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FERITA/MISTERO DELLA DIFFERENZA


Mario Binasco
nest-ce pas l assez pour expliquer que son drame ne se joue que
[] l o le Logos, dchu dtre du monde la raison spermatique, sy
rvle comme le couteau y faire entrer la diffrence? (J.Lacan)1
Ferita e dramma della condizione umana
In riferimento ai due aspetti della situazione di confine corpo-anima insorge la questione circa una
possibile totalit dellesistenza umana e in tal modo circa un suo ultimo possibile senso, e insorge come una ferita
che sanguina. Problematica diventa la possibilit [] di una bella forma dellesistenza riposante in se stessa. 2
Dobbiamo lasciare la questione aperta, anche se aperta come una ferita. Il centro della realt umana non
ricostruibile con i nostri concetti a partire semplicemente dalluomo. Egli gioca il suo gioco tra la terra e il cielo
dove non ci si sposa (Mt 22,30), ma vi si celebrano per le nozze dellagnello 3
Al momento di tirare le somme sui problemi teologici e filosofici storicamente connessi a ciascuna delle
due prime tensioni antropologiche quella corpo/anima e quella uomo/donna , al momento di ricomporli in una
formula sintetica, von Balthasar dichiara di non poter concludere ed evoca, in ciascuno dei due momenti,
limmagine della ferita aperta.
Limmagine della ferita sembra sorgere ancora una volta nel momento in cui si cerca di stringere la realt
umana con un cerchio che la abbracci come una totalit completa, finita, data, e la si cerca per la via della bella
forma riposante in se stessa. Lo storico e ripetuto scacco di questo tentativo e per questa via gi dovrebbe
segnalarci come essenziale ed insuperabile il carattere drammatico dellantropologia cristiana (e perci anche postcristiana): se il riposo in se stessa di una buona forma non basta a rendere conto della realt/natura umana, allora
appare cruciale e imprescindibile il dramma nel quale si gioca luscita della forma da se stessa, lazione della sua
messa in gioco.
Bisogna rendersi conto del fatto che se il dramma necessario per comprendere lessenza della vita umana,
ci vuol dire che lessenziale di questa vita ci che si decide ogni volta singolarmente in questo dramma: ma
allora ci significa che ogni forma nella quale noi cercassimo di condensare e riassumere i tratti essenziali della
vita umana, qualunque livello di forma, necessariamente incompleto, strutturalmente incompleto, poich manca
appunto dellessenziale, di ci che solo nel dramma si pu decidere. Gi questo difficile da pensare, perch la
forma ha sempre vocazione a porsi come completa, buona o bella forma, sufficiente: mentre qui diciamo che la
vita umana appunto un continuo, drammatico scoprire non semplicemente un limite, ma proprio linsufficienza e
dunque lincompletezza di ogni forma (estetica e/o funzionale) nella quale si cerchi una qualche garanzia
autonoma di essere.
Dicevo che essa sorge ancora una volta, perch sono millenni che limmagine della ferita chiamata a
simbolizzare e spiegare qualcosa di fondamentale della condizione se non della natura umana: o meglio, detto
appunto drammaticamente, della condizione della natura umana.
Infatti, anche solo restando nel suo ambito, la rivelazione ebraica e cristiana ci dice che la realt nel suo
insieme, e la sua vicenda origine storia e destinazione ruotano attorno al mistero di una originale caduta, un
iniziale decadimento della condizione umana che ha trascinato con s una sorta di ferita nella natura umana stessa,
che ne compromette la realizzazione e il compimento del suo fine nella vita personale, e non solo, perch la lascia
anche aperta alle peggiori realizzazioni al contrario di quella finalit: ovvero non soltanto alla semplice
incapacit di conseguire quel plus che la soddisferebbe, ma anche al precipitarsi in quella sorta di plus negativo
che limmagine dellinferno ha per millenni rappresentato.
Vulneratus in naturalibus 4 lespressione usata da S.Tommaso per indicare questa condizione, che di
fatto, storica, e che motiva in modo cruciale ( il caso di dirlo) la vicenda della salvezza portata dal Verbo
incarnato, morto e risorto; condizione storica s, eppure costituente la forma, lunica, nella quale ci si presenta la
natura umana, tanto da rendere difficile distinguere tra la sua condizione ferita, patologica, e la sua natura normale.
Paradosso della natura umana
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J.Lacan, De la psychanalyse dans ses rapports avec la ralit, in Autres crits, Seuil, Paris, p.357 non abbastanza per
spiegare che il suo dramma si gioca solo [] l dove il Logos, decaduto dallessere la ragione spermatica del mondo, si
rivela come il coltello che fa entrare in esso la differenza?
2
H.U. von Balthasar, Teodrammatica II, Jaca Book, Milano, p. 342
3
ibidem, p. 360
4
S. Tommaso dAquino, Summa Theologiae, Ia IIae, qu.85, art.1, sed contra.

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dunque da molto tempo che limmagine della ferita viene a caratterizzare essenzialmente il paradosso
umano, viene invocata come una forma di questo paradosso: forma paradossale essa stessa, perch la ferita
qualcosa che non ha forma in se stessa, ma anzi rottura di una forma, sfregio, degradazione, impedimento di una
forma. I secoli cristiani hanno oscillato nel modo di intendere questa ferita e questo paradosso, di intenderne la
portata e la logica, di intendere il tipo di relazione che lega la condizione ferita alla natura umana come tale
soprattutto in quanto natura di un essere personale, e come tale dotato di una autonomia dessere e di una relativa
superiorit rispetto alla specie o a tutte le classi e categorie determinate in cui pu essere iscritto.
Non stato facile e pacifico indagare quali rapporti tra quella condizione ferita e quella natura come
tale, soprattutto quando la condizione pu venire a sostituire e a fare le veci della natura ed apparire naturale
quanto questultima, per quanto patologicamente stornata dai suoi fini: in fondo si radica qui la pertinenza della
prospettiva patologica sulla condizione umana (che il proprium della psicoanalisi per esempio, avvertito spesso
come scandaloso) come una delle figure del dramma antropologico.
Il fatto che la condizione umana sia ferita in naturalibus comporterebbe allora semplicemente che non sia
pi riconoscibile una natura umana in qualche modo ideale o modello, che questa sia del tutto corrotta secondo
una logica del tutto o nulla? E se invece affermiamo che questa natura riconoscibile come tale, e va mantenuta
separata dalle condizioni in cui si trova, come allora comprendere le sue relazioni con la condizione ferita, come
non ascrivere direttamente a questa natura tutte le caratteristiche negative di questa condizione, come non ritenere
questa condizione come anchessa naturale? Solo a partire dalla rivelazione? (Ma in questo caso, le prospettive
antropologiche anche scientifiche che ne prescindono, necessariamente post-cristiane, non sono condannate a
identificare la condizione ferita con la natura stessa?) E come non giudicare la salvezza dal cambiamento operato o
meno a livello di queste condizioni? (Sono solo alcune delle domande possibili).
In questa problematica la soluzione portata da Tommaso forse la pi elegante o geniale nel cercare di
mantenersi sulla via stretta che non rinuncia a nessun fattore della questione: ed la soluzione che fa direttamente
delluomo un essere che con linguaggio di oggi diremmo paradossale. Ricordiamola sinteticamente, perch ci
serve da orientamento: lessere umano, unione di corpo e di anima spirituale, appunto animato da desideri,
moti, tendenze, aspirazioni che hanno le dimensioni proprie della sua anima, e cio una certa capacit di
infinitudine, e che si riassumono nellesigenza ultima di conoscere Dio come soddisfazione ultima del moto della
sua natura; ma allessere umano impossibile per sua naturalia in virt della sua natura stessa raggiungere
questo suo fine, soddisfare la sua esigenza di felicit in modo adeguato: la sua natura comporta un fine che non
raggiungibile per direttamente con i mezzi della sua sola natura. Per la sua soddisfazione o con linguaggio
moderno la sua realizzazione serve laiuto dellunico oggetto adeguato allo scopo, cio Dio stesso, e della sua
grazia (ovvero i doni che liberamente e supplementarmente pu dare): bisogna cio che loggetto divino si faccia
raggiungibile, si metta alla sua portata.
Certo va notato che questo oggetto e fine, Dio, non solo un oggetto, ma anche un interlocutore, un
Altro che parla alluomo, anzi non solo un Altro, ma il campo stesso nel quale questo colloquio, questo dialogo,
questa interlocuzione pu avvenire: la felicit infatti data dalla conoscenza di Dio, e questa possibile solo dentro
un legame di discorso, nella ragione, attraverso il Logos (in Lui esistiamo, ci muoviamo e siamo ecc.)
La natura delluomo dovrebbe permettergli di cercare il rapporto con questo Altro che lui s pu
soddisfarla: ma la condizione ferita in cui essa si trova la espone in realt a cercare non questo Altro e la vita che
Esso pu darle, ma a cercare fuori di questo Altro qualcosa che a quel punto appare come la sua stessa distruzione,
la sua morte: a cercarla non sempre direttamente come tale, certo, ma nella forma di un godimento che per
distruttivo e mortifero.
C dunque un legame, un rapporto, naturale e necessario tra Dio e luomo, fondato sulla naturalit
dellappetito, della tendenza umana verso di Lui, perch luomo necessariamente desidera il suo fine che la
conoscenza di Dio: ma anzitutto in questo legame necessario e naturale Dio figura come assente, come
necessariamente mancante alluomo; in secondo luogo c un altro legame tra Dio e luomo, quello del prestarsi di
Dio alla conoscenza delluomo, al compimento delle sue esigenze, ma questo versante del legame non affatto
necessario, perch dipende dal volere di Dio stesso, dalla sua grazia: questo rapporto dunque contingente, si tratta
di farlo accadere, di mettersi in posizione perch accada.
La condizione originale delluomo ci dice la rivelazione era quella di chi aveva assicurato da Dio
questo rapporto con lui, col suo aiuto a conseguire il fine, la beatitudine: con il peccato originale luomo dice di no
a questo aiuto di Dio, e smette pertanto di riceverlo: non solo, ma rischia sempre pi di perderne le tracce, perch la
natura delluomo soggetta a corrompersi (non del tutto stabile) senza laiuto di questo supplemento divino
necessario per raggiungere il fine, ma contingente nel suo darsi.
E pertanto luomo col rifiuto originale perde i doni gratuiti e preternaturali, che secondo la rivelazione
supplementavano e insieme compivano la sua natura: secondo san Tommaso questi sono limmortalit e
limpassibilit del corpo, e la perfetta obbedienza delle forze inferiori alla ragione. Non solo perde questi, ma

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perdendoli anche abbandonato alla condizione di sempre possibile corruzione che propria della sua natura
stessa: il che appunto uno dei sensi dellessere ferito.
Cos lessere ferito appare contemporaneamente come caratteristica di fatto della natura delluomo nella
sua condizione attuale, separato dal suo fine e dalla possibilit di esso senza dono supplementare da parte di Dio, e
insieme effetto di un fatto contingente dellessere lasciato a se stesso: avendo egli rifiutato/smarrito lAltro partner
divino per realizzarsi da solo (conoscenza del bene e del male), ora la sua naturale incapacit a raggiungere la
realizzazione di se stesso senza lAltro appare alluomo come uninnaturale, patologica, nichilistica condanna o
maledizione, perch sembra permanere in lui lidea che la sua natura dovrebbe affermarsi senza lAltro, e cio solo
per la via dellUno: e questo aggiunge un fattore di scandalo, di insopportabile al fatto che la sua natura
paradossale di uomo si pu dire ferita, divisa in se stessa.
Infatti qual il paradosso? Che luomo non possa realizzarsi, fare uno con la propria essenza, se non
attraverso lAltro, dunque con qualcosa in pi di cui lui non dispone a titolo di oggetto del bisogno, ma con cui
deve anche mettersi in rapporto come Altro interlocutore. Dunque questo in pi (plus) anche un in meno se
consideriamo luomo solo come unit, come Uno, un in meno perch lAltro manca alluomo come Uno.
Il paradosso che luomo in rapporto con qualcosa di cui egli manca (che si porrebbe dunque come il suo
complemento), e che tuttavia contemporaneamente in pi rispetto alla sua unit di individuo, dunque un
supplemento: il paradosso che ci che gli manca egli pu accostarlo solo come qualcosa in pi, di eccedente,
perci di gratuito, di non necessario, al limite si potuto perfino pensare di superfluo.
Il paradosso sorge e viene vissuto come lacerante nella misura in cui luomo tende a pensare la sua unit
il suo essere come necessaria, come autosufficiente: allora il mancare di qualcosa, il desiderio, una ferita e ci
che gli manca accidentalmente solo un complemento con il quale egli sarebbe di nuovo Uno; ma se solo
complemento, come un oggetto del bisogno, allora non ha nessuna Alterit, non niente di pi o di oltre; e se esso
invece qualcosa di supplementare, in pi, al di l, allora gli difficile concepire come possa essere ci che gli
manca, strutturalmente, e non solo un optional ridondante.
Dico che questo paradosso e questa difficolt del pensarlo vengono dal fatto che la differenza iscritta al
cuore dellessere umano, e che questo mistero sembra fare misteriosamente scandalo per la coscienza di s pronta
sempre a sentirlo come una ferita.
Corpo e carne
Ma che cos una ferita?
La ferita anzitutto una questione di corpo, anzi pi precisamente un evento del corpo, una contingenza, un
accadimento che il corpo subisce: in questo senso la ferita sempre qualcosa di particolare, se non addirittura di
singolare: e infatti possiamo spesso identificare una persona dalle sue cicatrici, dai segni residui delle sue ferite,
segni , qualcosa che incide.
una mancanza che appare come tale, che si apre sulla superficie del corpo, l dove essa dovrebbe
presentarsi compatta, continua, contigua a se stessa senza che nulla ne rompa lunit: un taglio che interrompe
arbitrariamente la continuit e la contiguit di due parti del corpo staccandole luna dallaltra, ponendole in certo
senso luna contro laltra, iscrivendovi una distanza da s a s impensata e intollerabile per lesigenza di unit che
sta alla base del corpo come immagine e come funzionamento.
Infatti la ferita contraddice lUno del corpo, e cos trasgredisce il limite del corpo stesso: nei due modi o
sensi, 1) di mettere a rischio lUno che fa appunto da totalit e quindi da limite al corpo, oppure 2) di forzare il
corpo ad allargare, ad andare al di l dei suoi limiti attuali ( il caso di quando la ferita voluta come tale per
inserire nel corpo qualcosa in pi, o di estetico o simbolico o funzionale, come una protesi che non sostituisce
qualcosa di perduto, ma che si aggiunge.)
Il corpo ferito non perde per questo la sua unit, esso resta Uno, s, ma si nota ora non tutto.
Questo non-tutto ci obbliga qui ad enunciare laltro termine che la ferita ancora pi propriamente evoca e fa
emergere: la carne.
Se il corpo uno, marcato dallUno (e da ogni segno, da ogni tratto significante che lo pu costituire
come Uno, unificarlo, uni-formarlo), la carne ci che appare proprio quando lunit del corpo viene messa in
questione, quando viene ferita o anche soltanto appare come limitata: la carne senza forma n unit, come terreno e
materia della vita umana, non per nulla sempre ambiguamente oscillante tra la positivit del godimento vitale e la
negativit del suo rifiutarsi ad un ordine superiore, o pi ampio comunque un ordine della ragione, del logos.
La carne , del corpo, il versante o il momento non pacifico o non pacificato dallUno: quello che ci fa
chiedere: la nostra condizione , allora, ferita o limitata? Ogni limitazione una ferita? O c un modo di vivere il
limite della propria natura non come ferita inevitabile, non come pathos senza soluzione? la questione che ha reso
difficile capire in che senso e in che modo il limbo dantesco, con lassenza della visione di Dio che lo caratterizza,
possa mantenersi distinto dallinferno e non diventare una sua forma.

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La carne inquieta a partire dal momento in cui lo spirito ne ha preso possesso, si appunto incarnato,
dandole aspirazioni spirituali, tra queste quella di fare Uno: solo che lo stesso Logos che gliele permette anche
quello che rende impossibile realizzarle al livello della carne stessa, e per questo esse restano come tentazioni..
Non mi sembra abusivo ricorrere ad una sorta di analogia dellIncarnazione: come il Logos in quanto
persona divina si fatto carne (sarx eghneto: diventato carne), cos il logos di cui ogni essere umano partecipa
in quanto parlante e razionale incorporato singolarmente dalla sua carne vivente e ne struttura ormai
irreversibilmente la vita.
Le ferite di Cristo e il corpo del soggetto
Ci vero anche per quellaspetto della carne e del corpo che chiamiamo ferita.
Infatti non possiamo dimenticare qui che la rivelazione cristiana colloca in posizione cruciale nel mistero
come mistero della salvezza proprio delle ferite: le ferite della passione di Cristo.
Considerarne lo statuto mi pare essenziale se vogliamo dire qualcosa della convergenza tra la prospettiva
antropologica del mistero cristiano e quella postcristiana direi nel senso di von Balthasar della dottrina e della
pratica psicoanalitica.
Agostino, e poi Tommaso, si pongono la questione se nello stato di gloria che Cristo vive nel suo corpo
risorto, nel luogo ultimo del compimento della vita, sul corpo di Cristo si trovino ancora i segni delle ferite della
passione, oppure no. chiaro che si gioca qui una questione importantissima, la concezione della portata e del
significato del corpo e dellIncarnazione, lassunzione di un corpo umano da parte di una persona divina, e la sua
funzione per la salvezza. Lo stato finale del corpo quello glorioso, che uno stato di particolare perfezione del
corpo stesso: per questo Agostino e Tommaso si interrogano sulla presenza o meno delle ferite su questo corpo: la
ferita unimperfezione, farebbe dunque obiezione alla gloria del corpo. La risposta di Agostino, ripresa da
Tommaso, che il corpo glorioso di Cristo reca ancora visibili i resti delle ferite della passione: questi non
diminuiscono la gloria del corpo, perch se prese astrattamente come ferite sarebbero unimperfezione, tuttavia
come segni esse invece arricchiscono di gloria il corpo del risorto, perch sono appunto i segni pi eloquenti
dellamore per il quale egli andato incontro a tutto ci che ha subito nella sua passione, e della sua vittoria. 5
Diverse considerazioni possiamo trarre da questo ragionamento. Anzitutto che il corpo non solo il corpo
reale o il corpo immaginario, corrispondente ad una forma ideale che farebbe da base alla sua gloria: il corpo
anche il corpo simbolico, perch incorpora anche dei segni: le ferite di Cristo sono dei segni ed a questo titolo
che fanno parte del suo corpo: dunque il corpo non una realt completa - tutta in se stessa e la sua gloria
dunque non una restitutio in integrum o in pristinum, che sarebbe solo una completezza immaginaria e astratta,
ideale forse, ma regressiva.
Certo le ferite di Cristo sono guarite in quanto eventi del corpo, sono sanate, non minacciano pi la sua
vita, sono ridotte a tracce, appunto a segni, ma segni e tracce ben reali.
Ma segni di che cosa? Sono segni di atti o di un atto che il soggetto ha compiuto, atto che gli merita la
gloria: atti significa la storia di quel soggetto, significa quella persona come soluzione del suo dramma.
Lanima di quel corpo non solo un funzionamento biologico chiuso, da organismo animale, ma il
soggetto di un discorso (segni e senso), in questo caso un discorso damore. Gli atti (e i loro segni) sono appunto le
soluzioni storiche, concrete, singolari, che il soggetto ha dato al dramma cui ha partecipato: e come latto fa s che
il soggetto dopo non sia pi lo stesso di prima, che non sia pi pensabile senza quellatto, cos anche il corpo di
quel soggetto segnato, trasformato dalle tracce, dai segni, di quellatto.
Dunque se il corpo pu essere integrato da tracce e segni contingenti, non mai un corpo qualunque,
anonimo, ma il corpo di qualcuno, e la storia che si iscrive su di esso ne fa parte appunto simbolicamente, ma
anche realmente, non per modo di dire.
Inoltre mi sembra di poter dire che in fondo le ferite non obiettano alla gloria a condizione che esse
aggiungano come segni qualcosa alla gloria, un valore che non era del corpo come immagine, ma che del corpo
come senso: a condizione che esse aggiungano un surplus di senso al corpo, e del senso di un dramma compiuto:
qui essenziale notare che lazione del soggetto che trasforma anche un negativo, una mancanza (ferite) in
qualcosa di positivo, in un plusvalore: il ruolo necessario del dramma in questa operazione di arricchimento della
gloria richiama in qualche modo la parabola dei talenti, nella quale proprio ci che ci si attende dal servo, che
rischi e investa trasformando lapparente perdita del talento in un guadagno.
Possiamo dirlo questo tanto pi che le ferite di Cristo sono i segni di un prezzo pagato per questa creazione
di valore: un prezzo di vita, un prezzo di godimento vitale (non consider tesoro geloso). La simbolizzazione che
trasforma ci che manca in valore, non gratis, non virtuale o vana, implica il pagamento di un prezzo, implica di
perdere effettivamente qualcosa per poterne poi ritrovare diversamente un contraccambio (chi vuole salvare la sua
vita la perder): ma questo contraccambio appunto un plus che viene a rispondere ma non a sostituire al
5

S.Tommaso dAquino, In III Sententiarum, qu.2, art.4 c sed contra 2.

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plus pagato ed al minus che ha lasciato. Anche questo minus resta essenziale (come le ferite di Cristo),
perch proprio ci che viene trasformato nel simbolico in plusvalore.
Ci vero a qualunque livello dellesperienza del corpo come corpo di un soggetto: pensiamo al corpo in
quanto soggetto alla legge, il corpo circonciso per esempio, o il corpo segnato da un marchio, una scarificazione,
una cicatrice, un anello ecc.: il prezzo pagato evoca il desiderio ed suo pegno. Ogni incisione sul corpo in questo
senso che abbia un valore di appartenenza sociale oppure un valore erotico il segno appunto di un prezzo
pagato nel corpo per simbolizzare il desiderio in cui si iscrive, per essere corpo di desiderio: e nel caso delle ferite
sul corpo glorioso di Cristo si tratta evidentemente del desiderio di salvezza per la realt umana, che riassume tutta
lazione di Cristo nel mistero cristiano.
Se cos, se prendiamo atto del fatto che la dimensione simbolica, del segno, (del Logos), costitutiva
dellumanit anche carnale, allora ci possiamo fare unidea di come linevitabile dimensione o esperienza della
ferita possa essere non solo scandalo che chiude il soggetto in difesa virtuale di se stesso, ma possa essere presa in
una simbolizzazione che ne fa il prezzo (sacrificio, dono, scambio) di un desiderio dellAltro.
Psicoanalisi e mistero della differenza: Logos e Alterit
Mi sembra che si sia ormai abbastanza profilato il senso della tesi che stiamo tracciando: e cio che la ferita
un modo di esperienza del fatto che lessere umano impensabile sia cristianamente che laicamente al di fuori
della dimensione della differenza: e cio che il mistero stesso a tutti i livelli, da quello della ragione naturale a
quello rivelato, il mistero della differenza (si pensi alla Trinit); e che il mistero della differenza in fondo il
mistero stesso del Logos e della sua incarnazione.
Ci che specifico del nostro contributo lidea che le strutture della vita psichica descritte dalla
psicoanalisi evidenziano un carattere paradossale del tutto analogo al paradosso che il mistero cristiano ha
introdotto per primo nella storia: lincarnazione del Logos e il suo essere condizione della salvezza.
Lesperienza e il discorso psicoanalitici affrontano questo paradosso laicamente, ovvero in modo postcristiano: non nel senso di un qualche superamento del cristianesimo o sua riduzione, ma nel senso che essi sono
impensabili al di fuori del solco aperto nella storia e nella cultura dalla rivelazione ebraico-cristiana e dal teodramma cruciale in essa.
Questultima ha introdotto un impensabile il Dio uomo nellautocoscienza umana: questo impensabile,
questo volto del mistero, stato pensato come evento storico ed ora ogni autocomprensione umana non pu che
misurarsi su di esso. Aver introdotto Dio nella carne umana, aver reso questa capax Dei, stato il modo pi
clamoroso di introdurvi la differenza: chiamata ad Altro e ad Altra cosa, la sua identit non sta pi in se stessa, non
vi si pu pi richiudere.
Leffetto o la manifestazione prima della differenza che anzitutto il soggetto paradossale perch non c
soggetto senza che al suo cuore stesso ci sia lAltro, che lo divide e separa da se stesso, che lo porta fuori di s.
Ci sono diversi modi dellalterit che la clinica psicoanalitica ci permette di evidenziare nellesperienza
umana: qui ne consideriamo alcuni, che nel loro carattere drammatico contribuiscono alla descrizione delle tensioni
antropologiche di cui parla von Balthasar.
La psicoanalisi prende queste tensioni a partire dalla sua esperienza pratica della patologia, e se pensiamo
che questa parola abbia un senso, il suo senso minimale non pu che essere questo: ogni posizione soggettiva che
orienta il soggetto contro la sua stessa vita. Solo che la vita umana, la vita del soggetto del logos, non definibile
soltanto dai modi e dalle logiche della vita animale, e questo introduce una complicazione o una difficolt
precisamente a chiudere il problema e il fenomeno in una definizione oggettiva completa ed esauriente.
La vita del soggetto pensabile solo includendovi il rapporto costituente che egli ha con lAltro del
linguaggio, una vita specificata dal modo del suo rapporto con lAltro, secondo se questo modo orientato ad
incrementare la vita stessa trovando nellAltro ci che pu soddisfare le proprie esigenze, oppure se orientato al
rifiuto dellAltro e di ci che di vitale pu venirci da lui. Questultima possibilit avviene sempre al prezzo di non
sapere qualcosa, di rifiutarsi di sapere qualcosa per attenersi disperatamente il caso di dirlo alle sole e pretese
risorse del soggetto: come il naufrago che non pu staccarsi dal salvagente ormai sgonfio per attaccarsi alla corda
che gli viene tesa.
Come si vede dunque nel soggetto il termine vita diventa radicalmente duplice, ambiguo: come il
naufrago mostra, c un modo di tenere alla vita in quanto propria che, rifiutando lAltro e la differenza come
parte della struttura del soggetto stesso, si rovescia di fatto in un tenere alla morte, purch sia propria; e dunque
anche il termine morte nel soggetto diventa duplice: c una morte che viene portata dalla vita (il salvagente, la
corruttibilit naturale della vita animale stessa), e una morte che invece sorregge la vita (un sacrificio o una
rinuncia a favore di un desiderio e di unaltra soddisfazione, anche se questa pu comportare al limite la perdita
della vita stessa).

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In ogni caso si vede che per lessere umano non c vita in senso assoluto, che escluda assolutamente la
morte, non c vita senza morte, perch dallAltro, dal logos che noi ci sappiamo mortali come dice anche il
racconto biblico e come mostra la funzione della sepoltura nella storia della civilt umana. E per si vede anche
che non c morte (o mortificazione) senza che ne derivi della vita, purch quella sia il prezzo pagato per questa:
ma non sarebbe concepibile alcun prezzo, dunque alcuno scambio, senza lAltro simbolico. Ma certo non c
ancora la vita nel momento stesso della mortificazione, se non come fede estrema nellAltro dellamore (Forse che
il fine della vita vivere? Non vivere, ma morire) 6
Al di l dellanimale, lAltro dei significanti
Abbiamo detto sopra che lAlterit fa uscire il soggetto da s: ora, fuori di s, separato da s, pu voler
dire anche contro di s: leffetto introdotto dalla differenza nellessere vivente e parlante duplice: da un lato
lapertura dei suoi limiti alle dimensioni dellAltro (come vocazione, soddisfazione, realizzazione), dimensioni del
tutto eccedenti la sua unit biologica animale e che ne comportano una perdita , un suo parziale sacrificio in cambio
di una diversa capacit.
Dallaltro lato il rischio continuo per lessere umano di distogliersi dal perseguire la sua vita in relazione
con lAltro, di perdere lorientamento vitale allAltro per scivolare o implodere in unavversione alla propria vita,
in una passione distruttiva di s, una passione per la sofferenza e per la morte, propria e altrui. (Gi il racconto
biblico del peccato originale presenta questa caduta sulla china del fare il proprio male.)
questo il paradosso della patologia nellessere umano: egli presenta possibilit patologiche del tutto
speciali ed ignote allanimale (autismo, psicosi, melanconia, masochismo, patologie narcisistiche, ecc.), che sono
legate proprio alla sua umanit perch sono correlative a passioni specificamente umane (la passione per la propria
immagine, la passione della parola e del linguaggio). Esse possono manifestarsi con conseguenze sempre
variamente contrarie alla logica del vivente: e precisamente perch in lui la sua natura simbolica che gli permette
di andare al di l della vita animale pu sempre cercare la distruzione di questa vita.
Il paradosso della patologia umana il paradosso del godimento e della soddisfazione nella condizione
umana, ed correlativo della presenza misteriosa del linguaggio nella vita umana, del mistero del corpo parlante
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, quel linguaggio che rende presente ed attiva la differenza assieme allAlterit. Considereremo solo alcune
conseguenze dellAlterit sulla vita umana cos come le evidenzia la psicoanalisi: quelle sulla struttura del corpo
come pulsionale, quelle legate alla relazione narcisistica con laltro e con se stesso, e quelle relative alla
soggettivazione ed assunzione della differenza dei sessi (che la psicoanalisi riassume nel termine di castrazione).
Ma anzitutto va ricordato che la psicoanalisi (penso soprattutto a Lacan, dopo Freud) ha messo in luce
lestremo peso ed importanza che ha il linguaggio nella vita e nella strutturazione dellessere umano, al punto da far
definire questultimo come lessere parlante. Per quanto riguarda il suo costituirsi soggettivo a partire dalle
funzioni della madre e del padre, essa mette in luce come essenziale in entrambe le funzioni, in modi diversi, la
relazione con un desiderio che non sia anonimo. Limportanza cruciale di questo non anonimato (delle cure
materne e del riferimento paterno) illustrato nella clinica per esempio dalle cosiddette sindromi di ospedalismo
(Spitz), situazioni soggettive di neonati mortalmente devastate dallanonimato delle cure.
Quello che qui preme di rilevare che parlare di non anonimato ha senso solo se nella vita umana gioca un
fattore del tutto assente dalla vita animale, e che la apre ad un altro livello di realt: e cio il nome; ma lesistenza
della dimensione del nome implica lesistenza del simbolico, del logos come strutturante i rapporti umani.
Che non ci sia anonimato significa che c del nome proprio, ovvero che c qualcosa di significante, di
simbolico, di linguistico, che simbolizza, significa, veicola, la singolarit di un soggetto desiderante che occupa per
il bambino il posto dellAltro. La vita umana come vita personale, del soggetto, sorge fiorisce e si mantiene non a
partire dallo svolgimento universale di funzioni meccaniche di assistenza come fossero un gigantesco respiratore
artificiale ma dal rapporto di linguaggio e singolare al quale egli dallinizio chiamato da un Altro parlante e
desiderante, il cui desiderio ha un nome ed una legge, ovvero ha un senso e d un senso, e per questo non
anonimo8.
Ma anche qui va notato qualcosa di fondamentale: lintroduzione del simbolico, della lingua, del logos al
cuore della vita umana, del corpo e dei rapporti, apporta certamente qualcosa di un ordine del tutto altro rispetto a
quello che compete ed interessa allorganismo animale: uno scimpanz reagirebbe solo episodicamente al
linguaggio, se vi fosse costretto come un animale domestico, ma comunque non prenderebbe parte al discorso,
mentre la questione del partecipare, del prendere parte la preoccupazione drammaticamente fondamentale,
principale, dellessere umano, che caratterizzer tutta la sua vita.
6

P. Claudel, Lannuncio a Maria,


J.Lacan, Le Sminaire, livre XX. Encore, Seuil, Paris, p.118
8
J.Lacan, Note sur lenfant, in Autres Ecrits, Seuil, Paris, p.373
7

7
Ma egli pu partecipare ad esso perch il suo corpo ha perduto qualcosa della sufficienza, della chiusura
semplice dellorganismo animale su se stesso, per diventare un corpo aperto, incompleto per struttura, avendo
incorporato un organo del tutto speciale: il linguaggio, il discorso, il logos. Il simbolico un organo molto
particolare, perch non si chiude sul suo funzionamento, ma fatto di rimandi infiniti e mai chiusi, i rimandi della
significazione e del senso, i suoi spostamenti, le sue combinazioni, le sue reti. Nella misura in cui sono i
significanti, le parole, i sensi a rappresentare i bisogni, i desideri, le domande, la vita del corpo e delle pulsioni,
niente nel soggetto sar pi semplicemente se stesso e in se stesso: il simbolico introduce una prima, fondamentale
differenza nellessere umano, che anzitutto una differenza da se stesso. Anche solo per il fatto di essere
rappresentato (sostituito) da un elemento significante, il soggetto o una sua funzione corporea vengono spostati
dallidentit con se stessi, perch il significante che li rappresenta li rappresenta presso un altro elemento
significante del discorso, nel quale o dal quale trova o riceve il suo senso: ecco un primo modo di differenza da se
stesso che lessere umano vive come propria della sua vita: il fatto che il suo senso, dunque il suo essere (almeno in
parte) nella misura in cui dipende dal simbolico e dai legami di discorso, sia sempre fuori di lui, nellAltro, e sia
esposto a cambiare se cambia qualcosa nellAltro, e comunque quindi non stia mai in un possesso o meglio in una
propriet del soggetto stesso.
Differenza da s e perdita di godimento
Questa prima radicale introduzione della differenza al cuore dellessere consiste dunque nel fatto che al
cuore del soggetto viene posto lAltro, a separare il soggetto da se stesso: lAltro non solo qualcuno che fuori
dal soggetto, ma anche la differenza che appunto separa il soggetto da se stesso, e lo fa su due piani: sul piano del
senso e sul piano del godimento. Sul piano del senso, perch il soggetto non pu darsi da s il senso n garantire da
s la propria identificazione, cos come pu scoprirsi Altro a se stesso in certi momenti: per esempio quando scopre
di aver detto o fatto qualcosa che non avrebbe mai pensato o anche voluto.
Sul piano del godimento, perch il rapporto con lAltro che lo chiama a s nel linguaggio fa sorgere il
soggetto come rappresentato nella parola e nei segni: da questo momento il soggetto comincia a prendere un corpo,
il corpo cessa di essere un puro organismo identico a se stesso e autosufficiente nellessere, perch diventa il corpo
di un soggetto e deve rispondere alle esigenze di questultimo, che vengono anzitutto dal discorso che lo lega
allAltro nelle cure.
A partire dallAltro dunque il soggetto stesso che si infila come differenza del corpo da se stesso, che
stacca il corpo vivente dalla possibilit di godere della propria stessa vita, della contiguit a se stesso, della
continuit con se stesso. In questo senso pi esatto dire che il soggetto ha un corpo, anche se non ci sarebbe
essere del soggetto senza corpo: la relazione di avere sottolinea questa differenza, che toglie al corpo limmediato
godimento di se stesso, quel godimento che possiamo sempre supporre per gli altri esseri viventi.
Ci equivale anche a dire che per la psicoanalisi in fondo non c realmente autoerotismo: il soggetto non
pu godere di se stesso perch egli manca a se stesso e dunque non pu richiudersi su di s, ritornare a s, perch
lumanizzazione e cio lincidenza dellAltro e il rapporto con lui comporta una perdita originaria di godimento
animale, a beneficio di ci che gli viene dallAltro come soddisfacimento, attraverso i segni e il senso. Ci non
vuol dire che il soggetto non possa cercare di ritrovare questo godimento di s (tentando per esempio di non passare
dallAltro della parola, come il soggetto autistico), ma solo che non riuscir mai in questo tentativo di chiusura
completa su di s, e che lapertura allAltro rester sempre a disturbare la sua vita: non potendo vivere lAltro come
colui che lo aiuta a soddisfare le sue esigenze sar condannato a viverlo come la presenza di un tormento, come un
inferno.
Tutto ci avviene anche perch il corpo umano non provvisto di schemi istintivi come gli altri animali, e
dunque lelaborazione di un criterio per sapere che cosa va bene per il soggetto (anche solo la tenuta di un principio
di piacere) dipende in gran parte dal suo rapporto con lAltro e dagli atti di questultimo: questo rapporto
simbolico, di linguaggio. Proprio perch introdotta dal simbolico la perdita di godimento funziona come
uninterdizione, come unimpossibilit appunto simbolica, una legge di divieto.
Ci vuol dire che nelle questioni che riguardano il godimento umano (sessuali per esempio) sempre
implicata una dimensione di interdetto, a prescindere da qualunque contingente divieto esterno: anzi, lesperienza
mostra che perfino una prescrizione, un incitamento al godimento, non fanno che evocare con pi forza questa
dimensione di interdizione, dunque di insoddisfazione: la natura ambigua del Super-Io, contemporaneamente
inibizione e incitamento, messa in luce particolarmente da Lacan: poich il godimento paradossale, prescrivere il
godimento significa prescrivere anche linsoddisfazione.
Abbiamo detto che perdendo il godimento immediato di se stesso il soggetto riceve in cambio da subito
soddisfazioni dallAltro: c dunque uno scambio, che tuttavia non mai del tutto alla pari; come se dovessimo
vendere un prezioso bene di famiglia: se anche riuscissimo a venderlo per molto pi del suo valore, il denaro che
riceviamo in cambio non compenser mai, non ripagher mai la perdita del valore di godimento specifico che esso

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aveva per noi.9 La perdita di godimento che originariamente tocca il soggetto dunque una perdita di essere e non
di avere, perch la perdita di qualcosa di unico, in fondo non scambiabile.
Ora proprio questo qualcosa di unico, questo essere, questa parte di godimento perduta, ci che il
soggetto cerca in tutti i suoi movimenti e nelle sue tendenze, e che cerca nel campo dellAltro, e cio fuori di s: ma
qualunque soddisfazione egli possa cos ottenere, qualunque oggetto possa ritrovare allesterno e recuperare, non
colmer questa mancanza originaria che resta allinterno del soggetto stesso, al cuore del suo essere: quel qualcosa
in pi che trover fuori sar solo un sostituto del complemento mancante, perduto, interdetto.
Il soggetto perci sar mosso sempre dalla ricerca di questo complemento, ma ci che trover come
soddisfacente sar sempre soltanto un supplemento: nessun corto circuito verr a confondere le due cose:
fortunatamente, perch la loro confusione, anche apparente, mortale per il soggetto, che vive di desiderio: basti
come esempio il suicidio del melanconico, o allopposto il carattere mortifero della crisi maniacale.
Da quanto detto risulta dunque che il godimento non sta nel corpo del soggetto, ma sta fuori di esso: nel
corpo esso manca originariamente, e sta invece al di fuori, nellAltro dove il soggetto pu mirarlo e cercarlo e
raggiungerlo in certa misura: in fondo uno dei modi per dire unesperienza antica dellumano, e cio che luomo
vive di ci che principalmente lo soddisfa e costituisce il suo desiderio, e cio che il suo essere (di godimento)
in ci che causa il suo desiderio e per il quale si muove e fa quello che fa: e questo qualcosa sta al di fuori del suo
corpo. Se voglio godere di un bel panorama non posso, come fa il soggetto autistico, godere di quello che avviene
nel mio occhio, devo rinunciare a questo godimento mortifero per avere una soddisfazione vitale, cio del
desiderio.
Il concetto psicoanalitico di pulsione cerca proprio di corrispondere a questo carattere doppio e paradossale
della tendenza umana al soddisfacimento: tendenza da un lato radicata nel corpo (dove stato perduto il
godimento di s e dove necessariamente lessere umano che essere corporeo ritorna alla base e riporta ci
che ha trovato nellAltro), e dallaltro lato tendenza che esce dai bordi del corpo per andare ad abbracciare e a
includere, non realmente ma facendone solo il giro, tutto gli oggetti cui il suo desiderio mira. La pulsione non un
impulso automatico che passa allatto da solo, ma il modo di tendere, di cercare soddisfacimento per lessere
umano il cui corpo stato allargato ad un circuito pi vasto che include lAltro e il suo campo.
per questa ragione che Freud lega le pulsioni alle cosiddette zone erogene, che sono poi tutte le zone del
corpo che fanno bordo, limite, frontiera tra un interno e lesterno, dove lesterno lAltro interessato negli scambi
che si concentrano su quella zona: la zona orale per esempio nelle prime cure materne, la zona anale nelle prime
richieste che lAltro fa al soggetto di controllarsi e di cedere parte di s, la zona degli occhi negli scambi dello
sguardo, del guardare e dellessere guardato, la bocca ancora e le orecchie per gli scambi vocali, la voce, la
lallazione e il parlare allAltro.
Notiamo una cosa importante per il nostro tema: e cio che questi bordi e queste aperture e interruzioni di
continuit del corpo, che potrebbero perfettamente essere vissuti come punti di incompletezza, di inconsistenza del
corpo, dunque come ferite, in realt non sono vissuti come tali fintantoch essi sono la via e la fonte del movimento
pulsionale verso la soddisfazione, cio verso lAltro. solo quando lAltro si allontana e non pi partner del
desiderio che questi punti di apertura e di discontinuit vengono avvertiti dal soggetto con angoscia come i punti in
cui indifeso, nei quali pu uscire da lui qualcosa, la vita appunto: solo quando la vita non pi mirata e cercata
al di fuori che appare come ci che manca dentro.
dunque quando diventa supporto di una funzione vitale, messa in esercizio in un desiderio che la lega
allAltro, che lapertura di un corpo colmata dalla sua stessa funzione dorgano e non viene avvertita come ferita,
come insulto allUno del corpo e della sua immagine, statica e funzionale.
La differenza da s nellimmagine
C un altro modo dellalterit, un altro terreno sul quale viene vissuta la differenza e le sue conseguenze
soggettive, ed il rapporto con la propria immagine.
Limportanza di questo rapporto specificamente umana e se ne osserva una manifestazione nel bambino
in quello che stato chiamato lo stadio dello specchio: e cio quel momento in cui il bambino piccolo, da sei mesi a
diciotto, posto davanti allo specchio finalmente si accorge della sua immagine, o pi esattamente assume
quellimmagine vista sempre soltanto allo specchio come la propria immagine, come il modo in cui lui stesso
viene visto dallaltro: un momento di intenso giubilo e di esaltazione per il soggetto ancora infante e
motoriamente impotente, che si guarda sbattendo le mani e poi, a un certo punto, voltandosi verso ladulto che lo
tiene in braccio o che lo accompagna, e pi avanti ancora iniziando per esempio a giocare a fare sparire la propria
immagine dallo specchio e a farla riapparire.

cfr. A.Zenoni, Le corps de ltre parlant, Editions Universitaires De Boeck, Bruxelles, p.91

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Le esperienze con gli scimpanz mostrano che il piccolo scimpanz pi maturo motoriamente del piccolo
duomo guarda prima nello specchio ed incuriosito dalla sua immagine, ma dopo aver realizzato che si tratta di
unimmagine virtuale e non dellimmagine reale di qualche altro scimpanz, perde ogni interesse allo specchio.
Colpisce il fatto che per lessere umano il senso dellesperienza diametralmente opposto: dove la scimmia
perde interesse, per il piccolo duomo si accende invece una passione che non verr mai meno per questo partner
immaginario, questa immagine doppio di s: lamor proprio, la vanit, il senso di autostima, il senso di
padronanza, il riconoscimento di unaffinit con un altro, o al contrario il senso di disconoscimento, di caduta
dellideale, ecc. si radicheranno in questa esperienza.
Anzitutto interpretiamo questo fatto come unidentificazione, e cio la trasformazione di un soggetto
conseguente allassunzione di unimmagine: ma la sua importanza sta nel fatto che con essa si apre tutto un
campo, un registro dellalterit, cio della relazione del soggetto con laltro ma anche con se stesso: si tratta
dunque di un modo fondamentale nel quale il soggetto vive la differenza da se stesso: la vive in questo caso,
paradossalmente, come identit. Come possibile?
Perch il soggetto, o meglio lio del soggetto che ha assunto limmagine e vi si riconosce, resta distinto
dallimmagine stessa: la loro unit o identit non reale, ma virtuale, ed essi restano ben divisi in due spazi
diversi dello specchio.
Limmagine l, nello spazio virtuale dello specchio insieme alle immagini familiari degli altri, mentre il
soggetto qua, nello spazio reale; limmagine assunta ha un valore ideale, di perfezione, di unit, e rappresenta
dunque idealmente il soggetto come simile, affine agli altri, con una forma umana come i suoi Altri. Inoltre questa
forma, questa immagine unica, che il soggetto non pu vedere direttamente e che segna il posto del soggetto nel
mondo delle immagini reali, nel consorzio umano, pu sembrare restituire al soggetto proprio quel qualcosa di
unico che come abbiamo visto ha perduto per la sua nascita alla differenza, al logos, allumanizzazione.
Designa il posto unico del soggetto, ma come forma comune agli altri: essa perci fa da ponte tra lui e gli
altri, istituisce e insieme ricuce una forma di alterit, lalterit immaginaria o narcisistica: come il soggetto si
compiace della propria identit alla sua immagine, cos pu compiacersi e sentirsi affine fino allinnamoramento
con chi appare simile a lui, con chi sembra riflettere nella propria immagine qualcosa di affine allimmagine del
soggetto.
Che cosa permette questa assunzione dellimmagine? Il fatto che questo fenomeno non si riduce a rapporto
di immagini: c ben presente un Altro simbolico, parlante il genitore per esempio che riconosce il bambino
come uguale allimmagine, come idealmente rappresentato da essa, e che colla sua approvazione gli permette di
compiacersi di questa identit: la madre o lAltro che fornisce lIdeale dellio del bambino, che dice sei tu, che
garantisce e avalla questo rapporto con limmagine che diventa allora il prototipo dellio ideale. Ideale in questo
doppio senso: perch risponde allIdeale dellio dellAltro, al come lAltro mi vuole, e perch la forma, limmagine
ideale rispetto alla realt del corpo del bambino, a quellet ancora scoordinato e impotente, immaturo e
dipendente nei movimenti, ma non nella visione.
Lassunzione dellimmagine come io ideale rimedia proprio a questo stato di reale impotenza,
incompletezza: ma rimedia e questo il suo limite solo virtualmente, solo se il soggetto si infatua della sua
immagine al punto da riuscire a considerarla Uno con lui stesso e ad ignorare ci che contraddice questa Unit:
appena qualcosa del reale emerge e contraddice questa pretesa unit solo immaginaria e ideale, allora sorge il
sentimento della ferita: della ferita appunto narcisistica.
Ci avviene anche quando lAltro dal quale dipende il nostro senso di unit ideale, smette di approvarci o
di avallare questa unit: ecco allora la caduta dellautostima, la depressione, il senso di perdita di controllo o
padronanza, lo spegnersi del desiderio.
In altro modo pu avvenire quando un altro al quale siamo legati e nel quale crediamo di riconoscerci
agisce, riesce in qualcosa, o si soddisfa indipendentemente da noi o in opposizione a noi: laffinit dellimmagine
che ci legava a lui e che ci aveva magari fatto desiderare e volere quello che lui stesso desiderava e voleva (come
spesso i bambini) appare allora come rivalit, concorrenza e sconfitta nostra, scatta allora linvidia o la gelosia,
fino allodio, che in fondo odio per la nostra stessa immagine, perch non ci obbedisce n corrisponde pi, odio
dunque verso noi stessi. Questa avversione per se stessi pu andare fino alla pi estrema distruttivit se non
temperata da un altro tipo di legame e di rapporto con laltro in questione, da una qualche forma di amore che non
si appoggi solo sullimmagine narcisistica, ma che sia mediata da qualche altro fattore.
Vediamo in questo odio per se stessi una delle passioni che distinguono lessere umano quando si sente
lasciato cadere dallAltro o quando lha lasciato cadere: unaltra passione che non si trova nel mondo animale,
correlativa delle speranze e attese immaginarie che il soggetto ha posto come in un corto circuito tra la propria
immagine e quella altrui.
Daltronde non difficile riconoscere in questa passione quella tristezza che S.Tommaso pone come
essenza di vizi quali linvidia, la gelosia, o anche laccidia: in questi peccati lessenziale proprio il preferire

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ostinatamente il proprio odio, lattaccamento alla propria tristezza, piuttosto che il fare disincagliare e rilanciare il
proprio desiderio da un Altro legame con gli altri e con Dio, il legame libero della carit.
Notiamo dunque come in questo registro del rapporto narcisistico con limmagine si annidino i tentativi di
fare Uno con se stessi, di ripararsi dallAltro come da una ferita sempre possibile.
In fondo, proprio per limportanza dellimmagine piena, perfetta, ideale, una, in questo registro
dellesperienza, esso appare come il terreno sul quale limmagine della ferita pu sorgere come obiezione
regressiva al rapporto con lAltro, compreso lAltro divino; come sorge da qui lidea che lAltro a ferirmi, che
dunque la differenza a ferire, e lillusione che forse senza questa differenza radicale tra lio e lAltro, senza il logos,
senza le parole che dividono, lindividuo potrebbe essere intero, potrebbe essere una bella forma riposante in se
stessa secondo le parole iniziali di Balthasar.
Il problema che qui si tratta della differenza tra lio e la sua stessa forma in quanto la percepisce
nellaltro, differenza che in realt una tensione non risolvibile al suo interno, perch in essa laffinit serve a
negare la differenza, che pu dunque solo irrompere distruttivamente.
Questa fonte di negazione della differenza (e del dramma) mi sembra possa essere uno dei punti in cui
situare anche quella misteriosa differenza, discrepanza, divisione che fa dire a San Paolo non faccio il bene che
voglio, faccio il male che non voglio: questa una delle forme nelle quali la differenza viene avvertita come una
ferita che intacca che cosa? se non lUno nel quale il soggetto vorrebbe consistere, riposare in se stesso.
certamente lUno che permette al soggetto di sorgere (come individuo ad esempio), ma come si visto
non c lUno senza lAltro, perch questo avviene al livello del linguaggio, del segno, del logos, ed ogni
linguaggio fatto necessariamente di almeno due segni, mai di uno solo che non significherebbe n
rappresenterebbe nulla: ma quando c lAltro, almeno per un momento non c Uno con lAltro, assieme allAltro:
questo in fondo il momento della ferita, quello in cui il Due, lAlterit che sta allorigine del soggetto che le
figlio, viene sentito come contraddittorio con lUno, come lacerante lUno, come obiezione allUno, come perdita
dellUno.
Si potrebbe forse dire che il momento della ferita correlativo alla riduzione dellesperienza soggettiva alla
dialettica servo-padrone, che in fondo nonostante le apparenze afferma linsuperabilit del due. Sul piano clinico
situiamo qui, in questa passione dellUno che la ferita (e non lamore), la clinica della debilit pi ancora che
quella del narcisismo: infatti in questo tipo di passione dellUno come opposto al Due, ci che cede listanza della
ragione.
E ancora forse possiamo vedere in questo terreno una delle condizioni di quella perduta obbedienza
perfetta delle forze inferiori alla ragione di cui parla Tommaso 10 come dono perso per il peccato originale: le forze
inferiori infatti non sono forse quelle che tentano sempre di recuperare direttamente, in corto circuito senza
passare da quellAltro che la ragione lintimit e lidentit a s, come un corpo/organismo che rigettasse il
trapianto del logos, dellAltro su di esso, che rifiutasse lesigenza della ragione?
Laltra capitale conseguenza dellintroduzione della differenza a partire dal linguaggio e dal simbolico, il
fatto di porre al centro della vita del soggetto, o della sua economia, dei suoi rapporti con lAltro (amorosi, di
desiderio, ecc.), la dimensione della mancanza: implicita in fondo nel fatto che la vita umana tale perch
rappresentata dai segni, ed il segno ha come effetto e carattere essenziale la mancanza della cosa rappresentata, la
sua assenza: chiedere dei segni significa dunque chiedere di darci lassenza, la mancanza della cosa, darcela come
un qualcosa di pi, un plus: e questo ci che avviene nellamore dove lessenziale sono appunto i segni del fatto
che lAltro sente la mancanza del soggetto.
La differenza dei sessi: castrazione
In fondo in ci che abbiamo appena considerato (il rapporto con la propria immagine che fa avvertire come
ferita ci che contraddice lUno immaginario del corpo) il fattore pi operante unesigenza di totalit, che lUno
in questione vuole anche essere un Tutto, il Tutto di una forma che copre immaginariamente, virtualmente una
differenza che reale. Questa esigenza di totalit normalmente connessa allimmagine e alla sua assunzione, la
buona forma della quale gli studi della psicologia della Gestalt hanno mostrato il funzionamento e la pertinenza
in buona parte della vita ad esempio percettiva o sociale del soggetto. Ma il problema pi importante, pi critico
della vita soggettiva non il come essere Tutto, il come essere parte, come prendere parte, come avere una parte,
partecipare: lessere tutto dipende da come questo viene risolto e pu certo restare come ostacolo e traccia di una
difficolt rimasta di soggettivazione del proprio essere parte: essere parte il modo di vivere la propria condizione
finita, la finitezza della propria libert per esempio, ma anche il proprio desiderio in quanto separazione dal
desiderio dellAltro col quale tuttavia resta inconsciamente annodato perch ne ha preso origine. In questo senso
lessere parte riassume per il soggetto il modo e il dramma del vivere la differenza: differenza dallAltro reale che
lo precede e che lo genera e al quale resta inevitabilmente legato.
10

S. Tommaso dAquino, , In II Sententiarum, qu.1, art.3, comm.

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Il problema della separazione infatti non significa rottura di legame, che sarebbe sempre poco o tanto un
non voler sapere, un rimuovere, uno sconfessare o rifiutare lAltro, e quindi un restare nellalienazione; il problema
della separazione riguarda lassunzione in modo appunto separato della responsabilit che il soggetto ha fin
dallinizio della sua posizione di soggetto nel suo corpo e nella sua vita, responsabilit che ultimamente quella del
suo godimento e della sua ricerca di soddisfacimento della sua vita (quello che nel discorso cristiano sempre stato
legato allidea di destino e salvezza personale, e di paradiso come suo essenziale legame sociale: oh Lord I want to
be in that number!, canta lo spiritual, e dice quanto la salvezza sia appunto prendere parte).
Separazione e partecipazione sono dunque sinonimi: daltronde senza separazione non si porrebbe neppure
un problema di partecipazione: perch il soggetto resterebbe un semplice fattore dellAltro (sociale, o famigliare),
un suo componente, o un suo esponente, ma non un soggetto a cui imputare il modo in cui vivrebbe la sua
differenza.
Ora la psicoanalisi mostra che, quali che siano le difficolt e gli arresti in questo processo in cui il soggetto
si trova impigliato, tuttavia la vita soggettiva essenzialmente determinata e organizzata da questo movimento,
questa logica della separazione come modo di assumere la responsabilit della differenza. qui che la psicoanalisi
ha visto giocare come fattore cruciale del legame con lAltro e delloperazione di separazione la differenza sessuale
e il modo sorprendente in cui essa rappresentata nellinconscio (e cio appunto non come diversit, ma come
differenza).
Sta qui, in questo nodo e crocevia soggettivo che Freud ha chiamato complesso di castrazione, laltrettanto
sorprendente legame che apparso tra la differenza sessuale e la dimensione del desiderio come tale, in quanto in
gioco nella separazione. questo legame ci che ha fatto erroneamente parlare di pansessualismo freudiano:
erroneamente perch insistendo su quel pan- mostra di fraintendere lessenziale della logica allopera in questo
complesso: il cui esito e la cui funzione non appunto quella di istituire il soggetto come tutto, come panqualcosa o rispetto a qualcosa, ma proprio di fargli assumere il suo essere finito e quindi responsabile, il suo
essere parte: in fondo il fatto che la posizione sessuale venga soggettivata per Freud tramite un complesso detto di
castrazione dovrebbe gi suggerire che lidea di sessualit inerente a questo non quella di un tutto, se non di
un tutto perduto.
Finito e quindi responsabile: proprio questo nesso lessenziale del processo. La sorpresa pu essere che il
processo avviene attorno ad una differenza, quella sessuale, che da un lato poteva sembrare scontata, assicurata,
dunque irrilevante nella dinamica soggettiva, dallaltro del tutto parziale, contingente e dunque altrettanto
irrilevante per molta parte della personalit. noto invece che per Freud il soggetto, partendo da una condizione e
da un dato anatomici (pur raddoppiati e complicati dai desideri e aspettative e pensieri dellAltro famigliare o
sociale), impiega un certo tempo e un certo percorso per arrivare ad assumere una posizione legata al suo sesso,
processo nel quale si costruiscono e si dispongono i fattori che permettono di assumere questa posizione.
Lessenziale del processo, che gli valso il nome di complesso di castrazione, consiste nella scoperta che
nellinconscio dei soggetti i due sessi non sono rappresentati da due caselle, da due posti diversi come nel discorso
cosciente (le desinenze verbali, i costumi, i ruoli, ecc.), ma almeno per quanto riguarda loperativit essenziale
del processo solo da un termine, la cui presenza o piuttosto la cui mancanza appare a un certo punto determinante
nel differenziare i sessi: e cio il fallo.
Il fallo lorgano sessuale maschile, non solo e non tanto come organo reale, ma in quanto viene a
prendere ad un certo punto la funzione simbolica, significante, di rappresentante della potenza vitale, del
godimento, del desiderio, cio in sostanza la funzione di rappresentare, di significare e dunque di concentrare in s
il valore vitale, di godimento e di desiderio della persona come corpo sessuato.
Il bambino per tutto un tempo non si pone il problema di questa differenza, perch tende ad attribuire a tutti
e in particolare alla madre il possesso del fallo, come segno di potenza vitale universale. Solo ad un certo punto
questo simbolo sorge chiaramente prendendo un valore significante speciale, di significante di una differenza
fondamentale che incrina ogni illusione di totalit e costringe il soggetto bambino a fare i conti con la finitezza e a
ripartire da qui nel suo desiderio e nella sua separazione dallAltro: da questo momento questo simbolo si applica
retroattivamente alle vicende della storia e strutturazione soggettive del bambino,
riformulandole e
rimaneggiandole, rileggendole secondo questo significato nuovo, il cui posto era gi implicito nelle esperienze e
nei legami e discorsi passati, ma che ora gioca in modo esplicito: per esempio rileggendo tutte le esperienze passate
di separazione in termini fallici, cio di castrazione.
Questa pu sembrare una contraddizione: non lo proprio perch come si detto il fallo prende valore di
significante della differenza (e di organizzatore inconscio di sintomi e angosce) solo a partire dalla sua mancanza
dove? nella madre: il fallo che conta per il soggetto il fallo dellAltro, e in particolare dellAltro materno, quel
fallo che si rivela ad un certo punto mancante, rendendo mancante lAltro stesso: senza realizzare lAltro come
strutturalmente (e non contingentemente) mancante di qualcosa di essenziale, mancante e dunque desiderante (di
qui il legame col desiderio dellAltro), il soggetto non potrebbe separarsi dallAltro scegliendo la via del proprio
desiderio in risposta e in nesso con il desiderio dellAltro.

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questa simbolizzazione che si pu ritenere parziale del sesso che rende strutturale per il soggetto
questa differenza, la rende una differenza di essere, rende il soggetto finito, differente in senso ontologico, fa del
soggetto una parte, qualcuno che ha un problema particolare, specifico da risolvere per assumere il suo desiderio
separato.
Se non ci fosse un solo simbolo a significare la differenza, e proprio come simbolo che supplisce alla
mancanza di un simbolo di un sesso (di quello femminile, che nellinconscio non ha un significante specifico,
poich solo mancante di), i sessi non sarebbero due, ma una serie continua di attributi, e soprattutto la
differenza sessuale non avrebbe unimportanza per il soggetto maggiore della scelta dellabbigliamento o dei vini a
tavola: cio non riguarderebbe lessere (sempre mancante!) del soggetto e dunque neanche quella via di recupero
dellessere perduto che il desiderio: mentre lesperienza mostra che la sua questione cruciale in tutto il campo
del desiderio.
Ecco dunque come si legano la differenza sessuale e il desiderio attraverso il significante del fallo: poich
ogni desiderio movimento per il recupero di un essere (non di un avere!) perduto dal soggetto per il fatto di essere
finito e di non poter godere di se stesso (differenza pi sopra trattata), nella separazione che organizza anche i
modi di desiderare del soggetto rispetto allAltro entrer in gioco anche quella perdita di essere legata alla
differenza sessuale ed alla finitudine ad essa legata.
Finitudine che, come abbiamo detto, anzitutto dellAltro materno, della donna: da questa finitudine come
mancanza (sia di avere che di essere), dunque da una contingenza, deriva per il soggetto la necessit di realizzare il
proprio rapporto col fallo (cio con la propria posizione nella differenza) come avere o non avere, come essere o
non essere, come essere non senza averlo ( la posizione del maschio).
Per il maschio il complesso di castrazione comporta che cambi la sua relazione col fallo: egli viene
castrato simbolicamente, e cio il suo essere si separa dal fallo, non fa pi tuttUno con esso: il fallo come
significante della potenza vitale e del desiderio appare staccato simbolicamente dal suo corpo (anzitutto dalla sua
totalit immaginaria), al quale in certo modo continua ad appartenere ma altrove, fuori del corpo stesso: cos il fallo
viene a simbolizzare quella parte di godimento di s, autoerotico, reso impossibile, interdetto dalla differenza
portata dal logos.
E il suo valore di desiderio, la desiderabilit appare ora allesterno, fuori del corpo: come il racconto
biblico della creazione della donna mostra bene: operazione chirurgica operata dallAltro sul corpo delluomo per
estrarne una parte, costola, che viene a simbolizzare la desiderabilit allesterno di colei che diventata quella
parte, non perch ce lha, non perch ha quella parte, ma perch simbolicamente quella parte: si vede come
tutto ci corrisponda alla dialettica fallica ora esposta.
Per il maschio il fallo come significante del desiderabile sta allesterno, nella forma del corpo che non ne
porta il segno, il corpo che non ce lha, quello della donna, che diventa come linvolucro che riveste e nasconde il
suo valore desiderabile. Quanto a lui egli ha per, sul suo corpo, un organo che ha valore di segno fallico: la
relazione con questo fallo diventa una relazione di avere: avere significa averne la responsabilit, e poterlo donare,
come significante di un dono di s, alla donna; e in questa relazione si gioca la specifica libert finita del soggetto
maschile.
La donna invece come si visto diventa colei che non avendo il segno fallico su di s pu col suo corpo
prestarsi a incarnare il fallo (costola) per il desiderio delluomo, e rivolgere invece il proprio desiderio alluomo in
quanto portatore del fallo che pu esserle donato: e Freud sottolinea che la forma ultima secondo la quale la donna
si attende il dono del fallo il bambino: il figlio in questo senso lequivalente simbolico del fallo paterno come
figura del desiderio inconscio femminile.
Ma se pensiamo che allorigine ogni bambino, ogni figlio viene ad incarnare per la madre il fallo che essa
riceve dal Padre (il generatore: ho avuto un figlio da Dio dice Eva), allora possiamo anche farci unidea del modo
in cui il figlio sempre presente nella relazione sessuale: non solo nella forma anticipata che indica von Balthasar,
pensando di annullare il tempo dei nove mesi, ma anche nella forma del bambino che il soggetto stato
originariamente per la madre e tuttora come oggetto causa del desiderio per la donna.
Per la dialettica simbolica appena tratteggiata, il fallo insieme ci che lega strettamente lassunzione del
proprio sesso con la questione della mancanza, dellincompletezza dellAltro.
Esso il modo (e la via) contingente secondo il quale il campo della differenza sessuale viene simbolizzato
per ciascuno, essa cio viene logicizzata, significantizzata, significata, provvista di senso, diventa cio parlabile e
parlata nel consorzio degli esseri umani: la via secondo cui essa viene inclusa nel discorso umano, diventa suo
fattore non eludibile, offerta di due posizioni nellessere del godimento, o di due rapporti col godimento. Esso
dunque serve da riferimento simbolico per ciascun soggetto per situarsi in una delle due posizioni, secondo la
dialettica brevemente abbozzata pi sopra. Esso , possiamo ben dire, tramite ed insieme effetto di una forma di
incarnazione del logos nellesistenza corporea, quella che d appunto forma e ordine alla cosiddetta sessualit a
partire dal suo versante finito, quello maschile da cui il fallo tratto come simbolo.

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In quanto simbolicamente staccato dal corpo proprio, il fallo quello che gli d unit e che garantisce che il
soggetto possa vivere il suo corpo come un insieme immaginariamente completo: quando questa separazione sul
piano simbolico traballa, allora il soggetto vive quel distacco sul piano reale e immaginario come lacerazione:
quella che nella clinica si chiama angoscia di castrazione, ed a questa abbiamo riportato in fondo limmagine
della ferita, perch in essa traballa anche il desiderio che porta fuori di s, verso lAltro, e il soggetto tende a
richiudersi su di s e sul senso acuto dellincompletezza (dellAltro e propria) come senso di ferita.
Il fallo dunque il simbolo chiave per vivere nel corpo la dialettica tra la completezza e lincompletezza
nella vita e nel discorso umani, ma non risolve la differenza, e cio lincompletezza strutturale, esso la rende
significabile, dunque abbordabile e vivibile nella contingenza del soggetto singolare, ma segnalando che essa il
suo al di l.
Infatti il fallo non il tutto della questione della differenza sessuale, esso non la riassume n la riduce a
s come a un tutto: anzi, come simbolo in gioco nella castrazione esso simbolizza proprio la mancanza di questo
tutto e lincompletezza (la finitudine) propria di ogni soggetto a partire dallincompletezza dellAltro in quanto
materno, dunque a partire dal mistero della femminilit.
Il fallo per cos dire lunit di misura, il corrimano, lo strumento simbolico finito col quale ogni soggetto
pu affrontare un campo che tuttavia rimane nel suo fondo incommensurabile e infinito, perch delimitato
paradossalmente proprio da una mancanza di limite, da unapertura, cio dal sesso che ne manca e che dunque
sfugge in parte alla sua misura, quello della donna.
Quello femminile il sesso che non fa classe chiusa, che non pu essere tutto predicato universalmente, ma
solo singolarmente (non La donna, ma una donna): il sesso che pi ha a che fare, ha vicinanza con lesperienza
dellincompletezza, della povert (e, immaginariamente, della ferita) nella propria stessa definizione, proprio
perch non ha una definizione ultima.
In questo la donna come la verit (e la verit, tradizionalmente, donna): anchessa non ha ultima
definizione, non mai completa (o completabile)11, la verit per il soggetto ultimamente quella di una mancanza
radicale, di unincompletezza strutturale, di unimpossibilit di dire lultima parola sullessere umano. Anche per
questo dei due sessi quello femminile ha essenzialmente e direttamente rapporto col mistero, inteso anche come
Dio.
Certo, lo strumento fallico pu essere usato ambiguamente: se vero che esso fa sorgere la femminilit
come mistero per le donne stesse, come il sesso che in fondo lAltro sesso per ciascuno, donne comprese
anche vero che nello stesso momento, ambiguamente, pu prestarsi alla tentazione di essere usato come obiezione
di coscienza 12 a questo mistero (vissuto come ferita), nella forma del feticcio o dellidolo (perversione,
omosessualit, ecc.).
.
Conclusioni
Nel linguaggio corrente distinguiamo di solito il necessario da ci che in pi.
Ora, come abbiamo visto, c per un aspetto strutturale della vita soggettiva umana per il quale
paradossalmente sempre un di pi ad essere la cosa pi necessaria: e lo si vede confermato ogni volta che il
soggetto supera una crisi o una difficolt nei suoi legami (famigliari, amorosi, sociali, ecc.): sempre in nome o per
lefficacia di un di pi che causa in lui un nuovo desiderio, o rinnova un desiderio gi antico o precedente.
In certo modo, per stare nel linguaggio nuziale, nei vari legami che fanno la vita umana, lalternativa
sempre quella tra laborto (cio il togliere qualcosa dal reale come insopportabile, per gestire o godere meglio
le cose che gi sono, dunque la rinuncia a desiderare in nome di un plus), oppure lo scommettere su un nuovo
figlio, su un supplemento di vita: sul desiderio (e sul rischio) di un nuovo figlio: il nuovo figlio che noi stessi al
nostro fondo siamo. Questo ci mostra nella vita corrente come sia pertinente allesperienza umana quella struttura
cos difficile e paradossale, descritta da Tommaso, del mistero della grazia e della natura alle origini della persona
umana e della sua condizione mortale, terrena.
Abbiamo insistito sul fatto che la differenza si manifesta nel soggetto sempre come differenza da se stesso,
perch inserzione dellAlterit in seno al suo essere; di qui il fatto che tutto ci che pu essere cercato e trovato
dal soggetto nel suo desiderio, lo sempre come un supplemento, un plus, qualcosa di superadditum.
Abbiamo anche detto che questa differenza irriducibile si apre nellessere insieme al Logos che vi si
incarna, nella persona di ciascun essere umano, prima che come Persona divina: perch il Logos, il simbolico, il
linguaggio, il Verbo a produrre questo scarto di ogni essere da se stesso, per il quale ogni identit a s potr essere
ritentata e ritrovata solo attraverso un guadagno, un plus.
Ci implica che nessun soggetto, in quanto soggetto, causa sui, n quindi finis sui: e questo vale anche
per le persone divine. Anzi, la rivelazione cristiana della Trinit mostra che, in modo stupefacente, questa
11
12

In logica matematica ci stato dimostrato da Gdel con i suoi famosi teoremi.


J. Lacan, , Le Sminaire, livre XX. Encore, Seuil, Paris, p.13

14
differenza da s interna a Dio stesso: e identifica dunque la differenza col Mistero tout court, inserendo il Logos,
il Verbo tra le persone divine. Nel contesto del discorso cristiano perci si potrebbe forse osare dire che la
differenza uno dei nomi di Dio.
In ogni caso per lesperienza umana possiamo ben dire che la differenza da Dio, in tutti i sensi
dellespressione: il logos fa sorgere la questione del dio o di Dio (come ragione ultima del proprio muoversi, della
propria vita come razionale, secondo il logos) e insieme la differenza da esso: il soggetto non Dio, ci che non
mai Dio, perch non mai ci che cerca di raggiungere e del quale vive. Questo non pu essere solo ricevuto
come complemento, perch necessariamente anche mistero; essendo la ragione di tutto esso la parte della
ragione necessariamente mancante, non disponibile alla ragione stessa: pu essere raggiunto soltanto sempre
nellAltro, anzitutto, e poi per grazia.
Grazia che necessaria, dice Tommaso13, anche nello stato originario di natura non ferita: anche in esso
necessario sempre un supplemento, perch come si detto il fine della natura paradossalmente al di l della sua
portata e la grazia appunto per definizione il supplemento, superadditum, per raggiungere il fine.
Il fine definito da Tommaso come la visione di Dio per essentiam, ovvero la vita eterna, e cio la vita
secondo le dimensioni ultime del logos, secondo la soddisfazione della chiamata che il logos inscrive dentro la vita
umana naturale. Ora, che Tommaso parli di necessitas della grazia per questo fine naturale, proprio ci che
corrisponde al fatto che la natura stessa delluomo ferita o non ferita pu essere percepita appunto
necessariamente solo come alternativa tra disegno buono o implacabile destino.
La necessit qui la vediamo non soltanto nei casi di approssimazione al raggiungimento del fine anche se
questo ne una via, ed ci che solo pu essere testimoniato dal santo, contingentemente e singolarmente; ma la
vediamo ancor pi a contrario, perch tutte le cadute delluomo lontano dal suo fine e dalla sua natura stessa non lo
fanno per precipitare in una condizione o natura animale, non umana, non lo fanno uscire o decadere dal logos.
Le cui esigenze e il cui marchio si fanno allora sentire ancora pi acutamente, ma in negativo come
disastro, rovina, sofferenza ulteriore (anchessa superaddita) della sua vita: che sembra allora implacabile destino,
implacabile destino come mistero del male, dellinferno, di una condanna al di fuori di un qualunque senso di
salvezza.
Non si esce dunque dal mistero della differenza, come mistero del logos e del rapporto strutturale, naturale,
che luomo ha con esso, e dalla ferita che esso implica ed evoca ferita come separazione consumatasi in origine
da un di pi, di cui si pu a volte pensare che si farebbe volentieri a meno ripiegando lesistenza umana su pi
limitati fini e confini.
Ma lesperienza della patologia umana mostra che questa una rinuncia impossibile alla natura delluomo
tanto quanto il soddisfacimento del fine: nel senso che lesistenza umana appare necessariamente allora come una
ferita nel mondo, nel tutto della realt, un non senso, una malattia del reale, un grido senza alcun senso n indirizzo
n risposta. Essa diventa allora una solitudine vivibile solo perch e quando temperata dalla compagnia di altri in
rapporto ad una causa, ma pronta sempre a abbandonare il soggetto alla caduta interna nella sua propria derelizione
o nellattacco mortifero a se stesso (o ai suoi simili), come unica arma per colpire e distruggere o far tacere questa
immane malattia: limplacabile destino che se il vivere, la natura umana, non da un disegno buono salvata,
allora necessariamente perduta.

13

S.Tommaso dAquino, In II Sententiarum, qu.1, art.2, r. ad 5

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