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Si trovano tutti in Lombardia (incluso il territorio di Bergamo, che all'epoca della vicenda faceva
parte della Repubblica di Venezia) e vanno dal paesino senza nome dei due protagonisti, che si
trova non distante da Lecco sul lago di Como, a Monza, Milano, Bergamo, mentre il castello
dell'innominato sorge in un luogo imprecisato posto al confine dei due Stati. In generale c'è una
netta differenza tra gli ambienti di campagna, la cui descrizione è più positiva e in cui soprattutto la
popolazione sembra più unita e disposta ad aiutarsi a vicenda, e quelli cittadini (in particolare
Milano) che appaiono come luoghi malsani, caotici, dominati da egoismo e reciproca diffidenza.
Alcuni ambienti del romanzo sono divenuti emblematici, sia quelli immaginari come l'osteria della
Luna Piena (in cui Renzo è beffato dal poliziotto travestito), o quelli reali come il forno delle Grucce
(assaltato a Milano il giorno di S. Martino) o ancora il lazzaretto durante la peste. L'ambientazione
lombarda consente all'autore di descrivere i luoghi con grande precisione, essendo quelli in cui ha
vissuto gran parte della vita (esemplare in questo senso è l'ampio scorcio paesaggistico che apre il
romanzo), mentre altri (fra cui la Milano del 1628-1630) sono ricostruiti con la minuzia dello
storico. Da ricordare, infine, che alcuni luoghi hanno soprattutto un valore simbolico e riflettono lo
stato d'animo dei protagonisti, come la strada che si biforca a "ipsilon" dove don Abbondio
incontra i bravi (indica il bivio morale a cui il curato è posto di fronte), oppure la buia foresta
presso l'Adda che Renzo attraversa durante la sua fuga da Milano (esprime l'angoscia e
l'inquietudine interiore del giovane).
Pescarenico
Piccolo centro a sud del ponte di Lecco, posto sulla riva sinistra dell'Adda nel punto in cui il lago di
Como si restringe (come spiegato nella celebre descrizione iniziale del cap. I): all'epoca della
vicenda del romanzo era un minuscolo villaggio di pescatori, mentre attualmente è un sobborgo
industriale della stessa cittadina di Lecco. A Pescarenico si trova il convento di cappuccini dove vive
il padre Cristoforo, che sorge fuori dell'abitato e di fronte all'ingresso nel paese, vicino alla strada
che conduce da Lecco a Bergamo (cap. IV).
Pescarenico è spesso citata proprio come il luogo da cui proviene padre Cristoforo, il quale può
contare sull'appoggio e l'aiuto di molti suoi abitanti, grazie al prestigio di cui gode e alla sua fama
di santo: nel cap. VIII il frate organizza la fuga dei due promessi grazie a un barcaiolo che li
raccoglie nei pressi del Bione, un torrente che sbocca nel lago a pochi passi dal villaggio di
pescatori, mentre è di Pescarenico il pesciaiolo che farà da messaggero portando a Lucia e Agnese,
rifugiatesi a Monza, notizie dal paese.
Monza
È la cittadina lombarda vicino a Milano dove Agnese e Lucia si recano dietro suggerimento di padre
Cristoforo, in seguito al fallito tentativo di rapire la giovane da parte di don Rodrigo: le due donne
vi arrivano nel cap. IX accompagnate dal barocciaio, quindi (dopo essersi separate da Renzo che
riparte alla volta di Milano) giungono al convento di cappuccini posto a pochi passi dalla città. Da
qui il padre guardiano le accompagna al convento di Gertrude, non distante dalla "porta del
borgo" che all'epoca era vicino a un "antico torracchione mezzo rovinato" e a un castello diroccato
(entrambi abbattuti tra 1809 e 1814) e qui parlano con la monaca, che accetterà di ospitarle nel
monastero ricorrendo all'influenza che le deriva dal suo grado e dalla potente famiglia a cui
appartiene. Nei capp. IX-X l'autore racconta la storia passata di Gertrude, figlia di un principe
milanese che era il feudatario della città di Monza (il personaggio storico è da identificare con don
Martino de Leyva) e il convento con tutta probabilità corrisponde a quello benedettino di Santa
Margherita, dove Marianna de Leyva (la Gertrude del romanzo) fu educata e ricevette gli ordini
religiosi a sedici anni, nel 1591. Monza è la prima vera città che entra in scena nella vicenda, in
seguito alla fuga precipitosa dal paese la "notte degli imbrogli", anche se di essa non viene
mostrato praticamente nulla a eccezione del monastero, dove peraltro Agnese e Lucia (e poi la
giovane soltanto, dopo la ripartenza della madre per il paese) restano rinchiuse tutto il tempo.
Il palazzotto di don Rodrigo
È la residenza di don Rodrigo, il signorotto che esercita il suo dominio sul paese dei due promessi,
e sorge come una piccola fortezza squadrata su un'altura, a circa tre miglia dal paese e a quattro
dal convento di Pescarenico: è descritto nel cap. V, quando padre Cristoforo si reca lì per parlare
con il nobile nel vano tentativo di farlo recedere dai suoi propositi su Lucia, e si dice che ai piedi
dell'altura c'è un minuscolo villaggio di contadini che dipendono da don Rodrigo e rappresenta "la
piccola capitale del suo piccol regno". Il villaggio è abitato da sgherri e uomini armati, le cui donne
hanno un aspetto maschio e vigoroso, mentre una piccola strada a tornanti conduce in alto al
palazzo: questo appare al cappuccino come una casa silenziosa, quasi disabitata, con l'uscio
sprangato e piccole finestre chiuse da imposte sconnesse e consunte dal tempo, protette da
robuste inferriate e tanto alte, almeno quelle del pian terreno, da impedire di arrivarvi facilmente
(il luogo è dunque un piccolo castello ben difeso e protetto). Sulla porta sono inchiodate le
carcasse di due avvoltoi, uno dei quali "spennacchiato e mezzo roso dal tempo", mentre due bravi
montano la guardia sdraiati su panche poste ai lati dell'uscio. L'interno dell'edificio non è mai
descritto in modo dettagliato, salvo col dire che è la residenza signorile di un nobile e lasciando
intendere che vi sono molte sale e salotti: ci viene mostrata direttamente la sala da pranzo, dove
don Rodrigo è a tavola coi suoi convitati nel momento in cui riceve la visita di padre Cristoforo
(cap. V), quindi un'altra sala appartata dove si svolge il successivo colloquio col cappuccino (VI) e
della quale ci verrà detto più avanti che sulle pareti campeggiano i ritratti degli antenati del
signorotto (VII).
Il palazzo viene citato ancora alla fine del cap. VIII, quando Renzo, Agnese e Lucia lasciano il paese
sulla barca e osservano il paesaggio, su cui il palazzo del signorotto domina dall'alto con un aspetto
truce e sinistro.
Il fiume Adda
È il più importante fiume della Lombardia e uno degli affluenti di sinistra del Po, il cui corso (lungo
313 km) nasce sulle Alpi Retiche e si dirige a ovest percorrendo la Valtellina, fino a gettarsi nel lago
di Como: riprende nome e aspetto di fiume a Lecco, per estendersi nei laghetti di Pescarenico e
Garlate, e successivamente scorre in direzione sud fino a sboccare in pianura presso Trezzo,
continuando a serpeggiare con ampi meandri e gettandosi nel Po presso Castelnuovo Bocca
d'Adda, fra Piacenza e Cremona. Al tempo della vicenda del romanzo formava per un buon tratto il
confine naturale tra il Ducato di Milano e il territorio della Repubblica di Venezia, mentre la sua
presenza domina molte parti della narrazione specie nei capitoli iniziali, ambientati nel paesino dei
due promessi che sorge non lontano da Lecco e che, in un certo senso, si affaccia sulle rive del
fiume. Il cap. I si apre con l'ampia e famosa descrizione paesaggistica, in cui l'autore descrive i
luoghi del romanzo e spiega che il ramo meridionale del lago di Como si restringe presso Lecco e
sembra assumere di nuovo l'aspetto del fiume, fino al punto in cui il corso d'acqua si allarga
nuovamente formando il laghetto di Garlate (vengono citati indirettamente i torrenti Gerenzone,
Galdone e Bione, che si gettano nelle acque del fiume). Pescarenico sorge sulle rive del lago dove
questo si restringe vicino al ponte di Lecco e da qui padre Cristoforo organizza la fuga di Renzo,
Agnese e Lucia dal loro paese, dopo il fallito tentativo di rapire la giovane da parte di don Rodrigo:
un barcaiolo raccoglie i tre nel punto in cui il Bione sfocia nel lago e li trasporta sulla riva destra
dell'Adda, da dove un barocciaio li accompagnerà a Monza (VIII).