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BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 1

PSICOLOGIA DELLA SESSUALITÀ UMANA E DEI LEGAMI FAMIGLIARI


Prof Binasco

Venerdì 17 ottobre 2008, 1° lezione

Nel percorso della licenza in teologia questo corso che senso ha? La psicologia è una scienza
umana; nei discorsi moderni sull’uomo c’è una cosa detta psicologia, “si dice che c’è”. La
psicologia ha un interesse antropologico; è la versione moderna di un discorso sull’uomo,
perciò ha una rilevanza dal punto di vista antropologico. Giovanni Paolo II nel fondare
l’istituto (leggere la costituzione di fondazione) parla dell’aiuto delle scienze umane, volendo
un’impronta antropologica per la formazione in Istituto. Noi facciamo un discorso teologico
che trae delle conseguenze sulla concezione della realtà umana dal discorso cristiano, dalla
realtà della Chiesa. La Chiesa è intesa come modo di esistere dell’intervento, dell’azione divina
(il Cristianesimo –Dio incarnato) nella storia umana. La Chiesa si auto-comprende come modo
di presenza nella vita umana associata, vita dei legami umani, di un fattore singolare: Gesù
Cristo, Verbo incarnato, Figlio dell'uomo. Il fattore Gesù Cristo è singolare, ha un nome
proprio, era una persona fra altre persone, cioè un fattore singolare fra altri fattori, eppure si
pone come il tutto, cioè riassume ed esprime la totalità della storia, dei fattori della realtà .

L’interesse sul piano teologico, cioè riguardo a tirare le conseguenze della realtà cristiana,
della Chiesa, e sul piano della realtà umana, cioè se c’è una realtà umana, se si possa parlare di
una realtà umana, è importante. Oggi l’ideologia dominante dei legami umani, società e media,
nega che si possa parlare di realtà umana, come mostrano le questioni sulla biologia, cellule
staminali, bioetica… oggi l’ideologia dominante vuole andare al di là della realtà umana, nel
post umano. La credenza all’uomo vorrebbe essere superata dalla cultura contemporanea. In
Spagna c’è un movimento che vuole dare diritti umani alle grandi scimmie. Noi pensiamo che
essendo umani i diritti non si possono dare alle grandi scimmie, ma sono umani per modo di
dire, perché non si riconosce una realtà umana specifica, con dei confini, che tiene, definita,
con certe proprietà , tanto che i diritti umani possono essere estesi ad altri viventi. È implicito
che l’essere umano non esiste. Ciò è in contrasto diretto con la rivelazione, con il discorso
cristiano come incarnazione della Parola di Dio. Perché contrasto? Cristo ha assunto la natura
umana, perciò dovrebbe identificare il genere umano. Per la Chiesa l’incarnazione di Dio in
una natura umana di carne e di essere vivente identifica l’essere umano, in quanto la natura
assunta dal Verbo divino. Nell’esperienza cristiana Cristo è un nome anche dell’essere umano,
cioè dice qualcosa di essenziale sull’identità dell’essere umano. Ciò che nega la realtà umana
va contro la rivelazione.

Perché Cristo si è incarnato? La domanda sul perché implica un movimento verso uno scopo,
un fine, una direzione. L’uomo è un essere vivente, quindi Dio ha assunto una natura umana
vivente, tanto che Cristo parla di vita moltissime volte. La bioetica oggi e la scienza moderna
non conoscono ultimamente la vita. La biologia studia certi fattori degli esseri viventi, ma non
significa che sappia dire che cosa è la vita degli esseri viventi. L’unica disciplina che sa
qualcosa della vita sarebbe la medicina, perché è una disciplina di cura della vita, non perché è
biologica, ma perché è una prassi di cura del vivente. La medicina oggi è spaccata tra cura
della vita e amministrazione sociale ed economica della morte. La morte s’identifica molto più
facilmente della vita, tanto che per identificare la vita c’è voluto Cristo, mentre per identificare
la morte basta l’uomo, che può infatti uccidersi, uccidere altri uomini. La possibilità della
morte provocata è specifica dell’essere umano, perché il leone mangia l’antilope, ma non
sappiamo che oggetto abbia il leone, magari l’oggetto della sua azione non è la morte
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dell’antilope… non sappiamo. Noi davanti alla torta non desideriamo la morte della torta, noi
vogliamo mangiare, anche se è implicito che la torta morirà . L’uomo ha un rapporto specifico
con la morte, tanto che Gesù Cristo, che identifica l’essere umano parlando di vita umana, dice
“chi vuole salvare la sua vita la perderà ”, un paradosso che non si applica alle grandi scimmie.
Per noi cristiani le parole di Cristo dicono qualcosa del mistero della vita umana, qualcosa di
essenziale sulla vita umana in quanto mistero e tracciano un abisso radicale fra uomo e
scimmia, amici scimpanzé e fratelli umani. Noi, infatti, trattiamo le scimmie in un modo di
rapporto radicalmente diverso da quello della realtà umana a cui siamo legati.

Che cosa traccia quest’abisso, questa differenza radicale? Non si può predicare il logos di Gesù
alle scimmie: parlare, predicare, è un discorso che mette in relazione, infatti, noi seguiamo
Gesù perché ci ha raggiunto con il suo discorso, e per questo lo seguiamo, siamo in rapporto
con Gesù attraverso le parole che ci ha detto e gli atti che ha compiuto. Gli atti umani dicono
qualcosa, non sono pure realtà che ci sono, ma sono significativi, proprio perché sono
intessuti di significanti, di parole. L’atto umano dice qualcosa. L’atto umano si può spiegare, si
dice, si racconta (es in confessione) e l’atto ha un certo significato e rilievo antivitale, come il
peccato. Alcuni non sanno dire bene (anche noi a volte) cosa abbiamo fatto: sappiamo di aver
compiuto un atto, ma non che tipo di atto abbiamo compiuto e non sappiamo se siamo
colpevoli o meno di qualcosa (incertezza). Il parlare e il dire gli atti e i fatti umani è inserirsi in
una realtà umana che è storica. I fatti umani sono storia, cioè sono legati da un dire, dicono
qualcosa che possiamo poi raccontare ad altri. Le parole per descrivere un evento sono ricche
di significato, si riesce ad esprimere cosa sia successo in un fatto.

Stiamo situando il corso. La realtà umana è specifica, particolare, con una struttura. Cristo
individua la realtà umana come un essere, una natura che ha certi confini. Infinitudine del
desiderio, della conoscenza (san Tommaso: anima umana fit quodammodo omnia)… la
questione dell’infinito è un fattore della natura umana; l’essere umano è aperto a qualunque
sapere, non solo a un sapere pragmatico per poterlo usare nella sua vita. Per la vita della
scimmia non serve conoscere il discorso della montagna, mentre per l’uomo significa molto o
tutto, perché l’uomo è aperto a un tipo di sapere che è illimitato, ad un desiderio infinito; dire
parole d’amore fa succedere qualcosa all’uomo che alla scimmia non succede. L’uomo
tipicamente ha risposte complesse ad una realtà , cioè può avere due effetti diversi alle parole
d’amore dette da un altro, non suo marito, ad es, contrastanti, come lusinga e offesa.
Scientificamente dobbiamo sapere perché c’è un piacere ed un dispiacere provocato dalle
stesse parole: la soggettività umana è complessa, e lo sappiamo dagli studi di Freud
sull’inconscio, che oggi socialmente altre scuole elaborano diversamente. Nella realtà umana
c’è qualcosa di così complesso e contraddittorio che sembra mettere in discussione l’unità
dell’individuo umano, che nella tradizione occidentale si chiama anima, psyché. L’anima è il
termine con cui Aristotele e la sua biologia chiamava la forma unitaria degli esseri viventi:
anima vegetativa, sensitiva e intellettiva. Con anima s’indicava un’unità e totalità delle
funzioni e delle parti degli esseri viventi. Anche Platone aveva una psicologia, infatti, parla
dell’anima, come poi Aristotele, la tradizione tutta occidentale. Analisi = divisione e
scioglimento dei nodi, dei legami, perciò psicoanalisi = sciogliere i legami dell’anima, che però
è il principio di unità dell’essere e la sua totalità .

I problemi dell’occidente derivano storicamente dalla difficoltà di parlare della totalità delle
funzioni del vivente quando tale vivente non è mai totale: l’essere umano è infinito, allora
come si può parlare di un principio di totalità per un essere che in qualche modo non è mai
totale, non raggiunge mai una totalità , lui. Il suo orizzonte è la totalità , ma l’essere individuale
vede la totalità restare sempre altra rispetto a se stesso. Il soggetto non realizza mai la totalità ,
è sempre parziale, necessariamente mancante di qualcosa, eppure ha orizzonte di totalità .
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L’essere umano è paradossale, perché limitato da un corpo, da certe funzioni, da una certa
costituzione, da un certo modo di sorgere dei desideri, bisogni, domande cioè dei suoi
movimenti, o modi di movimento. Se un vivente non si muove più , non è più vivente. Il
movimento è vita, però consideriamo movimento del corpo e dell’anima. Una parte essenziale
del movimento dell’essere umano è data dai legami che ha con gli altri umani. Un uomo con
sindrome locked in non muove che la palpebra, eppure ha la stessa consistenza di un uomo
perfettamente sano, perché la consistenza di un uomo, i suoi legami umani, stanno a livello
dell’ordine spirituale della realtà . I legami consistono, sono fatti di linguaggio. In un libro, fatto
di carta ma fatto anche di parole, le parole sono più decisive della carta per dire qualcosa del
libro. Le parole di un libro sono incontestabili e caratterizzano il libro in quanto tale, cioè
danno consistenza al libro. I legami sono fatti di qualcosa che ha la consistenza delle parole,
come significati, di linguaggio.

I significanti sono cose che significano qualcosa, ma che significano, cioè sono un segno del
fatto che la persona è viva. Il segno significa, cioè se uno sbatte la palpebra, capisco che c’è un
segno di qualcuno che vuole dire qualcosa. Poi mi metto d’accordo sul codice e capisco cosa
vuole dire, cosa che all’inizio non sapevo, però sapevo che voleva dire qualcosa fin dall’inizio.
Segno di che cosa? Che c’è qualcuno vivo, (come me) che vuole comunicare, vuole dire
qualcosa, cioè c’è un soggetto di un’intenzione significativa, cioè di un discorso. Robinson
Crosue va nell’isola deserta e poi vede del fumo che è segno di qualcuno che fa il fuoco, cioè
segno di un soggetto che fa qualcosa che solo un soggetto può fare, cioè dice qualcosa,
significa qualcosa, anche se non so cosa significhi il segno, però esiste quello che mi vuole dire.
Il significato del segno è che dice qualcosa a noi, a me, cioè io sono il soggetto a cui il segno
dice qualcosa e mi fa riconoscere che c’è un soggetto che emette il segno.

Il problema: il linguaggio, il simbolico, i segni del soggetto diventano un fattore essenziale


della realtà umana, e da questo momento si pone un problema per pensare l’anima, o la
totalità dell’uomo, i confini della natura umana, perché i segni aprono la realtà umana a
qualunque possibilità di significazione. Dire parole d’amore è rivolgersi a un soggetto e
provengono da un soggetto, ma possiamo non sapere che cosa vuole dire a me quella che mi
dice parole d’amore. Che cosa vuole dire e cosa vuole da me sono incognite nei rapporti. C’è un
mistero e una contraddizione nei legami umani, perciò si fa fatica a parlarne scientificamente.

Venerdì 24 ottobre 2008, 2° lezione

C’è uno schema alla lavagna che parte dalla vita umana, con una serie di termini che
affronteremo in classe: la nostra formazione non è per una pratica principalmente psicologica,
ma anche; in primo luogo ci interessa la teologia, perciò vediamo l’interesse antropologico,
anche pratico, che riguarda l’uso del sapere di tipo scientifico psicologico. Essendo cristiani
siamo in rapporto alla Chiesa, a Cristo, alla pratica pastorale e culturale: la dimensione pratica
del nostro parlare psicologico ha in interesse per la nostra vita di fedeli cristiani che studiano
e che esercitano un ministero nella Chiesa. La coscienza cristiana si interessa della psicologia
in quanto consapevolezza che i cristiani hanno della propria realtà e dei propri rapporti
(legami con la realtà ), che ultimamente è Cristo stesso, l’unica realtà .

Le pratiche psicologiche vogliono dire qualcosa sulla vita umana. Non tutte le psicologie in
senso stretto hanno tale intenzione, infatti, alcune psicologie non distinguono uomo ed
animale, cioè pensano come scientifica solo una psicologia che tratti allo stesso modo uomo ed
animali. Altre psicologie considerano fondamentale tale differenza. Il campo delle psicologie è
diviso da una serie di antinomie: si parte da un’ipotesi, un paradigma, cioè o esiste la
psicologia umana o esiste la psicologia solo animale. Fare riferimento alle dispense. “La
psicologia dice”… è una frase che non ha senso, perché non esiste la psicologia, esistono le
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psicologie, come si sente dire “la scienza”. Necessariamente le diverse discipline fanno delle
scelte epistemologiche antinomiche ad altre scelte. Il sapere che c’è nelle psicologie (pratiche
psicologiche) se pur c’è sempre (ed è da dimostrare) non appartiene allo stesso campo. Solo la
fisica ha un unico campo, ma il resto no. Si usa un argomento scientifico ideologico per
chiudere la bocca all’avversario, perciò ci dicono “la psicologia dice che…”.

L’interesse della psicologia è per la vita umana. Noi come cristiani pensiamo che esista la vita
umana e l’essere umano, e pensiamo che sia reale. L’affermazione contraria è in contrasto con
la dottrina della Chiesa perché l’incarnazione del Verbo Dio ha assunto la natura umana,
perciò ha assunto qualcosa che esiste e dall’incarnazione in poi è agganciato al livello ultimo
del reale, cioè a Dio. La natura umana è necessariamente. L’umano è qualcosa che riguarda
anche il livello ultimo della realtà , anche Dio stesso.

Cosa ci dicono la psicoanalisi e la prassi psicologica della vita umana o esistenza o realtà
umana = vita? La vita umana è caratterizzata dall’esistenza o ex-sistenza cioè fuori da – stare
in piedi: la consistenza è la coerenza in logica; la vita umana è caratterizzata anche da essere
realtà . Nella vita vi sono i fattori essenziali e principali, che sono diversi; principali, cioè primi
rispetto a qualcosa di secondario, implica che tra i fattori della vita c’è un ordine, una
gerarchia. Capire i fattori principali serve per capire l’ordine di un discorso, o nel nostro caso
la vita umana: non ci sono fattori vitali tutti uguali come una macchina con diversi pezzi tutti
importanti uguali, ma vi sono fattori che sono importanti per capire il senso ultimo della vita
umana, perciò fattori più importanti.

La vita umana è fatta di rapporti e relazioni, perciò ci interessiamo di una situazione pratica di
rapporti, relazioni, legami. Il modo di trattare la vita umana è una forma di legame e di
rapporto, quindi ogni tipo di conoscenza anche pratica della realtà umana è una forma di
rapporto con questa realtà . Questo è molto importante che si tenda a dimenticare. La scienza
moderna tende a staccare il sapere dal rapporto in cui tale sapere emerge. Anche a livello
personale ogni passo avanti nel sapere dipende da una forma di rapporto con la realtà , con la
vita umana, con la cosa che conosco. Il rapporto non è puramente percettivo, ma c’è sempre
un soggetto ed un altro. Se uno si confessa da noi io sto di fronte ad un soggetto che in quel
momento si definisce perché si rivolge ad un altro, che siamo noi. Ogni sapere dell’essere
umano emerge dentro un rapporto nel quale o noi siamo l’altro di qualcuno o siamo il
soggetto che si rivolge ad un altro. L’esperienza di questi due modi o posizioni di rapporto si
fa in tutte le prassi di aiuto, di cura del rapporto, soprattutto nel sacerdozio: l’operatore di
aiuto offre un certo tipo di altro al soggetto, cioè si pone come l’altro, cioè una partnership
nella quale si pone al posto del soggetto. Nel vangelo Gesù Cristo si pone come partner, cioè si
fa incontrare da persona che gli chiedono qualcosa, con scopi e modi e risultati diversi. Gesù si
pone come interlocutore attraverso il quale il soggetto di turno intravede qualcosa di speciale.

Distinguiamo relazioni e legami: la relazione può essere tra due punti nello spazio,
oggettivamente, infatti c’è una relazione fra sedia e banco. Nella realtà umana i soggetti hanno
un corpo, perciò sono più importanti le relazioni non oggettive fra due punti, ma il fattore
decisivo è il legame che io offro, costituisco o istituisco con il soggetto. La relazione si può
descrivere in termini puramente formali, astratti e oggettivi, i legami no. Nei sociogrammi
s’indicano le persone come punti e le relazioni come vettori a uno o due direzioni (univoca o
biunivoca) e si possono vedere le relazioni “sul foglio”. Se tali punti sono persone, le diverse
relazioni mi dicono qualcosa di più , mi dicono che tipo di legami i vari individui hanno con
ciascuno degli altri, ma anche con l’insieme del gruppo e quindi, implicito nel concetto di
legame, con se stessi. Il problema della vita umana è che rapporto abbiamo con noi stessi,
oltre che con la realtà . Che ne facciamo della nostra esistenza? Nella tradizione cristiana è la
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questione della salvezza, cioè che fare della propria anima, della propria vita? Gesù suppone
che la vita sia da salvare, non sia già salvata, cioè è avita è intesa come dramma. Chi la vuol
salvare la perde e chi la perde la salverà : paradosso per enucleare il problema del senso
dell’esistenza. Nel disegno D ha rapporto con B e o se stesso in quanto parte di un gruppo; se
anche D non avesse vettori verso B e fosse totalmente isolato, quello sarebbe il suo modo di
legame con gli altri, cioè come un problema, un legame che è fuori legame, ma il problema del
legame ci sarebbe in ogni caso. Ogni sapere, passo e azione che si può compiere verso la vita
umana passa attraverso una forma di legame. Una domanda, un saluto, una parola “accolta” o
rivolta o anche il solo osservare qualcuno accade dentro una certa forma di legame che noi
instauriamo o nel quale già viviamo. Anche la prassi scientifica stabilisce forme di legame,
anche se diverse da quello offerto dalla madre al figlio quando nasce. Una madre può offrire
una forma di legame che può impedire al figlio di realizzare un legame vivibile con la madre o
la realtà , ed è la psicopatologia. Noi possiamo offrire forme di legame che impediscono al figlio
di avere un legame vivibile con se stesso, con il proprio corpo, ad es nella schizofrenia. Il
legame del genitore è offerto anche inconsapevolmente, ma comunque lo offre perché accoglie
il figlio o lo mette a mondo, ed è un legame non sperimentale, come nella prassi psicologica o
scientifica. La madre non può avere un rapporto sperimentale coni figlio, cioè volesse fare
esperimenti scientifici: ad es se quando gli do il latte poi glielo tolgo, come reagisce il
bambino? O se prometto una cosa e poi gli dico che non lo’ho mai detto… sarebbe un
atteggiamento sperimentale, ma la cosa più probabile è che il figlio sia psicotico. Il legame
scientifico non è vivibile, cioè non permette al soggetto umano di vivere, cioè non può essere
un metodo di vita. Spesso si sente in giro sui generi, sulla bioetica, su diverse cose, l’idea più o
meno velata che la scienza produca un sapere vivibile, ma nell’esperienza non si può vivere,
saremmo tutti deliranti. La biologia ci dà un sapere sul nostro corpo come se funzionasse
come una macchina, un insieme di tante parti. Il sapere del corpo che abbiamo dalla medicina,
non l’abbiamo come viventi, cioè che il fegato sta lì, sotto la cistifellea… lo scopriamo tagliando
o con la tac… noi non possiamo pensarci come delle macchine o insiemi di organi avremmo
difficoltà a vivere. Se volessimo applicare nella vita il sapere della scienza, dell’anatomia,
saremmo deliranti, infatti coloro che vivono con l’idea scientifica del loro corpo sono deliranti,
ed hanno sostituito la realtà delle proprie relazioni, desideri e domande, con l’idea di una
macchina che funziona. Noi non ci poniamo il problema diretto di far funzionare il nostro
fegato… uno schizofrenico sì.

La schizofrenia è una patologia umana, le scimmie non l’hanno: ci aiuta a capire l’uomo e sui
fattori essenziali e principali della vita umana, cioè i modi di corruzione o caduta della vita
specificamente umana. La psicopatologia rende la vita meno umana, ma in sé la patologia è
umana, nessuna patologia riduce l’essere umano allo scimpanzé, abbassa forse il livello di
umanità . Per essere efficaci con le persone occorre sempre costruire e curare un legame. Se
dico qualcosa a una persona, il nostro dire opera a partire dal rapporto che io ho con la
persona; fuori dal rapporto non operiamo nulla, sia a livello umano sia di fede. Prioritario è
capire che rapporto io offro a qualcuno.

Abbiamo detto relazioni e legami, cioè nella realtà umana ci si lega fra un soggetto e un altro, o
con se stessi, infatti anche questo dipende dal legame con gli altri. Ci sono diversi tipi di
alterità ; noi abbiamo legato l’alterità alla differenza. La prima radicale differenza è quella che
passa tra soggetto ed altro. Ciò introduce il problema del legame con noi stessi, infatti, se
abbiamo un legame con noi stessi significa che l’identità dipende, è in funzione della
differenza fra soggetto ed altro, cioè del rapporto con l’altro. L’altro non può fare e disfare la
nostra identità , ma la influenza. La vita è un dramma, e von Balthasar parlava dell’identità
ultima, che sarà come mi sarò costruito. La mia identità ultima dipende dal mio rapporto con
la realtà di altri e di Altro che avrò costruito, cioè noi siamo in parte altro per noi stessi. Molte
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esperienze umane ci dicono che noi siamo altro per noi stessi: una è il peccato che non voglio
e compio. Un problema della confessione è che le persone si chiedono se sono davvero
responsabili del male compiuto.

Noi vediamo 3 tipi di alterità : reale, immaginaria e simbolica. L’immaginaria è legata al fatto
che ci sono altri che sono nostri simili, nei quali ci riconosciamo simili. È un’alterità
d’immagine, cioè per l’uomo ha la propria immagine, cioè lo specchio mio. L’altro come simile
è l’altro mimetico (René Girard). Nell’alterità immaginaria si comprende il narcisismo,
guardarsi allo specchio, perché il rapporto che abbiamo con noi stessi passa attraverso
l’immagine, ma l’immagine è quella dell’altro o di noi? Dovrebbe essere l’immagine di noi, ma
l’immagine di noi non è noi, è anche l’immagine dell’altro, perché l’immagine è qualcosa
d’altro rispetto a noi, e riconosciamo gli altri come simili e noi stessi come simili agli altri
proprio perché c’è l’immagine (almeno per i vedenti). L’immagine è nello stesso tempo
dell’altro e nostra: siamo uguali all’altro è l’altro uguale a noi, e noi siamo l’altro e l’altro è noi.
Gli uomini hanno un corpo e tale corpo ha una forma, e non si può vivere il proprio corpo se
non ci si regola sull’immagine dell’altro (anche gli animali ad es imprinting). Nell’uomo questo
serve per darci la padronanza del nostro movimento, come nella psicomotricità o per
imparare a sciare: guardiamo un altro che scia. Il maestro ci propone la sua immagine come
immagine riuscita di movimento da imitare. In questo caso l’immagine dell’altro diventa
immagine nostra: impariamo il movimento.

Problemi o drammi della realtà umana legati a quest’aspetto sono invidia, gelosia, rivalità e
aggressività : essi derivano dal rapporto con l’immagine dell’altro come immagine mia. Invidio
l’altro, che è simile a me, che è me, come Caino e Abele, quando l’altro mi fornisce
un’immagine completa, cioè dotata di qualcosa che io non ho e improvvisamente mi viene
voglia di prendergliela, proprio quella cosa (ad es la macchinina di Piero). L’invidia si fonda
sulla rivalità , e questa si fonda sul fatto che io e l’altro abbiamo in comune la stessa immagine,
e l’immagine dell’altro compiuto, soddisfatto toglie qualcosa a me. Se l’altro ha la macchinina
in più di me è come se lo togliesse a me, perché siamo in rapporto di alterità immaginaria, cioè
io e l’altro condividiamo la stessa immagine, come allo specchio; il rivale ha qualcosa in più
della mia immagine, perché c’è sempre una tensione fra l’immagine e noi stessi, perché è la
nostra immagine, ma noi non siamo quell’immagine, e l’immagine è anche nell’altro, ma io non
sono quell’altra persona in cui mi specchio.

Una terza alterità specifica dell’uomo è quella simbolica che consiste nel linguaggio e nella
parola. Gli esseri umani parlano, perciò l’altro parla all’essere umano, che gli risponde. Uno
parla con i significanti dell’altro, cioè parla nella lingua dell’altro, e questo è importante e
fondamentale, ed è diverso dalla realtà immaginaria, ed è il modo per risolvere alcune
tensioni dell’alterità immaginaria. Invidia e gelosia possono essere mortali, e non si
potrebbero risolvere senza l’alterità simbolica come mediazione fra me e la mia immagine
nell’altro. Se ci fosse solo, l’alterità immaginaria sarebbe un continuo scontro, ma c’è qualcosa
d’altro che regola, che vale per tutti e due, come i semafori per il traffico romano. L’altro
comune come significato è fondamentale per la vita umana.

I fattori dinamici sono il fatto che la vita è tensione, movimento, tendenza, ricerca di e fuga da.
Nei rapporti e legami, il bisogno, la domanda e i desideri sono i fatto dinamici.

I legami si possono costruire, curare o distruggere, come con l’alterità immaginaria.

I legami dinamici e i legami convergono nella questione dell’amore è con la sessualità , e con la
perdita come condizione perché amore e sessualità siano vivibili. L’amore può essere
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invivibile, come gli erotomani che sono convinti che la ragazza li ami e lei dice di noi, allora
vanno sotto casa sua e l’ammazzano.

Avvisi. Studio: ci sono dispense al centro stampa. Si occupano dell’alterità simbolico,


narcisismo… poi ci sono articoli più teorici, come Ferita/mistero della differenza, che sta nel
volume Dialoghi sul mistero nuziale in onore del Mons. Scola che è interessante. Un articolo che
uscirà tra poco su “Il logos dell’agape” s’intitola Figli (naturali?) del logos è sull’amore.

Cambio di orario: il 6 e 7 novembre il prof non c’è.

venerdì 14 novembre 2008, 4° lezione

Ho saltato la lezione del 31 che devo copiare da Edimilson.

La lezione della settimana scorsa non c’era per assenza del professore.

Sintesi: cerchiamo di vedere le differenze della vita della soggettività umana, cioè vita di un
soggetto con tutte le sue differenze. La vita biologica di un soggetto comprende sia il lato
biologico, organismo, sia il lato del linguaggio e logos, lingua e parola. L’essere soggetto della
lingua, del significante, significato e senso cambia la natura concreta, la struttura della vita del
vivente umano, perché introduce nella vita e nell’esistenza umana dei fattori che aprono il
ciclo o i cicli di vita. Abbiamo visto il soggetto che è sempre anche fuori del proprio corpo, del
cerchio del proprio organismo. L’idea generale con cui guardare i diversi fattori spiegati in
questo corso è: andiamo a vedere in ogni fattore della vita umana che cosa è strutturalmente
differente rispetto alla vita non umana.

Questo è molto importante perché il libro di Conversazioni notturne a Gerusalemme del card
Martini ha molto impressionato il prof in termini negativi, perché ha parlato di umanità
cristiana, questioni antropologiche, in modo superficialità , come anche delle questioni morale,
con un così scarso senso della posta in gioco (il valore della questione). Tali questioni non
sono accademiche, con diverse opinioni irrilevanti, ma c’è un rischio importante nella vita
umana. Il rischio è un fattore importante della vita umana, implicito nell’idea di dramma; se
l’esistenza soggettiva è drammatica è perché è fatta di rischi, possibilità di perdere qualcosa,
cioè ciò che si cerca di guadagnare. La perdita è uno dei fattori essenziali dell’esistenza umana.
Anche Gesù Cristo lo dice “chi perde la sua vita per causa mia la trova e viceversa”: è una
logica della vita umana. C’è una logica nella vita umana. La vita è razionale o meno? Ecco una
domanda di fondo: c’è una logica nella vita umana? Se si, che logica è, come si presenta?
Abbraccia tutta l’esistenza umana o lascia fuori qualcosa o qualche parte dell’esistenza
umana? La differenza fra vita umana ed esistenza umana si può capire con la domanda: il
soggetto umano vive nel corpo o fuori dal corpo? Dentro o fuori? Entrambe? La casa si abita,
come il corpo che si abita? La casa nel simbolismo dei sogni sognare la casa è simbolo
inconscio del corpo. Noi abitiamo il corpo, anche se siamo nel corpo, siamo il nostro corpo.
Siamo nel corpo è esperienza incontestabile, infatti possiamo essere prigionieri del corpo, da
Platone a Eluana che verrà per fame di pensa che il corpo sia un certo tipo di prigione, una
casa che non permette di essere anche fuori di lì. Paolo questione siamo dentro o fuori del
corpo è molto importante, anche in riferimento sa Eluana: in che modo si è anche fuori del
corpo? Di che corpo parliamo? Quello reale, fisico, che sanguina, o se è o il corpo in altri
registri, il corpo immaginario, corpo in quanto riceve una forma, relazionato con l’immagine
dell’altro e di sé, oppure se è il corpo simbolico, cioè di cui noi parliamo, come il corpo-casa o
abitazione, che è pensabile solo come corpo simbolico. Abitare è una relazione simbolica. Il
cane non si pensa che abita il suo corpo, perché per abitare il proprio corpo bisogna in
qualche modo in qualche cosa distinguersi dal proprio corpo, cioè bisogna non essere soltanto
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quella casa. Si può dire che noi siamo il nostro corpo, ma anche che noi non siamo il nostro
corpo, con il quale infatti possiamo avere una relazione simbolica e non reale. Es relazione di
possesso verso la casa e verso il corpo: auto possesso è una relazione. Se vedo una casa non so
di chi sia quella casa finché uno non mi dice che è sua. La realtà della casa o il reale di quella
casa non mi dice che relazione ha con un soggetto, ma solo un soggetto può essere il padrone
di casa, il titolare della casa. Stiamo vedendo al questione corpo e anima. Ego = io = anima: noi
siamo il corpo, ma non solo.

Il cerchio del disegno sul quaderno, io o anima, è l’unità supposta completa delle funzioni,
come in Aristotele; per l’animale l’anima è nel cerchio, perché la vita e l’anima animale
coincidono. L’anima umana invece può dire “io”, cioè io è una particella del linguaggio. Ogni
lingua indica il soggetto nelle parole e nel discorso: io non è nulla di reale, cioè non dice
qualcosa che è prima di tutto reale, un organo, una cellula o un arto, che io posso incontrare
scientificamente, contro cui urtiamo, ma io è un significante del linguaggio con cui il soggetto
designa se stesso nel suo discorso.

L’io nel caso della vita umana non è dentro il cerchio biologico, non coincide con il cerchio
biologico della vita. Non è nemmeno fuori e totalmente da un’altra parte, perché nel dire io lo
dico con il corpo, con gli organi di fonazione e con le emozioni umane. L’io è anche fuori dal
corpo e dell’immagine del corpo. La forma del corpo dà i confini del corpo, che
nell’immaginario dà e segna i confini del corpo. La casa è luogo definito, con una forma
necessariamente definita, che segna un dentro e un fuori del nostro spazio. Posso essere
dentro caso o fuori casa, ma non tutti e due. Certe discipline scientifiche riduzioniste
contestano che l’io sia anche fuori del corpo.

L’io per il riduzionismo è effetto o epifenomeno di un funzionamento neurologico e cellulare.


Molti paradigmi scientifici funzionano in questo modo, anche la ricerca scientifica, ad es il
cognitivismo. Alcune linee di ricerca provano a spiegare i fenomeni della coscienza umana, del
pensiero, del linguaggio con solo fattori o termini di logica fisiologica o neurofisiologica, o
materiale, o informatica… l’io è anche fuori del corpo: questa affermazione non si fonda su una
disciplina scientifica, ma sull’esperienza che ogni soggetto ha del suo vivere e della sua
esistenza in quanto soggetto della parola cioè che ha relazioni simboliche, di linguaggio, con
l’altro. Diversi sono i tipi di relazione o alterità : reali e simboliche. Una coltellata è una
relazione reale fra il coltello e il mio corpo; reale, cioè succede davvero e devo farmi dare i
punti. Se ho fame e mangio la mela è una relazione reale: alterità reale.

C’è anche alterità immaginaria: alterità vuol dire anche tipo di relazione con qualcosa d’altro;
immaginaria significa non reale ma dell’immagine. Se il coltello era reale e produceva degli
effetti fisici, con rapporto reale, devo ammettere che la realtà è anche immaginaria. Significa
non che noi ci immaginiamo un altro, come una finzione o un sogno di qualcosa che non c’è, o
non corrisponde ad una realtà esterna. La fase REM è una realtà ma non esterna, di sole
immagini che vediamo: noi non intendiamo così immaginario, ma significa la realtà , l’altro in
quanto ha una forma, un’immagine che corrisponde all’immagine che io ho di me stesso. In
Alien o altri film dell’orrore si vede una forma di vita aliena, non umana, ma l’immaginario
umano è limitato, perciò anche gli alieni sono dipinti secondo immagini di questo mondo,
infatti sono come grossi insetti pericolosi, che spruzzano acido che scioglie anche i metalli.
Questo gioca sul fatto che le creature aliene possono sciogliere la forma dell’esistenza umana,
cioè loro stessi non hanno una forma umana, e mettono il loro uovo dentro le persone, poi
cresce ed esce dalla pancia e scappa via. Il film mette in scena il rapporto con una forma di vita
altra che non ha la forma umana, cioè non si relaziona con noi secondo la forma che
condividiamo, cioè secondo una forma comune, ma si relaziona con noi in modo reale
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 9

rompendo la forma umana. L’alieno è tale perché non entra in una relazione regolate
dall’immagine simile alla nostra, cioè non è in relazione che rispetta l’immagine comune: noi
non ci incontriamo su un’immagine comune, cioè io non lo riconosco come umano, come
simile a me. Se non so che cosa l’altro è significa che l’altro non ha una forma che io riconosco
come mia: questo è importante perché è un fatto dell’esistenza umana, per cui noi possiamo
avere una relazione che non sia solo reale, ma immaginaria, di affinità o similarità , solo con chi
ci appare umano. Le caratteristiche dell’immaginario umano sono particolari, non come
l’immaginario animale. Tutte le volte che un’unità vivente ci appare come non simile, non
umana, non sappiamo che cosa fare con quella realtà : esperienza traumatica e angosciosa-
angosciante.
2° ora

Una domanda: se penso di un altro che mi attaccherà o che abbia qualcosa contro di me, cioè è
mio nemico è paragonabile all’alien? L’essere alieno non può valere per la relazione con un
fratello? Alienità si traduce in impossibilità di relazione perché per me egli è qualcosa di
diverso da me, non simile, perciò non posso avere una relazione umana. Un’anoressica ha un
conflitto fra reale e immaginario: si vede grassa ed è magra, e il mostro o l’alieno è se stessa.
Allora abbiamo un esempio con un altro, un fratello, realtà esterna che ha la mia stessa
immagine ma io sento che è come se fosse un alien, un formicone con i denti, impossibilità
identità avere una relazione di similarità ; nel caso dell’anoressica non c’è una relazione
speculare con un’altra persona, c’è l’immagine propria che è davanti alla ragazza. Il problema
della ragazza è a livello della corrispondenza fra sé e l’immagine come immagine ideale: lo
vedremo. Il valore ideale dell’immagine è importante. L’idea di modello è immaginario ideale:
un modello è una figura o forma, insieme di tratti ed elementi insieme in una gestalt, appunto
una forma che io prendo come mio ideale = che è il mio modello, cioè la forma in io intendo
riconoscermi, che io vorrei assumere, è un dover essere che è anche un dover apparire a me
stesso, dover sembrare. Il modello o immagine ideale è l’immagine o figura con la quale e
attraverso la quale noi giudichiamo la nostra immagine, ed è importantissimo. L’anoressica si
guarda allo specchio, vede la sua immagine reale, ma la giudica secondo l’immagine ideale che
lei ha, per cui non è mai abbastanza magra e sottile. Il valore dell’ideale è impressionante:
tutto ciò che va sotto il nome di giudizio egli altri, immagine che gli altri hanno di me, un
campo di esperienza importante per la vita soggettiva, come l’altro vede e giudica la mia
immagine, cioè mia immagine come ideale per noi, vede sempre un ideale non realizzato, cioè
un modello sempre oltre: noi ci giudichiamo sempre mancanti rispetto al modello. Se noi non
mancassimo di qualcosa il modello non sarebbe più ideale. L’immagine ideale è sempre una
tensione, produce sempre una tensione.

L’idea di trauma è importante: un alien è traumatico. Il trauma è un colpo, un danno o ferita


per urto. Il trauma è il risultato o conseguenza dell’incontro, categoria centrale della vita
umana, con un reale o con una realtà che sfugge la nostra forma e senso, cioè che esce dalla
possibilità di dare a tale reale una forma e un senso: l’alien appunto. L’alieno non ha forma
umana forma, cioè è fuori del senso, cioè non so dire che cosa sia quella realtà . Non so dire in
che direzione va dal punto di vista vitale, cioè della mia vita, l’incontro con questa realtà . Un
racconto mitico basilare della nostra civiltà è Caino e Abele, relazione paradigmatica. Se io non
so cosa un fratello voglia, penso che mi sia ostile, cioè voglia qualcosa contro di me, non riesco
nemmeno a parlare con mio fratello, cioè cerco di evitare mio fratello come si evita un cane
che sembra arrabbiato o un pericolo reale come una macchina che passa mentre io sono sulle
strisce. Lo evito come un pericolo reale, perciò non posso parlargli, quindi non posso avere
con lui una relazione simbolica. Le relazioni infatti sono di conservazione di sé, per soddisfare
i bisogni vitali, come un frutto o un pollo; di evitamento del pericolo, sempre per conservarmi
in vita, e qui interviene la questione del trauma e del reale. Ciò che io incontro è un pericolo o
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 10

è un aiuto, qualcuno che soddisfa il mio bisogno, così che per vivere devo andargli incontro. Il
fratello simile a me simbolicamente, cioè il fratello, che dice una similarità o somiglianza
simbolica, non solo immaginaria. Anche l’amico o il nemico umano ha la mia immagine,
mentre fratello ha una somiglianza simbolica, parità in quanto siamo figli dello stesso padre.
Se vedo avanzare mio fratello devo decidere il senso di questo incontro, cioè cosa significa
questo incontro non nel senso del significato, che è “quello è un essere umano della mia
famiglia, mio fratello appunto”. Il significato è dire che cosa è quella realtà che mi viene
incontro. Il senso della presenza e dell’incontro è diverso, perché il significato riguarda la
realtà in quanto tale, cioè perché è quella realtà lì. L’alien è un essere alieno, cioè non so che
cosa sia, ma il fratello è una realtà come me. L’incontro con una realtà è prodotto dalla vita
singolare mia. Il significato di fratello c’è anche se io non lo incontro, cioè fratello significa
uomo figlio dello stesso padre e della stessa madre: lo posso dire anche se io non ce l’ho un
fratello. Il senso invece è legato non al vocabolario, come il significato, ma al fatto che io
incontro una certa realtà nella mia vita. La vita umana è specificata del modo in cui si
incontrano le realtà umane, fisiche, animali… se uno è handicappato dalla nascita, incontra
nella sua vita la realtà del suo corpo mutilato ed avrà il problema di capire cosa è questo
handicap o questa mancanza, o come vivere con quella mutilazione cioè avrà il problema del
senso per la sua vita di tale handicap. Il senso è una categoria particolare: non viviamo solo di
categorie universali, che sono fattori della nostra vita ed esistenza, ma vivere è incontrare
delle situazioni della quali dobbiamo decidere il senso che hanno per noi. Allora incontro mio
fratello: che senso ha questo incontro? Mi aiuta a vivere e mi dà un regalo, mi dice bravo, o mi
vuole ammazzare e mi insulterà ? La vita è decidere il senso, ma se non riesco a deciderlo, a
capire il senso, e l’incontro con mio fratello resta fuori dal senso, si produce una risposta
affettiva che è l’angoscia. Nel caso dei formiconi si produce l’orrore. Questi 2 affetti, angoscia e
orrore, si riferiscono in modi diversi all’incontro con un reale traumatico, che è fuori dal
senso, non so che senso ha per la mia vita, perché ad es quel reale distrugge un fattore su cui si
appoggia al mia vita.

Ne Il logos dell’agape il prof scrive un saggio si un giovane prete, 3° di 3 fratelli maschi,


giovane (27 anni circa), che aveva un ottimo rapporto con sua madre; un giorno sente la
madre che dice che lui era stato l’unico figlio che la madre non aveva programmato; il giovane
sentendo la madre dire così ad altri aveva avuto un effetto traumatico, e il rapporto con la
madre era cambiato: il senso del rapporto con al madre era cambiato. Non era più il senso di
un rapporto positivo con la madre in cui si sentiva appoggiato e sostenuto, ma con una madre
enigmatica, misteriosa, che non lo sosteneva più , ma era un fattore ostile, avverso, produceva
incertezza. Si poteva dire così: cosa vuole mia madre da me? Era andato in depressione. Lo
dicevamo per dire che sono bastate alcune parole dette dalla madre ad amici, senza qualcosa
di fisico, ma qualcosa di reale si, per fare un trauma al ragazzo: il suo modello ideale di vita,
l’immagine per cui lui si riconosceva nella sua vita, nelle sue scelte, per lui era caduta, non lo
garantiva più , non lo sosteneva più . Non sapeva più il senso delle sue scelte, della sua vita. Il
senso ha rapporto forte con il desiderio = non desiderava più = caduta del desiderio vitale =
depressione. Le parole hanno avuto impatto sul piano reale, sul piano dell’immagine e sul
piano simbolico, cioè non so più chi sono, il senso del mio rapporto con mia madre, con me
stesso e con Dio. il motivo per cui una frase così banale è stato fattore traumatico per un
tempo, infatti dopo il ragazzo ricomincia a lavorare per dare un significato a ciò che è successo
è un senso per lui all’incontro con ciò che è accaduto: è come un buco in un tessuto,
lacerazione di una maglia, trauma, che è un non senso nel tessuto, ricucito un po’ alla volta.
Occorre ricostruire il tessuto del senso e del significato, rifare la maglia, per poter vivere il
rapporto con quella maglia rotta. Deve ricostruire il perché (senso) di che cosa è accaduto
(significato) per ricucire il buco, altrimenti resta fissato al trauma e non ne esce.
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 11

Il simbolico sono le parole della madre che hanno cambiato la relazione con il figlio.

mercoledì 26 novembre 2008, recupero pomeridiano

Quadro di sintesi: reale, simbolico e immaginario sono i 3 registri dell’esperienza soggettiva.

Il simbolico è quel registro legato al fatto che c’è del linguaggio, del dire, cioè si dice, cioè del
logos.

Immaginario: è quel registro dell’esperienza legato strutturalmente al fatto che noi abbiamo
un corpo, siamo esseri viventi animali, abbiamo una percezione visiva, perché il corpo è unità
funzione di diversi corpi. La tradizione dice che angeli e demoni sono invisibili, perché non
hanno il corpo materiale. Noi non siamo solo visibili, ma se ci chiediamo come esistiamo nel
simbolico, lì siamo invisibili o meglio non visibili. L’immagine ha un posto nello spazio: la
nostra immagine è anche per noi ciò che ci situa o ci colloca nel mondo visibile, nel mondo
delle relazioni con la realtà . La nostra immagine è quel tanto di realtà condivisa per cui noi
possiamo condividere con gli altri la nostra vita.

Reale: si coglie con difficoltà , perché quando noi parliamo del reale ne parliamo, cioè siamo
nel simbolico. Il reale è oggetto di parola per ciò lo rappresentiamo nelle parole o con
immagini. Per dire il reale e per essere in rapporto con il reale abbiamo bisogno del simbolico
e dell’immaginario. Il messaggio di invisibilità a un ragazzo può venire dalla ragazza che
guarda sempre il suo amico e mai lui, perciò si può chiedere se la sua immagine ha qualcosa
che non va e può arrivare a chiedersi se esiste davvero, realmente. Il reale tra parola e
immagine si situa come una virtualità , cioè qualcosa a cui si tende e che non è mai presente in
modo nudo e crudo, perché la nostra esperienza è sempre annodata di simbolico, parole
significanti e significati, e di immaginario. Il reale è al limite dell’esperienza. Se dico “facciamo
che adesso entra un leone” noi ascoltiamo e non scappiamo, perché siamo a livello simbolico,
non reale. Il reale è quello che fa la differenza: alzarsi e scappare davvero. Se entra il leone, e
se anche noi non ce ne accorgessimo per la lezione, e non ci scomponiamo, non lo pensiamo
sappiamo o immaginiamo, potrebbe mangiare 3 studenti, cioè danni concreti, reali. Ciò che è
accaduto è accaduto davvero e noi non lo possiamo rendere non accaduto, perché il tempo
non torna indietro: questo è il reale, cioè qualcosa che è accaduto e non si può spostare,
evitare, o da rendere non accaduto, non reale.

Ci occupiamo della sessualità umana e legami famigliari, perciò vediamo queste categorie
nell’uomo: il corpo è reale, ha anche il simbolico, l’immaginario, ma è reale. Il funzionamento
interno del corpo per noi non ha immagine, è coperto e non ha forma, per noi, ma è reale, la
chimica e biologia ecc… e non ce ne accorgiamo o succede solo se mi fa male qualcosa. Il corpo
è reale. La sessualità fa problema nella vita umana proprio nel reale. Freud ha sempre detto
che la sessualità ha sempre qualcosa di traumatico nella vita umana. Il trauma è una delle
forme di presentazione del reale nella vita, perché colpisce il soggetto senza portare un senso
(cfr gli schemi). Il trauma è il reale, magari alien, nel momento in cui ci tocca, emerge ed entra
nel campo della nostra vita, ma isolato dal simbolico e immaginario. Un evento reale che entra
nella nostra esperienza non simbolizzato, che noi non riusciamo a capire. Simbolizzare = dire
che cosa è = dargli un significato e dargli un senso. Il trauma è il reale privo del simbolico. Ci
sono fattori reali che non possono essere simbolizzati completamente per diverse ragioni, che
vedremo, come la differenza sessuale.

Chi ha inventato la differenza sessuale? Dio? Si, perché Dio è il reale più reale di tutti cioè il
reale in massimo grado. Per noi Dio è Dio che parla, che si sottomette alla parola, come nel
discorso del papa a Regensburg, Dio dell’alleanza che è simbolico, infatti è anche logos. Però
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 12

per l’Islam il loro dio non è legato alla parola, non si allea con gli uomini. Il corano non è
un’alleanza, ma una rivelazione scritta tal quale. Molte religioni non hanno una divinità che
parla, che sia logos.

Noi non abbiamo inventato la sessualità , perciò non sapremmo come reinventarla, perché non
sappiamo come Dio ha fatto la differenza sessuale, che è un dato totalmente privo di senso. È
traumatica perché è un dato indeducibile, cioè non si deduce né si può dedurre da un altro
discorso, da premesse. Uno dei problemi dell’ideologia del gender è che è un tentativo di
ridurre l’insieme di ciò che è sessuale riportandolo a qualcosa che è inventabile, che si può
costruire, scegliere, inventare… cioè ruoli, immagine che uno assume su di sé, come Vladimir
Luxuria. Uno si assume una certa immagine che unisce caratteri sessuale diversi: infatti è un
trans. L’idea di gender è che la sessualità è fatta di elementi che si possono combinare,
assumere, costruire, cioè sono tutte azioni simboliche e immaginarie per evitare lo scandalo
originario della differenza sessuale, cioè che nella sessualità c’è qualcosa di non dedotto,
costruito o voluto, ma è un fatto che, come tale, di per sé, è privo di senso.

L’operazione del senso inizia nel bambino piccolo quando comincia a chiedersi che cosa ne
fanno i genitori della differenza sessuale? C’è un residuo reale, cioè la differenza sessuale non
è derivabile dal simbolico o immaginario, e ciò spiega il limite di ogni discorso sull’educazione
sessuale, che fallisce se pretende di rispondere adeguatamente alle domande del bambino.
Non sappiamo dire perché c’è la differenza sessuale. Non sappiamo dire che cosa è la
differenza sessuale, cioè sua la giustificazione è impossibile. Prima o poi si arriva a dire “c’è” o
è così e basta. Perché? Perché è così! Rispondo al bambino che fa 1000 domande, perché non
possiamo rispondere. Così al posto di ciò che non sappiamo, perché non siamo Dio, cosa
guarda il bambino guarda che cosa noi facciamo. Così il bambino guarda che fa il genitore
nella sua vita della differenza sessuale, cioè azione e passione, ciò che fa e subisce. La
sessualità non è comandata da noi. La sessualità è qualcosa che si impone a noi, cioè noi non
ne siamo padroni nel senso che non decidiamo noi se c’è o non c’è, ciò non possiamo evitarla,
perché è reale, cioè c’è per noi, ma non l’abbiamo inventata. Noi dipendiamo da quel fatto , che
c’è la sessualità , come dal fatto di avere un corpo, come dal fatto che se c’è un muro io non
posso passare, cioè è impossibile da evitare = è reale. Devo fare i conti con il reale e con le
condizioni che dà alla nostra vita. Ma perché è lì quel muro? Possiamo chiedercelo, che senso
può avere per me il muro?

Il corpo e il godimento sono parti del reale. Noi come soggetto siamo nel simbolico, anche se
siamo in tutti e tre. Il corpo e le pulsioni sono fattori reali, perché siamo viventi. Anche gli
animali sono viventi, ma nell’uomo si vede molto meglio: i viventi vivono, cioè la vita è il fatto
che tutte le operazioni che l’uomo fa terminano (sono destinati a) in una realtà , cioè c’è
sempre un destinatario che è il vivente stesso. Noi siamo anche recettori delle nostre stesse
operazioni vitali: ma ciò che riceviamo è bene o male? È buono o cattivo? Il vivente è
caratterizzato da avere delle istanze di soddisfacimento. Se tolgo il soddisfacimento tolgo la
vita. Senza una qualche soddisfazione le cose che faccio perdono di senso: è quando si fanno le
cose perché si devono fare, come se fossi una macchina, per un dovere stabilito, preso mi
chiederei perché vivo e perché sono al mondo. Cerchiamo il senso che soddisfi me. La
soddisfazione è senso. Il senso di compimento della vita è legato alla soddisfazione.

L’amore è una istanza di soddisfacimento enorme, perché l’amore implica anche il sacrificio,
l’agape, ma vale in quanto giustifica il sacrificio, cioè dà una soddisfazione al sacrificio, cioè dà
vita. Se fosse solo sacrificio sarebbe proprio brutto e succederebbe come nella società
vittoriana dei tempi di Freud, in cui non si facevano le cose a livello ufficiale, ma l’esigenza di
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 13

soddisfazione per l’essere dell’uomo è tale per cui succedono fenomeni di repressione
dell’esigenza che poi riemerge in sintomi corporei, del pensiero… cioè psicopatologie.

Dal punto di vista dinamico il fattore reale più importante è il godimento e istanza di
soddisfazione. Dobbiamo tenerne conto, perché la vita è un dramma, sempre è in atto e in ogni
momento deve decidere cosa fare identità stessa. Nella vita ci sono tutti i rapporti vitali con la
realtà , con gli altri, con l’altro sesso, con l’altro che parla… come si manifesta l’istanza di
soddisfacimento?

1. pulsioni

2. desiderio

3. domanda d’amore.

Il desiderio umano è un tipo di tensione che si mette in atto, infatti il vivente è in atto. Il
desiderio non ce l’hanno anche gli animali, non è solo biologico, ma è radicato certamente nel
corpo attraverso le pulsioni, ma è impensabile fuori dal discorso umano, cioè legame
simbolico (linguaggio). Ad es una teoria psicanalitica del desiderio dice che non è naturale in
senso naturalistico; la pubblicità è una retorica, arte di dire per convincere l’altro che lui
desidera, o anche farlo desiderare. Desiderare o essere convinti di desiderare è alla fine la
stessa cosa. Io desiderio quando sono convinto di desiderare (almeno per i desiderio
consapevoli). Io posso convincere che una grappa è desiderabile con la tv: non ho creato il
desiderio, perché se sono depresso non mi entusiasmo e non desidero la grappa, ma la tv ha
creato una determinazione del desiderio, cioè faccio pensare che un oggetto soddisfi il mio
desiderio.

Il desiderio non è il bisogno: questo è una mancanza fisica, il desiderio è tendenza


propriamente umana perché legata al logos (linguaggio); metonimia = tecnica per dire che un
prodotto è desiderabile, cioè può dare un nome al mio desiderio, cioè la grappa interpreta il
mio desiderio. Il desiderio il fatto più legato all’interpretazione di tutti. L’operazione di Cristo
è una enorme interpretazione del desiderio umano, sia nella modalità sia in ciò che ha fatto.
Solo Cristo sa che cosa desidera l’uomo disse Giovanni Paolo II, perciò si pone come interprete
del desiderio delle persone. Il desiderio prima di definirsi con un oggetto che lo determina e lo
interpreta magari anche male, il desiderio è “il desiderio” non “i desideri”, cioè il fatto che
l’essere umano desidera. Il desiderio è tensione a recuperare una parte di sé che si è perduta.
L’uomo è corpo umano, cioè corpo e logos, perciò il desiderio è il tentativo, o movimento, per
recuperare non un oggetto del bisogno, o organo reale del corpo (come mettere una protesi),
ma è desiderio di recuperare una parte dell’essere perduta definitivamente per il fatto di
essere rappresentati dal logos. Si diventa umani per la via dell’altro, del simbolico.

Noi immaginiamo il desiderio come un bisogno, fame, sete, “bisogno sessuale” se esiste, visto
che gli psicologici non sono d’accordo, cioè una mancanza reale di qualcosa, che è l’oggetto
che risponde al bisogno se ho sete devo avere acqua, non posso avere olio, perciò l’oggetto del
bisogno è solo acqua e questa placa il bisogno. Il desiderio invece si ravviva con la
soddisfazione dello stesso: il desiderio fa venire voglia di desiderare. Il desiderio è dialettico,
perché si può desiderare di desiderare e che l’altro desideri. Il desiderio dell’altro è
fondamentale per il desiderio umano, cioè un desiderio nostro molto forte è che l’altro
desideri per noi.

venerdì 28 novembre 2008, 6° lezione


BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 14

Il desiderio, fatto specificamente umano, ci interessa molto per la sessualità umana e per i
legami famigliari, legami umani nei quali la sessualità è da sempre inquadrata, legiferata. Il
desiderio lo vediamo in una teoria non naturalistica che abbraccia tutta l’esistenza umana,
basandoci sulla teoria psicanalitica. Cosa c’è di differente nella realtà umana rispetto alla vita
animale e alle relazione vitali nell’esperienza dell’animale. Se noi guardiamo bene le
differenze fra vita umana e vita animale dobbiamo considerare un registro dell’esperienza o
un fattore che ci fa parlare non più solo di differenze o diversità relative, ma di differenza
assoluta. L’esperienza umana è anche differenza con se stessi, come abbiamo visto, e se ne
parla nell’articolo Ferita mistero della differenza in “Dialoghi del mistero nuziale” curato da
Marengo.

Teoria non naturalistica perché in nessuna teoria naturalistica si può parlare di differenza da
sé; la totalità dell’esperienza umana per Balthasar non si circoscrive mai in una buona forma
che riposa in se stessa. L’esistenza umana è caratterizzata dal fattore simbolico, il logos, il
significante, che introduce la differenza come differenza anche da sessualità stessi. L’idea di
forma non rende conto di questo, cioè che non si può abbracciare la totalità dell’esperienza
umana di un essere umano, nemmeno da parte del soggetto stesso: l’atto con cui cerca di
abbracciare la sua esperienza, di fare un cerchio attorno alla sua esperienza è esterno al
cerchio, ex-siste al cerchio, cioè sta fuori.

Il rapporto con se stesso, con la vita e con la realtà è coinvolto in quello che sto dicendo. In
campo morale vediamo la colpa: confessione sacramentale; Paolo dice “nemmeno io mi
condanno” e stiamo riferendolo ad un penitente: io accuso i miei peccati come male, ma non
posso applicare a me stesso la mia condanna. La psicopatologia mostra meglio ciò di cui si
tratta. Alcuni penitenti si accusano ma esagerano nell’accusa, cioè si accusano e si
condannano. La confessione è per essere perdonati, allora perché ti condanni? Depressione
melanconica: io sono uno schifo, non riuscirò mai… cioè la persona è più interessata
all’autoaccusa melanconica che alla assoluzione. Una sua paziente sente falsa la sua
confessione perché la sua colpa non è redimibile, assolvibile. Il perdono viene dall’altro per
definizione: non ci possiamo perdonare da noi stessi, perché da noi stessi possiamo solo
condannarci perché sappiamo ciò che deve essere fatto e che abbiamo fatto i contrario:
abbiamo fatto il male e il male è da condannare. Se noi come penitenti cerchiamo di
abbracciare la totalità della nostra esperienza e ci prendiamo in un cerchio che comprenda
tutta la verità della nostra posizione siamo colpevoli e basta, perché tagliamo fuori il rapporto
con l’altro che può dirci “io ti perdono”. Cioè pensare di circoscrivere la totalità è come tagliar
fuori l’altro.

C’è qualcosa che non fa parte del tutto (delle colpe) ma che fa parte dell’esperienza della
persona: è l’atto con cui la persona si rivolge all’altro per il perdono. Quell’atto non fa parte
delle colpe e degli atti che uno racconta, ma è il fattore decisivo che qualifica ciò che uno sta
facendo, cioè dice cosa uno sta facendo. Tutto ciò che noi possiamo fare in una relazione con
un altro è il passo in più , l’atto che determinata ciò che la persona vivrà . L’atto in più è in più
rispetto alla totalità circoscritta. Se uno dice “io sono uno schifo, tutto ciò che faccio non è
all’altezza… io so che non tutto, perché il fatto che tu sei qui a parlare con me è fuori dal tutto
schifo e male”. La dimensione dell’altro come differenza e la dimensione dell’atto sono solidali,
insieme, perché non si può concepire una dimensione senza l’altra, ed entrambe sono
specifiche dell’esperienza umana. Un animale non può compiere un atto: facciamo un es. Il
cane porta il guinzaglio al padrone perché vuole uscire. È un’azione, ma è un atto? L’azione
canina è un fare, cioè fa qualcosa che ha una forma, non è un movimento inconsulto, ma è un
agire con struttura e forma. Questa azione è costituita da elementi che l’essere umano ha
inserito nella relazione, come il guinzaglio, cioè elementi significativi per l’essere umano. È
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 15

un’azione già umanizzata, in un certo senso. Quest’azione che cosa realizza? Il cane usa dei
segni come il guinzaglio, associati alla soddisfazione di un suo bisogno, in una relazione con il
mondo strutturato secondo le esigenze dell’umano. Se il cane vuole vivere con l’uomo deve
prender un guinzaglio, e il cane usa il segno impostogli perché il padrone risponda al suo
bisogno come ha fatto altre volte. Quest’azione è una delle più vicine ad un atto che possiamo
immaginar. Non riguarda uno schema istintuale primario, è uso di una realtà come se fosse un
segno naturale della soddisfazione del bisogno che viene dall’altro umano. Ma è l’Altro come
nella confessione? Non lo sappiamo, cioè sappiamo che non è così, ma diciamo che non
possiamo saperlo perché il cane non ci può dire per lui il senso di quell’azione. Il senso “vuole
essere portato fuori” lo attribuiamo noi, perché sappiamo che il padrone è un altro reale che
comanda la soddisfazione dei suoi bisogni, ma non ci dice il cane che significhi questo per lui,
non per i suoi bisogni, che più o meno ce lo mostra, ma per lui come essere. Non ci parla di lui
stesso, non ci dice in che modo il suo essere dipende da questa azione che compie. Cos’è
questo essere? È l’essere che noi possiamo dire, cioè il nostro essere in quanto dipenda da ciò
che noi e l’atro possiamo dire di noi.

L’altro umano per il cane non è un Altro o un altro simbolico, perché per il cane non dipende
dall’altro né dal linguaggio il suo essere e il significato e senso del suo essere. Un es ulteriore
sulla differenza fra atto e azione. Cesare passa il Rubicone presso Rimini e sfida Pompeo. Io ho
attraversato il Rubicone ogni volta che sono passato da Rimini ad Ancona, cioè l’azione di
passare il Rubicone l’ho fatta 100 volte, ma non facciamo l’atto di passare il Rubicone che ha
fatto Cesare: la differenza è che l’atto modifica il soggetto. Il soggetto dopo quell’atto non è più
lo stesso soggetto di prima: è la stessa persona, Giulio Cesare, ma è Cesare che ha sfidato
Roma con le legioni, cioè aveva fatto qualcosa che aveva un significato simbolico, cioè
diventare un nemico di Roma. C’è una condizione simbolica, la legge del confine al Rubicone,
che dà un certo significato all’atto di attraversarlo con le legioni, per cui il soggetto Cesare che
decide di compiere quest’atto diventa il soggetto che ha attraversato il Rubicone, tanto che
anche oggi Cesare è rimasto per sempre colui che ha passato il Rubicone.

Per la confessione sappiamo che il peccato è tale perché è un atto: l’azione peccaminosa si
inscrive nel soggetto e perdura. L’assoluzione non cancella il fatto che noi abbiamo fatto
quell’atto: è un segno o azione della grazia per la quale quell’atto che abbiamo fatto e che è
peccaminoso, che ci porta alla rovina, diventa un fattore di salvezza, ma non può togliere
l’atto, perché non si può togliere. Qualcuno vorrebbe prendere le cellule con i ricordi dell’atto
e toglierle, per togliere il ricordo, ma l’assoluzione non è togliere l’atto fatto, ma è molto di più ,
è segno del potere di Dio, che trasforma un atto ormai fatto verso la rovina in un passo verso
la salvezza. “Tutto coopera al bene per coloro che amano Dio”, dice Paolo, e s. Agostino dice
etiam mala, etiam peccata, cioè anche i mali e i peccati, ed è possibile perché anche il peccato è
un atto, che si iscrive nel reale del soggetto. Come ciò coopera la bene? Perché il peccato è un
atto, si incide nella realtà del soggetto e perché il soggetto ritrova l’amore di Dio, cioè fa un
atto d’amore verso Dio in più , al quale Dio lega il suo perdono, cioè che Dio avalla.

Si può trasformare un atto in un’azione? Ad es nel campo di sterminio l’uccisione metodica


delle persone è vissuto come un’azione non più come un atto? Il campo è una struttura di
relazione sociale, particolare, ma organizzata, e sembra che il valore di atto che l’azione
prende sembra scomparire. Fatto a casa propria o nella loro comunità i nazisti l’avrebbero
considerato un omicidio, con senso di colpa, ma al campo si ripete l’atto e diventa
un’abitudine e quasi non trasforma il soggetto. Che dire? Non tutti gli atti sono uguali. Il
campo di concentramento è l’es più fondamentale negli ultimi 100 del tentativo di far
funzionare un discorso sociale, un ambito di rapporti sociali (perché non è una comunità ma
un modo di funzionamento sociale) nel quale non abbia più rilevanza la dimensione di atto
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 16

delle azioni. Se l’atto è ciò con cui il soggetto passa nel reale e cambia, l’atto può essere solo
individuale. Da circa 100 anni si tende ad organizzare i rapporti sociali su una base funzionale,
di funzioni o compiti nei quali non conti l’aspetto personale, di atto, si sensibilità morale, si
sensibilità umana, relegati nel privato della coscienza individuale. Questi aspetti quali l’atto
del singolo, sono visti come un problema del singolo, personale, come la sensibilità umana del
singolo. I nazisti hanno sempre detto che eseguivano ordini come difesa: dicevano “voi ci
accusata di aver compiuto atti criminosi, ma noi non eravamo persone che agivano atti
criminosi, ma eravamo delle rotelle che facevano quello che dovevano fare per il buon
funzionamento di questa macchina sociale – campo di sterminio – che sarebbe buon
funzionamento a prescindere dal fatto che la macchina funziona con la benzina della morte. Io
singolo nazista sono nella macchina sociale e partecipo al mio dovere obbedendo agli ordini,
cioè io assicuro il buon funzionamento della macchina indipendentemente dai fini della
macchina. Il mio fine o lavoro è eseguire gli ordini.

McIntyre fa una critica all’emotivismo del nostro tempo: ci sono 3 personaggi che incarnano le
personalità morale della nostra società , cioè il ricco esteta, il manager ed il terapeuta. Noi
vediamo il manager, perché il terapeuta oggi è ridotto al manager. Egli è colui la cui azione
deve essere ben fatta, ma non ha la responsabilità dei fini ultimi dell’azione, cioè il manager
deve sapere come si svolge bene un compito, ma non il perché. Il manager è il perfetto capo
del campo di sterminio: “io devo far funzionare questa macchina, che c’entro io con il fine
ultimo, non è il mio problema come soggetto “io” dei miei atti voglio o non voglio fare
quello’atto”. Il terapeuta oggi è come un manager, infatti i servizi sanitari sono oggi
organizzati come un campo di concentramento: questo è stato un esperimento scientifico
straordinario per organizzare le strutture. Noi soggetti della Chiesa ci poniamo il problema
degli atti soggettivi: se un medico chiede l’obiezione di coscienza sta cercando di riportare la
dimensione soggettiva e morale nel discorso di organizzazione, cioè nel campo si
concentramento. Infatti l’obiezione di coscienza è molto avversata, perché “tu devi obbedire ai
compiti che la legge ti dà ” e se non sei d’accordo per la tua religione, è un problema tuo
singolo, non ha una rilevanza sociale, per il legame sociale. È la stessa logica del campo di
concentramento: riemerge Max Weber, con i discorsi della competenza e della politica come
professione. I competenti devono agire in una certa maniera, cioè la competenza è un fatto di
sapere, non si coscienza. La tecno scienza è questo discorso medesimo: la scienza si pensa
come un gruppo di competenti che cercano un sapere che non ha alcuna rilevanza morale,
fuori dall’etica. L’universalismo scientifico (parola suggerita dal prof a Scola) è la presa che ha
la tecno scienza nel discorso sociale, tanto che un medico non d’accordo sull’aborto gli si dice:
non lo vuoi fare? Fai altro… ma nel servizio si fanno solo aborti, quindi… licenziati.

Nessuno può vivere senza l’altro, siamo legati all’altro, è conseguenza del logos e del
simbolico: dipendiamo dall’altro per il nostro essere, a differenza del cane e del guinzaglio; noi
dipendiamo dall’altro per il nostro stesso essere, tanto che l’altro ci dà l’essere in qualche
modo. Ecco perché non si può dire al nazista che è un criminale solo lui, perché tutta l’USA e
Russia e occidente ha fatto della sua società una realtà basata sul discorso del manager… il
nostro essere dipende dal simbolico, cioè dal significante, dal senso. Se io dico a cane: “cretino
perché mi porti il guinzaglio, non vedi che leggo il giornale” il cane si rallegra perché il
padrone si è accolto di lui e non si offende. Se però un padre lo dice al bambino che viene con
il cappottino perché vuole andare a spasso, l’effetto è molto diverso, che non dire “bravo,
andiamo a spasso”. L’effetto non è quello reale, perché ancora non è successo nulla, ma è
diverso il senso che prende per il bambino la sua presenza al padre, o la presenza del padre
per lui. Non è una cosa fisica, è il senso del suo esserci (da sein), che cosa è lui per il padre in
quel momento. Dalla parola della madre dipende chi è lui, cretino oppure bravo. Ma chi è lui
non è sempre uguale, cioè uguale a se stesso? Lui è lui, no? No, perché solo nel reale il
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 17

bambino è lui stesso, ma cambia qualcosa a seconda della risposta del padre cambia l’essere
del destinatario del messaggio, cosa che significa che l’essere dipende in qualche modo dal
messaggio, che gli ritorna indietro dall’altro a cui aveva mandato il suo messaggio di richiesta
nel portare il cappottino. Il soggetto umano viene all’essere (che non è il reale) per la via del
senso, cioè viene ad un certo ordine di realtà che è il simbolico, cioè viene ad essere attraverso
il senso, rappresentato nella parola dell’altro. La parola, il linguaggio è dell’altro cui noi ci
rivolgiamo, a cui indirizziamo la nostra presenza, altro di cui domandiamo la presenza. Il
soggetto dipende dal senso, dalle parole che l’altro usa per rappresentarlo, ha una realtà in più
del cane: l’individuo entra in un ordine di realtà diverso, quello del logos, del linguaggio, che
non è il reale, ma un ordine di realtà che il simbolico crea. Per il bambino può essere più
decisiva la risposta del padre, anche che gli dica cretino, purché lo faccia essere, esistere nel
linguaggio, perché lo faccia presente, lo faccia essere.

Un padre torna a casa e dice alla moglie, presente il figlio di 1,5 anni: “dove hai trovato questo
bambino, al mercato?” e il bambino scoppia a piangere: che è successo? Che il padre si è
rivolto alla moglie e non al bambino, perciò c’è stata una cosa che non c’è stata, la parola
rivolta al bambino; e in più ha parlato del bambino come di una cosa trovata, perciò che
poteva anche non esserci, cioè le sue parole non hanno riconosciuto o hanno disconosciuto il
figlio, che si è sentito non riconosciuto o smentito nel suo essere, anche se non gli ha dato una
sberla, ma ha fatto una battuta carina, ma nel simbolico sono ha portato effetti sul bambino,
anche sul suo corpo, infatti ha pianto, ma effetto diretto sull’essere del bambino, ciò che la
parola riconosce o meno, cioè qualcosa a cui la parola dà o non dà un senso. Un senso negativo
è meglio di nessun senso: è più importante dare un senso che darlo positivo.

Nei discorsi umani c’è sempre il posto dell’Altro: tutti i legami umani sono legati tutti sulla
parola e sul simbolico. Il soggetto viene ad esistere per la via del senso e del simbolico, cioè è
rappresentato dentro il linguaggio. La parola è sempre formulata nella lingua che supponiamo
essere comprensibile dall’altro. I nostri stessi pensieri formulati sono dentro e fuori di noi,
sono formulati dentro l’altro. Anche nel nascere il logos è fuori di noi, i genitori e gli adulti, che
ci inseriscono dentro il linguaggio. Molto più di uno scimpanzé il neonato è dentro il discorso
dell’altro. Il manager mette al posto dell’altro non un soggetto, mette un oggetto un alius, non
un alter. Noi viviamo in questa società , per questo dobbiamo saper come rispondere a questa
società che toglie il soggetto.

05/12/2008

La sessualità fa parte del dramma dell’esistenza umana.

Polarità antropologiche
 individuo/comunità
 uomo/donna

In gioco è qualcosa della natura stessa del soggetto, della sua realizzazione, della sua
soddisfazione come essere.

Il soggetto e l’altro
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 18

la borsa la vita
Soggetto Altro

L’essere il Il
senso
(il soggetto)
non (l’Altro)

senso

L’essere e il senso non possono stare totalmente assieme né si traducono totalmente l’uno
nell’altro, c’è un punto di alternativa in cui l’una eclissa l’altro e che fa il prototipo del
dramma del soggetto.

[C’è una perdita di essere nel confronto con l’Altro.] Il soggetto nascendo al senso nel campo
dell’Altro subisce questa perdita di essere e il soggetto appare sempre non come un pieno di
essere ma come una mancanza ad essere. Ma anche il senso poi subisce un’eclissi parziale
ad opera di quella parte di essere perduta che resta/ritorna come non senso. Per questo
l’intersezione tra soggetto e Altro è anche il luogo dell’oggetto del desiderio cioè della parte
di essere che nel desiderio il soggetto cerca sempre di recuperare.

C’è sempre qualcosa di non senso fra il soggetto e l’altro. Il soggetto non è mai soltanto
soggetto [soggetto = colui che fa, ma essere soggetto ha anche un significato di essere
soggetto, cioè stare sotto, essere p.e. sotto un padrone]. C’è qualcosa nella nostra vita di essere
soggetti (con un senso) che resta, che cade, che non ha senso, che non sappiamo. [Nella
psicoanalisi questo è l’inconscio.] (P.e. i cappelli rossi del bambino – ha senso per la madre,
perché fa ricordare suo zio, ma non ha senso per il figlio: è solo attraverso l’atro che ha senso.)

Non abbiamo inventato la sessualità – la differenza sessuale è qualche cosa che è difficile
spiegare in termini senza cadere nella tautologia. La persona (l’individuo) non è la comunità
ma può esistere senza la comunità ? – no! Ci sono i legami umani e l’individuo non può essere
senza il gruppo, la comunità : egli fa parte della comunità . Ma un individuo è solo una parte
della comunità ? – no! – non si può ridurre l’individuo a questa! L’individuo non può essere
indipendente: non dipende dall’individuo il legame che egli ha con l’altro/la comunità .
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 19

Perché i sessi sono due? Come? Sono come due circoli separati? No. Cos’è il sesso vissuto, il
sesso soggettivo? Parliamo invece di gender, ma il gender definisce il mio sesso? Quando i
segni esteriori non sono chiari, fa una differenza? No, il sesso non dipende da noi. Ma come
riconosciamo le cose? Non dipende da noi: il legame – questo è inconscio (- il cromosoma, è
inconscio? No. È reale, fa parte dell’individuo organico, non dell’individuo in quanto fa parte
della comunità ). A volte c’è un senso di inadeguatezza – perché essere uomo è anche una cosa
simbolica (p.e. Federico è più maschio che Giacomo). Cosa dipende dire una persona è
maschio? L’organo maschile, fallico? La differenza sta nel fatto che c’è altro, non che c’è «uno».
Le società hanno tentato di vedere il fatto dei sessi, di regolare il comportamento fra questi
sessi, ma se bastasse questo? Perché hanno fatto le leggi per regolarono questo? Non basta il
fatto organico! Perché i individui (soggetti) dentro i legami con l’altro, sappiano e vogliono
comportarsi in un certo modo. Il legame con l’atro fa apparire che qualche cosa è perduto. Ciò
che fa legame con l’altro – il legame con l’altro non dipende da noi. Nella nostra cultura e altre
sono miti che raccontano questo: p.e. nella Gn. – Dio fa Adamo dormire → qualcosa inconscio;
Achille, fu creduto invulnerabile perché sua Madre ha messo dentro un fiume di acqua magica
ma ella l’ha tenuto dal tallone – il suo punto debole – il punto in cui egli fa legame con l’altro.

venerdì 12 dicembre 2008, 9° lezione – 3 ore

Riassunto terminologico sulla sessualità umana e legami famigliari.

Sul piano del simbolico si ha il fattore/dimensione della domanda che è essenziale nei legami
in quanto legami d’amore. Gli schemi sono al centro stampa. La sessualità dell’essere umano
non è mai del tutto staccata dal registro dell’amore. Oggi gli uomini cercano o hanno cercato
nella storia delle civiltà di staccare la sessualità dalla dimensione dei legami in quanto legami
di amore; oggi cercano di faro coltivando l’idea di una attività sessuale che sia come la
soddisfazione di un bisogno, cioè separato dai legami di amore e da noi l’ottica consumistica
propone oggetti di soddisfazione alle pulsioni. In civiltà di stampo buddista si separano sesso
e amore, tanto che il Dalai Lama dice che tutti hanno impulsi sessuale che procurano un sacco
di fastidi, impediscono la pace dell’animo, perciò non è consigliabile rincorrere questo tipo di
soddisfacimento. L’idea centrale del buddismo è che esistenza è dolore, perciò esistere come
individui è dolore. Lo scopo o etica fondamentale del saggio è di liberarsi dal dolore, il saggio
deve liberarsi dall’esistenza, ma non suicidandosi, perché uccidersi non toglie l’esistenza, ma
fa reincarnare in una forma di esistenza meno alta, perciò ci si libera dall’esistenza (buddismo
è saggezza più che religione, e ricorda all’uomo oggi che l’esistenza non è senza dolore, mentre
la nostra società coltiva il mito e l’idea che possa esistere un piacere senza che sia intaccato
dal dolore, ma come si vede nei nostri schemi di venerdì scorso, ove invece di borsa metto
piacere e di vita metto dispiacere, mi accorgo che ogni piacere è intaccato dal dispiacere,
sempre: ciò che manca al piacere è strutturale, cioè non si può eliminare, ma la società non
vuole sapere nulla del dispiacere). Molti miti sessuali, visto che il sesso è forma di godimento e
consumo proposto come via per realizzare la separazione fra piacere e dispiacere. Avevamo
scritto che borsa e vita è la scelta necessaria fra essere e senso, nel senso di scelta necessaria
imposta dall’esterno, come i briganti che dicevano o la borsa o la vita: non puoi tenere tutte e
sue, devi scegliere. Se tengo la borsa gli do la vita e perdo anche la borsa, perciò se perdo la
vita perdo anche la borsa. Se voglio tenere la vita devo perdere la borsa, quindi avrò una vita
che è un po’ meno di una vita, cioè manca di qualcosa, vivo, ma non è la vita piena, è un po’
“smangiata” con qualcosa in meno, cioè non un cerchio, ma un cerchio con un morso. È una
logica interessante perché mostra come la scelta non è equivalente, cioè fra 2 oggetti separati
e distinti ma equivalenti.
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 20

Nel desiderio cerco di recuperare qualcosa del mio essere cioè la borsa rappresenta la
pienezza dell’essere del soggetto, ma l’esistenza, proprio perché c’è il simbolico, il linguaggio,
mette il soggetto in questo tipo di scelta, fra borsa e vita. Una delle radici del dolore per il
buddismo è il desiderio, tanto che la vita diventa purificazione dal desiderio. Ciò è molto
diverso alla soluzione cristiana che non vuole liberarsi dal desiderio, ma prende sul serio il
desiderio fino in fondo e andare incontro al sacrificio per avere qualcosa di più , cioè si perde
qualcosa per avere un essere in più , la salvezza, la comunione con Dio, la vita eterna, la vita
trinitaria… questo di più implica il rapporto con l’altro, non è un di più che dà una pienezza del
mio essere individuale in quanto individuale, ma per la via del rapporto con l’Altro. Cristo
stesso in quanto persona della Trinità il rapporto con l’Altro che è il Padre è fondamentale,
tanto che cede una parte essenziale della sua pienezza riconoscendola come appartenente al
Padre, all’Altro. Il 1° punto del CCC è il desiderio in quanto desiderio di Dio, cioè homo capax
Dei. Il desiderio nella sua struttura è desiderio di Dio, non a livello coscienza, ma comunque,
sempre, prima della rivelazione di un monaco che ti fa capire che è Dio che desideri, cioè non è
desiderio di Dio quando uno si fa un’idea consapevole che Dio è oggetto determinata del suo
desiderio, ma per s. Agostino è desiderio di Dio l’inquietudine umana, cioè il desiderio è per
struttura desiderio di Dio, anche se uno non lo sa tematizzare. Gesù interpella le persona che
incontra e si pone come colui che risponde al desiderio e alla domanda umani, cioè al grido
che sorge dalla condizione umana, nella forma determinata può essere il perdono, come
l’adultera, o la liberazione dalla morte e dal bisogno, dalla tirannia della morte, come il figlio
della vedova di Nain… la domanda determinata chiede di liberare da un male ma nel
frattempo chiedono indeterminatamente la salvezza, la vita eterna, infatti anche Lazzaro dopo
che è resuscitato muore di nuovo e basta.

Con la rivoluzione francese al scelta borsa o vita è stata trasformata in libertà o morte, infatti
Robespierre ammazzava tutti… la domanda o scelta fondamentale che la civiltà
contemporanea pone è fra libertà e morte, infatti si dà la morte con eutanasia. L’unica libertà
che resta è la morte, cioè uno si afferma come libero solo se sceglie di morire.

Per i cristiani il desiderio è la traccia reale ed effettiva che c’è l’altro, cioè la traccia perché
l’altro scava una mancanza nel soggetto, un’indentatura, e il desiderio è una forma di
mancanza, struttura fondamentale della vita umana. L’essere umano si distingue per il tipo di
mancanza particolare, rispetto alle mancanze della vita animale, cioè la mancanza infinita,
perché prodotta dal simbolico, dal logos, dal linguaggio; vivere significa mancare
continuamente di qualcosa. A livello animale vivere = mancare di sostanze nutritive, o bisogni
sessuali che fanno compiere azioni specifiche per soddisfare il bisogno sessuale ed è finita lì.
La sessualità si moltiplica nel desiderio, nell’uomo, e lo spazio del bisogno sessuale non è
limitato. L’essere umano si capisce che tipo di umano sia da ciò di cui manca, non da ciò che
uno ha. Quando uno vive ripristina la sua mancanza, il morto non ripristina più nulla. L’essere
umano si riconosce perché manca di Dio. Peter Singer dice che è più persona uno scimpanzé
cucciolo di un essere umano, perché è più realizzato, funziona di più . In realtà ciò che
caratterizza un vivente non è ciò che ha, ma ciò che non ha: i geni dello scimpanzé sono al
97% come quelli umani, ma ciò che lo distingue è ciò di cui manca, ciò che non ha. Il problema
non è quali geni ho, ma è cosa faccio dei miei geni, dei miei componenti, cioè la questione è
dinamica, come vivo, non cosa ho.

Vita per l’animale significa bisogni più o meno organizzati che producono schemi istintivi. Per
l’essere umano non si parla di istinti, ma di bisogni, ma soprattutto domande e desideri, cioè
due fattori della vita umana soggettiva, uomo in quanto soggetto, perché l’animale non si
presenta con il suo nome e cognome, cioè non dice io. L’animale nel suo vivere non dipende
dal linguaggio, a livello soggettivo, ma dipende oggettivamente dal nostro linguaggio se noi lo
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 21

chiamiamo. Se dico a una scimmia che io chiamo Cita “Carolina” non si offende, ma se io
chiamo Pietro “Carlo” si offende, perché lì è soggetto. Il cane non si chiede se il padrone lo ama
più della moglie, o se i due si separano e se per colpa sua, cioè il significato del discorso
dell’altro non determinata il cane come soggetto, ma l’uomo si. Ciò che accade nel discorso
dell’altro, come ad es il padrone che ama il cane ma lo disprezza… stiamo facendo es come per
il bambino, il cui venire all’essere per la via del senso dipende dall’altro. Quindi l’essere
umano manca sempre dell’altro, quindi l’essere umano anche nel desiderio porta la traccia
dell’altro. Qualcosa di essenziale del suo essere come soggetto gli viene o deriva dall’altro, si
decide nell’altro. L’arricchimento nel rapporto con l’altro passa sempre attraverso una
perdita. Se vogliamo consistere di noi stessi, cioè cerchiamo di essere un cerchio completo,
sentiamo e viviamo come una perdita e mutilazione il fatto che l’altro ci toglie qualcosa. Non è
gratis l’arricchimento nel rapporto con l’altro, cioè bisogna dare qualcosa, e per un vivente
dare qualcosa produce una ferita (cfr ferita, mistero della differenza). Io posso desiderare e
oggettivamente cerco di recuperare, mi muovo verso l’altro, desiderio generato dalla
mancanza che l'altro produce in me, ma io posso cercare di rimediare alla perdita, consistendo
con me stesso, cercando di essere uno con me, consistente.

La vita, la struttura dell’esistenza è drammatica, cioè uno deve sempre scegliere, c’è una scelta
che è obbligata: siamo costretti a scegliere. Dove c’è scelta c’è dramma, perché la realtà del
soggetto si decide attraverso la scelta, perciò necessariamente c’è dramma. I bambini autistici
per qualche misteriosa ragione, in parte insondabile, perché decisione del soggetto, fanno di
tutto per vivere come tenendosi fuori dalla scelta del parlare: sceglie di non entrare nella
parola. Non parla, non impara a parlare, o se parlano lo fanno senza pagare il prezzo
soggettivo del parlare, cioè “scelgono” in modo insondabile di non scegliere, ma in realtà
anche per loro oggettivamente scelgono, perché soggettivamente cercano di stare fuori della
parola, ma oggettivamente subiscono gli effetti della loro scelta. Ad es al ladro che chiede la
borsa o la vita io posso restare paralizzato: soggettivamente io non sono quello che sceglie,
cioè non compio un atto, ma il ladro mi prende la borsa o mi prende la vita, cioè io subisco gli
effetti di ciò . L’autistico può situarsi fuori della parola a livello soggettivo, ma nel reale subisce
gli effetti della presenza dell’altro e del suo non potere scegliere.

Se sono in crisi maniacale mi sento un Dio, mania è il contrario della depressione, i limiti della
realtà non esistono per me, infatti ogni posizione maniacale è difesa attraverso una negazione
di una perdita, o della necessità della perdita. La perdita è inflitta dalla realtà , dall’altro, mi
costringe ad affrontare; in crisi maniacale nessun limite mi può fermare, perciò anche se non
ho i soldi per comprare la Ferrari la prendo a credito, e poi si vedrà … come fanno le mogli di
solito. Anche i figli sono un arricchimento che passa attraverso una perdita, infatti anche il
parto è momento depressivo per la donna, con la depressione post partuum, ma anche le
sfumature depressive legate al fatto che alla nascita del figlio la donna perde qualcosa di sé,
cioè perde il suo essere. Per alcune donne la psicosi si scatena al parto, psicosi puerperali,
perché c’è una perdita reale, che il soggetto non riesce a simbolizzare come qualcosa di
desiderabile. La psicosi puerperale è tipica della donna che perde qualcosa in sé, perde il
bambino in un certo senso… perde il sangue a livello simbolico. Se la donna avesse più paura
di perdere il sangue che il bambino è perché considera il bambino come una parte del suo
corpo, come il parto. In un certo senso il parto è arricchimento, perché il bambino nato è
guadagnato, cioè il nato è presente come un soggetto in più , un altro. Cioè prima era
simbolicamente altro, ma alla nascita diventa realmente altro, e costringe la madre a scegliere
se il bambino è altro o è parte del suo essere, cioè lo considera e tratta come altro o come
parte di se stessa? Il parto è immaginato come qualcosa che fa uscire l’essere del bambino
dall’essere della donna, anche a livello corporeo, cioè l’immaginario e reale del parto è che si
hanno due esseri e non più un essere. Come si può pensare un uno che diventa due? È
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 22

l’impossibilità di essere uno con il bambino, e con se stessi e con l’altro. Nel momento in cui
nasce il bambino diventa altro e si porta via un pezzo di essere, la famosa indentatura, il vuoto
della nascita. Qui si pone la scelta del soggetto: io sono arricchita o impoverita da questo
bambino che mi è nato, che mi complementa facendo l’unione di due cerchi, come in figura, o
sono impoverita perché sono indentata e mi manca qualcosa che prima c’era? Così avviene la
depressione post partum quando si sceglie la perdita. C’è sempre un momento depressivo nel
realizzare la perdita a livello simbolico, cioè capire e scegliere che cosa è il figlio a livello
simbolico, perché non è più un valore in più dentro di me, cioè che cosa è ora il bambino e
cosa sono io? La simbolizzazione è: come posso io mantenere e conservare un valore vitale
(un valore fallico) ora che non posso più averlo come parte di me, dentro il mio corpo? I
bambini non ci appartengono, sono dell’Altro… c’è sempre la scelta per cui ogni arricchimento
passa da una perdita. Ma come posso continuare ad essere quella donna che è arricchita
dall’altro, dal senso, dal bambino ormai nato? Il bambino nella pancia dà un senso in più alla
mamma, la costituisce come madre, significa un riscatto, un guadagno di vita, significa
diventare meglio della sua madre, significa dare una discendenza al marito… cioè il bambino
dà alla madre un più di senso, ma quando nasce e il più di senso realmente va da un’altra
parte, e la mamma deve poter concepire che il suo valore continua ad essere, cioè lei non
perde tutto il suo essere per il fatto di perdere il pezzo di essere che è il bambino. Noi
tendiamo a tradurre le cose in termini binari, ma il dramma costringe il soggetto a trovare un
modo per non perdere tutto i proprio essere per il fatto che l’altro ne prende una parte. L’altro
dà un plus di essere, ti complementa, fa l’otto con i due cerchi intersecantesi: l’insieme
soggetto è più piccolo dell’insieme “riunione” dei due insiemi, ma l’altro è simbolico e porta un
più che passa attraverso la perdita di qualcosa, che è l’area di sovrapposizione.

Il problema per il soggetto è: perdo qualcosa o perdo tutto del mio essere? E come posso
perdere qualcosa, sentirsi smangiato, indentato, senza perdere tutto? Come vivere una perdita
senza che sia la prdita di tutto i mio essere? Come facci a vivere la perdita di qualcosa come
necessaria per essere di più attraverso un’altra via che non è quella dell’essere, ma del
desiderare. La via del desiderio mi fa recuperare l’essere e il più di essere.

Domanda e desiderio
Nel desiderio non vogliamo soddisfare dei bisogni, ma il desiderio, motore del vivere umano, è
la via per recuperare un più di essere: non l’essere che avevamo prima, ma un più di essere,
cioè come al poker il desiderio rilancia, non vede. Il desiderio è il rilancio. Questo è il
problema universale di tutti gli esseri umani, problema fondamentale della vita soggettiva:
come poter vivere l’esistenza umana come perdita necessaria, ma come un arricchimento,
come un più , e non come perdita di tutto, ma perdita di una parte che è condizione di
possibilità di un più di vita. La parte che uno perde diventa il prezzo che si paga per
l’arricchimento.

Questa dinamica si trova in tutti i livelli dell’essere umano, e macroscopicamente la sessualità .


Nel vangelo c’è la parabola dei talenti è fondamentale per la lettura dell’esperienza umana: chi
ha avuto di più traffica e commercia, cioè rischia, perde in un certo senso, non ne dispone più ,
si stacca, come la madre che stacca il bambino da sé alla nascita, è un rischio; chi ha avuto 1
talento non vuole rischiare perché ha paura del Signore esigente, perché ha paura che se
perde il talento perderà se stesso, sarà perduto. Così lo conserva intatto. Poi il Signore si
arrabbia: perché? Perché il servo è infedele? Perché il Signore vuole il plus. Il desiderio è una
via drammatica, via all’azione e all’essere, non si può non giocare questo gioco e non
affrontare questo dramma. Perché la parabola ha ragione? Perché il desiderio implica sempre
una perdita. In ogni caso la perdita è da affrontare. Così si spiega il paradosso per cui in fondo
nell’esperienza umana è più desiderabile desiderare al limite che essere soddisfatti e smettere
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 23

di desiderare. È già il desiderio che dà una soddisfazione, non la piena soddisfazione, ma il


desiderare è vivere, un anticipo di soddisfazione, infatti chi non desidera sente l’esistenza
come un peso, un ingombro, un plus non di vita, ma di ostacolo, un peso = un plus contro di
me, non un plus vitale, ma ingombrante, da togliere, così si desidera la morte.

L’esempio della donna e del bambino riguarda la vivibilità della condizione umana, che
implica sempre una perdita. Il punto che fa difficoltà a pensare in questi termini, che però
vengono dall’esperienza umana (soggettiva), dalla sua logica, come anche le patologie legate al
parto, visto che la logica dell’esistenza umana implica fare i conti con delle rotture. Tale logica
è come si affronta una cosa che è la condizione di possibilità della vita, ma che è sempre
traumatico. Il trauma non è solo qualcosa che contraddice la logica dell’esperienza umana, ma
è un fattore del’esperienza umana. Un trauma è la nascita del bambino: è trauma perché nel
momento in cui i bambino comincia ad esistere come realtà separata, cioè diventa reale in
quanto separato pone la donna di fronte al problema ripetuto fin dalla nascita, cioè problema
tipico dell’essere femminile: la ripetizione del momento di perdita nel rapporto con l’altro,
ecco il problema che si ripete sempre. La realtà umana è individuo e comunità . L’individuo si
definisce di fronte alla comunità come un cerchio unito ad otto:

Individuo
Comunità

Così l’individuo che si ribella alla società indica che l’individuo non è parte della comunità
totalmente: c’è sovrapposizione.

Ogni totalitarismo pensa che l’individuo pensi il propri essere come una formica in una società
di formiche, ove l’individuo non ha alcun essere fuori dalla comunità , cioè è un insieme
inserito nell’insieme più grande della comunità . Qui si parla del peccato originale: Dio ha una
idea sugli uomini, ma il serpente dice che tale progetto implica che gli uomini non sappiano
mai ciò che lui vuole; il serpente fa venir voglia ad Eva di recuperare il proprio essere
individuale fuori dalla comunità divina, cioè riprendersi la sua indentatura. Per affermare la
sua indipendenza Eva si riprende la sua parte di essere, nel senso che il serpente dic e che Dio
vuole tirare tutto l’essere di eva nell’insieme di Dio, di comunità , e apre affermare il proprio
essere Eva lo tira fuori del tutto da Dio. Questo è ciò che fa ogni adolescente quando vuole
uscire dai desideri dei genitori, cioè per affermare il suo essere indipendente dice di no a tutto
ciò che i genitori propongono o dicono.

Diciamo allora su desiderio e domanda: la nascita del bambino è arricchimento per la società ,
perciò della donna come individuo che è parte della comunità . Però la parte di donna che
nasce, il bambino, diventa appartenente cioè una cosa che lo fa parte della comunità , dell’altro.
Il dramma per la donna è che adesso il bambino fa parte dell’altro, perciò non fa più parte di
lei. La donna deve simbolizzare, deve capire che cosa è la situazione o un certo rapporto, ad es
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 24

che il bambino non è perso ma è valore vitale per la donna e per la società , perché è
desiderabile non solo e non più come parte del suo corpo, ma in quanto figlio del suo marito,
membro di una famiglia, di una società … questo è simbolizzare, cioè dare un significato a
bambino, figlio del padre. Il significato o simbolizzazione, tradurre il reale in simbolico, non è
una operazione scontata, infatti dare un significato o tradurre in significante è un’operazione,
non è già così, è qualcosa che accade. La verità è qualcosa che accade, non è già lì, data per
scontata, è lì come un evento. La simbolizzazione è quindi un dramma, perché per la donna è
necessario un passo, una simbolizzazione ulteriore per vivere il bambino come un plus di
valore per poter essere soddisfatta e rinunciare ad avere il bambino come parte di sé, cioè
deve simbolizzare il distacco reale. Parte di sé non solo a livello del corpo, ma parte di sé come
progetto, relazione con il padre… “figlio di” è già una simbolizzazione. Se una donna non riesce
a vivere il proprio figlio in sé come essere umano, “figlio di” lo vive come un corpo estraneo,
un alien in lei. Poi quando nasce la donna deve accettare che il bambino non è più in lei, non le
dà più la soddisfazione di avere in sé suo figlio, perciò la situazione è cambiata e la donna
perde una soddisfazione. Il problema è come simbolizza il bambino, se in modo da avere altre
soddisfazioni così da poter rinunciare a quella soddisfazione. Simbolizzo = ciò che il bambino
significa per me; posso desiderarlo in altro modo? Posso trarre soddisfazione in una forma
diversa, ora che il bambino è nato? Nel reale la soddisfazione non è più nel reale, ma una
donna potrebbe continuare a desiderare e a trattare il bambino come se nella sua fantasia
fosse ancora dentro di lei. In tal modo la donna desidera il bambino solo appoggiandosi solo
all’oggetto di una sua fantasia o fantasma (termine psicanalitico) del bambino come se fosse
ancora dentro di lei. Per vivere il rapporto con il bambino in modo diverso, deve cambiare la
fantasia, cioè rinunciare a quel modo i desiderare la presenza del figlio.

Noi ci accorgiamo di questo dramma dopo che c’è stato, sia noi, sia la donna stessa. Vediamo
che questo dramma c’è perché le cose cominciano a non andare più bene, o come ci
aspetteremmo che vadano: conflitti, difficoltà , psicopatologie… sono una testimonianza della
drammaticità dell’esistenza umana. La donna che ha difficoltà con il figlio viene e ragiona e
dice che quando il figlio si allontana da lei più di 2 metri e si arrabbia molto e lo sgrida
sempre. Oppure la mamma si accorge che sta rendendo la vita impossibile al figlio, perché non
sopporta che il figlio si allontani da lei, perché le genera angoscia. L’angoscia è molto
importante perché indica alla donna che lei credeva di poter vivere con il figlio un rapporto
come essere indipendente, invece appena si allontana lei cade nell’angoscia, perché le manca
l’essere, non sa più cosa vuole. La fantasia è inconscia nelle sue radici: non è consapevole nel
dire che vuole tenere il bambino come parte di sé. Quando il discorso diventa in parte
consapevole, cioè la donna me lo dice, allora si entra nella psicopatologia cioè il soggetto
donna è perverso nel suo desiderare il suo bambino. Chi pensa di sapere cosa desidera sta
riducendo il desiderio al suo aspetto perverso, perché il desiderio ha sempre una parte
inconscia in cui si genera: ogni determinazione del desiderio è sempre parziale. Spesso non
sappiamo nemmeno noi bene che cosa desideriamo, cioè il differenza sessuale ci supera
sempre. Il desiderio non si comanda, cioè non si può comandare al desiderio, si genera non
prescrittivamente; si può prescrivere di fare una azione, ma no si prescrive di desiderare. Il
desiderio si suscita, non si comanda, anzi a volte comandare il desiderio fa l’effetto contrario,
cioè suscita il desiderio di opporsi a ciò che si dice, perché il desiderio umano è molto strano,
di fare il contrario di ciò che l’altro mi dice. Il desiderio si genera sempre attraverso il legame
con l’altro immaginario: il bambino piccolo vede un altro bambino con una macchinina e si
sente che lui manca della macchinina. Prima non mancava della macchinina, ma vede il suo
simile che ha un plus, allora la macchinina diventa un plus che l’altro ha e lui non ha, perciò lui
è un minus, cioè la sua immagine, l’altro, è come lui ma non manca della macchinina. Questa è
la genesi dell’invidia, tristitia de alieno bono vel de alienis bonis. Il bene altrui fa dolore perché
manca a me? Ma perché mi manca? Perché io guardo l’altro come se fossi io, cioè io mi
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 25

identifico immaginariamente all’altro, e implica che si riduca il legame con l’altro


all’immedesimazione nell’altro. Il bambino sente dolore perché perde la macchinina, anche se
non l’ha mai avuta. La perde quando la vede in mano all’altro, perché lui si vede nell’altro
complementato della macchinina, che diventa un oggetto desiderabile perché lui suppone che
la macchinina sia un godimento per l’altro.

Nell’esperienza dello psicanalista è frequentissimo, perché tutti dicono che gli altri sono più
contenti di lui, riescono meglio, sono meno falliti… sono ridicoli, perché l’altro è sempre più
soddisfatto di me… lo sono perché godono (secondo noi) di qualcosa di cui noi ci sentiamo
mancanti. Il desiderio non è nel modo del comando. L’esempio è più importante dei comandi
che si danno. Il bambino capisce che il rapporto fra uomo e donna è desiderabile perché lo
vede in mamma e papà .

venerdì 19 dicembre 2008, ultima prima di Natale, 10° lezione

L’oggetto del desiderio è sempre un plus, ma per averlo si mutila qualcosa d’altro. Ci saranno
3 ore il venerdì di gennaio; l’ultima ora sarà dedicata alle domande al prof.

Il desiderio è diverso per la saggezza buddista e per il Cristianesimo, come abbiamo visto. Il
desiderio è visto dal Cristianesimo in modo tale da implicare il singolare per il desiderio, cioè
c’è un aspetto per cui il desiderio è il “desiderio” indipendentemente dall’oggetto che si può
dare, cioè il desiderio ha una struttura non data dall’oggetto a cui punta, ma struttura propria
del desiderio, sia di Dio, sia di fare vacanza, di mangiare una buona cena. La struttura del
desiderio qual è? Se il desiderio non ha una struttura, come in certi discorsi anticristiani,
Michel Foucold e la sua scuola, che sostengono che il desiderio è una falsa nozione, perché
chiamiamo desiderio tante cose diverse, ma che in sé il desiderio non ha valore antropologico,
in tal caso il desiderio non è nemmeno razionale, p non ha struttura. Se però è irrazionale
tutto ciò che ha a che fare con affetto, desiderio, pulsione ed amore, ci sommergono e basta. Le
passioni irrazionali, l’amore irrazionale… se fosse così, tutta la trama della vita umana
irrazionale, tutto il discorso di 2000 anni della Chiesa e cultura cristiana della consapevolezza
e ed esperienza cristiana cadrebbe, perché fondato sul fatto che l’essere umano è strutturato.
Non ci può essere qualunque fenomeno in qualunque posto in qualunque modo, come se
l’essere umano avesse una struttura liquida. A parte che oggi hanno elaborato modelli
matematici per rintracciare una “memoria dei fluidi”, cioè si cerca una struttura perfino nel
liquido, infatti dire “società liquida” implica un minus di struttura, un meno.

Anche per l’esperienza pastorale e dei rapporti e legami di chiesa il desiderio è molto
importante.

La domanda
La ragione che uno ha per chiedere qualcosa è sempre nel campo del desiderio. Perché uno
dovrebbe rivolgersi ad un’altra persona se non ci fosse un desiderio? Egli crede che presso
l’altro potrà trovare qualcosa che desidera, qualcosa verso cui si muova, anche se nono sa di
preciso cosa desidera. Infatti nel vangelo Cristo quando moltiplica i pani o comunque sempre
sa che le persone chiedono non solo il pane, ma anche una consolazione, infatti lo stanno ad
ascoltare e affrontano anche il digiuno per poterlo ascoltare, perché aveva un desiderio da
soddisfare. La sua voce rispondeva ad un desiderio, e Cristo sa che però che la gente gli chiede
anche il pane. Se il desiderio delle persone si determina su un oggetto che non è Cristo ma solo
è il pane, il cibo, o la garanzia del potere, quando lo vogliono fare re, ecco che Gesù va via. La
gente voleva che il re fosse garante dell’esistenza, almeno per un po’, cioè ciò a cui gli esseri
umani si appoggiano. Se ne va Gesù perché sa che le persone rischiano di non interpretate in
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 26

modo giusto il suo desiderio (di Cristo). Chi offre la propria presenza si offre sul “mercato dei
rapporti”, offerta di presenza pubblica, deve anche lui avere un desiderio, per forza, non
prescrittivamente, perché altrimenti non sarebbero sul mercato. Occorre ad un certo punto
decidere qual è il desiderio che struttura e forma la nostra presenza “sul mercato”. Per
domandare bisogna mostrarsi deboli, bisognosi, mancanti di qualcosa, tanto che domandare è
difficile, perché nei rapporti di potere ad es se io chiedo qualcosa mi mostro mancante di
qualcosa, cioè debole in un certo senso, quindi domandare non è un atto di potere. Tutti sanno
che chiedere può essere molto difficile, perché ci si mostra deboli e mancanti. Gli uomini fanno
fatica a chiedere alle donne, almeno tradizionalmente: la debolezza può essere anche un
fattore di seduzione perché chi chiede è mosso da un desiderio e si mette nelle mani dell’altro.
Chiedere è farsi dipendere dalla propria mancanza segnalata all’altro, detta all’altro. A volte si
chiede qualcosa ad un altro è poi ci si pente, non perché ci sia un male a chiedere, ma perché ci
si accorge che domandare ha delle conseguenze più grandi di quelle che uno calcola all’inizio.
Domandare è sempre domandare all’Altro, Altro da cui dipende il nostro esse, Altro che non
possiamo calcolare precisamente, ma sempre dobbiamo rischiare e metterci nelle mani
dell’Altro: ha per definizione qualcosa di non calcolabile. I fattori non negoziabili di Benedetto
XVI forse si lega alla non calcolabilità dell’incontro con l’altro. Se io chiedo all’altro parola,
presenza fisica, di voce di essere lì con loro, come le folle a Gesù , chiedono sempre qualcosa di
sperimentabile a livello corporeo, perché la presenza è corporea. Il latte è parte della presenza
corporea dell’altro materno per il bambino piccolo. Chi domanda mette in atto un desiderio,
cioè lo fa passare in atto, sempre nei legami umani. Ciò è anche una condanna perché uno
vorrebbe soddisfare il suo desiderio senza dover passare attraverso l’altro, perché ciò implica
un certo rischio: l’altro mi risponde, ma può rispondere come vuole. Modi autistici di
soddisfare il desiderio sono considerati patologici, come i sintomi autistici che si stanno
estendendo nel nostro mondo consumistico. L’offerta consumistica di soddisfacimenti che non
passino attraverso l’altro e la domanda si è estesa. Le questioni d’amore sono nella questione
della domanda: nell’amore, parola e atto d’amore, la domanda è fondante, come un ragazzo
che domanda alla ragazza di essere la sua ragazza. È sempre possibile ridurre il desiderio che
apre verso l’altro, perché passa attraverso la domanda che fa verso l’altro, che muove a
rischiare e mettersi in relazione, ridurlo a desiderio di presenza di una persona, come un bene
di consumo.

Le persone non sapevano dire il nome del loro desiderio, ma Cristo si, lo sapeva fino in fondo.
È sempre possibile ridurre il desiderio, chiamarlo, determinarlo in modo riduttivo, a un bene,
un oggetto, una persona. Per il fatto di mettersi sul mercato delle relazioni io offro una
risposta alla domanda di desiderio di un’altra persona, ma io pure ho il mio desiderio e devo
decidere quale desiderio qualifica la mia presenza all’altro. Se uno è Altro per la domanda di
qualcuno, deve decidere qual è il desiderio che determina il modo in cui lui interpreta il
desiderio di chi si rivolge a lui, come le folle rispetto a Gesù . Chi domanda non sa fino in fondo
dove porterà il suo desiderio, perché non è come andare al mercato per comprare la pasta
Barilla e uno vuole solo quello; Gesù si sottrae perché non vuole che le persone non
interpretino il proprio desiderio e anche quello di Gesù come desiderio di potere, di dare il
pane, di soddisfare i bisogni materiali, ma Gesù non vuole che riducano a desiderio piccolo il
loro e suo desiderio di Altro. Gesù dà il pane, aiuta, ma non vuole che tali oggetti concreti
siano l’ultima definizione del desiderio umano, cioè che il desiderio di Gesù sia interpretato
come desiderio umano, es desiderio di panini con il pesce, un oggetto definito, perché il
desiderio è sempre qualcosa d’altro. Il desiderio di Gesù è ultimamente qualcosa d’altro, la
volontà del Padre, cioè Gesù richiama che nel desiderio umano c’è qualcosa di altro. Chi
risponde deve decidere quale desiderio suo fonda la sua risposta a chi chiede. Allora se una
bonazza viene da me a chiedere qualcosa, io le farò presente che il vero suo desiderio è altro,
una risposta ultima che non sono io: c’è in gioco una interpretazione del desiderio della
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 27

bonazza, o come desiderio di me, che io stesso desidero, cioè io voglio essere la risposta al
desiderio della bonazza, o può essere desiderio di qualcosa d’altro per cui io le rispondo non
come io che sono al risposta, cioè che qualifica il suo desiderio ma come colui che fa presente
che c’è l’altro che risponde al suo desiderio. Il desiderio è sempre nodo del desiderio di un
altro, perché il desiderio dell’altro interpreta il desiderio del soggetto. Chi opera si deve
sempre chiedere qual è i desiderio che lo muove a rispondere ai desideri altrui.

Il vangelo di Gesù che dice “neanche il Figlio lo sa ma solo il Padre” ci dice che il Figlio riceve
sempre tutto dal Padre, e non si può impadronire di quel sapere, è sempre qualcosa che gli
viene dal Padre, ciò è sempre il mistero del Padre, non è che una volta che lo conosce è suo.
L’incomunicabilità della persona, termine spesso usato da Giovanni Paolo II, significa che al
persona non si può tradurre una formula simbolica, in un sapere, che si può acquisire e
trasmettere. La persona non è il supporto fisico di una formula, supporto più o meno inutile:
la persona non può risolversi in comunicazione, per questo è incomunicabile, non si riduce a
comunicazione. Oggi i legami sociali si risolvono spesso in sistemi di comunicazione, per cui si
potrebbe tradurre tutto il legame, ciò che è nel legame, in formule di sapere, di scambi di
comunicazioni. La famiglia vede legami non riducibili a comunicazioni: possiamo studiare i
legami sociali e famigliari dal punto di vista della comunicazione, essendo comunque
nell’ambito del simbolico, ma non si esauriscono lì. La scuola di Palo Alto, che ha fondato tutte
le terapie sistemiche e relazionali analizza e sfrutta al comunicazione. Le terapie sistemiche
mettono insieme la famiglia e studiano le comunicazioni fra i membri, i paradossi fra le
comunicazioni… se io dico a uno “sia spontaneo” all’esame, la comunicazione è complessa, non
trasmetto solo una informazione, ma do un comando, e comando di agire come uno che non
agisce per un comando, ma spontaneamente. Se comando di agire non secondo un comando,
metto una persona in condizione paradossale, perché gli comando di non seguire un comando:
questo è uno dei paradossi analizzati da Palo Alto. Nei genitori questo tipo di comunicazione
coi figli produce patologia perché li mette in una condizione impossibile, perché qualunque
cosa faccia non risponde a ciò che io gli dico, e al contempo non risponde. Obbedisce e
trasgredisce al contempo (double bind secondo i pragmatici della comunicazione). I bambini e
adolescenti spesso vivono e reagiscono ai discorsi dei genitori come se si sentissero
prigionieri, e il senso di prigionia è legato spesso a questo tipo di comunicazione, perché il
ragazzo suppone che il genitore parli come una autorità che comanda qualcosa anche quando
i genitore non ti sta comandando, come quando il genitore parla al ragazzo non per
comandare, ma per chiedere, ma il figlio reagisce come se il genitore volesse manovrarlo,
determinarlo, condizionarlo. Questa via della pragmatica della comunicazione è diversa dalla
psicoanalisi, ma aiuta a capire che il simbolico, il parlare, al comunicazione ha una efficacia
pratica, perché la persona non si traduce mai totalmente in comunicazione, ma il parlare
permette i paradossi, i doppi legami, ha un effetto sulla posizione del soggetto prende nel
rispondere all’altro. A volte uno pensa di non avere via di uscita, cioè qualsiasi cosa dica è
fregato, non può essere lui stesso il soggetto, ma non può essere non determinato dal discorso
dell’altro. Ci sono 2 librettini di Watslabick pubblicati da Feltrinelli in edizione economica, Di
bene in peggio, istruzioni per un successo catastrofico e un altro … istruzioni per rendersi
infelici: ci possono dare un’idea di questa impostazione della pragmatica della comunicazione
umana: ha meriti, ma ultimamente è soggetta alla tentazione a ridurre i fenomeni dei legami
famigliari a comunicazione, ma sono sempre di più .

La persona non è comunicabile: l’esistenza umana ha in sé il dramma dell’incomunicabilità .


Ciò si vede fra il Figlio e il Padre, ove il Padre è colui che sa, mentre il Figlio è colui che riceve il
sapere, perché ha un’altra volontà , è un’altra persona, cioè il Padre comunica tutto al Figlio,
ma resta il Padre. C’è una alterità che non si può mai eliminare: l’altro resta sempre altro. Il
fatto che l’essere umano parla, il logos dell’agape, dà l’idea che l’agape ha un logos, l’amore ha
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 28

un logos, ma ce l’ha anche il desiderio, l’eros. Hanno un logos, ma non sono traducibili in una
forma di sapere. Perché l’amore è e resta un dramma? Perché c’è la perversione sessuale? La
perversione sessuale tende a ridurre il desiderio (senza amore) a formule, a ricette; la
perversione ha l’idea che uno sa che cosa produce un certo godimento, cioè nel caso del
feticismo, o sadismo o altre perversioni pensano di sapere che il godimento verrà solo da
oggetti tipici:

feticismo: perversione tipicamente maschile (riguardano soprattutto il modo maschile della


sessualità , ma riguardano le donne che riducono la loro sessualità alla dimensione fallica dalla
loro tipica sessualità più che fallica) in cui il malato si interessa eroticamente alle donne, però
per desiderare sessualmente ha bisogno non della presenza della donna, ma di un suo oggetto
(la scarpa, magari) assieme alla donna. Il feticcio è un oggetto che è la condizione per poter
avere un desiderio sessuale e per poterlo mettere in atto. Oggetto può essere anche una
caratteristica fisica della donna, un dettaglio fisico o un oggetto vero. Il feticcio è come una
ricetta, una formula in cui il desiderio sessuale si produce quasi automaticamente a partire
dalla presenza di quell’oggetto. Nella sessualità maschile ci sono sempre dei tratti di tipo
feticistico perverso, ma la vera perversione è quando il desiderio sessuale è ridotto a quel
punto e basta. Come ingrediente dell’erotismo maschile ci sono tali tratti, altrimenti le signore
non metterebbero i loro abiti provocanti e il boa di piume… i segni poi cambiano secondo le
civiltà e le epoche: alcuni “selvaggi” che vanno in giro nudi che sono vestiti solo di segni, o di
disegni, o di anelli, pitture, segni che velano il corpo (il loro segno è la pittura, come i vestiti
per noi, perché il simbolo fa morire la cosa, la fa passare in secondo piano)e alcuni segni
suscitano il desiderio maschile… i segni variano. Quando il segno assorbe tutta l’importanza
della presenza dell’altro, che di per se stessa non conta più , si cade nella perversione feticista.

Il desiderio non è la domanda. La domanda è sempre domanda d’amore, nel suo fondo, perché
chiede sempre la presenza, ultimamente. L’oggetto della domanda è la presenza dell’altro, che
si verifica solo attraverso dei segni che dà . L’altro, che era Cristo, era presente dietro i segni, le
sue parole pronunciate alle folle. I segni richiesti sono segni d’amore, di presenza di un altro
che manca di me: l’altro che ama è l’altro che manca di me, cioè sente la mancanza del
soggetto. L’amore consiste in dire, sentire e testimoniare che si ha una mancanza dell’altro.
Infatti amore è dar ciò che non si ha (Lacanne): finché si dà qualcosa che si ha, non è certo che
tale dono sia dono d’amore. Dare la caramella al bambino perché continua a chiederlo (la
domanda) non lo soddisfa, perché chiedendo un oggetto il bambino chiede un segno
dell’amore. Per togliere la presenza del genitore, questo dà un segno qualcosa che il genitore
ha. Dà la play station che si compre non come un segno dell’amore, della presenza, ma per
poter interrompere la presenza, infatti si vuole allontanare la presenza del bambino che
continua a chiedere e rompe. Però il bambino sa che l’oggetto non è il segno dell’amore, non
segno di presenza, ma è per allontanarlo, perché ha rotto. L’amore è “io manco di te”,
comunicato, non “tu ci sei troppo, vai un po’ via”: il dono d’amore è un segno per struttura,
altrimenti è un trasferimento di beni. Il dono per essere tale e non u mero passaggio di
materia deve essere segno dell’amore cioè del soggetto presente all’altro e che ha in sé la
presenza dell’altro. Questo è amore, dare ciò che non si ha, che si può fare se si dà un segno. Il
segno è sempre segno di qualcosa che on abbiamo, cioè viene al posto della cosa. Per
segnalare all’altro una nostra mancanza, che l’altro mi manca, devo per forza usare un segno.
L’amore è sentire la mancanza dell’altro, volere che l’altro esista e per questo gli chiedo una
presenza, perché ne sento la mancanza: il dono è qualcosa che sia segno di questa mancanza.
La macchinina non vale per ciò che è in realtà , ma in quanto segno della mancanza che io
sento di lui. Infatti se dici al bambino che non ho ciò che mi chiede, ma gli dico “se lo avessi te
lo darei” lui di solito è soddisfatto da questo segno dell’amore: non gli ho dato nulla di fisico,
perché non ce l’ho, però gli ho donato una parola che significa presenza. Il dono nel mondo
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 29

umano è caratterizzato da un dono fondamentale e strutturale che è il dono della parola. Io


posso donare anche solo una parola e può essere un dono vero, una promessa… (Signore di’
soltanto una parola e io sarò salvato). La promessa è un segno, segno di un dono.

venerdì 9 gennaio 2009, ultima lezione, 3 ore

Lezione normale per due ore e poi 1 ora di domande quod libetales.

Il legame famigliare
Abbiamo parlato finora della logica della costituzione soggettiva. Senso, essere, individuo e
comunità , domanda e desiderio… sono nozioni che riguardano la generazione del soggetto nei
suoi legami con l’Altro, cioè altro simbolico da cui il suo essere dipende. I legami famigliari
interessano la clinica psicoanalitica e psicologica, perché l’esperienza clinica conferma ogni
volta di più l’importanza delle relazioni famigliari nella genesi del soggetto. Il soggetto e il
corpo non nascono già fatti e finiti, completi, ma si sviluppano. Nel mondo il soggetto incontra
degli altri con i quali ha u certo legame, o che hanno un certo legame con lui; tali altri sono
anche simbolici, cioè parlano, hanno a loro volta un legame tra di loro. Uno nasce di solito
all’interno di una famiglia e di un gruppo sociale; nasce da una donna, ha l’esperienza vitale
della nascita, come ce l’ha la madre. Quando inizia a vivere in modo separato dalla madre, nel
suo ambiente incontra altri esseri viventi, la madre stessa, il padre, i parenti più stretti… se il
padre manca il bambino incontra la sua assenza. La struttura del vivere è tale da porre
l’esigenza di qualcosa che funzioni come padre: se non si incontra qualcosa che funziona come
padre effettivamente, il bambino incontra la mancanza di questo, la sua assenza. L’essere
vivente simbolico, parlante, cioè l’essere umano, si incontra non solo con ciò che c’è nella
realtà , ma incontra anche le mancanze, che nella realtà mancano, ma dovrebbero esserci. Se io
ho uno scaffale in camera, e poi un giorno non c’è più , io mi accorgo della mancanza. E ogni
cassetto del mobile rappresenta il luogo ove c’è una certa cosa, cioè lo spazio è strutturato
simbolicamente, ovvero ci sono dei posti ove ci sono certe cose, e il simbolico assegna un
posto e dà un nome alle diverse cose. Senza di ciò non potremmo orientarci nel nostro spazio
vitale, perché tutto sarebbe uguale e on ci sarebbero differenze… il solo fatto di orientarci
nello spazio passa attraverso il simbolico, perché sappiamo dire quali sono i punti che ci
permettono di orientarci. Gli uccelli noi hanno un orientamento automatico, mentre noi
abbiamo i piani di volo e le bussole…

Se uno cerca qualcosa la vado a cercare nel cassetto dove dovrebbe essere, e se manca uno si
arrabbia, perché ciò che cercava non è al suo posto. Non ha trovato un nulla, ma ha trovato la
mancanza di ciò che si cercava, e ci si arrabbia con se stessi perché non si sa più che si è fatto,
perché si è dimenticato dove si è messo, o qualcuno l’ha rubato. Tutto questo per dire che si
incontra l’assenza di qualcosa: è importante perché tale mancanza diventa qualcosa di
positivo, non buono, ma di effettivo, contro cui ci scontriamo, proprio perché lo incontriamo e
ciò proprio perché noi umani siamo parlanti (e viventi), c’è il simbolico. Il rapporto con la
realtà è una serie di appuntamenti con le realtà , che se non viene all’appuntamento ci
offendiamo, perché una cosa si è permessa di non venire all’appuntamento, e io in teoria sono
il padrone.

Un sistema simbolico è un modo di strutturare gli appuntamenti con la realtà nel quale il
soggetto entra, ma che può prevalere sul soggetto, perché ha un suo modo di funzionare, ha
una sua logica che va oltre il soggetto. Ad es il PC dovrebbe essere uno strumento al nostro
servizio, un organo nostro, come la macchina, cioè che obbedisce ai nostri comandi, ci appare
come un Altro da cui non dipendiamo quando appare la scritta “non sei autorizzato a questa
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 30

operazione”, come se la mai mano mi dicesse che non sono autorizzato a prendere la forchetta
per mangiare. Il sistema simbolico appare come un insieme di leggi che non è soltanto al
nostro servizio, cioè lo è solo a certe condizioni che dipende dal sistema simbolico stesso. Ciò
vale sia per il PC, sia per il gruppo sociale. Noi dobbiamo seguire le leggi di quel sistema,
perciò è Altro da noi. Se devo mangiare non posso usare il PC, mi serve un panino, invece per
le cose che sono permesse da un PC lo posso usare (es scrivere). Il bambino autistico invece
tende ad usare degli oggetti della realtà umana non per lo scopo civile che gli oggetti hanno,
ma per romperli, per fare un suono o un rumore… non si inscrive nella logica dell’oggetto, ad
es non si siede sulla sedia, ma si siede per terra e usa la sedia come un martello. La realtà è
sempre altro per noi, non è solo cosa, cioè cose che usiamo, ma è umanizzata e per ciò è
sempre come qualcosa di altro nel senso simbolico del termine. Un rapporto con la realtà si
può avere se si trova un ordine in essa, cioè troviamo una struttura della realtà . Senza ordine
non sappiamo come fare.

Diciamo ciò per ricordare che della realtà fa parte anche il nostro stesso essere vivente, cioè
anche noi siamo parte del mobile della stanza, in quanto esseri reali. Imparare a compiere un
movimento richiede di considerare il nostro corpo come una parte di realtà rispetto a cui
dobbiamo orientarci, cioè distinguere destra e sinistra, avanti e indietro… anche il nostro
corpo può diventare come un PC che si ribella a noi e non obbedisce alle intenzioni. Ciò vale
sia per il movimento fisico, imparare a sciare, sia per la vita che è fatta di movimenti, infatti c’è
movimento di pensiero, di affetto ed emozione, di parola… tutti movimenti integrati che poi
sono la vita stessa. La vita ha movimenti volontari e involontari: l’affetto e la passione ci viene
dall’incontro con l’altro. Se non trovo la mia cosa nel cassetto mi viene la rabbia provocata da
una mancanza, ma tutti gli affetti vengono dall’incontro con la realtà che risponde o meno
all’appuntamento. I primi Altri della nostra vita, madre e padre, funzione secondo delle leggi
di rapporto fra loro che noi incontriamo, non le conosciamo prima, tanto che possiamo dire
che tali persone ci testimoniano le leggi che strutturano il loro rapporto. Ci sono dei sensi,
delle connessioni, dei significati nei loro rapporti. Parole tipo “guarda lo zio, vai dalla mamma”
danno un significante, il nome di parentela, che però ha un significato, implica che la zia o la
mamma valgono qualcosa per me in modo diverso dall’amica di mio fratello. Relazioni diverse
implica leggi diverse, struttura di rapporto diverse. Tali leggi non sono tutte evidenti. Freud
ha scoperto il complesso di Edipo: la questione era di capire quali leggi mettono insieme la
madre e il padre e in quali modi. Qual è la regola o la legge del rapporto fra madre e padre?
Perché la mamma sta insieme al papà visto che tutto il giorno si lamenta di lui? Questo è il
problema di legge. Il bambino si chiede qual è la legge non evidente, cioè nascosta per
definizione, che regola in modo nascosto le relazioni fra mamma e papà . Quando un padre
abbandona la famiglia il bambino si chiede: qual era la legge per cui prima stavano assieme
mamma e papà e che ora non è più in atto? L’essenziale per la vita del soggetto è ciò che non è
volontario, cioè che non può essere comandato. Noi non possiamo dare arbitrariamente il
significato che vogliamo a molte cose che incontriamo: noi incontriamo questa parte della
nostra vita che non riceve totalmente significato e senso da una nostra decisione e comando
proprio nel campo di realtà della sessualità . Qual è la differenza tra mangiare il pollo fritto e
avere un rapporto sessuale? Oggi si tende a pensare che siano sullo stesso ordine di realtà ,
tanto che uno sforzo ideologico importante cerca di mostrare che è la stessa cosa mangiare il
pollo, bere un bicchiere d’acqua e avere un rapporto sessuale, cioè si dice e promuove l’idea
che l’atto sessuale non è un atto umano, ma è un atto dell’uomo, soddisfazione pulsionale di
un bisogno analoga alla soddisfazione di altri bisogni magari non pulsionali. Ma è così? E se
non è così perché? E chi lo dice o meglio come possiamo dirlo? Che cosa ci dice di ciò
l’esperienza psicologica? Per il soggetto fin da bambino la sessualità va a sovrapporsi alla
questione del soggetto come tale e dei suoi rapporti con il mondo. Il bambino è interessato a
sapere la legge per cui la mamma sta insieme al papà in modo personale, cioè non per
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 31

l’indissolubilità del matrimonio, ma a livello di scelta personale e soggettiva: perché la


mamma continua a stare con il papà anche se ne parla male? Perché gli interessa al bambino?
Tutte le pratiche educative ed analitiche dimostrano che al bambino interessa, anche a livello
non cosciente.
2° ora

Il bambino si identifica con una delle parti: il padre o la madre.

Una parentesi: internet è un mercato del godimento, al contrario della lettera d’amore che è
un’offerta per suscitare una domanda, ma legata ad una responsabilità .

Una prerogativa del padre è di avere rapporti con la madre; un frate una volta si era
identificato con suo padre quando da bambino, nel letto dei genitori, aveva visto sua madre
rifiutare un approccio del padre perché c’era lì il bambino. Da grande ha elaborato
l’esperienza infantile e il ricordo dicendo la verità della sua esperienza, cioè ha articolato da
grande un discorso pensato e vissuto da bambino, immedesimandosi nel padre respinto dalla
madre, benché la prerogativa del padre sia di avere rapporti con la madre. La terapia della
parola si fonda sul presupposto che la parola ha una presa sulla realtà , non sono solo parole,
ma dicono la realtà del soggetto, in modo più o meno articolato, più o meno bene e
completamente, ma dice l’esperienza del soggetto. Se la parola non dicesse qualcosa della
realtà del soggetto le terapie della parola non funzionerebbero. In realtà la parola dice
qualcosa che non dipende dalla volontà o arbitrio del soggetto: non dipende dal frate l’effetto
di ciò che la madre ha detto al padre in quel momento da bambino, però c’è stato un effetto
che il frate può dire bene o male, ma sa che ci sono, magari non li sa dire del tutto, ma non
dipende da lui il fatto che tali parole si siano iscritte nella sua vita. La grande proposta
dell0ideologia dominante è “dimentica”, cioè l’amnesia, come con le droghe varie, alcol,
consumo sessuale, consumo di beni… ma l’amnesia non funziona, perché non si può togliere
dalla propria vita l’effetto di qualcosa che si è iscritto nella vita a livello di relazioni, rapporti,
legami fondanti la vita. Tutti cerchiamo di non vedere o di dimenticare alcune cose, ma ciò
non significa che siano cancellate. Noi possiamo dimenticare il nostro tentativo di dimenticare
e di cancellare? Se il nostro tentativo di cancellare funziona, per essere riuscito deve
permetterci di cancellare anche l’operazione di cancellamento. La mancanza è qualcosa,
dicevamo, cioè ci sono i segni che qualcosa manca ed è stato cancellato. Tutta l’esperienza
umana non si cancella: se nella libreria vado a cercare nel cassetto e vedo che qualcosa manca,
quella cosa continua a mancare, perché se cancello qualcosa resta traccia del cancellamento, e
l’unico modo per non aver traccia di una mancanza devo distruggere tutta la libreria, lo
scaffale, perché così non ho più il posto vuoto che mi dice che manca qualcosa. Un aforisma:
ciò che è rifiutato nel simbolico riappare nel reale. Se noi non facciamo un cassetto per
metterci un problema, pensando che così non ci sarà il problema, come se non ci fosse
nemmeno la realtà , alla fine la realtà di impone. Ciò che è rifiutato nel simbolico, una bomba
per la quale io non faccio un cassetto, così non esiste, riappare nel reale, cioè la bomba c’è lo
stesso e prima o poi scoppia, ad es quando faccio il trasloco… è il ritorno nel reale di ciò che è
eliminato dal simbolico.

La funzione paterna: leggerla da soli sulle dispense.

L’episodio che il frate ha vissuto non dipende da lui, ma si è iscritto in lui. Ma perché lui ha
sentito il padre come umiliato dal rifiuto della madre? Era molto attaccato alla madre, ma
nella sessualità poi ha preso la via eterosessuale; ha vissuto quell’episodio dal punto di vista
del padre e ciò gli ha permesso di prendere la via eterosessuale. Ma perché era umiliante che
la madre si rifiutasse al padre, agli occhi del bambino? Perché lui ha sentito messa in
BINASCO – Psicologia della sessualità umana Marco Ciroli 32

questione e negata la posizione del padre, la sua funzione. Come mai l’ha sentita come negata,
tanto che non volle più esporsi lui personalmente alla possibilità di un rifiuto? Intanto
vediamo che la sua posizione nella vita è legata a quella del padre. Inoltre la madre aveva
detto di no perché c’era il bambino, perciò il bambino si è visto come ostacolo ad uno dei
fondamenti della funzione paterna. Il padre ha una funzione paterna verso il figlio che è
strutturante la costituzione soggettiva perché è colui che è l’uomo, che detiene la funzione
paterna. Non è vero che la funzione paterna può essere svolta da chiunque, serve un uomo che
sia uomo. Se la funzione paterna avesse una ragione strutturale nella vita umana, nel caso di
due lesbiche che fanno un figlio in provetta, chi la sostiene e come? Dobbiamo capire la
funzione paterna.

Lo sviluppo del rapporto con le donne nel frate è rimasto segnato al suo modo di essere uomo,
cioè come uno si pone di fronte alla differenza dei sessi e a quale rapporto hanno l’uomo e la
donna che per noi sono i fondamentali, madre e padre, cioè i genitori. Quale legge tiene
insieme madre e padre in quanto hanno due sessi diversi, cioè in quanto hanno una posizione
sessuata? La domanda sarebbe: perché la mamma sta con il papà visto che rifiuta il suo
approccio generatore, paterno, con la scusa che c’è lì il bambino. Solo il padre ha il potere di
avere un rapporto sessuale con la madre, ha il permesso, gli è lecito, cioè ha il diritto del
possesso della madre. Pater est quem iustae nuptiae demostrant. Il padre è colui che ha
accesso sessuale alla madre e tale funzione è importante per la costituzione del soggetto e
significativa dell’ordine della realtà in quanto realtà sociale (cioè per costruire la cassettiera
famosa). Il padre ha diritto sulla madre: in ogni società che il tabù dell’incesto, cioè legge del
divieto dell’incesto, dalle tribù più antiche alla nostra società . Tutte le società si fondavano sul
tabù dell’incesto soprattutto fra madre e figlio, cioè c’è una legge per cui è proibita l’intimità
erotica con la madre. L’allattamento non è una pratica erotica, un corpo a corpo sessuale, per
la società ; ma per il bambino potrebbe esserlo. Per il bambino si tratta di un corpo a corpo con
il corpo della madre, e si pone il problema della legittimità di tutto questo. Il frate si chiedeva
la legittimità del suo essere lì nel letto fra madre e padre. Se c’è il tabù dell’incesto, per cui i
figli non possono congiungersi carnalmente con la madre, se no sarebbero come animali, ma il
gruppo simbolico, con il linguaggio non può , allora si pone il problema: chi ha accesso
legittimo alla madre? Non è il figlio: è il padre. Il padre fa eccezione: ha la facoltà di accesso
alla madre. Il bambino è ciascun soggetto quando comincia a fare i conti con la realtà umana
sociale e dei legami. Per il bambino la posizione paterna è una eccezione, cioè è sempre legata
ad una funzione di eccezione. Una delle condizioni per cui qualcosa è paterna è di fare
eccezione. Ad es l’autorità in un gruppo segue la stessa norma.

Un altro aforisma di Lacam: entrambe le funzioni materna e paterna è che il desiderio che
madre e padre mettono in gioco nel rapporto con il bambino non sia anonimo. Uno deve
essere lì con desiderio non anonimo. La funzione materna è quella di assicurare il bambino,
cioè le sue cure devono portare la traccia di un interesse particolarizzato, fosse pure anche
attraverso le sue mancanze. Se le mancanze di una madre danno la firma, rivelano un
interesse particolarizzato, ha svolto la funzione materna. La funzione paterna è di secondo
grado, simbolica, non diretta, e la svolge attraverso il legame che ha con la madre: è che il suo
nome diventi il vettore di una incarnazione del desiderio nella legge o della legge nel
desiderio. Significa che un padre svolge la funzione di padre quando diventa per il suo legame
con la madre, effettivamente, la coincidenza fra legge e desiderio. Il desiderio della madre
rivela al bambino la legge dei rapporti fra madre e padre, e perciò fra uomo e donna, così il
padre è un modello di una funzione fondamentale per la costituzione soggettiva, perché
premette di dare un posto soggettivo nella strutturazione dei legami umani.
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La cosa importante è che c’è la questione, la domanda, non tanto la risposta che il bambino
trova alla domanda. Il fondamentale è il legame fra la sessualità incontrata in se stessi e quella
incontrata negli altri, che è civilizzata, cioè “come gli umani trattano la sessualità ” e i primi
altri sono padre e madre, donna e uomo che si curano particolarmente di lui. In Marcellino
pane e vino il bambino è mandato nel convento e lì la questione delle cure personali e la
questione del sesso è affrontata in modo speciale: la comunità dei frati fa da madre a
Marcellino, e i frati non sono anonimi per il bambino, infatti ciascuno ha la sua funzione verso
il bambino: fra’ pappina, fra pipì… Nella simbolizzazione della propria realtà le cose più
importante sono quelle che vive il bambino dalla madre, non anonime, ma particolarizzato per
lui. La madre è la firma dell’interessa che essa ha per quel bambino specifico.

A volta le madri dicono che di due figli “trattati allo stesso modo” ma si sono sviluppati in
modo opposto, e ciò perché la madre aveva interesse particolarizzato diverso per i due figli. È
necessario che ci sia un interesse particolarizzato, perché una uguaglianza assoluta dei figli,
tutti uguali con l’etichetta “figlio” porrebbe nell’anonimato più completo. L’essere umano è
strutturato dall’universale, perché simbolico, parlante, ma anche singolare, perché ha un
nome proprio, che è la funzione simbolica della singolarità . Aristotele diceva che del
particolare non c’è scienza, che è solo dell’universale, e ciò dimostra che l’uomo non può
vivere di scienza perché il suo dramma o problema è la vita personale, individuale. Von
Balthasar ci dice della drammaticità della singolarità . Universale e singolare sono insieme
nell’uomo, e quindi anche nel bambino che cresce. I problemi del bambino non trovano
risposta nel sapere universale, nella scienza, ma nell’esperienza singolare.

Noi come bambini ci chiediamo sempre perché il padre sta con la madre, anche se non ne
abbiamo coscienza, e ci accorgiamo di esserci fatti la domanda quando accade qualcosa che
indica che, implicitamente, ci eravamo interrogati sulla questione. Perché il padre sta con la
madre? Che legge sta come regola dei rapporti fra madre e padre? Nella legge dei rapporti
umani a livello singolare e personale, c’è sempre un fattore di desiderio, infatti quando uno si
chiede perché il papà sta con la mamma si chiede “che cosa desidera il papà ”. Il perché
riguardo ad un essere umano è sempre legato al desiderio, cioè che cosa desidera l’essere
umano nel fare quella cosa. Se chiedessimo al papà : “perché stai con la mamma?” e
rispondesse: “perché siamo sposati e il matrimonio è indissolubile” noi non saremmo
soddisfatti, perché non ci interessa un sapere sulle circostanze oggettive e sociali. Se anche
dicesse “perché non ho un’altra casa dove andare” non ci lascerebbe soddisfatti, anche se
questo ci dice qualcosa sulla mancanza di desiderio, perché indica che la mamma non è voluta
come una donna, desiderio sessuato, ma per una necessità abitativa. Non risponde con un
desiderio ma con una necessità , un obbligo. La questione riguarda il “tu perché”. Il desiderio è
fondamentale nelle funzioni materna e paterna. Il padre è una creatura di desiderio. Cosa è un
padre? Molte cose, ma è uno che di certo desidera in un certo modo, a livello universale, nei
confronti di quella persona singolare, la madre.

Il bisogno nasce nel nostro organismo, mentre il desiderio nasce sempre in connessione con il
desiderio dell’altro. Per chiederci cosa veramente desideriamo per la nostra vita, la vocazione,
ci chiediamo sempre che cosa l’altro o la vita desidera da noi, cioè che cosa è desiderabile, che
cosa la vita, l’altro, Dio vuole fare di noi. La volontà di Dio è proprio che cosa vuole Dio da me.
Nell’interrogarci sulle nostre inclinazioni noi ci consideriamo come un altro, cioè cosa vuole
quell’altro che poi siamo noi stessi? Il padre è un essere di desiderio e la funzione paterna si
appoggia sul desiderio. Un padre di famiglia è un uomo il cui desiderio è deciso nei confronti
di una donna precisa, particolare, non anonimo, che determina il modo in cui quell’uomo vive
il rapporto con l’altro sesso, e che gli dà dei figli di cui si prende cura. La forma di desiderio
che costituisce un padre ha queste coordinate: desiderare una certa donna, porla come sua
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causa di desiderio e di azione, cioè per cui si combatte (lottare per la causa), cioè quella donna
causa il suo desiderio sessuato, e dà a quella donna dei figli di cui si prende paterna cura, cioè
per i quali lui vuole esistere come padre. Il rapporto con quella donna è specifico, e in caso di
poligamia le donne speciali sono più di una, in un contesto di leggi sociali istituite. Sarebbe da
approfondire. Il fatto che sia una istituzione socialmente ammessa non contraddice al fatto
che il padre sia tale perché sceglie quella donna con cui ha un certo rapporto che non è solo di
consumo, come con la prostituta, ma un rapporto che legalmente e socialmente è riconosciuto
e c’è la scelta di essere padre per il figlio.

Sintesi del corso:

obiettivo: mostrare che la singolarità e specificità del discorso cristiano, quali il disegno di Dio,
la verginità , la momogamia, ecc non è contro la natura umana che lei stessa fonda. Il
Cristianesimo fonda una qualche idea di natura umana perché lega l’incarnazione del divino
alla persona, che è incarnata, cioè fonda l’idea di natura umana perché Dio si è fatto uomo,
cioè ha preso su di sé la struttura dell’umano (che quindi deve essere reale). Le pratiche
psicologiche ci dicono qualcosa di come funziona una struttura dell’esperienza umana? Essa
non è un pattern chiuso di funzionamento, ma è una forma drammatica che si deve sempre ed
ogni volta decidere per il singolo, non a livello universale. La vita del singolo si decide ad ogni
scelta. L’uomo è essere parlante, perciò ha rapporto con la realtà in modo particolare, cioè ha
rapporto con l’altro. Il rapporto con l’altro e con la realtà è strutturato dal linguaggio e dal suo
essere. Così la natura biologica ed animale è aperta, e ciò dà anche delle coordinate di
struttura della vita umana soggettiva (i cerchi e le intersezioni). Le conseguenze della
struttura della vita umana che vediamo, del linguaggio, sono a livello di immagine,
immaginario: l’immagine dell’altro è modello per noi, cioè è sia altro sia noi, con delle
conseguenze. Già a livello biologico l’immaginario umano è aperto all’altro, si interessa della
sua immagine. A livello simbolico e reale si hanno il desiderio e domanda d’amore, e il bisogno
a livello reale. La domanda è sempre simbolizzata, cioè qualcosa diventa simbolico, entra in un
linguaggio e segue le leggi del linguaggio. Il desiderio è il modo in cui nella natura umana si
tende a qualcosa: è specifico del soggetto, sorge sempre in rapporto con l’altro, sia
immaginario, sia con l’altro simbolico. Se mi chiedo che fare nella vita mi cheido che cosa la
vita vuole da noi. Uno dei problemi a livello di amore è che non ci sono più modelli sociali
dell’amore, che in realtà vive di modelli. Oggi del sesso si parla in tutte le maniere, si vede, si
pratica, si parla… cioè il pudore a livello sociale non è più sul sesso, ma sulla questione
dell’amore, cioè sui sentimenti teneri (alla Freud). Uno esita a decidere se ama o meno l’altra
persona, perché l’unico modo che pensa sia certo di amare è se sente un trasporto o passione
assolutamente indiscutibile. Ciò è errato, ma è di moda. Se il rapporto è discutibile, cioè si
mette in gioco e cera di capire che cosa sta vivendo, sarebbe la fase dell’approfondimento, ma
oggi il rapporto cade perché si fa un corto circuito discutibile = falso. Ciò è a causa del mito
romantico dell’amore come sensazione.

Ultimo punto: i legami umani sono tutti fatti di domanda e desiderio, perché l’amore è
domanda e lega gli esseri umani, ed è il desiderio che sostiene il legame che passa nella
domanda di amore. ci sono 2 soddisfazioni, della domanda e del desiderio. Non c’è senza che si
ponga il problema dell’amore, e i legami famiglia sono sintetizzati nella funzione paterna e
materna, e sono proprio il problema di come si legano amore e desiderio. Come amore e
desiderio si legano insieme in modo veramente umano? Ragioniamo a livello reale, non ideale.
La verità è che tali dinamiche non dipende dal nostro arbitrio, ma dalla realtà . Sulle dispese
verità e inconscio.

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