Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
A vent'anni dal suicidio di Tenco, Dalida per la prima volta racconta ciò che accadde davvero a
Sanremo
Parigi, gennaio
Dalida parla di sé: "Ho imparato ad accettare il tempo che passa. A 53 anni so bene cos'è la vita.
Eppure per la gente io ho tutto, o almeno così sembra leggendo i giornali di qua. "La cantante è
impegnata come protagonista del film II sesto giorno", scrivono. E giù un osanna di lodi. La verità è
che non sono mai riuscita a difendermi dal successo. Sono invincibile nel lavoro, ma il mio privato è un
fallimento. Sono una donna sola. Cercare un compagno? Che senso ha?".
Un po' a disagio, Dalida vince il naturale pudore e rivela: "Nessuna storia d'amore è paragonabile a
quella che ho vissuto io con Luigi Tenco. È il compagno del quale mi sento vedova. Dio mi perdoni se
non ho avuto il tempo di capirlo, di proteggerlo fino in fondo. Lui era il mio istinto, la mia vocazione
musicale. Mi sentivo presa dal quel "rivoluzionario" che nel '64 aveva abbandonato il Partito comunista
perché, diceva, "i rossi si son tutti sbiaditi". O che aveva interrotto gli studi d'ingegneria perché
sosteneva: "Io non costruirò mai ponti e case solo per far accumulare quattrini ai potenti. Meglio che
nelle case arrivino le mie canzoni". Come tutte le persone romantiche che rifiutano di crescere, lui era
il mio uomo ideale. Come non rimanerne soggiogata psicologicamente? Era un fiume in piena del quale
io pretendevo invece di arginare l'impetuosità. Mi sono accorta troppo tardi che avrei dovuto aiutarlo".
Quasi un senso di colpa. E in questa villa di rue D'Orchampt, a Montmartre. Luigi Tenco è diventato il
ritratto più familiare a Dalida. È la sua ultima fotografia. Con quell'aria improvvisamente indifesa
mentre canta Ciao amore, ciao nelle luci della festa.
Dalida perde ogni resistenza e rivela le proprie pene uscendo da una lunga eclisse. Vent'anni non sono
venti giorni. Ma ricordare non le costa fatica. Chissà quante volte ha ricomposto scenari di questa
storia. Dice: "Con la fantasia invento i nostri incontri. Lo rivedo per aggiungere manciate di minuti, di
giorni a quei ventott'anni finiti con una crocifissione. Piuttosto ribaldo, mi ripete versi da me già sentiti,
quelli del poeta Rimbaud: "Tutto quello che ci insegnano è sbagliato". Che carattere! Allora io trovo
1
pace, convincendomi che Luigi non poteva invecchiare a mediocre livello. Lui somiglia agli eroi, ai quali
il destino toglie l'umiliazione della vita terrena e il disagio del progressivo declino fisico".
Ma cos'è che l'ha stregata in questo modo di Tenco? "Indubbiamente il carattere", risponde.
"Era divertente con chi conosceva e scorbutico con quanti gli risultavano estranei. Con me, anche
nell'intimità, là dove le persone si tolgono la maschera lui, accidenti, alla confidenza preferiva
insopportabili silenzi. Era bello e sempre corrucciato proprio come i versi delle sue canzoni. Mi
appassionò il fatto di scoprirlo continuamente imprevedibile.
Cambiava umore, ribaltava sensazioni al punto di rimettere continuamente in discussione tutto quanto
credevo di aver capito di lui.
Quegli improvvisi tuffi al cuore mi permettevano di trovare una perfetta fusione. Immutabile restava
soltanto la sua onestà. Perfino esageratamente onesto. E rigido di principi. L'abbiamo perso anche per
questo. Luigi ha pagato più del dovuto le proprie innegabili virtù".
Il racconto va lontano, fino al primo incontro dei due protagonisti di questa drammatica storia
d'amore. "Mi trovo negli studi di registrazione di una casa discografica", racconta Dalida. "È un
pomeriggio di un giorno d'agosto del 1966 e a Roma c'è un caldo intollerabile. Sono lì per incidere
"Pensiamoci ogni sera" un accattivante motivo di Morricone. Appena posso, però, scappo al bar, dove
capita l'occasione che mi presentino Luigi. Lo vedo e resto come colpita da un lampo paralizzante.
Dico sì a tutto quanto mi propone, senza riflettere. Dietro la mia immagine della cantante di successo
c'è in realtà una ragazza desiderosa di una relazione equilibrata. Ma la stretta di mano di Luigi equivale
a una scossa elettrica. Divampa subito la passione. Entro in quel fiume di emozioni alla stregua di un
ruscello che non può sfociare altrove. Sono irresistibilmente attratta da lui. Insieme facciamo
passeggiate romantiche mano nella mano. Andiamo al cinema o in qualche pizzeria oppure tiriamo
tardi in casa di Miranda Martino il cui uomo è Lavagetto, ligure come Tenco. E proprio li io e la Martino
esortiamo Luigi a essere un artista meno intransigente. "Bisogna sempre scendere un po' a
compromessi nell'ambiente in cui si lavora e dove si vuole trovare fortuna", gli ripetiamo. Ma a queste
parole, di colpo svanisce la sua allegria. -Ah, io dovrei cercare nuovi rapporti con la società? Ma
neanche per sogno! Mica sono una donna di spettacolo come voi".
Dalida all'epoca ha già avuto tanta fortuna. È ricca, è in ascesa, firma grossi
contratti. Con la fascia di miss Egitto era volata dieci anni prima sul
fantasmagorico set di Parigi. L'aveva convinta il regista Marc Di Gastine:
"Sarebbe un peccato imperdonabile se una donna così bella e di talento come tè
continuasse a rimanere al Cairo, vietandosi soddisfazioni artistiche che non
mancheranno di arrivare". Aveva visto bene il suo Pigmalione.
La sua fama cresce anche all'estero. Questa vedette, nata in Egitto ma di origini
calabre, diventerà un'artista di rango anche in Italia. Infatti, nei giorni del coup
de foudre con Tenco, due canzoni da lei interpretate. Marina e Bang Bang,
occupano i primi posti della nostra hit parade. Ma al top arriva ballando e
cantando il sirtaki in "Zorba il greco".
Brava? Altro che. Ed è bella come una Madonna. Inoltre ha uno stile e una
sensualità ambigua e misteriosa che sa sprigionare ad arte quand'è in scena.
Agli italiani basta vederla per sentire i brividi. Gli stessi brividi che prova Tenco
appena la conosce. Finora lui l'amore se l'è inventato per non morire di noia.
"Ma che ci fa con una signora tanto raffinata?", insinuano i conformisti. E sono
tanti. Tenco lo sa bene e tiene all'oscuro della sua storia amici e parenti.
In verità, com'è andata? Dalida, ormai libera da ogni suggestione, azzera troppe ricostruzioni fin qui
fatte e racconta con amarezza il grande sogno irrealizzato: "In quell'estate romana del '66 la
preoccupazione di noi due è soltanto quella di alimentare con sorprese e con tante tenerezze la nostra
"luna di miele". Certo, gli ho confessato il mio desiderio di poter cantare qualche suo motivo.
A ottobre o novembre, viene ospite a casa mia, a Parigi, assieme a Paolo Dossena. Mi dice: "Eh,
Yolanda, ho scritto una canzone. Dovrebbe andare a Sanremo. Ascoltala bene e di ciò che pensi". La
2
sua voce incerta rende struggente il testo di Ciao amore, ciao. "Senza dubbio è valida", rispondo. E
aggiungo: "C'è una storia, c'è un messaggio. Vedrai che andrà bene". Non è vero che ha avuto vari
rifacimenti. Luigi l'ha limata, perfezionata come si fa con un romanzo. Ha cercato toni sempre più
appropriati a quel rimpianto per la civiltà rurale, a un mondo ormai andato".
Finalmente Tenco si sente diverso, lusingato dall'idea del riconoscimento popolare. Per lui, questa
volta, davvero il mondo cambierà. Per questo è soddisfatto della conoscenza con Yolanda Gigliotti, in
arte Dalida.
Con lei, baci e momenti di estasi. La cantante ricorda: "Mi sento completamente alla deriva, in balia di
un sognatore imprendibile. Mi regala il ricordo più bello: una notte non bada a percorrere 600
chilometri in macchina per veder spuntare l'alba assieme a me. Il nostro rapporto è incatenante. Chi ci
conosce bene dice che sembriamo gli unici amanti su questa terra. Maledette fantasticherie! Questa
vita non va mai presa troppo sul serio, è un grottesco girotondo".
Adesso la confessione di Dalida sposta le immagini su Sanremo. Passa al vaglio gli incubi di
quell'agghiacciante 27 gennaio 1967, allorché si sente come una "debuttante" presa per mano da quel
cantautore che, a suo dire, sarebbe diventato bravo e popolare come Leo Ferrè. Nelle previsioni della
vigilia, la coppia Dalida-Tenco è considerata da molti critici la possibile sorprendente novità del
Festival. Lei è benvoluta dalla gente, lui gode la stima dei giovani desiderosi di temi nuovi. Né ci sono
malevoli avvertimenti ad incupire gli interpreti di Ciao amore, ciao. È un testo che si segnala da solo,
in mezzo a canzonette tipo Io, tu e le rose o Bisogna saper perdere. Lui e lei sempre vicini. Luigi,
quand'è con Dalida, riesce a estraniarsi. Non da nemmeno retta a chi gli gira intorno per
punzecchiarlo. Già, perché la loro relazione viene scambiata per una trovata pubblicitaria.
Il revival è amaro. La voce di Dalida fatica a venire fuori: "Colazione all'albergo Savoy. Luigi scherza, è
allegro. Si sente sollevato. Dice d'aver già messo bene radici in un ambiente tanto infido. Immagina la
condiscendenza del pubblico, le reazioni colorate dei critici. La canzone è un valido pretesto per
raccontare la sua storia. Dentro c'è tutto il suo entusiasmo, la sua giovinezza.
Aveva passato giorni e giorni isolato in una torre a cercare accordi giusti e atmosfere toccanti.
Naturale che sia galvanizzato per ben figurare. Io, del resto, non ho nessuna paura. Queste le nostre
confidenze. Poi lui mi prende per un polso e dice: "Vai a riposare. Devi sentirti in forma, quel
palcoscenico è capace di tutto". Alle 19 mi telefona in camera: "M'è presa una strana ansia. A quella
'roulette' andiamoci insieme. Aspettami nella hall". In macchina mi dice che gli si è chiuso lo stomaco.
"Prendi una camomilla", lo scongiuro. Invece, a mia insaputa, per domare un'ansia che non si placa,
consuma una quantità di tranquillanti, esagera col whisky. "Comincia a sfuggirmi: il mutismo, lo
sguardo assente me lo portano lontano. È accaduto qualche altra volta. Gli chiedo: -Perché non parli?,
e lui si giustifica: -È come fuggissi non so dove, per allontanare i traumi della mia infanzia. Non una
parola di più. L'unico mio rimorso è che in quei momenti avrei potuto fare di più, magari sollecitarlo
pazientemente a scacciare quegli incubi, a dimenticare quelle vicende che l'avevano segnato in
passato. Purtroppo c'è poco tempo. Ecco, lo chiamano: -Dov'è Tenco? Dovrebbe già essere in
palcoscenico. Nessuno l'ha visto. Lo cercano. Lo trovano addormentato su una panca. Mike Bongiorno
deve spingerlo in scena. Dio mio quello che canta 'Ciao amore, ciao' non è Luigi, è un altro, è il suo
manichino.
"C'è chi ha parlato del terrore del pubblico, per uno come lui
non corazzato per esibirsi davanti a platee gremite. Io dico che
non è vero. Sapeste che Tenco, simpatico e sbarazzino
chansonnier, ho avuto modo di applaudire al microfono della
Casina delle Rose, a Roma, nel primo e ultimo Capodanno
festeggiato insieme. Dopo il recital aveva a lungo parlato con
me. A Sanremo no. Era come rinserrato nel coma. Pazienza,
fossero tutte qui le amarezze di una coppia che si vuol bene.
Aspettiamo il responso delle giurie. Uno accanto all'altra, ma in
realtà distanti. Neppure 40 voti su 900. "Una débàcle", fa lui. E
io: "Nella vita un giorno si vince e un altro si perde". C'è il
ripescaggio di una canzone, affidato alla giuria dei giornalisti. Lo
aiuto a sperare: "Vedrai che andrà meglio". E invece va male e
per Luigi è un colpo terribile. Cerca una scusa per andarsene.
Vuole isolarsi. "No, andiamo al ristorante", insisto io. Non so più
come distrarlo".
3
Poco dopo essere entrati al Nostromo, ecco il fulmineo voltafaccia. Luigi bisbiglia: "Rientro in albergo a
riposare. Sono stanco". Dovrei avere più autorità e impedirgli di andar via. Però riesce a prendermi in
contropiede. Qualche attimo dopo ho un presentimento infernale, pur non sapendo che Luigi ha con sé
la pistola. Un grumo d'angoscia m'attanaglia. Subito m'aggrappo al telefono, cerco un taxi, corro al
Savoy. Macché: Luigi è sulla strada del ritorno ed è irraggiungibile. "Fai presto", mi dico".
"Al bureau chiedo se Tenco è in camera. Non so che sto precipitando nel mio fallimento. Poi, in un
attimo, intuisco quello che potrebbe essere accaduto. Quello che dovevo impedire che accadesse. Sono
arrivata con dieci minuti di ritardo. Dieci minuti che hanno sconvolto la mia vita. Dapprima vedo i suoi
piedi spuntare da dietro il letto e allora penso che sia caduto, colto da malore". Poi il sangue,
quell'esplosione di orrore. Quale il movente? Non solo la delusione per non essere riuscito a far capire
il mondo dei giovani, senz'altro qualcosa gli si è spezzato dentro".
"A lungo ripeto: "Non può essere vero". Adesso sono io che debbo sottrarmi all'ingorgo di incubi
paurosi. Non so andare avanti. Una settimana dopo mi rifugio a Recco, dalla mamma di Luigi. Sento il
dovere di farle visita. Ma chi può consolarla? Nessuno. Restiamo a guardarci e a piangere.
"Capisco che devo andarmene in fretta dall'Italia. Ma non serve a niente. Staccata da lui, non ho più
identità. Ha ragione Victor Hugo a dire: 'Quando si perde la persona amata, il mondo si spopola'. E
allora, esattamente un mese dopo, un mese che è un'eternità, penso di farla finita anch'io. Ingoio 75
pastiglie di un tranquillante. Per esser certa di riuscirci, scelgo una stanza d'albergo dopo avere
preparato tutto con scrupolo: il testamento dal notaio e una lettera per mia madre. Ventiquattr'ore
dopo una cameriera si insospettisce. Da sotto la porta filtra una lama di luce. Da l'allarme. Mi
trasferiscono all'ospedale. La prognosi è di cinque giorni. Evidentemente è scritto che io debba
sopravvivere per trovare rimedio alle contrarietà".
Parla di quella Dalida quasi non esistesse più. Adesso ha iniziato un'altra vita aiutandosi con i libri e le
preghiere. Di tanto in tanto va in crisi, ma non sono più momenti di rabbia o di disperazione come ai
tempi in cui imprecava alla propria solitudine. Quando vuole incontrare Tenco o spera di sognarlo o si
mette a rileggere certe poesie di Luigi, con la curiosità di quando era la sua innamorata. È stata
mamma Tenco a consegnargliele. "Abbi cura di questi fogli. Sono l'incondizionato affetto di mio figlio
per te che sei riuscita a capirlo", le ha detto.
Quelle parole Dalida le considera un merito. Dopo vent'anni poco o niente è mutato. Eppure la gente,
durante i recital, le chiede sempre "Vedrai vedrai". Il mondo può girare come vuole, ma il Tenco
corrucciato e malinconico rivive quando Dalida lo canta.
Gianni Melli
(nelle foto: 26 gennaio 1967, Dalida passeggia per i fotografi davanti al Casinò di Sanremo, poche ore prima della
tragedia; Dalida canta "Ciao amore ciao" sul palco del Casinò; Tenco e Dalida posano insieme per i fotografi)
"Non posso dimenticare quel momento, quella notte, quell'immagine di tragedia. Non ho trovato allora le parole giuste
per dire quello che ho provato e non riesco a trovarle oggi, anche se sono passati quasi vent'anni. Cerco di soffocare
quel ricordo insopportabile con tante memorie belle e care che l'Italia mi ha regalato". Dalida, che abbiamo incontrato
pochi mesi fa al Festival del cinema di Montreal, dove era presente come protagonista di Il sesto giorno, il film-mélo
del regista egiziano Youssef Shahin, accettò di discutere l'argomento della morte di Luigi Tenco, al quale il suo nome
era legato professionalmente e sentimentalmente (secondo i giornali dell'epoca). "Non so, non posso, non voglio dire
come e perché Luigi è morto. So solo che quella notte ho perduto un ragazzo a cui volevo bene, un amico onesto e
pulito, un artista nel quale credevo".
"Quella notte" è rimasta nella memoria di tanti, un ricordo che suscita ancora angoscia, rabbia, incredulità. Forse
perché non avevamo ancora esperienza di tante "morti in diretta", gesti privati o massacri di guerra, diventati in questi
ultimi anni agghiacciante spettacolo televisivo, quell'annuncio alla radio del 27 gennaio 1967 - "alle 2,30 di questa
4
mattina Luigi Tenco si è sparato un colpo di pistola…" - colpì profondamente la sensibilità di molti che l'ascoltarono.
Soprattutto di quanti avevano visto Luigi Tenco sul teleschermo, poche ore prima, cantare con il suo atteggiamento
schivo Ciao amore ciao, comunque partecipe di quella che era una festa della canzone, tra i fiori del palcoscenico e
gli inviti all'allegria di Mike Bongiorno. E nessuno, da casa propria, dubitava che quella fosse una festa.
L'opinione pubblica, almeno quella espressa sui giornali, si divise. Il Festival deve essere sospeso, il Festival deve
continuare. Prevalsero le ragioni commerciali e, la sera del 27, Sanremo riapparve sul teleschermo, con tutti i suoi
fiori e tutte le sue canzoni. Come ha ricordato Gianni Borgna in un suo articolo su "L'Unità", gli unici a protestare
furono Claudio Villa e Caterina Caselli. E, poco dopo, ai funerali a Ricaldone, i colleghi di Luigi Tenco non c'erano.
C'erano solo pochi amici.
Ma non è solo per soffocare incredulità, rabbia e angoscia che, allora come oggi, pensando alla morte di Luigi Tenco
viene la voglia di conoscere una verità mai conosciuta. A sostenere la tesi del suicidio c'è quel famoso biglietto trovato
accanto al corpo steso sul pavimento della stanza 219 dell'Hotel Savoy: "Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho
dedicato cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di
protesta contro il pubblico che manda "Io, tu e le rose" in finale e una commissione che seleziona "La rivoluzione".
Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao, Luigi".
Ma gli elementi del "mistero" restano tali e sono soprattutto nella fretta con cui il "caso" fu liquidato, nel
comportamento contraddittorio di chi avrebbe dovuto cercare dettagli, chiarire circostanze. E c'è quel brutto dettaglio
di un corpo che fu trasportato in ritardo all'obitorio per lasciarlo a beneficio dei fotografi. E le impronte digitali mai
prese sulla pistola. La circostanza mai appurata dei colpi sparati: due, si disse, ma nella stanza fu trovato un solo
bossolo della 7,65. L'impossibilità, per i parenti, in particolare per il fratello Valentino, di parlare con il portiere del
Savoy, di cercare un'indicazione in più per il comportamento del cantante nelle sue ultime ore di vita.
La dichiarazione degli esperti che considerano quel biglietto autografo solo al 50 per cento. Resta una totale
mancanza di atti giudiziari, per cui, come ha detto Valentino Tenco, "se sulla tomba di Luigi anziché scriverci la data di
morte, ci scrivessi "assassinato", voglio vedere chi mi prova il contrario"
(m.p.f.)
5
Da "Il Secolo XIX", venerdì 07 febbraio 1992
Parla Bruno Gigliotti, fratello della cantante, sostiene di non credere all'esistenza della donna
segreta del cantautore.
Un termine che però in Italia non ha la stessa connotazione negativa che ha in Francia.
«Ma che io rifiuto. Mia sorella stessa è stata zitta per vent'anni proprio per evitare le polemiche e per
rispetto a una storia troppo importante per lei. Ma ora qualche giornale ha oltrepassato i limiti. Dalida
non avrebbe reagito neppure questa volta. Io invece credo sia venuto il momento di parlare».
«Avrei apprezzato - continua Orlando - un maggiore rigore nella ricerca della verità. Solo in questi
giorni ho ricevuto le cassette delle trasmissioni televisive "Telefono giallo" e "Costanzo Show" di due
anni fa, nel corso delle quali sono state affermate con leggerezza molte inesattezze, sono stati
pronunciati apprezzamenti superficiali su mia sorella e sul suo amore con Tenco da personaggi che non
avevano mai saputo prima del loro legame».
Nelle lettere a Valeria, Tenco afferma che per Dalida prova solo una forte attrazione fisica, ma ama
solo lei.
«Io potrei mostrarle centinaia di lettere di malati, fanatici che scrivevano d'amore a Dalida. Nel caso
delle lettere a Valeria, io faccio due ipotesi. O si tratta di una macchinazione... una storia inventata,
6
ma non capisco a quale scopo, o qualcuno si è servito di Valentino per rinverdire la memoria del
fratello morto 25 anni fa forse non perché i suoi dischi si vendono meno. Ma è un'accusa che non mi
sento di pronunciare, perché è troppo grave. La storia delle lettere è rocambolesca. Non possono
ipotizzare che una donna si sia immaginata di essere la fidanzata di Tenco e ora tiri fuori queste lettere
con scopi che non capisco».
In che senso?
«Dovrei concludere che Dalida è stata una vittima, che Luigi Tenco, che molti ricordano ancora come
una persona sensibilissima, sarebbe stato un mascalzone, che faceva il doppio gioco. Dovrei pensare
che si è servito di mia sorella per andare a Sanremo. Ma nessuno oserebbe pensare una cosa simile e
io per primo. Se Valeria è veramente esistita, crolla tutto il mondo di Tenco, perché un uomo -
precursore della canzone d'autore, fatto di sensibilità e di fragilità - rivelandosi doppio e disonesto
tradisce la sua immagine davanti a tutti quelli che l'hanno amato. Credere a queste lettere significa
infangare la memoria di Tenco. Perché Valentino le ha fatte pubblicare?».
Dalle sue dichiarazioni risulta che lo ha spinto il bisogno di completare l'immagine, la dimensione
umana del fratello.
«In realtà vuole dimostrare che l'amore per Dalida era fasullo. Ho letto anch'io le tre lettere pubblicate
dai giornali, tra cui quella in cui definisce mia sorella arida, viziosa, ignorante. Come potrebbe un
uomo scrivere cose simili se è fortemente attratto, anche se solo fisicamente, da una donna? Sarebbe
stato preso in una trappola per andare a Sanremo! Ma mia sorella è stata la prima vittima di una
macchinazione subdola degli organizzatori e della casa discografica. Io non voglio credere che Tenco
pensasse e scrivesse queste cose, perché voglio mantenere di lui il giudizio positivo che ho sempre
avuto. Non posso pensare che abbia ingannato mia sorella che lo amava veramente. Dovrei arrivare
alla conclusione che ha avuto quello che meritava. Invece non voglio avere nessun dubbio su di lui. Per
me Luigi Tenco resta una persona per bene. Non voglio pensare che abbia giocato un doppiogioco con
mia sorella e col suo pubblico».
«Ma perché - s'accalora Orlando - Valeria ha taciuto per 25 anni? Perché ha lasciato che si gettassero
tante calunnie su di lui e su mia sorella e decide solo ora di buttare in pasto ai giornali un amore del
quale io sono stato testimone e che lei ora vorrebbe infangare. Aveva il diritto di parlarne prima,
nessuno pensava che Tenco, giovane, bello e desiderabile fosse un santo. Se questa Valeria esiste, ma
io non ci credo, perché non ha tentato di morire d'amore per lui?».
Dalle lettere il loro appare come un amore molto romantico, che presupponeva sacrifici e rinunce.
«Un'altra cosa fasulla: questa donna così segreta sente il bisogno all'improvviso di lasciare che queste
lettere finiscano in pasto ai giornali».
7
Da "Il Secolo XIX", sabato 08 febbraio 1992
Le lettere a Valeria - La tragedia di Tenco così come la ricostruisce Bruno Gigliotti, fratello della
cantante.
Ma basato su alcuni fatti concreti, tra cui una lunga telefonata che egli
avrebbe fatto prima di morire a Valeria...
«Che potremmo chiamare l' "arlesiana" perché nessuno l'ha mai
vista...».
La sparizione di una lettera nella quale Tenco si proponeva di denunciare i retroscena del Festival, e
ora le lettere scritte a Valeria in tre anni di amore.
«La partenza di Dalida in quel momento faceva comodo a molte persone. Resasi conto che Luigi era
veramente morto, mia sorella urlò "assassini" in direzione degli organizzatori del Festival e lo ripeté più
tardi chiedendo che la manifestazione venisse immediatamente sospesa, cosa che non avvenne,
naturalmente».
Qualcuno le chiederà di fare i nomi di chi l'avrebbe spinta ad andarsene così in fretta.
«Io posso ricordare chi era presente quella terribile notte nella stanza di Tenco o nei corridoi dell'Hotel
Savoy. Tra gli altri, Lucio Dalla che fu svegliato dalle urla di Dalida e si precipitò a vedere cosa era
successo, Paolo Dossena e Mario Simone che erano nel frattempo arrivati e cercavano di calmarla».
Perché Dalida, che preferiva i colori vivaci, la sera della sua esibizione portava un abito nero e bianco?
«Voleva semplicemente essere in stile con Luigi che era in abito scuro».
I giornali italiani hanno scritto che Tenco, disperato, infuriato, quella sera parlò a lungo con Valeria
promettendole di vederla il giorno dopo a Genova. Mezz'ora dopo era morto.
«Sulla base di una ricostruzione precisa degli avvenimenti posso affermare che non può avere avuto il
tempo materiale di telefonare. E non era in condizione di pensare a nulla e a nessuno. Se non avesse
9
mescolato alcool e pillole forse non sarebbe successo nulla. È stata una fatalità. Mia sorella lo
raggiunse in albergo non più di venti minuti dopo averlo lasciato. Lo vide riverso per terra e pensò a
un malore. Cominciò a gridare "un medico, un medico, Tenco sta male". Si rese conto che era morto
solo quando, abbracciandolo, ritirò le mani piene di sangue».
La sua è un'accusa grave. Quando lei dice «loro» genericamente, rischia di essere obbligato a fare i
nomi di chi l'avrebbe costretta ad allontanarsi.
«C'era molta confusione, molta gente, gli organizzatori del festival e molti padroni di case
discografiche e tanti sconosciuti. Tutti gridavano e molti insistevano perché l'ex marito di Dalida,
Lucien Morisse (che seppe dell'amore per Luigi solo quella sera), e Eddy Barclay la portassero via,
evidentemente con motivazioni diverse. Facendoci largo tra la folla, la facemmo uscire attraverso le
cucine, lanciandoci in una corsa sfrenata verso la frontiera francese, verso Nizza dove Dalida prese
l'aereo per Parigi. La sera stessa chiamò Sanremo per sapere se il festival era stato sospeso. E alla
risposta negativa urlò di nuovo al telefono "Assassini". Sanremo fu l'inizio del suo dramma come
donna, anche se come artista ebbe ancora molti anni di successi. Per mesi si senti colpevole di aver
accettato di partecipare al festival. Ripeteva in continuazione: "Non si è ucciso per una canzone. Voi
non sapete niente di lui. Non sapete della sua infanzia infelice, alla ricerca di un padre che ha
conosciuto solo sul letto di morte"».
Quando lei parla di querele, su che cosa intende basarle? Se le lettere sono vere, lei come intende
agire?
«Voglio accusare di diffamazione tutti coloro che fin dall'inizio della storia, con allusioni o insinuazioni,
hanno lasciato credere a una responsabilità diretta di mia sorella nella morte di Tenco. E non posso
accettare che si affermi che si tratti di "amore pubblicitario"».
10