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VOLUME 14-15
2011-2012
FIRENZE
L E O S. O L S C H K I E D I T O R E
MMXII
‘‘UT PICTURA LINGUA’’.
ECFRASI E MEMORIA
NELLE PAGINE DI VINCENZIO BORGHINI
CARMEN DONIA
D
al secolo scorso fino a oggi generazioni di studiosi hanno scan-
dagliato minuziosamente l’opera di Vincenzio Borghini (1515-
1580),1 pervenendo a un’approfondita conoscenza settoriale
dei suoi studi. Il convegno del 2002,2 strutturato intorno ai due poli in-
divisibili della filologia e dell’invenzione artistica, ha rappresentato uno
spartiacque nella fortuna critica destinata all’autore.3 Il ruolo di pri-
m’ordine svolto dal filologo e iconografo fiorentino, attivo alla corte
di Cosimo I de’ Medici tra gli anni ’50 e ’70 del sedicesimo secolo,
ha sollecitato, infatti, l’urgenza di una rilettura unitaria della sua vicen-
da, importante per gli storici della lingua, i filologi e gli storici dell’arte.
Vincenzio Borghini si forma come monaco benedettino nella Badia Fio-
rentina e, negli anni del discepolato, presso Pier Vettori si avvicina alla
tradizione dei testi e alle ricerche antiquarie. Condotta la carriera reli-
giosa tra Arezzo, Mantova e Firenze, stringe i primi legami con il circo-
lo accademico ducale. Sono tuttavia le cariche, prima di ‘‘Spedalingo’’
1 Sulle vicende biografiche cfr. LEGRENZI 1910; FOLENA 1970, 681-689; BORGHINI 2001,
31-88.
Cfr. BELLONI e DRUSI 2002.
2
Un sintetico resoconto della fortuna critica del Borghini è tracciato in BORGHINI 1971,
3
XL-LX.
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7 BORGHINI 1996.
8 Cfr. GINORI CONTI 1936; SCORZA 1981, 57-65; SCORZA 2002, 112-117.
11 BORGHINI 2001.
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14 Cfr. VARCHI 1995, 13-267; SORELLA 2005, 149-157. Sul ‘‘pensiero linguistico’’ di Vin-
BORGHINI 2009, 323. Il rimario è già pubblicato in BORGHINI 1898. Si è scelto di citare dalle
edizioni a stampa moderne e critiche per ragioni di uniformità, fornendo sempre l’indicazione
della fonte manoscritta, secondo la numerazione di MAZZATINTI e PINTOR 12, 1902-03, 51-62. I
criteri di trascrizione, adottati per tutti i testi, sono i seguenti: è stata distinta ‘‘v’’ da ‘‘u’’ e resa
‘‘j’’ con ‘‘i’’. Accenti, apostrofi e punteggiatura sono stati adeguati all’uso moderno, come le
maiuscole e la divisione delle parole. Le abbreviazioni sono state sciolte senza alcuna indica-
zione; le grafie di stampo latineggiante (x, ti- seguito da vocale, h etimologica e non etimolo-
gica) sono state invece conservate. È stata introdotta la ‘‘i’’ dopo il gruppo palatale ‘‘gl’’. Even-
tuali interventi editoriali sono stati segnalati da opportuni segni grafici.
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16 BORGHINI legge gli Adagia nell’edizione di PAOLO MANUZIO (Firenze, 1575, 226-227),
18 Cfr. SIMONCINI 1998, 405-454. Sulla fortuna iconografica del mito cfr. VELDMAN 1974,
35-54.
19 BNCF, II X 107, fol. 133, in BORGHINI 1971, 281.
21 BORGHINI 1584-1585.
SCORZA 1989, 85-110; SCORZA 2002, 61-72; KLIEMANN 1978, 158-208; CORTI et al. 1981, 162.
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ECFRASI E MEMORIA NELLE PAGINE DI VINCENZIO BORGHINI
23 BELLONI 1998, 103-105; TESTAVERDE MATTEINI 1983; BERTOLI 1999, 530, nota 8.
24 Sul ‘‘paragone’’ cfr. COLLARETA 1988, 569-580; PERINI 1989-1994, 4, 1993, 143-145,
435-439; NOVA 2003, 183-202; COLLARETA 2010, 195-201.
25 FREY 1923-1930, 886.
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E benché io non istimi troppo le cose mie, non averei voluto però averne
senza colpa riportato vergogna, quando quella cosa, che era imperfetta, irriso-
luta, e, come dicono questi Pittori, fattone solo un po’ di schizzo, fosse stata
da chi non sapeva il fatto come egli stava, presa per mia ultima intenzione e
risoluzione. Perché molte cose vi erano, che io non approvavo, né approvo
ancora; certe, ch’io disegnavo di variare; e qualcuna, che forse arei migliorata;
e in somma quando fusse stata finita, quell’Opera sarebbe stata un’altra cosa,
e tale, che a pena si sarebbe riconosciuta per nata da questa prima bozza.27
VINCENZIO BORGHINI, Al Padre Onofrio Panvinio, Roma
1988, 553-558.
30 VASARI 1966-87, 1, 117. Si cita dall’edizione torrentiniana per ragioni cronologiche.
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ECFRASI E MEMORIA NELLE PAGINE DI VINCENZIO BORGHINI
32 BAROCCHI 1980, 6.
33 Dell’impegno borghiniano nella difesa di Dante conosciamo anche la lettera scritta al-
l’arcivescovo Antonio Altoviti il 24 novembre 1573, pubblicata in BELLONI 1998, 162-82. Sulle
tesi borghiniane e sull’intervento degli accademici Alterati nella controversia cfr. C HIECCHI
2009, XXXIII-XLIV; ARDISSINO 2003, 56-85.
34 BNCF, II X 103, fol. 24, in BORGHINI 2009, 119, nota 137. Poiché la questione esula
dagli scopi di questo scritto, si segnala, solo a titolo propositivo ma non esaustivo, che l’inter-
pretazione grafica del termine ‘‘nyolo’’ trascritto da Borghini, ‘‘per niello’’, ha suscitato non po-
che perplessità relative a una difficile ricostruzione linguistica. La parola ‘‘niello’’ infatti deriva
dal latino nigellum (diminutivo da niger), ‘‘nero’’, e identifica una tecnica decorativa nota nella
metallurgia. L’attento riesame del manoscritto (la cui autografia scongiura le eventuali implica-
zioni di un’errata copiatura) e le ricognizioni sui lessici della lingua toscana e sui glossari di ope-
re dialettali, alla ricerca di eventuali riscontri, non hanno contribuito a fugare i dubbi. Peraltro
Borghini usa la variante corrente in diversi luoghi dei suoi testi, come in uno scritto confluito
nei Discorsi storici, dedicato alla moneta fiorentina. L’occorrenza si trova nella quarta edizione
del Vocabolario della Crusca (1729-1738) alla voce ‘‘mesciroba’’: un particolare tipo di reci-
piente usato durante i pasti per versare l’acqua sulle mani, e generalmente decorato, spiega Bor-
ghini, con l’arme del padrone di casa, lavorata a smalto o niello. Attualmente la voce ‘‘nyolo’’
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risulta un apax borghiniano e in assenza di ulteriori evidenze lessicali possiamo solo congettu-
rare deboli ipotesi su una coniazione individuale, da ‘‘niello’’ a ‘‘niolo’’, tecnica di lavoro a bu-
lino, con cambio di suffisso (-ello / -olo).
35 VASARI 1966-87, 1, 165-168.
38 Cfr. BAROCCHI 1980, 3-4. Sulla duplice attività del Vasari artista e scrittore e sui legami
della sua produzione letteraria con la coeva questione linguistica cfr. DI CONTE 2010.
39 BNCF, II X 103, fol. 24c, in BORGHINI 2009, 120.
40 BNCF, II X 86, fol. 24, in BORGHINI 1971, 223-224; cfr. POZZI 1975, 117-118.
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46 Sulla tradizione dei luoghi comuni cfr. almeno SERRAI 1984; ONG 1989, 161-203; CUR-
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48 Della ormai folta bibliografia sull’argomento mi limito a indicare i due studi pionieri-
2003.
51 ‘‘E dubio non è che la orazione ornata e artificiosa appare sempre più bella e più diletta
che la semplice e spogliata d’ornamenti, perché le parole nude non pigliano gli orechi come
fanno le abbigliate etc.’’, cfr. BNCF, II X 86, fol. 146, in BORGHINI 1971, 200. Sul concetto
di ‘‘machina memorialis’’, cfr. CARRUTHERS 2006, 9-14.
52 Cfr. WOODHOUSE 1995, 165-173.
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X 96. Il II X 117 sarebbe il quinterno più antico (1562-1564), come suggeriscono indizi cro-
nologici interni; i primi tre risultano collocabili tra il 1570 e il 1575; l’ultimo è invece più tardo,
compilato intorno al 1579. Sulle ipotesi di datazione cfr. BORGHINI 1971, LXI-LXXI.
58 CARRARA 2006, 564.
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59 Cfr. BERTI 2002, 99-133. Più recentemente la vicenda e il ruolo dei protagonisti sono
stati riletti alla luce delle categorie rinascimentali di ‘‘intenzione’’, ‘‘invenzione’’, ‘‘artifizio’’, cfr.
BARBONI e KUBOTERA 2007, 155-165.
60 Sul significato mnemotecnico dell’invenzione dello Studiolo cfr. B OLZONI 1985, 27-57.
61 Per ragioni metodologiche la trattazione prescinde dai visuelle topoi, oggetto del con-
vegno tenutosi presso il Kunsthistorisches di Firenze nel 2000, al quale rimando, cfr. P FISTERER
e SEIDEL 2003.
62 COLLARETA 1985, 71.
64 VASARI 1966-87, 6, 41. Si cita dall’edizione giuntina in relazione alla datazione tarda del
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mile altra materia rozza et informe, et l’arte gli pulisce, riquadra, inta-
glia, etc.’’.73
Anche il codice letterario scaturisce da una sintesi di artificio ed
espressione naturale. Le lingue come prodotti della natura sono sogget-
te a un processo di sedimentazione storico-culturale che riguarda le pa-
role, i significati e i modi del dire. I pregi donati dalla natura alla lingua,
non sono sufficienti perché sia utilizzata in funzione letteraria. Essa può
migliorare con l’esercizio dell’arte, che la priva delle voci acerbe e inu-
tili. Compito dei letterati è allora riscoprire la purezza della lingua, li-
berandola da quelle asperità e imperfezioni che derivano dall’età e da
copiatori ‘‘poco intendenti’’.
Gli errori della tradizione e il deterioramento prodotto dal tempo
sono tra i fattori che possono intervenire nelle vicende dei testi privan-
doli della loro originale purezza. In una bozza della prefazione all’edi-
zione giuntina del Novellino (1572) Borghini espone il suo interesse per
la critica testuale, sviluppato fin dall’età giovanile, che anima scritti de-
gli stessi anni come la Lettera intorno a’ manoscritti antichi, dichiarando
di avvalersi della tradizione manoscritta di un’opera che documenta
l’eccellenza della lingua toscana antica.74
Il lavoro del filologo sui testimoni, alla ricerca degli errori che ne
corrompono la lingua, è paragonato a quell’attività scultorea di matrice
platonico-aristotelica, ‘‘arte per forza di levare’’,75 che agisce sulle opere
letterarie come su pietre preziose:
come delle rocche, delle turchine o d’altre pietre preziose, che sia bene in ogni
modo, tor via quella scorza di sopra e quella ruggine che le cuopre, e rendergli
la sua pura e natia chiarezza e suo vero colore che gli avea dato la natura e che
era stato dalla trascutaggine dei copiatori offuscato e coperto... Però essendo
mancato questo libro, che non se ne stampò gran numero, e avendone conti-
nuamente chieste assai, ci siamo risoluti di darlo di nuovo al mondo, antico sı̀
bene ma, per quanto abbiamo potuto, non guasto, cioè nella sua natural for-
ma e abito proprio che in quella età era in uso, non con quello che o la poca
cura o la bizzarria del copiatore gli avea messo in dosso.76
VINCENZIO BORGHINI, Bozzaccia d’una lettera inanzi al Novellino
76 BNCF, Filza Rinuccini 22, 10, in BORGHINI 1971, 13. Nel Proemio delle Annotazioni al
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Decameron (1573) leggiamo analogamente: ‘‘essendo la nostra impresa intorno al trovar voci
ismarrite et dar luce ad oscure et alcune ripulirne dal troppo tempo, come da ruggine ricoperte
et guaste’’, cfr. CHIECCHI 2001, 32.
77 ‘‘Sotto l’aria ne vorrei una bizzarra et stravagante, cio è che fingessi monti asprissimi
più che la nostra pietra pana o la Vernia o il Caucaso degli antichi, dove con fune, scale di corda
(che questa è la catena che fingono di Prometeo) et con altri ingegni fussin persone che andas-
sin cercando i diamanti, i cristalli et fussin appiccati a que’ balzi come picchi’’, cfr. F REY 1923-
30, 2, 891. Si tratta del dipinto di Maso da San Friano, raffigurante una leggendaria miniera di
diamanti dell’India, cfr. CONTICELLI 2007, 286-293.
78 ARIANI 1975, XXIX. Quest’idea ermetica di ‘‘malinconia letteraria’’ si manifesta secon-
do Marco Ariani nei madrigali sugli ‘smeraldi’ di Giovan Battista Strozzi il Vecchio, dove ricor-
re il significato alchemico-naturalista dello Studiolo di Francesco I de’ Medici.
79 BERTI 2002, 99. Sugli interessi scientifico-alchemici dei Medici cfr. anche L ENSI ORLAN-
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‘‘Le cose sue possino servire per regola’’. Gli exempla della lingua
85 Sulla collaborazione VASARI e BORGHINI per la stesura delle Vite cfr. WILLIAMS 1988;
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Nello stesso anno Lodovico Dolce formula nella raccolta dei Modi
affigurati il canone degli autori moderni ‘‘per lo scriver ornatamente’’,
riproponendo in chiave linguistico-letteraria il parallelo tutto figurativo,
già sperimentato nel suo Dialogo della pittura (1557),90 tra l’esaltazione
di Raffaello contro il michelangiolismo vasariano e la difesa del colori-
smo e di Tiziano.91 Nell’epistola Ai lettori Dolce esprime la sua presa di
posizione sull’osservanza delle regole. La censura alla ‘‘folle licenza’’
suona quanto mai attuale nel dibattito figurativo di quegli anni:
Rafaello, all’incontro la facilità [...]; et halla ottenuta in modo, che par che le sue cose siano
fatte senza pensarvi, e non affaticate né istentate’’, cfr. DOLCE, Dialogo della pittura, intitolato
l’Aretino (1557), in BAROCCHI 1960-62, 1, 196; cfr. BAROCCHI 1984, 35-52 (ed in particolare 39-
45). Sul tema della convenienza in Raffaello e Michelangelo, cfr. PINELLI 1987, 2, 683-694.
89 BAROCCHI 1970, 111.
90 ROMEI 1991, 399-405; cfr. POZZI 1975, 1-22; AFRIBO 2003, 95-100.
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ECFRASI E MEMORIA NELLE PAGINE DI VINCENZIO BORGHINI
Ne stimo, che faccia mistieri, che io provi, quanto importi e sia necessario
il serbar le regole non solo nella facultà delle lettere, ma in qualunque arte:
perciò che è ciò chiarissimo, non pure riguardandosi alla folle licenza, o alla
ignoranza di coloro, che ciò sprezzarono o non volsero seguire: ma all’incon-
tro alla diligenza eziandio et alla accuratezza di quegli altri che esse regole pie-
namente osservarono: dalle quali regole mai non se ne dipartı̀ né il Petrarca,
né il Boccaccio, dai quali due in questa Volgar Lingua elle poscia si sono pre-
se: mercé del dottissimo e purgatissimo Bembo; che fu il primo, che a noi le
insegnasse. Il medesimo è da dire nella Scoltura, Architettura, e nella Pittura:
le quali arti (e cosı̀ qualunque altra) hanno le loro leggi, e i loro ordini tali, che
non si debbono tralasciare.92
LODOVICO DOLCE, Modi affigurati
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quello che si sia più appressato al segno e che le cose sue possino servire per
regola; nondimeno non ha dato in questo forse il suo maggior la natura in mo-
do che e’ non possa nascer uno che in tutto o in parte non possa arrivar o
forse passar Michelangelo, e questo non andando dietro a Michelangelo,
ma a quella istessa natura e a que’ medesimi esemplari che si propose Miche-
langelo, che sono i parti della natura. Diciamo in proposito: la natura stessa ha
fatto la lingua, e questa lingua è in uno paese e popolo speciale e ha i suoi
modi. Da questa trasse il Boccaccio gli scritti suoi, e cosı̀ il Casa aiutandosi
della natura e dell’arte, da questa il Bembo, valendosi dell’arte e dello studio
per la maggior parte, da questa il Villani ecc., attendendo la natura sola e con
nulla o non molto d’arte. Sono negli scrittori molti modi e molti avvertimenti
del bene e corretto parlare e del modo di ritrovarlo ecc.94
VINCENZIO BORGHINI, Scritti inediti o rari sulla lingua. Discorso sopra la perfe-
zione del Boccaccio, e comparazione fra lui e Cicerone
quasi inimmitabili, et ha dato, come s’è detto, tanta arte, grazia et una certa vivacità alle cose
sue – e ciò sia detto con pace di tutti – che ha passato e vinto gli antichi, avendo saputo cavare
della dificultà tanto facilmente le cose, che non paion fatte con fatica, quantunque, chi disegna
poi le cose sue, la vi si trovi per imitarla’’, cfr. VASARI 1966-87, 6, 108.
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ECFRASI E MEMORIA NELLE PAGINE DI VINCENZIO BORGHINI
cio, Casa, Bembo, Villani), nei quali esistono ‘‘molti modi e molti avver-
timenti del bene e corretto parlare e del modo di ritrovarlo’’.
I tardi quaderni linguistici fanno il punto sulla questione michelan-
giolesca: il pittore non è ‘‘divino’’, ma superabile nell’eccellenza. Sebbene
ridimensionata rispetto allo statuto di genialità anticanonica, l’esperienza
dell’artista conserva ancora caratteri di eccezionalità nelle pagine del
Borghini. L’angolo di osservazione però si fa più ampio e, all’indomani
della stesura definitiva delle Vite, riformulate per accogliere una crescen-
te documentazione, il filologo appare concorde con Vasari sull’eccellenza
pittorica del Buonarroti, assicurata dall’abilità nel ritrarre il naturale, ma
relativizzata nel confronto con gli altri maestri dell’arte. Il Michelangelo
del Borghini, da ‘‘divino’’, è abbassato a ‘‘figlio della natura’’, e, in un’ot-
tica storicista, a mito cittadino.97 Come modelli compositivi, le sue opere
entrano nella topica, cristallizzandosi in emblemi dello stile e della stessa
imitazione. Il passo, ispirato al De oratore di Cicerone, è esemplificativo
del pensiero linguistico di Borghini e riguarda i concetti di arte (retorica)
e stile individuale. Imitare non significa replicare temi e caratteristiche di
un determinato autore senza alcuno sforzo di rielaborazione personale,
ma cercare di cogliere il senso della sua esperienza artistica:
e avertiscasi insieme ch’io parlo sempre delle parole e non dell’arte del dire,
alla quale arte io giudico essere potissimo aiuto l’imitazione d’autori eccellenti;
intendendo imitazione, non che si pigli le medesime cose e parole appunto e si
trasportin di peso nelle proprie composizioni, come chi ritrae appunto una
tavola d’uno altro pittore, ma che, considerando bene e pesando per ogni par-
te gli scritti loro, si trasferisca nei suoi la forza, la grazia, la destrezza, la faci-
lità, la gentilezza, il suono, il nervo, lo spirito di quel tale, talché vi si riconosca
non le parole, ma la bontà di colui, come in un buon discepolo si riconosca il
disegno, il rilievo, la grazia e la fierezza, verbigrazia, di Michelagnelo e non si
possa però dire: ‘‘Questa è la tal figura appunto o della volta o del Giudizio’’.
Sed de hoc alias.98
VINCENZIO BORGHINI, Scritti inediti o rari sulla lingua. De oratore
97 ‘‘Da gloria universale Michelangelo diveniva una gloria municipale, che il Vasari cercò
invano di assicurare alla ormai declinante cultura fiorentina’’, cfr. BAROCCHI 1984a, 127.
98 BNCF, II X 86, fols. 22-23, in BORGHINI 1971, 223. Il frammento commenta il passo 1,
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CARMEN DONIA
Trarre spunto dai modelli senza discernerne con studio le parti mi-
gliori (‘‘la bontà’’, ‘‘la proporzione’’, ‘‘la vaghezza’’), produce una com-
mistione di elementi discordanti, che si traduce nell’‘‘imbastardimen-
to’’ della lingua. Borghini sembra polemizzare contro quei letterati
(come il Ruscelli), che riducono la lingua delle Corone in grammatiche
e repertori, allontanandola dall’uso vivo.102 Il ‘‘ritratto malconcio’’ della
lingua non a caso assomiglia alla tavola di quel pittore biasimato da
Orazio ‘‘che senza esse quel corpo, che s’era imaginato di formare, sa-
rebbe venuto fatto un monstro; et però ragionevolmente biasimò Ora-
tio quel pittore che: Humano capiti cervicem equinam addidit, etc., che,
se havesse fatto equinum caput, non errava in addendo cervicem equi-
nam, la quale non biasima come cattiva, ma come sconveniente a quel
capo’’.103
È il topos mitologico del ‘mostro’ (la sirena oraziana), ampiamente
usato dalla trattatistica rinascimentale, a simboleggiare il carattere ca-
99 Cfr. VASARI 1966-87, 6, 74. Da ora in avanti si citerà dall’edizione giuntina, come ter-
giovani artisti dell’Accademia, educati all’esercizio del disegno, cfr. SCORZA 2003, pp. 180-210.
101 BNCF, II X 110, fol. 139, in BORGHINI 1971, 345.
103 BNCF, II X 123, in BORGHINI 2009, 152-153. Il passo (ORAZIO , Ars poetica 1-5) è ci-
tato anche nel trattatello giovanile De imitatione commentariolum (1542), conservato in BNCF,
II X 82, fols. 50-54r; cfr. BAROCCHI 1971-77, 2, 1547.
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ECFRASI E MEMORIA NELLE PAGINE DI VINCENZIO BORGHINI
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CARMEN DONIA
Memoria dell’antico
L’occorrenza di voci quali ‘‘imbastardito’’ e ‘‘guasto’’ nei passi sopra
citati, è legata al concetto di corruzione del lessico e alle teorie vitalistiche
del linguaggio, sviluppatesi negli ambienti aristotelici della filologia vol-
gare, già a partire dal quindicesimo secolo.110 Sostenitore del purismo
fiorentino, Borghini respinge tuttavia la tesi di una storica degenerazione
del latino (lingua morta) per abbracciare quella dell’innata perfezione
della lingua italiana, scaturita dalla mescolanza di tradizioni culturali dif-
ferenti (la latina e la greca), le quali hanno trovato proprio nella terra to-
scana il luogo ideale per attecchire e svilupparsi con eccellenti risultati.
Il riferimento al bronzo corinzio, lega metallica resa preziosa dalla
fusione di oro e argento, è evidentemente tratto dalla Naturalis Historia
di Plinio il Vecchio (34, 3):
che ella non sia, come molti credono e dicono, corruzione della latina, ma un
mescolo fatto di più lingue conforme agli abitatori che ha avuti questa provin-
cia e luogo, di tempo in tempo ecc., e per i quali, accozzatesi le parole e i modi
e nutriti e digesti e fermentati dalla forza naturale di questo luogo, ne sia nata
come di più materie (e come si dice di più metalli quel bronzo corinzio) una
nuova forma di lingua perfetta da tutte le sue parti e con tutta quella natura e
quelli accidenti, forze, ornamenti ecc., che ebbe la latina e la greca, e se altra
lingua è stata o sarà che abbia la natura vera di lingua.111
VINCENZIO BORGHINI, Scritti inediti o rari sulla lingua. Capi generali
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ECFRASI E MEMORIA NELLE PAGINE DI VINCENZIO BORGHINI
116 Sugli studi riguardanti le origini storiche di Firenze cfr. BARBI 1889, 5-71; sugli affre-
schi della Sala Grande e la disputa con il Mei cfr. RUBINSTEIN 1967, 64-73; CARRARA 2002, 155-
161; CARRARA 2007, 317-396.
117 Le testimonianze epigrafiche sono in gran parte registrate sui quinterni BNCF, II X 70
13-30. Sulle vicende della correzione cfr. CHIECCHI e TROISIO 1984; TROVATO 1991; CHIECCHI
1992.
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126 ‘‘Ben posso comprendere ciò che dovrò fare io, che tra gli aspri luoghi rocciosi del-
l’antichità e le spine degli odi sto per raccogliere qua e là un corpo degli dei e dei notabili pa-
333
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gani, un tempo grande ma ora lacerato nelle membra, logorato e quasi ridotto in cenere; io che
novello Esculapio, sto per ricostituirlo, come questi fece del corpo di Ippolito’’, cfr. B OCCACCIO
1998, 63.
127 Tale visione aristotelica del processo di creazione artistica prelude alle speculazioni di
Federico Zuccari sul ‘‘disegno interno’’ e ‘‘disegno esterno’’, avviate nel trattato Idea de’ pittori,
scultori ed architetti (1607), cfr. PANOFSKY 1973, 53-85 (ed in particolare 63-69).
128 Gli studi specialistici sulla memoria definiscono l’immagine retorica posta all’inizio di
un’opera Bildeinsatz: tropo di origine monastica che serve ad orientare il discorso, cfr. C ARRU-
THERS 2006, 309-320.
129 BAROCCHI 1970, 159.
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ECFRASI E MEMORIA NELLE PAGINE DI VINCENZIO BORGHINI
22; DAMIANAKI 617-654. Sullo stesso tema cfr. BOLZONI 2006, 233-252; CONTE 2010, 27-28,
nota 59.
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ECFRASI E MEMORIA NELLE PAGINE DI VINCENZIO BORGHINI
Bisogna haver rispetto alle circustantie de’ tempi de l’arte etc., che parlan-
do di Giotto lo terrò miracoloso et excellentissimo ne’ sua tempi perché si tro-
vò a risuscitare un’arte che era morta con pochissimi aiuti, tanto che fu mira-
colo tutto quello che fece; ma per questo che si debba antiporre le sua pittur’a
quelle d’Andrea del Sarto, et di Raffaello da Urbino, o di M(ichelagnol)o sa-
rebbe una heresia.136
VINCENZO BORGHINI, Selva di notizie
136 CARRARA 1998, 119. Il passo della Selva di notizie (14-17) è già pubblicato in WILLIAMS
1988, 286-289.
137 BNCF, II X 81, fol. 62, in BORGHINI 2009, 182, nota 8. Gli appunti del quaderno sono
337
22
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338
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to inluminata quanto ella fu poi. Servirà bene a dire che Giotto in tante tene-
bre fece miracoli et non hebbe pari; dove questo altro hebbe manco difficoltà
assai, et de’ pari et forse de’ superiori qualch’uno.143
VINCENZO BORGHINI, Comparazione del Petrarca con Dante
dibattito dantesco nel Cinquecento offre una panoramica COLOMBO 2007, 21-50.
146 BNCF, II X 87, fol. 50, in BORGHINI 2009, 76.
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o del Boccaccio, mettino a quello il lucco e la berretta alla civile, a questi l’habito de’ preti d’og-
gi, come e’ vogliono mettere loro in bocca le parole de’ nostri tempi’’, cfr. BELLONI 1995, 35-36.
149 BNCF, II X 116, fol. 96, in WOODHOUSE 1972, 115; cfr. CHIECCHI 2001, 29-30.
150 ‘‘E cosı̀ vedesi c’hanno osservato molti moderni in alcuni ritratti di poeti, come fece
Giotto il qual espresse in Dante la profondità, Simon Sanese, nel Petrarca la facilità, Frate An-
gelo la prudenza, nel Sannazzaro, e Tiziano nell’Ariosto la facundia, et ornamento, e nel Bembo
la Maestà, et l’accuratezza’’, cfr. LOMAZZO, Idea del tempio della pittura (1590), in BAROCCHI
1971-1977, 2, 430.
151 Cfr. ARRIGHI 1913; cfr. KIRKHAM 1999, 99-100, schede 22 e 72, 122, 131.
341
CARMEN DONIA
153 Cfr. PICH 2007, 137-138, nota 2. Della stessa autrice si veda anche il volume edito nel
2010.
154 Altre effigi si trovano su alcuni manoscritti dell’Autore e sulle edizioni a stampa rina-
scimentali, cfr. CIARDI DUPRÈ DAL POGGETTO 1994, 197-234; KIRKHAM 1999, 91-92.
155 Cfr. MAZZATINTI e PINTOR , XII12, 54; cfr. BERTOLI 1999, 543.
156 ‘‘Questo è Marco Tullio in cui si mostra / chiaro, quant’ha eloquenza e frutti e fiori /
Questi son gli occhi della lingua nostra’’ (PETRARCA, Trionfo della Fama 3).
157 CHIECCHI 2001, 32.
158 Cfr. ALLEGRI e CECCHI 1980, 287-313; VACCARI 1997, 11-33. La guardaroba medicea
di Palazzo Vecchio custodiva i beni mobili dello stato e della famiglia ducale ed era fornita di
laboratori di restauro e manifatture.
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