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STORIA DELL'ARTE MODERNA LEZIONE 11

Nicolo dell'Abate – questo artista, come dimostra in uno dei tre grandi cicli ispirati alla letteratura dell'Orlando
Furioso dell'Ariosto, mostra nell'apparato decorativo,all' interno del quale si svolgono i passi di Ariosto, come
egli considera la pittura di artificio ( in questo caso la scultura) sullo stesso piano della pittura di natura; è
una dichiarazione epicurea che quindi considera veridico tanta la contemplazione naturale quanto quella
dell'immaginazione contrariamente a quello che pensavano gli stoici e questo serve a introdurre la
contemplazione, in questo caso, delle storie ariostesche di cui viene particolarmente sviluppato il sesto libro
quello che è dedicato agli amori fra Rinaldo e Armida del quale il racconto segue ( come aveva fatto per
l'Eneide) attentamente i vari momenti che il letterato aveva previsto proprio nel rispettare l' immaginazione
artistica del letterato.
Vediamo il mare nel quale si affronta la barchetta di Rinaldo e la flotta del nemico contro questa distesa di
acque e di cielo bellissimo nell'ora avanzata del giorno.

Vediamo come il pittore si immerga in questo racconto favoloso con questa pittura straordinariamente liquida
che segue lo sfavillare dell'immaginazione e in particolare vediamo il dettaglio in cui Rinaldo ( che è stato
rimbambito dalla maga Armida ) e viene richiamato dal mago positivo perché si sta comportando in modo
effeminato anziché in modo guerriero e infatti il pittore connota la figura di un orecchino interpretando il
termine effeminato storicamente ovvero colui che sta troppo dietro alle femmine; questo rimprovero
ricevuto risveglia Rinaldo ( sul primo piano) che ha ripreso l' armatura e fugge dal castello in cui era stato
rinchiuso; segue l'episodio molto bello dal punto di vista figurativo tra Rinaldo e le forze del bene contro le
forze del male in questo bellissimo mare nel quale si affronta la barchetta di Rinaldo e la flotta del nemico
contro questa distesa di acque nell'ora avanzata del giorno.
Questo atteggiamento positivo verso l'immaginazione e verso la natura che dimostra l' indole epicurea di
Nicolo ben diverso dal terzo grande che passa un periodo di anni in Francia che Benvenuto Cellini ( scultore,
anzi orafo come era appellato) il quale si forma nella Roma di Clemente VII negli anni 30, poi tra il 30 e il 40
va a Parigi dove esegue questa Ninfa di Fontainebleau e poi ,dalla metà del '40, torna a Firenze dove esegue i
grandi capolavori di Perseo, Narciso, Ganimede e poi il tardo crocifisso a Filippo II di Spagna; come ha
osservato Del Bravo lo scultore Cellini si connota di toni fortemente legati allo stoicismo che si concentrano in
tre punti:
 modo in cui lui esalta la natura
 il modo in cui conosce la natura cioè cataletticamente
 ha nella sua arte la provvidenza che proviene dalla mente divina della natura.
Questo rispetto profondo per la natura appare nell'immagine che è data da una Ninfa che nasce da una

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sorgente di acqua che raffigura, in un certo senso, la natura stessa, la natura madre

e vediamo che in questa esaltazione della natura madre egli dimostra una mentalità catalettica di bloccare i
dettagli anche minimi di quella natura sia essa animale ( pensiamo alle setole del cinghiale o la complessità dei
frutti o la ricchezza della peluria attorno al museo del cervo o allo scorrere delle acque e vediamo che ferma
questi dettagli anche nei capelli e nel volto della ninfa) li ferma con rispetto fortissimo nell'individualità di
questi elementi bloccandoli secondo la catalessi che prevede lo stampo di quell' immagine nell'immaginazione
dell'artista emettendo un giudizio di verità su queste percezioni.
È interessante vedere come, in quest'opera e nelle altre, egli rispetti l'identità proprio dei modelli che in
seguito rappresenta e questa modella è oltretutto quella servicina (come dice il Cellini stesso in un passo della
Vita scritta da sé medesimo) che “aveva rubato quella servicina la quale era nova nova” cioè aveva amato
fisicamente per la prima volta questa fanciulla che era, appunto, nuova nuova.
Questa attenzione per ricevere impressione esatta della natura e per fermarla non va confusa con l'adozione di
un disegno intellettivo perché vediamo che non ce l 'esasperata interna struttura disegnativa perché è un
disegno pratico che vuole fermare ciò che è impresso nell'immaginazione, del resto questa attitudine più
pratica che intellettiva la dichiara o stessa Cellini il quale, in un sonetto ( poesia 85 del Canzoniere) scrive “ non
son d' ingegno si alto e profondo che solver possa un dubbio, carne sangue ossa quel son i miei libri”ovveoro fa
una dichiarazione di sfiducia nell' intellezione ( che secondo lui non risolvei dubbi della vita) ma di avere
come proprio testo la carne,ilsangue,le ossa quindi la natura per come si sviluppa e cambia nel tempo.
Questa attenzione catalettica a farsi imprimere e bloccare dalla natura ・molto interessante perché ripete
anche nei grandi capolavori fiorentini del Perseo e nelle statuette che fanno da base, non che nel bellissimo
Narciso che ora ・al Bargello

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due figure che la letteratura antica ci ha consegnato come dominati dalla provvidenza in particolare nel caso di
Narciso questa provvidenza è una provvidenza nefasta perché era stato avvistato di non guardarsi troppo
perché avrebbe trovato la morte e qui vediamo come lo scultore raffiguri la figura di Narciso con un modello
bellissimo nell'atto di rispecchiarsi ma vediamo che sul retro di questo sedile di pietre e edera (che
miracolosamente si arrampica) ha rappresentato l'immagine del serpente che strisciando entra nelle fessure e
indica un insidia che è quella che porterà Narciso a morire nello stesso specchio d'acqua in cui si rifletteva;
questa sempre rappresenta una provvidenza , un fato, un destino, che il giovane Narciso vive e che non
contrasta pur avendolo anticipatamente conosciuto.
Questa provvidenza di stoica necessità che per lo scultore domina l'esistenza della natura è identificata nella
divinità che, come si evince dal racconto che fa nella sua Vita del momento in cui concepisce questa immagine
di Cristo morto in croce

infatti racconta che trovandosi lui in un carcere (una delle tante volte in cui vi finì) vide “un sole bellissimo e in
mezzo a detto sole cominciare a gonfiarsi un Gesù bellissimo che, ad un tratto, si fece un Cristo in croce della
medesima cosa che era il sole, dopo questa visione mi restò un splendore cosa meravigliosa sopra il mio capo “.
Capiamo che nel vedere prima il sole e gonfiarsi di questo sole fino a prendere le sembianze di un Cristo
crocifisso c'è questa identità, che lui sente da stoico, fra Dio e la natura divina e ha in sé le redini della
provvidenza e della necessità.
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Quando il Cellini torna a Firenze dall'esperienza francese ( introno alla metà degli anni '40) egli trova la città
immersa nelle discussioni suscitate dal Varchi introno alla maggioranza delle arti che, nelle riposte di
Michelangelo e Tribolo, l'idea della superiorità della scultura intellettiva che raffigura la natura infusa di spirito,
nel Rosso e nel Bandinelli la predilezione dell'artificio in entità con l'idea e del Pontormo, invece, l' esaltazione
della relatività e della prassi e vediamo come in questa situazione fuoriesce come pittore importantissimo il
Bronzino il quale, allievo del Pontormo,inizia con le figure degli evangelisti nei tondi sulla parte superiore della
cappella di Santa Felicita e quindi parte da questa prassi e concetto della relatività propria del Pontormo ma
vediamo che la risolve in senso epicureo per questa forte ispirazione che ha verso la verità dell’immaginazione
che lui vede come il luogo dove raggiungere la bellezza e la felicità soprattutto quando, di questa
immaginazione, ne vede le molteplici facce diverse.
In particolare sui si ispira alla scultura del Tribolo che abbiamo visto dare alla scultura un senso di verità e
infatti vediamo come in questa pala della Cappella di Eleonora di Toledo (moglie di Cosimo I dei Medici, che si
trova a Palazzo Vecchio -1545-)

egli tratti le figure come fossero gioielli e in particolare negli angeli che si trovano nella parte alta faccia
riferimento ai putti del Tribolo per le fontane della villa di castello e però le consideri muovendoli in modo tale
da osservare le molte complesse facce e quindi i molti e complessi riflessi di luce.
In questo modo egli ottiene questa bellezza in questo diletto di un'arte che e verità ma non verità che porta
alla trascendenza bensì verità che provoca diletto e quindi felicità e piacere in chi la contempla; questo aspetto
si trova anche nella parte bassa dove vediamo che le singole figure, le loro vesti, i loro decori, sono fermati
nella loro preziosità come fossero gemme incise, bronzi, avori o smalti proprio per esaltare questo splendore
che riflette la luce come la testa bellissima della Maddalena, la barba e i capelli bianchi della figura che porta i
chiodi della croce di Cristo, ai capelli della figura angelica che porta il sudario; in questo senso le figure sono
gemme e questo lo si vede anche nei ritratti come mostra questo bellissimo

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in cui vediamo che la figura è considerata come un cammeo che riflette la luce, come sapevano bene chi si
dilettava queste osservazioni, questo riflettere la luce e vedere questi splendori genera piacere, contentezza e
pace e questa immagine preziosa differisce molto da quella invece non preziosa del maestro del Bronzino che è
il Pontromo e nel bellissimo ritratto

vediamo che e completamente alieno da questa preziosità e insiste piuttosto su quelle forme e sentimenti che
abbiamo visto in Pontormo ovvero quella dell'apprensione che si nota negli occhi che seguono un divenire e
che si traduce anche nella composizione generale dove vediamo che non rispetta le proporzioni delle
lontananze in modo tale che la figura appaia in questa nobilissima architettura come sospesa esattamente
come sospeso è il suo animo da quel che dicono i suoi occhi.
In questa situazione vediamo che entrano in scena due importanti figure:
 Cecchino Salviati
 Giorgio Vasari
i quali iniziano entrambi nella Roma di Clemente VII ma divergono molto per le soluzioni che trovano.
Infatti se osserviamo questa preziosità ricercata dal Bronzino, il passaggio all'immagine del Salviati ci parla di
un diverso concepire l'arte e il sentire, perché nei ritratti

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vediamo come Salviati esalti soprattutto un disegno che porta a far fiorire il colore e a far fiorire un colore
vivissimo nel cogliere i contrasti fra pallori, arrossamenti, in modo tale da esaltare ( come massimo) la natura
che si esplica nel sentire del cuore e infatti questi ritratti negli occhi e nelle forme sono tutti ritratti che cercano
un incontro e lo cercano con una franchezza e una cordialità molto forte ; questo aspetto di disegno che però
confluisce in questo colore che è il colore degli affetti e della natura, il Salviati, dopo l'esperienza romana, lo
porta a Venezia dove si reca, insieme al Vasari , tra il '39 e il '40 e vediamo che lascia un opera molto
importante che è questa Pietà

nella quale vediamo che questa tenerezza verso il sentire umano, se pur retta dal disegno, fiorisce anche qui
grazie al colore infatti vediamo che qui coglie la fragranza fortemente naturale del dolore della madre che si
interroga, del dolore della Maddalena che contempla il braccio e la mano, di Giovanni che è colto nel momento
sta per andar via stretto dal dolore, il dolore che vediamo si acqueta nella bellissima figura di Cristo
addormentato nella morte e bellissimo nel corpo, nel volto e nei capelli così castani e contrastanti con il pallore
della pelle.
Questa attenzione ad esaltare la bellezza della natura e quindi della natura bella si trova anche in un altro
affresco che appartiene a quel momento romano che succede al momento veneziano e che porterà Salviata ad
essere uno dei affrescanti più richiesti della nobilita romana e di molte chiese; questa meditazione su Gesù
morto si trova in una cappella di Santa Maria dell'anima a Roma

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e anche qui vediamo come il disegno serva ad esaltare la bellezza, la dolcezza, tenerezza èaffettuosità tattile
che si avverte nel angelo che sostiene il corpo di Gesù e la testa di Gesù che si sprofonda verso la Maddalena in
un abbandono di morte.
Tornando a Firenze (negli anni '50) decora la Sala di Camillo in Palazzo Vecchio del quale vediamo le figure del
basamento (elementi che dividono le varie storie della vicenda di Camillo)

e qui vediamo confermato quel discorso dell'esaltazione della natura bella nella scalo che si individua dove
pone al grado più basso ( cioè più lontano rispetto a chi osserva) la pittura di architettura poi pone la pittura di
scultura e poi pone al grado più profondo (cioè più vicino a chi guarda) il grado della natura bella che è
quella dei giovani che abbracciano la natura e l'abbracciano guardandosi teneramente negli occhi, quindi
vediamo che è un grande poeta della natura ed e una posizioni che lo distanzia, non poco, dal Vasari con cui
aveva iniziato nella Roma di Clemente VII e era andato poi, fra il 39 e il 40 ,a Venezia.
Del Vasari vediamo una delle opere pittoriche più belle che e l'Adorazione del bambino (che si trova nel
complesso di Camaldoli, dove venne chiamato a dipingere per la Chiesa del monastero un complesso di dipinti
scomposti in vari parti della chiesa ma che dovevano comporre l'altare maggiore) e introno al '40 (a cavallo dei
soggiorni veneziani) appartiene i due laterali con Madonna con bambino fra San Gerolamo e San Giovanni
Battista e l'adorazione del bambino

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e qui vediamo subito che rispetto al Salviati prevale tutt'altra disposizione perché, anzi ,al vertice nella zona più
in qua rispetto al fondo l'artista ha posto una bellezza carica di artificio che lui aveva appreso quando era
ancora giovanissimo tra il '27 e il '30 attraverso le opere che il Rosso aveva lasciato nel territorio Aretino e
infatti il Vasari dipinge con forme molto artificiose che rendono le pieghe e vesti come pietre scolpite
esattamente come erano le pieghe del Rosso nella " crocifissione volterrana" e questo lo fa per creare un
aspetto ideale che accompagna quel bambino che irradia luce, che è luce ideale e non naturale, e vediamo che
pone questo artificio come un grado massimo dell'arte che entra in dialettica con un grado più sul fondo che è
quello della natura nella notte, quieta dall'oscurità svegliata dalla luce di una torcia in quelle figure che si
affacciano dal balcone per osservare ciò che avviene.
Questo continuo passaggio tra natura e artificio (che nella pittura egli sempre coltiva) si vede in particolare in
due grandi capolavori del Vasari che sono quelle delle " Vite” degli artisti e il capolavoro architettonico che
sono gli Uffizi del Grande ducato.

Nell'idea che egli ebbe degli Uffizi c'era questo senso di pace che si adatto molto a questa dimensione della
città di Firenze che è una citta fatta per la contemplazione in cui anche la vita degli uffici (che regolavano la
città e l'intero granducato) la vita è parte integrante di questa disposizione intellettiva e contemplativa e in un
certo senso non si può scindere da essa.
Vediamo che il Vasari in questa architettura ha adottato il linguaggio del divino Michelangelo il quale, come
faceva Brunelleschi, adotta il sistema più disegnativo che c'è in architettonica ovvero quello cioè delle grandi
strutture di pietra serena in rapporto a un fondo bianco e lo fa immaginando come questa serie di finestre e di
piani servano, in un certo senso, da canale ottico, corridoio fra due estremi della natura e dell'idea – natura è

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quella dell'Arno che scorre da un lato e che in certe condizioni di sole riflette la luce sulle volte della loggia che
vi si affaccia, ma è anche un corridoio che collega questo scorrere perpetuo della vita, della transitorietà,
questo cambiare della vita ( perché l'Arno si gonfia e si sgonfia, fuori esce o si secca) invece a un principio che
è quello dell'architettura del palazzo e poi dai piani più alti della cupola che sovrasta il palazzo stesso con segno
di forte unità che è nella lanterna.
In questa situazione il Vasari concepisce le " Vite " esattamente come un continuo passare fra fluire della vita e
idea e l'idea è quella per cui tutto viene a finire e poi a dipendere dal divo Michelangelo ( che lui pone come
raggiungimento divino dell'arte che è il massimo ed è idea) ; intorno pone il fluire delle vite degli altri artisti e
nel suo modo di raccontarle, attraverso aneddoti, cerca di individuare le ragioni delle arti degli altri, il modo di
vedere il mondo, le diversità continue e straordinarie della vita e quindi questo gioco continuo tra idea e
scorrere dell'esistenza.
Questo aspetto fa delle Vite il monumento di questo 500 mediano perché, la pari delle accademie, propone i
vari modi di intendere l'arte e vedere il mondo affinché chi lo legge possa confrontarsi e riconoscersi in questo
o in quel modo di vederlo.
In questa situazione viene dal Veneto uno scultore fiorentino che è Bartolomeo Ammannati il quale passa gli
anni '30 è40 nel Veneto di Ansovino ed infatti la sua figura del Nettuno detto Biancone

assomiglia molto al poderoso Biancone che Ansovino stava erigendo a palazzo ducale nella " scala dei giganti"
ma vediamo anche come lo scultore rispetto a questo poderoso disegno strutturante del Ansovino e a questa
che regge questa premianda naturale della forme prediliga invece la tenerezza e questa assenza di struttura
che si avverte osservando, ad esempio, i glutei di questa figura che non si sostengono come sfere ma si
modulano nella luce che trascorre e questa posizione scettica verso il disegno si avverte anche nelle figure
bronzee di Pontormo dove vediamo che lo scultore fa porre a questa figure delle rotazioni senza badare
all'interno mutamento della struttura; in tal modo il ventre non si sorregge ma è come una plastica che si
distorce; questo aspetto scettico che quindi porta questa tenerezza verso lo scorrere e il variare della natura e
dei corpi si riflette anche nell'opera architettonica più visibile dell'Ammannati che è il ponte di Santa Trinità di
Firenze

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un ponte in cui si rifiuta la forma geometrica pura, della semi-sfera, della semi-circonferenza per adottare
quella curvatura " a catena " ovvero sospendendo una catena vedendo che forma viene fuori quindi figura
geometrica che è verificata e presa dall'esperienza e dalla pratica che è questa esperienza e pratica che
l'Ammannati fa vedere anche nella sua scultura.
SITUAZIONE DI VENEZIA
I termini del discorso sono diversi da quelli fiorentini perché Venezia parte da un punto di partenza scettico più
che ideale e infatti vediamo come, in questo 500 mediano, il problema su cui gli artisti dibattono è quello sulla
natura e la verità naturale delle cose e dell'arte; questo avviene anche nel caso di Tiziano, che a partire dagli
anni 30 e poi 40, diventa uno dei membri di un triunvirato insieme all'Aretino e a Sansovino, i quali dominano
la scena veneziana fino agli anni '70.
Tiziano, nel primo decennio della sua attività (anni '20), aveva espresso quei concetti di bellezza apicale la quale
si impone sul tempo, una bellezza che è quella dell'Eros, dell'amicizia, della agape, come dichiaravano le
immagini dei due giovani innamorati del quadro di Edimburgo

o quello dell'Assunta dei frari.

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Questa bellezza apicale, per esprimere la vittoria sul tempo che scorre, negli anni 20 e 30 cambia in una
contemplazione più distesa e prolungata nel tempo e questo lo dimostra sia la pala di Pesaro ( 1519 -1526) in
santa Maria gloriosa dei Frari dove all'ebrezza che avevamo visto nell'agape della Madonna Assunta succede
una distensione più calma e quieta nella pace dell'ora, un senso di abbandono a questa pace nell'ora e questa
unione; questo si avverte anche nei ritratti di questo tempo mediano degli anni 20 di Tiziano come in questo
ritratto che si trova nella Palatina di Firenze

in cui vediamo che il pittore mostra questo giovane bello e di buona famiglia che si attualizza nell'ora però
toglie il senso malinconico dell'immediato trascorre e vi sostituisce un tempo più lungo e un senso di serena
vita nel tempo che questo giovane mostra di provare e ciò si avverte anche in un capolavoro del '37- '38 negli
Uffizi che e la Venere di Urbino perche fu portata a Firenze nel 37 del '600 da vittoria della Rovere come dote
per il suo matrimonio con Ferdinando II Dei Medici

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e anche qui vediamo il senso della contemplazione, della quiete, della calma di lei distesa sul letto con il
cagnolino che dorme e dei lavori che, sul fondo, le donne stanno compiendo.
In tutte queste opere vediamo come Tiziano coltivi una pennellata che si annulla nell'essere distesa sul corpo,
sui panni, su altri elementi proprio perché non vuole disturbare con la sua presenza attiva di pennellata questa
bellezza e quiete però poi sul ,finire degli anni 30, vediamo come egli compia un deciso cambiamento formale
nel suo percorso perché incontra l'Aretino (che veniva dalla corte di Mantova di Federico II Gonzaga) e che ,
come mostra questo ritratto palatino di Firenze, che Tiziano li fa introno alla fine degli anni 30,

predica uno scetticismo cirenaico, in particolare nella famosa lettera che nel '37 scrisse a Ludovico Dolce nella
quale parla della natura e la necessità con l'arte di esprime questo rapporto fresco e immediato con la natura
dice infatti " la natura, della cui semplicità son segretario, mi detta ciò che compongo" quindi la natura come
immagine di semplicità che per lui è immediatezza del sentire , detta ispirazione alla sua pagina, però questa
natura non è , come diceva il Savonarola, la traccia della scrittura divina.
Il Vasari richiede una risposta immediata, senza tanti ripensamenti, perché dice " di scrivere come viene
perché tutto è ciancia eccetto il far presto” è una dichiarazione di scetticismo perche l'arte deve essere la
trascrizione diretta e immediata della semplicità della natura e non deve rifinire, usare la lima perché questo
altera la percezione immediata del dato e diventa ciancia (parlare vano e non veridico).
Questo lo si vede raffigurato con una grande partecipazione dello stesso Tiziano in un’immagine che fa
all'amico letterato e al loro amico Doge Gritti in questo meraviglioso ritratto.

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Nel primo vediamo che il pittore ha colto, nello sguardo e nella testa rivolta verso sinistra dell'Aretino, questa
voracità nel cogliere l'istante che passa e l'istante lo ha raffigurato nel porre la figura in una forte luce contro
un fondo che esalta l'idea dei bagliori della seta che egli porta e li danno un senso di un transire continuo e
bellissimo e vediamo che la pittura non cerca la continuità ma comincia a introdurre le tracce di un impegno
veloce del pittore che testimonia la rapidità con cui egli ha dipinto e non ha rifinito ma ha lasciato le cose così
come erano state dipinte perché esprimevano la verità attimale di quella percezione.
Nel ritratto del Doge, dal punto di vista della forma, palesa ancor più il laborìo delle pennellate che hanno
lasciato le cose come apparivano al momento, senza rifinirle e quindi dà il senso della velocità della pittura che
si adatta all'attimo in cui questa figura è apparsa dal fondo nero.
Formalmente questo modo di dipingere attimale corrisponde al contenuto con questa figura che ha questo
bellissimo volto che , come nell'Aretino, si volge a osservare ciò che sta passando e con questi occhi che lo
puntano per seguirlo, quasi catturarlo con questa idea bellissima della mano che stringe il mantello come artigli
di un aquila e vediamo che il pittore ha inserito questa riflessione scettica sulla rappresentazione veridica nel
trascorrere dell'uomo legata alla percezione anche con l'idea stupenda dell'uomo con il cinturone che lega,
sotto il ventre, gonfiando la pancia come un possente segno di potere e virilità, un' idea che egli riprende dal
suo amico Sansovino che lo aveva rappresentato in un giovane ( quest'idea della cinta che fa fiorire il torso)
privandola di questa forza disegnativa che si annulla nella pittura.
Oltre il riferimento al Sansovino vediamo come Tiziano risenta anche dell'insegnamento di Salviati e di questi
colori vivi in questo gioco di chiari e scuri; questo lo vediamo espresso nel capolavoro della flagellazione del
Louvre

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nella quale vediamo come il pittore ha dato chiarimenti sulla sua visione etica perché vediamo come in questa
opera ( etica ed estetica) attraverso il contenuto ( che significa il rifiuto del dolore) ha voluto dare espressione
di verità di natura, e quindi di quella verità di natura che diventa verità di arte che , in tal modo, si contrappone
alla ciancia ( che è anche la ciancia della lettera Cristiana) infatti la verità di natura è in questo Gesù che
rifiuta di ricevere i colpi delle canne e cerca di allontanare la sua testa da quelle dolorose sferzate e in questo
fuggire il dolore esprime quello che dice Aristippo " che fin da bambini si rifiuta il dolore e si ricerca il piacere" ;
questa verità di natura lui lo dipinge per esprimere questa sincerità semplice della figura di Gesù che è quella
immagine che l'Aretino da di Gesù in un testo molto bello intitolato " l'umanità di Cristo" nella quale egli dice
di lui che aveva una natura semplice come le nocciole nature e qui vediamo che Tiziano ha dato a Gesù la forza
semplice della natura che però l'arricchita di un'evocazione, letteraria e artistica, classica che è quella del
riferimento all'Eneide e al passo dell'Eneide in cui del Laocoonte si dice " che si dimena, come toro si sbatte
sull'altare e lui come toro si sbatte su questo altre sacrificale" e , in un certo senso, riferendosi al grande
capolavoro plastico ( scoperto nel 1508 a Roma)del Laocoonte scultoreo; questi riferimenti servono a verificarli
sulla verità della natura perché sono interpretati attraverso la verità di natura che non si identifica alla ciancia
che è invece attribuita alla lettere cristiana ( ovvero al dolore che Cristo visse volutamente a espiazione dei
peccati e come strumento di redenzione).
Questo aspetto di critica della lettera cristiana a favore di una lettura secondo la natura è ribadita da un
disegno inciso che Tiziano esegue

e che chiaramente è una ironica rappresentazione di quelli artisti che scimmiottano il Laocoonte scultoreo
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perché non si ispirava alla natura ma all'arte (straordinariamente rifinita) quindi facevano ciance e non la verità
naturale che Tiziano e l'Aretino auspicavano.
Da questa lode così sentita della natura e di una arte che risponde ai valori della natura e al modo con cui
l'uomo la coglie partono da questo 2 interpretazioni opposte che sono quelle del:
 TINTORETTO
 VERONESE
Due interpretazioni che partono da Tiziano ma vanno oltre sia in senso immanente che trascendente.
Tintoretto esalterà la relatività individuale del linguaggio come più importante della verità del narrato e porterà
nell'arte quella grande filosofia antica della sofistica che esalta la retorica sul contenuto perché esalta
l'individualità del retore sulla verità dei fatti.
La pittura del Veronese cercherà, del linguaggio, le ragioni trascendenti per dare verità al narrato.
Il Tintoretto è l’artista, che a metà degli anni 40, si auto raffigura in questo meraviglioso autoritratto
(Metropolitan di new York)

in cui , da un certo punto di vista, egli si dimostra attento seguace dell'Aretino –Tiziano e infatti sia per la
forma che per il contenuto infatti dal punto di vista formale egli pone se stesso nell'attimo ( fondo scuro e luce
che lo illumina), in un attimo in cui volge improvviso la testa e lo sguardo a captare qualcosa che passa e a
fissarlo per prenderlo e quindi ad esaltare quello che dice il Vasari ovvero ad essere un sensore immediato e
soggettivo di ciò che passa perché altrimenti diventa una ciancia e questo lo vediamo anche nel modo di
dipingere immediato, che non rifinisce ma esprime l'attimalità di come il pittore si è visto nello specchio.
Questo discorso dipende dalla pittura di Salviati, privata di quel disegno che sostiene, cogliendo nel pittore
questa comprensione delle superfici cromatiche con questo rapporto fra pallore del volto e oscurità del crine.
Negli anni 50, con le storie di San Marco che esegue nella scuola di San Marco fra il 51 e il 53 e poi con
l'immenso lavoro che esegue nella scuola di San Rocco (per tutto il resto della vita) egli dimostra di andare oltre
questa verità di natura rispettata che abbiamo visto in questo ritratto e infatti nel miracolo di San Marco che
risana un giovane morto e poi in questa opera per San Rocco che è l'immagine grandiosa del Battesimo di
Cristo

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vediamo come l'artista abbia il senso dell'impressione che suscita nel riguardante creata attraverso gli scorci,
queste prospettive, questo gioco impressionante di luce che otteneva mettendo molti modellini plastici
all'interno di scatole inserendo luci che creavano questi effetti ricordano quanti calchi lui aveva di opere
scultoree come ci viene testimoniato dai molti disegni che abbiamo di queste opere nel suo catalogo e
questo ci serve a capire come l'artista volesse stupire l'osservatore con queste soluzioni iperboliche ( che
raggiungono poi, in questa immagine del battesimo, un senso impressionante con questa specie di coro di
queste figure sul fondo) però vediamo che viene anche il senso di un assenza totale di disegno e questo lo
aveva capito il Vasari, il quale diceva della sua arte " stupendissima ,e chi la mira così a un tratto rimane
meravigliato ma a considerarla poi minutamente ella pare dipinta da burla" infatti ribadisce questo dicendo
che è come una baia perché lavorata senza disegno, a caso, da parte di chi è un terribile cervello presto e
risoluto ( in questo cervello presto e risoluto il Vasari individua la forte individualità soggettiva dell'artista
attribuendo questa capacità di stupire, meravigliare e far capire che non ha consistenza perché è una burla ed
una baia ); in questo usare il termine baia il Vasari fa riferimento a un testo di Platone, il Teteeto, contro la
concezione della sofistica antica, ovvero di quella filosofia che esaltava l'individualità umana (infatti Protagora
diceva " l'uomo è misura di tutte le cose") ma risolveva questo in una retorica che serviva ad esaltare chi la
faceva ma non necessariamente la verità, infatti dice Platone che "pur dicendo che l'uomo è misura di tutte
le cose intende il nome ma non la cosa il che sarebbe un camillo burlesco" cioè intende la forma ma non la
verità, ce una scissione fra la retorica e la verità dei fatti perché mancano di consistenza.
Il linguaggio crea una verità altra rispetto alla verità ed è quindi un sistema seduttivo che impone l'individualità
dell'artista sulla verità delle cose e del linguaggio.
Questa spiegazione della meraviglia e della mancanza di consistenza della pittura del Tintoretto vede nel
Veronese una totale opposizione perché questo artista (nato a Verona e vissuto a Verona poi artista veneziano)
vediamo come cerchi una verità trascendete del linguaggio che per lui diventa una forma preziosa e infusa di
luce perché strumento della sapienza ovvero il risalire dalla contingenza alla fonte divina come mostra questo
battesimo di Gesù del '48

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in cui vediamo a quello stordimento stupefacente del Tintoretto, ma inconsistente nelle strutture , opponga
una forma preziosa, riflettente in maniere splendente con le carni ,le vesti e i capelli dorati e soprattutto che
qualifica la figura di Cristo che qui è rappresentato come l'immagine della luce perchè è interamente investito
da quella luce che assimila nel proprio corpo e riflette nelle proprie vesti e quindi diventa quella immagine di
Cristo data in Giovanni " come colui che è vera luce" ( figura intrinseca alla fonte) e come dice lo stesso
Agostino commentando Giovanni " come luce della luce" cioè figura intrinseca alla fonte e quindi sapienza di
essa perché figura visibile che porta all'invisibile.
Negli anni 50 il Veronese raffigura figure sotto in su che irradiano o sono irradiate, che irradiano in questa
meravigliosa Trinità che incorona la Madonna che si trova nel soffitto della sagrestia della chiesa di San
Sebastiano (area periferica veneziana, una chiesa tra i campi, una chiesa monastica)

in cui questa sagrestia bassa presenta al centro questa irradiazione che avviene attraverso queste figure con
superfici che riflettono la luce e la espandono nella loro bellezza.
Nelle virtù che riceve San Marco

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vediamo che ugualmente questa luce è recepita da queste figure cristalline come di avorio, smalto oro.
Questo aspetto negli anni '60 va cambiando nel pittore come dimostra il proseguo dei lavori della chiesa di San
Sebastiano con la decorazione della navata della chiesa con le storie di Ester e Mardocheo nelle quali vediamo
la figura centrale del trionfo di Mardocheo

nella quale vediamo che non cede questo senso vertiginoso del sotto-insù ma vediamo che si placa questo
senso di purezza e intervengono figure più di carne e soprattutto cieli meno apicali immersi nella transitorietà
come ci dice il particolare della bandiera che sventola contro il cielo d'azzurro e di nuvole e poi questa discesa
nel tempo che passa testimoniato dalla bellissima nozze a Cana

che presenta, di nuovo, l’immersione nel tempo, nella varietà, nella ricchezza delle forme, della vita e dei suoni
e lo fa non per escludere che questo rappresenti il mezzo di sapienza per risalire al principio.
Questo lo dimostra, nel corso degli anni '60, nella decorazione della Villa Barbaro (Palladio)

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all'interno della quale il Veronese introduce un suo discorso sul passaggio dalla contemplazione nel tempo e
nell'azione alla contemplazione dell'origine del tutto, infatti chi entra nelle sale del piano nobile mostra queste
figure di giovanetti o bambina che si affacciano dalle porte per introdurre il personaggio in un situazione di
transitorietà e di passaggi; questa situazione di transitorietà è accentuata anche dalla componente di loggia che
connota i bracci lunghi di questa crociera e che apre alla bellezza transitoria del paesaggio introno con
immagine di ruderi, cieli con nuvole che passano

e in questa situazione incontriamo (lasciati qua e là, dipinte sui marmi dipinti) oggetti del passaggio dell'uomo
che diventano traccia di questo percorso all'interno.
Da questo transire nella bellezza piacevole nella contemplazione della vita terrena ecco che risalendo nella Sala
della Sapienza

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si apre ciò che regola e determina la bellezza nel suo trascorrere infatti al centro si propone immagine della
sapienza divina che sovrasta le figure dell'Olimpo pagano come qualcosa di superiore che porta l'origine del
tutto ponendo l'Olimpo come un'incarnazione di principi naturali (più sotto) che ha a sua volta (più sotto) le
figure bellissime dei 4 elementi posti agli angoli di questa parte della decorazione e poi il discorso prosegue
nelle lunette con le immagini delle stagioni

in cui si incarna quel principio divino nel trascorrere delle situazioni, dei frutti e della vita.
Questa situazione pittorica trova nella Repubblica Veneta la presenza di due grandi interpreti architettura che
sono
JACOPO SANSOVINO che diventa un protagonista dell'architettura di Venezia
PALLADIO
che esprimono due visioni diverse dell'architettura.
Sansovino, con la biblioteca di Venezia e della Zecca ,porta una cultura fortemente centro italiana nella città di
Venezia e porta questo linguaggio di latino architettonico nella città di Venezia connotandolo con caratteri
fortemente laurenziani perché continua l'opera del Coducci creando strutture che appianano il gomitolo
complesso della città veneziana aprendo un canale diretto fra piazza San Marco ( con la facciata della chiesa
patriarcale) e il canal grande su cui si affacciano queste due architetture e dal punto di vista architettonico egli
interpreta quel concetto plotiniano espresso nelle sue sculture ovvero di un forte disegno che sostiene in modo
tale da fare di queste opere degli strumenti contemplativi di estensione dello sguardo, sostiene però forme
che, nel bugnato rustico della zecca e soprattutto in questo gioco di colonne e pilastri e archi e strutture
scultoree attirano la luce, si conglomerano con la luce, vivono nel tempo proprio per esprimere questa
presenza del principio ulteriore nel transire e vediamo che in questo modo Sansovino, nella biblioteca ha

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creato un immagine commovente della cultura conservata nei grandi libri interna ad essa che si offre attraverso
le logge inferiori ( a chi vuole entrare) e attraverso le logge superiori di chi ( intriso in quella cultura) vuole
guardare il mondo e quindi rappresenta quell'ideale accademico che raccoglieva la cultura per renderlo
strumento degli uomini per il proprio modo di vedere il mondo.
Questa dimensione è molto diversa da quella che ci da Palladio come vediamo in palazzo Chiericati che si trova
a Vicenza, un'architettura che appiana i contrasti di quella sansoviana e tende a svilire il principio reggente del
disegno attraverso questo unico tono usato ,che è il bianco, in cui tutto si appiana e si riduce di importanza
rappresentando un equivalente di quella forma colore cioè di quella struttura che però non si sovrappone
alla natura ( che abbiamo visto in tanti pittori) che nel palazzo Chiericati si mostra in questo bellissimo loggiato
e soffittatura cassettonata in cui l'aspetto geometrico del disegno si disfa e questo spetto si avverte in un'opera
più intellettiva che è la Villa Rotonda nella quale vediamo che egli concepisce una struttura a pianta centrale
circolare che si apre attraverso un percorso percorribile alle stanze tutt'introno e poi infine alle bellissime logge
che appaiono come frontoni di templi romani ma in questo totale biancore svilita di ogni strutturalità e ridotta
in toni che serve a guardare con questa disposizione meno intellettiva il paesaggio contemplando la bellezza
del piano che va verso le montagne o si distende verso l orizzonte.
Questo senso più pratico e meno intellettivo lo si avverte anche nelle ville in campagna che il Palladio esegui e
progettò per la campagna vicentina, padovana e veneziana come mostra la foto che è uno dei tanti canali che
percorrono la piana sulla quale si affaccia un’altra bellissima che è la Villa al Bagnolo la quale nasce in questo
connubio con la natura.
Un’altra opera fondamentale del '46 è la Basilica di Vicenza e il progetto del Teatro Olimpico degli anni '80.

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