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L'odissea di profughi e migranti, un

viaggio tra speranza e sofferenza


In fuga da guerre e persecuzioni, migliaia di persone stanno arrivando in
Europa da Siria, Iraq, Africa. Attraversano il Mediterraneo o i Balcani con ogni
mezzo: carrette del mare, treni, tir. Superano fili spinati, polizie di frontiera,
violenze degli scafisti. A volte non ce la fanno, come nel caso del piccolo Aylan.
(a cura di Pietro Pruneddu)

Migrazioni

Il viaggio dall'Africa verso


l’Europa? Dura più di due anni
di 
 Daniele Biella
 19 settembre 2016

È il dato più ricorrente e narra di un'escalation di deprivazioni: "il


75% dei migranti ha subito abusi fisici", per poi affidarsi alla tratta in
barca nel Mediterraneo centrale "dove oggi muore una persona ogni
42". A rivelarlo i dati eclatanti del report di Medmig, gruppo di lavoro
di tre università inglesi e ong europee che ha raccolto le testimonianze
di 500 individui che sono riusciti ad arrivare in Italia

Due anni di viaggio in condizioni proibitive per poi morire in mare: è un


destino più che atroce quello che aspetta una persona ogni 42 (nel 2015
era una ogni 53), che tentano la traversata nel mar Mediterraneo dalle
coste del Nord Africa verso l’Italia. A sentenziarlo è un rapporto uscito oggi
(scaricabile in coda all'articolo), in occasione della 71ma Assemblea generale
dell’Onu - che si sta svolgendo in queste ore a New York proprio sul tema dei
profughi – redatto da MedMig, gruppo di lavoro composto da ricercatori di tre
università inglesi (Coventry, Birmingham e Oxford) assieme a enti non profit
italiani, greci, turchi e maltesi.
Medmig ha monitorato dal gennaio 2014 a oggi le provenienze, le motivazioni
e le tratte percorse dai migranti, intervistando in particolare 500 persone
provenienti da Paesi africani e giunti sulle coste libiche per tentare da lì la
traversata. “Per più di una persona su cinque il tempo passato dall’addio al
proprio Paese al viaggio in barca è stato superiore ai 24 mesi. E’ il dato più
ricorrente”, sottolinea Nando Sigona, ricercatore italiano che lavora per
l’università di Coventry e ha firmato il rapporto assieme al collega Simon
McMahon. Ecco il grafico.

Durata del viaggio di un migrante sulla rotta del Mediterraneo centrale


Il lungo viaggio comporta oramai sistematicamente lunghe attese nei vari
punti di passaggio della rotta migratoria, spesso in condizioni di prigionia e
minacce: “Oltre il 75% delle persone con cui abbiamo parlato in Italia ha
riportato episodi di violenza fisica e il 25% ha riferito di compagni di
viaggio morti a causa delle condizioni di viaggio, tentativi di furto e
rapimenti con riscatto andati male. Per molti di loro la sola via d’uscita dalla
Libia è su una carretta del mare”, sottolinea Sigona.

I racconti sulla Libia di chi è riuscito ad arrivare in Italia raccontano


un’escalation di abusi e orrore. “Ho deciso di partire perché ero rimasta solo
con i miei figli. Mio marito è prima finito in prigione, poi l’hanno ucciso. Era un
giornalista in Eritrea”, è la testimonianza di una donna eritrea di 35 anni. “Ci
hanno portato in un posto isolato, una stalla, e trattenuto lì per un mese.
C’erano altre donne nigeriane. Non avevamo il permesso di uscire e gli
uomini che erano lì per controllarci ci hanno violentato molte volte”, riporta
una ragazza di 25 anni, nigeriana.

La ricerca mostra inoltre come la distinzione tra migranti economici e


migranti forzati non è sempre facile da fare e che nei racconti della
maggior parte delle persone intervistate episodi di violenza, persecuzione,
discriminazione e violazioni dei diritti umani intersecano povertà,
mancanza di opportunità di lavoro e obblighi familiari . L’intensificazione dei
flussi irregolari nel Mediterraneo – in particolare quelli nel Mediterraneo
centrale, che hanno subito un picco nel 2014 ma da allora si mantengono
stabili, 2016 compreso con i dati in linea con lo stesso periodo dello scorso
anno, vedi grafici - "è anche il risultato dell’esternalizzazione delle politiche
europee di controllo della mobilità in Africa che ha causato la scomparsa di
opportunità di lavoro e protezione che era disponibili in passato".

Analisi sui viaggi in cui i migranti sfidano la vita per


averne una migliore
Fino a che punto può portare la disperazione? Cosa si è disposti a fare quando non si ha più nulla da
perdere? Le risposte a queste domande sono semplici, quando si è disperati e non si ha ormai più nulla
da perdere si rischia, non ci si pone nessun limite e si mette in gioco se stessi e quello a cui  si tiene di
più. Questi concetti sono scolpiti nelle menti delle centinaia di migranti che ogni giorno partono per
raggiungere una terra promessa, per rischiare, per cambiare vita, per stravolgere la propria esistenza e
quella dei propri familiari per poter avere le condizioni necessarie ed adeguate per vivere
dignitosamente. Molte volte ci si interroga e si discute su quali disagi possa portare l’esodo in massa di
queste persone che devono essere accolte e sostentate dallo Stato Italiano, ma poche volte ci si
immedesima nella loro situazione.

Analizziamo i cosiddetti “Viaggi della speranza” che in realtà sono delle vere e proprie Odissee, ed
effettivamente quello che rimane a chi li compie, prima, dopo e durante il viaggio, è la sola speranza.
Ed è proprio la speranza di una vita migliore, che spinge, o  se preferite, costringe queste persone ad
affrontare un viaggio che non si può descrivere se non con l’aggettivo folle. Si parte da soli o insieme
alla propria famiglia, mettendosi nelle mani degli scafisti, esseri vuoti e privi di umanità, che lucrano in
maniera spropositata sul dolore e sul bisogno di questa gente. Si stima che una tratta per partire
dall’Africa o dal Medio Oriente in Europa, costi agli immigrati una cifra che oscilla tra i 600 e i 6000
euro, la cifra dipende dalla provenienza.  Il viaggio dal Corno d’Africa dura 4 mesi su camion
fuoristrada tra Sudan e Ciad. La loro destinazione è la Libia. Da qui prendono imbarcazioni tra i 10 e i
25 metri per arrivare in Sicilia. Il costo è tra i 600 e i 1500 euro. Dal Medio Oriente invece il viaggio
passa per Libanoe Giordania. Arrivano in Egitto (da dove partono con natanti che arrivano in Sicilia,
Calabria o Puglia) o passano in Turchia e anche attraverso la Grecia (via terra) arrivano in Europa. Il
prezzo, in questo caso, oscilla tra i 1500 e i 6000 euro.

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Capita spesso, purtroppo, che gli immigrati non arrivino a destinazione, morendo durante o subito dopo
il viaggio, poichè quest’ultimo viene affrontato in maniera disumana, in condizioni igieniche che definire
precarie è eufemistico, viaggiando con un numero di passeggeri molto più alto di quanto la capienza
del barcone permetta. E cosi uomini, donne, bambini, muiono prima di arrivare e di poter cambiare vita:
chi per asfissia, chi per intossicazione, chi per annegamento, chi per ipotermia etc. Le immagini più
struggenti che ci capita di vedere sono quelle che raffigurano clandestini che hanno in braccio bambini,
o donne che quei bambini li tengono nella propria pancia e partono soprattutto per provare a garantire
un futuro a quei figli che ancora non hanno visto e forse non vedranno mai.

Anche noi sulla via dell'esodo: il viaggio della


speranza dall'Eritrea a Lampedusa
di IMMA VITELLI
Arrivi con i barconi in Italia e Malta (periodo 2005-2015)
Arrivi e decessi lungo la rotta del Mediterraneo centrale (gennaio 2014-maggio 2016)
Rifugiati e migranti si sono ritrovati così imbottigliati in Libia (e in Turchia, per
quanto riguarda la rotta del Mediterraneo orientale o Egeo) dove però le
opportunità di lavoro e le condizioni di sicurezza sono deteriorate
rapidamente e il ricorso agli smugglers  era e rimane tuttora, in assenza di vie
legali, l’unica via d’uscita verso la speranza di un futuro migliore. “Mentre i
trafficanti si arricchiscono e spesso sfruttano i rifugiati e i migranti, d’altra
parte sono anche l’unica possibilità che resta a queste persone in fuga dalla
guerra e dalla miseria. I trafficanti esistono solo perché non esistono
alternative legali per raggiungere l’Europa per chiedere asilo ne tantomeno
per trovare lavoro”, chiosa FranckDuvell, ricercatore dell’Università di
Oxford e collaboratore di Medmig.

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