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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN LETTERE

TESI DI LAUREA IN LETTERE

L’eroe greco e il rito di passaggio: i riflessi


iniziatici tra monomito, rituale e culto

Candidato: Relatore:

Marina Anna Formenti Prof.ssa Paola Dolcetti

A.A. 2016/2017

1
INDICE

Premessa ....................................................................................................... 3

1. Il rito di passaggio negli studi sulle società primitive ........................ 4

1.1. I tre stadi: separazione, margine, aggregazione ............................... 4


1.2. Il rito iniziatico ................................................................................. 5
2. L’istituzione iniziatica nelle civiltà superiori ..................................... 7

2.1. Il rito iniziatico in Grecia.................................................................. 8


2.1.1. ’Αγωγή...................................................................................... 10
2.1.2. L’ἐφηβία ateniese ..................................................................... 13
2.1.3. Gli antichi misteri in Grecia ..................................................... 15
2.1.4. Eroi e Misteri: la discesa nell’Ade ........................................... 20
3. La carriera dell’eroe come proiezione delle pratiche iniziatiche ... 23

3.1. I stadio: la separazione dalla comunità ........................................... 26


3.1.1. Educazione ............................................................................... 39
3.2. II stadio: il periodo liminare/di margine e la prova iniziatica ........ 42
3.3. III stadio: il ritorno e l’aggregazione .............................................. 51
Conclusioni ................................................................................................. 53

Bibliografia................................................................................................. 56

Traduzioni .................................................................................................. 59

2
Premessa

Questo lavoro nasce dalla scoperta personale del saggio mitologico “L’eroe dai mille
volti” di Joseph Campbell, insigne studioso di mitologia comparata. Attraverso lo studio
di innumerevoli leggende, fiabe, miti di culture diverse e distanti fra loro, ma legate da
un denominatore comune, ossia il mondo eroico, egli formula la tesi secondo cui è
presente uno schema narrativo comune a tali storie (definito monomito), composto da una
serie di stadi narrativi. Lo scheletro narrativo presentato (che brevemente si può
riassumere in tre fasi: separazione – iniziazione – ritorno) esprimerebbe, secondo l’autore,
il compimento da parte dell’eroe di un rito di passaggio iniziatico. Da tale suggestione è
sorta dunque l’intenzione di indagare se sia possibile parlare in questi termini anche in
relazione al mito degli eroi greci, se non di tutti almeno di alcuni tra i più celebri.
L’obbiettivo di tale lavoro è pertanto quello di capire in che misura gli eroi greci abbiano
un legame con i riti di passaggio, in particolare quelli di tipo iniziatico (sia a livello mitico
che storico), e in che misura la tripartizione narrativa di Campbell possa essere trasposta
nelle loro vicende mitiche. Nella prima parte del lavoro ci si è soffermati sulla definizione
stessa di rito di passaggio secondo gli studi antropologici (primo fra tutti I riti di
passaggio di A. Van Gennep). Nella seconda parte, focalizzandosi in particolar modo sul
rito di iniziazione inteso come passaggio dall’adolescenza nell’età adulta, si è esaminato
brevemente in che misura quest’ultimo sia presente nella Grecia antica e in che termini
sia stato rielaborato dagli istituti iniziatici vigenti all’epoca. Infine nella terza e ultima
parte, con la quale ci si addentra nel nodo focale del lavoro, si è cercato di dimostrare,
leggendo e analizzando le vicende di eroi come Teseo, Perseo, Giasone ed Eracle, come
la tripartizione di Campbell e quella di Van Gennep (secondo cui il rito di passaggio è
sempre diviso in: separazione – margine – aggregazione), siano riconoscibili all’interno
delle peripezie mitiche degli eroi greci.

3
1. Il rito di passaggio negli studi sulle società primitive

Il rito di passaggio all’interno delle cosiddette società primitive è stato oggetto di


numerosi studi antropologici ed etnografici. Uno dei lavori senz’altro più esaurienti, che
è ritenuto tutt’ora un pilastro dell’etnologia è I riti di passaggio di Arnold Van Gennep.
Quest’opera ha segnato un punto di svolta nello studio delle culture primitive e del rituale.
Da esso si ricava una nozione fondamentale: le società primitive non solo tendono a
distinguersi dalle altre, ma provvedono anche a “tracciare linee di divisione interne”1 che,
tramite la classificazione dei membri della comunità, garantiscono loro coesione e
continuità. Nella classificazione dei membri della comunità, importanza cruciale hanno
proprio i riti di passaggio, che si configurano come meccanismi cerimoniali volti a
regolamentare e guidare il mutamento degli individui e il loro ‘passaggio’ da uno status
ad un altro, e dunque ad assisterli durante il ‘processo di trasformazione’. Questi riti (per
la nascita, la pubertà, l’iniziazione, il matrimonio, la sepoltura ecc.) “comportavano
invariabilmente delle pratiche […] attraverso le quali venivano radicalmente eliminati
dalla mente le tendenze, gli affetti, le abitudini dello stadio precedente”2.

1.1. I tre stadi: separazione, margine, aggregazione

Van Gennep trae, dallo studio di innumerevoli casi, la nozione decisiva per delineare la
struttura generale di questi riti di passaggio, ossia quella di margine o soglia. Questo
concetto riaffiorerà spesso nel nostro lavoro appunto perché risulta essere la chiave di
volta nella tripartizione che l’autore impartisce al rito di passaggio. La soglia infatti,
rappresenta quella linea divisoria che scinde i due spazi attraverso cui avviene il
passaggio; ‘varcare la soglia’ significa entrare in un mondo nuovo, e questo confine viene
molto di frequente riprodotto, in termini simbolici, nella struttura dei riti di passaggio, per
cui essi “si configurano necessariamente come a) riti di separazione o preliminari, b) riti
di margine o liminari, c) riti di aggregazione o postliminari”3.

I riti di separazione (dall’ambiente precedente) hanno lo scopo di “agevolare il distacco


dell’individuo da una situazione originaria, i secondi lo collocano in uno stato di
sospensione, i terzi assecondano la sua introduzione nel nuovo territorio, nel nuovo

1
Gennep 1909 (= 2012), p. XIV.
2
Campbell 1949 (= 2016), p. 18.
3
Gennep 1909 (= 2012), p. XIX.

4
gruppo o nella nuova categoria sociale”4. Quindi, come si può notare dalla tripartizione,
il margine ha una funzione fondamentale perché fa sì che la separazione e l’aggregazione
non coincidano, affinché il passaggio non sia qualcosa di brusco e immediato ma al
contrario di graduale. Durante il periodo marginale seguiva spesso “un ritiro in solitudine,
durante il quale si svolgevano speciali cerimonie intese a presentare all’iniziato le forme
[…] della sua nuova condizione, così che il suo ritorno nel mondo normale avrebbe
costituito per lui una seconda nascita”5.

1.2. Il rito iniziatico

Van Gennep include tra i suoi riti di passaggio anche il rito iniziatico, mostrando come
esso avesse lo stesso preciso schema strutturale degli altri riti di passaggio. Questo
farebbe presumere la possibilità di tracciare uno schema degli elementi caratteristici
dell’iniziazione. In realtà, a questo proposito, Angelo Brelich sostiene che “una
caratterizzazione morfologica delle iniziazioni ‘primitive’ in generale non è nemmeno
possibile, […] si possono, infatti, enumerare ed illustrare gli elementi morfologici
frequenti dei rituali iniziatici, ma sempre tenendo presente che nessuno è caratteristico
soltanto delle iniziazioni e nessuno lo è di tutti i rituali iniziatici del mondo”6.

Concordemente con quanto afferma Van Gennep, le fasi comuni ad ogni rito di passaggio
(separazione, margine, aggregazione) sono presenti anche nei rituali iniziatici “ma
variano per importanza, per durata e carattere”7. Lo stadio in cui solitamente si riscontrano
i motivi più caratteristici del rituale iniziatico è quello del margine, che si realizza con la

4
Gennep 1909 (= 2012), p. XIX.
5
Anche nella Grecia antica il margine assume una notevole importanza, si pensi alle statue che venivano
poste sulla soglia di casa. Esse fungevano da “talismano magico” proprio perché la soglia (in questo caso
la porta) veniva considerata il “luogo della casa dove si concentrano tutti i possibili influssi magici perché
segna il passaggio tra due universi simbolici, l’esterno e l’interno” (Guidorizzi 2015, p. 66). La porta infatti
“costituisce il limite tra il mondo estraneo e il mondo domestico, tra il mondo profano e il mondo sacro nel
caso di un tempio” (Gennep 1909 (= 2012), p. 18). Oltre alle statue, spesso ai confini di un territorio veniva
posta la tomba di un eroe, che come guardiano difendeva il confine. Da quanto attesta S. (OC. vv. 607-
628), Edipo era considerato da Atene uno di questi, pronto a svegliarsi nella tomba e a bere il sangue caldo
dei nemici.

6
Brelich 1969, p. 26.
7
Brelich 1969, p. 29.

5
separazione dell’iniziando dal suo complesso familiare-comunitario e con la sua
segregazione.

Durante quella fase del rituale avviene la completa e radicale trasformazione


dell’iniziando. La segregazione […] è un elemento assai caratteristico delle iniziazioni
[…] ha un aspetto spaziale, che tuttavia, può esser soltanto un’espressione dell’aspetto
sociale (l’interruzione del contatto con la comunità, in vista del totale cambiamento dei
rapporti con essa), ma può anche caricarsi di significati propri: così p.es., quando il luogo
della segregazione è il bosco, come in numerosissimi casi, ciò non significa soltanto […]
un distanziamento dall’abitato, ma anche un soggiorno nella natura selvaggia, non
regolata dalle norme umane dell’esistenza. 8

Alla segregazione segue poi l’ultimo stadio che si realizza solitamente con un rito di
aggregazione, in cui l’iniziato nella sua nuova ‘condizione’ ritorna nella comunità. Il
ritorno costituisce per lui “una seconda nascita”9. A sancire questa sua nuova condizione
e a designarlo come una nuova persona sono spesso dei simboli, quali un nuovo nome,
un costume, un taglio di capelli e qualsiasi altro tipo di mutilazione. Van Gennep a
riguardo ci dice infatti che non c’è differenza tra il tagliare il prepuzio, il lobo
dell’orecchio o i capelli, comunque “ne viene fuori un individuo mutilato dell’umanità
comune attraverso un rito di separazione (di qui l’idea del tagliare, del perforare ecc.) che,
automaticamente, lo aggrega a un gruppo determinato”10. Tra i vari riti di iniziazione,
quelli più frequenti sono i riti legati al passaggio dall’età dell’infanzia nell’età adulta e
quelli di tipo misterico. Si inizierà parlando prima dei riti legati al raggiungimento della
maturità. Nella maggior parte dei cosiddetti popoli primitivi vi è una netta separazione tra
l’età dell’infanzia e l’età adulta. Il passaggio dall’una all’altra età necessita appunto dei
riti di tipo iniziatico. Anche in questi gli iniziandi, in comune con gli altri riti di passaggio,
vengono segregati dall’ambiente familiare, marchiati da segni, che “sanzionano il loro
passaggio in una nuova condizione d’esistenza – passaggio considerato come morte (del
bambino) e rinascita (del nuovo uomo) – in cui potranno, tra l’altro, sposare e partecipare

8
Brelich 1969, p. 29.
9
Campbell 1949 (= 2016), p. 19.
10
Gennep, 1909 (= 2012), p. 63. Quanto al taglio di capelli si confronti per es. il mito di Teseo: nota 127,
p. 34.

6
alla guerra”11. Le iniziazioni intese in questo senso non si trovano nelle società cosiddette
superiori.

2. L’istituzione iniziatica nelle civiltà superiori

Bisognerà chiedersi perché nelle cosiddette civiltà superiori riti di questo genere non
siano presenti. I motivi che non permettono di definire con certezza i riti delle civiltà
superiori come riti iniziatici (nella loro accezione primitivo-tribale), sono principalmente
due e riguardano l’uno la diversa organizzazione socio-economica, l’altro la religione. Le
civiltà superiori infatti, si distinguono da quelle tribali perché richiedono, affinché la
convivenza della popolazione sia possibile, “un’organizzazione sociale diversa […] e
l’organizzazione caratteristica è quella dello stato”12. Nell’organizzazione statale, la
diretta preoccupazione per la comunità spetta a quel numero ristretto di persone che
assume, in modo democratico o meno, il ruolo governativo. Agli altri cittadini è chiesto
di rispettare le leggi e adempiere agli obblighi, ma “non è necessario che essi incarnino
la ‘norma tradizionale’ o che si indentifichino con la comunità: perciò […] le iniziazioni,
in questo tipo di organizzazione, non avrebbero una ragion d’essere.” L’altro motivo è
che nella maggioranza dei casi, nelle civiltà superiori troviamo religioni di tipo teistico,
che implicano il culto di uno o più divinità che partecipano e intervengono nelle vicende
terrestri. “L’orientamento fondamentale delle religioni ‘teistiche’ non favorisce i riti di
passaggio: sono le divinità (o il dio unico) a provvedere al superamento della crisi, il
soggetto religioso non ha che da tributare loro il dovuto culto.” Infine a contribuire alla
scomparsa dell’istituto iniziatico è anche la presenza, nelle civiltà superiori, di “una
pronunciata specializzazione dei mestieri”13 e una conseguente disuguaglianza di rango
tra gli individui che porta allo sviluppo di distinte classi sociali. Come si deduce dunque,
a impedire di riconoscere i riti di passaggio nelle civiltà superiori come ‘iniziatici’ (in
senso primitivo) è proprio una questione di carattere funzionale: nelle società superiori, i
rituali iniziatici perdono gradualmente la loro funzione, decadono, e non avendo più
ragion d’esserci, vanno via via scomparendo. Tuttavia questo non significa che
l’istituzione iniziatica sia stata totalmente soppressa, esistono casi in cui essa si è
conservata o ha subito nel corso del tempo processi di trasformazione che ne hanno

11
Brelich 1955-1956 (= 1958), p. 108.
12
Brelich 1969, p. 46.
13
Brelich 1969, p. 47.

7
lasciato alcune tracce rituali ed elementi che altrove sono frequenti nei rituali iniziatici.
Va precisato però, che la presenza di elementi di questo genere all’interno di società
superiori non prova in modo assoluto l’esistenza di un istituto iniziatico nella preistoria
di queste civiltà. Questo perché, come si è già affermato prima, gli elementi caratteristici
dei rituali iniziatici non appartengono in modo esclusivo alle iniziazioni, ma possono
ricorrere in qualsiasi rito di passaggio.14 Una volta che si incorre in elementi di questo
genere, la modalità per verificarne il loro carattere ‘iniziatico’ consiste nell’attenersi al
criterio funzionale “che permette di distinguere le iniziazioni da ogni altro tipo di rito di
passaggio”15. Ad esso ci atterremo nello studiare la presenza di istituzioni iniziatiche nella
Grecia arcaica.

2.1. Il rito iniziatico in Grecia

Per quanto riguarda il legame tra la Grecia classica e le iniziazioni primitive, Brelich
afferma che “non esistono le iniziazioni così intese”. Il fatto in questione però, non
preclude la pratica, in un periodo preistorico, di forme rituali di questo genere. In Grecia
infatti il passaggio nell’età adulta conserva “in un certo grado il suo valore religioso,” e
anche riguardo i cosiddetti ‘misteri’, che si praticavano regolarmente in Grecia, si “può
dimostrare che […] derivano dal fenomeno primitivo delle iniziazioni.”

E infatti Brelich segue dicendo:

“Misteri e riti di adolescenza sono i due tipi d’istituzione religiosa in cui la storica
religione greca ha riplasmato i vari aspetti delle iniziazioni di tipo ‘primitivo’,
probabilmente praticate in qualche forma nella Grecia preistorica”16.

Tra le istituzioni che in Grecia si possono ritenere di tipo ‘iniziatico’, per il loro legame
con le classi d’età e il passaggio nell’età adulta, vanno ricordate l’ ἐφηβία ateniese, le
ἀγέλαι cretesi e soprattutto l’ ἀγωγή spartana. Entrambe, in forme e intensità diverse,
richiamano corrispondenze formali con l’istituzione di tipo iniziatico. Le informazioni di
cui disponiamo, riguardo Sparta, sono dovute per la gran parte all’interesse e alla curiosità
che queste ultime hanno suscitato negli autori antichi, “fatto che, da solo, mostra come

14
Un esempio può essere il taglio di capelli, che pur essendo presente nei rituali iniziatici legati al passaggio
nell’età adulta, è spesso presente anche in altri contesti rituali. A questo proposito v. Gennep 1909 (= 2012),
p. 146.
15
Brelich 1969, p. 48.
16
Brelich 1955-1956 (= 1958), p. 108-109.

8
quelle istituzioni fossero differenti da quanto gli scrittori di epoca classica trovavano nel
proprio ambiente o conoscevano da altre aree del mondo greco”17. Ma anche in Arcadia
sono presenti elementi simili all’ ἀγωγή spartana che fanno pensare a istituzioni di tipo
iniziatico.

L’ipotesi di fondo formulata da Brelich è che, “in alcune aree greche si sarebbero
verificate trasformazioni piuttosto radicali, […] in altre la conservazione si sarebbe
opposta”18 a queste trasformazioni.

Le istituzioni iniziatiche sono rimaste in vigore soprattutto nelle aree greche o


tendenzialmente conservatrici, come Sparta, o culturalmente arretrate, come l’Arcadia,
comunque meno attivamente partecipi alla rapida trasformazione della civiltà classica,
mentre la poesia e la letteratura […] che potessero documentarle, fiorivano soprattutto
nelle aree più innovatrici, come p.es l’Attica, l’Argolide, la Ionia, ecc19.

In questa sede si prenderanno in esame l’ἀγωγή, per il suo evidente carattere iniziatico;
l’ἐφηβία ateniese che, secondo la tesi sostenuta da molti (tra i quali Jeanmaire20), era
direttamente collegata alle iniziazioni; e infine ‘i misteri’, culti iniziatici di larga
diffusione nel mondo antico, il quale legame con le iniziazioni primitive abbiamo già
accennato prima.

È stato portato alla luce un altro aspetto interessante (che verrà approfondito nel cap.
seguente), riguardante i numerosi legami, sia di carattere cultuale che mitologico, che gli
eroi greci intrattengono sia con le pratiche iniziatiche legate al passaggio nell’età adulta
che con quelle di tipo ‘misterico’21. Sono più d’una le teorie che vedono nel mito eroico
una proiezione iniziatica, e più d’uno i riferimenti ad eroi presenti nei culti e nei complessi
‘educativo-iniziatici’ della Grecia antica. Questi ‘riferimenti’ eroici, nell’illustrare i tratti
essenziali delle istituzioni che si è deciso di prendere in esame, faranno capolino qua e là
e, in linea con quello che si propone il lavoro del prossimo capitolo, non verranno certo
omessi.

17
Brelich 1969, p. 208.
18
Brelich 1969, p. 208. Si tenga presente che tale ipotesi presuppone un’originaria omogeneità culturale e
istituzionale nella Grecia preistorica.
19
Brelich 1969, p. 215
20
L’autore affronta la questione in Couroi et Courètes, Lille, 1939.
21
“È interessante notare che sia con i misteri che con i riti di adolescenza gli eroi hanno numerosi legami
mitici e cultuali” (Brelich 1955-1956 (= 1958), p. 110), di cui si parlerà nel par. dedicato ai misteri.

9
2.1.1. ’Αγωγή

Le pratiche educative spartane vengono interpretate da Brelich in chiave iniziatica,


proprio in virtù di quel criterio ‘funzionale’ di cui si è parlato poco fa. L’autore si esprime
in modo molto chiaro a proposito affermando che “sulle basi di un preciso concetto
funzionale […] l’ἀγωγή, o meglio, il complesso istituzionale di cui essa fa parte, non
‘deriva’ soltanto dalle iniziazioni di tipo primitivo, ma è senz’alcuna restrizione
un’iniziazione di tipo primitivo.” Dunque a definire il carattere iniziatico dell’ἀγωγή è
proprio la sua funzione di inclusione all’interno della comunità, e infatti “chi non vi
sottometteva, non poteva avere i diritti del cittadino, […] restava, cioè, escluso dalla
comunità come i non-iniziati delle società primitive”22. A sostegno della sua ipotesi egli
ricorda che tra gli ὅμοιοι, gli unici cittadini di pieno diritto e soggetti all’ἀγωγή, nessuno
esercitava una particolare mansione: “si dedicavano tutti alle stesse attività senza che
nessuno di essi avesse mestieri speciali”. Questo dato risulta importante in virtù di ciò
che si è detto prima, ossia che una delle cause della scomparsa dell’istituto iniziatico è
proprio la qualificazione dei mestieri. Quando si creano delle disuguaglianze sociali, una
“norma dell’esistenza” valida per tutti non è più possibile, o meglio, “perde la sua ragione
d’essere”23.

Tuttavia va detto che l’istituzione iniziatica a Sparta, pur mantenendo la sua funzione
originaria, subisce ugualmente nel corso del tempo delle mutazioni “coerenti e
culturalmente significative”. Da una parte, l’aspetto rituale tipicamente primitivo della
procedura iniziatica “tende a […] rifluire in complessi rituali o festivi relativamente
autonomi”24 che a loro volta, in accordo con il politeismo vigente all’epoca, diventano
feste dedicate a divinità o ad eroi. Dall’altra parte i combattimenti rituali, così importanti
nell’ ἀγωγή, - ma comuni a numerosi riti iniziatici primitivi – “tendono ad assumere una
forma agonistica e, quali agoni, ad assimilarsi a quelli coltivati nel resto della Grecia”25.

L’ἀγωγή, questo stretto regime di educazione e allenamento obbligatorio e collettivo, si


pensa che abbia la sua origine tra il VII e il VI sec. a.C. e che si fosse mantenuta all’incirca

22
Brelich 1969, p. 114-115.
23
Brelich 1969, p. 195.
24
Brelich 1969, p. 193.
25
Brelich 1969, p. 193.

10
fino al 222 a.C., anno della disfatta di Sellasia26 e della conseguente caduta di Sparta. In
realtà un quadro cronologico chiaro e sicuro relativo alla sua nascita e alla sua decadenza
non è stato tracciato e le ipotesi degli studiosi sono controverse. Kennel27 ha individuato
per l’ ἀγωγή tre fasi principali intervallate da due fratture: la prima fase sarebbe quella
classica, che va da un’epoca imprecisata (intorno al VI sec.) fino a metà del III, una
seconda che si colloca verso la fine del III sec. a.C. (nel quadro delle riforme di Cleomene)
e infine la fase dell’ ἀγωγή romana, introdotta nel 146 e in funzione fino al IV sec.

Essa interessava tutto l’arco della giovinezza del ragazzo spartano e avveniva attraverso
un sistema di gradi (εἴρην – σφαιρεύς – καρνεᾶται). Aveva inizio intorno ai sette anni e
non concludeva prima di aver raggiunto i venti anni di età. Grazie alla descrizione di
Plutarco28, sappiamo che i bambini, raggiunta l’età necessaria, venivano tolti alle
famiglie, gli venivano rasati i capelli e, inseriti in gruppi di coetanei (ἀγέλαι), seguivano
il rigido programma iniziatico. Esso consisteva anche in combattimenti tra le varie ἀγέλαι,
il cui comando spettava al “ragazzo che risultava il più bravo”29. Se venissero segregati o
meno non si hanno informazioni precise e dettagliate ma pare, da quanto si legge nel
discorso plutarcheo, che i ragazzi spartani vivevano fuori della città, tra di loro30. Come
si è detto sopra, parte rilevante dell’ἀγωγή prevedeva, sin dall’infanzia, diversi
combattimenti tra gruppi opposti di ragazzi, fatto che mostra di per sé il forte spirito
agonistico che permeava l’intero complesso iniziatico31. Il combattimento era infatti un
modo per distinguersi (tra vinti e vincitori) e per dimostrare di eccellere. Una descrizione
dettagliata di uno di questi combattimenti ci è pervenuta grazie a Pausania (3, 14, 9 s.) il
quale ci dice che esso aveva luogo nel cosiddetto Platanistas, a cui si poteva accedere per
due ponti, “sull’uno si trovava un’immagine di Licurgo, sull’altro un’immagine di

26
La battaglia di Sellasia segna la conclusione della guerra tra Sparta e la Lega achea iniziata nel 229 a.C.
Con l’aiuto del Regno Macedone (al tempo retto da Antigono III Dosone) la Lega sconfisse definitivamente
gli Spartani di Cleomene III.
27
Kennel 1995.
28
Plut. Lyc. 16.
29
Brelich 1969, p. 115-116.
30
“πάντας εὐθὺς ἑπταετεῖς γενομένους παραλαμβάνων αὐτὸςεἰς ἀγέλας κατελόχιζε, καὶ συννόμους ποιῶν
καὶ συντρόφους μετ᾽ ἀλλήλων εἴθιζεσυμπαίζειν καὶ συσχολάζειν“ “Appena i fanciulli raggiungevano l’età
di sette anni, egli stesso [Licurgo] li prendeva in consegna e li raggruppava in drappelli: facendoli vivere
insieme, sottoposti a un regolamento e a una dieta comuni“ (Plut. Lyc. 16.).
31
Per approfondire il legame tra agone e iniziazione si veda Brelich 1958, p. 210 s.

11
Herakles”32. Quest’ultime erano sorteggiate tra i due gruppi in lotta e portate nel luogo di
combattimento, dove tra l’altro erano presenti altre numerose tombe eroiche a circondare
il Platanistas (Paus. 3, 15). Un’altra lotta era quella combattuta dallo σφαιρεύς, “il
giocatore alla palla”33, che nel teatro dava luogo assieme ai compagni a veri e propri
scontri in cui ci si picchiava per il possesso della palla. Sono poi documentate, oltre agli
agoni combattuti dai ragazzi, anche ‘prove di resistenza’ subite dagli stessi, la quale
valenza può esser stata quella, a detta di Brelich, di una “morte rituale”34. Sia gli agoni
che le ‘prove di resistenza’ sono stati considerati elementi nettamente rituali che - in
quanto legati entrambi al culto di Orthia - fanno escludere l’idea che l’ἀγωγή fosse
qualcosa di puramente pedagogico e profano. I ragazzi durante l’intera iniziazione erano
seguiti, curati e sorvegliati da figure di riferimento le “cui funzioni erano del tutto
analoghe a quelle del personale che sorveglia e guida gli iniziandi nelle società
primitive”35. Lo Stato nominava un παιδονόμος scelto tra i migliori cittadini, che a sua
volta era assistito da altro personale. Una volta raggiunta l’età matura, l’iniziazione aveva
il suo termine e l’iniziato ne usciva da “cittadino, atto a svolgere qualsiasi funzione
pubblica e pronto a sposare”36.

Sebbene non ci si dilunghi nel trattare la questione, è bene menzionare il fatto che negli
ultimi anni studi recenti hanno rivalutato il carattere iniziatico di stampo tribale dell’
ἀγωγή spartana. Un contributo senz’altro particolare è stato quello di Calame, storico di
formazione filologico-letteraria, che si è fatto promotore di una lettura antropopoietica
dei riti spartani. Tale chiave di lettura ritiene che i riti di passaggio degli adolescenti non
siano da intendere in chiave iniziatico-tribale perché fanno in realtà parte di un sistema di
educazione collettiva che comprende in sé un più ampio sistema generazionale che
valorizzava vari stadi della vita: la nascita, i trent’anni e i sessanta37.

32
Brelich 1969, p. 122. Per approfondire il rapporto che Eracle aveva con le iniziazioni si veda il cap.
seguente.
33
Paus. (3, 14, 6) li definisce come loro che passavano dall’adolescenza all’età adulta.
34
Brelich 1969, p. 138.
35
Brelich 1969, p. 123-124.
36
Brelich 1969, p. 125.
37
Franchi 2010, p. 213.

12
2.1.2. L’ἐφηβία ateniese

L’istituzione efebica è descritta in larga misura da Aristotele nel 42° capitolo della
Costituzione degli ateniesi. Qui l’autore asserisce che secondo l’ordine vigente all’epoca
(IV sec. a.C.), era considerato parte del corpo sociale (πολιτεία) solo colui che possedeva
genitori entrambi ateniesi38. All’età di diciotto anni i giovani vengono iscritti come
membri del δῆμος. I padri di questi neo-iscritti (che Aristotele chiama ἔφηβοι) si
riuniscono e scelgono tre uomini che ritengono “i migliori e i più adatti ad occuparsi degli
ἔφηβοι”. Oltre a questi vengono eletti dal popolo anche “due παιδοτρίβαι e degli
insegnanti delle seguenti specialità: ὁπλομαχία, tiro all’arco, lancio del giavellotto,
manovra della catapulta”39. Nel secondo anno i ragazzi ricevono, in occasione di una
riunione dell’ἐκκλησία in cui “mostrano al popolo le loro abilità nelle manovre militari”40
uno scudo e una lancia dalla πόλις, e cominciano a pattugliare la città soggiornando nei
posti di guardia e consumando i pasti insieme. Alla fine del secondo anno “essi sono
ormai tra gli altri”41. L’ἐφηβία dura dunque due anni, e a differenza dell’ἀγωγή, non
sembra presentare caratteri iniziatici e di tipo rituale ma piuttosto sembra configurarsi
come un normale servizio di leva obbligatorio. Questo spiegherebbe l’assunzione di
figure specializzate nelle varie tecniche militari quali il tiro all’arco, l’uso della catapulta
ecc. ma tuttavia non spiegherebbe la presenza dei παιδοτρίβo ι, i maestri della γυμναστική
che si dedicavano all’educazione dei ragazzi sin dai tempi antichi42. Un altro elemento
presente nell’ἐφηβία che non può essere spiegato come caratteristica della leva militare è
il fatto che gli ἔφηβοι, come primo loro atto, dovevano fare un giro dei luoghi sacri,
prendendo contatto con la religione di stato43. Alcuni elementi quindi sembrano essere
giustificati come parte di una leva militare, altri invece “dall’esclusivo punto di un
servizio militare di leva non erano assolutamente necessari”44. Passati in rassegna gli

38
Provvedimento che era stato indetto da Pericle tra il 451/450 ma che, trascurato durante la guerra del
Peloponneso, fu ripristinato nel 404 a.C.
39
Brelich 1969, p. 217.
40
Arist. Resp. Ath. 42, 4.
41
“Διεξελθόντων δὲ τῶν δυεῖν ἐτῶν, ἤδη μετὰ τῶν ἄλλων εἰσίν” (Arist. Resp. Ath. XLII, 4.)
42
Si tenga presente che l’istruzione efebica, pur essendo diversa dall’ἀγωγή nel suo individualismo (in
quanto impartita da singoli δῖδάσκᾶλοι e παιδοτρίβαι), s’imperniava sulle stesse discipline dell’istituto
iniziatico spartano: ovvero la γυμναστική e la μουσική). Per un approfondimento sull’educazione musicale
e atletica nel mondo greco v. Moutsopoulos 1959 (= 2002).
43
“Συλλαβόντες δ᾽ οὗτοι τοὺς ἐφήβους, πρῶτον μὲν τὰ ἱερὰ περιῆλθον”. (Arist. Resp. Ath. XLII, 4.)
44
Brelich 1969, p. 219.

13
elementi strutturali dell’istituzione iniziatica ateniese, vanno menzionate le tesi formulate
riguardo la nascita e l’origine dell’ἐφηβία. Alcuni (come Wilamowitz, A. Brenot e altri)
credono che essa sia stata creata di sana pianta nel 336/5 a.C., altri invece – tra cui il già
citato Jeanmaire – si oppongono a questa tesi, rifacendosi a quegli elementi che l’ἐφηβία
condivide con le iniziazioni primitive. Se questi tratti, come sostengono questi ultimi, non
sono stati creati ex novo nel 336, allora l’ἐφηβία “non sarebbe che uno sviluppo
particolare di un antichissimo sistema di iniziazioni maschili”45. Vi è un altro elemento,
non menzionato da Aristotele, che darebbe modo di pensare che in origine l’ἐφηβία attica
si trattasse di un’istituzione iniziatica: il giuramento. Gli ἔφηβοι erano tenuti a
pronunciare un solenne giuramento nel santuario di Agraulo (nel mito figlia dell’eroe
Cecrope), chiamando a testimoni, oltre che la stessa Agraulo, anche una serie di nomi
divini ed eroici. Dal testo epigrafico di Hestia46 appaiono i nomi di Enyo, Enyalios, Ares,
Athena Areia, Zeus, Thallo, Auxo, Hegemone, Eracle47. Un giuramento molto simile
avveniva nelle città cretesi durante la procedura iniziatica, tanto che tra i due giuramenti
sono state riscontrate alcune analogie formali: come gli Ateniesi invocavano le vigne, gli
ulivi ecc., così i Cretesi rivolgevano il loro giuramento ai fiumi, alle sorgenti, ecc. Esso
rappresenterebbe

“un anello di collegamento tra la forma descritta da Aristotele dell’efebia e una più antica
istituzione iniziatica: le analogie tra il giuramento degli efebi ateniesi e quello dei neo-
iniziati cretesi fanno pensare che qualcosa di simile a quanto nelle città cretesi si è
conservato fino a epoche relativamente recenti, fosse esistito anche ad Atene in un tempo
più remoto”48.

Un altro elemento che è utile citare - in relazione ai possibili collegamenti con riti
‘primitivi’ di tipo iniziatico – è proprio il rito “eponimo” della kureotis. Esso si svolgeva
durante le feste Apaturie, e consisteva nel taglio dei capelli da parte degli ἔφηβοι. In piena
epoca storica questa festa diventa statale e costituisce l’occasione dell’iscrizione dei

45
Brelich 1969, p. 220.
46
Il quale generale carattere arcaico appare evidente, secondo Brelich, da numerosi fattori: a) la
formulazione del giuramento, il suo contenuto e come ce ne parlano gli oratori del 4° sec., elementi che
fanno pensare che si tratti di un testo molto antico, “anche se resta difficile tradurre questa convinzione in
termini cronologici precisi” (Brelich 1969, p. 220); b) appaiono di carattere arcaico sia le divinità invocate
(non sono le grandi divinità, a parte Zeus e Ares, del pantheon panellenico) sia l’ordine stesso
dell’invocazione (che vede Zeus al quinto posto).
47
Paus. I, 31, 6 documenta un importante culto di Eracle nel demo Acharnai, da dove proviene l’iscrizione.
48
Brelich 1969, p. 222.

14
bambini nelle fratrie. Le Apaturie duravano tre giorni e il giorno conclusivo della festa si
chiamava Kureotis (riferendosi appunto al taglio di capelli): “in quel giorno gli ἔφηβοι
sul punto di tagliarsi la frangia dei capelli, portano a Herakles l’οἰνιστήριων, grosso
recipiente di vino, e dopo averne offerto la libagione, offrono da bere ai convenuti”49.
Ora, si è già visto che il taglio di capelli ha diverse connessioni con il passaggio nell’età
adulta all’interno delle società primitive. Anche in Grecia lo ritroviamo in questi termini:
gli ἔφηβοι avevano “una particolare acconciatura di capelli”50 e gli spartani dovevano
tagliare i capelli all’età di dodici anni e tenerli corti fino al termine dell’ἀγωγή 51. Inoltre,
come testimonia Brelich, i sacrifici di capelli52 avevano due caratteristiche essenziali: la
prima è che coloro che li offrono “li celebrano in una determinata fase del loro passaggio
nell’età adulta”, l’altra è che “i destinatari dell’offerta sono eroi o eroine”53. L’ἐφηβία
dunque poteva davvero costituire lo sviluppo particolare di un’antica istituzione
iniziatica. Tuttavia, qualora si voglia sostenere questa tesi, bisogna riconoscere che essa
ha perso “la sua funzione e la sua ragion d’essere originarie”54.

2.1.3. Gli antichi misteri in Grecia

Sui misteri antichi sono stati fatti nel passato innumerevoli studi e molto è già stato detto.
Per questo ci limiteremo in questa sede a prendere in esame i misteri di Eleusi
sottolineandone il carattere iniziatico e la ‘sequenza rituale’, ossia ponendoli in relazione
a quella tripartizione che Van Gennep dà ai riti di passaggio delle società primitive.
Infatti, sebbene altri aspetti come le finalità economiche e agrarie degli antichi misteri (di
quelli eleusini ma anche di quelli di Dioniso, Orfeo, Osiride, Iside, Attis ecc.) sono stati
già definiti dai lavori di insigni studiosi, essi non sono mai stati studiati focalizzandosi
sulla loro ‘sequenza rituale’. È proprio Van Gennep il primo ad attribuire valore e rilievo

49
Brelich 1958, p. 126.
50
Brelich 1958, p. 126.
51
Cfr. Xenoph. Resp. Lac. 11, 3; Plut. Lyc. 16, 6.
52
Si tenga presente che il sacrificio dei capelli era valido sia per i maschi che per le femmine. Per le fanciulle
infatti, il matrimonio sostituisce i riti del passaggio d’età. Le ragazze prima delle nozze sacrificavano i
capelli tagliati a diversi eroi: a Ippolito, a Trezene: Eur. Hipp. 1525 s.; ai figli di Medea a Corinto. (Brelich
1955-1956 (= 1958), p. 32).
53
Brelich 1958, p. 127.
54
Brelich 1969, p. 223.

15
all’ordine nel quale i riti iniziatici di questi culti si susseguono, affermando che esso
“costituisce già in sé stesso un elemento magico-religioso di un’importanza essenziale”55.

Per quanto riguarda i riti eleusini va ricordato che essi hanno un origine molto antica: si
svolgevano già nel periodo miceneo (circa 1600 – 1100 a.C.), e si estendono a tutta la
Grecia antica e alle sue colonie nel VII sec., quando Eleusi diviene parte dello Stato
ateniese. Essi hanno le loro remote radici nella protostoria, da tradizioni cretesi, asiatiche,
traci, arricchite ed integrate in un nuovo orizzonte religioso56. Il rito si divideva in due
parti: i piccoli misteri e i grandi misteri. I primi si svolgevano in primavera nel mese di
Antesterione, i secondi in autunno nel mese di Boedromione con lo scopo di consacrare
e rappresentare il riposo e il risveglio perenne della vita delle campagne. Essi erano
dedicati a Demetra (dea dell’agricoltura e del raccolto) e alla figlia Persefone, poiché
l’alternarsi delle stagioni ricordava l’alternarsi dei periodi che secondo il mito Persefone
trascorreva sulla terra e nell’Ade dopo essere stata rapita dal dio degli Inferi. Il mito di
fondazione dei δρώμενα eleusini (tutti i misteri avevano i loro “miti delle origini”) è
esposto in maniera elaborata e dettagliata nell’inno omerico a Demetra. Esso racconta in
versi il ratto di Persefone da parte di Ade e il viaggio della madre Demetra alla ricerca
della figlia rapita, durante il quale la terra, per la collera di quest’ultima, smise di produrre
frutti facendo serpeggiare la carestia tra i mortali. Demetra iniziò così un lungo
pellegrinaggio che la portò ad Eleusi, dove mascheratasi da vecchia mendicante venne
ospitata dai mortali Celeo e Metanira. Quando rivelò la sua identità divina venne istituito
in suo onore un tempio, nel quale la dea decise di rimanere finché non le fosse stata
restituita la figlia. Nel frattempo la carestia dilagava e i mortali ridotti alla fame non
tributavano più onori agli dèi. Zeus decise dunque di chiedere ad Ade la restituzione di
Persefone, affinché con il suo ritorno la terra ritornasse rigogliosa e ricca. Ade accettò,
ma ingannò Persefone facendole mangiare un chicco di melograno, che la legò e vincolò
eternamente all’oltretomba57, poiché costretta a farci ritorno e dimorarci come sposa di
Ade per un terzo dell’anno. Ed è così che si spiega il ritmo delle stagioni: nel periodo che
Persefone trascorre con la madre la terra è lucente e rigogliosa, in quello che trascorre
negli Inferi come sposa di Ade la terra viene avvolta dal freddo e dalla povertà. Infine

55
Gennep 1909 (= 2012), p. 77.
56
Eliade 1975 (= 1979), pp. 317-328.
57
Questo perché secondo un tema mitico largamente diffuso chi assapora i cibi dell’aldilà non può
tornare totalmente nel mondo dei vivi.

16
Demetra stessa istituisce i Misteri Eleusini, riti sacri che avrebbero celebrato la sua storia
e quella della figlia, una storia simbolica di vita, morte e rinascita.

L’iniziazione al culto era accessibile – in forma privata – non solo ai cittadini ma a tutti
coloro che lo desiderassero ad eccezione dei barbari e di coloro che si erano macchiati di
omicidio. Questi ultimi, se volevano essere iniziati ai misteri dovevano prima sottoporsi
a un rito di purificazione58. Brelich si esprime chiaramente quando afferma che i riti
misterici avevano “un nesso genetico” con le iniziazioni tribali dei popoli primitivi ma
che poi sono divenuti un complesso esclusivo greco, alimentandosi di contenuti religiosi
di altra provenienza rispetto ai popoli cosiddetti primitivi59. Distanziandosi dal loro ‘gene
primitivo’, hanno conseguentemente perso il legame con il passaggio dall’età infantile
nell’età adulta che, come si è visto in precedenza, era un fattore di primaria importanza
nelle iniziazioni di questi popoli. Brelich aggiunge che, sebbene la funzione della μύησις
eleusina non avesse “nulla a che vedere con le iniziazioni di tipo tribale” poiché “non
portava ad alcun cambiamento nello status sociale dell’individuo”, a livello formale si
sono riscontrate analogie con le iniziazioni di tipo tribale. Si sono conservati infatti
elementi iniziatici quali la segregazione, la purificazione, le prove e le istruzioni segrete:
“gli iniziandi, appositamente riuniti, si recavano in un luogo particolare e venivano
separati dal resto della gente”, dove, sottoposti a divieti alimentari, assistevano a riti su
cui “dovevano mantenere il più assoluto segreto”60. Anche in questo caso, l’iniziazione
sembra concordare con la tripartizione data da V. Gennep al rito di passaggio tribale,
poiché essa consisteva prima di tutto in un congedo dal mondo e dalla vita precedente
(separazione) e in un periodo di margine durante il quale, mediante cerimonie
preparatorie, veniva fatto “passare il neofita dal mondo profano al mondo sacro”
mettendolo “in comunicazione diretta, continua e definitiva con quest’ultimo”61
(aggregazione). A grandi linee la sequenza di riti di iniziazione a Eleusi prevedeva: il
raduno dei candidati e l’isolamento da parte dello ὶεροφάντης (il sacerdote) di coloro che
erano considerati impuri; l’ingresso di essi nell’ Ἐλευσίνιον (il tempio di Demetra e
Persefone) nel quale si bagnavano con l’acqua contenuta in alcuni vasi in modo da

58
Notizia che si ricava da Isocr. Paneg. 157 ma anche dal mito di Eracle: l’eroe prima di essere iniziato ai
misteri viene purificato dalla contaminazione contratta per il sangue versato (v. p. 18).
59
Brelich 1958, p. 124 s.
60
Brelich 1969, p. 459. La legislazione ateniese prevedeva, per chi non avesse mantenuto il segreto, la pena
di morte.
61
Gennep 1909 (= 2012), p. 77.

17
rendersi “sacri”; una corsa verso il mare62 (chiamata ἔλασις, ovvero allontanamento o
esilio) e un bagno nelle sue acque che Gennep considera rispettivamente l’uno come un
rito di separazione “del profano dalla sua vita precedente”, l’altro come un rito di
purificazione in cui “si monda il neofita della sua condizione di profano e di impuro”63;
e infine il ritorno all’Ἐλευσίνιον dove si compiva un sacrificio cerimoniale che
concludeva il primo atto dell’iniziazione. I candidati, una volta effettuata la corsa al mare
e il sacrificio, non si esponevano più in pubblico ma ritirati dal resto della comunità e
soggetti a tabù alimentari aspettavano di partire per Eleusi. La processione avveniva
qualche giorno dopo (intorno al 19-20 del mese di Boedromione) e partendo da Atene
giungeva ad Eleusi64 dove aveva inizio il secondo e conclusivo atto cerimoniale. Le
informazioni riguardo questa parte del rito che si svolgeva ad Eleusi sono scarse poiché,
come si è già detto poc’anzi, era assolutamente vietato esplicitare le forme del culto.
Tuttavia si sa che l’iniziazione comportava a) una sorta di viaggio all’interno di una stanza
divisa in sezioni, le quali rappresentavano ciascuna una regione degli inferi; b) la salita di
una scala da cui si aveva accesso in regioni luminose e al μέγαρον dove avveniva
l’ostensione dei sacra; c) la rappresentazione del rapimento di Core con elementi
innovativi rispetto alla tradizione popolare e quindi sconosciuti ai profani. La sequenza
rituale, con il simbolico viaggio di discesa nell’oscurità degli Inferi e la successiva ascesa
verso la luce, va interpretata come la “drammatizzazione della morte e della rinascita del
novizio”65, che da una precedente condizione profana rinasce al mondo sacro. Non a caso
Plutarco scrive, a proposito dell’iniziazione eleusina, che “iniziarsi è morire”66.
Affermazione che in realtà si adatta bene non solo ai misteri eleusini ma a numerosi altri
culti di carattere misterico. In essi infatti i rituali iniziatici, che hanno come scopo quello
di distruggere nel novizio il ‘vecchio uomo’ per far risorgere il ‘nuovo uomo’, presentano
di sovente drammatizzazioni simboliche del trapasso dalla vita alla morte e infine alla

62
“Alade mystai! [“in mare, iniziati!”] (Gennep 1909 (= 2012))
63
Gennep 1909 (= 2012), p. 78.
64
La cinta muraria era molto elevata per impedire ai profani di vedere coloro che “passavano nel mondo
sacro” (Gennep 1909 (= 2012)). Era proibito valicare il recinto sacro e coloro che, durante i giorni dei
misteri, trasgredivano il divieto venivano puniti con la morte.
65
Gennep 1909 (= 2012), p. 79.
66
Plut. Stob. Floril. IV, 107.

18
seconda nascita (cosi è nell’iniziazione all’orfismo, nelle società religiose traci, e in quella
di Dioniso, Mitra, Attis, Adone, Iside, ecc.)67.

Significativa per il suo rapporto con la morte e la rinascita è la figura di Dioniso, il cui
culto, molto antico, anche in questo caso è di carattere misterico. Nel mito egli è figlio di
una madre mortale e di un padre divino: Semele e Zeus. Poiché la madre Semele muore
incenerita dalle folgori dell’amante, il piccolo Dioniso viene salvato dallo stesso padre
Zeus che lo cuce nella sua coscia dalla quale nasce dopo una seconda gestazione divina.
Il verso euripideo “Vieni Ditirambo, entra nel mio grembo maschile”68 rievoca proprio
questo episodio, che diviene il Leitmotiv della seconda nascita iniziatrice all’interno del
culto misterico. E difatti, il termine Διθύραμβος, appellativo di Dioniso, aveva il
significato nel mondo greco di “essere dalla doppia porta”, ovvero essere che da ucciso è
resuscitato sopravvivendo “al terribile miracolo della seconda nascita”69. Egli diventa
quindi, all’interno dei culti misterici del mondo greco, il ‘dio-simbolo’ della rinascita
iniziatica. A questo proposito è significativo ricordare come egli, a differenza degli altri
dèi, non solo sia titolare di misteri veri e propri ma appaia anche come “iniziato”, sia a
livello cultuale (presso Tegea come attesta Paus. 8, 54, 5) sia a livello mitico. È l’unico
dio ad essere sia iniziato che iniziatore:

Dioniso scoprì la vite ma, reso folle da Era, andò vagando per l’Egitto e la Siria. […] poi
arrivò in Frigia, dove Rea lo liberò dalla follia e gli insegnò i riti misterici. Da lei Dioniso
ricevette la veste sacra e si spinse attraverso la Tracia70.

Sempre nel mito tra le sue ultime imprese si annovera la κατάβασις nel regno di Ade per
riportare alla luce la madre Semele, con l’intento di condurla sulla terra e poi sull’Olimpo
rendendola così immortale (alla sua κατάβασις corrisponde dunque un’ἀνάβᾶσις). Questo
evento mitico era considerato come la base di celebrazioni mistiche a Lerna, dove si
parlava allo stesso modo di δρώμενα e dove, secondo le credenze, il dio s’inoltrò nell’Ade
attraverso uno stagno senza fondo di una palude. Qui annualmente i fedeli celebravano la
discesa del dio con riti notturni (Paus. 2, 37, 6) nei quali gli iniziati venivano incoronati

67
Per un confronto dei rituali eleusini con altri di tipo misterico si veda Gennep 1909 (= 2012), p. 79 s.
68
Eur. Bacc. vv. 526-527.
69
Campbell 1949 (= 2016), p. 171. Inoltre in merito all’etimologia del nome Dioniso il poeta Apollonio
Rodio propose il significato di “nato due volte” o “il fanciullo dalla doppia porta” (A. R. IV, 1137).
70
Ps. Apollod. III, 5, 1.

19
con rami di pioppo bianco, pianta considerata ctonia71. Dunque, il legame che le
iniziazioni misteriche (in questo caso eleusine e dionisiache) intessevano con l’oltretomba
e con la morte rituale trovavano espressione sia nel mito sia nel rito, evidenziandone
l’importanza e la centralità. A evidenziare lo stretto rapporto tra morte e iniziazione sono
le parole di Plutarco che nel De anima istituisce un esauriente parallelo tra l’esperienza
dell’anima dopo la morte e quella dell’iniziando durante il rituale di iniziazione. Al
momento della morte:

“l’anima patisce un'esperienza simile a quelli che celebrano iniziazioni solenni. […]
All'inizio vagare smarriti, faticoso andare in cerchio, paurosi percorsi nel buio, che non
conducono in alcun luogo; poi immediatamente prima della fine tutte le cose terribili,
panico e brividi e sudore, e stupore. E poi una luce meravigliosa ti viene incontro, regioni
pure e prati sono là a salutarti, con suoni e danze e solenni sacre parole e visioni sante; e
là l'iniziato, ormai perfetto, liberato e sciolto da ogni vincolo, si aggira, incoronato da una
ghirlanda, celebrando la festa insieme agli altri consacrati e puri, e guarda dall'alto la folla
non iniziata, non purificata, di questo mondo, nel fango e nella nebbia, sotto i suoi
piedi”72.

2.1.4. Eroi e Misteri: la discesa nell’Ade

Il mondo degli eroi ha diversi rapporti con le iniziazioni misteriche sia nel culto che nel
racconto mitico. Oltre ad alcuni eroi a cui si tributavano culti misterici propri, si riscontra
la venerazione di eroi anche nei grandi misteri dedicati alle divinità. Nel culto eleusino si
veneravano gli eroi Trittolemo (che aveva addirittura un suo santuario)73, Eubulo,
Eumolpo e ancora eroi medici come Anfiloco e Oresinio; nei misteri di Andania (secondi
per importanza dopo quelli di Eleusi) nei quali si veneravano le dee eleusine e i Cabiri, la
celebrazione prevedeva alla vigilia un sacrificio preliminare all’eroe Eurito. Ma ancora
più interessante appare il fatto che numerosi eroi che di fatto non presentavano alcun tipo
di nesso cultuale comprovato con qualche centro misterico, avessero comunque
all’interno delle loro vicende mitiche legami con la sfera degli antichi Misteri. Alcuni
personaggi eroici erano coinvolti all’interno del mito in relazione alla fondazione di essi

71
Nei rituali iniziatici di sovente venivano posti intorno agli iniziati ghirlande, bende, corone. Esse
esprimevano l’atto simbolico del legare che nella sfera rituale aveva il significato di inclusione nella cerchia
degli iniziati. (Guidorizzi 2015).
72
Plut. Fr. 168 Sandbach (= Stobeo 4, 52, 49).
73
Paus. 1, 38, 6.

20
(come Trittolemo ed Eubulo per i misteri di Eleusi o Melaneo, Eurito e Caucon per quelli
di Andania), altri in relazioni agli aspetti rituali. Così l’eroe prototipo delle funzioni dello
ὶεροφάντης (letteralmente “colui che spiega le cose sacre”, sacerdote di grado più elevato
nei Misteri di Eleusi) Eumolpo74; l’eroe prototipo del primo iniziato è Trittolemo, che
introduce ai Misteri eleusini Eracle, a sua volta prototipo dell’iniziato straniero. All’eroe
della clava e della pelle leonina infatti è attribuito l’epiteto di Μύστης (Licophr. 1328 e
schol. ad locum) in relazione agli episodi precedenti l’ultima e dodicesima fatica. Eracle,
poiché l’iniziazione era preclusa agli stranieri e assassini, si fece dapprima adottare da un
cittadino ateniese, purificare dalla contaminazione del sangue versato e solo dopo ciò
venne introdotto alla conoscenza dei Misteri. Nel racconto mitico, appare significativo il
nesso tra l’iniziazione che ‘subisce’ e la sua successiva κατάβασις. L’eroe infatti si fece
iniziare ai Misteri eleusini “per essere liberato dal terrore della morte”75 e ottenere la forza
per scendere nell’oltretomba e compiere così la sua ultima impresa con successo:

“Come dodicesima fatica gli fu comandato di portare Cerbero dall’Ade. […] Mentre
dunque era sulla via per andarlo a prendere, Eracle si recò a Eleusi presso Eumolpo con
l’intenzione di essere iniziato ai misteri. In quell’epoca però non era consentito che uno
straniero venisse iniziato; allora egli cercò di avere accesso al rito facendosi adottare da
Pilio, ma non poteva ancora assistere ai misteri in quanto non era stato purificato per
l’uccisione dei Centauri; perciò fu purificato da Eumolpo e allora venne iniziato. Giunto
quindi al Tenaro, in Laconia, dove si trova l’imboccatura dell’Ade, vi entrò”76.

Accanto a questo racconto è presente un’altra tradizione secondo cui Demetra avrebbe
istituito i piccoli misteri di Agrai con lo scopo di purificare Eracle dell’uccisione dei
Centauri.

I legami che intessono gli eroi con le iniziazioni non sono dunque pochi, e non solo a
livello cultuale ma anche mitico. Oltre a quelli riferibili alla sfera degli antichi Misteri
veri e propri, sono presenti vicende mitiche anche di iniziazioni legate al passaggio
dall’infanzia nell’età adulta. Esemplare è senza dubbio il passo dell’Odissea,
precisamente nel XIX canto, in cui viene descritto il rito di passaggio mediante il quale il

74
Le cariche sacerdotali in Grecia si trasmettevano per via ereditaria all’interno di determinate famiglie
sacerdotali che si consideravano discendenti di un eroe capostipite. Nel caso dei Misteri di Eleusi la carica
sacerdotale suprema apparteneva alla famiglia degli Eumolpidi, discendenti dell’eroe Eumolpo.
75
Guidorizzi 2012, p. 166.
76
Ps. Apollod. II, 5, 12.

21
giovane Odisseo viene incluso nella cerchia degli adulti “attraverso una prova di
coraggio” che mostri a tutti la sua audacia e forza. La vicenda s’inserisce nel famoso
passo del riconoscimento di Odisseo da parte di Euriclea, la vecchia e fedele sua nutrice.
Ulisse ritorna alla sua dimora di Itaca sotto le spoglie di mendicante, e accolto in casa
dalla inconsapevole Penelope, riceve le cure che si soleva offrire agli ospiti. Difatti
Penelope prima di ritirarsi nelle sue stanze, rispettosa nei confronti della ξενία
(“ospitalità”) ordina alla nutrice Euriclea di lavare il vecchio. Mentre ella gli lava i piedi,
riconosce una cicatrice inequivocabile che risale all’adolescenza dell’eroe. È in questo
momento della narrazione che, mediante un flashback, viene rievocato quell’episodio: il
nonno di Odisseo, Autòlico, raccomandò alla figlia di mandare il nipote, una volta fattosi
giovinetto, alla sua dimora sul Parnaso, “per ricevere i doni di passaggio alla nuova età”77.
Il giovane eroe giunto da Autolico affronta la sua prima prova, consistente in una battuta
di caccia, per mostrare il suo valore e versare il suo primo sangue.

Autolico allora rispondeva e parlò: «Figlia e genero mio, mettetegli il nome che dico […]
dunque Odisseo sia il nome. E io un giorno, quando, cresciuto, al grande palazzo verrà
sul Parnaso, dove ho i miei tesori, parte gliene farò, contento lo manderò a casa». Per
questo andò Odisseo, perché i ricchi doni gli desse: e dunque Autòlico e i figli di Autòlico
con abbracci l’accolsero e con parole di miele; […] Ma come figlia di luce, brillò l’Aurora
dita rosate, andarono a caccia; coi cani ci andarono i figli d’Autòlico, fra loro Odisseo
luminoso andava; e salirono il monte scosceso vestito di boschi del Parnaso, e in fretta
arrivarono fra le gole ventose. […] Là in una forra folta aveva tana un gran verro. Mai
l’umida forza dei venti soffianti attraversava quel folto, mai il sole ardente lo penetrava
coi raggi, mai passava la pioggia, tanto era folto; di foglie secche c’erano mucchi senza
misura. Intorno al verro giunse il suono dei passi d’uomini e cani che a stanarlo venivano;
allora a duello uscì dalla macchia, con le setole irte, con gli occhi di fuoco, si parò avanti
a loro; primissimo appunto Odisseo balzò, alta levando la lunga lancia nella mano
gagliarda, di ferire da presso bramoso; ma, più veloce, il verro colpì sopra il ginocchio,
strappò con la zanna un gran lembo di carne balzando obliquo: ma l’osso dell’eroe non
toccò. E lo ferì da presso Odisseo, colpendo la spalla destra, da parte a parte la trapasso
la punta dell’asta lucente: cadde grugnendo giù nella polvere, volò via la vita. Subito i
figli d’Autòlico curavano Odisseo, la piaga d’Odisseo glorioso, divino, fasciarono

77
Guidorizzi 2015, p. 140-141.

22
sapientemente, col canto magico il sangue nero fermarono, poi subito corsero al palazzo
del padre78.

Odisseo si avventa per primo sull’animale ma gli viene inflitta una ferita, un marchio che
lo segnerà per tutta la vita. Un marchio che non si discosta poi molto dalle mutilazioni,
tagli di capelli ecc. che ricevevano gli iniziandi dei popoli primitivi durante i riti di
passaggio. Infatti anch’esso, sebbene non si tratti di una ferita ‘intenzionale’, avrà nella
sua essenza un significato simbolico molto simile alle mutilazioni primitive, sia perché
veicola il riconoscimento da parte della fedele nutrice Euriclea sia perché sancisce di fatto
la nuova condizione del giovane eroe che da fanciullo diventa uomo.

Sono tanto consistenti i temi e motivi iniziatici all’interno del mito eroico che sono state
elaborate diverse teorie (da studiosi come Raglan, Jeanmaire e Campbell) secondo cui le
peripezie degli eroi non sono che un riflesso e una trasposizione di un rito di passaggio.
Appaiono esaustive le parole di Guidorizzi quando afferma che l’impresa dell’eroe

è generalmente anche un’impresa iniziatica. Dimostrando per la prima volta il proprio


valore in una prova straordinaria, il giovane efebo completa l’itinerario che lo conduce
alla fama e a tutto ciò che si accompagna: una sposa, spesso un regno, comunque un posto
eccellente nella comunità degli adulti79.

Il proposito del prossimo capitolo sarà proprio quello di proporre questa prospettiva del
mito eroico, non solo esponendone le teorie già formulate nel passato ma soprattutto
ricercando e individuando i motivi legati alla sfera iniziatica presenti all’interno delle
vicende mitiche di alcuni tra gli eroi più celebri tra cui principalmente Eracle, Teseo,
Perseo, e Giasone.

3. La carriera dell’eroe come proiezione delle pratiche iniziatiche

Malgrado le differenze che si riscontrano tra un personaggio eroico e l’altro80 è comunque


possibile definire in generale l’eroe, poiché il materiale da cui attinge l’immaginario
culturale per plasmare le singole figure ha “una sua struttura morfologica, condizione e
ragione della molteplice affinità che, malgrado la fisionomia personale di ciascun eroe,

78
Om. Od. XIX, vv. 405-458.
79
Guidorizzi 2012, p. 491.
80
Differenze dovute, secondo (Brelich 1958; p. 291), al “principio informatore di una religione politeistica
che tende a differenziare e fissare in forme plastiche le sue molteplici esperienze ed esigenze”.

23
pervade tutto il mondo eroico”81. Essi infatti, seppur in forme e sfumature diverse,
intrattengono rapporti con gli stessi ambiti (riscontrabili poi nella società e nella cultura
antica), tra i quali la mantica e la iatrica, l’agonistica, il combattimento, la fondazione di
città ecc. e tra questi anche l’iniziazione ai misteri o nell’età adulta. La ricorrenza
frequente, per non dire onnipresenza, di motivi iniziatici nei miti dei più diversi eroi ha
portato alla formulazione di alcune teorie secondo cui il mito eroico non sarebbe altro che
la proiezione delle pratiche iniziatiche: dall’infanzia minacciata da insidie e trascorsa al
di fuori o comunque ai margini della comunità a cui l’eroe appartiene (in cui Brelich
riconosce la segregazione e le torture che i novizi subivano durante l’iniziazione), alle
prove che l’eroe si trova destinato ad affrontare per compiere con successo la sua impresa
e conquistare così la posizione, lo status sociale che gli spetta all’interno della comunità
degli adulti.

Joseph Campbell, studioso di mitologia comparata, con la pubblicazione del saggio The
Hero of a Thousand Faces approda alla formulazione del concetto di monomito, secondo
cui “la parabola convenzionale dell’avventura dell’eroe costituisce la riproduzione
ingigantita della formula dei riti di passaggio: separazione – iniziazione – ritorno”82. E
sono proprio questi tre stadi, sempre secondo l’autore, a costituire l’unità nucleare del
monomito. Dal confronto di numerose e disparate tradizioni mitologiche egli estrae uno
scheletro narrativo comune per i racconti, le fiabe, e le leggende di tutto il mondo che egli
definisce appunto monomito. Consapevole tuttavia della multiformità presente tra le varie
tradizioni, ammette che “i mutamenti apportati al monomito fondamentale sono infiniti”83
e che tali mutamenti sono dovuti al fatto che ogni favola, racconto o leggenda isola e
approfondisce uno o due elementi tipici dell’intero schema narrativo. La sequenza
strutturale di Campbell presenta tre grandi stadi dell’avventura: il primo è quello della
“separazione o partenza” che si divide in altre cinque sezioni; il secondo stadio è
caratterizzato dalle prove iniziatiche a sua volta diviso in sei sezioni; e infine il terzo
stadio che consiste nel ritorno dell’eroe e nel suo reinserimento nella società, a sua volta
diviso in sei sezioni84. L’avventura dell’eroe dunque, sebbene possa discostarsi e

81
Brelich 1958, p. 313.
82
Campbell 1949 (= 2016), p. 41.
83
Campbell 1949 (= 2016), p. 292.
84
Campbell 1949 (= 2016), p. 47 s. Le cinque sezioni del primo stadio (separazione o partenza) sono: 1)
L’appello; 2) Il rifiuto all’appello; 3) L’aiuto soprannaturale; 4) Il varco della prima soglia; 5) Il ventre
della balena. Le sei sezioni del secondo stadio (prove iniziatiche) sono: 1) La strada delle prove; 2)

24
distinguersi per la mancanza o al contrario per la massiccia presenza di un elemento
piuttosto che di altri, “segue sempre la traccia dell’unità nucleare descritta: separazione
dal mondo, penetrazione sino a qualche fonte di potere e ritorno apportatore di vita”85.
Quella di Campbell non è l’unica teoria che vede nel racconto eroico la trasposizione di
un rito di passaggio. Brelich86 infatti, prendendo in esame tale ottica, cita una teoria
elaborata in passato da Raglan in “The hero: A Study in Tradition, Myth and Drama”87
secondo cui il mito eroico riflette alcuni riti iniziatici; più propriamente quelli connessi
alla successione regale. Anch’egli individua una serie di motivi (ventidue per l’esattezza)
che ricorrono con frequenza nelle leggende di tutti gli eroi88. L’insieme di questi motivi
‘tipici’ costituirebbe la prova per intravedere nel mito eroico la vicenda rituale della
successione al trono. Secondo tale teoria, il mito deriva dalle forme drammatiche del
rituale che sanciva il passaggio di potere da un individuo all’altro89. Sebbene non sia
questa la sede per confermare o confutare tali teorie, risulta significativo citarle per
mostrare e provare come, una volta gettato il proprio sguardo non esclusivamente sui miti
di un singolo personaggio eroico, ma sulla totalità dei miti eroici, sia impossibile per gli
studiosi del campo non scorgere il costante ricorrere di determinati motivi, da cui deriva
l’idea che i miti conservino un loro nucleo caratteristico. Osservando il mito eroico sotto
quest’ ottica si possono riconoscere tre macro-stadi narrativi che, sebbene si realizzino in
forme diverse a seconda del singolo personaggio eroico, accomunano il destino degli eroi
e lo caratterizzano come rito di passaggio. Il primo stadio è quello che abbraccia i primi
anni dell’eroe dalla nascita alla sua adolescenza e che consiste sostanzialmente in un
allontanamento (dovuto a ragioni diverse quali l’illegalità della nascita, un oracolo, un
fatto di sangue ecc.) dalla comunità a cui l’eroe appartiene, in cui si riflette il periodo di
separazione dei novizi dal resto della comunità durante le pratiche iniziatiche. Il secondo
stadio solitamente ha inizio quando all’eroe, ormai adolescente, viene imposto di

L’incontro con la dea (Magna Mater); 3) La donna quale tentatrice; 4) Riconciliazione con il padre; 5)
Apoteosi; 6) L’ultimo dono. Le sei sezioni del terzo e ultimo stadio (ritorno e reinserimento nella società)
sono: 1) Rifiuto a ritornare; 2) La fuga magica; 3) L’aiuto dall’esterno; 4) Il varco della soglia del ritorno;
5) Signore dei due mondi; 6) Libero di vivere, la natura e la funzione del grande dono finale.
85
Campbell 1949 (= 2016), p. 47.
86
Brelich 1955-1956 (= 1958), p. 61 s.
87
London 1936.
88
Tra gli esempi eroici menziona personaggi della mitologia greca tra cui Edipo, Teseo, Eracle, Perseo,
Giasone, Bellerofonte, Pelope.
89
Un esempio della derivazione del mito eroico dalle forme del rituale sarebbe, per Raglan, la presenza nel
mito dei mostri, che devono la loro esistenza alle maschere impiegate nei combattimenti rituali, Brelich
1955-1956 (= 1958), p. 63.

25
compiere un’impresa (solitamente l’uccisione di un mostro) in cui mostrerà il suo valore
e la sua forza, e che si configura come una vera e propria prova iniziatica. Infine il terzo
stadio, che prevede il ritorno vittorioso dell’eroe nella comunità della quale, in quanto
uomo adulto, diventa membro a pieno titolo, acquisendo una posizione rispettosa
all’interno della società.

3.1. I stadio: la separazione dalla comunità

L’illegalità della nascita

Nel composito intreccio di storie mitologiche di svariati personaggi eroici


l’allontanamento/separazione dalla comunità, che si è deciso di considerare come primo
stadio, è un tema molto diffuso (del resto largamente presente anche nel folklore oltre che
nella mitologia greca90). L’allontanamento dell’eroe è dovuto a diversi fattori, primo fra
tutti l’illegalità della nascita, ovvero il suo essere frutto di un amore irregolare che non
rispetta i vincoli matrimoniali. Accade spesso che la paternità dell’eroe sia infatti dubbia
o quantomeno duplice, in quanto al padre umano “putativo” sia affianca anche un padre
divino: è il caso di Eracle (figlio di Zeus e Alcmena), dei Dioscuri (i quali padri sono
Zeus e Tindaro) e di Teseo (che ha come padri Egeo e Poseidone). Questa illegalità
determina delle inevitabili complicazioni che si ripercuotono poi sulla condizione
dell’eroe neonato, che fin dai primi giorni di vita rischia di essere ucciso e/o viene
scacciato dalla famiglia e dalla civiltà91. A questo allontanamento dalla terra d’origine
segue però spesso (ma non sempre, come si osserverà) un ritorno, intorno agli anni
dell’adolescenza, in cui l’eroe, in genere attraverso una o più prove iniziatiche, viene
reintegrato nella comunità d’appartenenza.

Teseo ad esempio, nato da un amore clandestino tra il padre Egeo re di Atene ed Etra
(figlia di Pitteo di Trezene)92, trascorre la sua infanzia lontano dalla patria dal nonno
materno, fino a quando diventato ormai un giovane efebo ritorna ad Atene. Il padre infatti,

90
Si veda ad esempio lo studio di Propp, Morfologia della fiaba in cui, indagando l’omogeneità strutturale
di tutte le fiabe, individua 31 funzioni strutturali, prima fra tutte l’allontanamento: in esso l’eroe o un
membro della famiglia lascia la sicurezza dell’ambiente iniziale.
91
Pellizer (1991, pp. 35-38) nota come, riferendosi alle modalità tramite cui colui che detiene il potere
cerca di sbarazzarsi del neonato, il racconto si sviluppa in tutti i modi possibili pur di eludere l’unico
sviluppo narrativo ovvio, che consisterebbe nell’eliminazione fisica del bambino con soluzioni tanto
drastiche quanto efficaci.
92
Anche se un’altra versione del mito, come si è accennato poco sopra, lo voleva figlio di Poseidone, il
quale si sarebbe unito a Etra la stessa notte in cui Egeo l’aveva fatta sua.

26
dopo la notte del concepimento trascorsa assieme ad Etra, nasconde sotto una grossa
roccia la sua spada e i suoi calzari, e raccomanda a costei di mantenere il segreto e di
rivelare al figlio l’identità del padre solo una volta che avesse raggiunto la giovinezza.

“Egli [Egeo] si congiunse con lei e venuto a sapere che si era unito con la figlia di Pitteo,
supponendo che ella avrebbe dato alla luce un bimbo, lasciò i calzari e la spada nascosti
sotto un grande masso, […] palesò poi la cosa alla donna soltanto e le ordinò che se fosse
nato da lui un figlio, appena questi fosse divenuto grande e capace di sollevare la pietra e
di portar via ciò che era stato lasciato sotto di essa, di mandarlo da lui con questi
oggetti”93.

Teseo, sollevando la roccia e recuperandone gli oggetti nascosti, avrebbe mostrato il suo
vigore e la sua forza e dunque anche il suo sangue regale. Questa prova di riconoscimento
non è un caso isolato, compare in varie leggende e fondamentalmente “si fonda su un
principio dinastico: solo chi ha nelle vene il sangue di un re può prendere possesso degli
oggetti araldici che rappresentano la sua regalità”94. Recuperati gli oggetti di
riconoscimento, Teseo si avvia verso Atene, intraprendendo un cammino che si configura
come sua prima prova iniziatica. Nel tratto che collega Trezene ad Atene s’imbatte infatti
in una serie di mostri e briganti che affronta e uccide con coraggio, purificando così il
territorio dai residui di inciviltà e barbarie che lo infestavano e mostrando il proprio valore
agli abitanti dell’Attica.

Il ditirambo 18 di Bacchilide

Un testo che mette in luce i tratti iniziatici di questo primo viaggio di Teseo, prima di
rientrare nella comunità da adulto e legittimo discendente al trono, è il Ditirambo 18 di
Bacchilide, dal quale emerge come la figura di Teseo fosse “un modello di riferimento
per la categoria specifica degli efebi, ossia dei giovani attorno ai diciotto anni che, al
compimento del periodo di servizio militare obbligatorio e formativo, erano pronti ad
assumere il loro nuovo ruolo di cittadini a tutti gli effetti”. Argomento del canto sono
difatti l’arrivo di Teseo ad Atene (la cui identità è ancora estranea ai cittadini del coro) e
le imprese che l’eroe compie durante la sua marcia di avvicinamento ad Atene, durante
la quale oltre a porsi come “paradigma mitico per i giovani destinati a sostenere il ruolo

93
Plut. Thes. III, 6-7.
94
Guidorizzi 2012, p. 276-277.

27
di difensori dello spazio cittadino”95 liberando l’Attica dai mostri, si sottopone egli stesso
a un processo di evoluzione, di appropriazione della sua identità e natura giungendo ad
essere ciò che è per nascita, ma che dovrà poi essere ulteriormente comprovato con
l’impresa decisiva dell’uccisione del Minotauro di Creta. La lunga strada percorsa (vv.
16-17) è infatti metafora del cammino dallo status di fanciullo a quello di adulto, oplita e
cittadino responsabile: Teseo, proprio come all’efebo veniva attribuito il ruolo di
περίπολος (salvaguardia dei confini), è lui stesso περίπολος, poiché percorre la regione
dell’Istmo con pochi compagni, sconfigge i nemici e dalla regione marginale a cui era
stato confinato ritorna alla πόλις rinnovato. Altre spie che, ricollegandosi al contesto
dell’efebia attica e dei riti d’iniziazione ad essa connessi, hanno portato gli studiosi tra i
quali Merkelbach96 a designare Teseo come “protoefebo”, in quanto modello mitico
dell’audacia e dell’entusiasmo bellico dell’efebo ateniese, sono sicuramente la quarta
strofe dell’ode, in cui viene descritto l’equipaggiamento dell’eroe, e l’occasione della
performance.

L’intera composizione, costituita da quattro strofe, gioca su uno scambio dialogale di


battute tra il re Egeo e il coro, che dopo aver sentito uno squillo di tromba, interroga il
suo sovrano sulla novità che esso annuncia. Il re risponde che ha ricevuto da un araldo la
notizia dell’arrivo di un giovane che giunto dall’Istmo di Corinto ha affrontato e sconfitto
sulla sua via i mostri che infestavano il territorio:

“È appena giunto un araldo, che a piedi ha percorso la lunga la lunga strada dall’Istmo; narra le
indicibili imprese di un eroe possente: ha ucciso il violento Sinis, che era eccelso per forza tra i
mortali […] anche la scrofa assassina nelle valli di Crommion e il prepotente Skiron egli ha ucciso
[…] anche Procopte ha dovuto gettare il pesante martello di Polipemone, poiché ha incontrato un
eroe più forte”97.

Nella quarta e ultima strofe alle fitte domande del coro (“Chi dice che sia, da dove arriva
costui, che abito porta? Viene forse a condurre un fitto esercito in armi da guerra?”98)
Egeo risponde innanzitutto all’ultima domanda chiarendo che l’eroe non è alla testa di un
esercito ma che ha due soli accompagnatori (v. 46), come conveniva ai ranghi ridotti
tipici della pattuglia efebica in luoghi di confine, e procede descrivendo l’abbigliamento

95
Sevieri 2010, p. 129-130.
96
Merkelbach 1973, p. 58. Cfr. Arist. Resp. Ath. 42.3.
97
Dith. 18, vv. 16-30.
98
Dith. 18, vv. 31-34.

28
e le armi di colui che si avvicina: egli indossa l’elmo (v.50: κυνέαν) e la clamide (v. 54:
χλαμύδα), entrambi parte integrante della “divisa” dei giovani efebi ateniesi99. Il ritratto
di Teseo volutamente simbolico si comprende ulteriormente in funzione dell’occasione
della performance, qualora si ritenga, come la maggior parte degli studiosi, che si trattasse
di una rappresentazione ateniese nell’ambito di una festa che aveva a che fare in modo
rilevante con la gioventù e i riti di passaggio. Sebbene l’identificazione della festa
rimanga tutt’ora incerta (indicata nelle Dionisie, Targelie, Efestee, Tesee100 o Panatenee),
appare assodata all’interno di tale contesto cerimoniale la presenza e partecipazione degli
efebi, poiché l’esecuzione del ditirambo prevedeva l’esibizione di un coro di giovani.
Wilson (2007) propone di collegare l’ode alle Targelie101, festa ateniese di due giorni in
onore di Apollo: la prima giornata era dedicata alla purificazione rituale della città, la
seconda invece a gare tra cori, ciascuno di cinquanta elementi, che “rappresentavano
quanto di meglio la comunità potesse offrire”. E difatti a spiegare la particolare
importanza che i cori di giovani assumevano è proprio il fatto che si trattasse di un culto
apollineo, nel quale i giovani rappresentavano “le vere primizie della città”102. A
confermare l’importanza di tali cori all’interno della cerimonia e la funzione
paradigmatica di Teseo nei confronti dei giovani coreuti è l’accurata sovrapposizione
mimetica fra la realtà dell’occasione e la finzione drammatica del canto: nella
composizione dialogica traspare il contrasto tra il coro e il re Egeo, dove l’uno si fa
portavoce degli ideali di una gioventù incarnata dal prototipo mitico di Teseo e
concretamente da quello del giovane ateniese; l’altro impersona la classe anziana degli
abitanti della città, caratterizzandosi come baluardo del passato e della tradizione di
Atene. In questo scambio dialogico che si può definire antitetico tra l’ansia del vecchio
sovrano Egeo e la fiducia e l’entusiasmo animoso dei giovani del coro si riconosce non
solo la drammatizzazione del reale “contrasto fra classi di età all’interno dello stato” ma
anche

99
Sevieri 2010, p. 148. Cfr. Arist. Resp. Ath. 42, 4.
100
Va precisato che durante le Tesee, si celebravano “agoni riservati alla classe d’età dei fanciulli, traccia
cultuale di quel nesso con le iniziazioni che i miti di Theseus documentano con tanta abbondanza” (Brelich
1958, p. 197).
101
Festa che, leggendariamente, fu istituita da Teseo stesso in onore di Apollo. Essa, di carattere
fondamentalmente espiatoria, era tesa a rievocare i riti purificatori compiuti dall’eroe nel tempio di Apollo
a Delfi dopo i suoi ἆθλα sull’Istmo, per affrontare poi in modo degno la lotta con il Minotauro.
102
Sevieri 2010, p. 134.

29
“l’ambivalenza della figura eroica in genere […] nonché la posizione marginale e ambigua
dell’efebo (rappresentato ancora da Teseo, ma anche dai coreuti) in quanto tale: come l’eroe
solitario, il giovane non ancora educato e integrato nel tessuto civico incarna forze indistinte e
potenzialmente distruttive, che è compito della città incanalare entro forme socialmente accettabili
e istituzionalmente definite. La composizione dialogica si spiegherebbe dunque come mimesi di
questo processo di graduale interazione tra i protagonisti della struttura associativa della
comunità”103.

Un ritorno dunque che ha già in sé i caratteri di una prima prova per il giovane Teseo, il
quale “premio” sarà il riconoscimento da parte del padre Egeo e dunque l’integrazione a
pieno titolo all’interno della comunità, nella quale tra l’altro ha diritto ad una posizione
privilegiata essendo legittimo successore al trono. Tuttavia l’eroe sarà chiamato a
compiere un’ ulteriore prova, la decisiva, per dimostrare la sua audacia e il suo sangue
regale, liberando Atene dal tributo che la soggioga a Creta.

Oracoli e sogni premonitori

L’illegalità non è tuttavia l’unico motivo di abbandono del bambino: segni e presagi, quali
oracoli o sogni possono anticipare la venuta del bambino annunciandone l’ingresso al
mondo come uno stravolgimento del corso degli eventi che causerà una “rottura violenta
del ciclo naturale” spezzandone l’ordine sociale e la catena generazionale tradizionale.
Per questo spesso a impedire che il bambino nasca o ad ordinarne l’eliminazione o
l’abbandono in un luogo desolato subito dopo la nascita è solitamente colui che custodisce
l’ordine tradizionale, ossia il re. Nei racconti le modalità in cui si realizza
l’allontanamento sono soprattutto due, a livello narrativo diverse ma equivalenti su un
piano funzionale: l’esposizione nel bosco e l’abbandono alle onde del mare o di fiumi104.
L’eroe passa quindi spesso la sua infanzia in ambienti naturali, “luoghi in cui la civiltà è
assente e tornano a operare, implacabili, le forze della natura”105 , dove invece di diventare
facile preda di animali selvaggi viene protetto e nutrito da essi o, in altre varianti, trovato
da pastori che lo salvano dalla morte certa e alcune volte addirittura lo allevano come un

103
Sevieri 2010, p. 136. Vidal-Naquet riguardo al carattere ambiguo dell’efebo durante la fase di transizione
fino al suo ingresso definitivo nella società come oplita e come sposo dice appunto che “restava un margine
di ambiguità nella situazione del giovane rispetto alla città: allo stesso tempo ne faceva parte e ne era
escluso”, 1981 (= 2006), p. 127.
104
Destino che accomuna non solo eroi della mitologia greca ma anche fondatori di civiltà come Romolo
e di religioni come Mosè.
105
Guidorizzi 2012, p. 467-468.

30
figlio. In questo mondo naturale egli cresce forte e sano, fino al giorno in cui tornerà, da
reietto (pur essendo un prescelto), nella comunità da cui è stato espulso, nascendo
simbolicamente una seconda volta. Edipo, figlio di Laio re di Tebe, secondo una variante
del mito, sarà esposto sull’acqua106 (Soph. O.T. 710 s.) proprio per un oracolo che ne
predice il futuro parricidio e incesto (Pind. Ol. 2, 38 s.); trovato da un pastore viene
affidato ai sovrani di Corinto che lo allevano, fino al giorno in cui egli, ignaro della sua
origine, si recherà a Tebe per compiere inconsapevolmente ciò che l’oracolo di Delfi
vaticinò alla sua nascita. Un sogno mantico predice ad Ecuba che il figlio che porta in
grembo (Paride) sarà causa dell’incendio e della rovina di Troia107, inducendo lei e il
marito Priamo ad abbandonarlo su un monte, dove tuttavia, allattato da un’orsa,
sopravvivrà. Anche Telefo, esposto sul monte Partenio dal nonno Aleo a seguito di un
oracolo che gli predisse l’assassinio dei figli da parte del nipote, sopravvivrà nutrito da
una cerva. In questo senso appare significativo notare come, l’essere più indifeso, un
bambino abbandonato in una terra desolata, riesca tuttavia a sopravvivere, a crescere sano
e forte, mostrando di portare con sé “la misteriosa forza del fato” 108, e di essere parte di
un più alto progetto divino che dirige gli eventi. Un altro eroe che è destinato a compiere
grandi imprese e la cui storia ha un tipico impianto iniziatico è Perseo, nato dall’unione
tra Danae e Zeus. Anche in questo caso è un oracolo a determinarne l’abbandono, e quindi
a determinarne una prima fase di separazione dalla terra d’origine. Al nonno Acrisio,
nonché re di Argo, venne preannunziata la sua morte per mano di un nipote non ancora
nato. Egli, temendo che si realizzasse la profezia, dopo un primo inutile tentativo di
imprigionare la figlia affinché non generasse, rinchiuse in una cassa il piccolo nipote e la
figlia Danae, che venne poi gettata in mare. I due sventurati, in preda alle onde del mare,
vennero salvati dal pescatore Ditti, fratello del re di quella terra, Polidette. Un altro eroe
esposto alle acque, uno dei tanti in verità. L’esposizione alle acque è difatti un tema molto
frequente nei miti degli eroi, proponendosi come variante dell’abbandono dell’eroe sul
monte e del suo allattamento da parte di un animale selvatico. In molti racconti
d’esposizione viene enfatizzata la chiusura dell’eroe nella cassa e la successiva
liberazione, “interpretabile come [una morte e] una rinascita simbolica, in una terra non

106
Schol. Eur. Phoen. 26,28.
107
Ecuba sogna di partorire invece che un bambino una fiaccola ardente, particolare messo in risalto da Ps.
Apollod. (III, 12, 5) e da Eur. (Tr. vv. 919 s.). Per un approfondimento sui sogni mantici e in generale sul
sogno nell’antichità v. Guidorizzi 2013.
108
Guidorizzi 2012, introduzione p. XX.

31
più ostile, dove l’identità dell’eroe potrà formarsi e affermarsi”109. Nei racconti del mito
di Perseo a noi pervenuti, i più completi sono uno quello dell’ateniese Ferecide110, l’altro
dello pseudo-Apollodoro111 e in entrambi è presente la iactatio, ovvero l’azione compiuta
da Acrisio di rinchiudere Danae e il bambino in una λάρναξ e di affidarli alle acque. Il
termine λάρναξ ha per gli antichi Greci sfumature semantiche e valenze che variano a
seconda delle epoche e dei contesti. Esso ha, secondo il lessico bizantino Suda, due
principali significati: quello di cassa (κιβωτός) e di urna cineraria (σορός)112; per
l’impiego che si fece del termine dopo Omero all’interno dei testi letterari, venne tuttavia
aggiunto dai lessicografi moderni il significato di “cassa” all’interno della quale viene
esposto un neonato. Se infatti in Omero il termine viene impiegato in contesto funerario,
per indicare il contenitore in cui vengono deposte e sepolte le ossa di Ettore113, già in
Esiodo la λάρναξ appare legata al racconto dell’abbandono di Danae e Perseo in mare114,
per poi ricomparire nella seconda metà del VI sec. nel frammento di Simonide di Ceo,
(543, 38 PMG). In esso, in cui si descrive il viaggio tortuoso dell’arca tra le onde
impetuose del mare dove Danae e Perseo sono stati rinchiusi, è espresso tutto lo sgomento
di una madre impotente che di fronte alle forze tempestose della natura nulla può per
l’incolumità del figlio, se non pregare che il mare abbia quiete, e con esso smisurata
sventura.

Quando nell’arca regale l’impeto del vento ἐν λάρνακι δαιδαλέαι ἄνεμός τε μην
e l’acqua agitata la trascinarono al largo, πνέων κινηθεῖσά τε λίμνα δείματι ἔρειπεν,
Danae con sgomento, piangendo, distese amorosa οὐκ ἀδιάντοισι παρειαῖς ἀμφί τε
le mani su Perseo e disse: «O figlio, Περσέι βάλλε φίλαν χέρα
quale pena soffro! Il tuo cuore non sa; εἶπέν τ'· ὦ τέκος
e profondamente tu dormi οἶον ἔχω πόνον·
così raccolto in questa notte senza luce di cielo, σύ δ'ἀωτεις, γαλαθηνῶι δ'ἤθεϊ κνοώσσεις
nel buio del legno serrato da chiodi di rame. ἐν ἀτερπέι δούρατι
E l’onda lunga dell’acqua che passa χαλκεογόμφωι τῶι δε νυκτιλαμπεῖ, κυανέωι δνόφωι
sul tuo capo, non odi; né il rombo ταθείς· ἄχναν δ'ὕπερθε τεᾶν

109
Sforza 2013, p. 211.
110
FGrHist 3 F 10.
111
Bibl. II, 4, 1.
112
Suda, s.v. λάρναξ: “urna cineraria (σορός) o cassa (κιβωτός)”.
113
Il. XXIV, vv. 795-799: “καὶ τά γε χρυσείην ἐς λάρνακα θῆκαν ἑλόντες, πορφυρέοις πέπλοισι καλύφαντες
μαλακοῖσιν· αἶφα δ' ἄρ' ἐς κοίλην κάπετον θέσαν, αὐτὰρ ὕπερθε πυκνοῖσιν λάεσσι κατεστόρεσαν
μεγάλοισι·” (“Raccolte [le ossa] le misero in un’urna d’oro, avvolgendole in morbidi pepli purpurei: subito
le deposero in una buca profonda, molte e grandi pietre vi posero sopra, e in fretta versarono il tumulo”).
114
Il poeta si occupa della nascita di Perseo nel frammento 135 M-W (3) del Catalogo delle donne, dove è
presente l’unica attestazione esiodea del termine, qualora si accetti l’integrazione suggerita da West (Sforza
2013, p. 214).

32
dell’aria: nella rossa κομᾶν βαθεῖαν παριόντος
vestina di lana, giaci; reclinato κύματος οὐκ ἀλέγεις, οὐδ'
al sonno il tuo bel viso. ἀνέμου φθόγγον, πορφυρέαι
Se tu sapessi ciò che è da temere, κείμενος ἐν χλανίδι, πρόσωπον καλόν.
il tuo piccolo orecchio sveglieresti alla mia voce. εἰ δέ τοι δεινὸν τό γε δεινὸν ἦν,
Ma io prego: tu riposa, o figlio, e quiete καί κεν ἐμῶν ῥημάτων λεπτὸν ὑπεῖχες οὗας.
abbia il mare; ed il male senza fine, κέλομαι δ', εὗδε βρέφος, εὑδέτω δὲ πόντος, εὑδέτω δ'
riposi. Un mutamento ἄμετρον κακόν· μεταβουλία δέ
avvenga ad un tuo gesto, Zeus padre; τις φανείη, Ζεῦ πάτερ, ἐκ σέο·
e qualunque parola temeraria io urli, perdonami, ὅττι δὲ θαρσαλέον ἔπος
la ragione m’abbandona.» εὔχομαι ἢ νόσφι δίκας, σύγγνωθί μοι νάκος.

Ad essere significativa è la presenza del telo purpureo che avvolge il piccolo Perseo115,
che potrebbe ricollegarsi simbolicamente ad un contesto di morte (che in questo caso, in
quanto simbolica, preluderebbe ad una rinascita) . Il colore rosso infatti, è spesso usato
simbolicamente nei testi greci antichi come preannuncio e allusione di morte116. Nella
veste purpurea che lo avvolge, e nel contrasto ben reso tra i pericoli che incombono fuori
dalla cassa e la quiete protettiva all’interno di essa (che rappresenterebbe “la fase
prenatale in cui il bambino è ancora nell’utero materno”117) potrebbe essere ravvisabile,
sul piano simbolico, una morte ed una successiva rinascita. Si è precisato più sopra quanta
importanza rivestisse la drammatizzazione della morte nella prima parte dei rituali di
iniziazione, e nell’ottica di una trasposizione di essi nella narrazione dei miti eroici, è
possibile che nell’abbandono all’interno di una λάρναξ sia rilevabile questa valenza
semantica. Del resto aspetti di morte sono presenti anche nel mito dell’eroe Giasone.
Anch’egli alla nascita viene allontanato dalla comunità di appartenenza per opera dei
parenti, i quali temevano che l’usurpatore Pelia l’avrebbe ucciso, in quanto figlio del
legittimo re Esone, con il fine di annientare la naturale linea di discendenza. Secondo una
variante del mito118 i genitori, inscenando una finta morte, lo deposero in una bara e con
questo stratagemma durante la notte lo condussero e consegnarono a Chirone119. Versione

115
“πορφυρέαι κείμενος ἐν χλανίδι”.
116
Due episodi esemplificativi sono riscontrabili nell’Ag. di Aesch: a prefigurare simbolicamente
l’imminente morte dell’eroe per mano di Clitemnestra è anche la presenza del tappeto rosso
(πορφυρόστρωτος) su cui cammina Agamennone prima di essere ucciso (v. 910); Ifigenia, nell’attimo in
cui viene sacrificata all’altare, indossa una veste color purpurea (v. 239). Oltre a ciò, il colore rosso sembra
richiamare anche la pratica consistente nell’avvolgere le ossa del defunto in stoffe purpuree, cui si riferisce
il passo omerico già citato della sepoltura di Ettore (v. nota 113).
117
Sforza 2013, p. 216.
118
Schol. Lyc. 175, p. 81, 9-15 Scheer.
119
Per la figura di Chirone in relazione agli eroi e alla loro formazione si veda p. 37 s.

33
che viene ripresa da Pindaro nella Pitica IV, quando descrive il lutto dei genitori, i gemiti
delle donne per la morte del bambino e la spedizione notturna verso la grotta del monte
Pelio, dove vive il centauro che lo alleverà120. Anch’egli dunque, come Teseo e molti
altri, visse la sua infanzia fuori dalla comunità, per poi ritornarci all’età di vent’anni121
con lo scopo di rivendicare il suo ruolo all’interno della società. Raggiunta l’età adulta
infatti scese dall’antro di Chirone per dirigersi verso il suo regno. Nel tragitto varcò il
fiume Anauro e nell’attraversarlo perse un calzare122. La presenza del fiume, essendo esso
da una parte la causa della perdita del calzare dell’eroe (si veda più avanti), e dall’altra il
luogo in cui si trova lo stesso quando viene chiamato dal sovrano, sembra possedere un
valore ulteriore al semplice contorno naturalistico. Esso si configura come limes, confine
tra l’area marginale e di segregazione dove è insediato l’eroe, e la comunità, il territorio
da cui l’eroe è ancora escluso. In questo senso attraversare il fiume equivale ad
attraversare una soglia e quindi a ritornare, seppur gradualmente, nel mondo della
comunità, da cui l’eroe è stato strappato alla nascita. In relazione alla reintegrazione di
Giasone nella società a cui appartiene (seppur parziale poiché come Teseo sarà chiamato
a compiere una prova finale: la conquista del vello d’oro) appare suggestiva la descrizione
pindarica del giovane guerriero che si presenta nell’agorà della città allo sguardo di tutti
i cittadini per reclamare il titolo di re123. Essendo non ancora pienamente inserito nella
comunità il personaggio conserva una certa ambiguità, poiché pur sentendosi
legittimamente cittadino è allo stesso tempo ancora estraneo (e dunque straniero) al suo
popolo124. “Quale contrada, o straniero, vanti per patria?”125 domanda Pelia al suo
cospetto. Su esplicita richiesta del re, l’eroe rivela dunque la sua identità, ribadendo il

120
Pind. Pyth. IV, vv. 112-115: “Come io vidi la luce, essi, temendo l’arroganza di un capo superbo,
allestirono in casa, come fossi morto, un cupo cordoglio commisto a gemiti di donne e di nascosto mi
spedivano via in fasce scarlatte facendo partecipe del viaggio la notte, e mi affidarono a Chirone figlio di
Crono perché mi crescesse”. Anche qui, come già detto in nota 116, il colore rosso è connesso al tema della
morte: “σπαργάνοις ἐν πορφυρέοις” (v. 114).
121
Pind. Pyth. IV, v. 109.
122
Quando l’usurpatore Pelia interrogò l’oracolo riguardo il regno, il dio lo aveva raccomandato di
guardarsi dall’uomo che avesse un solo calzare (Ps. Apollod. I, 9, 16). “E giunse raggelante un responso al
suo [di Pelia] animo saggio […] vigilare sempre con grande circospezione sull’uomo d’un solo calzare, ove
scendesse da erti stazzi alla terra assolata di Iolco gloriosa, fosse straniero o cittadino” (Pind. Pyth. IV, vv.
73-78).
123
Nell’esposizione dell’eroe nell’agorà si può riconoscere l’uso tradizionale dell’esibizione in pubblico
del neocittadino, tipica dei riti iniziatici, v. p. 9.
124
Si riprenda qui il concetto già riportato in nota 103 sull’ambiguità dell’efebo durante la fase di
transizione.
125
Pind. Pyth. IV, vv. 98-99.

34
diritto di essere riconosciuto come cittadino di Iolco: “a casa sono giunto per reclamare
l’antico onore di mio padre, il titolo di re usurpato da altri (vv. 105-107) […] io, indigeno
figlio di Esone, non sono giunto a terra straniera (v. 118)”. Il ricongiungimento con il
padre e con gli altri membri della famiglia segna il definitivo riconoscimento dell’eroe
come membro della πόλις a cui seguono banchetti e festeggiamenti, nei quali Brillante
riconosce una eco iniziatica: i banchetti e le danze concludevano infatti il periodo di
segregazione degli iniziandi126. A far riecheggiare ulteriormente il carattere di Giasone
come giovane iniziando nella sua fase di transizione dall’età della fanciullezza all’età
matura sono alcuni dettagli presenti nella descrizione che Pindaro dà dell’eroe. Egli
indossa una pelle di pantera (v. 81) e lunghe chiome di capelli gli coprono le spalle (v.
82): tratti che evocano la sua recentissima condizione di adolescente127. Allo stesso tempo
però egli indossa la veste tipica dei Magnesi (v. 79), i guerrieri del suo popolo, fatto che
richiama il suo essere ormai un adulto. Infine, il tratto che più di tutti indica il suo ingresso
in una nuova fase è l’uso di un solo sandalo, le quali attestazioni letterarie e iconografiche
sono molteplici128. L’uso di un sandalo infatti rivestiva nel mondo antico un valore che
andava al di là di quello pratico e che assumeva a seconda del contesto, che fosse
mitologico o rituale, svariate valenze simboliche nella sfera funeraria e cultuale.
Associato ad un essere umano, e dunque anche agli eroi, aveva il significato di
“cambiamento, inteso come fase preliminare di un rito di passaggio connesso con la
morte, sia essa reale o semplicemente simbolica, e ad una nuova fase della vita”129.
Brelich interpreta il fenomeno del monosandalismo in chiave rituale-iniziatica e a
dimostrazione di tale chiave di lettura prende come esempio una statua raffigurante un
fanciullo iniziato monocrepide. Essa raffigura un adolescente ateniese preso a sorteggio
per ricoprire una funzione pubblica. Egli, in rappresentanza di tutti i suoi coetanei, entrava
in un nuovo stadio, passando dalla condizione di fanciullo a quella di adulto, ed
abbandonando perciò la situazione liminare in cui si trovava130. In relazione a Giasone, il

126
Brillante 1991, p. 22. Cfr. Brelich 1969, p. 39.
127
Come si è già detto, tagliare e offrire i capelli al termine dell’adolescenza era una pratica tradizionale.
V. ad esempio Il. XXIII 144 (Achille); Aesch. Cho. 6 (Oreste); Plut. Thes. 5, 1 (Teseo): “Vigendo anche
allora la consuetudine che i giovani che hanno superato l’età della fanciullezza, si rechino a Delfi e offrano
al dio la loro chioma, Teseo si recò a Delfi […] e si recise la chioma solo davanti”. Cfr. anche il rito della
kureotis p. 11.
128
Il monosandalismo in riferimento a Giasone è presente in Ps. Apollod. I, 9, 16; Pind. Pyth. IV, v. 75;
Apollon. I, 5-7.
129
Carboni 2013, p. 114.
130
Brelich 1955-1957, pp. 478-481.

35
fatto che nel mito la perdita del sandalo (e dunque il monosandalismo dell’eroe) sia legato
al fiume Anauro (che come si è già detto si configura come simbolo del passaggio
iniziatico in quanto limes) è ancor più significativo, e mostra come l’uso di un solo
sandalo sia legato ad un momento liminare, e dunque anche ai riti d’iniziazione e ai
cambiamenti di stato ad essi sottesi131. Giasone dunque trascorre la sua infanzia separato
dalla sua patria, in una condizione di margine nella quale afferma la sua identità, per poi
essere riaggregato nella società da uomo. Tuttavia anch’egli, proprio come Teseo, pur
essendo stato accettato e riconosciuto dalla comunità come tale, sarà chiamato ad
affrontare una prova iniziatica che confermerà il suo valore e dunque il suo diritto ad
assumere il ruolo sociale che gli spetta. Chiamato a operare in nome della sua comunità,
Pelia (con il fine di sbarazzarsi dell’eroe) gli ordina di partire alla ricerca del vello d’oro,
custodito in Colchide da un terribile drago, promettendogli che al suo ritorno gli avrebbe
ceduto il regno132.

Achille è un altro eroe che trascorre la sua infanzia in una zona marginale. Oltre ad essere
allontanato da casa ancora molto piccolo su decisione del padre Peleo per essere affidato
alle cure e agli insegnamenti del centauro Chirone (di cui si parla più avanti); egli, in un
certo momento della sua fanciullezza (precisamente all’età di nove anni), viene
allontanato da casa dalla madre Teti. Quest’ultima, a seguito di una profezia di Calcante
secondo cui senza di lui Troia non sarebbe stata presa, per impedire che il figlio andasse
incontro a un destino di morte decise di affidare il piccolo a Licomede, re dell’isola di
Sciro e, travestitolo da ragazza, lo nascose nel gruppo delle figlie di quello133. Il primo
indice di una componente iniziatica è proprio il travestimento, oltretutto in una condizione
di marginalità e di transizione quale è l’adolescenza, che caratterizza l’eroe in questione.
Esso infatti, come forma attenuata dell’androginismo134, significherebbe per l’eroe “uno

131
Calzare un sandalo “esprime metaforicamente il percorso di prove e di crescita che un iniziato deve
compiere” (Grassigli 1999, p. 123). Il rapporto che il monosandalismo intrattiene con il mito non si riduce
al personaggio di Giasone, ma compare anche nel mito di Teseo (l’incipit del suo percorso iniziatico e delle
sue imprese consiste nel recuperare i sandali del padre, oltre alla spada) e in quello di Perseo (come si vedrà
più avanti).
132
Pind. Pyth. IV, vv. 165-166: “Realizza tu di buon grado l’impresa e io ti giuro che ti cederò regno e
comando”.
133
Ps. Apollod. III, 13, 8 : “Quando Achille ebbe nove anni, poiché Calcante aveva profetizzato che senza
di lui Troia non avrebbe potuto essere presa, Teti previde che il destino gli riservava la morte in guerra e
dopo averlo nascosto in vesti femminili lo affidò a Licomede come se fosse una fanciulla”.
134
La valenza iniziatica dell’androginismo viene esaminata da Brelich 1958, p. 241; 282; 286-288. Esempi
di androginismo sono presenti nel mito in relazione al telos del matrimonio (che in Grecia è prettamente
connesso al telos del raggiungimento dell’età adulta e dell’iniziazione che lo sancisce),v. Leucippo e

36
dei riti che segnano il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta”135 in quanto, subito
successivo all’allontanamento e all’educazione impartitagli da Chirone, parrebbe
connesso all’ambito sessuale e dunque all’ingresso del ragazzo nell’età adulta136. Alla
corte di Licomede Achille rimane travestito in vesti femminili all’incirca fino ai quindici
anni, quando sarà “chiamato all’appello” e a realizzare il suo destino glorioso e tragico,
provando la sua forza e le sue abilità di guerriero sotto le mura di Troia. Il tentativo di
Teti di eludere il destino del figlio appare difatti inefficace nel momento in cui Odisseo
si reca a Sciro per cercarlo e reclutarlo nell’esercito. I capi di quest’ultimo infatti, venuti
a conoscenza della profezia di Calcante secondo cui non ci sarebbe stato esito positivo
per i Greci senza la partecipazione di Achille alla guerra, mandarono Odisseo a cercarlo.
Quest’ultimo, arrivato alla corte di Licomede, con un astuto tranello smascherò il giovane
eroe travestito da fanciulla. Secondo la storia tradizionale137 distribuì come dono per le
fanciulle di Licomede oggetti femminili mescolati ad armi e mentre le ragazze si
lanciarono sui doni femminili, Achille svelò il suo sesso scegliendo tra i doni sparsi sul
pavimento proprio le armi138. Resa nota dunque la sua vera natura di giovane uomo e
guerriero, partì con Odisseo alla volta di Troia.

Fatto di sangue

Un periodo di separazione dalla società si riscontra anche nella figura di Eracle. Egli viene
difatti allontanato dalla comunità non a causa della sua nascita illegale, e nemmeno per il
responso di un oracolo, ma per un fatto di sangue. Durante una lezione di musica del
maestro Lino, poiché questo lo aveva percosso affinché imparasse, fu preso da uno scatto
d’ira e con un colpo di cetra lo uccise. Il padre Anfitrione, temendo che potesse ripetersi

Imeneo. Secondo Brelich la “mostruosità” dell’androginismo significa simbolicamente la condizione


imperfetta del “non-ancora-iniziato o della non-ancora-sposata […] rispetto al telos umano dell’età adulta
e della vita coniugale” (p. 288).
135
Marin 2008-2009, p. 214, nota 11.
136
Risulta significativo confrontare tale episodio, come suggerisce Vidal-Naquet 1981, con le feste
Oscoforie, durante le quali gli efebi, in una parte di rituale volto a sancirli come opliti, si travestivano da
fanciulle. Nel contesto rituale, come testimonia Van Gennep 1909 (= 2012), p. 73-74, forme di travestismo
sono presenti anche nel rito d’iniziazione dei Masai, legato al passaggio nell’età adulta (Marin 2008-2009,
p. 214, nota 11).
137
Riportata da Fil. Imag., 1; scolio a Il., 19, 326; Ov. Met., 13, 162 s. (Ps. Apollod. III, nota 280, p. 366).
138
Pur non volendo dimostrare alcuna equivalenza semantica e rituale tra il suddetto episodio e i rituali di
iniziazione degli indiani Thomson, mi è sembrata comunque significativa la somiglianza tra i due. Difatti
gli adolescenti di tale tribù venivano iniziati “a partire dal giorno in cui per la prima volta si manifesta il
desiderio di avere una freccia, di possedere un’imbarcazione, di avere una donna” Gennep 1909 (= 2012),
p. 60.

37
l’episodio, decise di mandarlo tra i campi a condurre una vita da pastore139. Qui, in mezzo
alla natura, Eracle “crebbe superando tutti per grandezza e forza”, “l’aspetto lo rivelava
come un figlio di Zeus” e “non sbagliava mai il colpo né con la freccia né col
giavellotto”140. La sua storia educativa è un chiaro esempio di come sia necessaria, per la
formazione dell’eroe e lo sviluppo totale delle sue qualità innate, una permanenza al di
fuori dell’abitato, possibilmente a stretto contatto con la natura. Eracle trascorse la sua
adolescenza in campagna, tra i pastori, ai margini della società. Ed è proprio in questo
contesto di “segregazione naturale” che sviluppa le sue abilità e, primeggiando su tutti,
mostra la sua essenza divina e il suo carattere eroico. Nell’uccisione di Lino si possono
scorgere due aspetti: l’uno è il rifiuto da parte dell’eroe di un’educazione che sia
unicamente di tipo culturale, l’altro il pretesto per venire allontanato da Tebe e ricevere
così un’educazione propriamente eroica. Nell’ambiente adatto, quello bucolico per
l’appunto, l’eroe fa rapidissimi progressi, come esprimono i termini che si riferiscono da
una parte alla sua crescita fisica (τρέφεσθαι, ἀνατρέφεσθαι) e dall’altra all’apprendimento
nozionistico (παιδεύεσθαι). L’insegnamento che egli riceve comprende infatti sia
l’esercizio di τέχναι, quali la caccia, il tiro con l’arco e con il giavellotto, sia
l’apprendimento di regole etico-sociali, due aspetti strettamente correlati tra loro e
interdipendenti141. Conclusa la sua adolescenza all’età di diciotto anni Eracle compie la
sua prima vera impresa eroica, dalla quale poi trarrà i suoi connotati leonini: uccide il
temuto leone di Citerone. La feroce belva scendendo dal monte faceva strage delle
mandrie di Anfitrione e di altri pastori, così Eracle la uccise, la scuoiò e ne indossò la
pelle, che appunto divenne il suo tipico attributo. Nella carriera dell’eroe tale episodio si
connota come una prova iniziatica poiché la funzione di esso consiste proprio nel sancire
la fine della fase infantile e dell’educazione (periodo di separazione/segregazione) per
introdurne la successiva, quella delle dodici ἆθλα al servizio di Euristeo (periodo
liminare/ai margini del mondo).

139
“Lino […] fu ucciso da Eracle con un colpo di cetra: lo aveva infatti percosso, cosicché il suo allievo,
irato, lo uccise […] Temendo però che ripetesse questo comportamento, Anfitrione lo mandò tra i pastori”
(Ps. Apollod. II, 4, 9).
140
Ps. Apollod. II, 4, 9.
141
Brillante 1991, p. 17.

38
3.1.1. Educazione

Dalla storia dell’infanzia di Eracle, si deduce quanto sia importante il periodo di


separazione/segregazione (che spesso e volentieri coincide con l’educazione) per la piena
formazione dell’identità dell’eroe e il suo passaggio nell’età adulta. Come si è visto in
precedenza, spesso il periodo di separazione dalla comunità consiste in un soggiorno
dell’eroe in un luogo selvaggio, non regolato dalle norme umane dell’esistenza. Qui si
avvia un processo di disgregazione (dalla società) e allo stesso tempo di formazione
dell’individuo durante il quale l’eroe apprende sia le tecniche della caccia e della guerra
sia norme di carattere etico e civile. Se l’educazione ha esito positivo, quest’ultimo viene
sancito dal conferimento all’eroe di una nuova identità, espressa dall’attribuzione di un
nuovo nome e da una sorta di presentazione pubblica che precede la prova iniziatica vera
e propria, la quale funzione consta nel dimostrare quanto e come l’eroe abbia appreso
nella fase educativa. Un tratto particolare dell’educazione eroica consiste in primis nel
delicato rapporto che si instaura tra natura e cultura, espresso in primo luogo dallo
spostamento fisico dell’eroe dal mondo della cultura (rappresentato dal gruppo originario
di appartenenza) al mondo della natura (dove esso trascorre l’infanzia). Il fine di una
buona educazione sta proprio nel trovare un equilibrio tra la sfera della natura e quella
della cultura: le doti naturali sono un’indispensabile premessa per la riuscita del processo
educativo142, tuttavia risultano altrettanto indispensabili le nozioni culturali per
permettere alle qualità innate di essere esaltate ed espresse al meglio. L’educazione ben
riuscita è dunque quella che trova un punto d’equilibrio tra qualità innate dell’eroe e
apporti della cultura, conferendo all’eroe la sua nuova identità. Una figura mitica che ben
rappresenta il rapporto tra natura e cultura, strettamente correlata al tema dell’educazione
eroica, è quella del centauro Chirone. Egli, creatura semiferina, nel corpo mostra i segni
della sua bestialità e “nell’anima” quelli della sua umanità, distinguendosi dagli altri
centauri per la sua conoscenza e giustizia. Conciliando in se stesso la doppia esigenza
educativa di natura e cultura, appare nel mito come l’educatore eroico per eccellenza.

142
“Chi dispone soltanto di ammaestramenti appresi è un uomo oscuro; volgendosi ora a una meta ora ad
un’altra, procede con piede malfermo, fa uso di mille virtù con una mente che nulla conduce a termine”
(Pind. Nem. III).

39
Chirone

Questa creatura contraddittoria, che integra pienamente in sé tratti bestiali e umani si


configura nel mito come figura di iniziatore, educatore e maestro. Difatti, se si segue la
prospettiva che vede nei miti eroici il riflesso di riti iniziatici, una figura di questo genere
non può mancare. Come nell’istituzione efebica vi erano figure disciplinari accanto ai
giovani iniziandi, i cosiddetti σωφρονισταί143, e nell’ ἀγωγή spartana lo Stato eleggeva
un παιδονόμος le cui funzioni erano molto simili a quelle di coloro che guidavano gli
iniziandi nelle società primitive; così anche nel mito eroico abbiamo figure che assumono
questo ruolo, tra cui proprio Chirone (δικαιότατος Κενταύρων144), il quale si faceva
promotore di una sorta di “scuola iniziatica”. Di questa scuola, la più celebre nel mito,
furono allievi diversi eroi145, che proprio sul selvaggio monte Pelio (dove viveva il
centauro) trascorsero la fanciullezza formandosi e sviluppando le loro abilità eroiche. Qui
apprendevano oltre alle specialità agonistiche, anche l’arte della medicina e ciò che
occorre nella guerra e nella vita civile. Tra gli eroi che ebbe come allievi va menzionato
Achille, che prima di essere nascosto a Sciro viene portato dal padre Peleo dal centauro
affinché lo allevi. Qui viene sottoposto a una dieta speciale (fatta di viscere di leone e
midollo di lupa146) e ad allenamenti costanti147 e dal suo maestro riceve il nome di Achille
(prima infatti si chiamava Λιγύρων148). Egli si impadronisce degli insegnamenti impartiti
da Chirone: acquista una corporatura imponente e uno sguardo di fuoco 149, “tratti che
alludono chiaramente al raggiungimento della prossima condizione di adulto”150. Anche
Giasone una volta separato dalla sua comunità viene condotto dai parenti nell’antro di

143
Arist. Resp. Ath. 42.2.
144
Hom. Il. 11, 832.
145
Cfr. la lista di Xenoph. Cyn. 1 (Brelich 1958, p. 128, nota 165).
146
In base alla magia simpatica questi cibi erano indiscutibilmente reputati capaci di attribuire al giovane
eroe, che se ne era nutrito, la forza e il coraggio di questi animali. Cfr. Ps. Apollod. III, nota 276.
147
Stat., Ach. II, 96 s.: “Si dice di me che nei più teneri anni, quando ancora andavo carponi, allorché il
vecchio tessalo mi accolse sul gelido monte, non consumavo cibi comuni […] ma ingerivo grasse viscere
di leoni e midolla di lupa ancora palpitanti. […] né mai le mie membra si rilassarono in un morbido letto,
ma una roccia fu giaciglio comune a me e al mio enorme maestro. […] mi spinse a battere i cervi veloci
alla corsa o i cavalli dei Lapiti o a inseguire correndo le frecce che avevo lanciato. Spesso lo stesso Chirone
[…] finché l’età gli concesse di correr veloce, m’inseguiva al galoppo per le vaste distese dei campi, […]
al primo gelarsi del fiume, mi ordinava di camminarvi sopra con passo leggero senza spezzare la crosta del
ghiaccio. Erano queste le imprese gloriose della mia infanzia”.
148
Ps. Apollod. III, 13, 6: “Peleo portò il figlio da Chirone, che lo accolse e […] gli diede nome Achille
(πρότερον δὲ ἦν ὄνομα αὐτῷ Λιγύρων) perché le sue labbra non avevano mai succhiato un seno”.
149
Philostr. Her. p. 197 K. (Brillante 1991, p. 18, nota 31).
150
Brillante 1991, p. 18.

40
Chirone, e a quest’ultimo viene affidato perché lo educhi (Κρονίδᾳ δὲ τράφεν Χίρωνι
δῶκαν151). Il nome Giasone gli viene conferito dallo stesso quando, concluso il periodo
di educazione sul monte Pelio, ritornerà nella terra natia all’età di venti anni 152 per
reclamare il ruolo che gli spetta di diritto. Il suo ritorno all’età di vent’anni e il
conferimento di un nuovo nome (che sancisce il cambiamento: la fine della pubertà e
l’inizio dell’età adulta) sono elementi che fanno ben intendere il carattere iniziatico della
scuola del centauro. Questo perché da una parte attribuire un nuovo nome, stavolta
definitivo, significa “ufficializzare” il nuovo status in cui è entrato l’iniziando, dall’altra
nei tempi storici l’efebia attica si concludeva proprio una volta raggiunti i vent’anni di
età153. Un’ulteriore informazione che pare significativa nella deduzione del carattere
iniziatico della scuola del centauro è il rinvenimento di alcuni graffiti nel santuario di
Apollo Karneios a Thera, connesso alla celebrazione di riti iniziatici. Il santuario era
costituito da una grotta naturale sacra ad Eracle e a Hermes, e tra i graffiti rinvenuti figura
anche il nome di Chirone154.

La fase dell’educazione culmina e si conclude concretamente non nell’attribuzione di un


nuovo nome, e dunque di una nuova identità, o nel ritorno provvisorio in patria, ma nel
superamento di una grande prova. Spesso infatti gli eroi, conclusosi il percorso educativo,
tornano in patria, si presentano alla comunità, e da essa (di solito da colui che detiene il
potere) vengono invitati a superare una difficile e temibile prova. Tale prova, che
s’inserisce nel cosiddetto periodo liminare e di margine (seguendo la tripartizione di
Gennep), e la sua realizzazione positiva rappresentano per l’eroe “il momento del
raggiungimento e insieme dell’esibizione delle qualità acquisite” nel passaggio
dall’infanzia alla vita adulta. “Φαμὶ διδασκαλίαν Χίρωνος οἴσειν” (Dichiaro di voler
mettere alla prova gli insegnamenti di Chirone155) afferma Giasone a Iolco davanti al
popolo, ancor prima di raccontare la sua storia e la sua origine. Il successo

151
Pind. Pyth. IV, v. 115.
152
Pind. Pyth. IV, v. 119: “Giasone è il nome con cui mi chiamava la fiera divina”.
153
Chirone non è l’unico iniziatore eroico all’interno del mito. Teseo ad esempio ha come suo maestro
personale Konnidas secondo la versione di Plutarco (Thes. 4,1), secondo quella pindarica invece ha come
suo educatore Phorbas (Schol. Nem. 5, 89 b). Inoltre pure lui assume il nuovo nome una volta riconosciuto
dal padre, e dunque dopo aver superato numerose prove nel viaggio verso Atene (Plut. Thes. 4,1). Anche
Oreste, figlio di Agamennone, durante il periodo di separazione dalla comunità di appartenenza, ha un suo
maestro, riconoscibile nella persona di Strofio, che gli starà accanto fino al suo ritorno in patria, anch’esso
all’età di vent’anni.
154
Il graffito in questione è la testimonianza più antica sul culto dell’eroe: v. Brelich 1969, p. 183 s.
155
Pind. Pyth. IV, vv. 102-103.

41
dell’educazione consiste nel fornire all’eroe le conoscenze necessarie per affrontare
positivamente la prova principale. Spesso la prova consiste nell’uccisione di un mostro,
un’entità lontana sia dalla sfera della natura sia da quella della cultura. In questo senso la
vittoria sul mostro si configura come “prova”, poiché mostra il “successo finale
dell’azione congiunta della natura [qualità innate] e insieme della cultura [qualità
apprese]”156 e mostra come la loro piena integrazione, raggiunta grazie all’educazione,
permette l’esito trionfante dell’impresa.

3.2. II stadio: il periodo liminare/di margine e la prova iniziatica

La soglia e lo scopo della prova

Al periodo di separazione dalla comunità nel quale spesso gli eroi crescono in un luogo
naturale e incontaminato dalla civiltà e qui ricevono un’educazione, segue sempre il
periodo cosiddetto – se si fa uso della terminologia con cui Van Gennep classifica il rito
di passaggio – liminare o di margine. Gli eroi, superata la pubertà, che tornino o meno
nella comunità di appartenenza presentandosi al popolo (è il caso di Teseo e Giasone)
oppure no (è il caso di Eracle e Perseo) vengono comunque chiamati ad intraprendere
un’avventura, un viaggio nel quale, varcato il confine della zona protetta, dovranno
superare una serie di ostacoli e di prove. Di solito ad incitare l’eroe a compiere l’impresa
è un uomo della generazione più anziana, in genere un re che impone al giovane eroe una
prova ritenuta impossibile con il fine di sbarazzarsi di quest’ultimo, in quanto rappresenta
per l’ordine vigente un pericolo e una minaccia: Pelia costrinse Giasone a partire alla
ricerca del vello d’oro, Polidette impose a Perseo di tagliare la testa di Medusa. Tuttavia
non è sempre così, nel caso di Teseo infatti sarà lui stesso ad offrirsi volontario come
offerta sacrificale per il Minotauro.

Si può considerare la fase della prova come periodo marginale proprio perché essa si
realizza sempre ai margini della società, in una zona sconosciuta e ignota e dunque
potenzialmente colma di pericoli. Questa regione all’interno del mito viene rappresentata
in vari modi: un edificio dai meandri oscuri e tortuosi (es. il labirinto di Teseo), una terra
lontana, una foresta, un regno sotterraneo ecc. Come si è ribadito più volte in precedenza
i miti degli eroi, nel loro strato “superficiale” mostrano numerosissime differenze l’uno

156
Brillante 1991, p. 23.

42
con l’altro, tuttavia il denominatore comune di essi in questo specifico stadio narrativo
(la prova) va identificato, a mio avviso, proprio nel margine, inteso come confine (reale
o simbolico) oltre il quale l’eroe s’avventura alla volta di regioni ignote, entrando così in
una nuova sfera d’esperienze. L’avventura eroica cioè, sebbene si realizzi in innumerevoli
forme, ha come suo significato profondo “un passaggio dal noto all’ignoto”. E l’ignoto,
che sta oltre il confine, è per forza di cose un luogo pericoloso, in quanto rientrante nella
sfera del non conosciuto. Le mitologie popolari, come afferma Campbell, considerano i
luoghi esterni al villaggio zone essenzialmente pericolose, e difatti nei contesti tribali il
membro della tribù si sente in pericolo proprio dove “non giunge la protezione della sua
società”, ovvero al di fuori del villaggio, oltre il confine, oltre “le mura della sua
tradizione”157. Il carattere iniziatico dunque, consiste proprio nel saper fronteggiare questi
pericoli da parte dell’eroe, avendo così modo, superando le prove presentategli dinanzi,
di mostrare le abilità acquisite durante il periodo della fanciullezza trascorso separato
dalla propria casa. Saper affrontare l’ignoto con le proprie forze, senza l’aiuto della
comunità o dei genitori, significa essersi fatti adulti, aver sviluppato in sé gli strumenti
per poter assumersi le responsabilità proprie di colui che diventa membro di una
comunità, e di colui che ne diventa addirittura il capo. Difatti spesso gli eroi, quando
superano le prove e ritornano in patria, vengono finalmente aggregati all’interno della
società, prendendo di sovente il posto di coloro che prima detenevano il potere. Da
originari reietti, salgono al vertice della scala sociale, avendo mostrato a tutti di essere in
grado di assumere il ruolo a loro predestinato. In questo senso la prova, nella sua
accezione iniziatica significa trasformazione. L’eroe parte per l’impresa e trionfante
ritorna alla terra natia trasformato, dopo una simbolica morte e una conseguente rinascita
che lo presenta al mondo come un uomo nuovo.

Tuttavia va detto che, sebbene l’eroe affronti le prove in una zona marginale e dunque
senza la protezione della comunità, durante il suo viaggio incontra delle figure che
incarnano il ruolo di aiutanti o comunque protettori, senza i quali probabilmente egli non
porterebbe a termine l’impresa. In alcuni casi sono divinità che forniscono agli eroi gli
strumenti (solitamente armi) necessari per compiere con successo l’impresa. Eracle,
riceve numerosi oggetti dalle divinità, rispettivamente una spada da Ermes, arco e frecce

157
Campbell 1949 (= 2016), p. 100-101.

43
da Apollo, una corazza d’oro da Efesto e un peplo da Atena; mentre la clava se la intaglia
da solo a Nemea158. Tutti strumenti che ritorneranno utili nell’affrontare le dodici prove
impostegli da Eurito per il quale si mise al servizio con il fine di espiare la contaminazione
contratta per l’uccisione della moglie Megara e dei figli, in un accesso di follia. A ricevere
un aiuto dalle divinità per compiere la sua impresa iniziatica è anche Perseo, affiancato
dal soccorso di Hermes ed Atena nel recupere gli oggetti magici necessari per uccidere la
Gorgone Medusa, ossia l’elmo di Ade, la kibisis e i calzari alati:

“[Hermes] Dopo avergli fatto coraggio, lo condusse prima di tutto dalle Graie […],
preceduto da Atena, e lì Perseo rubò loro l’occhio e il dente mentre se li stavano
scambiando. [...] Li avrebbe restituiti se gli avessero indicato le Ninfe che custodivano
l’elmo di Ade, i calzari alati e la bisaccia; quelle lo rivelarono e Perseo glieli restituì.
Giunto presso le Ninfe in compagnia di Hermes, ottenne quello che chiedeva: si legò ai
piedi i calzari alati, si gettò sulle spalle la bisaccia e si pose in capo l’elmo di Ade. Poi si
slanciò volando sopra l’oceano alla ricerca delle Gorgoni, accompagnato da Hermes e
Atena, e le trovò addormentate. I due déi gli spiegarono il modo di tagliare la testa voltato
dall’altra parte e gli indicarono Medusa, l’unica mortale delle Gorgoni. Perseo si avvicinò
e la decapitò; dopo avere messo la testa nella bisaccia, fuggì via”159.

La valenza iniziatica di questo stadio del mito di Perseo è stata dedotta da molteplici
fattori. Primo fra tutti è proprio il rapporto tra l’eroe ed Hermes. Quest’ultimo infatti, in
qualità di psicopompo, rappresenta il punto di contatto tra mondo dei vivi e regno degli
Inferi, e in generale degli spazi di transizione. Grazie a esso Perseo raggiunge la terra di
Medusa, che secondo la tradizione era considerata una zona contigua agli Inferi e grazie
ad esso, come si può notare dal testo, recupera gli oggetti magici occorrenti per l’impresa.
Ora, la figura di Hermes risulta di per sé essere connessa all’ambito iniziatico come
mostra il culto presente a Tanagra. In esso Hermes rivestiva il ruolo di “divinità connessa
alle fasi di maturazione dei giovani” e il suo culto a Tanagra era difatti uno dei più
rilevanti, come comprova anche il fatto che gli vennero dedicati due templi, entrambi
connessi a culti legati agli efebi. Il dio era sostanzialmente legato a “riti d’iniziazione che
permettevano ai giovani efebi di trasformarsi, attraverso un passaggio intermedio, in
cittadini-guerrieri”160 e in suo onore veniva celebrata una festa in cui si sceglieva tra i

158
Ps. Apollod. II, 4, 11.
159
FGrHist 3 F 11. Cfr. Ps. Apollod. II 4, 2-3.
160
Carboni 2013, p. 128-129.

44
giovani colui che fosse ritenuto il più bello. Informazioni che paiono significative se si
considera l’importanza che il dio riveste nel successo dell’impresa dell’eroe. Sono stati
ipotizzati rituali di carattere iniziatico anche in relazione alla figura di Perseo. Ad
Amyclai, nei pressi di Sparta, dallo studio delle raffigurazioni mitiche presenti sul trono
datato VI sec. a.C. la cui realizzazione si deve a Baticle, è stato evidenziato come la figura
dell’eroe, pienamente integrata nel sistema mitico lacedemone, costituisca il modello
paradigmatico del giovane spartiate, il quale a questi riti, gravitanti intorno al santuario
di Apollo161, prendeva parte162. Sempre in relazione ai riti d’iniziazione, un altro elemento
che fa presagire il legame tra il mito di Perseo e la sfera iniziatica è l’ambientazione in
cui, secondo alcune varianti163, avviene la celebre decapitazione della Gorgone. Il luogo
che queste fonti indicano è la palude Tritonia, che prendeva il nome dal fiume Tritone, il
quale presumibilmente versava le sue acque nella suddetta regione paludosa. Ora, Atena
(l’altra divinità che affianca Perseo) aveva con i fiumi denominati Tritone, dove si
tenevano pratiche tradizionali “dal possibile carattere iniziatico”164, un profondo legame;
risulta dunque significativo che la vicenda si svolga proprio lì e che al fianco di Perseo ci
sia Atena, dal momento che i fiumi così denominati sembra avessero un ruolo non
irrilevante per le istituzioni iniziatiche greche.

Vi sono altri elementi nel mito che conferiscono una sfumatura iniziatica allo stesso. Da
una parte la presenza delle ninfe, che può essere interpretata come indizio di un passaggio
verso la maturità dell’eroe, in quanto esseri femminili che fanno ‘sbocciare’ l’uomo165;
dall’altra il monosandalismo dell’eroe166 (ma anche dello stesso Hermes che come si è
detto non è estraneo alle pratiche iniziatiche), attestato nella versione di Artemidoro. Egli
afferma che Perseo riceve da Hermes un solo calzare alato, e si ritrova dunque provvisto
di esso proprio nel momento precedente alla sua grande prova di iniziazione:

161
Apollo è una divinità legata anch’essa alla sfera iniziatica: v. Brelich 1958.
162
Baglioni 2010, p. 49.
163
Ps. Apollod. II, 1, 4; Paus. II, 21, 5; Hyg. Astr. XII, 2.
164
Il popolo dei Maclui e degli Ausei, come attesta Erodoto nel libro IV delle sue Storie, compivano un
complesso rituale presso la palude Ttitonia in Libia (Baglioni 2010, p. 47). Per un’analisi approfondita delle
pratiche rituali legate ai fiumi Triton Baglioni rimanda a studi precedenti.
165
Questo perché il termine νύμφη (letteralmente “sposa, fidanzata”) indicherebbe la fase della vita in cui
termina la crescita, cioè si conclude la tappa della pubertà. V. Baglioni 2010, p. 46 s.
166
Il cui carattere iniziatico è già stato trattato in precedenza in relazione a Giasone, v. p. 32 s.

45
“Si narra infatti che questo dio [Hermes] avesse dato uno dei suoi calzari a Perseo quando
andò a decapitare la Gorgone, e che fosse rimasto soltanto con l’altro”167.

La notizia di Artemidoro è confermata da Erodoto che ricorda la presenza all’interno di


un santuario egiziano di un calzare di due cubiti offerto proprio in onore dell’eroe:

“Nel distretto di Tebe c’è una città importante, Chemmi […] nella quale esiste un
santuario di Perseo, figlio di Danae, […] Gli abitanti di Chemmi assicurano che Perseo
si fa vedere spesso, qua e là, nel loro paese e spesso all’interno del tempio; vi si trova
allora un sandalo, da lui già calzato, che misura due cubiti di lunghezza: ogni qual volta
questo sandalo appare, tutto l’Egitto gode prosperità”168.

Infine, a dare un ulteriore sfumatura iniziatica alla vicenda è la modalità tramite cui uccide
Medusa, perlomeno secondo la variante di Licofrone169: l’eroe si fa divorare dalla
Gorgone e poi una volta all’interno del suo ventre la uccide sventrandola e, uscendone
simbolicamente rinasce. L’impresa dell’eroe sembra qui strutturata in due tempi: un
primo in cui si scorge la morte provvisoria di esso, in quanto inghiottito dal mostro, e un
secondo in cui egli, fuoriuscendo dal ventre del mostro, ritorna in vita rinnovato e pronto
per completare il suo percorso iniziatico170.

Come le divinità entrano in scena per porgere il proprio aiuto, succede che anche figure
femminili possono risultare fondamentali per il successo dell’impresa eroica. Solitamente
si tratta di donne che provano un sentimento d’amore per l’eroe, e che farebbero di tutto
affinché quest’ultimo rimanga incolume e compia la sua prova uscendone vincente. È il
caso di Medea nei confronti di Giasone. Ella, figlia di Eeta, re della Colchide (dove è
custodito il Vello d’oro), all’arrivo di Giasone nella sua terra se ne innamorò follemente.
Ella, maga esperta di ogni tipo di erbe e di incantesimi171, offrì a Giasone il suo aiuto nelle
prove imposte dal padre Eeta in cambio della promessa di essere portata in Grecia dal suo
amato una volta recuperato il Vello d’oro. Il re infatti promise a Giasone di consegnarli il

167
Arth. Oneir. IV 63.
168
Hdt. Storie, II, 91, 1-3.
169
Licophr. Alex. 837.
170
Quello dell’inghiottimento è un tema mitico largamente diffuso, presente anche nel racconto biblico, se
si pensa all’episodio di Giona nel ventre della balena. Ma nella stessa mitologia greca sono presenti altri
episodi simili di inghiottimento, attestati da fonti letterarie ma anche da quelle vascolari, di cui si parlerà
brevemente più avanti.
171
La zia paterna di Medea è Circe, altra celebre maga del mito.

46
Vello a patto che superasse tre prove: la prima consisteva nell’aggiogare due tori che
sputavano fuoco dalle narici e con quelli di arare un campo; la seconda nel seminare dei
denti di drago, i quali germogli avrebbero generato un’armata di guerrieri; e la terza
ovviamente nello sconfiggere il drago che stava a guardia del bramato Vello. In tutte e tre
le prove Giasone ricevette un aiuto sostanziale da Medea, che gli consegnò un filtro per
renderlo immune al fuoco dei draghi, lo istruì su come uccidere i guerrieri ed infine gli
fornì un filtro che addormentò il drago, permettendogli di recuperare l’oggetto tanto
agognato.

“Mentre Giasone si chiedeva in che modo avrebbe potuto aggiogare i tori, Medea si
innamorò di lui: ella […] era esperta di arti magiche. Temendo che Giasone fosse ucciso
dai tori, di nascosto dal padre gli promise di aiutarlo nell’aggiogare gli animali e
nell’impadronirsi del vello d’oro a patto che egli giurasse di sposarla e di condurla con sé
in Grecia. […] Nella notte condusse Giasone presso il vello d’oro e addormentò con le
sue pozioni il drago che lo custodiva; poi assieme a Giasone fuggì sulla nave”172.

Una fonte vascolare del 480 a.C. ca. attesta il tema dell’inghiottimento anche nel caso di
Giasone.

Fig. 1: Kylix attica a figure rosse di Douris. Da Cerveteri ca. 480 a.C., al (Museo Gregoriano Etrusco di
Roma, 16545).

Il vaso infatti, una kylix a figure rosse, raffigura Giasone che esce dalle fauci del drago
semisvenuto. Tale raffigurazione potrebbe dunque far intuire la presenza di un’altra

172
Ps. Apollod. I, 9, 23.

47
versione del mito (di cui tuttavia non abbiamo fonti letterarie), secondo cui l’eroe
affrontando il drago viene da questo inghiottito per poi uscirne fuori grazie all’intervento
di Atena, che nell’immagine vascolare si trova di fianco all’eroe. Se si suppone una tale
versione, che comprende il tema dell’inghiottimento, si riscontra la valenza iniziatica
della prova di Giasone. Siccome la caratteristica del rito iniziatico è la morte temporanea
(l’iniziando muore durante il rito per poi rinascere), l’inghiottimento – che equivale
simbolicamente a una sepoltura – nel racconto mitico è la condizione per ritornare alla
vita rinnovato. Propp nel suo studio “Le radici storiche dei racconti di fate” afferma che
l’inghiottimento del fanciullo ad opera di animali favolosi era una modalità di
rappresentazione della morte e della resurrezione rituale173.

Un aiuto non irrilevante per il successo della prova iniziatica lo si riscontra pure nelle
vicende di Teseo. Pur avendo già affrontato prove nel viaggio da Trezene ad Atene, una
volta tornato in patria e riconosciuto dal padre come suo figlio, egli viene chiamato a
compiere un’ultima grande prova iniziatica: liberare Atene dal tributo dovuto a Minosse
e al mostruoso figlio (il Minotauro) che vincolava la città a Creta. Il tributo era stato
imposto ad Atene dopo che Minosse vinse la guerra contro gli Ateniesi scoppiata a causa
dell’omicidio di Androgeo, figlio di Minosse, in suolo ateniese. Questo tributo consisteva
nell’offerta di sette ragazze e sette ragazzi ateniesi ogni nove anni da dare in pasto al
Minotauro. Guarda caso Teseo venne sorteggiato nel gruppo delle giovani vittime, o
secondo altre versioni si offrì addirittura volontario sacrificando se stesso174. Il gesto di
offrirsi come volontario per il bene della patria mostra come in realtà questa prova non
sia soltanto il grande passo nel percorso iniziatico dell’eroe per diventare cittadino e uomo
e ottenere così lo status adeguato all’interno della società, ma sia anche una prova
“collettiva”, nel senso che l’esito positivo di essa si ripercuote su tutta la comunità
ateniese, che grazie al suo intervento si libera del giogo cretese. Nell’affrontare il mostro,
ma prima di tutto il tortuoso labirinto nel quale questo vive175, sarà fondamentale la figlia
del re Minosse Arianna, che innamoratasi dell’eroe decise di aiutarlo a patto che lui la

173
Rispoli 1969-1970, p. 433, nota 101.
174
Ps. Apollod. Ep. 1, 7: “In seguito fu incluso fra coloro che dovevano essere inviati al Minotauro come
terzo tributo oppure, come affermano alcuni, si offrì spontaneamente”.
175
Chi si addentrava nel labirinto non riusciva più a trovarne l’uscita: lo stesso ideatore di esso, Dedalo, ne
rimase imprigionato con il figlio Icaro.

48
conducesse ad Atene e la prendesse come sposa176. Su consiglio di Dedalo, il costruttore
del labirinto, ella diede a Teseo un gomitolo di lana, che l’eroe fissò alla porta e svolse
dietro di sé mentre si addentrava nel labirinto. Una volta trovato il Minotauro lo uccise e
fu in grado di ritrovare la strada percorsa proprio grazie al filo di lana che riavvolse fino
all’uscita del labirinto177.

Tale episodio, che vede l’eroe in lotta con un mostro dalle forme taurine, rimanda ad
alcune pratiche iniziatiche che si compivano a Creta per i giovani di alto rango: le
tauromachie. Dagli affreschi rinvenuti negli ambienti centrali del palazzo di Cnosso, in
cui sono raffigurati uomini che si confrontano con tori, si deduce l’importanza che questo
animale aveva nelle pratiche rituali e cerimoniali. Le pareti della Grande Sala sono
arricchite da immagini che non raffigurano tanto una lotta con il toro, ma un complicato
esercizio ginnico sopra di esso.

Fig. 2: Affresco proveniente dal Piano Nobile del palazzo di Cnosso raffigurante una scena di
tauromachia, 1700-1400 a.C. ca., al (Museo Archeologico di Heraklion).

176
Cosa che poi non avvenne: Teseo abbandonò Arianna sull’isola di Nasso, dove poco dopo giunse
Dioniso che ne fece la sua sposa (questa è in realtà una delle numerose varianti a noi pervenute).
177
Ps. Apollod. Ep. 1, 8: “Quando giunse a Creta, Arianna, figlia di Minosse, che nutriva verso lui
sentimenti d’amore, gli offrì il suo aiuto purché egli consentisse a condurla ad Atene prendendola come
sposa. Teseo s’impegnò con un giuramento; allora ella pregò Dedalo di rivelarle la via d’uscita del labirinto
e dietro suo consiglio diede un filo a Teseo che s’accingeva ad entrare: ed egli, dopo averlo assicurato alla
porta, entrò svolgendolo dietro di sé. Dopo aver trovato il Minotauro nella parte più nascosta del labirinto
lo uccise colpendolo con i pugni e poi uscì riavvolgendo il filo”.

49
La fig. 2 mostra infatti un toro dalle dimensioni smisurate e tre figure maschili che si
muovono intorno a lui. Due di esse sono caratterizzate dal colore bianco, la terza che si
trova sul dorso del toro è invece di colore bruno. Dalla posizione acrobatica dell’atleta si
intuisce che non si doveva trattare di una lotta con il toro ma di un combattimento
simbolico che consisteva nel sopraffare l’animale saltando sopra di esso, piuttosto che
nell’affrontarlo cruentemente. Il giovane dalla pelle bruna, in equilibrio sul dorso
dell’animale, rappresenterebbe dunque colui che ha superato la prova, a differenza degli
altri due. Difatti nell’iconografia minoica il colore bruno era il connotato degli individui
di genere maschile, il colore bianco di quelli di genere femminile. Dunque per l’acrobata
che ha superato la prova iniziatica il colore bruno si addice, poiché nel successo della sua
impresa è divenuto a pieno diritto un uomo. Mentre gli altri due, che non hanno ancora
affrontato il toro sono contraddistinti dal colore bianco, tinta che veniva usata
evidentemente anche “per indicare i fanciulli ancora privi di una caratterizzazione
sessuale”178 e dunque non ancora adulti. Si è aperta questa parentesi per mostrare come
la lotta con il toro avesse, nei tempi storici, un legame importante con l’ambito
cerimoniale e rituale cretese, e trovasse nel mito di Teseo un suo riflesso significativo.
Ciò nonostante la valenza iniziatica che
dové avere l’episodio di Teseo e il
Minotauro è deducibile da altri fattori. In
primis la presenza del labirinto, il fatto che
per compiere la sua impresa Teseo debba
entrarci e non solo: per incontrare il mostro
deve raggiungerne il centro. Il labirinto
infatti andrebbe a rappresentare il varco di
una soglia e contemporaneamente l’entrata
in un’altra dimensione, una regione oscura
Fig. 3: Kylix attica a figure rosse del Pittore di
Aison, metà del V sec. a.C. ca., al (Museo e tortuosa in cui l’eroe deve orientarsi e
Archeologico di Madrid), 11265.
sopravvivere, oltre che uccidere il mostro. Se
nelle storie di altri eroi il passaggio morte temporanea-rinascita è espresso dal tema
dell’inghiottimento, in Teseo esso trova la sua espressione nell’ingresso e nell’uscita dal
labirinto. Una fonte vascolare attica del V sec. a.C. (fig. 3) cerca di mettere in risalto il

178
Doria 2010, p. 53-54.

50
fattore della soglia. Essa infatti raffigura il giovane Teseo che trascina fuori dal labirinto
il cadavere del Minotauro. In questa rappresentazione dell’episodio (che in realtà avrà più
fortuna nell’iconografia romana rispetto a quella greca) emerge un nuovo elemento
iconografico: un edificio, identificabile senza dubbio con l’ingresso/uscita del labirinto.
Viene dunque raffigurato Teseo non nel momento in cui uccide il mostro al centro del
labirinto, ma nel momento in cui varca la soglia del labirinto, confine tra mondo animale
e mondo umano, tra sfera della natura e sfera della cultura. Una soglia tramite la quale
oltretutto si allude simbolicamente alla transizione dall’età dell’infanzia a quella adulta,
un passaggio come si è già detto tipico dei rituali liminari, di cui Teseo è una proiezione
mitica. La presenza di Atena al varco, nella sua veste di divinità poliade, esplicita questo
significato: poiché Teseo ha superato la sua grande prova personale, il cui esito oltretutto
si ripercuote sul destino di tutta la comunità, egli si è trasformato, è divenuto ormai uomo
e cittadino di Atene a pieno diritto; dunque all’uscita del labirinto – confine tra mondo
dell’infanzia e della maturità – non può che trovare ad attenderlo e ad accoglierlo Atena,
in rappresentanza di tutta la comunità ateniese.

3.3. III stadio: il ritorno e l’aggregazione

Alla fine dell’impresa, ucciso il mostro e dunque superata la prova, segue quasi sempre il
ritorno dell’eroe nella comunità che lo aveva inviato a compiere la prova eroica. Come
scrive Campbell “la legge del monomito, il ciclo completo, esigono che l’eroe inizi ora la
fatica di portare le rune della saggezza, il Vello d’Oro […] fra gli esseri umani, dove il
dono ricevuto potrà contribuire a rinnovare la comunità”. Per rinnovamento della
comunità si può intendere, per lo meno per quanto riguarda i miti greci da noi presi in
considerazione, lo stravolgimento del corso naturale degli eventi dinastici per opera
dell’eroe, che era stato inviato a compiere una prova impossibile proprio perché
considerato una minaccia per colui che detiene il potere. Infatti, succede che molto spesso
al ritorno dell’eroe dall’impresa colui che ha imposto di compierla in genere venga ucciso
proprio da colui che ritorna. Giasone, che era stato inviato da re Pelia con il fine di
liberarsene, tornò a Iolco e con l’aiuto di Medea fece uccidere Pelia. La maga convinse
le figlie di Pelia a uccidere il loro padre e a bollirlo in pentola con il pretesto di
ringiovanirlo con i propri incantesimi, e così Giasone una volta morto l’usurpatore

51
s’impadronì del trono179. Perseo, di ritorno con la testa di Medusa nella kibisis, prima di
tutto liberò la giovane Andromeda, incatenata a una roccia dal padre per placare l’ira di
Poseidone che aveva inviato là un mostro, come punizione per la madre Cassiopea che si
era definita più bella delle Nereidi. L’eroe balzò dentro le fauci del mostro e da dentro gli
squarciò il ventre uccidendolo (anche qui il tema dell’inghiottimento). Dopo aver salvato
la giovane, tornò alla reggia di Polidette, e visto che questo non aveva smesso di insidiare
la madre, tirò fuori dalla sacca magica la testa di Medusa e lo trasformò in pietra
uccidendolo. Anche Teseo uccise inconsapevolmente il padre: al ritorno da Creta avrebbe
dovuto avvisare del successo dell’impresa cambiando le vele nere con delle vele bianche,
ma se ne dimenticò e il padre preso da sgomento e dolore si gettò da Capo Sunio nelle
acque che poi presero il suo nome. Teseo tornò ad Atene, il padre credendo di aver perso
suo figlio si uccise, e così il giovane eroe, in veste di legittimo successore, divenne re di
Atene. Ritornati nella comunità, dopo aver superato grandi difficoltà, gli eroi convolano
a nozze. Esse difatti “rappresentano spesso un coronamento, un supremo compimento
della vita eroica”180. Giasone si unì a Medea181, Perseo prese come sua sposa Andromeda,
Teseo Fedra. In esse si può ravvisare il raggiungimento definitivo dello stadio maturo
dell’eroe, poiché “sposarsi equivale a passare dalla società dell’infanzia o
dell’adolescenza alla società della maturità”182.

Il cerchio separazione – margine – aggregazione (o nei termini di Campbell: separazione


– iniziazione – ritorno) si compie e si chiude, ma questo non significa che le vicende di
tali eroi si concludano; anzi molto spesso il successo della loro impresa e il compimento
di questa triade narrativa è solamente il preludio di nuovi eventi, spesso terribili e tragici,
nei quali essi si scontrano contro i limiti che il destino e la natura umana pongono loro
davanti. Ed è spesso in questo momento del racconto mitico che emerge la caratteristica
che più li contraddistingue, ovvero il loro essere creature assolutamente ambivalenti: da
un lato possenti e gloriosi, dall’altro fragili e partecipi del destino comune, che come è
risaputo, è teatro di sofferenze e di ineluttabile morte.

179
Anche se poi fu scacciato dal figlio di Pelia e si rifugiò a Corinto insieme a Medea.
180
Brelich 1958, p. 301-302.
181
Anche se poi non mantenne le promesse fatte e la ripudiò per un’altra donna: Creusa, figlia di Creonte,
suscitando la vendetta di Medea.
182
Gennep 1909 (= 2012), p. 107.

52
Conclusioni

Dal quadro finora tracciato si evince come, sebbene non vi sia un legame esplicito tra eroi
e iniziazione, esistano numerosi elementi dai quali si può dedurre un riflesso di pratiche
iniziatiche all’interno dei miti eroici. Dal confronto tra la tripartizione antropologica di
Gennep del rito di passaggio (separazione – margine – aggregazione) e quella narrativa-
folklorica di Campbell (separazione – iniziazione – ritorno) con le avventure degli eroi
dallo stadio della prima infanzia al successo della ‘grande’ prova e il successivo ritorno
emerge infatti una notevole coincidenza. Ognuno dei tre stadi, a seconda del personaggio
eroico preso in esame, assume un peso e un’importanza e un carattere diverso, ma appare
comunque presente. Dall’esame qui compiuto emerge come lo stadio della separazione
sia decisamente frequente, essendo presente sia in Eracle che in Giasone, Teseo e Perseo.
La separazione dalla comunità difatti, proprio come nei riti di passaggio, nella storia degli
eroi non ha un’importanza marginale ma anzi sembra essere essenziale per la crescita e
l’educazione dell’eroe. Questo è il periodo in cui l’eroe segregato, come si è visto, si
forma come uomo, sviluppando le sue qualità eroiche e definendo la sua identità. La
somiglianza della fase di separazione eroica con la segregazione propria dei riti di
passaggio dall’adolescenza nell’età adulta è evidente, poiché anche quest’ultima si
realizza appunto nel distacco dell’iniziando dal suo complesso familiare-comunitario e
nella sua segregazione, comportando radicali trasformazioni nello stesso. Anche nel
secondo stadio del margine, si rileva un eguale riscontro positivo con le vicende eroiche.
Il concetto di margine infatti non manca: come gli iniziandi vivevano una situazione
marginale, di sospensione, così gli eroi vengono chiamati a compiere la loro prova ai
margini della comunità, e in taluni casi questo margine viene anche simbolicamente
rappresentato da luoghi letteralmente ai margini del mondo (Eracle) o comunque lontani
dalla terra di origine (Giasone) o contigui agli Inferi (Perseo) o ancora dal varco di una
soglia (il labirinto di Teseo). Infine il confronto del terzo stadio mostra come sia anche
presente l’elemento aggregatore che, come a livello antropologico asseconda
l’introduzione dell’iniziando nella nuova categoria sociale, si realizza nelle vicende
eroiche nel ritorno di questi nella comunità da cui erano stati in origine allontanati e in
taluni casi nel loro acquisire uno status sociale di rilievo (è il caso di Teseo). Pertanto, lo
scheletro narrativo di Campbell, che secondo i suoi studi sarebbe il simbolo di un rito di
passaggio iniziatico, pare riconoscibile nei miti di questi eroi greci. Nel corso dell’analisi

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dei miti ora citati si sono inoltre riscontrati altri elementi simbolici che si configurano
come indice di una loro componente iniziatica: uno di questi è sicuramente il binomio
morte – rinascita. Il rito di passaggio iniziatico in sé, configurandosi come passaggio in
una nuova condizione di esistenza, è considerato simbolicamente come una morte e una
rinascita, tanto che sovente questi due aspetti vengono drammatizzati nei rituali. In questi
racconti mitici, al momento della prova (che come si è visto si configura come il grande
ostacolo da superare per compiere il proprio passaggio) sono presenti allusioni simboliche
alla morte temporanea e alla successiva rinascita dell’eroe, quali ad esempio il tema
dell’inghiottimento e della successiva fuoriuscita dal mostro (attestate da alcune varianti
vascolari o letterarie a seconda dell’eroe) o l’entrata e uscita dal labirinto (Teseo). Ma gli
aspetti di morte non si riducono a questo stadio dell’eroe: in Giasone ad esempio lo si
ritrova anche in relazione al suo allontanamento da Iolco, quando viene inscenato il suo
funerale, e con una cassa da morto viene condotto da Chirone. Un altro elemento di
stampo iniziatico è il monosandalismo, che nel mondo antico assume spesso il significato
di cambiamento come fase preliminare di un rito di passaggio, e che si ritrova nelle figure
di Perseo e Giasone. E ancora la pratica del taglio di capelli presente nel mito di Teseo,
che a livello rituale sancisce il passaggio e che si riscontra come pratica greca nel rito
eponimo della kureotis da parte degli ἔφηβοι durante le feste Apaturie.

Quelli elencati sono solo alcuni dei segnali riscontrati nel corso del lavoro e che hanno
portato più d’uno studioso del campo a supporre la presenza di una componente iniziatica
nel mito eroico. Tuttavia la questione richiede molto più spazio e tempo per essere
approfondita in maniera esaustiva e completa. Lo studio meriterebbe infatti la presa in
esame e il confronto di un maggior numero di miti eroici rispetto a quelli che si sono scelti
qui, e inoltre la disamina di maggiori varianti relative agli stessi con la dovuta
contestualizzazione storica, dato che ogni prodotto artistico – letterario è di fatto figlio
del suo tempo. Il mito vive di varianti e ogni opera d’arte ha le sue esigenze intrinseche,
e a queste stesse piega il materiale che attinge dalla mitologia. Queste esigenze infatti,
che siano di tipo estetico, morale o politico – a seconda del contesto storico –, tendono
sempre ad alterare la tradizione mitologica. Infine, qualora nel futuro ci si muova ancora
in questa direzione, consistente nel ricercare e individuare le spie che dimostrano una
matrice iniziatica del mito degli eroi greci, occorrerà farlo rimanendo sempre consapevoli
che il mito di per sé è poliedrico, ha più facce e significati, contiene in sé innumerevoli

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verità, e ridurlo a un unico significato e a un' unica allegoria significa distorcerlo,
allontanarsi da esso.

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