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A CHI MI RIVOLGO?

IL DECISORE, IL COMPRATORE O
L’UTILIZZATORE?

C’era una volta, alcuni anni fa, un detergente rivolto


alla cura e alla pulizia dei neonati.
L’intero packaging del prodotto dialogava e
comunicava (erroneamente) con il consumatore
finale (il neonato), attraverso immagini, colori e
richiami al mondo degli 0-3 anni.
Il problema consisteva nel fatto che il neonato,
sprovvisto degli adeguati costrutti mentali, non
poteva in alcun modo recepire i messaggi a lui
rivolti.
Fu così che il prodotto in questione, inizialmente ben
posizionato, dopo un importante lancio
pubblicitario e un’adeguata presenza sugli scaffali,
dopo la spinta iniziale, dovuta anche alla vendita
come banded-pack ad altre referenze importanti,
progressivamente si afflosciò.
In effetti un errore frequente nell’ambito del
marketing consegue al non aver debitamente
valutato e analizzatochi veramente sia

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l’utilizzatore del prodotto e chi sia invece colui che
acquista o chi decide.
Fu necessaria una ricerca qualitativa per capire la
situazione. Tra le diverse informazioni messe a
disposizione dalla ricerca c’erano essenziali
indicazioni su come la grafica, i colori e i messaggi
veicolati dal packagingpotevano portare ad
un recupero delle perdite subite.
L’acquirente era l’adulto, innanzitutto la madre,
ed era a lei che i messaggi dovevano essere
rivolti per rassicurarla sull’affidabilità di un prodotto
che entrava in diretto contatto con la cute del
neonato.
Il nuovo packaging, supportato da una
comunicazione rivolta al giusto target, fece ripartire
le vendite.

La stessa fenomenologia (un messaggio indirizzato a


chi acquista ma non consuma) possiamo avvistarla,
ad esempio, parlando dei cibi destinati ai cani e ai
gatti.

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La comunicazione deve rassicurare il padrone sulla
qualità del cibo e sul giusto equilibro dei
componenti pi
uttosto che sul sapore, importante sicuramente ma
non determinante, con unagrafica che valorizzi gli
effetti benefici sul proprio animale da compagnia e
in accordo con la propria alimentazione e stile di
vita.
Non a caso si assiste al fenomeno dell’obesità che
colpisce buona parte dei nostri fedeli amici
(tranquilli il marketing offre tutte le soluzioni
dimagranti) in sincronismo alla stazza della persona
che si occupa della loro alimentazione.

Oggi stiamo assistendo, a questo proposito, ad


incredibili forzature, per cui viene proposto al felino
casalingo, orientato piuttosto all’iperproteico,
un’alimentazione strettamente vegana. Difficile
capire quanto il gatto possa apprezzare questo
menù, sia per quanto riguarda il sapore che
l’equilibrio dietetico.

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Si tratta evidentemente di prodotti che dialogano
esclusivamente con il padrone assecondandone lo
stile di vita. In questo caso è ancora più giusto
chiamarlo “padrone”.
Comunque rimane il fatto che assistiamo al boom
della pet economy (solo in Italia vale più di 2 miliardi
di Euro, ed è in forte crescita, una famiglia su 3
possiede almeno 1 animale da compagnia).
Chiaro che la grafica del packaging, molto più che le
altre forme di comunicazione, gioca un ruolo
determinante (anche perché il feedback sul
gradimento da parte dell’animale non è che sia
molto chiaro).
Per far decollare le vendite niente di meglio di un
bel test comparativo presso lo scaffale, proprio dove
avviene il grande primo-momento-della-verità,
mettendo il packaging della tua linea di prodotti in
contrapposizione a quelli dei competitor per
verificare la capacità di intercettare i desideri di chi
compra il cibo (ma non lo assume).

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