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              ð                  Ù      RELAZIONI PERVERSE: LA PROSPETTIVA DEL
PERPETRATORE

Sandra Filippini

Perverse relationships: The perspective of the perpetrator


International Journal of Psychoanalysis
Volume 86, Number 3 / June 2005 pp 755 - 773

“...oggi è soltanto infinitamente più difficile commettere


delitti, ed ecco perché questi delitti sono tanto sublimi che
quasi non riusciamo ad accorgercene e a comprenderli, benché
vengano commessi ogni giorno nel nostro ambiente, tra i nostri
vicini di casa. Anzi io affermo – e tenterò soltanto di
fornire una prima prova – che ancora oggi moltissime persone
non muoiono ma vengono assassinate”.
Bachman I., Il caso Franza

Introduzione

Che il pensiero psicoanalitico possegga una ricchezza che sta


al di sopra delle ricorrenti contestazioni e delle ancora più
frequenti dichiarazioni di morte, è dimostrato, tra l’altro,
dalla sua capacità di dare origine a nuovi pensieri, a
sensibilità prima inesistenti e non prevedibili, dalla sua
flessibilità nell’incontro con idee diverse. Abbiamo assistito
negli ultimi decenni a graduali cambiamenti - dapprima
impercettibili - nel modo di pensare psicoanalitico che hanno
prodotto, sommandosi, differenze significative, per cui oggi
possiamo guardarci indietro e osservare con stupore il cammino
percorso e la distanza della posizione raggiunta da quella
occupata prima.

E’ noto che l’atto di nascita della psicoanalisi si può fare


coincidere con il riconoscimento da parte di Freud del maggior
valore causale della fantasia rispetto alla realtà, attuale e
storica, nel determinismo della psicopatologia. Oggi,
tuttavia, mi sembra che si possa constatare che la realtà
esterna ha assunto di nuovo una posizione meno marginale pur
se il baricentro dell’osservazione psicoanalitica rimane
poggiato sulla realtà psichica – poiché la realtà esterna,
fattuale, interessa in quanto e per il modo in cui diventa
realtà psichica. Tuttavia essa, la prima, è uscita dalla
clandestinità in cui un’ortodossia anche troppo zelante
l’aveva relegata.

Che cosa voglio dire con questo? Voglio dire che


l’allentamento di vincoli imposti dalle appartenenze di
scuola, insieme con la riflessione sui cambiamenti avvenuti
nella pratica clinica, hanno reso possibile accogliere e
mettere a frutto nuove idee di varia provenienza. Così gli
studi sullo sviluppo infantile da un lato, insieme a quelli
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sulle problematiche del trauma dall’altro, hanno portato (o
riportato) dentro la psicoanalisi temi come quelli dell’abuso
infantile o del maltrattamento che erano finiti nell’ombra. Mi
sembra importante sottolineare come siano stati, spesso,
movimenti sociali e culturali esterni alla psicoanalisi a
imporre la necessità di cambiare l’oggetto dello sguardo.  A
contatto con nuovi problemi la psicoanalisi continua a
mostrare la sua ricchezza e profondità: così è proprio
applicando l’ottica analitica che possiamo metterli a fuoco,
osservarli e descriverli creativamente.

In questo lavoro mi propongo di approfondire lo studio di


alcuni aspetti psicodinamici implicati nelle relazioni di
maltrattamento all’interno della coppia. Farò riferimento, in
modo particolare, alla coppia eterosessuale, pur considerando
che dinamiche analoghe a quelle che cercherò di mettere in
evidenza in questo lavoro si possono verificare anche in
coppie omosessuali maschili e femminili, di cui, però, non ho
esperienza. Inoltre parlerò, in generale, del “perpetratore”
riferendomi all’uomo. So di fare, anche in questo caso, una
forzatura alla realtà, che non è sempre di questo tipo (penso
infatti che esistano – per quanto con una frequenza
significativamente minore - anche situazioni del tutto
opposte, dove il “perpetratore” è la donna, ma anche queste
ultime esulano dalla mia esperienza). In particolare, mi
interrogherò sulle caratteristiche peculiari – se ve ne sono –
della personalità dell’uomo che maltratta la compagna e dei
meccanismi che ne stanno alla base. A questo scopo mi
soffermerò, il più brevemente possibile, sui concetti di
narcisismo e di perversione, perché è proprio all’incrocio tra
questi due concetti che mi pare si possa situare il punto di
origine delle dinamiche a cui mi riferisco. Farò riferimento
ai concetti di “perversione narcisistica” (Racamier 1992) e di
“perversione relazionale” (Anna Maria Pandolfi 1999),
ancoraggi principali a partire dai quali cercherò di
sviluppare le mie ipotesi.

Narcisismo

“Don Juan abjure tous les devoirs qui le lient au reste des
hommes. Dans le grand marché de la vie, c’est un merchand de
mauvaise foie qui prend toujours et ne paye jamais ».
Stendhal, De l’amour.

Poiché considero Don Giovanni come uno dei più riusciti esempi
letterari di narcisista, ho voluto indicare, ponendo in
epigrafe a questo paragrafo la frase di Stendhal, la mia
scelta di campo consistente nel privilegiare, nel mare magnum
del concetto di narcisismo, gli aspetti che hanno a che fare
con l’individuazione di un tipo di personalità e dei suoi
rapporti con gli altri.

Quello di narcisismo costituisce infatti uno dei concetti


psicoanalitici insieme più fecondi e più difficili da
definire. Si può dire anzi che questo, al pari e forse in
maggior misura di altri concetti psicoanalitici, rappresenti
3
un concetto “ibrido” (Slap e Levine 1978) in quanto include,
spesso ponendoli sullo stesso piano, elementi osservativi ed
ipotesi metapsicologiche  . La complessità di questo concetto è
evidente già in quello che può essere considerato il suo atto
di nascita, il saggio Introduzione al narcisismo (1914). In
esso Freud ne dimostra la necessità per spiegare una serie di
fenomeni diversi, quali un tipo di scelta oggettuale, una
caratteristica della scelta d'oggetto omosessuale, uno stadio
dello sviluppo libidico, e infine un meccanismo patogenetico
della schizofrenia (Sandler, Spector Person e Fonagy 1991).

Non mi propongo, nel presente lavoro, di dare conto in modo


esauriente della molteplicità di usi e significati del termine
e concetto di narcisismo - su cui del resto si trovano in
letteratura ottime trattazioni (Akhtar e Thomson 1982,
Morrison 1986, McWilliams 1994, Ronningstam 1998, Akthar
2000) - mi limiterò invece a metterne a fuoco gli aspetti che
possono illuminare il tipo di personalità che porta questo
nome, ponendomi quindi in un’ottica clinico-descrittiva,
“vicina all’esperienza”.

E’ difficile identificare, nella personalità narcisistica, una


netta linea di demarcazione tra normalità e patologia: in una
certa misura infatti il narcisismo rappresenta la malattia
della nostra epoca (Lasch 1979). Mentre esiste un narcisismo
patologico, esiste pure un narcisismo ‘sano’ o ‘normale’. Il
termine ‘narcisismo normale’ indica gli aspetti normali degli
atteggiamenti che le persone hanno verso sé stesse,
l’autostima, la preoccupazione per il proprio Sé fisico e
mentale, il senso di autoconservazione, il senso dei propri
diritti etc...

Criteri piuttosto grezzi sono quelli elencati dal DSM-IV. Il


Manuale fa riferimento soprattutto alla grandiosità
narcisistica, ed elenca, in questa prospettiva, una serie di
tratti di carattere. Tra le tante critiche che si possono
muovere al DSM, la più perspicua mi sembra quella secondo cui
questi criteri permettono di identificare un solo tipo di
narcisista, quello caratterizzato da grandiosità, arroganza e
presunzione, mentre non rendono conto del fatto che esiste
anche un altro tipo, schivo, silenziosamente grandioso,
ipersensibile alla critica e al rifiuto. Gabbard (1990) ha
definito questi due tipi rispettivamente inconsapevole e
ipervigile, mentre Akhtar (1989) ha chiamato overt il tipo di
narcisista inconsapevole e grandioso, e covert o timido
l’ipervigile e introverso. Anche Rosenfeld (1987) ha proposto
di dividere i narcisisti in due tipi, che ha denominato a
pelle spessa e a pelle sottile: Entrambi sono accomunati da
una grave difficoltà nell’area della identità personale e in
particolare nella regolazione dell’autostima; ma mentre nei
primi (il tipo denominato a pelle spessa) il meccanismo
adottato per fronteggiare le ferite narcisistiche consiste
soprattutto nella formazione reattiva, per cui essi diventano
arroganti e aggressivi, nei secondi (tipo a pelle sottile ) è
caratteristico invece un senso di vulnerabilità e di
fragilità, di costante preoccupazione per le possibili offese
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narcisistiche. 

Il tipo inconsapevole o overt o a pelle spessa è un individuo


arrogante, invadente, esibizionista, spesso superficiale.
Desidera essere considerato speciale, ha bisogno di
ammirazione, sembra pensare che tutto gli è dovuto, tende a
invidiare e denigrare gli altri. Prova sentimenti di noia e di
vuoto, mentre esibisce comportamenti da Don Giovanni: tende a
sfruttare il partner, per poi abbandonarlo se pensa che non
gli serva più o se è attratto da una nuova preda. Non parla,
ma pontifica. E’ incurante degli altri e dei loro sentimenti:
se ne serve, piuttosto, come di una platea, aspettandosi che
essi ammirino e rispecchino il suo sé grandioso. Manipola a
proprio vantaggio, seduce ed intimidisce. Come difese
prevalenti usa l'onnipotenza e l'idealizzazione di sé insieme
alla svalutazione dell'oggetto. La sua grandiosità è ego-
sintonica, il suo senso di superiorità è ovvio. Questo tipo di
narcisista può avere delle somiglianze con la personalità
psicopatica.

Il tipo covert o ipervigile o a pelle sottile invece è


estremamente sensibile alla reazione e al giudizio degli altri
che idealizza considerandoli perfetti ed è pronto a cogliere
in loro qualunque minimo accenno alla critica, da cui viene
drammaticamente ferito; tende quindi a sentirsi continuamente
offeso. E’ timido e inibito e di conseguenza sfugge i rapporti
sociali, soffre di cronici sentimenti di inadeguatezza,
impotenza e disperazione. E’ afflitto da un profondo senso di
vergogna che rappresenta la parte emergente del desiderio di
apparire splendido, grandioso. Questi due tipi rappresentano i
poli estremi di una gamma in cui i caratteri della grandiosità
esibita e della ipersensibilità egocentrica si fondono e si
mescolano in proporzioni variabili: “in ogni narcisista fatuo
e grandioso si nasconde un bambino impacciato e vergognoso e
in ogni narcisista depresso e autocritico è latente
un’immagine grandiosa di ciò che la persona dovrebbe o
potrebbe essere” (Mc Williams 1994, pag.193).

Una caratteristica comune a tutta la popolazione narcisistica


è la difficoltà nelle relazioni oggettuali, l’incapacità di
amare: come dice Gabbard (1994), l’individuo con un disturbo
narcisistico di personalità si accosta agli altri trattandoli
come oggetti da usare e da abbandonare secondo i bisogni
narcisistici, incurante dei loro sentimenti. Gli altri sono
vissuti come persone che non hanno un’esistenza o dei bisogni
propri. Una manifestazione della difficoltà nello stare in
relazione, della mancanza di empatia, è l’incapacità di
provare sia rimorso che gratitudine, l’incapacità di
ringraziare e di chiedere scusa (McWilliams e Lependorf 1990).
Sia il ringraziare che il chiedere scusa, infatti, implicano
la capacità di preoccuparsi per l’altro e di riconoscere un
proprio errore – quando ci si scusa – o un proprio stato di
bisogno (ti ringrazio perché mi dai qualcosa che a me manca) –
quando si ringrazia. Il narcisista non può riconoscere il
proprio bisogno – sarebbe troppo doloroso, o addirittura
catastrofico - come non può riconoscere un proprio errore  .

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Un’altra peculiarità della patologia narcisistica è
rappresentata dall’assenza del senso di colpa, che, si può
dire, viene sostituito dalla vergogna;
mentre il senso di colpa implica la convinzione di avere
compiuto qualcosa di sbagliato o di dannoso, la vergogna
consiste nella sensazione di essere profondamente difettoso e
quindi nel timore di essere considerato in termini negativi –
debole, brutto, impresentabile. La vergogna è un sentimento
più autoreferenziale: ci si vergogna per la propria
inadeguatezza (sebbene ci si vergogni davanti agli altri, gli
altri rappresentano la cassa di risonanza di una vicenda
interna al soggetto).

Nella letteratura psicoanalitica sono comparse molte


divergenti ipotesi sul narcisismo a partire dal saggio
freudiano. La letteratura è molto estesa e non posso
ovviamente citare tutti gli autori e le loro rispettive
posizioni. Sono dunque costretta a restringere il campo. Mi
sembra, comunque, da sottolineare il punto di vista di coloro
che del narcisismo hanno messo in rilievo gli aspetti della
considerazione di sé e della regolazione dell’autostima. Tra
questi è da citare soprattutto Storolow (1975) che ha proposto
una ipotesi di tipo funzionale, chiedendosi non che cosa sia
il narcisismo, ma piuttosto a che cosa serva. Lo ha quindi
paragonato ad un termostato che regola la temperatura di una
stanza: quando la temperatura scende il termostato fa partire
il riscaldamento in modo da riportare la stanza alla
temperatura desiderata. Quando l’autostima è minacciata,
diminuita o distrutta, allora la funzione narcisistica entra
in gioco per ripararla.

Per descrivere lo stato di “non rapporto” del narcisista


rispetto all’ambiente, Modell (1975) ha proposto la metafora
del “bozzolo”. L’autore descrive i narcisisti come persone che
hanno adottato stabilmente meccanismi di difesa derivanti
dall’esperienza di rapporto con genitori che non sono stati
protettivi ma hanno invece usato il figlio come un’estensione
narcisistica, come un oggetto, cioè, da ammirare e da cui
pretendere prestazioni. Un’illusione di autosufficenza si vede
anche nel paziente borderline: in questo caso però il fatto
che non sia stata raggiunta una costanza dell’oggetto interno
determina una “fame oggettuale”, mentre nel paziente
narcisistico è presente piuttosto il diniego del bisogno
dell’oggetto. Modell ipotizza che l’ambiente in cui è avvenuto
lo sviluppo sia stato meno traumatico nel caso del paziente
narcisistico rispetto al borderline.

Mi sembra che sotto le diverse linee interpretative della


patologia narcisistica faccia capolino la questione del peso
relativo da attribuire ai fattori innati rispetto a quelli
ambientali. In quest’ottica, tra le altre, potrebbe venire
intesa la ben nota contrapposizione tra le opinioni di Kohut
(1969, 1971) e di Kernberg (1974, 1975). Mentre il primo
considera il narcisismo come il risultato di un arresto
evolutivo, di qualcosa che è andato storto nello sviluppo, il
secondo ne ha invece una visione di tipo strutturale, e,
prendendo in considerazione soprattutto i narcisisti
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grandiosi, ipotizza che abbiano una forte pulsione aggressiva
congenita: pensa cioè che il narcisista adotti difese
primitive che differiscono dalla normalità più in qualità che
in quantità. Quest’autore sottolinea infatti l’invidia e
l’aggressività primarie, mentre Kohut concettualizza
l’aggressività come secondaria ad una ferita narcisistica. E’
probabile, ed è stato più volte ricordato, che le ipotesi di
Kohut e Kernberg siano così divergenti perché i due autori
prendono in considerazione tipi diversi di pazienti
narcisisti; in particolare Kohut sembra avere in mente un tipo
di narcisista più depresso, impacciato e vergognoso, il tipo
covert, mentre il narcisista di Kernberg sembra essere più
apertamente grandioso ed arrogante, overt.

Kernberg (1998), inoltre, differenzia il disturbo narcisistico


dal disturbo antisociale di personalità, pur affermando che
spesso c’è sovrapposizione tra i due. Mette in evidenza come,
nel caso del disturbo antisociale, vi sia un più grave difetto
del SuperIo, per cui rimorso e di senso di colpa sono del
tutto assenti. Egli descrive inoltre la “sindrome del
narcisismo maligno”: si tratta di persone caratterizzate da
disturbo narcisistico, comportamento antisociale, sadismo
egosintonico, aggressività, orientamento paranoide. Essi però,
a differenza delle personalità antisociali, hanno la
possibilità di provare, in qualche misura, rimorso e di
sentirsi in colpa.

Mi sembra importante mettere in evidenza una sorta di


continuità, per quanto riguarda il modo di stare (o di non
stare) in relazione con l’altro, tra disturbo narcisistico,
disturbo borderline, narcisismo maligno, e disturbo
antisociale. Ciascuna di queste personalità presenta una
modalità di relazione poco empatica e rispettosa dei diritti
dell’alterità, e ciò in modo progressivamente crescente, fino
ad arrivare al caso gravissimo di disturbo antisociale
rappresentato dal serial killer.

Perversione

“Non c’è essere più infelice, sotto il sole, di un feticista


che brama la scarpa di una donna e si ritrova ad avere a che
fare con la donna intera” Karl Kraus, Detti e contraddetti

Nell’accingermi ad affrontare il problema della perversione


relazionale, mi pare necessario, come prima cosa, separare da
esse il gruppo delle perversioni stricto sensu, quello cioè
delle perversioni sessuali. L’uso di questo termine è andato
facendosi più raro, soprattutto in psichiatria, per le sue
connotazioni moralistiche, di giudizio di valore, e si è
proposto di sostituirlo con “neosessualità”, un neologismo
coniato da McDougall, (Panel 1998), oppure con “disfunzioni
sessuali”, “parafilie” e “disturbi dell’identità di genere”
(DSM IV).

Freud nei Tre saggi sulla teoria sessuale del 1905 istituì una
distinzione tra aberrazioni riguardanti l’oggetto sessuale,
7
(omosessualità, pedofilia, zoofilia), e aberrazioni che si
riferiscono al fine (esibizionismo, voyeurismo, sadismo e
masochismo). Descrisse inoltre le diverse pulsioni parziali,
corrispondenti a differenti zone erogene, che a conclusione
del processo di sviluppo della psicosessualità si sottomettono
al primato genitale. Il fallimento di questo processo
determina un conflitto che può produrre due esiti diversi: la
nevrosi o, in alternativa, la perversione. Da qui deriva
l’aforisma secondo il quale la nevrosi è il negativo della
perversione  .

Con lo svilupparsi di nuove scuole psicoanalitiche, le


perversioni hanno ricevuto attenzione e considerazione
diversa. Melanie Klein non ha affrontato questo argomento;
tuttavia, con la sua teoria delle fasi schizoparanoide e
depressiva e con la descrizione del meccanismo
dell’identificazione proiettiva, ha posto le basi per un
allargamento della sua comprensione. Si può affermare che in
generale i kleiniani considerano le perversioni come
manifestazioni dell’istinto di morte (Hinshelwood 1989).

Secondo Meltzer (1973) la sessualità perversa si sviluppa su


una struttura narcisistica. Per il perverso l’oggetto è come
se non esistesse per sé perché esso è affettivamente
indifferente per il soggetto che lo usa per i propri scopi e
lo svaluta. Meltzer aggiunge: “l’impulso perverso si lega a
quello criminale attraverso il desiderio di svalutare e
disprezzare gli oggetti buoni”. In tal modo l’autore collega
perversione e psicopatia, per cui si può affermare che la
psicopatia prende origine dalla perversione (Sanchez-Medina
2002). Anche Rosenfeld (1971) ha sottolineato l’importanza del
narcisismo – in particolare del narcisismo distruttivo - nella
vita sessuale perversa.

Negli stessi anni, ma in area non kleiniana, Masud Khan (1974)


ha formulato il concetto di trauma cumulativo, ovvero l’idea
che un singolo trauma, per quanto importante, non è
sufficiente a produrre una perversione. Egli dà valore
piuttosto ad eventi traumatici ripetuti che hanno luogo nelle
relazioni tra il bambino e chi si prende cura di lui.

Del tema della perversione si è occupata, in numerosi articoli


e libri, Janine Chasseguet-Smirgel (1978, 1984, 1991). In
estrema sintesi, l’autrice sostiene che in tutte le
perversioni, indipendentemente dal loro contenuto specifico,
c’è uno sfondo sadico. Lo scopo del perverso è la distruzione
della realtà intesa come differenza tra i sessi e tra le
generazioni, come necessario riconoscimento delle capacità
generative dei genitori e dell’impotenza del bambino. La
distruzione della realtà ha appunto lo scopo di annullare
queste differenze, attraverso un processo che tende a rendere
tutto uguale: ano e vagina, feci e latte, defecazione e
nascita, pene e scibale fecali. L’autrice cita spesso l’opera
di de Sade per mostrare come, nell’universo sadico,
l’apparente molteplicità (che diventa invece monotona
ripetizione) dei vari atti perversi rimanda in realtà ad un
tentativo di sminuzzare, distruggere e abolire le differenze,
8
come avviene nel processo digestivo in cui le feci diventano
omogenee e non si può di certo più distinguere il lesso
dall’arrosto! C’è insomma una fecalizzazione che annulla le
differenze – odiate dal perverso. Chasseguet-Smirgel fa
propria l’affermazione di Stoller (1975) secondo il quale la
perversione è una forma erotizzata di odio.

Un Panel del Congresso dell’International Psychoanalytic


Association di Barcellona del 1997 è stato dedicato al tema
delle perversioni. In esso Goldberg ha spiegato la perversione
come un fenomeno consistente in tre elementi: il primo è
rappresentato dalla sessualizzazione, intesa come un
meccanismo difensivo presente in soggetti con un difetto
strutturale del Sé; il secondo è una scissione (“a vertical
split” pag.1217) tra una parte “normale” della personalità ed
altre vissute come più egodistoniche; il terzo ha a che fare
con dinamiche individuali, diverse quindi caso per caso. Non
ci sono insomma, sostiene Goldberg, dinamiche specifiche
sottostanti ad ogni particolare tipo di patologia sessuale.

Franco De Masi si occupato di perversioni nel suo volume


Sadomasochistic perversion. The entity and the theories
(1999). Secondo l’autore, lo scopo fondamentale del perverso
consiste nel dominio sull’oggetto e nel trionfo, di qualità
maniacale, che ne deriva. De Masi ritiene che, per comprendere
la patogenesi della perversione sadomasochistica, sia più
utile rivolgere lo sguardo alle vicissitudini
dell’aggressività che a quelle della sessualità.

Il libro di De Masi - allo stesso modo degli scritti di


Chasseguet-Smirgel, di Rosenfeld, di Meltzer, di Masud Khan,
di Cooper - ha il merito di lasciare intravedere come il
meccanismo perverso, che trova nella sessualità il luogo
ideale in cui esercitarsi, possa senza troppe forzature essere
considerato origine e causa di tratti di carattere, stili di
comportamento, marchi relazionali. E’ a questi aspetti che
intendo rivolgermi adesso.

Dalla perversione sessuale alla perversione relazionale

Adopererò, d’ora in avanti, il termine perversione nel suo


significato letterale di atti o comportamenti o stili di
relazione che determinano una deviazione, un mutamento in
senso deteriore, che guastano, corrompono. Anche Meltzer
(1973) si riferiva a questo alone semantico del termine quando
affermava: “non c’è attività umana che non possa essere
pervertita, dato che l’essenza dell’impulso perverso è di
trasformare il buono in cattivo, pur conservando l’apparenza
del buono” (pag.208).

Nella letteratura psicoanalitica viene spesso usato anche il


termine di perversità per riferirsi ad alcuni tipi di
comportamento, di personalità o di legame. Il termine ha
un’implicazione non sessuale e si avvicina al concetto di
distorsione, rovesciamento, pervertimento di ciò che è reale,
vero o giusto. E’ sinonimo insomma di perversione morale
9
(Cohen 1992, Hirigoyen 1998, De Masi 1999). In questo stesso
senso e per evitare ridondanze, userò il solo termine di
perversione.

Ma come si collega il termine e concetto di perversione a


quello di narcisismo? Da un lato il collegamento è presente in
letteratura. Esso è proposto da Racamier che in modo molto
chiaro fa riferimento alla patologia perversa non sessuale -
"non sessuale, ma morale, non erotica, ma narcisistica". Danno
per scontato tale collegamento, tra gli altri, Anna Maria
Pandolfi (1999), Marie-France Hirigoyen (1998), Gear e Liendo
(1981), Kernberg 1991, Goldberg (1995), Cooper (1989), Celenza
(2000).

Esiste inoltre una necessità logica di presupporre tale


collegamento. Una caratteristica essenziale dell’assetto
narcisistico di personalità consiste infatti nell’indifferenza
verso la relazione oggettuale . Il narcisista non riconosce
l’esistenza dell’altro. Maldonado (1987) sostiene anzi – in
modo apparentemente paradossale - che il narcisismo “compiuto”
richiede la presenza di una relazione d’oggetto, con un
oggetto però che non è riconosciuto come tale, ma che serve al
soggetto per mantenere l’illusione di potere fare a meno di
qualunque oggetto. Così tra i due membri della relazione
narcisistica scorre una comunicazione “vuota” un discorso che
non trasmette niente. Detto in altri termini, il narcisista ha
relazioni con oggetti-sé, in quanto non instaura una vera
relazione con l’altro, ma lo usa come specchio in cui
verificare la propria identità e come sostegno all’autostima.
Vi è insomma un’indifferenza verso l’alterità e un mancato
riconoscimento dei suoi diritti. L’altro è lì per essere usato
dal narcisista per i suoi bisogni. D’altro lato, l’essenza del
modo perverso di relazione – o perversione relazionale -
consiste proprio nel trasformare la relazione d’oggetto in
relazione di potere, nel disconoscere i diritti dell’altro,
nell’usarlo a proprio piacere. Nel corrompere la relazione per
ottenerne il controllo.

Le forme della perversione relazionale

“Lui non poteva ammettere che una persona si dilatasse oltre i


confini che le aveva fissato (…) Sì, lui è malvagio, anche se
oggi non si deve dire malvagio, si può solo dire malato, ma
che genere di malattia è quella che fa soffrire gli altri e il
malato no?” Bachmann I. Il caso Franza

In questi ultimi anni ho avuto la possibilità di conoscere


donne maltrattate nell’ambiente familiare; qualche volta,
anche se più raramente, ho anche avuto l’opportunità di curare
uomini che maltrattano le loro compagne. Ho sentito il bisogno
di disporre, per comprendere questi ultimi, di descrizioni più
dettagliate e di un inquadramento teorico più convincente.
Quella del maltrattamento è una tematica enorme che la
psicoanalisi non ha ancora affrontato in modo specifico,
tranne poche eccezioni (per esempio Fonagy 1998). Il
maltrattamento, di certo, include una certa varietà di modi e
10
di forme: non così ampia però, come si potrebbe immaginare: la
“banalità del male” è anche limitatezza, mancanza di fantasia,
ripetitività.

Mi pare che si debba distinguere, come prima cosa, il


maltrattamento psicologico da quello fisico, non soltanto per
l’evidente diversità nella fenomenica di tali atti, ma
soprattutto perché essi identificano profili e tratti diversi
per quanto attiene alla personalità di colui che li commette.
Nel primo caso infatti, quello del maltrattamento psicologico,
sono in gioco soprattutto tentativi di controllo dell’oggetto
compiuti attraverso la denigrazione, la svalutazione, il
rimprovero e il sarcasmo, mentre nel caso del maltrattamento
fisico, dell’usare violenza sul corpo di un’altra persona, si
debbono prendere in considerazione anche altri meccanismi. Si
tratta, in questo secondo caso, di situazioni più gravi, non
soltanto per le conseguenze sulla vittima, ma anche perché
rimandano ad una differente patologia del perpetratore. Si
potrebbe pensare, ad esempio, che in queste situazioni vi sia
un insufficiente funzionamento dei meccanismi di controllo
degli impulsi (caratteristico delle patologie borderline).
Sappiamo però, e lo stesso Fonagy (1998) ce lo ricorda, che
spesso gli episodi di violenza fisica sono di lunga durata:
dalle due alle ventiquattro ore; questa constatazione toglie
forza alla spiegazione fornita dal mancato o impossibile
controllo degli impulsi, o meglio, le toglie il carattere
della generalità, anche se non si può escludere che a volte
sia proprio questo il meccanismo in gioco. Di certo si deve
considerare il fatto che, in modo particolare in questi casi,
non c’è nessuna capacità di provare compassione o rimorso, di
mettersi nei panni dell’altro, di comprenderne empaticamente
la sofferenza.

La mia riflessione si rivolge, comunque, in modo particolare,


a quei tipi di perversioni relazionali che sorgono sul terreno
della struttura narcisistica della personalità, e che, anche
se non giungono ad espressioni tanto gravi, alla violenza
fisica, minano tuttavia la vittima attraverso l’uso
sistematico della violenza psicologica. In un libro intitolato
Le harcèlement moral: la violence perverse au quotidien.
(1998), Marie-France Hirigoyen, una psichiatra che si occupa
delle vittime della violenza perversa nella famiglia e
nell’ambiente di lavoro, traccia un sintetico excursus della
fenomenica della perversione. Ella afferma come prima cosa la
stabilità del tratto di carattere in questione: si potrebbe
dire anzi che la perversione è stabile proprio perché
rappresenta un tratto di carattere – tratto decisivo nella
personalità di cui ci stiamo occupando. L’autrice dichiara
inoltre che il perverso non si mette mai in discussione in
quanto non può vivere il conflitto nella propria interiorità;
deve espellerlo, collocarlo all’esterno, in qualcun altro. Il
perverso fa soffrire gli altri “distruggendoli”, e suscita
intorno a sé un’atmosfera di disagio e di paura.

Cohen (1992) ha parlato di perversione e specialmente di


perversità, per riferirsi al maltrattamento (mis-use) di una
persona da parte di un’altra. L’Autore descrive le
11
perversioni come forme di dipendenza patologica, come
organizzazioni difensive stabili e molto resistenti al
cambiamento: le persone che maltrattano gli altri allo scopo
inconscio di esteriorizzare i propri conflitti tendono a
diventare dipendenti dalle loro vittime. Lo sfruttamento di
un’altra persona per mettere il conflitto fuori di sé può
essere considerato perverso, secondo l’autore,
indipendentemente dal fatto che la relazione sia vissuta sul
piano sessuale o meno. Cohen dice che in queste relazioni
l’altro viene “deumanizzato” e degradato al livello di oggetto
parziale, ricettacolo dell’identificazione proiettiva del
soggetto, della sua manipolazione onnipotente e del suo
sfruttamento.Lo scopo di chi maltratta un altro è ottenerne il
controllo negandone separatezza e autonomia.

Racamier (1992) sostiene che il principale obiettivo


dell’azione perversa è quello di calpestare la verità e di
manipolare cose e persone ai propri fini, primo fra tutti
l’evitamento di ogni conflitto interiore. Usando l’altro il
perverso si risparmia del lavoro psichico, o meglio se ne
difende, in quanto si difende dalla sofferenza che il lavoro
psichico comporta, e fa pagare il conto ad altri.

Mentre nella relazione con il narcisista l’altro, l’oggetto,


può non accorgersi dell'uso che di lui viene fatto, anzi
talora può provare piacere, almeno inizialmente, nel
partecipare al senso di eccitazione grandiosa del partner,
quando la relazione diventa narcisistico-perversa si verifica
un vero e proprio maltrattamento, per cui l’oggetto assume in
modo più chiaro lo statuto di vittima. Il perverso infatti
non può agire da solo, ha bisogno di un altro, di qualcuno
cioè che entri in una specifica relazione con lui. Un altro da
usare ai propri fini, da sfruttare, da “distruggere”. In
questo senso la perversione è davvero una patologia
relazionale: non la si vede che nel rapporto con un altro, una
vera e propria preda che il perverso manipola e sottomette.

“La perversione narcisistica è caratterizzata dal bisogno e


dal piacere di far valere sé stessi a spese di altri. Si
tratta di un piacere specifico. Certo non è erogeno, anche se
qualche aspetto di perversione sessuale vi è spesso, se non
sempre, associato. Tale piacere è ottenuto con manovre e
comportamenti pragmaticamente organizzati a detrimento di
persone reali. Quanto al bisogno che sottende questa
perversione, le sue sorgenti inconsce, certamente complesse e
parzialmente pulsionali (parzialmente è qui una parola che
conviene doppiamente), sono fondamentalmente contro-depressive
e anti-conflittuali” (Racamier, 1992, 304).

Anche A.M.Pandolfi (1999) nota che le perversioni


narcisistiche o relazionali non sono state finora studiate
approfonditamente nella clinica psicoanalitica, di cui
costituiscono quindi un settore nuovo. Ella ne sottolinea
l’elemento relazionale, duale o addirittura gruppale. E' raro
che lo psicoanalista osservi direttamente questa patologia
perché essa – benché connoti l'individuo - tuttavia si
realizza nel gruppo, nella coppia, nella famiglia. E' stato
12
con l'apertura della psicoanalisi alla campo delle coppie,
delle famiglie e delle istituzioni che le dinamiche
interpersonali perverse hanno cominciato a venire osservate e
studiate.

Un altro motivo per cui è raro che uomini che hanno


comportamenti di maltrattamento vengono visti negli studi
psicoanalitici è che tali comportamenti sono in genere ego-
sintonici, oltre che tipicamente clandestini e mimetizzati
dietro facciate di normalità: è ben difficile che un perverso
vada a consultare qualcuno per farsi aiutare, se non quando si
verifichino degli scompensi gravi - e come tali avvertiti. Ciò
avviene, ad esempio, nel momento in cui il legame tra vittima
e perpetratore va in crisi e il perverso sente di poter
perdere davvero la sua vittima. Un terzo motivo che ha
contribuito a tenere l'area delle perversioni narcisistico-
relazionali fuori dall'osservazione della psicoanalisi ha a
che fare con il tipo di sentimenti che esse suscitano:
“vissuti di antipatia, fastidio, noia, talora diffidenza e/o
disinteresse per il sentore di inautenticità, e spesso se noi
siamo disponibili ad intenderli, una certa confusione ed un
vago senso di allarme. (...) Comunque ci pongono in
situazioni transferali e controtransferali che sollecitano le
nostre stesse inclinazioni perverse più o meno clandestine e
inconsapevoli delle quali nessun essere umano è esente, ma
dalle quali fortemente ci difendiamo" (Pandolfi 1999, 63)

Nel film Angoscia, Charles Boyer interpreta il ruolo di un


marito che cerca di fare impazzire la moglie facendo in modo
che la donna (Ingrid Bergman) non si fidi più delle proprie
percezioni. A questo scopo, tra l’altro, altera la luce delle
lampade a gas della casa. La donna vive con comprensibile
angoscia la sensazione di stare impazzendo. Il finale del film
rivela allo spettatore che il marito è uno psicopatico
criminale. Dal titolo inglese del film, Gaslight, è derivata
un’espressione, gaslighting, che si può trovare nella
letteratura anglosassone per indicare comportamenti messi in
atto allo scopo, più o meno cosciente, di far sì che una
persona dubiti di se stessa e dei suoi giudizi di realtà, che
cominci a sentirsi confusa o a temere di stare impazzendo.
Gaslighter è la persona che si pone come agente di questo
particolare tipo di maltrattamento. Di gaslighting hanno
parlato Calef e Weinshel (1981) considerandolo una sottospecie
della relazione sadomasochistica. Essi affermano che il
perpetratore “scarica” sulla vittima i propri conflitti per
liberarsi di essi e dell’ansia che ne deriva. Riporto molto
brevemente, a questo proposito, un esempio tratto dalla mia
esperienza di lavoro in questo campo.

Maria e Giacomo sono sposati da alcuni anni ed hanno un


bambino. Fino dall’inizio della gravidanza Maria ha cominciato
a notare un cambiamento nell’atteggiamento del marito. Egli
era diventato più critico, sempre pronto al rimprovero,
svalutante nei confronti dell’aspetto che il corpo della
moglie veniva assumendo. Se la donna si lamentava, se si
risentiva o chiedeva di parlare di questi comportamenti,
veniva tacitata subito: “Non ti si può dir nulla, non sai
13
stare allo scherzo...” In particolare, durante una gita in
motoscafo, a gravidanza avanzata, Giacomo, che era alla guida,
continuava ad accelerare in modo tale da fare battere la barca
sulle onde, suscitando ansia e paura nella moglie, a cui
continuava a rispondere che era “fifona”, incapace di
seguirlo, di stare alla sua altezza... In sostanza Giacomo,
pur creando una situazione di oggettivo pericolo di cui la
moglie si preoccupava, metteva in dubbio le percezioni di lei
accusandola di esagerare, di essere, lei, in qualche modo,
“sbagliata”.

Un altro tipo di maltrattamento, di cui oggi si parla molto, e


che viene messo in collegamento con la personalità
narcisistico-perversa che sto cercando di delineare, è il
mobbing, il maltrattamento in ambiente di lavoro: un argomento
che meriterebbe una trattazione a sé, ma che non costituisce
l’oggetto del presente articolo.

Propongo di considerare i comportamenti di maltrattamento come


riferibili ad una psicopatologia che si estende lungo un
continuum che dal disturbo narcisistico, attraverso il
disturbo borderline, giunge fino alle forme più gravi di
disturbo antisociale di personalità. Questa linea continua
viene attraversata in un punto da un’altra linea, quella della
perversione: intorno a questo incrocio di linee si forma un
alone con varia densità e dispersione, che rappresenta la
gamma dei comportamenti che si possono denominare come
perversione narcisistica, oppure come perversione relazionale,
termine che preferisco. Il primo termine, perversione
narcisistica, denota il meccanismo intrapsichico di questa
perversione, mentre il secondo ne mette in risalto la
fenomenica intersoggettiva, relazionale.

Con il costrutto di perversione relazionale (o narcisistica)


intendo dare un inquadramento ed una spiegazione alle forme
del maltrattamento che vengono messe in atto soprattutto sul
piano psicologico, perché penso che nel caso del
maltrattamento fisico o dell’abuso sessuale siano in gioco
meccanismi diversi, che ci avvicinano di più all’area
borderline , al narcisismo maligno e al disturbo antisociale -
con l’innesto del tratto perverso.

Anche la letteratura ci offre esempi della continuità di


caratteri che va dal narcisista al delinquente seriale
dell’erotismo, una continuità ai cui poli estremi troviamo da
un lato Don Giovanni e dall’altro Barbablù nelle varie
versioni delle storie ispirate dai due personaggi. E se, come
dice Stendhal, “Don Giovanni riduce l’amore a un affare di
ordinaria amministrazione (...), uccide l’amore”, Barbablù è
un personaggio ancora più inquietante: per lui ciò che conta
davvero è l’annientamento della donna. Tuttavia entrambi i
personaggi hanno un tratto in comune: l’indifferenza per
l’altro. Don Giovanni, Barbablù e i loro discendenti non
accettano l’altra come essere integro. I loro registri
interni sono regolati in modo da ammettere solo minime parti
dell’altro.

14
Un esempio tratto dalla clinica

B. è un uomo sulla quarantina quando inizia l’analisi. Soffre


a causa di una sintomatologia fobica, insorta da diversi mesi,
che lo disturba soprattutto perché interferisce con la sua
attività di imprenditore. Si tratta infatti di una angoscia
claustrofobica che gli impedisce di usare ascensori, autobus,
aerei e treni. B. ha una compagna con cui convive da molti
anni, e con cui dice di avere un rapporto soddisfacente. E’
una persona visibilmente intelligente e pronta, parla con
molta proprietà, non sembra avere difficoltà a parlare di sé.

La sua famiglia di origine è composta da un padre molto


autoritario, prepotente, violento e da una madre debole e
distante, ansiosa, sottomessa al marito e timorosa di lui. Non
è mai riuscita a difendere i figli dalla violenza del marito e
ha attuato nei confronti dei primi un’inversione dei ruoli,
aspettandosi da loro un aiuto nel ruolo genitoriale e
considerandoli più come proprie estensioni narcisistiche che
come che come bambini da amare. La famiglia, in passato
cospicua e nota, si era impoverita in seguito a errori
finanziari commessi dal nonno del paziente. Il fatto di essere
diventati quasi poveri era vissuto come una vergogna dal padre
di B.. Il compito di riportare la famiglia agli antichi
splendori era stato affidato a quest’ultimo, ed egli lo aveva
svolto con successo facendo ricorso alle sue indubbie
capacità.

Nel primo colloquio B. aveva prodotto in me una curiosa


impressione di cui per molto tempo non ero riuscita a
comprendere il motivo. Era un’impressione di duplicità: da un
lato infatti avevo avuto la percezione di avere di fronte una
persona molto sofferente per l’angoscia fobica, spaventata e
bisognosa, dall’altro egli mi aveva fatto provare, senza che
ne capissi la ragione, una sensazione del tutto diversa: di
trovarmi di fronte ad un uomo forte e seduttivo, forse
addirittura un po’ aggressivo e sfrontato. Questa sensazione,
per come erano andate le cose in quel colloquio, era
difficile da spiegare: B. non aveva detto niente che potesse
essere qualificato come sfrontato, arrogante o aggressivo, si
trattava soltanto di piccoli segnali non verbali: di un modo
di guardare, di catturare il mio sguardo, di sorridere come
d’intesa, di cercare un assenso nei miei occhi, di tentare
come di imporre una scontata superiorità. Si trattava, allora,
soltanto di una mia sensazione. Che però mi mise in guardia:
dissi a me stessa di aspettare tenendo occhi e orecchi aperti.

Iniziammo l’analisi (a quattro sedute la settimana, con l’uso


del lettino). La sintomatologia fobica cominciò a migliorare e
nel giro di non molto tempo scomparve: pareva avesse trovato
nella situazione analitica un argine e un contenimento. Il
paziente ricominciò a prendere aerei e treni, e ad andare in
ascensore senza provare il senso terrorizzante di stare per
soffocare e di non poter scappare. La sua impresa si
consolidava e i risultati economici diventavano sempre più
soddisfacenti. Il rapporto con la compagna andava avanti
15
apparentemente senza scosse.

Procedendo però nel lavoro analitico mi rendevo sempre più


conto che dietro alla patologia fobica si veniva profilando
una struttura di personalità narcisistica. Dietro la facciata
corretta ed educata avvertivo il fatto che B. sentiva di
essere “speciale” e pretendeva, con una sorta di cortese ma
tuttavia inflessibile determinazione, di avere diritto ad uno
speciale trattamento. Per esempio, dopo che ebbe ricominciato
a viaggiare, gli capitava di saltare diverse sedute per
impegni di lavoro. Non mise mai in questione il fatto di dover
pagare per le sedute annullate all’ultimo momento, ma se io
portavo il discorso su queste assenze lo lasciava cadere,
facendomi sentire che stavo dicendo qualcosa che a lui
sembrava futile. Desiderava che io mi limitassi ad ammirare le
sue capacità, a svolgere una funzione di rispecchiamento
rispetto ai suoi numerosi progressi.

In seguito intuii anche, attraverso accenni per la verità non


troppo chiari, che B. spendeva energie, tempo e denaro per il
suo dongiovannismo. Me ne parlava poco e soprattutto faceva in
modo che io non mi avvicinassi all’argomento. Qualche volta
riuscivo ad acchiappare una di queste comunicazioni fatte
come di sfuggita. Per esempio in una circostanza mi disse che
una certa signora, nota e stimata, gli aveva fatto capire che
le sue eventuali avances non sarebbero state male accolte.
Lasciò il discorso in sospeso, e quando io, con il proposito
di avviare un’interpretazione, pur in modo prudente, dissi
che, di certo, c’erano tante donne che si interessavano a
lui...e del resto anche la sua analista era una donna...la sua
risposta fu garbata ma decisa: quello che dicevo non c’entrava
per niente. Io per lui, a dire il vero, non ero una donna, ma
soltanto uno psicoanalista!

Le cose andarono avanti così per parecchio di tempo, finché


irruppe sulla scena Z, una giovane donna di cui B. cominciò a
sentirsi – con suo stupore – sempre più preso (mentre
precedentemente verso tutte le donne che aveva avuto aveva
tenuto molto ben distinto il piacere sessuale dal
coinvolgimento personale che era sempre riuscito ad evitare).
Provava per Z. una forte attrazione sessuale, ma era nello
stesso tempo molto spaventato di poter perdere il controllo
della relazione e della sua stessa mente. Temeva di perdere la
testa e, insieme, tutta la sua vita, la capacità di fare
affari, il rapporto con la compagna, la posizione sociale.
Tuttavia non voleva rinunciare a questa relazione per le
sensazioni forti che essa gli permetteva di vivere.

Gradualmente, però, cominciai a rendermi conto che B.


maltrattava la giovane amante. Per esempio in un’occasione mi
disse che l’aveva chiamata “puttana” senza motivo e che lei si
era messa a piangere chiedendogli perché la trattasse così. Mi
associai, con una breve battuta (“già, perché?”) alla
richiesta di Z. ed egli, senza esitazione, mi rispose che le
donne, si sa, sono traditrici, inaffidabili, “tutte puttane”.
Aggiunse poi che se lui la maltrattava, era perché Z. se lo
meritava, anche se non era affatto chiaro che cosa di tanto
16
grave avesse commesso. Dopo episodi di questo genere B. si
preoccupava, temeva di perdere il rapporto, ma mi sembrava che
non si preoccupasse tanto di avere ferito Z. quanto di avere
commesso, lui, un errore per il quale avrebbe potuto subire
conseguenze spiacevoli e non volute. Insomma, poneva comunque
il baricentro del suo interesse in se stesso e sembrava non
riuscire davvero a mettersi nei panni della donna e a provare
dispiacere per averla ferita.

Nello stesso tempo, però, continuava a parlarmene, a


differenza dei primi anni di analisi, quando occultava tutta
quest’area della sua vita. Me ne parlava perché voleva
ricevere da me un aiuto per riuscire a conservare la relazione
sentimentale. Invertendo la nota frase di Bion, direi che io
ero “il suo miglior collega”. Piano piano cominciò a rendersi
conto che non lo disprezzavo, come in fondo lui temeva. Quanto
a me, mi aiutavano a mantenere un atteggiamento di “ascolto
rispettoso” (Nissim Momigliano 2001) e partecipe, oltre alla
possibilità di percepire il bambino bisognoso dietro il
narcisista perverso, il desiderio di riuscire a comprendere il
suo modo di funzionare.

Approfondendo il discorso sui modi e le ragioni del


maltrattamento, emerse il fatto che B. temeva di non potersi
fidare e affidare ad una persona, una donna che lo avrebbe
sfruttato, abbandonato e deriso. Mi citò a questo proposito il
fatto che il padre dichiarava apertamente che non ci si doveva
fidare delle donne. B. sembrava essersi identificato con il
padre e averne profondamente assimilato l’atteggiamento verso
le donne. Le temeva, sebbene non ne fosse consapevole, e ne
voleva quindi il controllo, anzi il dominio. Non se ne fidava.
A questo risultato aveva contribuito l’avere avuto una madre
debole e non protettiva che lo aveva fatto sentire solo e
tradito.

Bastava a volte che Z. dicesse qualcosa – per quanto neutro o


comunque inoffensivo – che facesse sorgere in lui un qualche
sospetto, perché prendesse forma nella sua mente, subito,
un’interpretazione che confermava l’idea che Z. non lo amasse
davvero, che lo volesse “fregare”. In momenti del genere si
scatenava la violenza ed egli diventava verbalmente offensivo.
In seguito non si pentiva del suo gesto, ma si vergognava di
avere perso il controllo delle proprie azioni. Temeva inoltre
di venire abbandonato. Non sembrava, invece, riuscire a
comprendere davvero la sua vittima, le sue reazioni di paura
ed i suoi timidi tentativi – che rientravano presto – di
prendere le distanze da lui. Egli commentava, alla fine,
questi episodi, in modo stranamente grossolano in confronto
con l’intelligenza che era capace di dispiegare in altri
campi, con frasi del genere: “in fondo se l’è voluta”…

Cominciai quindi a vedere sempre più chiaramente la sua parte


perversa, scissa, che era rimasta per molto tempo non
analizzata, anche se aveva dato origine, nel primo colloquio,
a quella sensazione di duplicità a cui ho accennato  . Potei
cominciare ad avvicinarmi all’area della perversione soltanto
quando, e perché, B. era preoccupato sia delle possibili
17
conseguenze del suo comportamento – perdere il rapporto – ma
anche della implicita e imbarazzante dipendenza da Z..
Compresi anche che il rapporto con la prima e ufficiale
compagna era da lui considerato buono in quanto la donna si
era adattata ai bisogni di lui. Soprattutto, B. non era
emotivamente coinvolto da lei e ciò gli dava la sensazione di
avere il pieno controllo del rapporto.

Un’altra ragione che aveva reso possibile a B. di farmi


avvicinare alla sua parte nacisistico-perversa era
rappresentata dal fatto che egli aveva potuto considerare
buono ed affidabile fino a quel momento il rapporto analitico
che gli aveva fornito un rimedio all’angoscia fobica.

Riuscii quindi a dirgli che nei miei confronti, nei confronti


di una donna-analista, egli aveva un atteggiamento duplice: da
un lato mi considerava, al pari di altre donne della sua vita,
un docile ed utile strumento per i suoi scopi, come era
avvenuto per la guarigione dalla angosce fobiche. Dall’altro,
riguardo a quella parte di me che avrebbe potuto
impensierirlo, la femminilità, che per lui era sinonimo al
tempo stesso di debolezza (la debolezza della madre), ma anche
di minaccia (la minaccia della dipendenza), lui semplicemente
la negava, continuando a pensarmi come di genere ‘neutro’: ‘un
dottore’. Successivamente potei anche collegare il
comportamento di B con quello paterno, autoritario fino al
sadismo, mostrando la somiglianza e la derivazione del primo
dal secondo.

Comprendemmo che egli si identificava con il padre autoritario


e sadico mentre proiettava in Z. di una parte di sé debole e
spaventata. La rabbia, all’origine dei comportamenti di
maltrattamento, aveva la funzione, nella dinamica della sua
mente, di tenere separate queste due parti di sé, di
proiettare, appunto, con violenza fuori di sé ogni possibile
sofferenza.

Discussione

Su questa breve vignetta si possono fare considerazioni


diverse. Che in questo caso sia in gioco una patologia
narcisistica mi pare indubbio: c’è il senso di vergogna la
povertà trasmesso dai genitori, la determinazione ad avere un
successo considerato come dovuto, la sensazione di essere
speciale, e di avere diritto di trattare gli altri secondo il
proprio tornaconto. C’è il fatto di essere stato un figlio
ammirato per le proprie potenziali capacità e considerato come
predestinato ad essere colui che avrebbe riportato la famiglia
ai vecchi splendori. C’è anche il comportamento da Don
Giovanni, un mezzo ulteriore di strumentalizzazione
dell’altro – o, per meglio dire, dell’altra.

In questo caso, c’è anche l’associazione tra disturbo


narcisistico e disturbo fobico: quest’ultimo disturbo ha
costituito, come già detto, la ragione per cui B. ha chiesto
un’analisi. Se il narcisista perverso arriva in analisi,
18
infatti, è sempre per qualche problema intercorrente, non per
il disturbo narcisistico-perverso in sé.

Nel caso di B., mi sembra che sia il disturbo fobico che il


tratto perverso traessero origine dalla stessa matrice. Dai
suoi genitori egli era stato più ammirato che amato. Aveva
sofferto a causa del carattere violento e autoritario del
padre, ne aveva avuto paura e si era difensivamente
identificato con lui. Quanto alla madre, non aveva potuto
sperimentare nel rapporto con lei un’intimità che gli desse
sicurezza e conforto; al contrario, aveva sentito il peso
dell’atteggiamento dipendente di lei. Se ne era allontanato
disprezzandola, un sentimento che aveva esteso al mondo
femminile.

Il comportamento da Don Giovanni, il maltrattamento verso Z.,


e, più in generale, il non mettersi nei panni delle donne con
cui aveva relazioni intime, ma, invece, il disconoscerne
l’alterità e i diritti, tutto ciò lo faceva sentire forte, in
quanto gli permetteva di negare i vissuti di terrore e di
dipendenza infantili: rappresentava una sorta di trionfante
vendetta verso la debolezza della madre e delle donne in
generale (ma anche verso la debolezza, esperita - e
rinnegata - del bambino non protetto che lui era stato).

Da tale matrice, dicevo, aveva preso origine il tratto


perverso, ma anche il disturbo fobico per il quale aveva
chiesto un’analisi. Infatti, proprio quando stava cominciando
ad avere successo, si era manifestata in lui una forte
angoscia di rimanere sequestrato in spazi chiusi. Dietro
l’apparenza di un conflitto tra il desiderio di avere successo
e la paura di non riuscire, che ne costituivano gli aspetti di
superficie, le sue angosce fobiche corrispondevano soprattutto
al timore di rimanere chiuso in situazioni di dipendenza
invischiante e minacciosa. Temeva la propria dipendenza che
lo faceva sentire debole come le donne che usava. Questi
aspetti tuttavia divennero accessibili soltanto quando fu
possibile analizzare i tratti della perversione. (Anche se nel
frattempo, grazie all’holding analitico, aveva potuto avere
luogo un miglioramento sintomatico).

C’è inoltre il fatto che per molto tempo B. ha taciuto, in


analisi, riguardo a importanti aspetti delle sue relazioni con
le donne, realizzando così un “transfert psicopatico”
(Kernberg 1992), caratteristico della patologia narcisistica.
Ma l’aspetto per me più interessante è rappresentato dal
viraggio dallo stile narcisistico di relazione ai
comportamenti e ai modi di relazione narcisistico-perversi (o
di perversione relazionale) che B. ha messo in atto con Z.

Fonagy (1998), in un lavoro molto ricco dal titolo “Male


perpetrators of violence against women: An attachment theory
perspective”, si propone di comprendere la psicopatologia
specifica degli uomini violenti nei confronti delle loro
compagne. Anche se egli affronta soprattutto il problema di
uomini fisicamente violenti verso le compagen, credo tuttavia
che le sue ipotesi possano contribuire a fare luce pure sul
19
maltrattamento psicologico. L’autore ipotizza, in modo
convincente, un collegamento tra stili di attaccamento,
qualità delle cure parentali e capacità di mentalizzazione.
Non è possibile dare conto, in modo esauriente, nel presente
lavoro, della teoria dell’attaccamento che è alla base della
sua argomentazione: basti dire che gli studi compiuti da
Bowlby e dai suoi successori hanno permesso di codificare
diversi stili di attaccamento del bambino al caregiver,
denominati come sicuro, evitante, ambivalente e
disorganizzato. In sintesi Fonagy afferma che lo stile di
attaccamento disorganizzato rappresenta spesso il risultato di
relazioni di abuso o di maltrattamento da parte dei genitori
nei confronti del bambino (genitori violenti tra loro e/o nei
confronti del bambino). Sotto la pressione del bisogno, da un
lato di trovare conforto e dall’altro di fuggire il genitore
abusante, la mente del bambino trova un compromesso accettando
il conforto fisico e creando allo stesso tempo una distanza
mentale. Ma così facendo il bambino danneggia la propria
capacità di mentalizzazione, in quanto non può usare i
genitori per la necessaria funzione di rispecchiamento e di
interpretazione dei propri stati mentali. Di più: egli non può
nemmeno permettersi di comprendere i loro stati perché si
incontrerebbe con l’odio e con l’evidenza di non essere amato.
Fonagy dice che questi pazienti da adulti possono regredire,
in alcune situazioni, a un “pensiero non mentalizzante”.

Relazioni emotivamente coinvolgenti possono dunque essere


vissute come una minaccia all’integrità di un Sé precario, che
ha adottato difensivamente una strutturazione narcisistica.
Viene temuto il rischio di una dipendenza che vanificherebbe
la pretesa di autosufficienza del Sé. C’è il timore di una
frammentazione catastrofica e di un crollo (tutto ciò era
presente nel caso di B.). La soluzione immediata è quella
dell’esteriorizzazione del conflitto, della proiezione sulla
partner del ruolo di vittima, della propria identificazione
con il genitore violento, e perciò stesso considerato potente,
e del trionfo maniacale che ne deriva. Adopero qui l’aggettivo
maniacale nel senso che gli è proprio, cioè come l’altra
faccia del diniego.

A questi uomini non manca del tutto l’empatia: sono però molto
empatici con quella parte di sé che espellono nella donna e
che rivedono quando riescono a farla soffrire, supplicare,
dibattersi. Gli uomini – dice Fonagy – provano, dopo questi
episodi, calma, calo di tensione, come il “ripristino di una
Gestalt interiore”, uno strano stato di tranquillità. “La
calma rappresenta la riuscita distruzione dell’indipendenza
psichica della donna. Lei è ancora una volta solo il veicolo
dei processi proiettivi patologici del suo partner”.

Si potrebbe obiettare, a questo punto, che è inutile


introdurre un nuovo concetto – quello di perversione
relazionale - quando ne esiste già uno, rappresentato dal
sadomasochismo. Tuttavia mentre credo che non sia utile
moltiplicare termini e concetti - secondo l’esortazione di
Occam che “entia non sunt multiplicanda praeter
20
necessitatem” - penso però che il concetto di perversione
relazionale si riferisca a un’area di fenomeni che non è
adeguatamente descritta dal termine ‘sadomasochismo’. Innanzi
tutto il termine ‘sadomasochismo’ connota soprattutto la
perversione sessuale e mette in risalto il piacere che
entrambi i componenti della coppia traggono dal loro modo di
relazione. Ci può essere, inoltre, nella relazione
sadomasochista, inversione dei ruoli. Nel caso della
perversione relazionale, invece, non c’è inversione dei ruoli:
il perverso non lo può permettere. Egli soltanto può
esercitare il potere nella relazione e trarre da ciò una forma
di piacere. Inoltre la mia proposta di adottare l’espressione
di “perversione relazionale” ha come scopo quello, appunto, di
porre in maggiore rilievo il concetto di relazione
interpersonale che può includere, ma non necessariamente, la
sessualità. Si tratta di una relazione in cui i ruoli sono
diversi (così come, su un piano di realtà, sono diverse le
responsabilità).

Dove sono i bei momenti?

Se il concetto di relazione sado-masochistica, è fuorviante,


esso viene comunque spesso invocato perché all’apparenza
fornisce una spiegazione del comportamento di entrambi i
membri della coppia. Infatti, il parlare di perversione
relazionale senza parlare dell’altro polo della relazione – la
donna che subisce l’azione perversa – non può che determinare
un senso di incompletezza. Pur non avendo nel presente lavoro
la possibilità di trattare estesamente questo tema, cercherò
comunque di fornire alcuni spunti per indicare in quale
direzione si orientino le mie riflessioni.

Una prima questione è se vi sia una specificità della vittima:


se, cioè, si possa affermare che, allo stesso modo in cui è
possibile comporre un mosaico che corrisponde al profilo
psicopatologico del maltrattante (tale è appunto l’ipotesi che
intendo avanzare in questo scritto), così si possa tracciare
un analogo profilo della persona che subisce il
maltrattamento. Hirigoyen (1998) dice che non c’è specificità
della vittima; l’autrice sostiene anzi che affermare che un
certo narcisista perverso si comporta perversamente con una
partner ma non lo farebbe con un’altra, equivale a dire ciò
che dicono loro e che anche B. diceva, e cioè “se l’è voluta”.

Tuttavia, chi lavora nel campo del maltrattamento si trova


spesso a chiedersi perché le donne subiscano, perché non
riescano a scappare prima, che cosa le leghi alla relazione di
abuso. L’idea che ci sia una collusione tra i due partners, o
ancora di più, che la donna tragga un piacere masochistico dal
maltrattamento rappresentano delle spiegazioni di pronto
impiego. Ma vediamo più da vicino se tali spiegazioni ci
servono davvero.

Come ho sottolineato più volte nel corso di questa


esposizione, la violenza domestica si manifesta lungo una
linea continua di gravità crescente. Ad un estremo c’è la
21
violenza psicologica, all’altro ci sono comportamenti
fisicamente e sessualmente violenti che mettono la donna in
pericolo per quanto riguarda l’esistenza stessa. Nei casi più
gravi di abuso si ha spesso a che fare con donne che sono già
state vittimizzate nel corso della loro esistenza, che
provengono da famiglie violente nelle quali hanno assistito
alla violenza tra i genitori o sono state loro stesse abusate.
Queste donne non hanno imparato ad essere protettive verso sé
stesse e, più in generale, portano nella loro struttura di
personalità le stigmate del danno subito. Ciò vale anche per
l’uomo, il quale però più spesso tende a identificarsi con il
ruolo del genitore maltrattante.

Ma, come ho più volte dichiarato, è la violenza psicologica a


costituire l’oggetto del presente scritto. E’ vero che,
nell’approfondire la conoscenza della personalità di donne che
hanno subito questo tipo di maltrattamento, si trovano, in una
certa percentuale di casi, situazioni analoghe a quelle sopra
descritte, per quanto meno devastanti; si trovano persone che
hanno assistito a violenze, oppure che hanno sofferto per la
trascuratezza dei genitori nei loro confronti, o, più ancora,
che hanno dovuto attuare un’inversione dei ruoli, una
supplenza delle funzioni genitoriali carenti, che ha impedito
loro di sperimentare la sicurezza di essere amate e di averne
diritto.

Queste osservazioni, se sono vere in molti casi, non


costituiscono però la spiegazione del fenomeno. Soprattutto mi
sembra che, nel caso del maltrattamento psicologico, l’aspetto
più interessante non consista tanto nel definire una sorta di
profilo di personalità predisponente (cosa del resto assai
ardua, date l’assenza di ricorrenze significative nella
tipologia della vittima), quanto nell’approfondire la dinamica
della perversione relazionale, per il modo in cui questa
agisce sulla vittima. Cercare di comprendere dunque come una
persona che è stata psicologicamente abusata diventa.

In una delle arie più struggenti delle Nozze di Figaro di


Mozart (libretto di Da Ponte), la Contessa rimpiange, “i bei
momenti” vissuti in passato con il marito, traditore e
spergiuro. Come la Contessa nelle Nozze, le donne maltrattate
cominciano a chiedersi a un certo punto che cosa ne è stato di
quello che credevano essere un rapporto degno di questo nome.
Del fatto che “qualcosa non va” la donna si rende conto un po’
alla volta, talora in seguito ad una serie di episodi che,
collegandosi tra loro, acquistano senso, anche se una delle
difficoltà peculiari per la vittima di un narcisista perverso
è mantenere la lucidità. (Ricordo a questo proposito come il
sovvertimento della logica e la creazione di una falsa realtà
siano caratteristiche dell’azione perversa).

All’inizio la donna reagisce dunque con disorientamento e


confusione. Non riuscendo a comprendere che cosa stia
avvenendo, tende ad assumersi la responsabilità – e la colpa -
del malfunzionamento del rapporto. Tende a pensare che se lei
fosse più brava le cose andrebbero meglio; prova a modificare
il proprio comportamento, ma senza effetto. La svalutazione e
22
la critica del partner sono sempre pronte ma, se è lui è molto
chiaro nel sostenere che la compagna sbaglia, è invece molto
ambiguo quando si tratta di enunciare positivamente che cosa
dovrebbe fare per fare andar bene le cose.

Perché le donne subiscono? Da un lato credo che, come le


femmine delle altre specie animali, le donne mettano in gioco
tutte le loro risorse per mantenere il nido. (A ciò sono
spinte, non c’è bisogno di dirlo, anche dall’educazione
ricevuta, dalla società e dalla cultura). Inoltre, vale la
pena di ripetere che l’azione perversa è tale proprio in
quanto seduce e manipola. Dice il saggio cinese: “picchia tua
moglie tutte le sere: tu non sai perché lo fai, ma lei sì”.
Così, nella relazione perversa, la donna si ritrova a pensare
che, se il marito la maltratta, allora vuol dire che lei è
colpevole. E’, certo, una logica rovesciata, ma è sempre una
logica, cioè qualcosa che dà ordine al mondo, e questo è
comunque preferibile al caos, alla confusione, al non capire
perché la relazione stia diventando tanto assurda, una specie
di mostruoso labirinto. Si può dire allora che l’assunzione di
responsabilità da parte della donna per una situazione che non
dipende da lei, di cui anzi ella è vittima, oltre che
coincidere con l’attribuzione di colpa fatta dall’uomo, ha un
significato difensivo rispetto all’accettare la dolorosa
consapevolezza di una situazione assurda, spiazzante,
incomprensibile, che, in più, infligge un colpo mortale alle
speranze riposte nella relazione e all’impegno e all’energia
messi in atto per conservarla.

Inoltre, via via che il comportamento del partner si va


facendo più assurdo e incomprensibile, assorbendo
completamente la donna nelle strategie per fare fronte alla
situazione, quest’ultima si isola  : da un lato, è troppo
assorbita dalla relazione stessa e spesso viene ostacolata nel
frequentare altre persone dall’atteggiamento possessivo e
controllante del compagno; dall’altro, subendone il ricatto e
avendone paura, accetta di non parlare all’esterno del suo
inferno privato. Così, in modo apparentemente paradossale,
finisce per proteggere il compagno che la maltratta,
permettendogli di portare avanti, e di rendere verosimile, la
sua facciata di normalità. In questo senso il rapporto,
perversamente appunto, si rafforza: la donna diventa sempre
più indispensabile per il compagno, che sempre meno è disposto
a lasciarla andare.

Per concludere credo che ciò che lega la donna alla relazione
siano soprattutto gli effetti, gli esiti, dell’azione
perversa, il modo in cui questa scava nella vittima, minandone
le risorse e le capacità. Tali effetti sono davvero specifici,
e costituiscono il marchio che la perversione imprime
nell’esistenza delle vittime. Su questo, sul modo cioè in cui
la perversione penetra e scava nella personalità di chi ne
diventa oggetto, vale la pena di porre la lente del nostro
‘microscopio psicoanalitico’.
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  Così, sia detto en passant, il movimento dei reduci del


Vietnam ha imposto, in America, all’attenzione del pubblico e
degli specialisti la tematica del trauma bellico, mentre i
movimenti femministi hanno sollevato e poi imposto i temi
dell’abuso infantile e del maltrattamento famigliare. Vedi
Young (1995) e Lewis Herman (1992)
  In un articolo del 1970, ad esempio, Pulver indica quattro
diverse accezioni del termine presenti nella letteratura
psicoanalitica: 1) una perversione sessuale caratterizzata dal
trattare il proprio corpo come un oggetto sessuale; 2) una
fase di sviluppo caratterizzata dalla libido narcisistica; 3)
un tipo di scelta oggettuale in cui il Sé gioca un ruolo più
importante di quello dell’oggetto, oppure un modo di
rapportarsi all’ambiente caratterizzato da una relativa
mancanza di relazioni oggettuali; 4) il sistema
dell’autostima.
  Green (2002) parla di narcisismo positivo e negativo, due
forme, per come le descrive, analoghe a quelle overt e covert
(in uno dei due casi che egli espone, quello di narcisista
positivo, vi è anche un comportamento di maltrattamento nei
confronti della moglie).
  Questo potrebbe sembrare in contraddizione con certe
modalità di auto-umiliazione e di auto-colpevolizzazione del
narcisista covert: a ben vedere, però, le sue preoccupazioni
riguardano lui stesso, la sua colpa, indegnità, vergogna... è
assente, invece, un’autentica preoccupazione per l’oggetto.
  Si deve anche ricordare come Freud successivamente ponesse
il meccanismo del diniego alla base della perversione In
quanto diniego della realtà, la perversione rappresenta una
difesa dalla psicosi (1924).

  Tale sensazione corrisponde all’idea di Riesemberg-Malcom


(cit. in Jiménez 2004) per cui la perversione si rivela in
analisi più per il ‘tono e le nuances’ che attravaerso ciò che
28
il paziente dice.
  Il mondo che condividiamo con gli altri, il mondo della
famiglia, del lavoro, dell’esperienza quotidiana, la nostra
realtà condivisa alimenta di continuo il nostro mondo interno,
la nostra realtà psichica. Quando vi è una perdita della
condivisione con gli altri, quando la realtà si fa minacciosa
e nelle stesso tempo incomprensibile, quando manca un piano di
confronto, allora i pensieri non sono più lucidi, vi è
incertezza e smarrimento: si può transitoriamente smarrire la
capacità di fare un sicuro esame di realtà.

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93
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  P  E  R  V  E  R  S  E  .  d  o  c      P  a  t  r  i  z  i  a    G  i  a  n  n  i  n  i  ]
  C  :  \  W  I  N  D  O  W  S  \  A  p  p  l  i  c  a  t  i  o  n    D  a  t  a 
\  M  i  c  r  o  s  o  f  t  \  W  o  r  d  \  S  a  l  v  a  t  a  g  g  i  o 
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  P  E  R  V  E  R  S  E  .  a  s  d      P  a  t  r  i  z  i  a 
  G  i  a  n  n  i  n  i  j  \  \  S  e  r  v  e  r  \  s  e  r  a  c  c 
\  s  t  r  u  m  e  n  t  i    v  a  l  u  t  a  z  i  o  n  e 
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\  m  a  t  e  r  i  a  l  e    t  e  o  r  i  c  o  \  R  E  L  A  Z  I  O  N  I 
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          G                              ‡:                            ÿ              T  i  m  e  s 
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                                                              T  r  e  b  u  c  h  e  t 
  M  S      9                              ‡                              Ÿ              G  a  r  a  m  o  n  d
      =                                                                              C  a  l  i  s  t  o 
  M  T      E&         
                                                                N  e  w  s    G  o  t  h  i  c 
  M  T      5&         
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A  Z  I  O  N  I    P  E  R  V  E  R  S  E  :    L  A    P  R  O  S  P  E  T  T  I  V  A 
  D  E  L    P  E  R  P  E  T  R  A  T  O  R  E                  P  a  t  r  i  z  i  a 
  G  i  a  n  n  i  n  i      P  a  t  r  i  z  i  a 
  G  i  a  n  n  i  n  i                                                                                           
                                                              
                                                              
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      H              T     
      p     
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100
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              ¸              ä            4      RELAZIONI PERVERSE: LA PROSPETTIVA
DEL PERPETRATORE                  ELA               Patrizia Giannini  :
                atr                 atr             Normal  a               Patrizia
Giannini  :               2  tr               Microsoft Word 9.0 
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101
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                       þÿ     
                              ÕÍÕœ.    “—    +,ù®0          

102
           h              p              |              „            Œ            ”     
    œ              ¤              ¬              ´     
      ¼     

103
    ü              ä                 I        ù           y            é"          í   
       
       
       
                      4      RELAZIONI PERVERSE: LA PROSPETTIVA DEL
PERPETRATORE 

104
            
    Titolo                                                         
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              

105
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                 
   
   

106
   
                                                                          
                  !      "      #      $      %      &      '      (      )
    *      +      ,      -
    .      /      0      1      2      3      4      5      6      7      8      9      :      ;      <   
  =      >      ?
      @      A      B      C      D      E      F      G      H      I      J      K      L      M      N   
  O      P      Q      R      S      T      U      V      W      X      Y      Z      [      \      ]
      ^      _      `      a      b      c      d      e      f      g      h      i      j      k      l   
  m      n      o      p      q      r      s      t      u      v      w      x      y      z      {      |
      }      ~              €            ‚      ƒ      „      …      †      ‡      ˆ      ‰
      Š      ‹      Œ            Ž                  ‘      ’      “      ”      •      –      —
      ˜      ™      š      ›      œ            ž      Ÿ            ¡      ¢      £      ¤     
¥      ¦      §      ¨      ©      ª      «      ¬      -
      ®      ¯      þÿÿÿ±      ²      ³      ´      µ      ¶      ·      ¸      ¹      º      »
      ¼      ½      ¾      ¿      À      Á            à     Ä      Å      Æ      Ç      È      É      Ê   
  Ë      Ì      Í      Π     Ï      Р     Ñ      Ò      Ó      Ô      Õ      Ö      ×      Ø      þÿÿÿÚ
      Û      Ü      Ý      Þ      ß      à      þÿÿÿâ      ã      ä      å      æ      ç      è      þÿÿ
ÿýÿÿÿýÿÿÿì      þÿÿÿþÿÿÿþÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿ
ÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿR  o  o  t 
  E  n  t  r  y                                                                                                  ÿÿÿ
ÿÿÿÿÿ                      À            F                          ›³á«´Ç  î     
€              1  T  a  b  l  e                                                                                     
                            ÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿ                                                                       
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      YQ            W  o  r  d  D  o  c  u  m  e  n  t                                                       
                                          ÿÿÿÿÿÿÿÿ                                                                 
       .
^                S  u  m  m  a  r  y  I  n  f  o  r  m  a  t  i  o  n                                   
                  (                      ÿÿÿÿ                                                                        Ù
                          D  o  c  u  m  e  n  t  S  u  m  m  a  r  y  I  n  f  o  r  m  a  t  i  o
  n                      8      ÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿ                                                                 
      á                          C  o  m  p  O  b  j                                                               
                                                          ÿÿÿÿ                                                         
                      n              O  b  j  e  c  t  P  o  o  l                                               
                                                  ÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿ                                          ›
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                                                ÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿ                                                   
                                                    þÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿ
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    ÿÿÿÿ              À            F       Documento di Microsoft Word 
      MSWordDoc          Word.Document.8  ô9²q                                                 
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                                                              
                 

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