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QUATTRO MAESTRI DELL’ARCHITETTURA

FRANK LLOYD WRIGHT


LE CORBUSIER
MIES VAN DER ROHE
ALVAR AALTO

di Silvano Bruscella

RAPPORTO CON IL SITO: L’ORGANOSMO ARCHITETTONICO


NEL CONTESTO MORFOLOGICO AMBIENTALE.

L’architettura è qualcosa che nasce da un’idea implicita del costruire, è quindi


un atto creativo, che dà all’uomo la facoltà di lasciare sulla terra un sedimento
resistente, un insieme di segni e cose che testimoniano il suo passaggio.
L’architettura nasce dal bisogno dell’uomo di possedere un riparo, quindi
pensa e progetta osservando ciò che lo circonda, la natura.
Ancora oggi le parti che formano un edificio sono espressioni di uno studio più
o meno approfondito del mondo in cui viviamo; ma è lecito innanzi tutto chiedersi in
che modo bisogna rapportarsi ad essa.
L’alleanza che ha stretto con la natura lo ha portato a formulare atteggiamenti
differenti ma che partono da una stessa base.
Il meno persuasivo dei risultati è aver separato “l’organicità” e “l’astrazione”
come due entità polari e aver identificato nella prima la capacità di ascolto della
natura e nella seconda un atteggiamento “classico”, legato più allo spirito che al
mondo che ci circonda.
In entrambe le correnti di pensiero, se pur rimanendo lontane, hanno alla
base lo studio della natura, con la differenza che uno costruisce in modo da
integrare e creare un unicum spaziale con l’ambiente, e l’altro trae solo le regole, le
leggi che la governano, per costruire un mondo artificiale che si stacca dal suolo e
si isola da tutto ciò che gli ha dato la facoltà di esistere.
Sono due atteggiamenti differenti che comunque nascono da un solo ente
ispiratore, la natura. Le costruzioni sono pensate per un certo luogo studiando le
caratteristiche del sito, dei materiali disponibili nell’ambiente, quasi a “mimetizzare”
l’architettura, o meglio, senza disturbare la natura, formando un corpo in piena
armonia con l’ambiente. L’altro atteggiamento considera la natura solo una fonte di
ispirazione da cui trae le regole geometriche, proporzionali, progettando corpi, che
per scelta autoritaria, creano un rapporto con il sito di puro dominio e non di
armonia.
Frank Lloyd Wright, influenzato da una vita vissuta a contatto con la natura,
riflette nell’architettura l’informalità, l’irregolarità e l’asimmetria, sintomi che rivelano
un attento studio del sito, una curata definizione dei materiali e scelte cromatiche.
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L’architettura è legata alla “completa integrità di rapporto con la natura” la cui
sintesi viene indicata con il termine organica.
Organico significa che tutte le parti sono legate tra loro nel formare un’unità
che non si distacca dalla natura che lo circonda, ma entrano insieme a far parte di
un corpo che nasce e cresce dalla terra e che si lega intimamente alla vita
dell’uomo.
L’edificio è concepito come un essere vivente che non si lega a nessun tipo di
repertorio formale del passato, del presente e del futuro, ma che si basa
sull’esaltazione dei principi della sua costruzione.
Una banca non dovrà più apparire come un tempio greco, un’università come
una cattedrale, ogni edificio dovrà esprimere se stesso, costituendo un unicum tra
forma e funzione.
Rapporto con la natura non significa solo progettare un edificio in mezzo ad
essa o usare i suoi materiali, ma capire come rispettarla, seguendo le sue linee, i
suggerimenti, per concludere artificialmente uno spazio più adattato alla vita
dell’uomo e alla crescita della natura.
Taliesin, “ciglio lucente”, fondata nel Wisconsin al ritorno negli Stati Uniti dopo
la fuga in Europa, viene costruito sul fianco di una collina e non sulla cima, indice di
una gran sensibilità e di rispetto verso un ambiente che non deve essere dominato,
ma dove l’uno risulta il prolungamento, l’estensione dell’altro.
Se l’edificio fosse stato costruito in cima, la collina avrebbe perso la sua punta
e l’architettura si sarebbe isolata in mezzo ad un ambiente di semplice cornice.
Questo atteggiamento, tanto criticato da Wright, è invece esasperato da Le
Corbusier, capace di astrarre l’architettura dall’ambiente circostante.
Gli stessi disegni dei due architetti sono tanti diversi quanto testimoniano
l’opposto modo di intendere e interpretare il rapporto con la natura.
Quelli di Wright sono la pura espressione della sua poetica, usati come
strumento operativo e critico allo stesso tempo, in grado di comunicare il percorso
ideativo, le qualità formali e espressive di un corpo capace di esprimere la completa
integrità con il sito.
I disegni di Le Corbusier per Villa Stein a Garches, mostrano nella loro
costruzione isometrica senza ombre, come alla base dell’atto progettuale ci sia una
volontà di astrazione, in cui la natura, gli alberi, i cespugli non entrano
nell’architettura, non si confondono con essa, non si governa da sola, ma viene
obbligata in piccoli ritagli e aperture rigorosamente ortogonali.
Se Wright ha avuto il grande merito di animare l’architettura rendendola un
corpo vivente, organico, Le Corbusier è riuscito a rendere “artificiale” ciò che da
sempre è stato naturale.
Se Taliesin nasce sul fianco della collina, Villa Savoye è un parallelepipedo
sulla sua sommità. Se per Wright la natura entra nell’architettura, si prolunga e si
confonde con essa, per Le Corbusier diventa lo sfondo di un quadro da osservare
con ammirazione e stupore, ma sempre da una certa distanza.
Villa Savoye è un semplice volume in piena campagna, una scatola nell’aria,
tagliata tutto intorno, senza interruzioni, da una finestra in lunghezza.
Si impone nel paesaggio con autorevolezza, con il rigore intellettuale e di
proporzioni geometriche tratte dalle leggi della natura.

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La casa viene letta come un oggetto su un piedistallo esibito in una vetrina,
isolato nel suo bianco splendore ed elevato al di sopra dei suoi pilotis, che
permettono vedute lontane sull’orizzonte ed eliminano tutti gli inconvenienti di
“un’erba umida e malsana”.
“La scatola è al centro di un prato, domina il frutteto”.
Villa Savoye non è stata pensata per una particolare condizione ambientale,
ma il rapporto con il sito è solo un fattore di secondaria importanza, perché, come
racconta lo stesso Le Corbusier, la casa può essere trasportata ovunque, anche
nelle campagne argentine, disponendo venti Villa Savoye con un sistema di strade
ad albero, senza diminuire la qualità degli edifici.
La villa va considerata, dunque, il prototipo della cellula d’abitazione standard
composta da elementi basati su soluzioni standard, su certezze acquisite
dall’esperienza e dalla pratica professionale. Villa Savoye è “una macchina per
l’abitare”, progettata in uno spazio astratto e inserita in un ambiente reale.
Fallingwater è l’esatto contrario di ciò che rappresenta Villa Savoye.
“In un bellissimo bosco c’era uno scoglio alto e massiccio, posto al di sopra di
una cascata e l’idea più immediata sembrò quella di costruirvi la casa; proprio a
sbalzo sopra la cascata! Considerando che a Bear Run per la prima volta avevo a
disposizione il cemento armato come materiale da costruzione, la grammatica del
progetto poté chiarirsi su quella base. Ma di non minore importanza per la stesura
del progetto fu l’amore di Kaufmann per il posto e il fatto particolare che gli
piacesse il rumore della cascata”.
Un corpo cresciuto dalla formazione rocciosa, seduto sopra una cascata nel
mezzo delle montagne della Pennsylvania.
La mano e lo spirito dell’architetto sembra che siano stati guidati dalla natura
stessa, ottenendo una totale integrazione del corpo artificiale con la roccia, l’acqua,
la vegetazione, il cielo e il sito.
L’irregolarità della spontanea formazione del territorio ha indicato a Wright le
linee delle terrazze aggettanti sul torrente, enfatizzando la natura orizzontale della
casa, la composizione di una pianta che non ricalca nessuna forma geometrica
predeterminata, la totale assenza di una legge che determini a priori la struttura o
la formulazione dei profili, non esiste una facciata principale e una secondaria, le
pareti non sono più pareti, ma elementi rocciosi che si estendono dalla terra per
dare vita ad uno spazio senza precedenti.
Il rapporto tra l’edificio e il sito è evidente nella composizione della pianta,
nelle linee che determinano il perimetro dei corpi che si abbracciano in un insieme
armonico.
A nord, dove è posto l’ingresso, spessi muri rivestiti di pietra, seguono il
tracciato irregolare della strada e si contrappongono alla leggerezza delle grandi
terrazze tagliate dalle lunghe vetrate.
La casa appare come ancorata nella roccia per poi esplodere sull’acqua i suoi
volumi dal centro, non geometrico, della pianta individuato dal camino, i cui sbalzi,
quasi sfidando le leggi della natura, galleggiano liberi nello spazio.
E’ quasi come se il torrente abbia contribuito all’erosione di una parte della
casa come negli anni ha costruito il suo percorso tra le rocce.

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In Fallingwater Wright riesce a sfruttare al massimo le potenzialità del
cemento armato e l’elasticità dell’acciaio che ha reso possibile l’impiego estensivo
dello sbalzo.
Il maestro americano voleva che il materiale esprimesse le sue caratteristiche
e fosse immagine del luogo per cui l’edificio veniva pensato.
Pertanto studia la natura dei materiali, imparando a vederli per quello che
sono e per quello che possono dare, cioè mattoni come mattoni e il legno come
legno, nella loro individualità.
Il materiale base usato in Fallingwater è la pietra arenaria di Poottsville,
estratta dalle montagne del luogo, il legno di noce nero del North Carolina per le
parti non strutturali, e lastre di pietra grezza per il pavimento richiamando il colore
e l’irregolarità della roccia su cui la casa è costruita.
La struttura dell’edificio è concepita come un albero ancorato sulla cascata, i
pilastri sono rivestiti in pietra grezza ed emergono come tronchi dalla roccia.
Gli elementi verticali riflettono la rocciosità del sito, a differenza dei parapetti
orizzontali lisci, creando un forte contrasto tra la parte “più naturale” dell’edificio,
compatta e irregolare come la roccia, e la parte “più artificiale” composta da quegli
sbalzi che esplosi dal corpo centrale rimangono sospesi sull’acqua.
L’esposizione a Berlino dei disegni di Frank Lloyd Wright nel 1910, suscitarono
notevole influenza sul giovane Mies van der Rohe, che, pur essendo uno dei
maggiori rappresentanti del razionalismo europeo, è sempre riuscito a distinguersi.
L’eco della poetica di Wright si riflette già nelle prime architetture, nelle quali
rompe il volume bloccato, la scatola statica e ponderata di Le Corbusier con piani
isolati nello spazio che fanno del vuoto la vera architettura.
I suoi edifici, dalle rigide forme geometriche e privi di ornamento, devono
proprio il particolare aspetto all’uso sapiente delle proporzioni, ai preziosi materiali
scelti (marmo, onice, cromo e travertino) e alla perfezione dei dettagli.
Il Padiglione Tedesco all’Esposizione di Barcellona, capolavoro del 1929, è un
universo di trasparenze, riflessi e piani colorati, in cui il rapporto con l’ambiente si
manifesta nel dialogo tra interno ed esterno, e non con l’uso di forme, materiali e
colori dettati dallo studio del luogo.
Le prime distanze dal razionalismo sono evidenti già due anni prima, quando
pianifica la seconda esposizione del Deutscher Werkbund, presentando un progetto
in cui le case cubiche sulla collina, nella disposizione volumetrica, seguono il
movimento delle curve di livello.
Questo progetto, nel quale si denota un attento studio del sito e l’interesse di
creare un rapporto tra costruzione ed ambiente, suscita immediatamente le reazioni
dei più importanti architetti locali, mettendo Mies in condizioni di rimettere in
discussione il suo piano.
La casa Tugendhat ripete gli stessi schemi del Padiglione, in cui una rigida
griglia di pilastri cruciformi rende l’edificio indipendente alla struttura.
I materiali e la struttura influenzano notevolmente l’architettura. Conoscere
fino in fondo le caratteristiche di ognuno di essi permette una maggiore padronanza
dei mezzi, rendendoli i maggiori elementi di espressione architettonica.
Mies van der Rohe ha realizzato costruzioni con materiali diversi, dal cemento
armato, l’acciaio, il vetro, il mattone, tenendo sempre conto delle loro particolari
caratteristiche e sviluppando il progetto in base alle loro potenzialità.

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Mies, come Wright, quindi studiava la natura del materiale, essendo elemento
determinante nella definizione dell’organismo edilizio, ma con la differenza che il
maestro americano faceva uso del materiale come manifesto, testimonianza del
luogo, invece Mies voleva che il materiale fosse espressione di se stesso e come
tale protagonista e modulo espressivo – compositivo delle sue architetture.
Nel progetto di una casa di campagna, Mies manifesta la convinzione di come
il mattone fosse elemento ordinatore, definendo uno spazio tagliato da liberi setti
portanti separati tra loro da ampie aperture.
I progetti del maestro tedesco testimoniano il profondo valore che dava alla
proporzione e al rapporto tra le parti rispetto all’intero complesso, obiettivo
raggiunto grazie soprattutto a quella chiarezza strutturale, determinata da una
profonda conoscenza, che gli consentiva grande libertà nell’universo delle regole.
Casa Tugendhat è la perfetta rappresentazione di tutti i principi che formano
la poetica di Mies e, per usare le stesse parole dell’ancora giovane architetto e
critico americano Philp Johnson: “la casa di Brno è extra”.
La sua realizzazione scatenerà notevoli polemiche tra i sostenitori del pensiero
razionalista, infatti, non è una casa minimale riproducibile in serie, ma una grande e
lussuosa villa.
La crisi degli alloggi negli anni venti rappresentò un grosso problema per tutti i
Paesi europei, aggravato dal progressivo aumento dei costi.
Ridurre al minimo le dimensioni e utilizzare la prefabbricazione sembravano le
migliori soluzioni. Tutto questo, però, andava a gravare sulla qualità e libertà
progettuale, portando ad una monotonia e uniformità formale.
Mies, da sempre sostenitore dei nuovi mezzi di produzione, riteneva che, per
risolvere il problema estetico, l’industria avrebbe dovuto occuparsi solo degli
elementi costruttivi e non dell’intero edificio.
La casa Tugendhat, come Fallingwater, sfrutta le caratteristiche del sito,
legandosi in maniera particolare all’ambiente.
Se Wright la progetta ancorata sulla roccia per creare un poderoso sbalzo sulla
cascata, Mies la costruisce sul pendio del terreno, cancellando così la verticalità dei
tre livelli dell’edificio di cui soltanto il piano superiore emerge all’altezza della strada.
L’ingresso della casa è al secondo piano, dove si trovano le camere da letto e
l’ampia terrazza. Una rampa di scale conduce al primo piano, spazio principale
dell’edificio, nel quale i liberi pilastri cruciformi in acciaio cromato, esaltano le
potenzialità e la chiarezza strutturale.
Questa ampia zona giorno è divisa da solo due pareti libere, l’una in ebano di
colore scuro che delimita, con una larga curva, la zona pranzo e l’altra in onice oro
fulvo e bianco, che divide il soggiorno.
Il rapporto con il sito non si limita però solo alla particolare posizione che
occupa il corpo sul pendio, determinando particolari soluzioni compositive sia in
pianta che in prospetto, ma la continuità tra interno ed esterno è stabilita dallo
sfondamento della visuale ottenuta dalle vetrate.
Dal giardino, il rigido profilo e il bianco intonaco che riveste la villa, la fanno
apparire come una scatola, ma se si considerano le particolari trasparenze e che i
pannelli di cristallo possono slittare nel pavimento, trasformando la sala del
soggiorno in un’enorme terrazza coperta, non è più il volume l’elemento ordinatore

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del progetto, ma lo spazio stesso e le suggestive prospettive che si aprono verso
l’ambiente.
Fritz Tugendhat sottolineava il proprio piacere nell’aprire la grande vetrata
scorrevole, “durante le gelate, grazie al vetro abbassato si può stare seduto al sole
a guardare il paesaggio innevato, come a Davos”.
Alvar Aalto, facendo parte della terza generazione di architetti moderni, si
trova di fronte ad un ambiente culturale carico di dogmi, di regole compositive, in
cui il razionalismo ha sentito il dovere di chiudersi.
Questo per alcuni aspetti rappresenta un nuovo modo per contrastare i gravi
problemi che la produzione edilizia di massa deve affrontare, ma per altri è un
limite, perché non tiene conto di tutti quei fattori esterni alle regole generalizzate
che entrano a far parte di un progetto nel momento in cui l’idea si concretizza in un
ambiente naturale da cui si può trarre riferimenti espressivi e formali.
Alvar Aalto ha avuto la grande capacità e senso critico di studiare e capire fino
in fondo le correnti di pensiero che hanno investito l'architettura dai primi anni del
‘900, facendosi un’idea personale che risulta l’equilibrio di un processo di armonia
tra natura e costruzione edilizia.
Se Wright riesce quasi a mimetizzare Fallingwater per poi farla
improvvisamente “esplodere” sull’acqua, e Le Corbusier innalza Villa Savoye sulla
collina come se fosse un oggetto in mostra, Alvar Aalto raggiunge con Villa Mairea
la sintesi formale e concettuale dei due precedenti capolavori, in cui l’armonia con il
sito e la moderna concezione dell’abitare diventano le basi della poetica
progettuale.
L’architetto è rimasto legato per tutta la vita alla sua terra, alle tradizioni e ai
valori che caratterizzano il popolo finnico.
I viaggi, che compirà nei piccoli paesi della Finlandia, gli consentiranno di
conoscere e capire in modo più diretto come le case e il modo di abitare si sia
sviluppati spontaneamente all’interno dei piccoli ambienti domestici, facendo di
queste sincere osservazioni, il punto di partenza per la progettazione di un alloggio,
non più dettato da assi di simmetria o modelli prestabiliti, ma rapportando le
esigenze dell'abitare al sito e all'uomo, facendo di ogni casa un fatto irripetibile.
L’architettura, per Alvar Aalto, non può essere pensata come modello astratto
e poi inserita, come se fosse un corpo estraneo, nel mondo che la circonda.
Non è solo un involucro fatto di muri tagliati da piccole o lunghe finestre che
permettono di vedere e assaporare quello che la natura ti offre fuori dalla scatola,
ma l’architettura dovrebbe collegare l’uomo a tutte le bellezze e influenze positive
della natura e, al tempo stesso proteggerlo dagli aspetti negativi dell’ambiente.
Di conseguenza la casa non può essere tipizzata come una macchina, perché
entrano in gioco fattori esterni che contribuiscono a migliorare e a rendere unica
l’architettura.
La missione, che si prepone Alvar Aalto, è quella di armonizzare il mondo
materiale alla vita, di rendere l’architettura più umana, cercando di allargare il
concetto di funzionalismo oltre il limite della tecnica.
L’architetto sente nella natura il miglior riferimento su cui affidarsi per la
progettazione, perché la stessa architettura è variazione e crescita come il mondo
organico.

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“In un albero da frutta, in piena fioritura primaverile, possiamo constatare che
ogni fiore è diverso dall’altro. […] I fiori sono orientati in varie direzioni, perché
rami, foglie e fiori contigui li coprono con la loro ombra. Ecco perché sono diversi. Il
posto di ciascun fiore è diverso, diverso è il suo rapporto con il tronco, coi punti
cardinali. Il fiore stesso deve seguire questa graduatoria di variazioni
nell’espletamento del suo compito. Eppure questa incommensurabile ricchezza di
funzioni e di forme, questa infinita diversità, è stata ottenuta con il più disciplinato
sistema di standardizzazione. Ogni fiore è composto da milioni di cellule originarie
apparentemente uguali, ma caratterizzate dalla possibilità di combinarsi fra loro nel
modo più vario”.
L’abitazione, come Fallingwater, viene realizzata in una foresta, e come
Wright, farà un attento e scrupoloso studio del sito, considerando anche il più
piccolo dettaglio, metro di guida per migliorare le condizioni di abitabilità.
La pianta a L ed il contorno irregolare della piscina suggeriscono una metafora
tra forma artificiale e naturale.
La disposizione dei corpi, della sauna e della piscina, collegati tra loro da un
“vuoto architettonico” coperto da una leggera pensilina, retta da una struttura di
canne di legno, disegna una linea che si chiude in uno spazio privato, ma grazie al
gioco di appartenenze e sottrazioni l’ambiente sfonda la sfera chiusa del luogo
isolato per denunciare l’appartenenza dell’edificio al sito e al mondo naturale.
Sperimentale in questa villa è soprattutto l’uso dei materiali: “[…] ho imparato
a conversare con le pietre, scoprendone le caratteristiche e vivendo a contatto con
un ambiente intatto. Ho studiato l’effetto della vegetazione sul materiale: è
incredibile per un architetto vedere d’improvviso come miriadi di licheni gialli si
arrampichino sulla superficie della pietra”.
Il legno con il carattere specifico e la disposizione delle fibre, è il materiale da
Aalto preferito, in grado di dare calore all’interno e per connotare all’esterno la
funzione delle diverse parti della villa.
Per Alvar Aalto tutte le forme nascono da materiale, da un attento studio,
dalle caratteristiche, capacità e possibilità di utilizzo per l’architettura e l’uomo.
La dialettica fra le diverse parti dell’edificio e fra interno ed esterno, si regge
soprattutto sull’uso sapiente del materiale e del contrasto cromatico che ne deriva.
Questo atteggiamento, che rappresenta una conpresenza di razionalità e
natura, permette di far dialogare gli elementi lignei con il bosco che circonda la
casa, e d’inverno, la parte bianca intonacata, di mimetizzarla con l’ambiente
innevato.
La stessa disposizione “disordinata” dei pilastri dimostra la volontà di Alvar
Aalto quasi di portare gli stessi alberi all’interno dell’edificio, in modo da creare
un’atmosfera più naturale nell’ambiente artificiale.
Il legno, oltre ad avere importanza come materiale costruttivo e di richiamo
alla “naturale” disposizione delle cose, assume valenze simboliche, divenendo il
simbolo dell’intimità domestica e del calore della famiglia.
“Il tema fondamentale nel progetto di Villa Mairea è […] il dibattito tra natura
e civilizzazione; tra capanna primitiva e l’habitat civile. Entrando in giardino dalla
campagna, ci si imbatte in una serie di cose verosimili, evocanti esplicitamente la
rusticità della natura; […] il manto d’erba sul tetto della sauna, l’acqua della piscina,
la piattaforma di legno simile a quelle che si trovano sulle rive di un lago o di un

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fiume, la sauna a forma di capanna primitiva, il grezzo muro perimetrale, o il
pavimento d’ardesia”.

Bibliografia.

Frank Lloyd Wright, Il futuro dell’architettura, Zanichelli, Bologna, 1985.


Willliam Allin Storrer, Frank Lloyd Wright – Il repertorio, Zanichelli, Bologna, 1997.
M.Allen Brooks, Le Corbusier, Electa, Milano, 1993.
Carlo Pazzolo – Riccardo Vio, Sulle tracce di Le Corbusier, Arsenale, Venezia, 1989.
Francesco Tentori – Rosario De Simone, Le Corbusier, Editori Laterza, Bari, 1987.
Ludwig Hilberseimer, Mies van der Rohe, Milano, 1993.
Jean Luis Cohen, Ludwig Mies van der Rohe, Editori Laterza, Bari, 1996.
Alvar Aalto, Idee di architettura – scritti scelti 1921-1968, Zanichelli, Bologna, 1987.
Luciano Rubino, Aino e Alvar Aalto, Edizioni Kappa, Roma, 1980.
Fabio Mangone – Maria Luisa Scalvi, Alvar Aalto, Edizioni Laterza, Bari, 1993.
A.A.V.V., Villa Mairea – Alvar Aalto, Phaidon.

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