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Promessi Sposi

L’autore
Alessandro Manzoni (1785-1873) è uno dei più importanti scrittori della letteratura italiana di tutti i tempi,
nonché il fondatore del genere del romanzo ottocentesco nella nostra tradizione. I Promessi sposi sono
considerati il capolavoro della narrativa italiana moderna e la diffusione dell'opera ha contribuito in
maniera decisiva non solo alla soluzione dell'annosa questione della lingua letteraria, ma anche al
consolidarsi di una lingua nazionale basata sul fiorentino parlato e non più su quello della letteratura del
XVI secolo (tale lingua è alla base dell'italiano oggi parlato correntemente). Manzoni ha dato un contributo
decisivo anche alla riflessione sulla lingua con numerosi scritti, mentre non trascurabili sono le sue opere
storiografiche e i testi in cui espone le sue teorie letterarie; è stato autore anche di testi poetici e teatrali,
mostrando un certo eclettismo nella sua attività di scrittore.
È innegabile che la sua fama sia dovuta anche alla sua conversione e all'adesione alla fede cristiana, i cui
principi caratterizzano quasi tutta la sua opera (nonostante un certo pessimismo che si accentua nella fase
finale della sua vita). Da questo punto di vista la sua figura è quasi antitetica a quella dell'altro grande
scrittore italiano del primo Ottocento, il poeta Giacomo Leopardi che esprime nelle sue opere una visione
materialistica e assolutamente lontana da ogni visione religiosa.

La vita di Alessandro Manzoni


infanzia e adolescenza
Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 marzo 1785, da Giulia Beccaria, figlia del celebre illuminista
Cesare (autore del trattato Dei delitti e delle pene) e dal conte Pietro Manzoni, modesto gentiluomo
lombardo molto più anziano della moglie. Il matrimonio tra due non era molto felice e alla sua nascita in
molti indicarono in Giovanni Verri, fratello minore di Pietro e Alessandro, il padre naturale; i due coniugi si
separarono molto presto e la madre andò a vivere prima a Londra e poi a Parigi, dove convisse con Carlo
Imbonati.
Il giovane Alessandro ricevette la prima educazione nel collegio dei Padri Somaschi e dei Barnabiti, vivendo
nella casa paterna e provando una certa insofferenza verso il genitore e l'educazione repressiva che gli
imponeva. Nutrì simpatie politiche per le posizioni giacobine e, in letteratura, si avvicinò al Neoclassicisimo,
scrivendo il poemetto Il trionfo della libertà e l'idillio Adda, nonché quattro sermoni. Le biografie
ottocentesche accentuarono molto i caratteri della sua gioventù "dissoluta" e dedita a piaceri mondani, per
far risaltare meglio la successiva conversione religiosa e l'adesione alla fede cristiana (del tutto leggendario
l'aneddoto secondo cui Vincenzo Monti l'avrebbe rimproverato dopo averlo visto giocare d'azzardo), ma è
indubbio che in questa prima fase della sua vita il futuro scrittore era molto lontano dai problemi della
religione e, pur non essendo apertamente ateo, praticava uno stile di vita alieno da remore di tipo morale.

La giovinezza a Parigi
Un momento importante di svolta fu il 1805, quando raggiunse la madre a Parigi e scrisse nell'occasione il
Carme in morte di Carlo Imbonati, in cui riprendeva la lezione dell'Illuminismo di Parini e si impegnava per
una letteratura impegnata, votata alla verità. In Francia Manzoni trascorse cinque anni (1805-1810) pur tra
frequenti ritorni in Italia, durante i quali frequentò i salotti degli idéologues francesi e strinse amicizia con
uno di essi, quel Claude Fauriel più anziano di lui di quattordici anni che esercitò una profonda influenza sul
suo pensiero politico e letterario: di formazione illuminista ma aperto alle nuove idee romantiche, Fauriel
era liberale e agevolò il passaggio del giovane Alessandro dalla sua formazione settecentesca alla cultura
del nuovo secolo, senza rotture evidenti. Ciò non toglie che Manzoni continuasse a scrivere opere di
stampo neoclassico, come il poemetto Urania (1809) che in seguito rinnegò decisamente, affermando di
voler scrivere dei versi più brutti, ma certamente meno frivoli di quelli: si avvicinava infatti il momento di
un'ulteriore svolta verso una letteratura aderente al vero storico e socialmente impegnata, nonché la
conversione religiosa che avrebbe poi segnato la strada di tutta la successiva riflessione dello scrittore
intorno ai problemi della vita, della politica, della letteratura. Decisivo in tal senso fu il rapporto con
Enrichetta Blondel, figlia di un banchiere ginevrino e di fede calvinista, giovane religiosissima che Manzoni
sposò nel 1808 a Milano con rito protestante. Verso la metà di quell'anno la coppia rientrò a Parigi dove
nacque la prima figlia, Giulia, a cui fu impartito il battesimo cattolico, mentre nel febbraio 1810 i due si
risposarono con rito cattolico, dopo che Enrichetta aveva abiurato al calvinismo (la sua conversione era
stata guidata da padre Eustachio Degola, di idee gianseniste e che probabilmente influenzò anche il
pensiero di Manzoni).

La "conversione" del 1810 e le opere successive


Il 1810 fu anche l'anno della cosiddetta "conversione" dello stesso Manzoni, nel senso di un ritorno alla
fede cristiana verso la quale egli aveva sempre ostentato una certa indifferenza: anche su questo episodio i
biografi coevi riportarono vari aneddoti (come quello secondo cui lo scrittore sarebbe stato "folgorato"
nella chiesa di S. Rocco a Parigi, dopo che aveva perso la moglie nella folla durante i festeggiamenti per il
matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa d'Austria), ma certamente ciò avvenne in seguito a un processo di
maturazione durato vari anni e in cui la frequentazione degli ambienti giansenisti ebbe un peso non
indifferente. Infatti il Cristianesimo del giovane Manzoni risente ancora della convinzione che l'uomo sia
destinato al male, che la Grazia divina sia indispensabile per giungere alla salvezza e che, quindi, gli uomini
siano divisi in modo netto tra eletti e reprobi (questa impostazione religiosa traspare nelle sue prime opere
poetiche, ma anche nella prima stesura del romanzo). Nel 1810 Manzoni e la moglie si trasferirono
definitivamente a Milano, dove peraltro Alessandro ebbe come padre spirituale il canonico Luigi Tosi
(anch'egli di idee gianseniste) e qui iniziò un periodo assai fecondo di attività letteraria, con la quale lo
scrittore abbandonò nettamente il Neoclassicismo per dedicarsi a una letteratura impegnata e intrisa di
contenuti religiosi, anche se inizialmente tentò vari generi senza trovarne uno che gli fosse particolarmente
congeniale. Nel 1812-15 scrisse quattro Inni sacri, che dovevano far parte di un più ampio progetto poi
abbandonato, mentre nel 1816-20 compose la prima tragedia, il Conte di Carmagnola; del 1821 sono alcune
Odi di ispirazione civile, vicine ai temi del Risorgimento (spiccano soprattutto Marzo 1821 e la famosissima
Cinque maggio sulla morte di Napoleone), mentre nel 1820-22 produsse la seconda tragedia, l'Adelchi.
Scrisse anche vari saggi di argomento storico e letterario, avvicinandosi tra l'altro al movimento romantico
pur non aderendo pienamente ad esso: legato agli intellettuali del Conciliatore (la rivista milanese che era
l'organo ufficiale dei Romantici lombardi, politicamente liberali), non scrisse tuttavia mai su di esso e dopo
la soppressione del giornale e l'arresto dei suoi principali collaboratori ad opera del governo austriaco
temette di essere coinvolto anche lui nella repressione. Del 1823 è la Lettera sul Romanticismo a Cesare
Taparelli d'Azeglio, documento fondamentale per capire le idee manzoniane in materia letteraria.

Dal romanzo agli interessi storici e saggistici


Nel periodo 1821-23 iniziò la stesura di un romanzo storico, ispirato come genere letterario a quello del
romanzo inglese di W. Scott e ambientato nella Lombardia del Seicento: il titolo provvisorio era Fermo e
Lucia e l'opera restò solo un abbozzo, non portato pienamente a termine e mai pubblicato. Il problema che
angustiava soprattutto Manzoni era quello della lingua, dal momento che il fiorentino letterario gli
sembrava inadatto a un'opera narrativa che avesse personaggi umili come protagonisti, per cui si accinse
negli anni seguenti a riscrivere il romanzo che uscì, nella sua prima edizione, nel 1827 a Milano presso
l'editore Ferrario, col titolo definitivo di Promessi sposi. In seguito i suoi interessi per le opere di invenzione
lasciarono gradualmente il posto a quelli per la lingua e la storia, anche per la sua convinzione che fosse
impossibile conciliare nel romanzo invenzione e realtà, il che tuttavia non gli impedì di lavorare
alacremente a una nuova stesura del romanzo, correggendone la lingua nel senso del fiorentino parlato (la
famosa "risciacquatura dei panni in Arno", come lui stesso definì i suoi frequenti soggiorni a Firenze per
impadronirsi di quella lingua). Nella città toscana Manzoni conobbe intellettuali come Vieusseux, Capponi,
Niccolini e dopo un lungo lavoro di riscrittura pubblicò i Promessi sposi nel 1840-42, con la Storia della
colonna infame in appendice quale importante esempio di trattato storiografico in cui la realtà e non la
finzione è oggetto della narrazione dello scrittore. Gli anni precedenti furono segnati da lutti e dispiaceri, in
quanto nel 1833 era morta la moglie, nel 1835 la primogenita Giulia, nel 1841 la madre e nel 1844 l'amico
Fauriel; nel 1837 Manzoni sposò in seconde nozze Teresa Borri, vedova Stampa, che sarebbe morta nel
1861 (inoltre solo due dei dieci figli dello scrittore sopravvissero al padre).

Le ultime opere e il contributo alla questione linguistica


Dopo l'edizione definitiva del romanzo furono pochi gli eventi significativi nella vita personale e letteraria
dell'autore: pubblicò nel 1847 il frammento di Ognissanti, inno sacro rimasto incompiuto, e nel 1850 due
scritti di poetica, Dell'invenzione e Del romanzo storico; in seguito lavorò a un saggio storico comparativo
sulla Rivoluzione francese e quella italiana del 1859, opera rimasta incompiuta.
Nel 1860 venne nominato senatore del Regno d'Italia e nel 1864 votò a favore del trasferimento della
capitale da Torino a Firenze, in attesa della liberazione di Roma (tale decisione sollevò proteste dei cattolici
reazionari). Nel 1868 divenne presidente di una commissione parlamentare voluta dal ministro
dell'Istruzione Broglio sul problema della lingua nell'Italia unificata, e produsse una relazione intitolata
Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, in cui sosteneva la necessità che la lingua nazionale fosse il
fiorentino e auspicava che il sistema scolastico ne promuovesse l'uso e la conoscenza (incontrò in questa
sua posizione le proteste di altri studiosi e linguisti, tra cui soprattutto Graziadio Isaia Ascoli). Negli ultimi
anni si accentuarono certi disturbi nervosi di cui aveva sempre sofferto, come l'agorafobia (ovvero il terrore
degli spazi aperti e della folla) di cui si ravvisa traccia anche in passi delle sue opere, mentre nel 1872
accettò la cittadinanza onoraria di Roma, sollevando lo scandalo dei clericali. Morì il 22 maggio del 1873 a
Milano, per i postumi di una brutta caduta riportata all'uscita da una chiesa, e venne sepolto nel Famedio
del Cimitero Monumentale della città, dove riposa tuttora. In sua memoria Giuseppe Verdi compose una
messa da requiem che è rimasta giustamente celebre.

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