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Promessi Sposi

I personaggi
Renzo
È il protagonista maschile della vicenda, il promesso sposo di Lucia le cui nozze vengono mandate
a monte da don Rodrigo: è descritto come un giovane di circa vent'anni, orfano di entrambi i
genitori dall'adolescenza e il cui nome completo è Lorenzo. Esercita la professione di filatore di
seta ed è un artigiano assai abile.
Compare per la prima volta nel cap. II, quando si reca dal curato la mattina del matrimonio per
concertare le nozze: è presentato subito come un giovane onesto e di buona indole, ma piuttosto
facile alla collera e impulsivo, con un'aria "di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti";
infatti porta sempre con sé un pugnale e se ne servirà indirettamente per minacciare don
Abbondio e costringerlo a rivelare la verità sul conto di don Rodrigo. In seguito progetterà
addirittura di assassinare il signorotto, ma abbandonerà subito questi pensieri delittuosi al
pensiero di Lucia e dei principi religiosi.

Questi i capitoli del romanzo in cui compare:


Cap. II
Si reca da don Abbondio la mattina del matrimonio, ma il curato lo convince a rimandare le nozze.
Estorce da Perpetua alcune ammissioni, quindi costringe il curato a fare il nome di don Rodrigo.
Mentre torna a casa di Lucia progetta di uccidere il signorotto, ma poi rinuncia ai propositi
delittuosi. Rivela tutto a Lucia chiedendole spiegazioni sull'accaduto.

Cap. III
Dopo il racconto di Lucia è colto dall'ira e minaccia di vendicarsi di don Rodrigo. Segue il consiglio
di Agnese e si reca a Lecco, per rivolgersi all'avvocato Azzecca-garbugli, ma questi cade in un
equivoco e lo scambia per un bravo; dopo lo scioglimento dell'equivoco il giovane viene cacciato in
malo modo. Torna a casa di Lucia e riferisce l'esito infelice del colloquio, venendo accusato da
Agnese di non essersi saputo spiegare. Torna a casa propria sconsolato.

Cap. V
Giunge a casa di Agnese e Lucia, dove è già arrivato padre Cristoforo e parla con lui. Manifesta il
desiderio di farsi giustizia da sé, per cui il frate lo rimprovera e lo esorta a confidare nell'aiuto di
Dio. Promette di non fare pazzie, tranquillizzando Lucia.

Cap. VI
Accoglie con entusiasmo la proposta di Agnese riguardo al "matrimonio a sorpresa" e poi si reca a
casa dell'amico Tonio, invitandolo all'osteria. Propone a Tonio di fargli da testimone, quindi l'amico
accetta e propone a sua volta il fratello Gervaso come secondo testimone. Torna a casa di Lucia e
Agnese, iniziando a discutere con la ragazza che è restia a ricorrere al sotterfugio.

Cap. VII
Dopo la visita di padre Cristoforo minaccia di uccidere don Rodrigo, finché Lucia, spaventata,
accetta di partecipare al "matrimonio a sorpresa" (il giovane forse accentua ad arte la sua collera).
Il giorno dopo rifiuta di andare dal frate come lui gli aveva chiesto e a sera va con Tonio e Gervaso
all'osteria, dove ci sono i bravi inviati dal Griso. Raggiunge le due donne e tutti insieme vanno a
casa di don Abbondio.

Cap. VIII
Si introduce insieme a Lucia, Tonio e Gervaso in casa di don Abbondio e poi tenta, senza successo,
il "matrimonio a sorpresa" (il giovane riesce a pronunciare la formula di rito, ma non così Lucia). In
seguito cerca invano di calmare il curato, quindi si allontana dalla casa insieme a Lucia e Agnese.
Dopo l'arrivo di Menico si reca con le due donne al convento di Pescarenico, dove padre Cristoforo
li informa dei piani di don Rodrigo e suggerisce loro di lasciare il paese. Sale con le due donne sulla
barca che li porta sull'altra sponda del lago.

Cap. IX
Giunge a Monza insieme ad Agnese e Lucia, quindi si separa da loro e riparte alla volta di Milano.
Lucia
È la protagonista femminile della vicenda, la promessa sposa di Renzo che subisce le molestie di
don Rodrigo e le cui nozze vengono impedite dal signorotto: compare per la prima volta alla fine
del cap. II, quando Renzo la raggiunge e la informa del mancato matrimonio, dopo aver costretto
don Abbondio a parlare circa le minacce ricevute dai bravi. È una giovane di circa vent'anni, unica
figlia di una vedova (Agnese) con la quale vive in una casa posta in fondo al paese: ha lunghi capelli
bruni ed è dotata di una bellezza modesta, che non giustifica una passione morbosa da parte di
don Rodrigo (il quale infatti ha deciso di sedurla per una sciocca scommessa col cugino Attilio).
Viene descritta come una ragazza molto pia e devota, ma anche assai timida e pudica sino
all'eccesso, tanto che si imbarazza e arrossisce nelle più diverse occasioni: passiva e alquanto priva
di spirito di iniziativa, viene trascinata nel tentativo di "matrimonio a sorpresa" dalle minacce di
Renzo, che promette in caso contrario di fare una pazzia.
Lucia è il personaggio che forse più di ogni altro ha fede nella Provvidenza divina e anche per
questo sembra incapace di serbare ogni minimo rancore, persino nei confronti del suo odioso
persecutore (è dunque un personaggio statico, a differenza di Renzo che compie un percorso di
maturazione all'interno della vicenda).
Il suo nome allude al candore della persona, nonché alla martire siracusana che preferì farsi
accecare piuttosto che darsi alla prostituzione, così come il cognome (Mondella) rimanda alla sua
purezza e castità. Curiosamente, nel Fermo e Lucia era dapprima indicata col nome di Lucia Zarella
(I, 1), quando i bravi intimavano a don Abbondio di non celebrare le nozze, poi la giovane viene
chiamata Mondella come nella redazione definitiva (II, 8).
Questi i capitoli del romanzo in cui compare:
Cap. II
Mentre si prepara per le nozze, a casa sua, viene avvertita dalla fanciulla Bettina che Renzo è
tornato e le vuole parlare. Il giovane le rivela che don Rodrigo ha mandato a monte le nozze e la
cosa la sconvolge. Rifiuta di dare subito spiegazioni a Renzo e manda via le donne, adducendo
come scusa una malattia del curato.

Cap. III
Racconta a Renzo e Agnese delle molestie subìte da don Rodrigo e della scommessa tra lui e il
conte Attilio. Dà a fra Galdino una gran quantità di noci per la questua, quindi gli chiede di far
venire da loro padre Cristoforo prima possibile. Esorta Renzo a non nutrire propositi vendicativi
verso Don Rodrigo.

Cap. IV
Accoglie padre Cristoforo giunto a casa da lei e Agnese, di buon mattino.

Cap. V
Scoppia a piangere quando padre Cristoforo le chiede cosa sia accaduto, mentre Agnese spiega
ogni cosa al frate. Viene consolata dal cappuccino, poi è sollevata quando Renzo recede dai suoi
propositi vendicativi verso don Rodrigo.

Cap. VI
Si mostra incerta ed esitante quando Agnese propone lo stratagemma del "matrimonio" a
sorpresa e obietta che la cosa non è stata consigliata da padre Cristoforo. La madre le impone di
non dire nulla al frate quando questi torna dal palazzotto di don Rodrigo.
Cap. VII
Dopo la partenza di padre Cristoforo esorta a confidare nella Provvidenza e a rinunciare al
sotterfugio del "matrimonio" a sorpresa, ma poi (quando Renzo minaccia di uccidere don Rodrigo)
promette di andare dal curato. Il giorno dopo è molto inquieta per la visita del Griso travestito da
accattone e delle altre spie dei bravi. La sera, pur riluttante e impaurita, segue tutti gli altri fino alla
casa di don Abbondio.

Cap. VIII
Si introduce insieme a Renzo, Tonio e Gervaso in casa di don Abbondio e tenta senza successo il
"matrimonio a sorpresa" (la giovane non fa in tempo a pronunciare la formula di rito, poiché il
curato le getta addosso il tappeto che copre lo scrittoio e le impedisce di parlare). In seguito si
allontana dalla casa insieme a Renzo e ad Agnese, mentre in seguito all'arrivo di Menico i tre
vanno al convento di Pescarenico. Qui padre Cristoforo rivela i piani di don Rodrigo e suggerisce
loro di lasciare il paese, perciò sale poi sulla barca che li trasporta sulla sponda opposta del lago.
Dice tra sé addio al luogo natio, in una pagina famosa che chiude il capitolo.

Cap. IX
Giunge a Monza insieme a Renzo e Agnese, poi, dopo la partenza del promesso sposo per Milano,
lei e la madre si rivolgono al padre guardiano dei cappuccini. Viene presentata a Gertrude, che
accoglie lei e Agnese nel suo convento. La monaca le rivolge domande insistenti e un po' morbose
sulla sua vicenda, che la mettono in imbarazzo.

Cap. X
Parla in privato con Gertrude, che la mette in imbarazzo con molte domande circa don Rodrigo e
Renzo. In seguito è rassicurata da Agnese circa le stranezze della "Signora", poiché secondo la
madre i nobili sono tutti un po' matti. Viene alloggiata con la madre nel monastero, dove le due
svolgono le mansioni della figlia della fattoressa.
Don Abbondio
È il curato del paesino di Renzo e Lucia, colui che all'inizio della vicenda dovrebbe celebrare il
matrimonio dei due promessi: è il primo personaggio del romanzo a entrare in scena, all'inizio del
cap. I, e in seguito all'incontro coi bravi l'autore ci fornisce una dettagliata descrizione della sua
psicologia e del suo carattere. Manzoni finge che l'anonimo abbia omesso nel manoscritto di dire il
suo casato, ma è comunque presentato come un uomo di circa sessant'anni (I), dai capelli bianchi
e con "due folti sopraccigli, due folti baffi, un folto pizzo", che incorniciano una "faccia bruna e
rugosa" (VIII). Non è assolutamente un uomo molto coraggioso e dimostra anzi in numerose
occasioni la sua viltà e la sua codardia, che sono all'origine anche della scelta di farsi prete: non
dettata da una sincera vocazione, ma dal desiderio di sfuggire i pericoli della vita ed entrare in una
classe agiata e dotata di un certo prestigio, che offre una discreta protezione in tempi in cui regna
la violenza e la legge non dà alcuna garanzia agli uomini quieti. Il curato svolge dunque il suo
ministero tenendosi fuori da ogni contrasto, mantenendo la neutralità in qualunque controversia o
litigio, non contrastando mai i potenti (esemplare è la sua sottomissione a don Rodrigo, che pure
odia) e mostrandosi in ogni occasione come un debole, cosa di cui approfittano un po' tutti.
Costretto a ingoiare molti bocconi amari, non esita a sfogare un po' del fiele che ha in corpo
prendendosela con coloro da cui sa di non aver nulla da temere, manifestando anche in tal modo il
suo carattere pusillanime. È accudito da un'attempata domestica, Perpetua, donna decisa ed
energica che spesso gli rimprovera la sua debolezza e lo esorta a comportarsi con maggior
determinazione, quasi sempre senza successo. Si diletta a leggere libri senza un interesse preciso e
si fa prestare da un curato suo vicino dei volumi, che però legge senza capire gran che:
celeberrima è la frase "Carneade" Chi era costui?" che apre il cap. VIII e che è passata in proverbio
a indicare col nome del filosofo del II sec. a.C. un illustre sconosciuto (ciò indica anche la relativa
ignoranza del personaggio).
Don Abbondio è comunque una figura fondamentalmente positiva, sinceramente affezionato a
Renzo e Lucia, anche se la sua paura e la sua debolezza lo spingono a comportarsi in modo
scorretto e a farsi complice delle prepotenze altrui, al di là delle sue stesse intenzioni. Il suo nome
rimanda a sant'Abbondio, patrono di Como, e suggerisce il carattere di un uomo che ama il quieto
vivere. È indubbiamente uno dei personaggi comici del romanzo, protagonista di molti episodi che
mescolano dramma e farsa (l'incontro con i bravi, il colloquio con Renzo, il "matrimonio a
sorpresa").

Questi i capitoli del romanzo in cui compare:


Cap. I
Torna dalla passeggiata serale e incontra i bravi, che lo minacciano affinché non celebri il
matrimonio fra Renzo e Lucia e fanno il nome di don Rodrigo. Torna a casa e rivela tutto a
Perpetua, pressato dalle sue insistenze. La donna gli consiglia di informare con una lettera il
cardinal Borromeo. Il curato rifiuta e va a letto, dopo aver intimato a Perpetua di non dire nulla a
nessuno.

Cap. II
Dopo una notte agitata e trascorsa a pensare al da farsi, al mattino riceve Renzo e lo convince a
rimandare le nozze accampando pretesti burocratici. Poco dopo è nuovamente affrontato da
Renzo che lo costringe a rivelare il nome di don Rodrigo. Dopo che il giovane è andato via, il curato
accusa Perpetua di aver parlato, quindi si mette a letto con la febbre.

Cap. VIII
Sta leggendo nel suo studio, a tarda sera, quando riceve la visita di Tonio e Gervaso. Tonio gli
restituisce le venticinque lire di debito, poi il curato gli rende la collana della moglie avuta in
garanzia e si accinge a compilare una ricevuta. In quel momento si presentano Renzo e Lucia per il
"matrimonio a sorpresa", ma lui riesce a impedire alla giovane di pronunciare la formula di rito
gettandole addosso il tappeto che copre il tavolo. In seguito si chiude in un'altra stanza e grida
aiuto da una finestra, al che il sagrestano Ambrogio suona le campane. All'accorrere dei paesani, si
affaccia da una finestra dicendo che alcuni imprecisati malviventi si sono introdotti in casa sua e
che ora se ne sono andati, quindi invita tutti a tornare alle proprie case.
Don Rodrigo
È il signorotto del paese di Renzo e Lucia, un aristocratico che vive di rendita e abita in un
palazzotto situato a metà strada tra il paese stesso e Pescarenico: personaggio malvagio del
romanzo, si incapriccia di Lucia e decide di sedurla in seguito a una scommessa fatta col cugino
Attilio, per poi intestardirsi in questo infame proposito al fine di non sfigurare di fronte agli amici
nobili e, quindi, per ragioni di puntiglio cavalleresco. A questo scopo manda due bravi a minacciare
il curato don Abbondio perché non celebri il matrimonio fra i due promessi (cap. I), e in seguito
tenta senza successo di far rapire la ragazza dalla sua casa (VIII).
Viene presentato come un uomo relativamente giovane, con meno di quarant'anni (ci viene detto
nel cap. VI, quando è presentato il servitore che informerà padre Cristoforo del progettato
rapimento di Lucia) e di lui non c'è una vera e propria descrizione fisica; appartiene a una famiglia
di antico blasone, come dimostra l'appartenenza ad essa del conte zio, membro del Consiglio
Segreto e politico influente, anche se il nome del casato non viene mai fatto. Non sappiamo molto
del suo passato, salvo il fatto che il padre era uomo di tempra ben diversa e Rodrigo, rimasto
erede del suo patrimonio, si è dimostrato figlio degenere.
Don Rodrigo è ovviamente un malvagio, ma mediocre e di mezza tacca, come più volte è
evidenziato nel romanzo: la sua persecuzione ai danni di Lucia non nasce da un'ossessione
miamorosa, ma è più un atto di prepotenza sessuale di un nobile su una povera contadina,
oltretutto a causa di una sciocca scommessa fatta col cugino; egli è il rappresentante di quella
aristocrazia oziosa e improduttiva che Manzoni critica spesso e che esercita soprusi sui deboli più
per passatempo che per crudeltà gratuita. Compare per la prima volta direttamente solo nel cap.
V, dopo che il suo nome è stato più volte evocato e sempre associato a un'aura di terrore, mentre
alla sua apparizione il personaggio risulterà assai deludente. Don Rodrigo si mostra timoroso della
giustizia e delle leggi, il che lo porta a cercare l'appoggio e la complicità di importanti magistrati
come il podestà di Lecco, o di legali come il dottor Azzecca-garbugli, mentre nutre un sincero
terrore per tutto ciò che riguarda la religione e l'aldilà, come è evidente nel colloquio con padre
Cristoforo nel cap. VI.

Questi i capitoli in cui compare:


Cap. III
Lucia racconta di averlo incontrato per strada, in compagnia del conte Attilio, e del fatto che il
nobile l'ha molestata con chiacchiere volgari. Riferisce di averlo sentito parlare di una
"scommessa" con l'altro signore.

Cap. V
Riceve la visita di padre Cristoforo nel suo palazzo, dove sta pranzando con altri convitati. Si
comporta in modo volgare ricordando al frate il suo passato e coinvolgendolo nella disputa
cavalleresca tra Attilio e il podestà. Alla fine si alza da tavola e si apparta col frate in una sala.

Cap. VI
Parla con padre Cristoforo nel suo palazzo, dapprima eludendo i suoi tentativi di farlo rinsavire e
poi proponendo in modo provocatorio che Lucia venga a mettersi sotto la sua protezione. Il frate
lo accusa apertamente e il nobile lo caccia in malo modo.

Cap. VII
Dopo il colloquio con padre Cristoforo cammina su e giù per la sala del palazzo, osservando i
ritratti alle pareti degli antenati, poi esce per una passeggiata (nel corso di essa entra in una casa di
tolleranza). A sera cena col conte Attilio, che lo punzecchia riguardo alla scommessa e lui ribatte
che S. Martino, ovvero il termine fissato, non è ancora passato. Risponde alle altre canzonature del
cugino raddoppiando la posta e senza rivelare altri dettagli sui suoi piani. Il giorno dopo chiama il
Griso e gli ordina di rapire Lucia.
Perpetua
È la domestica di don Abbondio, ovvero una donna di mezza età che, avendo passati i quarant'anni
(età stabilita dai Sinodi come quella minima per vivere in casa di un sacerdote) ed essendo rimasta
nubile, accudisce il curato alloggiando nella sua abitazione: il suo nome proprio è poi diventato,
per antonomasia, il nome comune che sino agli anni Cinquanta del XX secolo ha designato la
domestica del sacerdote. Compare nel cap. I, quando il curato torna a casa in seguito all'incontro
coi bravi, ed è descritta come una donna decisa ed energica, alquanto incline al pettegolezzo (è il
motivo per cui don Abbondio è inizialmente restio a rivelarle il ricatto subìto) e dalla battuta
salace, per cui rimprovera spesso al curato la sua debolezza e viltà. Ha un carattere spigoloso e
sfoga di frequente il suo malumore con il padrone, del quale subisce peraltro "il brontolìo e le
fantasticaggini" e con cui ha comunque un rapporto basato su una sorta di ruvido affetto
ricambiato (sicuramente è il personaggio che meglio conosce il carattere e l'indole di don
Abbondio). È un personaggio di secondaria importanza, protagonista soprattutto di duetti comici
con il curato, anche se ha un ruolo decisivo nella vicenda in quanto è lei a far capire a Renzo la
verità sul matrimonio rimandato (II); la sua indole ciarliera verrà poi sfruttata da Agnese, che la
distrarrà la notte del "matrimonio a sorpresa" (VIII) con chiacchiere riguardanti il fatto che è
rimasta zitella.

Questi i capitoli in cui compare:


Cap. I
Accoglie don Abbondio di ritorno dalla passeggiata e reduce dall'incontro coi bravi. Induce il curato
a rivelarle tutto e gli consiglia di informare con una lettera il cardinal Borromeo. Promette a don
Abbondio di mantenere il segreto.

Cap. II
Durante un colloquio con Renzo, si lascia sfuggire inavvertitamente che la causa del matrimonio
rimandato è un "prepotente". In seguito giura e spergiura con don Abbondio di non aver parlato.
Informa la gente del paese che il curato ha la febbre.

Cap. VII
Si affaccia da una finestra della casa di don Abbondio, quando a tarda sera bussa Tonio. Lo
rimprovera per l'ora inopportuna, poi gli dice di aspettare mentre lei andrà dal curato a chiedergli
se può riceverlo.

Cap. VIII
Informa don Abbondio dell'arrivo di Tonio, quindi risponde in modo stizzito alla domanda del
curato se si sia accertata della sua identità. Uscendo di casa incontra Agnese, che la distrae con
chiacchiere e pettegolezzi relativi ai suoi matrimoni andati a monte in gioventù. Tenta poi di
tornare indietro a chiudere l'uscio, trattenuta da Agnese con altre chiacchiere, finché non si sente
il grido di don Abbondio e, subito dopo, lo scampanio. Torna alla casa da cui vede uscire prima
Tonio e Gervaso, poi Renzo e Lucia che accusa con parole minacciose. Raggiunge don Abbondio
che, in seguito, la rimprovera per averlo lasciato solo durante il "matrimonio a sorpresa".
Azzecca-garbugli
È un avvocato che vive a Lecco ed è intimo amico di don Rodrigo, nonché suo compagno di bagordi
e complice delle sue prepotenze a cui trova spesso delle scappatoie legali: è un personaggio
secondario ed è descritto come un uomo alto, magro, con la testa pelata, il naso rosso (ciò è
dovuto probabilmente al vizio del bere) e una voglia di lampone sulla guancia. Viene introdotto nel
cap. III, quando Agnese consiglia a Renzo di recarsi da lui per chiedere un parere legale circa il
sopruso subìto da parte di don Rodrigo, che ha minacciato don Abbondio perché non celebrasse il
matrimonio: la donna spiega al giovane che quello di "Azzecca-garbugli" è un soprannome (allude
alla presunta capacità di sbrogliare le questioni giudiziarie), mentre il vero nome dell'avvocato non
viene mai fatto. Renzo si reca nel suo studio, descritto come un luogo decadente che ispira
un'impressione di trascuratezza, ed espone il suo caso, ma l'avvocato cade in un grossolano
equivoco e scambia Renzo per un bravo, spiegandogli poi come farà a tirarlo fuori dai guai (ovvero
subornando testimoni, minacciando le vittime e invocando la protezione dei potenti); in questa
occasione viene citata la grida datata 15 ottobre 1627 in cui sono previste pene per chi minaccia
un curato, documento che diede a Manzoni l'idea base per il romanzo. Quando Renzo fa il nome di
don Rodrigo, l'avvocato va su tutte le furie e caccia via malamente il giovane, restituendogli i
capponi che aveva portato in dono e non volendo sentire ragioni. Renzo definirà poi il legale
"signor dottor delle cause perse" (cap. V), espressione divenuta in certo modo proverbiale a
indicare un avvocaticchio di scarso valore.
Il personaggio ricompare nello stesso cap. V, fra i commensali che siedono alla tavola di don
Rodrigo nel suo palazzo, quando il padre Cristoforo si reca lì per parlare al signorotto: l'avvocato è
piuttosto brillo, col naso più rosso del solito, e indossa il mantello nero che portavano gli uomini di
legge; si schermisce in modo goffo quando è chiamato in causa nella sciocca disputa cavalleresca
che oppone il conte Attilio e il podestà, e in seguito si produce in un brindisi alquanto scomposto,
elogiando la bontà del vino e la magnificenza del padrone di casa in tempi di carestia.
L'avvocato è presentato come un personaggio buffo e sgraziato, quasi un carattere da commedia
(e infatti il suo colloquio con Renzo nel cap. III è una sorta di "commedia degli equivoci"), che
rappresenta il decadimento e il degrado della giustizia nel XVII secolo; è anche l'esempio di un vile
cortigiano e di un parassita che sfrutta don Rodrigo, mettendosi al servizio dei suoi propositi
delittuosi.
Tonio
È un amico di Renzo, cui il giovane si rivolge chiedendogli di fargli da testimone nello stratagemma
del "matrimonio a sorpresa" (cap. VI): di lui sappiamo che ha moglie e diversi figli piccoli (tre o
quattro "ragazzetti"), nonché un fratello di nome Gervaso un po' tardo di mente, i quali sembrano
vivere tutti nella stessa casa posta non lontano da quella di Agnese e Lucia nel paese. Renzo si reca
qui la sera del 9 novembre 1628 per invitare Tonio all'osteria (VI), cosa che l'amico accetta in
quanto è tempo di carestia e la polenta che cuoce sul fuoco è scarsa: Renzo gli propone di dargli le
venticinque lire di cui è debitore nei confronti di don Abbondio, per fornirgli un pretesto con cui
introdursi nella casa del curato e dare modo ai due promessi di attuare lo stratagemma. Tonio
acconsente e così la sera dopo (VII) lui, Renzo e Gervaso vanno a cenare all'osteria, dove sono
sorvegliati da alcuni bravi di don Rodrigo; in seguito escono e raggiungono Agnese e Lucia, con cui
si recano alla casa di don Abbondio. Mentre Agnese distrae Perpetua, gli altri quattro riescono a
intrufolarsi nella casa di don Abbondio (VIII), quindi Tonio restituisce la somma al curato e
pretende di riavere la collana della moglie data in garanzia e che gli venga rilasciata una ricevuta.
Mentre don Abbondio è impegnato a redigere il dodumento sopraggiungono i due promessi, ma
solo Renzo riesce a pronunciare la formula di rito, mentre su Lucia il curato getta il tappeto che
copre lo scrittoio e le impedisce di parlare. Il curato lascia cadere il lume a terra, per cui la stanza
sprofonda nel buio e il povero Tonio cerca a tastoni sul pavimento la sua preziosa ricevuta; alla
fine del parapiglia, lui e gli altri tre si allontanano velocemente dalla canonica.
Il conte Attilio
È un aristocratico cugino di don Rodrigo, che risiede abitualmente a Milano e che, nei capp. iniziali
del romanzo, trascorre un periodo di villeggiatura ospite nel palazzo del signorotto: viene descritto
come un nobile ozioso, che vive di rendita come il cugino e che si diverte a passare il tempo tra
scherzi, sciocche dispute cavalleresche e comportamenti frivoli (per approfondire: G. Bàrberi
Squarotti, Il conte Attilio, ritratto di un'anima frivola). Di lui si parla già nel cap. III, quando Lucia
racconta di averlo visto insieme a don Rodrigo allorché quest'ultimo l'ha importunata per strada e
di averlo sentito ridere insieme al cugino parlando di una scommessa (dunque il signorotto ha
scommesso con lui che riuscirà a sedurre la giovane popolana e apprenderemo in seguito, nel cap.
VII, che il termine fissato è il giorno di S. Martino, l'11 novembre). Compare direttamente per la
prima volta nel cap. V, quando padre Cristoforo va al palazzo di don Rodrigo per parlargli e lo trova
a tavola con i suoi commensali, fra cui appunto il cugino: questi chiama subito a gran voce il frate
quando il religioso si affaccia timidamente alla porta della sala, obbligando Rodrigo ad accoglierlo
benché ne avrebbe fatto volentieri a meno, e Cristoforo verrà poi trascinato nell'insulsa disputa
cavalleresca che oppone Attilio al podestà di Lecco, riguardante una sfida a duello. Il cappuccino
risponderà che per lui non dovrebbero mai esservi sfide o duelli, al che il conte ribatterà che un
mondo senza il "punto d'onore" sarebbe inimmaginabile (nonostante la sua frivolezza, infatti,
Attilio si mostra molto attaccato ai suoi privilegi nobiliari e particolarmente geloso dell'onore della
propria famiglia). È lui a rivolgersi al conte zio, importante uomo politico milanese, affinché faccia
allontanare padre Cristoforo da Pescarenico, facendo leva proprio sul concetto di "onore" che è
minacciato dal frate e fornendo ovviamente allo zio una versione addomesticata della vicenda che
coinvolge Rodrigo e Lucia.

Questi i capitoli in cui compare:


Cap. III
È insieme a don Rodrigo per strada, quando il cugino importuna Lucia, e in seguito scommette con
lui che non riuscirà a sedurla.

Cap. V
Siede alla tavola di don Rodrigo quando padre Cristoforo va al palazzo per parlare col signorotto.
Discute con il podestà di una futile questione cavalleresca, che il padre è chiamato a risolvere;
risponde in modo beffardo al cappuccino che afferma che non dovrebbero esservi mai duelli. In
seguito discute col podestà della guerra di Mantova e poi dichiara che i fornai, responsabili a suo
dire della carestia, dovrebbero essere impiccati in modo sommario.

Cap. VII
A sera cena con don Rodrigo e punzecchia il cugino circa la famosa scommessa, che ha come
termine il giorno di S. Martino. Canzona don Rodrigo asserendo che padre Cristoforo lo avrebbe
convertito, poi accetta di raddoppiare la posta della scommessa e tenta inutilmente di farsi dire
dal cugino quali siano i suoi piani.
Gervaso
È il fratello di Tonio, l'amico cui Renzo si rivolge perché lo aiuti nel "matrimonio a sorpresa": è un
po' tardo di mente e vive col fratello nella stessa casa, in cui giunge Renzo (cap. VI) per invitare
Tonio all'osteria. Viene proposto come secondo testimone di nozze dallo stesso Tonio e la sera
seguente (VII) cena con quest'ultimo e Renzo all'osteria del paese, dove i tre sono sorvegliati dai
bravi di don Rodrigo e dove lui a un certo punto parla a sproposito a voce alta, venendo subito
redarguito dal fratello. Si reca poi insieme agli altri alla casa di don Abbondio, dove prende parte
alla messinscena (VIII): dopo che lo stratagemma è fallito e che la stanza è diventata buia per la
caduta del lume, grida e saltella come uno "spiritato" cercando l'uscita, poi se ne va velocemente
insieme a Tonio.
Agnese
È la madre di Lucia, un'anziana vedova che vive con l'unica figlia in una casa posta in fondo al
paese: di lei non c'è una descrizione fisica, ma è presentata come una donna avanti negli anni,
molto attaccata a Lucia per quale "si sarebbe... buttata nel fuoco", così come è sinceramente
affezionata a Renzo che considera quasi come un secondo figlio. Viene introdotta alla fine del cap.
II, quando Renzo informa Lucia del fatto che le nozze sono andate a monte, e in seguito viene
descritta come una donna alquanto energica, dalla pronta risposta salace e alquanto incline al
pettegolezzo (in questo non molto diversa da Perpetua). Rispetto a Lucia dimostra più spirito
d'iniziativa, poiché è lei a consigliare a Renzo di rivolgersi all'Azzecca-garbugli (III), poi propone lo
stratagemma del "matrimonio a sorpresa" (VI).
È piuttosto economa e alquanto attaccata al denaro, se non proprio avara, come si vede quando
rimprovera Lucia di aver dato troppe noci a fra Galdino (III) e nella cura che dimostra nel custodire
il denaro avuto in dono dall'innominato.

Questi i capitoli in cui compare:


Cap. II
È con Lucia la mattina delle nozze, quando Renzo viene a informare la fidanzata del fatto che il
matrimonio è andato a monte.

Cap. III
Ascolta con Renzo il racconto di Lucia circa le molestie subìte da parte di don Rodrigo. Consiglia a
Renzo di recarsi dall'Azzecca-garbugli, poi riceve la visita di fra Galdino che le racconta il "miracolo
delle noci". Rimprovera Lucia dell'elemosina troppo generosa fatta al cercatore. Tornato Renzo, lo
accusa di non essersi spiegato con l'avvocato.

Cap. IV
Accoglie padre Cristoforo, giunto a casa da lei e Lucia di buon mattino.

Cap. V
Racconta a padre Cristoforo quanto è accaduto, poi lei e Lucia vengono consolate dal frate.

Cap. VI
Propone a Renzo e Lucia lo stratagemma del "matrimonio a sorpresa" e in seguito ha un'idea su
come distrarre Perpetua per entrare in casa di don Abbondio. Quando giunge padre Cristoforo,
intima a Lucia di non dirgli nulla.

Cap. VII
Manifesta dubbi circa l'invito di padre Cristoforo a confidare nella Provvidenza, poi cerca di
calmare Renzo che manifesta propositi violenti contro don Rodrigo; alla fine si accorda con Renzo
per lo stratagemma del "matrimonio a sorpresa". Il giorno seguente parla ancora con Renzo, poi
manda Menico al convento per parlare con padre Cristoforo. In seguito riceve il Griso travestito da
mendicante ed è infastidita da altre figure di passanti (sono le spie mandate dal Griso stesso). A
sera si reca con Lucia, Renzo, Tonio e Gervaso a casa di don Abbondio e si prepara a distrarre
Perpetua.

Cap. VIII
Distrae Perpetua con chiacchiere relative ai suoi matrimoni andati a monte in gioventù, dando a
modo a Renzo, Lucia, Tonio e Gervaso di entrare in casa di don Abbondio e attuare lo stratagemma
del "matrimonio a sorpresa" (tossisce forte per dar loro il segnale). Porta Perpetua un po' distante
dalla casa, per impedirle di vedere l'uscio, poi cerca di trattenerla per non farla tornare indietro. Si
rammarica di non aver concertato con i due promessi un segnale per sapere se la cosa è andata a
buon fine. Trattiene ancora Perpetua quando si sente il grido di aiuto di don Abbondio, poi lo
scampanio e infine l'urlo di Menico. Si unisce a Renzo e Lucia che si allontanano dalla casa, poi
arriva Menico. Si reca coi due promessi al convento di Pescarenico, dove padre Cristoforo li
informa dei piani di don Rodrigo e suggerisce loro di lasciare il paese. Sale sulla barca che li porta
sulla sponda opposta del lago.

Cap. IX

Giunge a Monza insieme a Renzo e Lucia, poi, dopo la partenza del giovane per Milano, lei e la
figlia si rivolgono al padre guardiano dei cappuccini. Viene presentata a Gertrude, che accoglie lei e
Lucia nel suo convento.

Cap. X
Rassicura Lucia circa le stranezze di Gertrude, spiegandole che i nobili sono tutti un po' matti.
Viene alloggiata con la figlia nel monastero, dove le due svolgono le mansioni della figlia della
fattoressa.
Fra Cristoforo
È uno dei frati cappuccini del convento di Pescarenico, padre confessore di Lucia e impegnato ad
aiutare i due promessi contro i soprusi di don Rodrigo, non sempre con successo: è descritto come
un uomo di circa sessant'anni, con una lunga barba bianca e un aspetto che reca i segni
dell'astinenza e delle privazioni monastiche, anche se conserva qualcosa della passata dignità e
fierezza. Viene introdotto nel cap. III, quando Lucia spiega di avergli raccontato in confessione
delle molestie di don Rodrigo, e in seguito la giovane chiederà a fra Galdino di avvertire il padre di
raggiungere lei e la madre prima possibile. Il personaggio compare direttamente nel cap. IV,
attraverso un lungo flashback che racconta la vita precedente di Cristoforo e le circostanze che lo
indussero a farsi frate: si chiamava Lodovico ed era figlio di un ricco mercante ritiratosi dagli affari,
che viveva come un nobile e aveva allevato il figlio con modi signorili (il cognome del personaggio
e la città non sono menzionati dall'anonimo, secondo la finzione dell'autore). Il giovane Lodovico,
non accettato dagli aristocratici della sua città, era in cattivi rapporti con loro e a poco a poco era
divenuto un difensore di deboli e oppressi, circondandosi di sgherri e bravacci coi quali compiva
talvolta azioni inclini alla violenza. In seguito a un duello nato per futili motivi cavallereschi con un
nobile noto per la sua prepotenza, Lodovico aveva ucciso il suo avversario ed era rimasto ferito
egli stesso (nello scontro era morto un suo fedele servitore di nome Cristoforo); portato dalla folla
in un convento di cappuccini per salvarlo dalla giustizia e dalla vendetta dei parenti del morto,
Lodovico aveva maturato la decisione di farsi frate e aveva poi chiesto perdono al fratello
dell'ucciso, scegliendo come nome quello di Cristoforo per espiare la morte del servitore da lui
indirettamente provocata (il nome significa, etimologicamente, "portatore di Cristo"). Tutto questo
spiega il fatto che fra Cristoforo conservi qualcosa dell'antico orgoglio nobiliare, nonché la sua
abitudine a trattare coi potenti e l'indubbio prestigio che gode fra la gente del paese e delle terre
vicine a Pescarenico; il rimorso che prova ancora per l'omicidio commesso lo induce a respingere
ogni ipotesi di violenza e a rimproverare aspramente Renzo, ogni qual volta il giovane manifesta
propositi vendicativi nei confronti di don Rodrigo.
È dunque con la carità e la fiducia nella Provvidenza che padre Cristoforo tenta di aiutare i due
promessi: affronta don Rodrigo nel suo palazzo (V-VI) e tenta dapprima di farlo recedere dai suoi
piani con parole diplomatiche, quindi lo attacca con empito oratorio accusandolo delle sue
malefatte (il signorotto arriva a proporre che Lucia venga a palazzo e si metta sotto la sua
"protezione"). In seguito, dopo la "notte degli imbrogli" e il fallito tentativo da parte di Rodrigo di
rapire Lucia (VIII), consiglia ai due promessi di lasciare il paese e indirizza Renzo a Milano, dove
dovrà rivolgersi a un suo confratello del convento di Porta Orientale, mentre Agnese e Lucia
andranno a Monza e verranno accolte nel convento dove vive Gertrude, a cui sono presentate da
un altro padre cappuccino.
Questi i capitoli in cui compare:

Cap. III
Lucia spiega di avergli raccontato in confessione delle molestie di don Rodrigo. La
giovane chiede a fra Galdino di farlo venire al più presto da loro.

Cap. IV
Si reca di buon mattino alla casa di Agnese e Lucia. Con un lungo flashback, ci vengono
narrate le sue origini: Lodovico, figlio di un mercante, uccide in duello un nobile e in
seguito decide di farsi frate, ricevendo tuttavia il perdono del fratello dell'ucciso e, in
pegno dell'avvenuta riconciliazione un pezzo di pane che conserva. Alla fine del
capitolo giunge alla casa delle due donne.
Cap. V
Ascolta da Agnese e Lucia il resoconto dell'accaduto, quindi le consola e riflette sul da
farsi. Giunto Renzo, lo rimprovera e lo esorta a non farsi giustizia da sé. Va al palazzo
di don Rodrigo per affrontare il signorotto e viene accolto al banchetto, durante il
quale c'è una disputa cavalleresca. Chiamato a fare da arbitro, risponde che secondo
lui non dovrebbero essersi sfide né duelli, suscitando l'ilarità del conte Attilio. Assiste
in silenzio alle altre chiacchiere dei commensali, finché il padrone di casa si apparta
con lui in un'altra sala.

Cap. VI
Parla con don Rodrigo al suo palazzo, tentando dapprima di farlo recedere dai suoi
propositi in modo diplomatico, poi esplodendo di rabbia e accusando apertamente il
signorotto, che lo caccia in malo modo. Prima di uscire, viene avvicinato da un anziano
servitore che ha informazioni da rivelargli e gli promette di raggiungerlo l'indomani al
convento. Alla fine il frate giunge alla casa di Agnese e Lucia.

Cap. VII
Riferisce a Renzo, Agnese e Lucia l'infelice esito del suo colloquio con don Rodrigo ed
esorta nondimeno a confidare nella Provvidenza, del cui intervento afferma di avere
già prova. Dice che il giorno seguente non potrà venire in paese e prega Renzo di
raggiungerlo al convento, dove lui dovrà attendere il servitore di don Rodrigo, oppure
di mandare lì una persona fidata. Se ne va e si affretta a tornare al convento prima di
notte. Benché non venga narrato, ci viene fatto capire che il servitore di don Rodrigo
lo informa del suo piano per rapire Lucia e che lui in seguito esorta Menico a dare
l'avviso ai suoi protetti.

Cap. VIII
Attende a tarda sera al convento l'arrivo di Renzo, Agnese e Lucia, rallegrandosi di
vederli tutti e tre sani e salvi. Li fa entrare nel monastero, discutendo col laico
sagrestano fra Fazio che trova irregolare la presenza delle due donne (lo mette a
tacere con la frase Omnia munda mundis, "tutto è puro per i puri"). Informa i tre dei
piani di don Rodrigo, dunque suggerisce loro di lasciare il paese e di rifugiarsi altrove
(le due donne a Monza, Renzo a Milano). Consegna loro delle lettere da presentare a
frati cappuccini una volta giunti a destinazione e prende in consegna le chiavi delle
rispettive abitazioni. Dà loro indicazioni su come raggiungere un barcaiolo che li
porterà al di là del lago e un barocciaio che li accompagnerà a Monza con un calesse.
Si congeda dai tre con commozione e confidando nella Provvidenza divina.
Gertrude
È la monaca del convento di Monza dove si rifugiano Agnese e Lucia in seguito alla fuga dal paese
e al fallito tentativo di rapire la giovane da parte di don Rodrigo: detta anche la "Signora", viene
introdotta nel cap. IX ed è presentata come la figlia di un ricco ed influente principe di Milano, la
quale grazie alle sue nobili origini gode di grande prestigio e di una certa libertà all'interno del
convento (è il padre guardiano del convento dei cappuccini di Monza, cui le due donne si sono
rivolte su suggerimento di padre Cristoforo, a condurre Agnese e Lucia da lei e a ottenere per loro
la protezione della "Signora"). Il personaggio è chiaramente ispirato alla figura storica di Marianna
de Leyva (1575-1650), figlia di Martino conte di Monza e costretta a farsi monaca dal padre contro
la sua volontà: entrata in convento tra le umiliate col nome di suor Virginia Maria (1591), esercitò
in seguito l'autorità feudale come contessa di Monza e fu perciò chiamata la "Signora", mentre
negli anni seguenti intrecciò una relazione con Gian Paolo Osio (l'Egidio del romanzo), un giovane
scapestrato già colpevole di assassinio dal quale ebbe due figli (nel 1602 e 1603). Per tenere
segreta la relazione l'Osio si macchiò di tre nuovi delitti, ma venne arrestato e ciò permise al
cardinal Borromeo di scoprire la tresca, che fu confermata dalla stessa De Leyva. L'Osio fu
condannato a morte in contumacia (1608) e venne poi ucciso in casa di un presunto amico che lo
tradì, mentre la donna subì un processo canonico (1607) e venne rinchiusa nella casa delle
penitenti in Santa Valeria a Milano, dove visse gli ultimi anni espiando le sue colpe e auto-
infliggendosi crudeli penitenze, fino a morire in odore di santità.
Manzoni modifica in parte la vicenda storica e la adatta alle esigenze narrative del romanzo, anche
se rivela fin dall'inizio la storicità del personaggio: la Gertrude dei Promessi sposi è detta figlia di un
gentiluomo milanese il cui casato non è dichiarato in modo esplicito, anche se la città dove sorge il
convento è Monza (ciò in contrasto con la "circospezione" dell'anonimo, il quale nella finzione
indica il luogo con i consueti asterischi). È presentata come una giovane di circa venticinque anni,
dalla bellezza sfiorita e dal cui aspetto traspare qualcosa di torbido e di morboso, unitamente al
fatto che il suo abbigliamento non si conforma perfettamente alla regola monastica (la tonaca è
attillata in vita come un vestito laico e la donna porta i capelli neri ancora lunghi sotto il velo,
mentre dovrebbe in realtà averli corti). Il padre guardiano dei cappuccini presenta Agnese e Lucia
alla monaca (IX), la quale accetta di ospitare nel convento la ragazza e la madre, che alloggeranno
nella stanza lasciata libera dalla figlia maritata della fattoressa e svolgeranno i servizi di cui si
occupava la ragazza; in seguito si apparta con Lucia e mostra una curiosità morbosa per la sua
vicenda, obbligandola a rivelare più precisi dettagli sulla persecuzione subìta da don Rodrigo e sul
suo rapporto con Renzo. L'eccessiva libertà con cui Gertrude parla alla giovane suscita il suo
stupore e Agnese, alla quale Lucia confiderà in seguito la sua perplessità, concluderà col suo buon
senso di popolana che i nobili "hanno tutti un po' del matto" (X), invitando la figlia a non dare
troppo peso alla cosa.
La storia passata di Gertrude è narrata dall'autore con un ampio flashback, che occupa gran parte
dei capp. IX-X e descrive la sua vicenda come esemplare dei soprusi che spesso nelle famiglie
aristocratiche venivano esercitati sui membri più deboli: il principe padre di Gertrude, nobile
milanese e feudatario di Monza, aveva deciso il destino della figlia prima ancora che nascesse,
ovvero aveva stabilito che si facesse monaca per non intaccare il patrimonio di famiglia, destinato
interamente al primogenito. Dunque la piccola Gertrude viene educata fin da bambina
inculcandole nella testa l'idea del chiostro (le vengono regalate bambole vestite da monaca, viene
spesso paragonata a una "madre badessa"...), finché a sei anni viene mandata in convento per
essere educata come molte sue coetanee. All'inizio la ragazza è allettata all'idea di diventare un
giorno la madre superiora del monastero, ma nell'adolescenza inizia a rendersi conto che non è
quella la vita che si attende e, soprattutto, che vorrebbe anche lei sposarsi e avere un'esistenza nel
mondo come tutte le sue compagne. Decide allora di scrivere una lettera al padre, per
comunicargli di non voler dare il suo assenso alla monacazione, ma quando rientra a casa per
trascorrere un periodo di un mese fuori dal convento (come prescritto dalla regola canonica per le
monacande), è accolta con freddezza da tutti i suoi familiari e posta in una sorta di isolamento che
ha il fine di forzarla ad accettare di prendere il velo. La giovane Gertrude un giorno scrive un
biglietto per un paggio verso cui nutre un'innocente passione, ma la carta viene intercettata da
una cameriera e finisce nelle mani del padre, il quale è abile nel servirsi di questo "fallo" della
ragazza per farla sentire terribilmente in colpa e forzarla a dare il suo assenso, cosa che la poverina
è indotta a fare per debolezza, senso di colpa, sottomissione all'autorità del padre. Da quel
momento Gertrude è indotta in ogni modo dalla famiglia ad affrettare i passi che la condurranno
alla monacazione, supera il colloquio col vicario delle monache che deve esaminarla per accertare
la sincerità della sua vocazione e, alla fine, prende il velo iniziando il suo noviziato nello stesso
convento in cui era stata educata, godendo di ampi privilegi e venendo trattata con rispetto e
considerazione come se fosse lei la badessa (carica che non può ancora esercitare per la sua
giovane età).
In seguito Gertrude diventa la maestra delle educande e sfoga su queste ragazze il malanimo e
l'insofferenza per il destino che le è stato imposto, tiranneggiandole e diventando talvolta la loro
confidente e la complice delle loro beffe; nei confronti delle altre monache prova un profondo
astio, specie per quelle che a suo tempo sono state complici del padre nel costringerla ad
accettare il velo. Gertrude vive in un quartiere isolato del chiostro e questo è contiguo ad una casa
laica, dove vive un giovane scapestrato di nome Egidio: questi un giorno osa rivolgere il discorso
alla monaca e Gertrude risponde, iniziando in seguito con lui una torbida relazione sessuale che
l'autore riassume in modo molto sintetico, accennando per sommi capi anche alla sparizione di
una conversa che aveva scoperto il suo segreto e che, verosimilmente, è stata assassinata da
Egidio con la complicità di Gertrude (l'episodio era invece narrato con abbondanza di particolari
nel Fermo e Lucia: cfr. i brani Geltrude ed Egidio, L'uccisione della suora). Quando Lucia e Agnese
entrano nel convento è trascorso circa un anno da questo avvenimento, e in seguito Gertrude
sembra affezionarsi sinceramente alla giovane e prendersi a cuore il suo caso, offrendo dunque
una protezione sicura dalla persecuzione di don Rodrigo.
Manzoni tratteggia una figura tragicamente solenne e fa di Gertrude uno dei personaggi più
affascinanti del romanzo, specie nel racconto dettagliato della sua storia precedente la
monacazione in cui dà prova di grande finezza e introspezione psicologica, mentre nella vicenda
della relazione con Egidio e del delitto della conversa il racconto è decisamente più reticente, in
accordo alla poetica dell'autore che non vuole rappresentare il male in modo diretto o in modi che
possano risultare affascinanti e seducenti per il lettore (celeberrima, sotto questo aspetto, la frase
con cui è spiegato l'inizio della relazione con Egidio: "Costui... un giorno osò rivolgerle il discorso.
La sventurata rispose"). La vicenda di Gertrude è anche esemplare del male insito nel mondo del
potere e nella stessa condizione nobiliare, poiché l'imposizione del padre nasce da motivi che
riguardano il decoro aristocratico e la necessità di lasciare intatto il patrimonio, mentre alla fine
Gertrude è indotta ad accettare il velo pur di non perdere quegli stessi privilegi nobiliari a cui è in
fondo attaccata (il rifiuto comporterebbe il ripudio da parte della famiglia e, dunque, l'ingresso in
una condizione sociale inferiore, per cui la giovane avrebbe la possibilità di sottrarsi al suo destino
ma vi si abbandona perché non ha la forza di ribellarsi alle convenzioni della sua classe sociale).
Egidio
È il giovane scapestrato che vive a Monza in una casa attigua al convento di Gertrude, dedito a varie azioni
criminali grazie anche all'appoggio di amici potenti e che intreccia con la monaca una torbida relazione
clandestina: viene introdotto nel cap. X, quando vede la giovane suora che passeggia in un cortile interno
del chiostro e, allettato anziché intimorito dalla malvagità dell'impresa, ha il coraggio di rivolgerle il
discorso. In seguito l'autore ci fa capire, in termini molto reticenti, che i due uccidono una conversa che
aveva scoperto la tresca amorosa e ne seppelliscono il corpo nel convento facendo credere che sia fuggita
attraverso una breccia nel muro dell'orto (il fatto era narrato con maggiori particolari, anche macabri, nel
Fermo e Lucia: cfr. i brani Geltrude ed Egidio, L'uccisione della suora).
I bravi
Erano gli sgherri che nel XVII secolo si mettevano al servizio di qualche signorotto locale, di cui formavano
una soldataglia pronta a fargli da guardia del corpo ma anche ad aiutarlo nei suoi soprusi ai danni dei più
deboli: il nome deriva dal lat. pravus (malvagio), di cui resta traccia in espressioni quali "compiere una
bravata", trascorrere una "notte brava" e simili. Compaiono per la prima volta nel cap. I, nella persona dei
due figuri che, su incarico di don Rodrigo, minacciano don Abbondio perché non celebri il matrimonio tra
Renzo e Lucia: l'autore li descrive con un abbigliamento particolare che li rende immediatamente
riconoscibili, dal momento che portano i capelli raccolti in una reticella verde intorno al capo, hanno lunghi
baffi arricciati e un ciuffo che ricade sul volto, sono armati di pistole e di spade. Manzoni cita varie gride
dell'epoca in cui i governatori dello Stato di Milano intimavano ai bravi di cessare dalle loro scorrerie,
tuttavia queste leggi restavano inapplicate poiché tali individui godevano dell'appoggio di signori potenti,
che a loro volta contavano sull'inefficienza della giustizia e sulla connivenza dei pubblici funzionari, per cui i
bravi agivano nella totale impunità. Nel cap. III l'autore spiega inoltre che i bravi portavano il ciuffo come
segno di riconoscimento e anche per coprire il volto durante le azioni delittuose, ragion per cui varie gride
minacciavano pene severe a chi avesse portato i capelli in quella maniera, nonché ai barbieri che li avessero
tagliati così ai loro clienti (Renzo dice all'Azzecca-garbugli di non aver mai portato il ciuffo in vita sua, cioè di
non essere mai stato un bravo).
I bravi nel romanzo sono anzitutto gli sgherri al servizio di don Rodrigo, capeggiati dal Griso: due di loro
minacciano don Abbondio all'inizio, altri accolgono padre Cristoforo quando si reca al palazzo del loro
padrone (V), altri ancora sono in paese la notte del "matrimonio a sorpresa" (VII) e poi partecipano al
tentato rapimento di Lucia (VIII). Il mattino seguente alla "notte degli imbrogli" due bravi sono mandati dal
Griso a minacciare il console del paese e l'autore lascia intendere che potrebbero essere gli stessi che,
giorni prima, hanno intimidito don Abbondio.
Il fratello del nobile ucciso da Lodovico
È un aristocratico della città (non meglio specificata) in cui vive Lodovico e compare nel cap. IV,
durante il flashback che narra la gioventù di padre Cristoforo: l'uomo non prova molto dolore per
la morte del fratello ucciso da Lodovico durante un duello, ma le regole del decoro nobiliare gli
impongono di vendicare l'offesa arrecata alla sua famiglia, dunque dapprima chiede invano che
Lodovico gli sia consegnato dai frati cappuccini nel cui convento il giovane si è rifugiato, poi
accoglie con soddisfazione la sua decisione di indossare il saio. Quando Lodovico si reca al suo
palazzo per chiedere il suo perdono l'uomo sfrutta l'occasione come una soddisfazione pubblica e
accoglie il frate circondato da amici e parenti nobili, in una sorta di cerimonia sfarzosa: il suo
atteggiamento è dapprima altero e sdegnoso, tuttavia il sincero pentimento di fra Cristoforo
prevale sul suo orgoglio nobiliare e alla fine l'aristocratico lo perdona di cuore, imitato da tutti i
presenti. Consegna al frate un pezzo di pane, come simbolo dell'avvenuta riappacificazione,
conservato poi da padre Cristoforo come il "pane del perdono" e donato poi a Renzo e Lucia nel
cap. XXXVI.

Il nobile ucciso da Lodovico


Compare nel cap. IV, durante il flashback che narra la gioventù di padre Cristoforo ed ha un ruolo
decisivo nel determinare la conversione di Lodovico e la sua decisione di diventare frate: viene
descritto come un signore "arrogante e soverchiatore di professione", uno di quegli aristocratici
coi quali Lodovico aveva avuto in precedenza dei dissidi e con cui c'era un odio ricambiato. I due si
incontrano un giorno per strada e nasce un alterco per banali questioni cavalleresche, relative a
chi dei due debba cedere il passo all'altro: lo scontro verbale degenera in un duello, nel corso del
quale il nobile uccide il servitore Cristoforo e Lodovico uccide a sua volta il nobile, provandone poi
orrore e rimorso (prima di morire, l'uomo perdona Lodovico e ne chiede a sua volta il perdono,
come riferito al giovane da uno dei frati cappuccini del convento dove si è rifugiato). Sarà proprio
questo fatto tragico a maturare in Lodovico la decisione di indossare la tonaca e di diventare, così,
fra Cristoforo.
Il principe padre di Gertrude
È il gentiluomo milanese padre di Gertrude, la "Signora" che offre rifugio ad Agnese e Lucia nel
monastero di Monza dove la monaca gode di ampi privilegi: la sua figura è ispirata a quella di don
Martino de Leyva, conte di Monza e padre di Marianna che costrinse a diventare monaca col nome
di suor Virginia Maria nel 1591, anche se il personaggio è tratteggiato dall'autore con ampia libertà
romanzesca e il suo nome non viene mai fatto. Compare nei capp. IX-X durante il flashback che
narra il passato di Gertrude e nel quale il principe ha un ruolo da protagonista: decide che tutti i
figli cadetti devono entrare in chiostro per non intaccare il patrimonio di famiglia, destinato
interamente al primogenito, dunque il destino di Gertrude è segnato prima ancora che lei venga al
mondo. Quando la figlia nasce le viene imposto un nome che richiami immediatamente l'idea del
convento (forse l'autore pensa a santa Gertrude, figlia del beato Pipino) e per volere del padre
essa viene educata nell'idea sottintesa che dovrà farsi monaca, benché questo non le sia mai detto
in modo esplicito. A sei anni colloca la bambina come educanda nello stesso convento di Monza
dove poi entrerà come suora e dove può contare sull'aiuto interessato della badessa e di altre
monache notabili, che infatti riservano a Gertude un trattamento di favore e la inducono a
sottoscrivere la supplica al vicario delle monache per essere sottoposta all'esame necessario per
indossare il velo. In seguito la giovane torna a casa per trascorrervi un mese prima di affrontare
l'esame e il principe usa una vera "tortura psicologica" per indurla ad acconsentire al suo volere,
senza mai entrare in argomento ma facendo in modo che Gertrude viva in una condizione di quasi
isolamento, senza ricevere l'affetto e il calore dei familiari che lei desidera più di ogni altra cosa.
Quando la ragazza scrive il biglietto d'amore per il paggio, il principe coglie al volo l'occasione per
forzarla al passo che gli sta a cuore, dapprima rimproverandola aspramente e minacciando oscuri
castighi, poi facendole capire che il solo modo per ottenere il suo perdono è rinunciare alla vita nel
mondo per la quale, col suo incauto comportamento, si è dimostrata indegna (egli fa leva sulla
debolezza di carattere della figlia e anche sul concetto di onore e decoro nobiliare che informa
ogni suo atto). Gertrude è indotta a dare il suo consenso e da quel momento il principe la spinge
sulla strada della monacazione rendendole di fatto impossibile tornare indietro, dapprima
accompagnandola in una uscita pubblica al convento di Monza dove la giovane chiede alla badessa
di esservi ammessa come novizia, poi assicurandosi che Gertrude superi senza incertezza l'esame
col vicario (l'uomo le fa intendere che, in caso contrario, renderebbe pubblico il "fallo" commesso
con il paggio). Alla fine convince la figlia ad accettare di farsi monaca promettendole una vita di
privilegi nel convento, dove sarà la prima dopo la badessa e assicurandole che sarà sollevata a
quella dignità non appena avrà raggiunto l'età prescritta dal diritto canonico.
Il personaggio è una delle figure più odiose e negative del romanzo, dal momento che decide di
sacrificare la felicità della figlia in nome del concetto di decoro aristocratico (cosa assurda secondo
l'autore, dal momento che il suo patrimonio è talmente ampio da poter essere diviso tra tutti i
figli) e non esita, pur di raggiungere il suo intento, a sottoporre Gertrude a delle autentiche
crudeltà psicologiche, in cui alcuni critici hanno intravisto un riferimento all'educazione gesuitica. Il
principe è protagonista di uno degli episodi del romanzo in cui Manzoni usa una tecnica narrativa
attenta ai risvolti psicologici e attraverso di lui svolge una sottile critica al comportamento degli
aristocratici, poiché il principe è in parte responsabile dei crimini successivamente compiuti da
Gertrude insieme al suo amante Egidio.
Bortolo
È il cugino di Renzo che vive e lavora in un paese vicino a Bergamo (nel territorio che all'epoca
faceva parte della Repubblica di Venezia) e che offre rifugio e lavoro al protagonista dopo la sua
fuga da Milano in seguito al tumulto di S. Martino, quando è braccato dalla giustizia: è nominato
per la prima volta nel cap. VI, quando Agnese propone lo stratagemma del "matrimonio a
sorpresa" e Renzo progetta a sua volta di trasferirsi con Lucia e la madre nel Bergamasco, dove
appunto suo cugino Bortolo è impiegato in un filatoio di seta e dove ha spesso invitato il
protagonista a raggiungerlo, poiché in quel territorio gli operai della seta sono molto richiesti.
Menico
È un ragazzo di circa dodici anni, imparentato alla lontana con Agnese che lui chiama "zia" (si tratta
probabilmente di un titolo generico) e descritto come piuttosto sveglio, molto abile a giocare a
"rimbalzello" (ovvero a far rimbalzare un sasso sulla superficie d'acqua del lago). Entra in scena nel
cap. VII, quando Agnese lo manda al convento di Pescarenico per parlare con padre Cristoforo (il
frate aveva chiesto a Renzo di andare lì per parlare con lui, ma il giovane si era rifiutato perché
impegnato nello stratagemma del "matrimonio a sorpresa"); la donna gli raccomanda di aspettare
anche tutto il giorno senza distrarsi e gli promette due "parpagliole", ovvero due monete d'argento
in cambio del suo servizio, rifiutando di dargliele subito perché, a suo dire, il ragazzo le
giocherebbe. Menico esegue la commissione in modo giudizioso e a tarda notte rientra al paese,
precipitandosi a casa di Agnese e Lucia per informarle del progettato rapimento che ha saputo da
padre Cristoforo (VIII): qui trova il Griso e i bravi che lo aggrediscono e lo minacciano con un
coltello, ma il suono delle campane a martello gli consente di divincolarsi e di fuggire. In seguito
ritrova Agnese, Renzo e Lucia, a cui racconta quanto è accaduto e riferisce loro che il padre vuole
che vadano al convento: il gruppo si mette in marcia, allontanandosi dal paese, poi il ragazzo
fornirà più precisi dettagli sull'avviso avuto dal cappuccino e sul rischio corso nella casa delle due
donne. I tre lo ringraziano e lo mandano a casa, non prima che Agnese gli abbia dato quattro
"parpagliole" e Renzo una berlinga, raccomandandogli di non dire nulla di quanto ha appreso.
L'oste del paese dei due promessi
Compare direttamente solo nel cap. VII, durante la "notte degli imbrogli" quando Renzo, Tonio e
Gervaso si recano all'osteria del paese in attesa di andare dal curato insieme ad Agnese e Lucia: nel
locale vi sono anche due bravi mandati dal Griso, la cui presenza è notata da Renzo che ne chiede
conto al padrone della taverna. Questi elude la domanda dicendo che si tratta di galantuomini e in
seguito è fin troppo sollecito a fornire ai due sgherri dettagliate informazioni circa Renzo e i suoi
amici; tornato dai tre, risponde a Renzo dicendo che quei due sono brave persone perché non
fanno storie, pagano il conto senza discutere e, se devono dare una coltellata a qualcuno, lo fanno
lontano dall'osteria senza creare fastidi a lui. L'autore osserva ironicamente che l'uomo "faceva
professione d’esser molto amico de’ galantuomini... ma, in atto pratico, usava molto maggior
compiacenza con quelli che avessero riputazione o sembianza di birboni", lasciando intendere che
tale è il comportamento di tutti i gestori di osterie. Il giorno dopo, in seguito alla sparizione dei tre
dal paese, l'uomo (cap. XI) dirà di non ricordare neppure se abbia visto qualcuno la sera prima,
confermando con altrettanta ironia l'impressione data in precedenza.

Il padre di Lodovico
È citato nel cap. IV, durante il flashback che narra la gioventù di padre Cristoforo e le vicende che
lo hanno indotto a farsi frate: il padre di Lodovico è un mercante divenuto molto ricco che a un
certo punto della sua vita si ritira dai commerci e inizia a vivere come un nobile, vergognandosi
della sua precedente attività, al punto che si adombra quando qualcuno gli ricorda il suo passato
(durante un banchetto un convitato si lascia sfuggire la frase "fo l'orecchio del mercante" e ciò è
sufficiente a spezzare l'allegria e a far sì che il commensale non riceva più invito alla tavola del
padrone di casa). L'autore critica con ironia questo suo atteggiamento, ricordando che "il vendere
non è cosa più ridicola che il comprare, e che quella professione di cui allora si vergognava, l’aveva
pure esercitata per tant’anni, in presenza del pubblico, e senza rimorso", alludendo al fatto che gli
aristocratici disprezzavano tutte le attività produttive che avevano a che fare col denaro. L'uomo
alleva l'unico figlio come un nobile e, morendo, gli lascia una considerevole eredità.

La conversa
Compare nel cap. X ed è una delle laiche che vivono nel convento di Monza in cui Gertrude è
monaca: viene a sapere della relazione clandestina tra la "Signora" ed Egidio, per cui un giorno,
dopo che Gertrude l'ha trattata con molta durezza in seguito a una discussione, si lascia sfuggire
che è a conoscenza del suo segreto e che è decisa a rivelarlo. In seguito la donna scompare e tutti
credono che sia fuggita, specie dopo che si trova una breccia nel muro dell'orto (viene cercata a
Meda, donde è originaria, e in altri luoghi, senza che se abbia più traccia); alla fine si pensa che si
sia rifugiata in Olanda, mentre essa è stata uccisa da Edigio con la complicità della monaca
(l'autore osserva che, anziché cercare lontano, si sarebbe dovuto scavare vicino, dunque è
probabile che sia stata sepolta all'interno dello stesso monastero).
Fra Fazio
Compare nel cap. VIII ed è il laico sagrestano del convento dei cappuccini di Pescarenico: al
momento in cui Renzo, Agnese e Lucia giungono al monastero dove li attende padre Cristoforo
oppone delle resistenze a far entrare nel convento delle donne, per giunta di notte, ma il padre
tronca ogni discussione dicendo "Omnia munda mundis" (tutto è puro per chi è puro), frase che
Fazio non intende in quanto non capisce il latino. Fra Cristoforo osserva tra sé che "se fosse un
masnadiero inseguito, fra Fazio non gli farebbe una difficoltà al mondo; e una povera innocente,
che scappa dagli artigli del lupo...", alludendo alla diffusa pratica di dare asilo nei conventi ai
ricercati dalla giustizia.

La madre badessa
Compare nei capp. IX-X ed è la madre superiora del convento di Monza in cui Gertrude è monaca,
lo stesso nella quale la giovane era stata collocata dal padre come educanda: essa ha un ruolo
attivo nella "cospirazione" ordita dal principe per indurre la figlia a farsi monaca, per cui la ragazza
gode nel monastero di ampi privilegi rispetto alle altre educande e viene indotta a sottoscrivere la
supplica al vicario per essere sottoposta all'esame (per il chiostro avere Gertrude come monaca
sarebbe un indubbio vantaggio "politico"). Manifesta tutta la sua disapprovazione a Gertrude
quando lei scrive una lettera al padre in cui esprime riserve sulla sua monacazione (IX) e in seguito,
quando la giovane ha dato il suo consenso, riceve la pubblica visita di lei e della sua famiglia al
convento (X), in occasione della quale rammenta con deferenza e qualche timore al principe che
l'uomo incorrerebbe nella scomunica se mai forzasse la figlia a quel passo (si tratta di una semplice
formalità, dal momento che la badessa conosce perfettamente i disegni del nobile). In seguito fa in
modo che il capitolo voti a favore dell'accettazione di Gertrude come novizia e non viene più
nominata nel romanzo, salvo quando la "Signora" la dileggia agli occhi delle educande di cui è
maestra.

Il padre guardiano del convento di Monza


Compare nel cap. IX ed è il cappuccino del convento di Monza a cui padre Cristoforo ha indirizzato
Agnese e Lucia, scrivendo loro una lettera di presentazione per il frate: questi la legge con
attenzione, mostrando una certa riprovazione per quanto vi viene descritto, quindi conclude che
solo la "Signora" (Gertrude, la monaca del convento della città) può offrire protezione alle due
donne. Si dice disposto ad accompagnarle al chiostro, raccomandando tuttavia di seguirlo a una
certa distanza per evitare che la gente chiacchieri vedendolo in compagnia di una "bella giovine",
anche se poi si corregge dicendo "con donne". Presenta Agnese e Lucia a Gertrude e fornisce
scarni particolari sulla persecuzione di don Rodrigo, anche se poi la monaca chiede ulteriori
dettagli. È molto contento del fatto che la "Signora" accetti di ricoverare Lucia nel monastero e si
affretta a informare padre Cristoforo con una lettera, dicendo tra sé che "anche noi qui, siam
buoni a qualche cosa", soddisfatto di esser riuscito a trovare per le due donne un rifugio che egli
reputa del tutto sicuro.
Il vicario delle monache
Compare nel cap. X ed è il sacerdote incaricato di esaminare Gertrude prima del suo ingresso nel
monastero di Monza come novizia, col compito di accertare la sincerità della sua vocazione ed
escludere che abbia subìto delle pressioni: è presentato come un "grave e dabben prete", anche se
giunge al palazzo del principe padre della ragazza con una certa convinzione dell'effettiva volontà
di quest'ultima circa il prendere il velo, dunque mostrando almeno in parte una certa ingenuità.
L'uomo chiede subito a Gertrude se le siano state rivolte "minacce, o lusinghe" per indurla a farsi
monaca, cosa alla quale la ragazza risponde prontamente dicendo che la sua decisione è libera,
quindi il prete le domanda da quando abbia avuto questo pensiero e Gertrude ribatte che l'ha
"sempre avuto". Quando la giovane dichiara che il motivo che la spinge è il desiderio "di servire
Dio, e di fuggire i pericoli del mondo", il vicario insinua senza troppa convinzione che all'orgine
potrebbe esserci qualche "disgusto", ma Gertrude è abile a dissimulare il vero motivo (le minacce
e le costrizioni del padre) e dunque l'esaminatore si stanca di interrogarla prima che lei si stanchi
di mentirgli. L'uomo si complimenta con la ragazza e poi lascia la sala, imbattendosi
successivamente nel principe che sembra passare di lì per caso (ed è in realtà in ansiosa attesa
dell'esito del colloquio), al quale comunica il felice risultato dell'esame cui ha sottoposto la figlia.

Fra Galdino
È un cercatore laico dei cappuccini, che vive al convento di Pescarenico dove risiede anche il padre
Cristoforo: uomo semplice e dotato di fede candida e ingenua, è un personaggio secondario che
compare in due importanti episodi del romanzo, in entrambi i quali protagonista è Agnese. Nel
primo (cap. III) il frate bussa alla porta della casa di Agnese e Lucia, chiedendo l'elemosina delle
noci, al che la donna ordina alla figlia di portarle a Galdino: nell'attesa l'uomo racconta il "miracolo
delle noci", intermezzo narrativo e apologo edificante sul valore della carità che contiene
involontari riferimenti al personaggio di don Rodrigo. Al suo ritorno Lucia consegna al frate una
quantità ingente di noci (attirando la collera di Agnese in quanto l'annata è scarsa), per poi
chiedere a Galdino di pregare il padre Cristoforo di venire da loro prima possibile. In seguito la
giovane spiega alla madre che, se il cercatore avesse dovuto proseguire la questua anziché tornare
subito in convento, avrebbe perso tempo e si sarebbe probabilmente dimenticato di avvertire
Cristoforo, per cui Agnese approva (seppur a malincuore) la sua scelta.
Griso
È il capo dei bravi di don Rodrigo, al quale il signorotto affida incarichi delicati e commissiona
imprese rischiose, come quella di rapire Lucia nella prima parte del romanzo: entra in scena nel
cap. VII, quando si intrufola in casa di Lucia e Agnese travestito da mendicante per guardare in giro
e curiosare, senza che venga svelata la sua identità (in seguito l'autore spiegherà con un flashback
che l'uomo ha effettuato il "sopralluogo" in vista del tentativo di rapimento che si svolgerà la sera
stessa). Di lui non c'è una precisa descrizione fisica e del suo passato ci viene spiegato che, dopo
aver assassinato un uomo in pieno giorno, si era messo sotto la protezione di don Rodrigo e aveva
guadagnato l'impunità grazie alle aderenze del nobile, per cui è diventato l'esecutore di tutte le
malefatte che gli vengono commissionate ("Griso" è certamente un soprannome e in dialetto
lombardo significa "grigio", con probabile allusione al carattere sinistro e tetro del personaggio).
Viene presentato come uno dei personaggi più odiosi del romanzo, pieno di untuoso servilismo nei
confronti del suo padrone e di una certa sicumera che però, alla prova dei fatti, non sempre
corrisponde alle sue reali capacità; infatti fallisce l'impresa di rapire Lucia la "notte degli imbrogli"
(VIII).
Il barocciaio
Compare nel cap. IX ed è il conducente del calesse (baroccio) incaricato da padre Cristoforo di
portare Renzo, Agnese e Lucia a Monza dopo la fuga dei tre dal loro paese: l'uomo rifiuta la
ricompensa che vorrebbe dargli Renzo e, dopo che il giovane è ripartito per Milano, accompagna
le due donne al convento dei cappuccini e in seguito al convento delle monache, dove esse sono
presentate a Gertrude. Prima di arrivare al convento informa Agnese che la "Signora" appartiene a
una ricca e nobile famiglia milanese ("gente grande, venuta di Spagna, dove son quelli che
comandano") e che per questo gode di una posizione privilegiata nel monastero, quasi come se
fosse la madre badessa.

Bettina
È una bambina presente in casa di Lucia e Agnese la mattina del previsto matrimonio (cap. II), che
all'arrivo di Renzo lo accoglie gridando: "Lo sposo! Lo sposo!": il giovane la invita a stare zitta e la
incarica di salire al piano di sopra e di dire all'orecchio di Lucia una parola, per indurre la giovane a
scendere di sotto e parlare col suo promesso senza dare troppo nell'occhio. La bambina esegue
l'ordine e si sente fiera di svolgere quell'incarico che le sembra di responsabilità.

Il console del paese dei due promessi


È il magistrato minore che amministra l'ordine pubblico e la giustizia nel paesino di Renzo e Lucia,
con poteri simili a quelli di un odierno sindaco anche se molto più limitati: compare nel cap. VIII,
quando il sacrestano Ambrogio durante la "notte degli imbrogli" suona le campane a martello per
richiamare la popolazione alla casa di don Abbondio, in seguito al fallito stratagemma del
"matrimonio a sorpresa". Il console tenta di mettersi alla testa dei paesani, sia pure in modo poco
organizzato e con scarsa convinzione, al punto che inizialmente sembra pronto a gettarsi
all'inseguimento dei bravi che si sono introdotti nella casa di Agnese e Lucia, poi però non fa nulla
quando si sparge la voce, ovviamente infondata, che le due donne sono al sicuro in una casa e
lascia che la folla si disperda. Il giorno seguente, mentre è intento a vangare l'orto e a riflettere sul
da farsi dopo gli avvenimenti della notte, riceve la visita di due bravi mandati dal Griso che gli
intimano di non rivelare nulla di quanto avvenuto la notte precedente e di non farne parola al
podestà, se gli preme di morire di malattia (l'autore osserva che i due sgherri potrebbero essere gli
stessi che cinque giorni prima avevano minacciato don Abbondio, anche se questa volta hanno un
atteggiamento meno cerimonioso).
Cristoforo, il servo di Ludovico
Compare nel cap. IV, durante il flashback che narra la gioventù di padre Cristoforo ed ha un ruolo
decisivo nel determinare la decisione di Lodovico di farsi frate: è il fedele servitore del giovane, un
tempo aiutante di bottega del padre e poi diventato maggiordomo della casa, affezionato a
Lodovico che ha visto crescere. È descritto come un uomo di circa cinquant'anni, sposato e con
otto figli a carico, il quale accompagna Lodovico nella passeggiata durante la quale avviene
l'incontro col nobile con cui ci sarà poi il duello, causato da futili motivi di puntiglio cavalleresco.
Nello scontro Cristoforo cerca di difendere il suo padrone e viene ferito mortalmente dal nobile, a
sua volta poi ucciso da Lodovico. Questi decide in seguito di farsi frate e, per espiare il male
commesso, sceglie come nome da religioso proprio quello di Cristoforo, che gli ricorderà sempre il
sangue sparso a causa sua. Lodovico vende tutti i suoi beni e usa il ricavato per provvedere
economicamente alla vedova e ai figli del defunto servitore, morto per colpa sua.

Serva dell’Azzecca-Garbugli
Compare nel cap. III, quando Renzo va dal dottor Azzecca-garbugli per chiedere un parere legale
circa la vicenda del matrimonio: è lei ad accogliere il giovane e a chiedergli con decisione di darle i
capponi, che lui vorrebbe consegnare direttamente all'avvocato (lo tratta con una certa durezza,
come un contadino poco avvezzo ad aver a che fare coi "signori" di città). Alla fine del colloquio è
chiamata dal suo padrone che le ordina di restituire a Renzo i capponi, al che la donna esegue e
guarda il giovane come dicesse: "bisogna che tu l’abbia fatta bella", dal momento che non ha mai
ricevuto un ordine simile prima d'ora.

Ambrogio il sagrestano
È il sagrestano di don Abbondio, un uomo presumibilmente di mezza età che abita in uno stanzino
(definito dall'autore un "piccolo abituro", un "bugigattolo") contiguo alla chiesa: compare nel cap.
VIII, quando sente le grida del curato che è sfuggito al tentativo di "matrimonio a sorpresa" e si è
affacciato da una finestra della sua casa che dà sulla piazza antistante la chiesa. L'uomo si affaccia
a sua volta a una "finestrina" e don Abbondio lo informa che c'è "gente in casa", quindi il
sagrestano afferra i pantaloni cacciandoseli sotto il braccio come "un cappello di gala", si precipita
al campanile e inizia a suonare le campane a martello, per richiamare quanta più gente possibile.
In seguito riferisce ai paesani accorsi in aiuto che il curato ha subìto un'aggressione, indossando le
brache ma non avendo il tempo di abbottonarle, per cui apre la porta della chiesa con una mano e
con l'altra si regge i calzoni (il suo personaggio, del tutto secondario, è una delle figure comiche
forse più riuscite del romanzo).
Il vecchio servitore di don Rodrigo
Compare nei capp. V, VI e VII ed ha un ruolo decisivo nello svelare il progettato rapimento di Lucia:
è descritto come un uomo non più giovane, già membro della servitù del defunto padre di don
Rodrigo (un uomo di indole ben diversa dal figlio) ed il solo rimasto a palazzo quando la vecchia
servitù è stata licenziata, poiché il vecchio ha una grande considerazione per il casato ed è esperto
del cerimoniale, benché non rinunci talvolta a criticare con gli altri domestici la condotta del
padrone che non approva. Accoglie con stupore padre Cristoforo al suo arrivo a palazzo (V) e
afferma amaramente che "Sarà per far del bene. Del bene... se ne può far per tutto", per poi
accompagnare il frate alla sala dove don Rodrigo è a pranzo con i suoi commensali. Dopo il
colloquio tra padre Cristoforo e il padrone di casa (VI) avvicina in segreto il frate e gli rivela che il
padrone sta macchinando qualche oscuro progetto di cui lui non ha ancora informazioni precise,
dicendosi tuttavia disposto a venire al convento di Pescarenico per riferire più ampi dettagli al
frate. Il vecchio riceve la benedizione del padre prima che esca dal palazzo, quindi si reca il giorno
dopo al convento (VII) per informare il cappuccino del rapimento di Lucia, che ha appreso
carpendo brandelli di conversazione tra Rodrigo e i suoi bravi. Si salva da una probabile
rappresaglia del padrone, in quanto il fallimento dell'impresa viene attribuito al "matrimonio a
sorpesa".

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