Sei sulla pagina 1di 1

I,3

per lo stesso principio, la divisa “funziona” anche quando è eseguita da soli


strumenti, presupponendo il testo omesso in quanto propria del dio, con
valore di “segnale”. Essa è un segno, il cui significato è il dio cui si riferisce
e il cui significante è variamente composto da elementi testuali, musicali,
gestuali e cromatici; all’interno del sistema convenzionale cui appartiene,
provoca un rapporto “culturalizzato” stimolo-effetto fondamentale, quando è
presente il carattere identificatorio, nello scatenamento della transe 10.
Esistono transe di possessione assai violente, come altre dai sintomi appena
percepibili, che possono passare allo spettatore sprovveduto inosservate.
Potremo parlare in tal caso di possessione interiorizzata. Presso alcune
culture la possessione più “estrovertita” può culminare nelle più svariate
pratiche fachiriche, come ingoiare senza danno pezzi di vetro, trafiggersi o
essere trafitti da pugnali senza effusione di sangue, farsi mordere da
scorpioni o serpenti velenosi senza accusare alcun sintomo d’intossicazione
oppure (ed è il nostro caso) camminare sulle braci senza riportare alcun
segno di combustione ed alcun dolore: è la pratica fachirica più antica di cui
si abbia notizia 11.
!Per la transe di comunione dovremo rivolgere il nostro sguardo
decisamente al mondo arabo 12. In esso, infatti, tranne due eccezioni – quella
del dhikr “pubblico” o “del volgo”, che culmina in pratiche fachiriche e
quella del già citato culto dei jnoun, entrambi ascrivibili al campo,
inconsueto per l’Islam, della possessione – la transe di comunione è la
transe tout-court.
La transe, guardata con sospetto dall’Islam ufficiale, è stata
particolarmente coltivata nell’ambito del Sufismo, la corrente mistica,

10 Il meccanismo della divisa ampiamente rilevato dagli studiosi sui più svariati culti
di possessione, è particolarmente coerente ed evidente nel caso della chiamata dei
rab nello ndöp e degli orisha nel candomblé (cfr. Zempléni 1966, Cossard 1967 e
Bastide 1958, nonché Rouget 1986, in cui, alle pp. 134 e sgg., figura un’utilissima
sintesi sul tema). Vedremo come tale dispositivo abbia un notevole rilievo anche in
una parte del rituale degli Anastenaria: per questo ci siamo soffermati un po’ sulla
sua descrizione.
11Sul senso, tecnico e non spregiativo, di questo termine ci siamo soffermati nel
precedente paragrafo, cui rimandiamo anche per la sua significativa etimologia (da
fāqir, “povero”, cfr. nota 16 di I, 2).
12 Anche per questo discorso si è rivelato prezioso Rouget 1980, che dedica alla
transe araba, nei suoi rapporti con la musica, un ampio capitolo del suo ponderoso
lavoro.

!7

Potrebbero piacerti anche