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Note di relatività
Generalità
f = ma
y y'
V
O O'
x x'
z z'
1
D'altra parte, nel vuoto, la soluzione generale delle equazioni di Maxwell
per una propagazione lungo l'asse x è
cioè una propagazione con velocità isotropa; ovvero con la stessa velocità tanto
nel verso delle x crescenti quanto in quello delle x decrescenti. Secondo le
0
trasformazioni di Galileo, in un nuovo riferimento O avremmo due velocità
diverse per la propagazione in un senso e nell'altro; ma ciò signicherebbe che
l'equazione d'onda dovrebbe avere una struttura diversa nel nuovo riferimento,
in contraddizione con il principio di relatività. Non rimane che ammettere che
la velocità della luce sia un invariante rispetto alle trasformazioni da un sistema
inerziale ad un altro.
La richiesta che la velocità della luce sia un'invariante impone la condizione
che si abbia, per il fronte di un'onda luminosa:
x2 + y 2 + z 2 = c 2 t 2 (3)
y0 = y (7)
z0 = z
x0 = αx + βx0
x00 = γx + δx0
2
Sostituendo nella seconda delle (6) si ottiene:
Sviluppando:
2 2
α2 x2 + β 2 x0 + 2αβxx0 + y 2 + z 2 = (γ 2 x2 + δ 2 x0 + 2γδxx0 ) (9)
2
D'altra parte, deve essere x2 +y 2 +z 2 = x0 ; e dunque si deve avere identicamente
α2 − γ 2 = 1 (10)
δ2 − β 2 = 1
αβ − γδ = 0
ovvero
sinh ϕ V
tanh ϕ = =− (14)
cosh ϕ c
Da questa si ricava (osserviamo che cosh ϕ è sempre positivo):
1 −V /c
cosh ϕ = q sinh ϕ = q (15)
1 − V 2 /c2 1 − V 2 /c2
3
In denitiva, possiamo scrivere così le relazioni tra i due sistemi di coordinate,
che vengono chiamate trasformazioni di Lorentz:
x−Vt
x0 = q (16)
1 − V 2 /c2
y0 = y
z0 = z
t − (V /c2 )x
t0 = q
1 − V 2 /c2
x ≡ x1 y ≡ x2 z ≡ x3 (17)
x03 = x3
x0 − βx1
x00 = √
1 − β2
1
γ=√ (20)
1 − β2
4
Contrazione di Lorentz
y y'
V
l0
O O'
x x'A x'B x'
z z'
5
che segue la sbarra, è data dalle trasformazioni di Lorentz; in particolare
x−Vt
x0 = q (22)
1 − V 2 /c2
Per le posizioni degli estremi A e B della sbarra devono valere evidentemente
xA − V t A xB − V t B
x0A = q x0B = q (23)
1 − V 2 /c2 1 − V 2 /c2
dove tA e tB sono gli istanti nei quali viene rilevata da O la posizione dei due
estremi, rispettivamente. Sottraendo membro a membro si ha
xB − xA − V (tB − tA )
x0B − x0A = q (24)
1 − V 2 /c2
Il primo membro è la lunghezza l0 della sbarra a riposo in O0 ; d'altra parte,
xB − xA , che gura al secondo membro, può essere interpretata come lunghezza
l della sbarra misurata in O se in tale riferimento la misura è eseguita, come
abbiamo già notato, nello stesso istante per i due estremi; cioè tB = tA . Da ciò
risulta q
l
l0 = q ovvero l = l0 1 − V 2 /c2 (25)
1 − V 2 /c2
q
In altre parole, vista da O, la sbarra risulta contratta della quantità 1 − V 2 /c2 .
Arriviamo allo stesso risultato anche se deniamo la lunghezza l della sbarra
in movimento in altro modo. Precisamente, possiamo pensare di misurare il
tempo che trascorre tra il passaggio dei due estremi della sbarra per uno stesso
punto del riferimento O; e poi moltiplicare tale intervallo di tempo per la velocità
V con la quale scorre la sbarra. Riferendoci ancora alla (24), poniamo xB = xA
e otteniamo
−V (tB − tA )
l0 = x0B − x0A = q (26)
1 − V 2 /c2
dalla quale otteniamo
l0 q
tB − tA = − 1 − V 2 /c2 (27)
V
(notiamo che se per esempio V > 0, come nelle gure precedenti, tB − tA risulta
negativo: giustamente, l'estremo A passa davanti all'osservatore dopo l'estremo
B ). Dalla (27) otteniamo dunque
q
| V (tB − tA ) | = l0 1 − V 2 /c2 (28)
6
che coincide con la (25).
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L'intervallo di tempo (innitesimo) misurato tra due eventi che avvengono
nello stesso punto dello spazio (tridimensionale) viene chiamato intervallo di
tempo proprio tra tali eventi e viene indicato con il simbolo dτ . In un generico
sistema di riferimento risulta quindi:
dt = γdτ (34)
poiché γ > 1. Ciò signica che Ta < TT ovvero che l'astronauta è invecchiato
meno del fratello.
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Dividendo membro a membro per dt0 :
dx0 dx − V dt
vx0 = 0
= (39)
dt dt − (V /c2 ) dx
E dividendo per dt numeratore e denominatore:
dx0 vx − V
vx0 = 0 = (40)
dt 1 − (V /c2 ) vx
Si vede che, nel limite di traslazioni a piccola velocità rispetto a quella della
luce, la legge di composizione relativistica diventa quella galileiana.
Come semplice esercizio, possiamo vericare che la relazione precedente
conferma l'invarianza della velocità della luce. Ponendo infatti vx = c si ha:
c−V
c0 = =c (41)
1 − (V /c2 )c
È inoltre semplice vedere che la composizione di due velocità inferiori a quella
della luce fornisce una velocità anch'essa inferiore a quella della luce. Basta per
questo dimostrare che si ha comunque
vx − V
vx0 = <c (42)
1 − (V /c2 ) vx
per qualsiasi valore di vx e V (purché entrambe minori di c). La disuguaglianza
precedente si può scrivere infatti
V
vx − V < c − vx (43)
c
ovvero
vx (1 + V /c) < c (1 + V /c) (44)
Quadrivettori
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Chiameremo dunque quadrivettore un vettore appartenente a tale spazio. In
generale, un quadrivettore è una grandezza che, sotto una trasformazione di
Lorentz ovvero una trasformazione da un sistema inerziale ad un altro, si
trasforma come x, y, z e ct. Una qualsiasi grandezza sica vettoriale sarà dunque
di fatto una grandezza quadrivettoriale. Le quattro componenti vengono chiamate
componenti controvarianti e sono scritte con un indice in alto. Ricordiamo che
x0 = ct x1 = x x2 = y x3 = z (45)
aµ = (a1 , a2 , a3 , a0 ) (46)
aµ = (a , a0 ) (47)
a0 b0 − a1 b1 − a2 b2 − a3 b3 (48)
a · b ≡ a0 b0 − a1 b1 − a2 b2 − a3 b3 (49)
a · b = gµν aµ bν (50)
dove
aµ = gµν aν (52)
10
e possiamo dunque scrivere il prodotto scalare anche così:
a · b = aµ bµ = aµ bµ (53)
t2 > t1 (58)
x2 > x 1 (59)
11
Possiamo scrivere dunque che per tali eventi:
ovvero
c (t2 − t1 )
<1 (61)
x2 − x1
Osserviamo ora i due eventi precedenti da un altro sistema di riferimento. Con
una trasformazione di Lorentz abbiamo
t1 − (V /c2 ) x1
t01 = q (62)
1 − V 2 /c2
t2 − (V /c2 ) x2
t02 = q (63)
1 − V 2 /c2
cioè
t2 − t1 − (V /c2 )(x2 − x1 )
t02 − t01 = q (64)
1 − V 2 /c2
Vericare se è possibile che nel nuovo sistema di riferimento t02 − t01 sia negativo,
equivale a vericare se è possibile che si possa ottenere
V
t2 − t1 − (x2 − x1 ) < 0 (65)
c2
ovvero
(t2 − t1 ) c
V > c (66)
x2 − x1
D'altra parte, ricordando la (61), ciò signica che V deve essere maggiore di una
certa velocità comunque minore di c: cosa che è sempre possibile avere.
Da ciò segue che l'evento P1 può essere la causa dell'evento P2 solo se la
distanza tra tali eventi è di tipo timelike o lightlike; diversamente esisterebbero
sistemi di riferimento rispetto ai quali osserveremmo un eetto che precede
temporalmente la sua causa: in contraddizione con il principio di causalità.
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della quale la (21) è il caso particolare che riguarda un moto traslatorio di O0
lungo l'asse x (con assi paralleli). Per un generico quadrivettore, del quale xµ è
il prototipo, vale altrettanto la seguente legge di trasformazione, che è dunque la
legge di trasformazione per le componenti controvarianti:
Poiché tale uguaglianza deve essere valida per qualsiasi valore di aσ segue
0
b µ = Θνµ bν (73)
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tabella non ha alcun particolare signicato; è soltanto un utile metodo di scrittura
e gli indici µ e ν sono semplicemente indici di riga e di colonna:
¯ ¯
¯ 0 −Bz By Ex /c ¯¯
¯
¯ Bz 0 −Bx Ey /c ¯¯
F µν = ¯¯ ¯ (74)
¯ −By B x 0 Ez /c ¯¯
¯
¯ −Ex /c −Ey /c −Ez /c 0 ¯
E inventiamoci anche questa matrice colonna:
¯ ¯
¯ jx ¯
¯ ¯
¯ jy ¯
j µ = ¯¯ ¯
¯ (75)
¯
¯
jz ¯
¯
¯ cρ ¯
Nelle espressioni precedenti, l'indice zero deve essere pensato come indice
quattro, riferendosi cioè alla quarta riga o alla quarta colonna, a seconda dei
casi.
Ebbene, le equazioni di Maxwell non omogenee sono contenute in questa
relazione:
∂µ F µν = µ0 j ν (76)
∂1 F 11 + ∂2 F 21 + ∂3 F 31 + ∂0 F 01 = µ0 j 1 (78)
ovvero
∂Bz ∂By 1 ∂Ex
− − 2 = µ0 j 1 (79)
∂y ∂z c ∂t
cioè:
∂Ex
(rotB )x = µ0 jx + µ0 ε0 (80)
∂t
Ponendo ν = 2, 3 si ottengono equazioni simili per le altre componenti. Ponendo
ν = 0 otteniamo invece:
∂1 F 10 + ∂2 F 20 + ∂3 F 30 + ∂0 F 00 = µ0 j 0 (81)
ovvero
1 ∂Ex 1 ∂Ey 1 ∂Ez
+ + = µ0 cρ (82)
c ∂x c ∂y c ∂z
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cioè
div E = µ0 c2 ρ = ρ/ε0 (83)
È inoltre molto semplice scrivere l'equazione di continuità. Infatti si ha
ovviamente:
∂µ ∂ν F µν = 0 (84)
poiché sulla quantità antisimmetrica F µν agisce l'operazione ∂µ ∂ν che è
evidentemente simmetrica negli indici µ e ν . D'altra parte, per la (76), si ha
∂µ ∂ν F µν = µ0 ∂µ j µ (85)
∂1 j 1 + ∂2 j 2 + ∂3 j 3 + ∂0 j 0 = 0 (87)
ovvero
1∂ 4 ∂ρ
div j + j = div j + =0 (88)
c ∂t ∂t
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con
x0ν = Λνµ xµ (91)
dove con eµ e e0ν sono indicati i versori degli assi coordinati nei rispettivi sistemi
di riferimento. D'altra parte, per i versori, vale la legge di trasformazione
Da ciò segue:
v µ (x) Λνµ e0ν = v 0ν (x0 )e0ν (94)
ovvero:
v 0ν (x0ρ = Λρσ xσ ) = Λνµ v µ (x) (95)
Meccanica relativistica
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parte, riproduca la (102) stessa nel limite di velocità piccole rispetto a quella della
luce.
Cominciamo con il denire le quantità cinematiche rilevanti.
Supponiamo di individuare un punto materiale in movimento in un certo
riferimento inerziale R che, ad un dato istante t, ha coordinate spaziali x, y e z .
Ciò equivale a conoscere il raggio vettore
dxµ = (dx, dy, dz, cdt) = (vx dt, vy dt, vz dt, cdt) (104)
La sua norma è
dalla quale si vede che l'intervallo di tempo dt0 , misurato nel sistema di riferimento
che in quell'istante segue il punto materiale nel suo movimento, è un invariante
relativistico (poiché lo sono (dxµ )2 e c2 ). Tale intervallo di tempo viene di solito
indicato con il simbolo dτ e, come abbiamo già avuto occasione di dire, viene
chiamato intervallo di tempo proprio. Si ha dunque:
q
0
dt = dt 1 − v 2 /c2 ≡ dτ (107)
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Dividendo per dτ (che è una quantità scalare) otteniamo dunque un altro
quadrivettore:
dxµ
v c = (γ v , γc)
uµ ≡ = q , q (109)
dτ 1 − v 2 /c2 1 − v 2 /c2
che è naturale denire come quadrivelocità, giacché la sua parte spaziale coincide
proprio con l'ordinario vettore velocità, nel limite non relativistico. Notiamo che
la quadrivelocità ha norma costante (positiva) uguale a c2 :
à !
µ 2 2 2 2 2 2 2 v2
(u ) = γ c − γ v = γ c 1− 2 = c2 (110)
c
f = q (E + v × B ) (112)
fx = q (Ex + vy Bz − vz By ) (113)
fx = q (cF 10 + vy F 21 − vz F 13 ) (114)
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Ora studiamo con cura il seguente passaggio, nel quale abbassiamo gli indici della
quadrivelocità. Ricordiamoci che, per la struttura di gµν , si ha u0 = u0 , ui = −ui
(questa è una regola generale da tenere sempre presente: la quarta componente
di un quadrivettore rimane immutata abbassando (o innalzando ) il suo indice ; le
componenti spaziali cambiano segno ).
Ricordiamoci anche dell'antisimmetria del tensore elettromagnetico. Con
queste indicazioni è facile rendersi conto che si ha:
à !
1 u0 10 u2 12 u3 13 u1 11 q
f = fx = q F + F + F + F = uν F 1ν (116)
γ γ γ γ γ
(l'ultimo addendo è identicamente nullo e lo abbiamo aggiunto nell'espressione
(115); in questo modo però ci siamo avvantaggiati ottenendo una scrittura nella
quale compaiono tutti gli indici sommati).
Espressioni analoghe si ottengono per le altre componenti spaziali di f e in
denitiva possiamo vericare che:
γf i = qF iν uν (117)
γf 0 = qF 0ν uν (118)
e scrivere
γf µ = qF µν uν (119)
Al secondo membro abbiamo un quadrivettore e allora lo è altrettanto il primo
membro che denisce così la quadriforza F µ :
F µ ≡ γf µ = qF µν uν (120)
mc2
f · v dt = d (mc2 γ) = d q (126)
1 − v 2 /c2
Al primo membro compare il lavoro compiuto dalla forza di Lorentz nel tempo
dt; dunque al secondo membro deve comparire la variazione di energia cinetica
dE . Questo ci suggerisce la seguente espressione per E :
mc2
E=q (127)
1 − v 2 /c2
che, a parte il valore costante mc2 , coincide con l'espressione classica. D'altra
parte, se l'espressione corretta per l'energia cinetica è la (127), non possiamo
omettere il termine mc2 che risulta dunque presente anche per velocità nulle.
Questo termine è chiamato energia di riposo che compete ad un punto materiale
di massa m. Il solo fatto che un corpo abbia massa m implica pertanto
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che esso possieda comunque un'energia pari a mc2 : massa ed energia sono
dunque strettamente correlate. Discuteremo più avanti l'eettiva validità della
(127). Un'altra relazione importante lega l'energia all'impulso di una particella.
Ricordiamo infatti che
mc
pµ = p , q
1 − v 2 /c2
Moltiplicando per c:
mc2
cpµ = cp , q = (cp , E)
1− v 2 /c2
da questa si ricava
c2 p2 = E 2 − c2 |p |2 (129)
nella quale p è la parte spaziale del quadrimpulso:
mv
p= q (130)
1 − v 2 /c2
Ricordiamo inoltre che
1
p2 = pµ pµ = 2 2
(mc2 − mv 2 ) = m2 c2 (131)
1 − v /c
e dunque, dalla (129):
E 2 = c2 |p |2 + m2 c4 (132)
A questo punto, è molto importante studiare il caso limite nel quale si considerano
particelle di massa nulla.
In meccanica classica, ad una particella di massa nulla competono impulso
ed energia nulli. In pratica ciò signica che, in meccanica classica, non esistono
particelle di massa nulla. O, per meglio dire, la eventuale presenza di particelle
a massa nulla non è osservabile: non possiamo accorgerci se esse intervengono in
un qualsiasi processo, dal momento che esse non apportano alcuna variazione di
impulso o di energia (e anche di momento angolare).
La situazione è completamente diversa in relatività: la presenza di particelle
di massa nulla è assolutamente ammissibile ed osservabile. Ce ne accorgiamo dalla
(131): nel limite di m che tende a zero osserviamo che il quadrimpulso è di tipo
luce:
p2 = pµ pµ = 0 (133)
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ma ciò non signica che la parte spaziale e quella temporale di pµ siano
separatamente nulle. Per di più, dalla (132), possiamo anche osservare che una
particella di massa nulla possiede un'energia cinetica:
E = c |p | (134)
c2 |p |
E= (135)
v
Confrontando con la (134) si vede che per una particella di massa nulla si
ha necessariamente v = c; ovvero una particella di massa nulla si muove
necessariamente alla velocità della luce.
Questi risultati non sono in contraddizione con le espressioni (127) e (130)
che sembrerebbero fornire impulso ed energia comunque nulli, quando m tende
a zero. Infatti, tali limiti sono eettivamente zero se v è diversa da c: in questo
caso la particella è inosservabile, come in meccanica classica; ma se si ammette
che il passaggio al limite m → 0 sia accompagnato da v che tende a c, i limiti in
questione possono benissimo essere diversi da zero.
Notiamo che la relazione (134) è quella che lega energia e impulso di un'onda
piana monocromatica. Ciò ci permette di interpretare la propagazione del campo
elettromagnetico come propagazione di particelle di massa nulla: i fotoni.
Rimane la questione della validità della (127), dalla quale derivano le
circostanze che abbiamo appena esposto. In particolare, vogliamo valutare
l'energia di risposo per la quale deve valere
E = mc2 (136)
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acquistando una quantità di moto − px (a meno che, ma questo è assolutamente
irragionevole, non si voglia rinunciare al principio di conservazione dell'impulso).
Quando poi la luce sarà arrivata ed assorbita da S , il vagone tornerà ad avere
quantità di moto nulla. Di quanto si è spostato il vagone, viaggiando con impulso
− px , prima che la luce venga assorbita? È evidente che la velocità del vagone è
vx = − px /M (137)
t = L/c (138)
F 0µ = (f , 0) (144)
anché
F ·v =0
F 0µ = (fx , 0, 0, 0) (145)
Fx = γfx (146)
F0 = γβfx
d
(γfx , γβfx ) = (mγvx , mγc) (147)
dτ
ovvero, ricordando che
dt = γdτ
d
(γfx , γβfx ) = γ (mγvx , mγc) (148)
dt
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Semplicando il fattore γ :
d
(fx , βfx ) = (mγvx , mγc) (149)
dt
La componente spaziale di questa equazione è:
d mvx
fx = q (150)
dt 1 − vx2 /c2
che, per piccole velocità, si riduce alla formula galileiana. Dall'equazione per la
parte temporale
d
βfx = mγc
dt
ricaviamo
mc2
fx vx dt = d(mc2 γ) = d q (151)
1 − v 2 /c2
Al primo membro compare il lavoro fatto dalla forza nel tempo dt; dunque al
secondo membro deve comparire la variazione di energia cinetica dE . Anche ora
vediamo dunque che la relatività ci suggerisce l'espressione
mc2
E=q (152)
1 − v 2 /c2
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