ricordiamo, tra

25 — Ivi, p. 29.
26 — Ivi, p. 20.
27 — Ibidem.
28 — Cfr. J. Searle, Dell’intenzionalità. Un saggio di filosofia della conoscenza [1983], trad.
Sini: Cercarsi fra gli sciami 77

l’altro, con Booth, che già gli antichi retori riconoscevano nell’anima-
zione un tratto fondamentantale della metafora: «le buone metafore
di questo tipo sono attive, prestano l’energia delle cose animate a
qualunque cosa sia meno energetico o più astratto. Come dice De-
metrius, essi introducono “le cose inanimate in uno stato di attività
come se fossero animate”»29. E la trasformazione degli oggetti in so-
stanze animate rappresenta secondo Vico la nascita della metafora,
come abbiamo potuto leggere nell’esergo in apertura del nostro la-
voro. Insomma, il traslato è forma di conoscenza, meccanismo per
conferire senso e ordine al mondo; inoltre, come scrive Stefano Ca-
labrese, «più che concettualizzare il non-fisico in termini fisici, le
metafore ci aiutano a pensare l’amorfo nei termini di ciò che è for-
mato»30.

6. Metafore concettuali, trasporti, forme simboliche e cronotopiche


La metafora si impone, dunque, negli studi più recenti, come la
forza creativa che ha plasmato il pensiero e il discorso. La teoria
cognivista della metafora ci fa osservare come la maggor parte del-
le espressioni della nostra comunicazione quotidiana sia costituita
da metafore provenienti dalla sfera corporea o spaziale, il cui tasso
figurale si è estinto, e che sono divenute espressioni d’uso comune,
o, secondo il termine tradizionale, catacresi. Ecco allora che appe-
na cominciamo a pensarci ci rendiamo conto della loro presenza
pervasiva. Quante sono! Quanto pullula il nostro quotidiano com-
mercio discorsivo di queste espressioni spaziali! In primo luogo; al
di sopra di tutto; al di qua, al di là; come è caduto in basso; non ti
seguo; dove vuoi arrivare?; non ci sto dentro, ecc. A dire il vero, il
fatto era già stato osservato con rutilante dovizia di esempi da Vico:
Quello è degno d’osservazione, che ’n tutte le Lingue la
maggior parte dell’espressioni d’intorno a cose inanimate
sono fatte con trasporti del corpo umano, e delle sue parti,
e degli umani sensi, e dell’umane passioni: come capo, per
cima, o principio; fronte, spalle, avanti e dietro; occhi delle
viti, e quelli che si dicono lumi ingredienti delle case; boc-
ca, ogni apertura; labro, orlo di vaso, o d’altro; dente d’a-
ratro, di rastello, di serra, di pettine; barbe, le radici; lin-
gua di mare; fauce, o foce, di fiumi, o monti; collo di terra;
braccio, di fiume; mano, per picciol numero; seno di mare,
il golfo; fianchi, e lati i canti; costiera di mare; cuore per lo
mezzo, ch’umbilicus dicesi da’ Latini; gamba, o piede di
paesi, e piede per fine; pianta per base, o sia fondamento;
di D. Barbieri, Bompiani, Milano 1985.
29— W. Booth, Metaphor as Rhetoric, cit., pp. 54-55.
30 — S. Calabrese, La metafora e i neuroni: stato dell’arte, “Enthymema”, VI, 2012, in stam-
pa.
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carne, ossa di frutte; vena d’acqua, pietra, miniera; sangue


della vite, il vino; viscere della Terra; ride il Cielo, il Mare;
fischia il vento; mormora l’onda; geme un corpo sotto un
gran peso; e i contadini del Lazio dicevano sitire agros,
laborare fructus, luxuriari segetes; e i nostri Contadini
andar’ in amore le piante, andar’ in pazzia le viti, lacrimare
gli orni […].31

E che il corpo proprio sia la fonte di ogni articolazione conosciti-


va, da cui si dipartono, per dirla con Vico, i primi trasporti, aveva
costituito oggetto di riflessione non secondario per Ernst Cassirer:
è specialmente la distinzione delle membra del proprio
corpo che serve come punto di partenza di tutte le altre
ulteriori determinazioni di luoghi. Una volta che l’uomo si
è raffigurata con precisione l’immagine del proprio corpo,
una volta che lo ha sentito come un organismo in sé chiu-
so ed in sé articolato, questo organismo gli serve, per così
dire, di modello per costruirsi il mondo nella sua totalità.
[...] In verità è un fatto quasi ovunque osservabile quello
per cui l’espressione di relazioni spaziali è legata nel modo
più stretto a determinati vocaboli che indicano cose mate-
riali, tra i quali a loro volta occupano il primo posto i
vocaboli che servono per la designazione delle singole
parti del corpo umano.32

Quanto Vico ha descritto con la sua lingua immaginosa e corposa e


Cassirer ha indagato nella sua traiettoria genetica e trascendentale
corrisponde alle metafore concettuali degli studiosi cognitivisti. Nella
fattispecie, in quelle legate allo spazio, le cosiddette metafore di o-
rientamento (orientational metaphors) viene ad allacciarsi, come rile-
vano Lakoff e Johnson, un nesso vitale tra espressione linguistica,
strutture concettuali e orientamento sensomotorio nello spazio.
Queste metafore sono strutturate secondo le dicotomie su/giù, den-
tro/fuori, davanti/dietro ecc.33 Nel vissuto concreto esse formano
«modelli di comprensione del mondo in termini di relazioni topolo-
giche» talmente radicati nella nostra esperienza «che ci è quasi
impossibile pensare alcuni concetti privandoli del loro intrinseco,
coerente, unitario tasso di figuralità spaziale: per intenderci, conten-
to è su, triste è giù; conscio è su, inconscio è giù; salute è su, malattia
è giù; più è su, meno è giù; una condizione sociale elevata è su, bassa
è giù; buono è su, cattivo è giù»34.

31 — G. Vico, Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni [1744],
in Id., Opere, a cura di A. Battistini, Mondadori, Milano 1990, vol. II, p. 588 (§ 405).
32 — E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche. 1. Il linguaggio [1923], trad. di E. Ar-
naud, La Nuova Italia, Firenze 19963.
33 — G. Lakoff - M. Johnson, Metafora e vita quotidiana, cit., p. 18.
34 — S. Calabrese, La metafora e i neuroni, cit., pp. 80 ss.
Sini: Cercarsi fra gli sciami 79

Potremmo aggiungere, con il lessico di Michail Bachtin, che si tratta


di microcontesti assiologici in cui il tempo e lo spazio vengono in-
carnati (dove voplotit’sja-voplo??at’sja è termine chiave nel pensiero
bachtiniano, tradotto in inglese, per l’appunto con to embody). Si
tratta, insomma, di espressioni cronotopiche:
Qui si congiungono in un’unità unica concreta piani che
sono diversi da un punto di vista astratto: la determinatez-
za spazio-temporale, toni e sensi volitivo-emotivi. «Alto»,
«basso», «sotto», «infine», «tardi», «ancora», […] «oltre»,
«più vicino», ecc., acquistano non un [carattere] di conte-
nuto-senso pensabile – solo possibile – bensì una validità
reale, concretamente esperita, pesante, necessaria, dal luo-
go unico della mia partecipazione all’essere-evento.35

Mostrare come Bachtin abbia più volte indicato con luminosa evi-
denza la radice corporea dell’attività figurale oltrepassa i limiti di
questo lavoro. Resta il fatto che i legami che le proposte teoriche
degli studiosi cognitivisti mantengono con le tradizioni filosofiche
del passato sono molteplici e più fitti di quanto sembri talvolta a
un primo sguardo36.

7. La svolta neuronale. Ciò che resta


Il primo capitolo del volume collettaneo curato da Raymond G.
Gibbs, The Cambridge Handbook of Metaphor and Thought37, si
apre con il resoconto presentato da George Lakoff sui cambiamenti
radicali apportati alla nostra comprensione del cervello, della mente,
e quindi alla teoria della metafora, dalla «rivoluzione neuronale»38.
Alcuni dati storici significativi sono i seguenti. Nel 1988 Jerome
35 — M.M. Bachtin, Per una filosofia dell’azione responsabile [1920-24/1986], trad. di M.
De Michiel, Manni, Lecce 19982, p. 66. Ricordiamo che la nozione bachtiniana di «crono-
topo» viene elaborata dopo una riflessione decennale che ha preso avvio da una serie di
studi filosofici, in cui la fenomenologia e il neokantismo, compreso il pensiero di Ernst
Cassirer, rivestono un’importanza rilevante. Nei suoi primi scritti, infatti, Bachtin descrive
l’«architettonica dell’evento», la quale è costituita dai «centri di valore». Questi non sono
altro che i punti di vista dell’atto percettivo, interpretati assiologicamente. Soffermandosi
sulla varietà di aspetti che le determinazioni di spazio e tempo assumono in relazione ai
centri di valore, scrive lo studioso: «In correlazione con il mio posto unico di attivo luogo
di origine nel mondo, tutti i rapporti spaziali e temporali pensabili acquistano un centro di
valore, attorno a cui si compongono in un certo concreto insieme architettonico stabile
[…]. Qui si congiungono in un’unità unica concreta piani che sono diversi da un punto di
vista astratto: la determinatezza spazio-temporale, toni e sensi volitivo-emotivi» (ibidem). Si
ha dunque qui il nucleo teoretico del noto concetto di cronotopo che Bachtin studierà poi
in riferimento alla prosa narrativa.
36 — Legami che non vengono taciuti da Mark Johnson, il più filosofo in senso tradiziona-
le tra gli studiosi della metafora di ambito cognitivista. Cfr. per esempio M. Johnson, The
Meaning of the Body, cit.; G. Lakoff - M. Johnson, Philosophy in the Flesh. The Embodied
Mind and its Challenge to Western Thought, Basic Books, New York 1999.
37 — R.G. Gibbs (ed.), The Cambridge Handbook of Metaphor and Thought, Cambridge
University Press, Cambridge 2008.
38 — G. Lakoff, The Neural Theory of Metaphor, in R.G. Gibbs (ed.), The Cambridge
Handbook of Metaphor and Thought, cit., p. 17.
80

Feldman va a dirigere l’International Computer Science Institute di


Berkeley e dà vita con Lakoff al gruppo di studio della NTL
(Neural Theory of Language). Feldman è uno dei fondatori della teo-
ria della computazione neuronale; il suo libro From Molecule to
Metaphor, scrive Lakoff, raccoglie molto del lavoro svolto dal grup-
po ed è «una lettura obbligata per i teorici della metafora»39. Nel
1996 Terry Regier costruisce un modello computazionale neuronale
che descrive come il cervello computi una serie di relazioni spazia-
li40. Nel 1997 Srinivas S. Narayanan, nella sua tesi dottorale, dà
forma a un modello neuronale della struttura degli eventi,
X-schemas41. Altre due tesi di dottorato degli stessi anni sono fonda-
mentali per la teoria neuronale della metafora: quella di Joseph
Grady sul significato e quella di Christopher Johnson dedicata
all’acquisizione della metafora nell’età infantile42. Nel 2005, Vittorio
Gallese e Lakoff analizzano i significati di elementi e costruzioni
grammaticali caratterizzati da cogs, «cioè strutture neuronali secon-
darie (vale a dire della corteccia premotoria/SMA) che si legano a
strutture nella corteccia primaria (cioè motoria e visuale)»43. In uno
studio pubblicato l’anno successivo Lakoff e Ellen Dodge tornano
sulla nozione di image schemas44.
Un presupposto fondamentale della nuova rivoluzionaria propo-
sta, ereditato dal modello cognitivista precedente, sta nella decisa
affermazione che il pensiero è fisico e che le idee e i concetti sono
fisicamente computati dalle strutture cerebrali. Si ribadisce dun-
que la materialità irriducibilmente immanente dei processi di pen-
siero legati alla fisicità del cervello.
Il ragionare è l’attivazione di certi gruppi neuronali nel
cervello data la attivazione precedente di altri gruppi neu-
ronali. Tutto quanto conosciamo lo conosciamo in virtù
dei nostri cervelli. I nostri cervelli fisici rendono possibili i
nostri concetti e le nostre idee.45

39 — Ibidem. Lakoff fa riferimento a J.A. Feldman, From Molecule to Metaphor. A Neural


Theory of Language, MIT Press, Cambridge MA 2006.
40 — T. Regier, A Model of the Human Capacities for Categorizing Spatial Relations,
“Cognitive linguistics”, n. 6, 1995, pp. 63-88; Id., The Human Semantic Potential. Spatial
Language and Constrained Connectionism, MIT Press, Cambridge MA 1996.
41 — S.S. Narayan, K.A.R.M.A.: Knowledge-based Action Representation for Metaphor and
Action, Doctoral Dissertation, University of California, Berkeley 1997<icsi.berkeley.edu/
/~snarayan/thesis.pdf>.
42 — J.E. Grady, Foundations of Meaning, Doctoral Dissertation, University of California,
Berkeley 1997 <sunzi.lib.hku.hk/ER/detail/hkul/4328701>; C.R. Johnson, Constructional
Grounding. The Role of Interpretational Overlap in Lexical and Constructional Acquisition,
Doctoral Dissertation, University of California, Berkeley 1999.
43 — V. Gallese - G. Lakoff, The Brain’s Concepts, “Cognitive Neuropsychology”, XXII, n.
3-4, 2005, pp. 455-479.
44 — E. Dodge - G. Lakoff, Image Schemas: From Linguistic Analysis to Neural Grounding,
in B. Hampe (ed.), From Perception to Meaning: Image Schemas in Cognitive Linguistics,
Mouton de Gruyter, Berlin 2006.
45 — G. Lakoff, The Neural Theory of Metaphor, cit., p. 18.
Sini: Cercarsi fra gli sciami 81

All’interno di questa cornice di riferimento, la metafora ha a che fare


con il funzionamento simultaneo, in parallelo, di gran parte dei pro-
cessi neuronali, che hanno luogo in strutture locali del cervello fra lo-
ro connesse, i gruppi, o nodi neuronali – formati da un numero di
neuroni compreso tra 10 e 100 – e «preposti a diverse funzioni».
«Poiché ciascun neurone può essere attivo in più nodi», spiega Cala-
brese, «è evidente che i neuroni contenuti all'interno di un nodo pos-
sono attivarsi in momenti diversi, creando differenti livelli di attività
neuronale per ogni nodo. Le metafore, sia detto in anticipo, sfrutta-
no appunto questa polivalenza e simultaneità di uno stesso neurone
in nodi diversi. Con una formulazione ancora più sintetica: la meta-
fora è la forma più semplice che assume l’attività dei gruppi di neu-
roni»46.
A ciò si aggiunge l’apporto della semantica simulativa, conseguen-
za della celebrata scoperta dei neuroni specchio da parte dei ricer-
catori dell’Università di Parma guidati da Giacomo Rizzolatti.
Secondo un suggerimento di Feldman, il significato dei concetti
fisici «è una simulazione mentale, cioè, l’attivazione dei neuroni
necessari a immaginare di percepire o di fare quell’azione»47.
La NTL, seguendo la teoria della simulazione semantica,
suggerisce che il circuito neuronale che caratterizza il
significato di «afferrare» è il circuito dei neuroni specchio
che sono attivati quando si immagina o si fa o si percepi-
sce l’afferrare.
Il significato dei concetti concreti è incorporato diretta-
mente in questo modo.48

Dunque ci troviamo di fronte alla corrispondenza o reciproca in-


terconnessione tra agire, percepire l’agire, immaginare l’agire, im-
maginare di percepire l’agire. Questa corrispondenza equivale al
significato dei concetti concreti. Notiamo tra l’altro il carattere nar-
rativo proprio di tale intreccio e l’importanza del fattore empatico
che ne risulta49. Dunque, chiosa Calabrese, «l’attivazione simultanea
di due gruppi neuronali risulta in questo senso importante per spie-
gare il meccanismo del concatenarsi dei pensieri, chiarendo ciò che
avviene nei processi di apprendimento quando si creano degli au-
tentici circuiti concettuali – una procedura che sta anche alla base
della creazione di metafore primarie»50. Nel nostro sistema cerebra-

46 — S. Calabrese, La metafora e i neuroni, cit.


47 — G. Lakoff, The Neural Theory of Metaphor, cit., p. 18.
48 — Ibidem.
49 — Cfr. A. Pinotti, L’empatia. Storia di un’idea, Laterza, Roma-Bari 2011; M. Accornero,
Movimento, percezione ed empatia, Mimesis, Milano-Udine 2009.
50 — S. Calabrese, La metafora e i neuroni, cit., con riferimento a G. Lakoff, The Neural
Theory of Metaphor, cit., p. 31.
82

le, prosegue Calabrese, «i legami neuronali permettono di percepire


come unitari dei concetti localizzati in aree diverse del cervello, ed è
sempre grazie alle reti di neuroni che si creano delle attivazioni con-
trollate e sequenziali di altri circuiti neuronali, finalizzati all'esecu-
zione di determinati movimenti». La scoperta «che i collegamenti
neuronali attraverso i nodi (gestalt nodes) consentono l’attivazione
di link verso altri circuiti integrati ha in realtà offerto una valida ba-
se scientifica al meccanismo delle inferenze metaforiche: alle nozioni
apprese circa un dominio di partenza detto anche figurato o tenore
(ad es. l’idea di coraggio nella metafora “sei un leone”) si combina-
no le nozioni del dominio di arrivo detto anche figurante o veicolo
(nell’esempio precedente, l’immagine del leone) in virtù della pro-
duzione di nuovi collegamenti neuronali».
In una parola, le metafore agiscono come le reti neurona-
li, e queste ultime non sono altro che ricettacoli di meta-
fore potenziali, per cui non è esagerato affermare che la
metafora rappresenta la matrice primaria della plasticità
del cervello ed è plausibile che abbia partecipato attiva-
mente alla storia evolutiva della mente.51

Certo è che tra la scrittura di Metaphors We Live By e l’edificazio-


ne della NTM sembra essere trascorsa un grossa perturbazione, se
non un cataclisma, nel campo di ricerca. Lakoff tuttavia non trala-
scia di elencare i risultati fondamentali e validi anche nell’«era del-
la scienza del cervello e della computazione neuronale» ottenuti
da quel lontano lavoro del 1980. I principali:
• Le metafore sono mappature concettuali52, parte del
nostro sistema concettuale e non semplici espressioni
linguistiche.
• Vi è un enorme sistema di mappature metaforiche fisse,
convenzionali.
• Il sistema esiste fisicamente nel nostro cervello.
• Alcune metafore sono radicate tramite correlazioni nel-
l’esperienza corporea (per esempio più è su è radicata
tramite la correlazione tra la quantità e la verticalità – si
versa più acqua nel bicchiere e il livello cresce).
• Le mappature concettuali sono tipicamente tra i domini
concettuali (come in l’affetto è calore).
• Le mappature (come una competizione è una corsa) pos-
sono anche andare da un caso specifico (una corsa) a
un caso più generale (una competizione).
• Le mappature operano sulla cornice dominio di parten-
51— S. Calabrese, La metafora e i neuroni, cit., con riferimento a J.A. Feldman, From
Molecule to Metaphor, cit., pp. 118-198.
52 — Il concetto di mappatura (mapping) equivale a quello di proiezione visto in preceden-
za. Cfr. supra, §§ 4 e 5.
Sini: Cercarsi fra gli sciami 83

za (source domain frame) e sulla struttura iconico-sche-


matica (image-schema structure).
• Tramite le mappature metaforiche, strutture del domi-
nio di partenza (schemi iconici e strutture cornice) ven-
gono usate per ragionare sul dominio di arrivo. Infatti
gran parte del nostro ragionamento fa uso di metafore
concettuali.
• Il linguaggio metaforico fa uso del linguaggio concettuale.
• Il più delle metafore concettuali è parte dell’inconscio
cognitivo, le si apprende e usa automaticamente, senza
consapevolezza.
• Il nuovo linguaggio metaforico fa uso del sistema esi-
stente di metafore convenzionali.
• Le metafore complesse sono composte da metafore più
semplici e cornici di luogo comune.53

Un esempio prediletto da Lakoff è la metafora L’amore è un viaggio.


Essa è composta dalle seguenti metafore concettuali: gli
scopi sono le destinazioni; le difficoltà sono impedimenti al
movimento; una relazione è un contenitore; l’intimità è
vicinanza. Cui si aggiungono le conoscenze basate sulla
cornice di luogo comune secondo cui: un veicolo è un
mezzo di viaggio; un veicolo è un contenitore in cui i viag-
giatori sono insieme vicini; ci si aspetta che le persone
abbiano scopi nella vita; gli amanti hanno scopi nella vita
compatibili. Questi sono messi insieme in modo tale per
cui: gli scopi nella vita sono destinazioni; gli amanti sono
viaggiatori che provano a raggiungere queste destinazioni;
la loro relazione è un veicolo per cui gli amanti sono den-
tro la relazione; essi sono vicini; e la relazione, quando
funziona, li aiuta a raggiungere gli scopi; le difficoltà della
relazione sono impedimenti al movimento (cioè una lunga
strada polverosa ecc.).54

Prima della svolta neuronale, Lakoff aveva osservato che simili


«composizioni strutturali» vengono realizzate attraverso associazioni
(bindings), cioè modi di identificazione degli elementi tra loro.
«Dunque, gli scopi della vita degli amanti ideali sono “associati” agli
scopi della vita compresi come destinazioni. Un veicolo usato per
un viaggio è tipicamente un contenitore, che è associato al conteni-
tore nella metafora Una relazione è un contenitore». Inoltre già in
Metafore e vita quotidiana si era rilevata l’azione di un «principio di
ottimizzazione» nel formarsi di tali metafore complesse, una sorta di
catena che tiene insieme tra loro tutte le componenti: «Dato che gli
scopi della vita degli amanti sono associati agli scopi della vita intesi
come destinazioni, il principio di ottimizzazione porta ad associare
53 — G. Lakoff, The Neural Theory of Metaphor, cit., pp. 24-25.
54 — Ivi, p. 25.
84

gli amanti con gli scopi della vita ai viaggiatori che vanno alle desti-
nazioni, per produrre la mappatura metaforica Gli amanti sono viag-
giatori»55.
Ora la teoria neuronale della metafora, afferma Lakoff, offre un
modo molto diverso di pensare queste metafore. Il principio di
ottimizzazione si spiega molto più semplicemente con le caratteri-
stiche plastiche di massima efficienza del cervello (the brain is a
best-fit system)56.
Da un linguaggio all’altro, però, il salto c’è eccome, indipendente-
mente dalla maggiore economicità delle spiegazioni del secondo
rispetto a quelle del primo.

8. Ma poi? Ma noi?
Il punto è che l’oggetto di indagine ha assunto una complessità inat-
tesa tale da spingerci a voler trarre un bilancio dei vantaggi e benefi-
ci che abbiamo fino adesso ottenuto da siffatte nuove esplorazioni.
Ammettiamo pure che ora, dopo la rivoluzione della NTM, della
quale peraltro si sono presentate qui soltanto poche pallide tracce
sommarie, il meccanismo metaforico abbia trovato una chiarificazio-
ne soddisfacente. Ma siamo sicuri che proprio di questa chiarifica-
zione eravamo in cerca57? Resta tuttavia il dubbio, insolubile in que-
sta sede, di una irriducibile alterità degli strumenti e delle categorie
concettuali che tale rivoluzione offre58.
Resta poi l’impressione di avere smarrito l’orientamento, abbando-
nato i punti di riferimento. Certo, sentiamo battere la consapevolez-
za di continuare ineludibilmente a servirci di metafore concettuali
mentre parliamo di esplorazioni, diciamo di avere smarrito l’orienta-
mento, abbandonato i punti di riferimento. Ce lo aveva indicato a
suo tempo Giambattista Vico e spiegato Ernst Cassirer. Ora la con-
sapevolezza può divenire folgorante come una intuizione preziosa o
paralizzante come una coazione a ripetere59.
55 — Ibidem.
56 — Ibidem.
57 — «È indiscutibile, fra l’altro, che la metafora sia una forma di ragionamento, e di ragio-
namento creativo: ma non bisogna affrettarsi a sopprimere la sua opacità in nome di una
purezza noetica che essa ha rifiutato preliminarmente. Comprendere una metafora non di-
pende solo da un lavoro di pulitura e di scarto: qui il terriccio e il fango sono altrettanto
preziosi dell’ora». G. Bottiroli, Retorica. L’intelligenza figurale nell’arte e nella filosofia,
Bollati Boringhieri, Torino 1993, p. 52.
58 — Per uno scandaglio delle questioni teoriche e metodologiche che sorgono all’incontro
tra neuroscienze e scienze umanistiche, in particolare per una messa a punto dell’alternativa
tra monismo e possibilità di correlazione tra linguaggi e relative categorie biologiche e psi-
cologiche, rinvio alle illuminanti riflessioni di S. Ballerio, Neuroscienze e teoria letteraria. I.
Premesse teoriche e metodologiche, “Enthymema”, I, 2010, pp. 165-189; Id., Neuroscienze e
teoria letteraria. II. Un esperimento di lettura, “Enthymema”, II, 2010, pp. 207-246.
59 — Allo stesso modo avviene all’autocensura del decostruzionismo: obbligato a ripetere
che tutto quanto diciamo è già stato deciso dal logos occidentale, si condanna al silenzio o
alle perlustrazioni funamboliche dei bordi del logos.
Sini: Cercarsi fra gli sciami 85

Ciò che conta in realtà è che ci siamo accorti di una latitanza ingom-
brante: quella della letteratura. Non è un dato trascurabile, forse,
che delle 524 pagine dedicate alla metafora da The Cambridge Hand-
book of Metaphor and Thought solo le 24 scritte da Elena Semino e
Gerard Steen siano esplicitamente di argomento letterarario60. Ag-
giungiamoci anche le altre 13 di Yeshayahu Shen sulla metafora e le
figure poetiche61: restano comunque pochine.
Certamente, in questo nuovo aitante paradigma, se tale lo è davve-
ro, incontriamo molti studi estremamente attraenti che concernono
l’ottica letteraria (non specificamente, ma letteraria sì). Da pochi an-
ni vediamo prendere forma i nuovi settori, dichiaratamente interdi-
sciplinari, della retorica cognitiva e della stilistica cognitiva62.
Se poi, come abbiamo rilevato, problema cruciale nelle proposte
teoriche cognitiviste è rappresentato dall’iconismo (pensiamo ad
esempio al ruolo degli image schemas nelle teoria di Lakoff e Tur-
ner), non pochi altri suggerimenti preziosi ci giungono dalla rifles-
sione sull’immagine che in questo terreno ha trovato condizioni par-
ticolarmente propizie63. Davanti a noi si è ampliato notevolmente lo
spazio di discussione e ricerca intorno alle modalità espressive non
linguistiche, così che possiamo analizzare con dovizia di strumenti
di lettura le metafore multimodali e quelle espresse dai gesti e dai
movimenti del corpo64. Per non dire dell’ambito della neuronarrato-
logia che si interseca da molteplici lati con quello della retorica che
qui più ci riguarda65. Abbiamo infatti avuto modo di accorgerci che
la narratività è momento ereditario, o potenziale o in perpetuo inne-
sco, nel corpo della figura retorica. Lo aveva peraltro intuito anche
60 — E. Semino - G. Steen, Metaphor in Literature, in R.G. Gibbs (ed.), The Cambridge
Handbook of Metaphor and Thought, cit., pp. 232-246.
61 — Y. Shen, Metaphor and Poetic Figures, in R.G. Gibbs (ed.), The Cambridge Handbook
of Metaphor and Thought, cit., pp. 295-307.
62 — Mi riferisco in particolare al recente volume Alina Kwiatkowska (ed.), Texts and
Minds. Papers in Cognitive Poetics and Rhetoric, Peter Lang, Frankfurt am Main 2012. Vi
troviamo alcuni saggi interessanti, di carattere “applicativo”, e proprio per questo utili alla
varifica della tenuta dei fondamenti teorici su cui poggiano. Tra questi ricordo, per esem-
pio, oltre al saggio Metaphor and Poetic Creativity di Zoltán Kövecses, al quale torneremo
tra poco (cfr. infra, § 9), per esempio, il saggio di Paul Tenngart, Simultaneus Multiple
Frames in Charles Baudelaire’s «Les Fleurs du Mal», pp. 29-40.
63 — Cfr. ad esempio A. Benedek - K. Nyíri (eds.), Images in Language. Metaphors and
Metamorphoses, Peter Lang, Frankfurt am Main 2011; dove segnalo, fra altri degni di atten-
zione, il saggio di Kristóf Nyíri, Time As figure of Thought and As Reality, pp. 57-67.
64 — Queste tematiche sono oggetto di attenzione sia nel volume succitato a cura di
Benedek e Nyíri, sia del Cambridge Handbook of Metaphore and Thought, dove tutta la
parte IV è dedicata appunto a Metaphor in Non Verbal Expression (pp. 446-524; segnalo in
particolare, ma tutti i saggi sono comunque decisamente interessanti, le pagine di Alan
Cienki e Cornelia Müller su metafora e gesto: pp. 483-501). Anche Kövecses nel suo
manuale Metaphor. A Practical Introduction (Oxford University Press, Oxford 20102) non
tralascia di soffermarsi sui gesture studies e sull’indagine intorno alle realizzazioni di meta-
fore concettuali proposteci da musica, cinema e teatro, cartoni animati, pubblicità, simboli,
miti, perfino interpretazione dei sogni (pp. 63-73).
65 — Su questo cfr. il lavoro a cura di Stefano Calabrese, Neuronarratologia. Il futuro del-
l’analisi del racconto, Archetipolibri, Bologna 2009.
86

Vico, che appellava la metafora «una picciola favoletta». E del resto


si sa che il cosiddetto rhetorical turn all’imbrunire del Novecento ha
avuto come pendant un narrative turn e un iconic turn.
E poi, e noi? Torniamo a domandarci. Non solo non troviamo la let-
teratura in un volume deputato a esibire le migliori ricerche sulla
metafora disponibili nella prima metà del primo decennio del XXI
secolo, ma percepiamo altresì l’assenza della metafora viva, creativa,
davvero produttrice di stupore e conoscenza, come ci avevano indi-
cato Tesauro, Vico, Black e Ricoeur, fra gli altri66. L’ipotesi cogniti-
vista, in effetti, riconduce tendenzialmente tutte le metafore a
matrici concettuali comuni, a schemi generali e tipici.

9. Alcune cose che fa la letteratura


Che questa sia l’attitudine preponderante ce lo spiega con ammire-
vole chiarezza Zoltán Kövecses, nel suo utile volume che compendia
in modo esauriente e semplice l’impalcatura generale degli studi
cognitivisti sul tema. In particolare il quarto capitolo è intitolato alla
metafora della letteratura e si apre con la domanda seguernte:
Qual è il rapporto tra le metafore usate nel linguaggio
ordinario e quelle usate nella letteratura, inclusa la poe-
sia? Le metafore letterarie includono una categoria indi-
pendente e distinta rispetto alle metafore ordinarie?67

Lasciamo da parte per il momento il riferimento allo specificio lette-


rario sollecitato dalla domanda. Seguiamo piuttosto l’argomentazio-
ne dello lo studioso ungherese. Secondo il quale l’idea che la «vera
fonte della metafora» si trovi nella letteratura e nell’arte è, se esaminata
dal punto di vista della linguistica cognitiva «vera solo in parte», dal
momento che «il linguaggio quotidiano e il sistema concettuale quoti-
diano offrono un notevole contributo al lavoro del genio artistico».
Senz’altro, riconosce Kövecses, i poeti creano metafore nuove e
originali, che sono degne di nota «in virtù del loro carattere fre-
quentamente anomalo o strano». A questo proposito cita un cele-
bre esempio tratto da El amor en los tiempos del cólera di Gabriel
García Márquez:
Alguna vez probó apenas una tisana de manzanilla, y la
devolvió con una sola frase. «Esta vaina sabe a ventana».

66 — P. Ricoeur, La metafora viva. Dalla retorica alla poetica [1975], trad. it di G. Grampa,
Jaca Book, Milano 1981. Mi piace ricordare qui Il cannocchiale aristotelico di Emanuele
Tesauro (cfr. per esempio la ristampa anastatica dell’edizione Zavatta, Torino 1670, Ed.
Artistica Piemontese, Savigliano 2000). In questa sorta di cosmologia della percezione, dove
tutto il mondo visibile e invisibile – dalle rime ai palazzi, dai sogni alla follia, dagli angeli ai
giochi da tavolo, dalle nuvole al battito di un ciglio – si traduce in arguzia, cioè in metafora,
il discorso vale sempre simultaneamente per il dire e per il vedere.
67 — Z. Kövecses, Metaphor. A Practical Introduction, cit., p. 49.
Sini: Cercarsi fra gli sciami 87

Una tazza di camomilla che sa di finestra produce davvero un ef-


fetto rilevante. «Questa è certamente una metafora non convenzio-
nale creata dall’autore al fine di offrire una prospettiva nuova e
differente sulla realtà». «Le metafore letterarie originali e creative
come queste», conviene lo studioso, «sono meno chiare ma più
ricche in significato rispetto alle metafore quotidiane o alle meta-
fore nella scienza»68. Non possiamo non notare, en passant, che le
categorie qui invocate per affrontare il problema (metafore nuove
e originali degne di nota in virtù del loro carattere frequentamente
anomalo o strano; una prospettiva nuova e differente sulla realtà)
sono sostanzialmente tradizionali, o per lo meno sono quelle del
modernismo di inizio Novecento: Viktor ?klovskij, per fare soltan-
to un nome. Anche il titolo del paragrafo 1, «Linguaggio ordinario
e poetico» ci potrebbe apparire come un cedimento alla rassicu-
rante dicotomia tanto discussa dai formalisti russi.
E purtuttavia il nuovo paradigma si impone sul vecchio:
Ma metafore come queste sembrano essere meno frequen-
ti in letteratura rispetto a quelle basate sul nostro sistema
concettuale quotidiano. Una delle scoperte sorprendenti
del lavoro svolto sul linguaggio poetico dai linguisti cogni-
tivisti consiste nel riconoscimento che il linguaggio poeti-
co è basato su convenzionali, ordinarie metafore concet-
tuali.69

Grattando dunque la superficie dei testi, ci accorgiamo che molte


metafore della poesia e della letteratura che ci sembrano a un pri-
mo sguardo originali non lo sono affatto, come per esempio le fre-
quenti La vita è un viaggio, La morte è la fine del viaggio, Il tempo
della vita è un giorno, La vita è luce, La morte è buio ecc. Quindi,
posto che la maggior parte delle metafore usate dai poeti è di tipo
ordinario e quotidiano, e che la loro creatività da queste deriva, si
impone la domanda: «qual è la relazione più precisa tra metafore
letterarie e ordinarie?»70.
La risposta ci viene offerta da Lakoff, Turner e Gibbs, i quali han-
no sottolineato come i poeti impieghino regolarmente alcuni proce-
dimenti per creare un linguaggio e delle «immagini» dai materiali
convenzionali del linguaggio e del pensiero quotidiani. Questi pro-
cedimenti sono: extending, elaboration, questioning e combining71.

68 — Ibidem.
69 — Ivi, p. 51.
70 — Ivi, p. 52.
71 — Ivi, pp. 53-55, con riferimento a R.W. Gibbs, The Poetics of Mind. Figurative
Thought, Language and Understanding, Cambridge University Press, Cambridge 1994 e a
G. Lakoff - M. Turner, More than Cool Reason. A Field Guide to Poetic Metaphor, Chicago
University Press, Chicago 1989.
88

Kövecses presenta poi una serie di esempi relativi a tali procedimen-


ti. Il primo, l’estensione, caratterizzerebbe l’incipit dell’Inferno di
Dante, dove la metafora convenzionale La vita è un viaggio verrebbe
descritta attraverso mezzi non convenzionali basati su un elemento
inusitato della sorgente (source), vale a dire la possibilità che la stra-
da della vita possa passare da una selva oscura.
L’elaborazione tratta invece un elemento esistente del dominio di
partenza in un modo inusuale. Invece di aggiungere un nuovo ele-
mento al dominio della sorgente, ne coglie uno già esistente in un
modo nuovo e non convenzionale. Per esempio la metafora La
rabbia è un fluido caldo in un contenitore (cfr. l’espressione il san-
gue ribolle di rabbia) diventa in un verso di The Phenomenology of
Anger (1972) di Adrienne Rich:
Not enough. When I dream of meeting
the enemy, this is my dream:
white acetylene
ripples from my body
effortlessly released
perfectly trained
on the true enemy
raking his body down to the thread
of existence
burning away his lie
leaving him in a new
world; a changed
man

Mentre comprendiamo il poema, spiega Kövecses, attivamo nella


nostra mente la metafora più comune La rabbia è un fluido caldo in
un contenitore. Nei versi di Rich il fluido caldo è elaborato come a-
cetilene e l’evento passivo dell’esplosione viene rimpiazzato dall’a-
zione di dirigere la sostanza pericolosa dell’acetilene al bersaglio
della rabbia. Dunque «larga parte dell’intuitivo appeal del poema
deriva dal nostro riconoscimento (possibilmente inconscio) di que-
sta visione metaforica della rabbia familiare e completamente mon-
dana»72, dove lo studioso mette a fuoco la dialettica tra dato e
nuovo, legge basilare della percezione e dell’attribuzione di senso.
Con l’interrogazione, d’altra parte, viene revocata in dubbio l’ap-
propriatezza delle nostre metafore quotidiane, come emerge dai
celebri versi del Carme V di Catullo: «Soles occidere et redire pos-
sunt: | Nobis cum seme occidit brevis lux, | Nox est perpetua una
dormienda». Qui Catullo mostra che al momento della morte alcu-

72 — Z. Kövecses, Metaphor. A Practical Introduction, cit., p. 54.


Sini: Cercarsi fra gli sciami 89

ne delle metafore più comuni adoperate per indicare la vita e la


morte (La vita è un giorno – La morte è la notte), smettono di essere
appropriate. Diventano inappropriate poiche la morte è piuttosto
una «sola interminabile notte da dormire». Le due metafore vengo-
no mantenute, ma la loro appropriatezza è corrosa dal dubbio73.
Alla spiegazione dei procedimenti poetici descritti in particolare da
Lakoff e Turner, segue un paragrafo interessante dedicato al mecca-
nismo della personificazione, su cui ci siamo soffermati in preceden-
za74. La personificazione, ribadisce Kövecses, avviene nel linguaggio
convenzionale quotidiano. Si tratta altresì di un procedimento me-
taforico comunemente usato in letteratura. Per esempio si personifi-
ca il tempo: il tempo è ladro, è rapitore, divoratore, distruttore ecc.
«La personificazione ci permette di usare la conoscenza riguardo a
noi stessi per comprendere altri aspetti del mondo come il tempo, la
morte, le forze naturali, gli oggetti inanimati ecc.»75. Alla base della
personificazione vi è la metafora generale gli eventi sono azioni per
cui noi vediamo gli eventi come prodotti da un agente attivo, dotato
di volontà. I testi letterari, prosegue Kövecses, abbondano anche di
metafore basate su immagini (image-based metaphors). Sono im-
magini uniche che richiedono la mappatura di diversi elementi da
un’immagine a un’altra. Ne troviamo un esempio evidente all’inizio
de L’Union libre di Breton: «Ma femme [...] | à la taille de sablier».
Qui abbiamo due immagini dettagliate: una per il corpo
della donna, una per una clessidra. Seguendo la metafora,
prendiamo l’immagine della forma dettagliata della clessi-
dra e la mappiamo nella forma dettagliata del corpo della
donna. Particolamente degno di nota è il fatto che le paro-
le nella metafora di per se stesse non dicono nulla su quale
parte della clessidra dovrebbe venire mappata in quale
parte del corpo della donna. Eppure noi sappiamo esatta-
mente quali parti mappano in quali sulla base della forma
comune. Questo anche è ciò che rende la metafora- imma-
gine concettuale piuttosto che semplicemente linguistica.76

Infine vi sarebbero le megametafore, vale a dire convenzionali o nuo-


ve metafore tali da poter percorrere interi testi letterari senza emerge-
re in aperta superficie (ciò che tradizionalmente si direbbe isotopia).
I suggerimenti dunque non mancano, anche se in complesso non
pare di vedere sbalorditive novità dal punto di visto metodologico:
già la retorica antica aveva messo a fuoco qualcosa del genere con
i termini, poniamo, di adiectio, detractio, trasmutatio, immutatio77.
73 — Ivi, pp. 54-55.
74 — Cfr. supra, § 5.
75 — Z. Kövecses, Metaphor. A Practical Introduction, cit., pp. 55-56.
76 — Ivi, p. 57.
77 — Cfr. H. Lausberg, Elementi di retorica [1949], a cura di L. Ritter Santini, il Mulino,
90

10. Che cosa manca?


Lo stesso Kövecses, d’altronde, si accorge presto del fatto che le
proposte di Lakoff e Turner riguardanti i procedimenti di manipo-
lazione a fini espressivi delle metafore concettuali applicati dai
poeti non sono sufficienti a fornire una spiegazione adeguata del
variopinto universo della creatività metaforica in poesia. Com-
prende dunque che «dobbiamo procedere oltre»78. Ecco però che
lo studioso cognitivista delinea una soluzione forse innovativa in
seno al nuovo paradigma, e tuttavia disarmante per la sua lampan-
te ovvietà da un punto di vista letterario – o meglio: dal punto di
vista della critica e della teoria letterarie, sia pure tradizionali.
Suggerirò che un resoconto più completo dell’uso poetico
della metafora richieda che noi guardiamo al possibile
ruolo del contesto in cui i poeti creano poesia.79

Accingendosi ad esaminare la lirica di Mattew Arnold Dover Beach


(1867), Kövecses distingue tra la rappresentazione di un contesto
come oggetto e sfondo, che può venire espresso attraverso metafore
(nello specifico il mare calmo nella notte) e l’uso metaforico di que-
sto stesso contesto attuato «per esprimere significati che non sono
considerati parte del significato del contesto descritto». Insomma,
Usando la teoria concettuale della metafora, possiamo di-
re che il contesto può funzionare come dominio di par-
tenza e i significati da esprimere per mezzo del dominio
di partenza funzionano come punto di arrivo.80

Non manca in queste pagine un’attenta disamina delle accezioni di-


sparate in cui il termine contesto può venire inteso, trattandosi di
una nozione complessa per le variabili sia qualitatitive sia temporali-
dimensionali che lo caratterizzano. Inoltre «la nozione di contesto
include i contesti linguistici, intertestuali, culturali, sociali, e le prin-
cipali entità del discorso, come il parlante, l’ascoltatore e l’argomen-
to»81.
Da un punto di vista spazio-temporale possiamo distinguere quindi
tra contesti locali o globali, del presente o che tornano indietro nel
tempo. Nei casi di analisi dei testi poetici risulta senza dubbio più
interessante l’esame di «contesti più immediati: fisici, linguistici,
interculturali, culturali, sociali, spaziali e temporali»82.

Bologna 1969; B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica [1988], Bompiani, Milano 1997.
78 — Z. Kövecses, Metaphor and Poetic Creativity, cit., p. 13.
79 — Ivi, p. 15.
80 — Ivi, p. 16.
81 — Ivi, p. 17.
82 — Ibidem.
Sini: Cercarsi fra gli sciami 91

Ecco che queste premesse teoriche si traducono in strumenti di


analisi del testo poetico. Sulla quale non ci soffermiamo ora se non
per rilevare, di nuovo, uno straniante effetto di déjà vu suscitato
da affermazioni come la seguente:
Suggerisco che la condizione fisica di un poeta, special-
mente la cattiva salute, possa avere un effetto su come
lui/lei concettualizza metaforicamente il soggetto di cui
sta scrivendo. Nella mia terminologia, questo è il modo in
cui l’autoconsapevolezza della propria situazione come
fattore contestuale può spesso condurre all’uso creativo di
metafore da parte dei poeti.83

L’impressione che se ne trae è quella di trovarsi di fronte al vec-


chio metodo biografico sofisticato e riverniciato84. La conclusione,
senz’altro condivisibile, cui lo studioso giunge al termine del suo
saggio riguarda la necessità di studiare la poesia e il linguaggio poe-
tico tenendo in considerazione «il background sociale-culturale-per-
sonale e al tempo stesso l’interna sistematicità testuale del poema»,
e il rilievo che individua l’unicità della metaforizzazione poetica
rispetto a quella della comunicazione quotidiana «nella densità e
complessità e del processo di influenza contestuale sui poeti»85.
La conclusione cui mi permetto di giungere io è che qui di cambio
di paradigma non c’è alcuna traccia.

11. Contesti, specificazioni e sciami


L’appello al contesto costituisce motivo comune a una estesa schiera
di studiosi diversi tra loro che potremmo qui, avviandoci a chiude-
re, chiamare in causa, sia pure in modo anacronistico, tendenzioso e
cursorio, come possibili sviluppi promettenti o alternative valide alle
teorie della metafora letteraria di provenienza cognitivista.
Comincio con il nome di Wayne Booth, riproponendo lo sguardo
indietro da cui avevamo preso le mosse, per l’appunto anacronisti-
camente. Il suo procedere argomentativo valorizza effettivamente gli
aspetti contestuali della metafora – intesa in senso ampio, testuale,
oltre la dimensione lessicale o frasale. Ecco quanto afferma:
Ciò che si sta comunicando è dipendente dal contesto: il
significato pieno della metafora non può venire determi-
nato senza riferimento alla situazione retorica. Che si trat-
ti di una metafora tutti lo possono vedere senza contesto.
Cosa dica o faccia dipende dalla situazione retorica.86

83 — Ivi, p. 17.
84 — Ivi, pp. 20-24.
85 — Ivi, pp. 24-25.
86 — W. Booth, Metaphor as Rhetoric, cit., p. 51.
92

Nel riattivare la veneranda tradizione retorica, Booth sottolinea l’al-


trettanto venerando legame di appropriatezza caratteristico di una
buona metafora: adeguatezza non soltanto rispetto al proprio com-
pito, ma anche al proprio uditorio. La metafora insomma non può
sfuggire all’aptum, alla maggiore delle virtutes elocutionis, per la
quale la possibilità della licentia è ridotta all’osso, se non pressoché
nulla, e non è all’opera la dialettica tra norma e deviazione che inve-
ste le altre virtù. Ma, soprattutto, Booth vaglia il possibile uso della
metafora alla luce dell’ethos cui essa dà forma e sostanza.
Una buona figura è il biglietto da visita dell’oratore, il materiale da
costruzione della sua affidabilità. Se è tale da farsi riconoscere come
figura a tutti gli effetti, essa palesa la volontà di chi l’ha creata di
farsi riconoscere così e così, per questo modo di usare il linguaggio
e di torcerlo e plasmarlo87. Le metafore di un oratore, inoltre, ne
rivelano l’ethos insieme alla cultura in cui si identifica:
Le metafore cui teniamo di più sono sempre inscritte in
strutture metaforiche che infine dipendono da e costitui-
scono i soggetti e le società.88

Ecco che il fondamento etico-esistenziale che sorregge la teoria e la


critica della letteratura praticate da Booth lo esorta infine ad affer-
mare che «la qualità di ogni cultura sarà in parte misurata sia dalla
qualità delle metafore che essa induce o consente, sia dalla qualità
dei giudici della metafora che educa e premia»89. Ci troviamo sen-
z’altro fuori dalla retorica ristretta ma non siamo ancora sprofondati
negli oceani sconfinati della cultura: a trattenerci sulla terraferma
stanno i vincoli civili e sociali che garantiscono e governano il nostro
esprimerci, senza tuttavia poterne divenire previsione né coercizione.
Anche nella teoria della metafora di Dan Sperber e Deirdre Wilson
il contesto risulta decisivo, anzi a ben guardare, ne rappresenta la
condizione di possibilità, trattandosi di una impostazione pragmati-
ca in senso proprio90.
Da essa, peraltro, emerge l’altro tema urgente che ci ha accompa-
gnato fino a qui, vale a dire la distinzione fra metafore letterarie e
metafore quotidiane. Da questo punto di vista Sperber e Wilson
occupano una posizione estrema: la loro teoria deflazionista non è
interessata a cercare differenze fra traslati letterari e di ambito co-
mune, dal momento che la metafora si colloca in un continuum di
atti comunicativi essenzialmente ostensivo-performativi, che in-
87 — Ivi, p. 55.
88 — Ivi, p. 61.
89 — Ivi, p. 62.
90 — Cfr. D. Sperber - D. Wilson, A Deflationary Account of Metaphors, in R.G. Gibbs
(ed.), The Cambridge Handbook of Metaphor and Thought, cit., pp. 84-108.
Sini: Cercarsi fra gli sciami 93

clude senza soluzione interpretazioni letterali, libere e iperboliche


definite dalla loro rilevanza (relevance).
Per discutere di fatti letterari ci rivolgiamo ai già citati Semino e
Steen, che mettono a fuoco la questione relativa alla differenza tra
metafore in letteratura e metafore in ambiti diversi. Se «implicitamen-
te o esplicitamente l’estesa maggioranza concorda nel ricono-scere l’e-
sistenza di una differenza», tuttavia, «i vari approcci alla metafora in
letteratura sono in disaccordo, talora drammaticamentee, su come
essa differisca dalla metafora fuori dalla letteratura e dalla metafora
altrove»91. In linea di massima, si registrano «approcci che enfatizza-
no la discontinuità tra metafora in letteratura e metafora nel linguag-
gio non letterario, e approcci che enfatizzano la continuità»92. Fra i
“discontinuisti” viene annoverato Reuven Tsur, il quale, in contrasto
con gli studi che pur fortemente consapevoli delle funzioni cognitive
della metafora si concentrano su di essa in quanto fenomeno linguisti-
co, si avvale delle teorie cognitive per rendere sistematicamente conto
della relazione tra le strutture dei testi letterari e i loro effetti
percepiti93. Tra i “continuisti” si collocano invece, come era prevedi-
bile da quanto abbiamo visto ampiamente in precedenza, gli esponen-
ti della koiné cognitivista.
Il fatto è, e l’abbiamo già sottolineato, che le metafore studiate dai
rappresentanti di tale orientamento sono le metafore concettuali, e
non le metafore vive, creative. Questa obiezione di fondo anima l’im-
portante recente volume collettivo a cura di Monika Fludernik,
Beyond Cognitive Metaphor Theory94, sorretto, come recita il titolo,
dall’esplicità volontà di oltrepassare il modello cognitivistico di analisi
della metafora e in particolare della metafora letteraria. Si tratta di un
oltrepassamento bifronte: da una parte la vis polemica sembra esten-
dere la sua portata oltre il tema specifico, per quanto caratteristica-
mente ampio e sfuggente, per investire, interrogandosi sul suo statuto
scientifico, l’intera area delle discipline cognitive. D’altronde, se ven-
gono respinti alcuni assunti tipicamente cognitivistici relativi alle
metafore letterarie – e innanzi tutto la loro equipollenza con le
metafore concettuali95 – ciò non significa rimozione totale. Piuttosto
abbiamo a che fare con una discussione critica che conserva molti
strumenti operativi; sta di fatto che questo lavoro rappresenta al

91 — E. Semino - G. Steen, Metaphor in Literature, cit., p. 233 (ma cfr. pp. 232-246).
92 — Ibidem.
93 — Cfr. R. Tsur, Toward a Theory of Cognitive Poetics, North-Holland, Amsterdam 1992.
94 — M. Fludernik (ed.), Beyond Cognitive Metaphor Theory. Perspectives on Literary
Metaphor, Routledge, London 2011.
95 — Cfr. per esempio il saggio di El?bieta Chrzanowska-Kluczewska A Metaphor or a
Figure in Its Own Right? (pp. 35-36) in cui ai meccanismi di concettualizzazione in atto,
secondo la teoria cognitivistica, nell’attività metaforica, viene contrapposta l’idea di una piega
figurale e retorica della mente umana che si declina in una multiforme molteplicità di tropi.
94

momento una delle più interessanti possibilità alternative, tanto


dal versante teorico quanto da quello applicativo, rispetto al
“paradigma” cognitivistico. Dove l’elemento maggiormente rile-
vante riguarda l’intenso interscambio tra teoria della metafora e
narratologia, a confermare la virtualità narrativa dei processi figu-
rali di cui dicevamo sopra96.
Che l’approccio cognitivista abbia limitato la propria considerazio-
ne teorica alle sole metafore concettuali è oggetto di rilievo pole-
mico in un recentissimo lavoro di Michele Prandi. Proprio da ciò
prende avvio l’appello in nome delle metafore vive che dà il titolo
al saggio97. Queste ultime, infatti, «non sono mere riformulazioni
di concetti metaforici condivisi» come tende a mostrare l’analisi di
Lakoff e Johnson e dei loro colleghi, ma «interpretazioni testuali
del significato di espressioni complesse» in cui concetti singoli
entrano in conflitto tra loro. In estrema sintesi, Prandi descrive dun-
que le metafore vive come esito di interpretazione di conflitti
semantici. L’interazione metaforica a sua volta genera un conflitto
fra significati che si protrae nella storia dei concetti e del linguaggio.
Non è possibile esaminare nel dettaglio la posizione di Prandi e
dare conto della sua ricca originalità teorica. Ciò che qui ci inte-
ressa sottolineare, anche a costo di una brusca semplificazione, è
innanzi tutto l’idea di interazione dinamica, che ci riconduce a
Black e al punto di non ritorno rappresentato dalla sua proposta98.
L’attività dell’interazione risulta particolarmente evidente nelle
metafore conflittuali, ma non si innesca solo all’interno di queste.
Sebbene illuminata dall’osservazione delle metafore conflit-
tuali, l’interazione è un processo più generale, che può ve-
nire isolato dai suoi esiti divergenti e identificato come il
più grande denominatore comune di ogni tipo di metafora.99

L’idea di interazione ci riconduce anche a Jurij Tynjanov, il quale


avrebbe senz’altro sottoscritto il contenuto del passo appena visto:
a maggior ragione laddove la dinamica interattiva si qualifica come
conflitto100. Riguardo alla questione della distinzione tra metafore
letterarie e metafore non letterarie, osserviamo nel linguista italia-
no la volontà di contrastare l’accreditato luogo comune secondo
96 — Cfr. supra, § 8.
97 — M. Prandi, A Plea for Living Metaphors: Conflictual Metaphors and Metaphorical
Swarms, “Metaphor and Symbol”, XXVII, n. 2, 2012, pp. 148-170.
98 — Cfr. supra, § 3.
99 — M. Prandi, A Plea for Living Metaphors, cit., p. 154.
100 — Da parte sua, Giovanni Bottiroli accoglie e declina in senso polemologico e modale
l’idea di interazione di Black ma ne rifiuta il fondamento referenzialista. Oltre al succitato
Retorica, cfr. G. Bottiroli, Che cos’è la letteratura. Fondamenti e problemi, Einaudi, Torino
2006, pp. 254-260 passim, e Id., Metafore e miscele modali, <giovannibottiroli.it/index.
.php?option=com_content&task=view&id=48&Itemid=14>.
Sini: Cercarsi fra gli sciami 95

cui tra metafora viva e metafora convenzionale vi sarebbe un con-


tinuum. «La linea tra metafora viva e metafora convenzionale, per
quanto sia talvolta difficile da tracciare, è una differenza essenziale
e netta». Siamo nel campo dei “discontinuisti”, se vogliamo usare
il termine adoperato da Semino e Steen.
La metafora concettuale è secondo Prandi l’espressione di un si-
gnificato lessicale proprio della parola sedimentatosi nella storia della
parola stessa. Al suo interno si possono distinguere le catacresi regres-
sive e morte (la gamba del tavolo) e i concetti metaforici coerenti (il
libro del mondo). Mentre la metafora viva conflittuale (la luce versa-
ta), che valorizza il potere formativo delle strutture sintattiche, gene-
ra uno scontro di significati e con esso una complessa rete di inferen-
ze virtualmente illimitata.
Tale scontro fra significati si inoltra nelle lunghe arcate del tempo:
«arricchisce il nostro panorama culturale con concetti metaforici che
sebbene incoerenti rispetto alle nostre strutture concettuali condivi-
se, e dunque confinate all’interno degli stretti limiti del gioco poeti-
co, sono tanto attive quanto i concetti metaforici coerenti»101.
Ecco descritta la vicenda degli sciami metaforici (metaphorical
swarm): «l’insieme di espressioni conflittuali scaturite da un singo-
lo concetto conflittuale metaforico e documentato nei testi».
Come spiega Prandi:
In quanto frutto di un atto di creazione individuale, una
metafora conflittuale, circondata dalla sua intera rete virtuale
di inferenze, può rimanere una voce isolata, oppure venire
integrata come un concetto conflittuale di lunga durata nel
patrimonio concettuale di un singolo autore, di una tradizio-
ne letteraria, o anche di un’intera civiltà, senza attraversare i
confini del gioco metaforico. Una volta accettato e condiviso,
questo concetto si mostra capace di generare uno sciame di
echi di espressioni incoerenti, ciascuna delle quali incornicia
nelle parole un nodo della complessa rete concettuale proiet-
tata dall’espressione conflittuale seminale.102

Consapevoli del fatto che di metafora si può soltanto parlare attra-


verso altre metafore, trasferiamo, per concludere, l’immagine di
questi sciami duraturi e incoerenti alle innumerevoli voci che nella
storia hanno proposto una teoria della metafora. Nel ronzio opaco
di tanti pareri opposti e conflittuali vi sarà anche la problematica
distinzione tra metafora letteraria e metafora non letteraria, tra lette-
ratura e mondo, su cui ci sembra valga la pena di riflettere ancora.
101 — M. Prandi, A Plea for Living Metaphors, cit., pp. 148-149.
102 — Ivi, p. 158. Un esempio concreto riguarda la metafora della luce liquida che lo stu-
dioso mette a fuoco nel movimento diacronico confrontandone le occorrenze all’interno del
Romanticismo inglese e del Simbolismo francese. Cfr. ivi, pp. 159-156.

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