Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Pub - Lezioni Di Meccanica Razionale A PDF
Pub - Lezioni Di Meccanica Razionale A PDF
LEZIONI
di
MECCANICA RAZIONALE A
Il corso di Meccanica Razionale A si pone come obiettivi specifici quelli di introdurre gli
elementi di base della Meccanica Classica e di fornire gli strumenti matematici essenziali
per la costruzione e lo studio dei modelli che descrivono i fenomeni meccanici. Queste
dispense, che raccolgono le lezioni tenute dall’autore negli ultimi anni presso le Facoltà
d’Ingegneria di Modena e Reggio Emilia, sono intese da una parte come un supporto alla
didattica, dall’altra come un testo dove il futuro ingegnere potrà recuperare utili nozioni
eventualmente dimenticate.
Le dispense comprendono sei capitoli. Il primo è dedicato ai vettori e propone tutti gli
strumenti di calcolo vettoriale necessari per lo svolgimento del corso. Il secondo e il terzo
capitolo trattano rispettivamente la geometria della masse, vale a dire baricentri e momenti
d’inerzia, e la cinematica. Nel quarto vengono introdotte diverse nozioni propedeutiche
alla formulazione e allo studio dei problemi della Meccanica, quali i postulati fondamen-
tali, i concetti di forza, di vincolo, di lavoro, di potenziale, etc. Gli ultimi due capitoli
propongono infine la Meccanica vera e propria: prima quella del punto, poi quella dei
sistemi.
Una considerazione è doverosa circa gli argomenti trattati nei capitoli quinto e sesto.
La necessità di limitare i contenuti del corso ha comportato l’esclusione di argomenti di
grande interesse, quali i fenomeni dei battimenti e della risonanza, il problema dei due
corpi, i fenomeni giroscopici, il moto dei sistemi articolati, le piccole oscillazioni, lo studio
qualitativo dei moti mediante il teorema di Weierstrass. Questi argomenti potranno però
essere recuperati, per obbligo o per scelta, col corso di Meccanica Razionale B da quegli
studenti che proseguiranno gli studi con la laurea specialistica dopo aver conseguito quella
triennale.
Nella stesura di queste dispense si è cercato di conciliare due esigenze: da una parte, per
non appesantire troppo il corso, la necessità di proporre solo argomenti ritenuti basilari;
dall’altra, per non rinunciare a priori alle possibili ricadute formative della materia, la
volontà di mantenere formalismo e rigore matematico associati a proprietà di linguaggio.
Il corso di Meccanica Razionale A, oltre alla trattazione di gran parte degli argomenti
qui considerati, prevede lo svolgimento di un certo numero di esercitazioni. I problemi
che sono affrontati in queste esercitazioni, e che sono destinati a far parte integrante del
programma d’esame, sono inclusi nelle dispense Esercitazioni di Meccanica Razionale A,
tutti completamente risolti.
A conclusione di questa prefazione l’autore desidera porgere un sentito ringraziamento a
tutti coloro che in qualche misura hanno contribuito negli anni alla messa a punto di questo
lavoro: innanzitutto il Prof. Italo Ferrari per tutto quanto gli ha insegnato di Meccanica,
poi la Dott.ssa Cecilia Vernia per le sue osservazioni e i suoi suggerimenti, infine tutti gli
studenti che gli hanno fatto notare imprecisioni o mancanza di chiarezza.
i
INDICE
1. Calcolo vettoriale 1
1.1 Vettori e loro prime proprietà 1
1.2 Somma di vettori 2
1.3 Prodotto scalare 6
1.4 Prodotto vettoriale 8
1.5 Prodotto misto 9
1.6 Rappresentazione cartesiana dei vettori 10
1.7 Doppio prodotto vettoriale e divisione vettoriale 14
1.8 Vettori variabili e loro derivazione 15
3. Cinematica 31
3.1 Terna intrinseca ad una curva 31
3.2 Vettore spostamento, equazione del moto, legge oraria 33
3.3 Velocità 34
3.4 Accelerazione 35
3.5 Classificazione dei moti 36
3.6 Classificazione dei moti in base alla legge oraria 37
3.7 Moto circolare 39
3.8 Corpo rigido: generalità 40
3.9 Formule di Poisson 43
3.10 Formula fondamentale della cinematica rigida 44
3.11 Stati cinetici 45
3.12 Stato cinetico rotatorio 47
3.13 Stato cinetico elicoidale; teorema di Mozzi 49
3.14 Stati cinetici e moti di un corpo rigido: schema riassuntivo 50
3.15 Composizione degli stati cinetici 51
3.16 Definizione del problema della Cinematica relativa 53
3.17 Teoremi di composizione delle velocità e delle accelerazioni 54
3.18 Relazione fra le derivate di un vettore rispetto a due osservatori 56
3.19 Moto rigido piano 57
3.20 Determinazione del centro di istantanea rotazione per via geometrica 59
3.21 Esempi di moti rigidi piani 60
ii
3.22 Equazioni parametriche della base e della rulletta 61
3.23 Polo delle accelerazioni 63
3.24 Moto di un corpo rigido rispetto ad un suo punto 64
3.25 Sistemi di riferimento equivalenti 65
3.26 Moto di due corpi rigidi a contatto in un punto 66
iii
5.9 Quantità di moto ed energia cinetica di un punto 115
5.10 Teoremi delle forze vive e di conservazione dell’energia 115
5.11 Momento della quantità di moto di un punto 116
5.12 Integrali primi del moto di un punto 118
5.13 Pendolo semplice 119
5.14 Moto ed equilibrio relativo 121
5.15 Forza centrifuga 124
Bibliografia 158
iv
1. CALCOLO VETTORIALE
Ogni grandezza fisica risulta matematicamente ben definita quando è possibile associare ad
essa un opportuno ente matematico in modo da rappresentarne quantitativamente tutte le
caratteristiche fisiche. È noto che alcune grandezze come la lunghezza sono completamente
individuate da un valore numerico; esse sono dette grandezze scalari. Per altre grandezze,
quali lo spostamento e la velocità di un punto, un numero non è sufficiente a caratterizzarle:
per esse occorre un vettore. Di conseguenza sono dette grandezze vettoriali.
Un vettore di modulo unitario si dice versore; un vettore di modulo zero è detto vettore
nullo. Per quest’ultimo, che denotiamo con 0, la direzione ed il verso possono essere presi
ad arbitrio.
Se A e B sono gli estremi del segmento che rappresenta un vettore (con verso da A a B),
il vettore può indicarsi col simbolo B ¡ A, cioè come differenza di punti. Il modulo del
vettore B ¡ A vale la lunghezza del segmento AB. Il punto A si chiama origine o primo
estremo del vettore, il punto B secondo estremo.
A rimarcare il fatto che ad un vettore, a differenza di ogni segmento orientato, non cor-
risponde una posizione precisa nello spazio, si dice che è un vettore libero. Qualche volta
però risulta necessario associare ad un vettore a una precisa origine A, ossia una ben de-
1
terminata localizzazione nello spazio. In tal caso si parla di vettore applicato e lo si indica
con la notazione (A, a). L’origine A è detta punto d’applicazione del vettore. Occorre
comunque sottolineare il fatto che ogni volta che si parla semplicemente di un vettore, si
intende un vettore libero.
B¡A=D¡C,
B ¡ A = ¡(A ¡ B) ,
vera anche in senso algebrico, cioè considerando i punti come se fossero numeri.
Due vettori sono paralleli se hanno la stessa direzione; essi sono poi concordi o discordi a
seconda che abbiano oppure no lo stesso verso.
Teorema Se b e a sono due vettori paralleli (con a 6
= 0) esiste un numero reale m tale
che
b = ma .
b b
La dimostrazione è immediata. Si prenda m = + oppure m = ¡ a seconda che i due
a a
vettori siano concordi o discordi. È facile vedere che b e ma hanno la stessa direzione e lo
b
stesso verso; inoltre, poiché jmaj = a = b, il modulo di ma coincide col modulo di b.
a
2
Definizione Si chiama somma o vettore risultante dei vettori a1 ed a2 il vettore A2 ¡ A,
cioè
a1 + a2 = A2 ¡ A .
a2 + a1 = a1 + a2 .
Si considerino ora n vettori a1 , a2 , . . . , an , con n ¸ 3. Costruiamo la poligonale (in generale
non piana) formata dagli n vettori consecutivi A1 ¡ A, A2 ¡ A1 , . . . , An ¡ An−1 , uguali
rispettivamente ad a1 , a2 , . . . , an .
Definizione Il vettore An ¡ A si dice
somma o vettore risultante degli n vet-
tori dati, ossia
(1.1) a1 + a2 + a3 + ¢ ¢ ¢ + an = An ¡ A .
a1 + a2 + a3 + ¢ ¢ ¢ + an = a1 + (a2 + a3 ) + a4 + ¢ ¢ ¢ + an =
= a1 + (a3 + a2 ) + a4 + ¢ ¢ ¢ + an =
= a1 + a3 + a2 + a4 + ¢ ¢ ¢ + an ,
3
ed in questo modo risulta provata la proprietà commutativa per due vettori consecutivi.
Poiché due vettori non consecutivi possono essere resi tali con opportuni scambi, é facile
provare che la proprietà commutativa è valida in generale.
Si può notare che la (1.1) può essere cosı̀ riscritta
B ¡ A = (B ¡ C) + (C ¡ A)
Definizione Si chiama differenza fra due vettori la somma del primo vettore con l’opposto
del secondo, cioè
a1 ¡ a2 = a1 + (¡a2 ) .
La differenza di vettori gode delle stesse proprietà della differenza fra numeri.
a1 + a2 + ¢ ¢ ¢ + an = b1 + b2 + ¢ ¢ ¢ + bm
si può trasportare un vettore da un membro all’altro come se fosse un numero, cioè cam-
biando il suo segno.
Teorema Il prodotto di un numero per una somma di vettori vale la somma dei singoli
vettori moltiplicati per quel numero, cioè
I due teoremi che seguono (con dimostrazione) sono particolarmente importanti. Essi
riguardano la possibilità di decomporre un vettore secondo delle direzioni assegnate. Prima
di enunciarli e dimostrarli, premettiamo la seguente nozione: le direzioni di tre o più vettori
sono complanari se, rappresentati i vettori con l’origine in comune, essi risultano contenuti
in uno stesso piano.
4
Teorema Un vettore a si può sempre decomporre nella somma di due vettori a1 ed a2
aventi direzioni distinte assegnate, ma complanari con quella di a.
Dimostrazione. Posto a = B ¡ A, si considerino
le due rette passanti per A e parallele alle dire-
zioni date (quindi complanari con a) e le altre due
rette passanti per B anch’esse parallele a quelle
direzioni. Si determina cosı̀ un parallelogramma
ADBC e si ha
a = B ¡ A = (B ¡ D) + (D ¡ A) = a1 + a2 ,
Teorema Ogni vettore a si può sempre decomporre nella somma di tre vettori aventi
direzioni assegnate non complanari.
Sia A l’origine del vettore B ¡ A, uguale ad
a, e siano r1 , r2 , r3 tre rette passanti per A e
parallele alle direzioni date.
Nel caso particolare che a abbia la stessa di-
rezione di una delle tre rette, per esempio r3 ,
allora il teorema è già dimostrato in quanto i
due vettori paralleli a r1 ed r2 possono conside-
rarsi nulli, mentre quello parallelo ad r3 è a.
Se a non è parallelo a nessuna delle tre rette, sia r′ l’intersezione fra il piano individuato
da r1 ed r2 e quello individuato da B ¡ A ed r3 . Poichè B ¡ A, r′ ed r3 sono complanari
ed r ′ ed r3 sono rette distinte, si può decomporre B ¡ A in due vettori a′ ed a3 paralleli
rispettivamente ad r ′ ed r3 , tali che si abbia
a = a′ + a3 .
e quindi
a = a1 + a2 + a3 ,
5
Si noti che il vettore a è la diagonale del parallelepipedo di spigoli a1 , a2 , a3 , qualora
questi quattro vettori abbiano tutti origine in A.
Definizione Si chiama prodotto scalare (o interno) tra due vettori a e b il prodotto dei loro
moduli per il coseno dell’angolo da essi formato, cioè
a ¢ b = ab cos α. (1.2)
Ovviamente il prodotto scalare fra due vettori è un numero. Dalla (1.2) segue subito che
il prodotto scalare è nullo quando o uno almeno dei due vettori è nullo o i due vettori sono
ortogonali. L’annullarsi del prodotto scalare fra due vettori non nulli è quindi condizione
necessaria e sufficiente per l’ortogonalità dei due vettori.
Osserviamo che la (1.2) può essere cosı̀ riscritta:
Il prodotto scalare gode della proprietà commutativa, cioè a ¢ b = b ¢ a. Ciò segue immedia-
tamente dalla (1.2) in quanto l’angolo fra a e b è identico a quello fra b e a.
6
Il prodotto scalare gode della proprietà distributiva
rispetto alla somma, cioè si ha
(1.3) a ¢ (b + c) = a ¢ b + a ¢ c .
a ¢ a = a2 . (1.4)
D’ora in poi potremo riferirci al prodotto scalare di un vettore a per se stesso, e quindi al
quadrato del modulo di a, come al quadrato del vettore a. In altre parole: (a)2 = a2 .
Si ha poi
(a § b)2 = a2 + b2 § 2a ¢ b ,
(a + b) ¢ (a ¡ b) = a2 ¡ b2 .
Teorema Sia a un vettore qualsiasi e siano m1 , m2 , m3 tre vettori distinti non nulli e
non complanari. Se si verifica
a ¢ m1 = 0, a ¢ m2 = 0, a ¢ m3 = 0 ,
allora a = 0.
Dimostrazione Se a fosse diverso dal vettore nullo, esso risulterebbe perpendicolare a tre
vettori per ipotesi non complanari, il che sarebbe chiaramente assurdo.
Corollario Siano a e b due vettori qualunque e siano m1 , m2 , m3 tre vettori non nulli e
non complanari. Se si verifica
a ¢ m1 = b ¢ m1 , a ¢ m2 = b ¢ m2 , a ¢ m3 = b ¢ m3 , (1.5)
allora a = b .
7
Dimostrazione Dalle (1.5) si ha
(a ¡ b) ¢ m1 = 0, (a ¡ b) ¢ m2 = 0, (a ¡ b) ¢ m3 = 0,
allora a = 0.
Corollario Se per ogni m si ha
a ¢ m = b ¢ m,
allora a = b.
Nota. Ci sono autori che denotano il prodotto scalare in maniera diversa da quella qui
adottata. Le altre notazioni più comuni sono a £ b e ab.
Definiamo ora un’operazione tra vettori che, a differenza del prodotto scalare, a due vettori
associa un terzo vettore.
Per stabilire il verso del prodotto vettoriale si possono usare anche altre regole:
1) il verso di a £ b è quello per cui avanza un cavatappi, normale al piano contenente a e
b, quando viene fatto ruotare in modo che a vada a sovrapporsi a b descrivendo l’angolo
minore;
8
2) il verso di a £ b è quello per cui la terna (a, b, a £ b) è una terna destra. Una terna
di vettori (a, b, c) è destra o sinistra a seconda che a, b e c possano essere fatti coincidere
rispettivamente con il pollice, l’indice e il medio della mano destra o della mano sinistra.
Dalla definizione segue immediatamente che il prodotto vettoriale è nullo o quando è nullo
uno almeno dei due vettori, o quando essi sono paralleli. Quindi l’annullarsi del prodotto
vettoriale fra due vettori non nulli, è condizione necessaria e sufficiente per il parallelismo
fra due vettori. In particolare si ha
a£ a = 0.
Se m è un numero, allora
Il prodotto vettoriale non gode della proprietà commutativa; infatti b £ a ha lo stesso modulo e
la stessa direzione di a £ b ma verso opposto, cioè
a £ b = ¡b £ a.
Il prodotto vettoriale gode della proprietà distributiva rispetto alla somma (senza dimostrazione):
a £ (b + c) = a £ b + a £ c .
Il prodotto vettoriale, in generale, non gode della proprietà associativa, cioè in generale si ha
(a £ b) £ c 6
= a £ (b £ c) ,
dove il primo membro, detto anche doppio prodotto vettoriale, indica il prodotto vettoriale
tra il vettore a £ b ed il vettore c, mentre il secondo membro è il prodotto fra i vettori a e
b £ c.
Nota. Anche per il prodotto vettoriale esistono altre notazioni, la più comune delle quali
è a ^ b. Tuttavia, per non creare inutili fraintendimenti, si consiglia vivamente di usare le
notazioni da noi introdotte, a ¢ b per il prodotto scalare e a £ b per il prodotto vettoriale,
notazioni che corrispondono a quelle più largamente usate nei testi.
a £ b ¢ c. (1.6)
9
Osserviamo che non c’è ambiguità nell’ordine delle due operazioni in quanto ha senso solo
fare prima il prodotto vettoriale a £ b e poi moltiplicare scalarmente il risultato per c.
Osserviamo che se il triedro individuato dalla terna di vettori (a, b, c) è destro, tali sono
anche i triedri individuati dalle terne (b, c, a) e (c, a, b). Di conseguenza, in virtù del
teorema appena enunciato, si ha
a £ b ¢ c = b £ c ¢ a = c £ a ¢ b.
a ¢ b £ c = a £ b ¢ c.
Con ciò si è dimostrata una importante proprietà del prodotto misto: in un prodotto misto
è lecito scambiare il segno di prodotto scalare con quello di prodotto vettoriale.
10
Poiché gli assi formano tre direzioni non complanari si può scomporre a in tre vettori a1 ,
a2 , a3 , paralleli agli assi cartesiani, cioè
a = a1 + a2 + a3 . (1.7)
In modo analogo si ha
a2 = ay j , a3 = az k .
a = ax i + ay j + az k . (1.8)
Da quanto precede è ovvio che, fissato un sistema di assi cartesiani ortogonali, ad ogni
vettore corrisponde una terna di numeri (ax , ay , az ), che è unica. Viceversa, ogni terna
(ax , ay , az ) individua, mediante la (1.8), un unico vettore a. Si può perciò concludere
che i tre numeri ax , ay , az caratterizzano in modo completo il vettore rispetto al sistema
di riferimento Oxyz fissato. Questi numeri sono detti componenti cartesiane del vettore,
lungo gli assi x, y, z rispettivamente. I vettori a1 , a2 , a3 possono chiamarsi anche vettori
componenti di a lungo gli assi.
a = (bx i + by j + bz k) + (cx i + cy j + cz k) =
= (bx + cx )i + (by + cy )j + (bz + cz )k ,
11
da cui segue che le componenti ax , ay , az di a valgono rispettivamente bx + cx , by + cy ,
bz + cz . Risulta immediata l’estensione al caso in cui a è la somma di n vettori.
Ricaviamo ora l’espressione cartesiana del prodotto scalare fra due vettori. Per fare ciò
osserviamo che essendo i vettori i, j, k unitari e a due a due ortogonali, si ha
i¢ i = 1, j ¢j = 1, k ¢ k = 1; (1.9)
i¢ j = 0, j ¢ k = 0, k ¢ i = 0. (1.10)
Il risultato ottenuto può essere letto nel modo seguente: il prodotto scalare fra due vettori
vale la somma dei prodotti delle componenti analoghe dei due vettori.
Siamo ora in grado di ricavare alcune importanti proprietà delle componenti di un vettore.
Indicando con α l’angolo fra a e la direzione positiva dell’asse delle x, ricorrendo alla
definizione di prodotto scalare si ha
a ¢ i = a cos α .
Ricordando poi le (1.8), ed effettuando il prodotto sulla base della (1.11), si ricava
a cos α = ax . (1.12)
In modo analogo, se β e γ sono gli angoli fra il vettore a e la direzione positiva degli assi
y e z, si ottiene che
a cos β = ay , (1.13)
a cos γ = az . (1.14)
Da queste relazioni si ricavano le componenti di un vettore noti il suo modulo e gli angoli
che esso forma con gli assi. Elevando al quadrato le tre ultime relazioni, sommando
membro a membro, e ricordando che cos2 α + cos2 β + cos2 γ = 1, avremo
12
da cui
a= a2x + a2y + a2z . (1.15)
Questa formula esprime il modulo di un vettore note le sue componenti, mentre le (1.12),
(1.13) ed (1.14) esprimono i coseni degli angoli che il vettore forma con gli assi. Questo
permette di costruire il vettore note le sue componenti. Dalle (1.12), (1.13), (1.14) si ha
che la componente di un vettore lungo un dato asse è la sua proiezione sull’asse stesso.
Sottolineiamo il fatto che la componente di un vettore lungo un asse vale il prodotto scalare
del vettore per un versore diretto lungo quell’asse. Più in generale, si chiama componente
di un vettore lungo una direzione individuata dal versore m il prodotto scalare fra a e m.
i £ i = 0, j £ j = 0, k £ k = 0;
i£j = k, j £k = i, k£i = j,
j £ i = ¡k , k £ j = ¡i , i £ k = ¡j ,
si ha
a £ b = (ax i + ay j + az k) £ (bx i + by j + bz k) =
= ax bx i £ i + ax by i £ j + ax bz i £ k + ay bx j £ i + ay by j £ j+
+ ay bz j £ k + az bx k £ i + az by k £ j + az bz k £ k =
= ax by k ¡ ax bz j ¡ ay bx k + ay bz i + az bx j ¡ az by i ,
e cioè
a £ b = (ay bz ¡ az by )i + (az bx ¡ ax bz )j + (ax by ¡ ay bx )k. (1.16)
13
o, equivalentemente,
ax ay az
a £ b ¢ c = bx by bz .
cx cy cz
P1 ¡ O = x1 i + y1 j + z1 k , P2 ¡ O = x2 i + y2 j + z2 k .
Dunque, il vettore definito dalla differenza tra due punti ha per componenti la differenza
fra le coordinate analoghe dei due punti stessi.
Scegliamo un sistema di assi cartesiani ortogonali Oxyz in modo che l’asse z sia parallelo
a c; cosı̀ si ha
c = ck, a ¢ c = az c, b ¢ c = bz c.
Allora, ricordando le espressioni (1.16) e (1.17) del prodotto vettoriale, possiamo scrivere
i j k
(a £ b) £ c = ay bz ¡ az by az bx ¡ ax bz ax by ¡ ay bx =
0 0 c
14
La formula (1.19) permette di risolvere assai facilmente il problema della divisione vettoriale,
che consiste nel determinare i vettori x soluzione dell’equazione:
a £ x = b, con a ? b . (1.20)
Osservato che essendo a ? b l’equazione è ben posta (se a e b non fossero perpendicolari
l’equazione non avrebbe soluzione), dimostriamo che
b£a
x0 =
a2
è soluzione. Infatti, sostituendo x0 nell’equazione ed applicando la formula (1.19), si ha
(b £ a) 1 1 1
a£ 2
= ¡ 2 (b £ a) £ a = ¡ 2 [(b ¢ a)a ¡ (a ¢ a)b] = ¡ 2 [¡a2 b] = b .
a a a a
Ricordando poi che a £ a = 0, la (1.20) risulta soddisfatta anche ponendo
x = x0 + ha ,
con h numero qualunque. Osserviamo che ogni vettore soluzione x è normale a b (x0 è
normale anche ad a).
a £ (P ¡ O) = b
Si consideri ora una variabile numerica reale t, che assuma tutti i valori compresi in un
intervallo I = (t1 , t2 ). Supposto che ad ogni valore di t corrisponda uno ed un sol vettore
u, diremo che u è un vettore funzione di t ed esprimeremo ciò scrivendo
15
Per i vettori funzione di una variabile t, si può definire, come per le funzioni ordinarie, il
concetto di limite per t tendente a t0 , essendo t0 un punto di accumulazione di I.
se
8ǫ > 0 , 9δǫ > 0 : 8t 2 (t0 ¡ δǫ , t0 + δǫ ) , t 6
= t0 ) ju(t) ¡ u0 j < ǫ .
Posto poi
u0 = u0x i + u0y j + u0z k ,
poichè il valore assoluto della componente di un vettore è sempre minore o al più uguale
al modulo del vettore stesso (vedi (1.15)), l’esistenza del limite (1.22) implica che
vale a dire: il limite delle componenti di un vettore è dato dalle componenti del limite del
vettore stesso.
cioè il limite del modulo di un vettore vale il modulo del suo limite.
Considerati uno scalare m(t) e due vettori u(t) e v(t), e supposto che
16
i tre teoremi precedenti si scrivono cosı̀ :
lim u(t) § v(t) = u0 § v 0 ,
t→t0
lim u(t) ¢ v(t) = u0 ¢ v 0 ,
t→t0
lim u(t) £ v(t) = u0 £ v 0 ,
t→t0
lim m(t)u(t) = m0 u0 .
t→t0
Definizione Si chiama differenziale del vettore u(t) per t = t0 , e si indica con du, il prodotto
della derivata del vettore per t = t0 per il differenziale della variabile indipendente, vale a
dire
du = u′ (t0 )dt .
Si dimostra facilmente che la derivata di un vettore ha per componenti le derivate delle compo-
nenti del vettore stesso. Infatti si ha
du u(t0 + h) ¡ u(t0 )
= lim =
dt t=t0 h→0 h
ux (t0 + h) ¡ ux (t0 ) uy (t0 + h) ¡ uy (t0 ) uz (t0 + h) ¡ uz (t0 )
= lim i + lim j + lim k=
h→0 h h→0 h h→0 h
dux duy duz
= i+ j+ k = u′x (t0 ) i + u′y (t0 ) j + u′z (t0 ) k .
dt t0 dt t0 dt t0
d(u ¢ v) du dv
= ¢v+u¢ , (1.25)
dt dt dt
d(u £ v) du dv
= £v+u£ ,
dt dt dt
d(mu) dm du
= u+m .
dt dt dt
17
In particolare, dalla (1.25), ricordando anche la (1.4), si ha
du2 d(u ¢ u) du
= = 2u ¢ , (1.26)
dt dt dt
cioè la derivata del quadrato del modulo di un vettore vale il doppio del prodotto scalare
tra il vettore e la sua derivata.
Conseguenza immediata della (1.26) è che, se il vettore u è costante in modulo, allora
du
¢ u = 0,
dt
per cui la derivata di un vettore costante in modulo è perpendicolare al vettore stesso. In parti-
colare ciò vale per un versore.
ossia che u sia funzione della variabile t attraverso una seconda variabile reale s. In tal
caso è facile dimostrare che
du ds du
= . (1.27)
dt dt ds
Infatti, se u=u(s(t)), allora ux =ux (s(t)), uy =uy (s(t)) e uz =uz (s(t)), per cui, ricordando
le regole di derivazione delle funzioni ordinarie, si ottiene
du dux duy duz dux ds duy ds duz ds
= i+ j+ k= i+ j+ k=
dt dt dt dt ds
dt ds dt ds dt
ds dux duy duz ds du
= i+ j+ k = .
dt ds ds ds dt ds
Si consideri ora la variabile t e si supponga che ad ogni suo valore corrisponda una posizione
di un punto P dello spazio. In tal caso diremo che il punto P è funzione di t e scriveremo
P = P (t) .
Definizione Si chiama derivata del punto P rispetto a t la derivata del vettore P (t) ¡ O,
dove O è un qualunque punto dello spazio che non dipende da t.
Questa definizione è giustificata dal fatto che la derivata di P non dipende da O. Infatti,
dP
indicata con la derivata di P rispetto a t, avremo
dt
dP d(P ¡ O) P (t + h) ¡ O ¡ P (t) ¡ O P (t + h) ¡ P (t)
= = lim = lim .
dt dt h→0 h h→0 h
dP
Questo dimostra l’indipendenza di da O. Osserviamo che sarebbe perfettamente
dt
equivalente assumere come definizione della derivata di un punto rispetto ad una variabile
t l’ultimo limite soprascritto.
18
Come sappiamo, considerato un sistema di riferimento Oxyz e un punto P di coordinate
x, y, z, le componenti del vettore (P ¡ O) sono proprio le coordinate di P, si ha cioè
P ¡ O = xi + yj +z k.
dP dx dy dz
= i+ j+ k,
dt dt dt dt
cioè le componenti della derivata di un punto sono le derivate delle sue coordinate.
Se poi P è funzione di un parametro s a sua volta funzione di t, per cui P = P s(t) , in
virtù della (1.27) si ha
dP d(P ¡ O) ds d(P ¡ O) ds dP
= = = .
dt dt dt ds dt ds
19
2. GEOMETRIA DELLE MASSE
2.1 Massa
Definizione La massa è una proprietà intrinseca dei corpi connessa alla loro quantità di
materia.
Spesso, quando le dimensioni del corpo sono piccole e il problema che ci interessa lo
permette, tornerà comodo, nel nostro modello matematico, trattare il corpo come se fosse
un punto geometrico P dotato della massa del corpo. Ebbene, in tal caso si parlerà di
punto materiale P di massa m, e si userà la notazione (P, m).
Un qualunque corpo potrà sempre essere riguardato come un’unione di punti materiali.
Tali punti potranno essere in numero finito o una infinità numerabile o un continuo. Nei
primi due casi, indicata con mi la massa dell’i-esimo punto, la massa totale del corpo, in
virtù dell’additività, sarà data da
N
M= mi (2.1)
i=1
oppure
∞
M= mi
i=1
20
Se invece i punti materiali costituiscono un continuo C, allora si suppone che al corpo sia
associata una funzione ρ(P ) reale, non negativa, limitata, detta densità di massa, definita
per ogni punto P del corpo e tale che la massa infinitesima dm contenuta in un elemento
infinitesimo dC del corpo contenente P sia data da dm = ρ(P )dC. La massa totale di C,
sempre in virtù dell’additività, sarà quindi data da
M= ρ(P )dC . (2.2)
C
In generale (2.2) è un integrale di volume; se però la forma del corpo C è particolare, per
cui una o due dimensioni risultino trascurabili rispetto alle altre, allora si potrà avere un
integrale di superficie o un integrale curvilineo.
Il caso più semplice che si possa presentare è ρ(P ) = costante = ρ0 , cioè quando il corpo
è omogeneo, per cui risulta m = ρ0 V, con V volume di C.
Nota bene: nel seguito supporremo sempre di aver a che fare o con un numero finito
di punti materiali o con un corpo continuo. Tutte le dimostrazioni verranno fatte nel
caso finito, sapendo però che esse possono essere riportate al caso numerabile o continuo
sostituendo semplicemente le somme finite con serie o integrali che supporremo sempre
convergenti.
2.2 Baricentro
C
ρxdC C
ρydC C
ρzdC
xG = , yG = , zG = , (2.6)
M M M
21
a seconda che i punti siano in numero finito od un continuo.
Osservazioni:
- Nel caso di un insieme di punti materiali tutti appartenenti ad una retta, anche G ap-
partiene alla retta. Esempio ovvio: un’asta. Analogamente, se tutti i punti appartengono
ad un piano, anche G appartiene al piano.
- In generale gli integrali (2.6) sono degli integrali di volume. Tuttavia, nel caso di corpi
particolari, essi possono ridursi ad integrali di superficie o addirittura ad integrali curvi-
linei. Ciò accade quando il corpo può assumersi come bidimensionale (ad esempio una
lamina) o unidimensionale (ad esempio un filo).
- Si può dimostrare che se il corpo è delimitato da una superficie convessa, G è interno al
corpo.
- Ai fini del calcolo dei baricentri risulta molto utile (in quanto aiuta a semplificare il
calcolo stesso) la seguente proposizione: se il sistema materiale ha un piano di simmetria
geometrico-materiale, il baricentro sta su tale piano.
Dimostrazione. Dire che il sistema di punti
materiali, che indichiamo con S, ha un piano
Π di simmetria significa dire che, se Ps 2 S,
anche il punto Qs , simmetricamente posto
rispetto a Π, appartiene a S. Dire poi che
la simmetria è anche materiale, significa dire
che Ps e Qs hanno la stessa massa ms (o, nel
caso continuo, la stessa densità di massa).
Supposto ora che il piano Π coincida col piano Oxy (che ha equazione z = 0), se Ps ´
(xs , ys , zs ), allora Qs ´ (xs , ys , ¡zs ). Dalla terza relazione delle (2.5) (o delle (2.6)) segue
quindi banalmente zG = 0, ossia G 2 Π.
- Conseguenza immediata del teorema appena dimostrato è che, se il corpo ha due piani di
simmetria, G sta sulla retta d’intersezione. Se poi ne ha tre, G è il loro punto d’intersezione.
Ad esempio, in un corpo omogeneo a forma di parallelepipedo o di sfera G coincide col
centro.
22
2.3 Momento d’inerzia
N
I= ms rs2 , (2.7)
s=1
Se invece di un sistema materiale discreto abbiamo a che fare con un sistema continuo,
allora, indicata con ρ(P ) la densità di massa, anzichè (2.7), si ha
I= ρ(P )r 2 dC , (2.8)
C
Il momento d’inerzia può anche essere definito rispetto ad un punto O: in questo caso,
in cui le distanze rs sono le distanze di Ps da O, si parla di momento d’inerzia polare
(rispetto al polo O) invece che di momento assiale.
Il momento polare però non è molto importante; esso è utile a semplificare il calcolo di
qualche momento d’inerzia assiale particolare (ad esempio, il momento d’inerzia di una
sfera omogenea rispetto ad un suo diametro). Nel seguito, quando si parlerà di momento
d’inerzia si intenderà sempre quello assiale, salvo che non sia altrimenti specificato.
Analogamente a quanto fatto finora, tutte le dimostrazioni che seguiranno si baseranno sul-
l’ipotesi che il sistema materiale sia discreto. Ovviamente le stesse dimostrazioni possono
essere rifatte in maniera del tutto analoga nel caso di un sistema materiale continuo.
23
2.4 Calcolo dei momenti d’inerzia
Teorema Il momento d’inerzia di un sistema materiale rispetto alla retta (O, a) di coseni
direttori α, β e γ rispetto ad un riferimento Oxyz vale
I = Aα2 + Bβ 2 + Cγ 2 ¡ 2A′ αβ ¡ 2B ′ αγ ¡ 2C ′ βγ , (2.10)
24
dove
A= ms ys2 + zs2 , B= ms x2s + zs2 , C= ms x2s + ys2 , (2.11)
s s s
A′ = m s xs y s , B′ = ms xs zs , C′ = ms ys zs . (2.12)
s s s
Ps ¡ O = xs i + ys j + zs k ,
essendo a = αi + βj + γk, si ha
2 2
rs2 = (Ps ¡ O) £ a = (γys ¡ βzs )i + (αzs ¡ γxs )j + (βxs ¡ αys )k
= (γys ¡ βzs )2 + (αzs ¡ γxs )2 + (βxs ¡ αys )2
= (ys2 + zs2 )α2 + (x2s + zs2 )β 2 + (x2s + ys2 )γ 2 ¡ 2xs ys αβ ¡ 2xs zs αγ ¡ 2ys zs βγ .
Sostituendo in (2.7) si ha
I= ms (ys2 + zs2 )α2 + ms (x2s + zs2 )β 2 + ms (x2s + ys2 )γ 2 ¡
s s s
¡2 ms xs ys αβ ¡ 2 ms xs zs αγ ¡ 2 ms ys zs βγ ,
s s s
Il teorema appena dimostrato vale per qualunque sistema materiale. Ovviamente, in base
a quanto osservato alla fine del precedente paragrafo, i momenti d’inerzia A, B, C e i
momenti di deviazione A′ , B ′ e C ′ in generale sono funzione del tempo. Nel caso però di
un sistema rigido, se il sistema di riferimento è solidale con esso, allora A, B, C, A′ , B ′
e C ′ sono costanti. In considerazione di ciò, ed in considerazione del fatto che noi siamo
interessati esclusivamente a corpi rigidi, d’ora in poi, in questo e nel successivo paragrafo,
supporremo che il sistema materiale sia un corpo rigido e che la terna di riferimento sia
con esso solidale. Per mettere in evidenza quest’ultimo fatto la terna sarà indicata con
O1 x1 y1 z1 (naturalmente con versori i1 , j 1 e k1 ).
25
Definizione Si chiama matrice o tensore d’inerzia di un corpo rigido C relativa al riferimento
solidale O1 x1 y1 z1 la matrice simmetrica
A ¡A′ ¡B ′
J = ¡A′ B ¡C ′ . (2.13)
¡B ′ ¡C ′ C
Ora, utilizzando la matrice J , il risultato (2.10) può scriversi nella forma compatta
I = (J a, a) , (2.14)
dove a va inteso come vettore colonna, J a è il prodotto di una matrice 3£3 per un vettore
colonna (o, se si vuole, una matrice 3 £ 1), e (¢, ¢) indica il prodotto scalare tra due vettori
colonna.
Il calcolo del momento d’inerzia rispetto ad una data retta può essere fatto utilizzando
l’ellissoide d’inerzia anziché la matrice d’inerzia. Questo approccio, per quanto totalmente
equivalente ad usare la formula (2.10), permette però una interpretazione geometrica sia
della matrice J che del momento d’inerzia.
26
Osservato che ogni retta passante per (O1 ) interseca sempre E(O1 ) in due punti simme-
tricamente posti rispetto ad O1 , andiamo a dimostrare il teorema. Se la retta considerata
è (O1 , a), indicati con α, β e γ i suoi coseni direttori rispetto ad O1 x1 y1 z1 , le equazioni
cartesiane della retta rispetto allo stesso riferimento sono
x1 y1 z1
= = . (2.17)
α β γ
Per calcolare gli eventuali punti d’intersezione con E(O1 ) mettiamo a sistema (2.15) con
(2.17). Le (2.17) forniscono
β γ
y1 = x1 , z1 = x1 . (2.18)
α α
Sostituendo in (2.15) si ottiene
β2 2 γ2 2 β γ βγ
Ax21 + B x 1 + C x ¡ 2A′ x21 ¡ 2B ′ x21 ¡ 2C ′ 2 x21 = 1 ,
α2 α2 1 α α α
da cui, facendo il denominatore comune
2
Aα + Bβ 2 + Cγ 2 ¡ 2A′ αβ ¡ 2B ′ αγ ¡ 2C ′ βγ x21 = α2 ,
2 β2 2 γ2
y1L = , z1L = .
I I
Sommando queste tre relazioni, e ricordando che la somma dei quadrati dei coseni direttori
di una retta vale uno, si ottiene
2 α2 + β 2 + γ 2 1
O1 L = x21L + y1L
2 2
+ z1L = = ,
I I
da cui segue in modo ovvio la (2.16).
Osservazioni:
— Cambiando O1 , l’ellissoide cambia.
— Mantenendo O1 e cambiando gli assi del riferimento solidale, cambia la matrice d’inerzia
e quindi l’equazione dell’ellissoide, ma non cambia l’ellissoide. Ciò è ovvio dal fatto che la
formula (2.16) deve valere indipendentemente dal riferimento scelto.
— L’ellissoide d’inerzia è definito per ogni corpo rigido, eccetto che per un’asta. In tal caso,
infatti, assunto l’asse O1 z1 coincidente con l’asta, poiché ciascun punto Ps ha x1s = y1s =
0, si ha ovviamente C = 0, e di conseguenza l’ellissoide (2.15) degenera in un cilindro di
asse l’asse z1 .
27
2.6 Assi principali d’inerzia
Fra tutte le possibili terne di riferimento O1 x1 y1 z1 solidali con il corpo rigido ne esiste
(almeno) una privilegiata: quella i cui assi coincidono con gli assi dell’ellissoide. Rispetto
a questa terna, infatti, la matrice d’inerzia assume la forma diagonale, e di conseguenza
l’equazione dell’ellissoide diventa
Definizione Si chiamano assi principali d’inerzia per il punto O1 gli assi passanti per O1 e
coincidenti con gli assi dell’ellissoide d’inerzia relativo al punto O1 . I momenti d’inerzia
rispetto a tali assi si chiamano momenti principali d’inerzia.
La scelta della terna solidale O1 x1 y1 z1 coincidente con quella principale d’inerzia risulta
utile in quanto semplifica notevolmente i calcoli delle grandezze che coinvolgono il momento
d’inerzia (energia cinetica e momento della quantità di moto). Di conseguenza risulta
importante determinare gli assi principali d’inerzia.
Vediamo dapprima come si determinano gli assi principali d’inerzia di un corpo rigido C
rispetto ad un suo punto O1 , nota la matrice d’inerzia J rispetto ad una terna O1 x1 y1 z1 .
Naturalmente supponiamo J in forma non diagonale, perché altrimenti gli assi O1 x1 , O1 y1
e O1 z1 sarebbero già principali d’inerzia. Si può dimostrare la seguente proposizione:
Gli assi principali d’inerzia di C rispetto ad O1 hanno la direzione degli autovettori w1 ,
w2 , w3 associati agli autovalori λ1 , λ2 e λ3 della matrice d’inerzia J .
Ricordiamo che λ1 , λ2 e λ3 , che sono reali, positivi e distinti in conseguenza del fatto che
J è simmetrica e definita positiva, sono dati dalle radici dell’equazione
det(J ¡ λI) = 0 ,
e che l’autovettore wk è determinato, a meno di una costante moltiplicativa, dall’equazione
(J ¡ λk I)wk = 0 , k = 1, 2, 3 .
28
C.N.S. perché l’asse O1 z1 sia principale d’inerzia è che si abbia B ′ = C ′ = 0.
Conseguenza immediata di questi teoremi è che, se due assi sono principali d’inerzia, anche
il terzo lo è.
Dimostrazione
Sia O1 z1 la retta perpendicolare al piano di simme-
tria geometrico-materiale O1 x1 y1 . La simmetria
significa che ad ogni punto Ps ´ (x1s , y1s , z1s ) di
massa ms corrisponde il punto Qs ´ (x1s , y1s , ¡z1s )
pure di massa ms . Ne consegue
B′ = s ms x1s z1s = 0 , C′ = s ms y1s z1s = 0 ,
in quanto in ogni somma per ciascun termine ce n’è uno uguale e contrario.
Corollario 1 Se il corpo C è una figura rigida piana, allora il piano π contenente la figura
è di simmetria per C. Di conseguenza, qualunque sia O1 2 π, la retta perpendicolare al
piano del corpo è asse principale d’inerzia per O1 . Allora, assunto π ´ O1 x1 y1 , l’asse z1
è principale d’inerzia e l’equazione dell’ellissoide vale
In base a questo corollario si capisce facilmente che la terna principale d’inerzia non è
necessariamente unica. Basta infatti pensare ad una sfera rigida omogenea, e si ha imme-
diatamente che se O1 coincide col centro della sfera, ogni terna è principale d’inerzia.
29
Ai fini del calcolo dei momenti di deviazione può risultare utile il seguente teorema, analogo
a quello di Huyghens:
Teorema Noti i momenti di deviazione A′G , BG
′ ′
, CG di un sistema materiale rispetto
ad una terna Gx′ y ′ z ′ , gli analoghi momenti A′O , BO
′ ′
, CO rispetto ad una terna parallela
Oxyz sono dati dalle relazioni seguenti:
A′O = A′G + M xG yG , ′
BO ′
= BG + M xG zG , ′
CO ′
= CG + M yG zG , (2.21)
A′O = M xG yG , ′
BO = M xG zG , ′
CO = M yG zG . (2.22)
Ricaviamo qui una relazione tra il momento d’inerzia polare J rispetto al polo O e i
momenti d’inerzia A, B, C rispetto ad una qualunque terna Oxyz. Si ha:
J= ms rs2 = ms x2s + ys2 + zs2 =
s s
1 2 1 2 1 2 1
= ms ys + zs2 + ms xs + zs2 + ms xs + ys2 = A + B + C .
2 s 2 s 2 s 2
Nel caso di una sfera omogenea (o, più in generale, a simmetria radiale) si ha A = B = C,
e quindi J = 32 A. Tale formula è utile per determinare A mediante J (il che è più facile
rispetto al calcolo mediante (2.8)).
30
3. CINEMATICA
Postulato: Due osservatori diversi misurano sempre le stesse distanze e gli stessi
tempi.
Sia γ una qualunque curva regolare dello spazio. Andiamo a definire su di essa un sistema
di ascisse curvilinee. A tal fine fissiamo su γ un punto O1 , che chiameremo origine, ed un
verso positivo che diremo verso degli archi crescenti. Inoltre, fissiamo un’unità di
misura per la lunghezza degli archi. In questo
modo ad ogni punto P si può associare il numero s
lunghezza dell’arco O1 P , preso col segno positivo
o negativo a seconda che P segua o preceda O1 in
base all’ordinamento indotto dal verso positivo fis-
sato. Viceversa ad ogni valore di s corrisponde un
unico punto P di γ. Si è dunque stabilita una cor-
rispondenza biunivoca tra i punti di γ ed i numeri
reali di un opportuno intervallo. Il numero s che
corrisponde al punto P è detto ascissa curvilinea del punto P. Ha dunque sempre senso,
quando torni utile, considerare il punto P come funzione della sua ascissa curvilinea s; in
tal caso si scriverà: P = P (s) .
dP P (s + h) ¡ P (s)
= lim .
ds h→0 h
Osserviamo innanzitutto che, poiché P (s+h)¡P (s)
è un vettore diretto secondo la corda, tale è anche
31
P (s + h) ¡ P (s)
il vettore . Passando al limite per h ! 0, la suddetta corda tenderà
h
dP
alla tangente a γ in P (s); di conseguenza ha direzione tangente alla curva in P (s).
ds
P (s + h) ¡ P (s)
Supposto ora h>0, osserviamo che ha il verso degli archi crescenti; di
h
dP
conseguenza, poichè il verso non cambia nel passaggio al limite, anche ha il verso degli
ds
archi crescenti. Allo stesso risultato si giunge supponendo h < 0.
Infine, ricordando la (1.23), si ha
dP
lim jP (s + h) ¡ P (s)j .
ds = h→0 jhj
Ma il modulo di P (s + h) ¡ P (s) è la lunghezza della corda che ha per estremi i due punti
e jhj è la lunghezza dell’arco associato alla stessa corda. Di conseguenza, poiché quando
h tende a zero il rapporto fra corda ed arco tende ad uno, si può scrivere
dP
= t, (3.1)
ds
dove t è il versore tangente alla curva nel punto P di ascissa s, orientato secondo il verso
degli archi crescenti.
La (1.28) comporta
d2 P dt t(s + h) ¡ t(s)
= = lim .
ds2 ds h→0 h
dt
Osserviamo che, essendo t costante in modulo,
ds
dt
è normale a t, per cui giace nel piano normale a
ds
t, cioè nel piano normale alla curva in P (s). Posti
i vettori t(s + h) e t(s) con origine in P (s), osserviamo poi che il vettore t(s + h) ¡ t(s)
giace nel piano passante per la tangente in P (s) e parallelo alla tangente in P (s + h).
Per h ! 0 tale piano tende al cosiddetto piano osculatore alla curva nel punto P (s). Di
dt
conseguenza ha come direzione quella della retta intersezione del piano normale col
ds
piano osculatore. Tale retta è la normale principale alla curva γ nel punto P (s). Si può poi
dimostrare che esiste una circonferenza speciale, detta cerchio osculatore, situata nel piano
osculatore e con centro sulla normale principale, che approssima γ in un intorno del punto
P meglio di qualunque altra circonferenza. Il raggio del cerchio osculatore, che indichiamo
1
con ρc , si chiama raggio di curvatura di γ nel punto P , mentre il suo inverso è detto
ρc
curvatura. Ebbene, si può dimostrare che
dt d2 P 1
= 2
= n, (3.2)
ds ds ρc
32
dove n è un versore, detto versore normale, avente la direzione della normale principale alla
curva in P (s) ed orientato verso il centro del cerchio osculatore.
Se la curva γ è piana, il piano osculatore coincide col piano della curva, la normale prin-
cipale coincide con la normale alla curva ed il versore n è orientato verso l’interno della
curva. Nel caso poi che γ sia una circonferenza il cerchio osculatore coincide ovviamente
con la circonferenza stessa e si ha ρc = R.
Dal momento che i versori t ed n sono normali tra loro, si può definire un terzo versore b,
normale ad entrambi (e quindi normale al piano osculatore) in modo che (t, n, b) sia una
terna destra. La retta avente la direzione di b e passante per P (s) è detta binormale a γ
nel punto P . La terna di versori (t, n, b) è detta terna intrinseca alla curva nel punto P .
P ¡ O = P (t) ¡ O , (3.3)
che costituisce l’equazione vettoriale del moto di P. Ovviamente, anche le tre coordinate
cartesiane di P possono essere scritte in funzione di t,
Queste funzioni sono dette equazioni cartesiane del moto di P. È ovvio che le (3.4) sono equi-
valenti alla (3.3), dal momento che si possono dedurre uguagliando fra loro le componenti
dei due vettori che compaiono in quell’equazione.
Allora ad ogni valore dell’ascissa s corrisponde una posizione di P, mentre ad ogni valore
di t corrisponde un valore dell’ascissa curvilinea, cioè
P ¡ O = P (s) ¡ O
(3.5)
s = s(t) .
33
La prima funzione di (3.5) fornisce la traiettoria di P, la seconda, detta legge oraria del
moto, lo spazio in funzione del tempo, e quindi la posizione di P sulla traiettoria ad ogni
istante t. In forma cartesiana (3.5) equivale a
x= x(s)
y= y(s)
(3.6)
z= z(s)
s= s(t) .
Nel seguito si assumerà che le funzioni a secondo membro di (3.3), (3.4), (3.5) e (3.6) siano
almeno C2 (continue assieme alle loro derivate seconde).
3.3 Velocità
ds
ṡ(t) ´ . (3.7)
dt
Osserviamo che la velocità scalare all’istante t altro non è che il limite della velocità scalare
s(t + h) ¡ s(t)
media nell’intervallo (t, t + h), cioè , quando h tende a zero.
h
Osserviamo anche che abbiamo introdotto una notazione che sarà ampiamente usata nel
seguito: il punto sopra una variabile dipendente dal tempo t significa la derivata di questa
rispetto a t. Analogamente, due punti significheranno la derivata seconda.
s(t) = s0 + v0 t (3.8)
Dalla (3.7) si vede che se la velocità scalare ṡ è positiva, s cresce al crescere del tempo: in
tal caso il moto si dice diretto; se invece ṡ è negativa, s decresce all’aumentare del tempo
e il moto si dice retrogrado.
d(P ¡ O) dP P (t + h) ¡ P (t)
v(t) = = = lim . (3.9)
dt dt h→0 h
34
Analogamente alla velocità scalare, la velocità vettoriale all’istante t è il limite della velo-
P (t + h) ¡ P (t)
cità vettoriale media nell’intervallo (t, t + h) quando h tende a zero.
h
Nota bene: d’ora in poi, quando si parlerà di velocità, si intenderà sempre il vettore velocità
istantanea.
Consideriamo ora P come funzione del tempo t attraverso l’ascissa curvilinea s; tenendo
conto della (3.1) si ha
dP dP ds ds
v(t) = = = t = ṡt . (3.10)
dt ds dt dt
Dunque, la velocità all’istante t ha sempre direzione tangente alla traiettoria, modulo dato
dal modulo della velocità scalare, il verso degli archi crescenti o decrescenti a seconda che
ṡ sia positiva o negativa.
In forma cartesiana si ha
dP d(P (t) ¡ O)
v(t) = = = ẋi + ẏj + żk , (3.11)
dt dt
ossia le componenti sugli assi della velocità di P sono le derivate delle coordinate del punto
rispetto al tempo. Il modulo della velocità, o equivalentemente, il modulo della velocità
scalare è dato da
jvj = jṡtj = jṡj = ẋ2 + ẏ 2 + ż 2 .
Ne consegue
ṡ(t) = § ẋ2 (t) + ẏ 2 (t) + ż 2 (t) , (3.12)
t
s(t) = § ẋ2 (τ ) + ẏ 2 (τ ) + ż 2 (τ )dτ . (3.13)
t0
3.4 Accelerazione
Poichè l’unico moto che avviene con velocità costante è il moto rettilineo uniforme, in
generale la velocità di un punto è variabile nel tempo.
35
Derivando la (3.10)e ricordando la (3.2) si ha
d dṡ dt dt ds ṡ2
a= (ṡt) = t + ṡ = s̈t + ṡ = s̈t + n ,
dt dt dt ds dt ρc
ossia
ṡ2
a = at t + an n con at = s̈ , an = . (3.15)
ρc
L’accelerazione all’istante t è dunque la somma di due vettori, uno detto accelerazione tan-
genziale uguale a s̈t, diretto secondo la tangente alla traiettoria, l’altro, detto accelerazione
ṡ2
centripeta o normale, uguale a n, diretto secondo la normale principale e verso il centro
ρc
del cerchio osculatore alla curva. Poichè questi due vettori giacciono nel piano osculatore
alla traiettoria nel punto P (t), si avrà che l’accelerazione giace nel piano osculatore della
traiettoria. Ricordiamo anche che ρc è il raggio di curvatura della curva percorsa dal punto
in P (t).
Se l’accelerazione tangenziale è nulla in ogni istante, si ha s̈(t) = 0, per cui ṡ(t) = cost = v0 ;
integrando si ha s(t) = s0 + v0 t, cioè il moto è uniforme. Invece i moti con accelerazione
ṡ2
centripeta in ogni istante nulla sono i moti rettilinei, perchè dovendo essere = 0, il
ρc
raggio ρc di curvatura deve essere infinito, e quindi la traiettoria è una retta. Si conclude
che i moti con accelerazione nulla in ogni istante sono soltanto i moti rettilinei ed uniformi.
cioè le componenti dell’accelerazione sugli assi sono le derivate seconde rispetto al tempo
delle coordinate del punto.
Consideriamo ora alcuni moti con particolari caratteristiche per quanto riguarda la velocità
o l’accelerazione, e proponiamo uno schema di classificazione di tali moti. Ciò ci porterà
a riconsiderare anche moti già presi in considerazione e classificati.
36
- moto rettilineo ed uniforme : se ṡt = v 0 costante;
- moto curvilineo : se t(t) 6= cost;
(circolare, parabolico, ellittico, . . . , a seconda della traiettoria)
dṡ2
- moto accelerato : se ṡs̈ > 0; > 0 () jṡj crescente
dt
dṡ2
- moto ritardato : se ṡs̈ < 0; < 0 () jṡj decrescente
dt
- moto uniformemente vario : se s̈(t) = a costante;
- moto uniformemente accelerato : se ṡs̈ > 0 ed s̈ costante;
- moto uniformemente ritardato : se ṡs̈ < 0 ed s̈ costante.
I moti di un punto possono essere classificati anche in base alla legge oraria, nel qual caso
torna utile introdurre e studiare il diagramma orario, vale a dire il grafico di s(t).
1) s(t) = v0 t + s0
Il moto è uniforme. Il diagramma orario è una retta e, ovviamente, v0 ed s0 rappresentano
rispettivamente la velocità scalare ṡ (che è costante) e l’ascissa curvilinea iniziale s(0).
1 2
2) s(t) = at + v0 t + s0
2
Il moto è uniformemente vario. Il diagramma orario è una parabola e le costanti a, v0 ed
s0 forniscono rispettivamente s̈ (che è costante), la velocità scalare iniziale ṡ(0) e l’ascissa
curvilinea iniziale s(0).
3) s(t) = A cos(ωt + γ)
Il moto è oscillatorio armonico. Il diagramma orario è una sinusoide, A è l’ampiezza del moto,
ω la pulsazione e γ la fase iniziale.
Il moto oscillatorio armonico è periodico. A questo riguardo diamo la seguente
Definizione Un moto di equazione oraria s(t) si dice periodico se esiste T > 0 tale che
Il minimo T positivo per cui vale la (3.17) viene detto periodo del moto.
2π
Il moto oscillatorio armonico è periodico di periodo T = . Infatti
ω
2π 2π
s t+ = A cos ω t + +γ = A cos(ωt + 2π + γ) = A cos(ωt + γ) = s(t) .
ω ω
37
2π
Chiaramente ω è il minimo T per cui vale la (3.17). La frequenza di tale moto sarà
1 ω
pertanto f = T = 2π . Osserviamo che frequenza e pulsazione differiscono solo per un
fattore 2π; ciò giustifica il fatto che spesso ci si riferisca direttamente ad ω come alla
frequenza del moto.
Calcoliamo ora velocità ed accelerazione scalare del moto. Si ha
Un’equazione differenziale è una relazione d’uguaglianza che esprime il legame tra una fun-
zione incognita, alcune sue derivate e la variabile indipendente. Si chiama ordine dell’equa-
zione differenziale l’ordine della derivata di ordine massimo. L’insieme di tutte le funzioni
che sono soluzione di un’equazione differenziale è detto integrale generale dell’equazione. Se
p è l’ordine dell’equazione differenziale, il suo integrale generale è costituito di 1p funzioni.
L’equazione (3.18) ha ordine 2 ed il suo integrale generale è costituito dalle 12 funzioni
C1 cos ωt + C2 sin ωt
con C1 e C2 costanti arbitrarie o, equivalentemente, da
C(cos ωt + γ)
con C e γ costanti arbitrarie.
38
3.6 Moto circolare
Il vettore ω si chiama vettore velocità angolare o, più semplicemente, velocità angolare del
punto P .
39
Se il moto avviene con velocità scalare ṡ costante, si parla di moto circolare uniforme. In
tale moto, essendo s funzione lineare del tempo, ossia s = v0 t + s0 (dove s0 rappresenta
l’ascissa curvilinea di P all’istante t=0), si ottiene
s v0 s0
θ(t) = = t+ = ω0 t + θ0 , (3.22)
R R R
v0 s0
dove si è posto ω0 = e θ0 = . Le (3.20) diventano quindi
R R
v02
v = v0 t = Rω0 t , a= n = Rω02 n ,
R
da cui si evidenzia come, nel moto circolare uniforme, l’accelerazione sia tutta centripeta.
Notiamo che, indicato con T il periodo del moto, ossia il tempo impiegato dal punto per
percorrere l’intera circonferenza, si ha
2πR 2π
T = = .
v0 ω0
Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale nel piano Cxy (per semplicità si
sceglierà CO1 come asse delle x), le equazioni cartesiane del moto circolare uniforme sono
date da:
x = R cos ω0 t + θ0 , y = R sin ω0 t + θ0 .
Definizione Un corpo rigido è un sistema di punti materiali le cui mutue distanze riman-
gono costanti nel tempo.
Ovviamente, essendo la distanza fra due punti indipendente dal riferimento, ne consegue
che un corpo rigido è tale rispetto a qualunque osservatore.
Il moto di un corpo rigido è determinato quando è noto il moto di ogni suo punto in ogni
istante t dell’intervallo di tempo considerato. In realtà, grazie alla rigidità del corpo, la
conoscenza del moto di tre punti non allineati, permette di conoscere il moto di ogni altro
punto. Vale infatti il teorema che segue.
40
Teorema Assegnata la posizione del corpo rigido C , ossia dei suoi punti, in un istante
t0 , e nota all’istante t la posizione di tre punti non allineati di C , risulta determinata
all’istante t la posizione di ogni altro punto di C.
Teorema C.N.S. affinchè un corpo C sia rigido, o si comporti come rigido, è che in ogni
istante t si abbia
dP (P ¡ Q) dQ (P ¡ Q)
8P, Q 2 C , ¢ = ¢ . (3.23)
dt jP ¡ Qj dt jP ¡ Qj
Osservazione. Un punto non appartenente al corpo rigido, ma solidale con esso, può sem-
pre essere considerato un punto del corpo.
Il modo più semplice per rispondere a questa domanda si basa sulla considerazione pre-
cedente. Siano Pi ´ (xi , yi , zi ), i = 1, 2, 3, tre punti non allineati del corpo rigido. Per
quanto detto, la conoscenza dei 9 parametri xi , yi e zi in funzione del tempo permette di
conoscere la posizione di ogni altro punto del corpo, e quindi la posizione del corpo, in
ogni istante. Tuttavia, dovendo le distanze P1 P2 , P1 P3 e P2 P3 rimanere costanti al variare
41
del tempo, sussistono tra i nove parametri le seguenti tre relazioni:
21
2 2 2
P1 P2 = (x1 ¡ x2 ) + (y1 ¡ y2 ) + (z1 ¡ z2 ) = d12
1
2
con d12 , d13 e d23 costanti. Di conseguenza, i parametri indipendenti necessari e sufficienti
a definire la posizione di un corpo rigido libero sono 6 (= 9¡3).
È bene osservare fin d’ora che nella pratica la scelta delle coordinate di tre punti non
allineati del corpo o, in alternativa, delle coordinate di un punto O1 del corpo e dei nove
coseni direttori degli assi di un sistema solidale col corpo, non è conveniente. Infatti, in
tal caso occorrerebbe poi tener conto delle 6 relazioni che intercorrono tra questi parame-
tri. Sottolineiamo fin d’ora il fatto che è sempre opportuno scegliere dei parametri, che
chiameremo parametri lagrangiani, che siano indipendenti.
Nel caso di un corpo rigido C libero la scelta ottimale consiste nell’assumere come para-
metri lagrangiani le coordinate di un punto del corpo (x, y, z), per esempio il baricentro,
e i tre angoli di Eulero (ψ, φ, θ) che adesso definiamo.
Sia O1 un punto del corpo rigido C e O1 xyz un sistema di riferimento con origine in O1
e traslante (cioè tale che i suoi assi rimangono paralleli a se stessi durante il moto) rispetto ad
un osservatore fisso OXY Z, con gli assi della terna O1 xyz paralleli a quelli di OXY Z.
Introduciamo poi anche un sistema O1 x1 y1 z1 solidale con C.
42
3.8 Formule di Poisson
i1 ¢ j 1 = 0 j 1 ¢ k 1 = 0 k1 ¢ i1 = 0
si avrà
di1 dj di1 dj
¢ j 1 + i1 ¢ 1 = 0 =) ¢ j 1 = ¡i1 ¢ 1 = r(t)
dt dt dt dt
dj 1 dk1 dj 1 dk1
¢ k1 + j 1 ¢ =0 =) ¢ k1 = ¡j 1 ¢ = p(t)
dt dt dt dt
dk1 di1 dk 1 di1
¢ i1 + k 1 ¢ =0 =) ¢ i1 = ¡k1 ¢ = q(t) .
dt dt dt dt
Definito il vettore ω nel modo seguente
43
Osservazione. In realtà il corpo rigido non ha giocato nessun ruolo nella deduzione delle
formule (3.26). Si poteva quindi partire direttamente con il solo riferimento O1 x1 y1 z1 ,
senza associarlo ad alcun corpo rigido. Occorre tuttavia dire che nella pratica O1 x1 y1 z1 è
quasi sempre ”attaccato” ad un corpo rigido. Ciò giustifica la scelta fatta.
dP dO1 di1 dj dk 1
¡ = x1 + y1 1 + z1 = x1 ω £ i1 + y1 ω £ j 1 + z1 ω £ k1 =
dt dt dt dt dt
= ω £ (x1 i1 + y1 j 1 + z1 k1 ) = ω £ (P ¡ O1 ) ,
ossia
dP dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ) . (3.27)
dt dt
Questa formula, a cui ci riferiremo come formula fondamentale della cinematica rigida, esprime
dunque la velocità di un qualsiasi punto P del corpo rigido, nota la velocità di un punto O1
e noto il vettore velocità angolare ω. Derivandola otteniamo l’espressione dell’accelerazione
di un generico punto P di un corpo rigido.
d2 P d2 O1 dω d
2
= 2
+ £ (P ¡ O1 ) + ω £ (P ¡ O1 ) =
dt dt dt dt
d2 O1 dω
= 2
+ £ (P ¡ O1 ) + ω £ ω £ (P ¡ O1 ) . (3.28)
dt dt
Poiché la relazione (3.27) vale 8P 2 C, può essere scritta per un altro punto Q 2 C:
dQ dO1
= + ω £ (Q ¡ O1 ). (3.29)
dt dt
Sottraendo membro a membro la (3.29) dalla (3.27) si ha
dP dQ d(P ¡ Q)
¡ = ω £ (P ¡ Q) ) = ω £ (P ¡ Q), (3.30)
dt dt dt
che dà l’espressione della derivata del vettore (P ¡ Q), 8P, Q 2 C.
44
Il vettore ω gode delle seguenti proprietà:
- è unico. Infatti non dipende dal punto O1 (come è evidente dalla sua definizione) e
supposto che ne esistano due, si dimostra immediatamente che sono uguali.
- dipende, in generale, dal tempo. Di conseguenza esso varia, in generale, sia in modulo
che in direzione.
- ha le dimensioni dell’inverso di un tempo, come si evince da una analisi dimensionale
della formula (3.29). Di conseguenza ω può essere pensato nella forma
ω = θ̇(t)a(t) ,
con θ angolo di rotazione del corpo. Il concetto di angolo di rotazione sarà ripreso e
giustificato più avanti, quando tratteremo lo stato cinetico rotatorio.
Definizione Si chiama stato cinetico o atto di moto di un corpo rigido C il campo vettoriale
delle velocità dei suoi punti in un dato istante t0 .
8P 2 C =) v(P ) = uk + ωk £ (P ¡ O1 ) .
In un dato istante un corpo rigido può passare attraverso più stati cinetici v 1 (P ), v 2 (P ),...,
v n (P ). Ebbene, in tal caso lo stato cinetico risultante è determinato dalla composizione
degli n stati cinetici, ossia da
v(P ) = v 1 (P ) + v 2 (P ) + ... + v n (P ) .
45
Come sappiamo già, lo stato cinetico rigido è dato dalla formula fondamentale della
cinematica rigida
dP dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ), 8P 2 C.
dt dt
Esso può essere riguardato come la composizione di uno stato cinetico traslatorio, definito
dO1
da u = , con uno rotatorio, definito da (O1 , ω). Per questa ragione si parla spesso di
dt
stato cinetico rototraslatorio.
Prima di passare ad esaminare i diversi casi che si possono avere a seconda del valore dei
dO1
vettori caratteristici ed ω, occorre introdurre una nozione che ci tornerà assai utile.
dt
Definizione Si chiama invariante la grandezza scalare
dO1
I= ¢ω. (3.31)
dt
Andando ad esaminare i diversi casi che si presentano a seconda del valore dei vettori carat-
dO1
teristici ed ω, dimostreremo che uno stato cinetico rigido è sempre equivalente
dt
ad uno stato cinetico elementare.
dO1
= 0, ω = 0 : lo stato cinetico è nullo. Tutti i punti del corpo hanno velocità nulla
dt
all’istante t0 ; ossia, per t = t0 il corpo ha un istante di arresto.
dO1
= 0, ω = 0 : lo stato cinetico è traslatorio. Tutti i punti del corpo hanno, all’istante
6
dt
t0 , la stessa velocità. È questo l’unico caso in cui si può parlare di velocità del corpo C .
Al riguardo si può enunciare un ovvio teorema:
dO1
Teorema C.N.S. affinchè lo stato cinetico rigido sia traslatorio è che= 0, ω = 0.
6
dt
Se poi lo stato cinetico del corpo C è traslatorio in ogni istante di un intervallo (t1 , t2 ),
si dirà che in detto intervallo C si muove di moto traslatorio o, più semplicemente, che C
trasla. Ovviamente, durante un moto traslatorio la velocità, in generale, varia da istante
ad istante.
46
3.11 Stato cinetico rotatorio
dO1
Consideriamo ora il caso in cui = 0 mentre ω 6= 0, per cui
dt
v(P ) = ω £ (P ¡ O1 ) .
Lo stato cinetico, che è chiaramente rotatorio, è definito dalla coppia costituita dal punto
O1 e dal vettore ω, e quindi dal vettore applicato (O1 , ω). La retta individuata da questo
vettore applicato è detta asse di istantanea rotazione.
v(P ) = ωk £ (P ¡ P0 + P0 ¡ O1 ) = ωk £ (P ¡ P0 ) . (3.32)
Ora, confrontando questa espressione di v(P ) con la (3.21), se ne deduce che la velocità
di un punto P 2
/ (O1 , ω) è quella di un punto che, all’istante considerato, percorre con
velocità angolare scalare θ̇ = ω la circonferenza posta nel piano normale a k di centro
P0 e raggio r = P P0 . Il fatto che ω sia indipendente dal punto P , e quindi esprima una
caratteristica del moto dell’intero corpo, giustifica il nome di velocità angolare di C che si
dà al vettore ω. Naturalmente θ̇ è detta velocità angolare scalare di C .
47
dO1
Lo stato cinetico di un corpo rigido può essere rotatorio anche senza che sia nullo. Il
dt
teorema che segue dà ragione di questa affermazione.
dP dO1
Teorema C.N.S. affinchè lo stato cinetico rigido = + ω £ (P ¡ O1 ), con ω 6
= 0,
dt dt
sia rotatorio è che si abbia
dO1 dO1
= 0 oppure ? ω.
dt dt
Dimostrazione
Osservazione Uno stato cinetico rotatorio (O1 , ωk) è equivalente agli infiniti stati cinetici
(O2 , ωk), con O2 2 (O1 , k). Infatti:
v(P ) = ω£(P ¡O1 ) = ω£(P ¡O2 +O2 ¡O1 ) = ω£(P ¡O2 )+ω£(O2 ¡O1 ) = ω£(P ¡O2 ) .
In altre parole: dato uno stato cinetico rotatorio, è lecito far scorrere il vettore velocità
angolare lungo l’asse di istantanea rotazione.
48
Se lo stato cinetico del corpo C è rotatorio in ogni istante di un intervallo (t1 , t2 ), si dirà
che in detto intervallo C si muove di moto rotatorio o, più semplicemente, che C ruota.
Naturalmente, durante un moto rotatorio, l’asse di istantanea rotazione varia, in generale,
sia nello spazio che nel corpo.
Nota bene : in questo paragrafo è stata introdotto l’uso della notazione di vettore applicato
anche per indicare la retta dello spazio che esso individua. Di questo doppio uso del simbolo
di vettore applicato faremo ampio uso anche in seguito. Il contesto dovrebbe escludere
ogni possibilità di confusione.
8M 2 (O1 , k) , v(M ) = uk .
Di solito la velocità uk, che è comune a tutti (e solo) i punti dell’asse di Mozzi, è detta
velocità di scorrimento del corpo. Osserviamo che si può scrivere
uω ω I
v(M ) = uk = = 2ω.
ω ω ω
Per quanto riguarda la velocità di un qualunque punto non appartenente all’asse di Mozzi,
osserviamo che si ottiene sommando alla velocità di scorrimento una componente (non
nulla) normale all’asse stesso.
Teorema di Mozzi C.N.S. perché uno stato cinetico rigido sia elicoidale è che l’inva-
riante I sia diverso da zero.
Dimostrazione
dP dO1
Lo stato cinetico rigido sia rappresentato come al solito: = + ω £ (P ¡ O1 ) .
dt dt
dO1 dO1
C.N. L’ipotesi è che lo stato cinetico è elicoidale. Ciò implica = 0, ω 6
6 = 0, k ω.
dt dt
dO1
Essendo I = ¢ ω, ne consegue immediatamente I 6 = 0.
dt
dO1
C.S. L’ipotesi è I 6= 0. Ne consegue che i vettori e ω sono non nulli e non ortogonali,
dt
dO1 dO1
e quindi k ω oppure = uω + un con uω k ω ed un ? ω. Consideriamo nell’ordine
dt dt
i due casi.
49
dO1
a) k ω. Per definizione lo stato cinetico è elicoidale con asse di Mozzi (O1 , ω) .
dt
dO1
b) = uω + un . Essendo un ? ω, come visto al x1.7, esistono infiniti O2 tali che
dt
un = ω £ (O1 ¡ O2 ) . (3.35)
Se lo stato cinetico del corpo C è elicoidale in ogni istante di un intervallo (t1 , t2 ), si dirà che
in detto intervallo C si muove di moto rototraslatorio. Durante un moto rototraslatorio,
l’asse di Mozzi varia, in generale, sia nello spazio che nel corpo. Un esempio significativo
di moto rototraslatorio è costituito dal moto di un corpo rigido con un asse scorrevole su
un asse fisso. In tal caso l’asse di Mozzi risulta fisso sia nello spazio che nel corpo.
I diversi casi di stati cinetici rigidi possono essere riassunti nello schema seguente:
dO
1
= 0, ω=0 =) Stato cinetico nullo
dt
dO1
= 0,
6 ω=0 =) Stato cinetico traslatorio
I=0 : dt
dO1
= 0, ω6
=0 =) Stato cinetico rotatorio (O1 , ω)
dt
dO1 6 dO1
= 0, ω6
= 0, ?ω =) Stato cinetico rotatorio (O2 , ω)
dt dt
dO1 dO1 Stato cinetico elicoidale
= 0,
6 ω6
= 0, kω =)
dt
dt con asse di Mozzi (O1 , ω)
I6
=0 :
dO1 dO1 Stato cinetico elicoidale
dt =60, ω6
= 0,
dt
trasverso a ω =)
con asse di Mozzi (O2 , ω)
Nel caso del moto di un corpo rigido in un intervallo di tempo (t1 , t2 ) si parla di
- moto traslatorio : se 8t 2 (t1 , t2 ) lo stato cinetico è traslatorio;
- moto rotatorio : se 8t 2 (t1 , t2 ) lo stato cinetico è rotatorio;
- moto rototraslatorio : se 8t 2 (t1 , t2 ) lo stato cinetico è elicoidale.
50
3.14 Composizione degli stati cinetici
Sia C un corpo rigido in moto e sia fv(P ), P 2 C g il suo stato cinetico in un dato istante
t. Supponiamo che v(P ) sia la composizione di due stati cinetici v 1 (P ) e v 2 (P ), ossia che
si abbia
v(P ) = v 1 (P ) + v 2 (P ) .
v 1 (P ) = u1 , v 2 (P ) = u2 =) v(P ) = u1 + u2 .
v 1 (P ) = u , v 2 (P ) = ω £ (P ¡ O1 ) =) v(P ) = u + ω £ (P ¡ O1 ) .
Per quanto visto sugli stati cinetici rotatorio ed elicoidale sappiamo già che lo stato cinetico
risultante è rotatorio se u ? ω, elicoidale altrimenti (si veda il teorema di Mozzi).
v 1 (P ) = ω 1 £ (P ¡ O1 ), v 2 (P ) = ω 2 £ (P ¡ O2 );
3a) Gli assi d’istantanea rotazione (O1 , ω 1 ) e (O2 , ω 2 ) sono concorrenti (eventualmente
anche coincidenti).
Detto O il punto d’intersezione delle rette (O1 , ω 1 ) e (O2 , ω 2 ), si può scrivere
v(P ) = ω 1 £ (P ¡ O) + ω 2 £ (P ¡ O) = (ω 1 + ω 2 ) £ (P ¡ O).
Di conseguenza, se ω 1 + ω 2 6
= 0 (come in generale sarà), lo stato cinetico risultante è
rotatorio con asse (O, ω 1 + ω 2 ). Se invece ω 1 + ω 2 = 0, cioè ω1 = ¡ω 2 , lo stato cinetico
risultante è nullo.
3b) Gli assi d’istantanea rotazione (O1 , ω1 ) e (O2 , ω2 ) sono paralleli (e distinti, per cui
O2 2
/ (O1 , ω 1 )).
51
Se ω 1 + ω 2 6
= 0 allora sulla retta O1 O2 esiste un punto O tale che
Infatti, qualunque sia il punto O, questi due vettori hanno uguale direzione (normale
al piano contenente ω 1 e ω 2 ); affinchè abbiano verso opposto, occorre scegliere O inter-
namente al segmento O1 O2 quando ω 1 e ω2 sono concordi, esternamente quando sono
discordi. Affinchè poi i due vettori abbiano lo stesso modulo si deve verificare che
ω1 OO2
ω1 OO1 = ω2 OO2 =) = ,
ω2 OO1
cioè il punto O deve dividere il segmento O1 O2 internamente o esternamente (a seconda che
ω 1 e ω 2 siano o no equiversi) in parti inversamente proporzionali ad ω1 e ω2 . Osserviamo
che nel caso in cui O è esterno ad O1 O2 , esso sta dalla parte dell’ωi di modulo maggiore.
Ora, tenendo presente la (3.36) si ha
v(P ) = ω 1 £(P ¡O1 )+ω 2 £(P ¡O2 )+ω 1 £(O1 ¡O)+ω 2 £(O2 ¡O) = (ω 1 +ω 2 )£(P ¡O),
che rappresenta uno stato cinetico di rotazione attorno ad un asse d’istantanea rotazione
parallelo ad ω 1 +ω2 e con velocità angolare uguale allo stesso vettore somma.
Se invece ω1 + ω 2 = 0, per cui ω 1 = ¡ω 2 = ω, si può scrivere
v 1 (P ) = ω £ (P ¡ O1 ), v 2 (P ) = ¡ω £ (P ¡ O2 )
Allora, poiché
v(P ) = ω £ (P ¡ O1 ¡ P + O2 ) = ω £ (O2 ¡ O1 ) = u ,
3c) Gli assi d’istantanea rotazione (O1 , ω 1 ) e (O2 , ω2 ) sono sghembi (per cui ω 1 6
= ω 2 ).
v(P ) = ω 1 £ (P ¡ O1 ) + ω 2 £ (P ¡ O2 ) + ω 1 £ (P ¡ O2 ) ¡ ω 1 £ (P ¡ O2 ) =
= ω 1 £ (O2 ¡ O1 ) + (ω 1 + ω 2 ) £ (P ¡ O2 ) = u + (ω1 + ω 2 ) £ (P ¡ O2 )
52
Passiamo ora allo studio di quel capitolo della cinematica che va sotto il nome di
CINEMATICA RELATIVA.
Ricordato che in virtù di due fondamentali postulati già introdotti i tempi e le distanze
non variano al variare dell’osservatore (si veda il postulato della nota introduttiva alla
Cinematica, pag. 43), facciamo subito un’importante considerazione. Ogni sistema di
riferimento si può sempre pensare collegato ad un corpo rigido, in quanto o lo è realmente,
oppure si può immaginare che lo sia (in tal caso il corpo rigido sarebbe quello formato dai
punti le cui distanze dagli assi rimangono invariate nel tempo).
Allora, per conoscere il moto del sistema relativo rispetto a quello fisso occorre conoscere in
ogni istante la posizione rispetto ad Oxyz del corpo rigido collegato col sistema O1 x1 y1 z1 .
Ciò è possibile conoscendo il moto di O1 e i nove coseni direttori degli angoli che gli assi
del sistema mobile formano con gli assi del sistema fisso o, equivalentemente, il moto di
O1 e il vettore ω(t).
53
3.16 Teoremi di composizione delle velocità e delle accelerazioni
Le formule (3.37) risolvono dunque il problema di determinare il moto del punto P ri-
spetto all’osservatore fisso, noto il moto di P rispetto all’osservatore mobile e noto il moto
di questo rispetto all’osservatore fisso. Risultano tuttavia molto importanti le relazioni
che legano direttamente fra di loro le due velocità e le due accelerazioni rispetto ai due
osservatori. Ci occupiamo ora di determinare queste relazioni. In questo caso il moto del
riferimento O1 x1 y1 z1 rispetto ad Oxyz è noto essendo noti O1 (t) e ω(t).
Ritorniamo alle primitive coordinate, (x, y, z) rispetto al sistema fisso e (x1 , y1 , z1 ) rispetto
al sistema mobile, e supponiamo, come al solito, che i, j, k siano i versori relativi agli assi
del sistema Oxyz mentre i1 , j 1 , k1 siano i versori del sistema O1 x1 y1 z1 . L’espressione
cartesiana del vettore P ¡ O rispetto ad Oxyz e di P ¡ O1 rispetto ad O1 x1 y1 z1 è data da
P ¡ O = xi + yj + zk , P ¡ O1 = x1 i1 + y1 j 1 + z1 k1 .
54
dove
dO1 di1 dj dk1
v τ (P ) = + x1 + y1 1 + z 1 = (3.44)
dt dt dt dt
dO1
= + x1 (ω £ i1 ) + y1 (ω £ j 1 ) + z1 (ω £ k1 ) =
dt
dO1
= + ω £ (x1 i1 ) + ω £ (y1 j 1 ) + ω £ (z1 k1 ) =
dt
dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ) (3.45)
dt
viene detta velocità di trascinamento di P . Tale nome deriva dal fatto che v τ (P ) rappresenta
la velocità che il punto P avrebbe se fosse rigidamente connesso al sistema mobile.
Consideriamo ora la (3.42) e deriviamola rispetto al tempo nel sistema fisso. Si avrà
d2 P d2 O1 di1 dj 1 dk 1 d2 i1 d2 j 1 d2 k 1
¡ = ẍ 1 i1 + ÿ1 j 1 + z̈ 1 k 1 + 2 ẋ 1 +2 ẏ 1 + 2ż1 + x 1 + y1 + z1 ,
dt2 dt2 dt dt dt dt2 dt2 dt2
e cioè
a(P ) = a1 (P ) + ac (P ) + aτ (P ) . (3.46)
Il termine
d2 O1 d2 i1 d2 j 1 d2 k1
aτ (P ) = + x 1 + y 1 + z1 , (3.47)
dt2 dt2 dt2 dt2
costituisce l’accelerazione di trascinamento di P ; esso rappresenta l’accelerazione che il punto
P avrebbe se considerato rigidamente connesso al sistema relativo, mentre il termine
di1 dj 1 dk1
ac (P ) = 2 ẋ1 + ẏ1 + ż1 = 2 ẋ1 ω £ i1 + ẏ1 ω £ j 1 + ż1 ω £ k1 =
dt dt dt
= 2ω £ ẋ1 i1 + ẏ1 j 1 + ż1 k1 = 2ω £ v 1 (P ), (3.48)
55
con il riferimento O1 x1 y1 z1 , cioè supponendo x1 , y1 e z1 costanti. Ciò risulta evidente se
si confronta (3.44) con (3.47). Sviluppando quest’ultima si ottiene un’espressione dell’ac-
celerazione di trascinamento molto utile ai fini del calcolo della stessa:
Supponiamo ora che i sistemi di riferimento coinvolti siano tre: oltre ad Oxyz ed O1 x1 y1 z1
introduciamo anche O2 x2 y2 z2 . Considerando O1 x1 y1 z1 come sistema assoluto ed O2 x2 y2 z2
come sistema relativo, si ha
v1 = v 2 + vτ 2 , a1 = a2 + aτ 2 + ac2 .
v = v2 + vτ 1 + vτ 2 , a = a2 + aτ 1 + aτ 2 + ac1 + ac2 .
Nel seguito qualche volta useremo una notazione più sintetica per indicare un sistema di
riferimento: (O) per Oxyz e (O1 ) per O1 x1 y1 z1 .
Preso un vettore qualsiasi u, in generale esso varia sia rispetto al sistema fisso Oxyz che
rispetto al sistema mobile O1 x1 y1 z1 . Ci poniamo il problema di determinare la relazione
che lega le derivate (rispetto al tempo) di u rispetto ai due riferimenti. Sia
56
du du di1 dj dk1
= + u1x + u1y 1 + u1z
dt O dt O1 dt dt dt
du
= + u1x (ω £ i1 ) + u1y (ω £ j 1 ) + u1z (ω £ k1 )
dt O1
du
= + ω £ (u1x i1 + u1y j 1 + u1z k1 ) ,
dt O1
ossia
du du
= + ω £ u. (3.50)
dt O dt O1
cioè la derivata rispetto al tempo del vettore ω è la stessa rispetto ai due sistemi di
riferimento.
Pertanto se p, q, r sono le componenti di ω sugli assi x1 , y1 , z1 ,le componenti
dω dω
di sugli stessi assi sono ṗ, q̇, ṙ. Si può inoltre osservare che, se = 0,
dt O dt O1
allora (O1 , ω) è fisso rispetto ad (O1 ) e traslante rispetto ad (O).
Dedichiamo ora alcuni paragrafi allo studio di particolari moti rigidi, detti MOTI
RIGIDI PIANI. Questo argomento, riveste particolare interesse soprattutto in vista
del corso di “Meccanica Applicata alle Macchine”.
Definizione Si definisce moto rigido piano il moto di una figura rigida piana nel proprio
piano.
Sia Oxy il piano fisso su cui si muove la figura rigida piana e sia O1 x1 y1 un piano solidale
con la figura, mobile su Oxy. Siano poi k e k 1 i versori ortogonali rispettivamente al
piano fisso Oxy e al piano mobile O1 x1 y1 , orientati in modo tale che le terne Oxyz e
O1 x1 y1 z1 siano destre. Poichè O1 x1 y1 si muove su Oxy, in ogni istante si ha k = k1 , e
dk 1
quindi dt = 0. Utilizzando le formule di Poisson si ha dunque ω£k 1 = 0, per cui, supposto
ω6
= 0, ω è ortogonale ai due piani. Ovviamente, se ω = 0 lo stato cinetico in generale è
traslatorio (si può anche verificare il caso particolarissimo in cui è nullo).
57
Lo stato cinetico del moto rigido piano è dunque dato da
dP dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ) ,
dt dt
dO1
con ortogonale ad ω. Esiste perciò, ed è unico, un punto C 2 Oxy, soddisfacente
dt
l’equazione
dO1
= ω £ (O1 ¡ C) ; (3.51)
dt
questo punto è tale che, sostituendo, si ha
dP
= ω £ (P ¡ C) . (3.52)
dt
v τ (C) = ω £ (C ¡ C) = 0 ,
dO1
v τ (C) = + ω £ (C ¡ O1 ) = 0 .
dt
Ne consegue che
v(C) = v 1 (C) ,
ossia il punto C percorre la base e la rulletta con la stessa velocità. Questo permette anche
di affermare che durante il moto della figura rigida piana la base e la rulletta rotolano senza
strisciare l’una sull’altra.
Osserviamo che l’equazione (3.51), usata per determinare C, ne esprime la proprietà che
lo caratterizza, vale a dire v τ (C) = 0.
58
Problema: Note in un dato istante la posizione del centro C e la velocità di un punto A
della figura piana, determinare la velocità di un qualunque altro punto P.
Osserviamo innanzitutto che, essendo
v(A) = ω £ (A ¡ C) , v(P ) = ω £ (P ¡ C) ,
jP ¡ Cj
jv(P )j = jv(A)j .
jA ¡ Cj
dA
= ω £ (A ¡ C) ,
dt
dA
i vettori e (A ¡ C) sono ortogonali.
dt
Per enunciare il secondo teorema è necessario introdurre il concetto di profili coniugati.
Cosı̀ si chiamano due curve γ e γ ′ , l’una fissa e l’altra solidale col sistema mobile, tali che
durante il moto rigido si mantengono in ogni istante tangenti. Vale quindi il seguente
Teorema La normale comune a due profili coniugati nel loro punto di contatto passa per
il centro di istantanea rotazione.
59
Dimostrazione. Sia M il punto di contatto fra i profili coniugati γ e γ ′ , che rotolano e
strisciano uno sull’altro. Supposto M 6
= C, essendo
v(M ) k v 1 (M ) e v τ (M ) = v(M ) ¡ v 1 (M ) ,
ne deriva che v τ (M ), che è diverso dal vettore nullo, ha la direzione della tangente ai
profili coniugati. Di conseguenza, essendo v τ (M ) = ω £ (M ¡ C), C sta sulla normale per
M a γ e γ ′.
Se v τ (M ) = 0, allora M ´ C, γ coincide con la base e γ ′ con la rulletta.
L’applicazione di uno dei due teoremi appena enunciati porta dunque a determinare una
retta che contiene il centro di istantanea rotazione C. Chiaramente, il punto di interse-
zione di due rette siffatte determina completamente C. Pertanto, il centro di istantanea
rotazione di un moto rigido piano è determinabile per via geometrica quando sono note le
traiettorie di due punti della figura rigida oppure la traiettoria di un punto e due profili
coniugati oppure due coppie di profili coniugati.
60
b) Esempio di profili coniugati.
d) Moti cicloidali.
Si chiamano moti cicloidali i moti rigidi piani nei quali ambedue le curve polari sono circon-
ferenze. In particolare, si parla di moto epicicloidale quando la rulletta è esterna alla base e
di moto ipocicloidale quando è interna (come nell’esempio a)). Si chiama poi epiciclo o ipo-
ciclo la traiettoria descritta da un punto solidale con la figura rigida a seconda che il moto
è epicicloidale o ipocicloidale. Tali moti sono di interesse nella teoria degli ingranaggi.
61
In un moto cicloidale la base può anche essere una retta (”circonferenza di raggio infinito”),
come nell’esempio c). In tal caso la traiettoria descritta da un punto solidale con la figura
mobile è detta cicloide.
Supponiamo sia nota la traiettoria di un punto O1 della figura rigida piana. Assunto tale
punto come origine del sistema di riferimento solidale, e indicato con θ l’angolo tra gli assi
x e x1 , siano a(θ) e b(θ) le coordinate di O1 rispetto ad Oxy. Indicate poi con (ξ, η) e
(ξ1 , η1 ) le coordinate del centro C rispetto ad Oxy e O1 x1 y1 rispettivamente, valgono le
seguenti relazioni :
(3.53) O1 ¡ O = ai + bj
(3.54) C ¡ O1 = (ξ ¡ a)i + (η ¡ b)j
(3.55) C ¡ O1 = ξ1 i1 + η1 j 1
i = cos θ i1 ¡ sin θ j 1
(3.56)
j = sin θ i1 + cos θ j 1 .
Riscrivendo la (3.51), che come abbiamo visto rappresenta la condizione v τ (C) = 0, te-
nendo conto che O1 è funzione del tempo t attraverso θ, e semplificando per θ̇ (cosa lecita
in quanto ω 6
= 0), si ha
dO1
+ k £ (C ¡ O1 ) = 0 . (3.57)
dθ
dO1
Sostituendovi la derivata ottenuta dalla (3.53), si ottiene
dθ
da db
i + j + k £ (C ¡ O1 ) = 0 . (3.58)
dθ dθ
Questa relazione permette ora di ricavare facilmente le equazioni parametriche delle curve
polari. Per ricavare quelle della base è sufficiente sostituirvi la (3.54) ed eseguire il prodotto
vettoriale. Cosı̀ facendo otteniamo
da db
i + j + (ξ ¡ a)j ¡ (η ¡ b)i = 0 ,
dθ dθ
che implica
db
ξ =a¡
dθ (3.59)
η =b+ da
.
dθ
62
Per ottenere le equazioni della rulletta occorre sostituire in (3.58) le espressioni di C ¡ O1
e dei versori i e j date dalle (3.55) e (3.56). Ciò porta alla relazione
da db
(cos θi1 ¡ sin θj 1 ) + (sin θi1 + cos θj 1 ) + ξ1 j 1 ¡ η1 i1 = 0 ,
dθ dθ
da cui si deduce
da db
ξ1 = sin θ ¡ cos θ ,
dθ dθ (3.60)
η = da cos θ + db sin θ .
1
dθ dθ
Osservazione. Nella relazione (3.57) il tempo non compare. Questo significa che base e
rulletta costituiscono un fatto geometrico e non cinematico, vale a dire esse non dipendono
dalla legge oraria del moto. Di conseguenza possono esistere infiniti moti diversi aventi
però la stessa base e la stessa rulletta.
L’accelerazione di un generico punto di una figura rigida piana in moto nel suo piano si
ottiene derivando la (3.52) ed è data da
dω dC
a(P ) = £ (P ¡ C) + ω £ ω £ (P ¡ C) ¡ ω £ , (3.61)
dt dt
Teorema In un moto rigido piano in ogni istante t esiste uno ed un solo punto, detto
polo delle accelerazioni, che ha accelerazione nulla.
Dimostrazione. Perché a(P ) sia nulla, dalla (3.61), opportunamente riscritta, si deduce
che deve essere verificata la seguente relazione:
dC
θ̈k £ (P ¡ C) ¡ θ̇2 (P ¡ C) = θ̇k £ .
dt
Posto
dC
u1 = θ̈k £ (P ¡ C) , u2 = ¡θ̇2 (P ¡ C) , u = θ̇k £ ,
dt
vediamo dunque se esiste un punto P per cui si abbia
u1 (P ) + u2 (P ) = u .
Osserviamo innanzitutto che mentre u1 e u2 dipendono da P , u è indipendente. Osser-
viamo anche che u1 e u2 sono perpendicolari tra loro e che si ha ju1 j = jθ̈jr e ju2 j = θ̇2 r,
con r distanza di P da C. Perció, posti i vettori con l’origine in C, quando si varia P sulla
circonferenza di centro C e raggio r, il secondo estremo del vettore u1 +u2 descrive pure
esso una circonferenza. Se si varia con continuità il raggio r da 0 ad 1, la circonferenza
63
descritta da u1 +u2 copre tutto il piano. Di conseguenza, al variare di P in tutto il piano, il
vettore u1 +u2 diventa uguale ad un qualunque vettore prefissato. Esiste quindi un punto
A, chiaramente unico, per cui u1 +u2 = u, e conseguentemente tale che a(A) = 0.
Il polo A delle accelerazioni è importante in quanto può essere utilizzato per calcolare
l’accelerazione dei punti della figura rigida. Vale infatti la seguente proposizione:
In un moto rigido piano l’accelerazione di un punto può essere calcolata come se la figura
ruotasse attorno al polo A anziché attorno al centro C, purchè si consideri A fisso.
Dimostrazione.
L’espressione (3.61) calcolata per P ´ A fornisce
dω dC
0= £ (A ¡ C) + ω £ ω £ (A ¡ C) ¡ ω £ .
dt dt
dω
a(P ) = £ (P ¡ A) + ω £ ω £ (P ¡ A) .
dt
dP
= ω £ (P ¡ A)
dt
dA
purché si consideri = 0. Ciò prova l’affermazione precedentemente fatta circa la
dt
possibilità di utilizzare il polo delle accelerazioni ai fini del calcolo delle accelerazioni.
Dato un corpo rigido C e l’osservatore assoluto OXY Z, per moto del corpo rispetto ad un suo
punto O1 si intende il moto del corpo rispetto ad un riferimento O1 xyz traslante rispetto
ad OXY Z. Dalla (3.43) si ha
dO1
v(P ) = v 1 (P ) + ,
dt
e dalla formula fondamentale della cinematica rigida
dO1
v(P ) = + ω £ (P ¡ O1 ) .
dt
64
Uguagliando queste due relazioni si ottiene
v 1 (P ) = ω £ (P ¡ O1 ) . (3.62)
Ciò significa che il moto di un corpo rigido rispetto ad un suo punto O1 è sempre rotatorio con
asse (O1 , ω), eccetto il caso in cui ω = 0, nel qual caso il corpo è fermo (nell’istante in
questione).
Lo stato cinetico v 1 (P ) può essere definito in termini un pò più precisi mediante gli angoli
di Eulero introdotti nel x3.7. Facendo riferimento alla figura e alle notazioni del suddetto
paragrafo, lo stato cinetico di C può infatti essere riguardato come la composizione dei tre
stati cinetici rotatori (con assi concorrenti) (O1 , ψ̇k), (O1 , ϕ̇k1 ) e (O1 , θ̇l). Di conseguenza
Si chiamano precessioni quei particolari moti per i quali θ(t) = θ0 costante, per cui
ω = ψ̇k + ϕ̇k1 .
Se poi ψ̇ e ϕ̇ sono entrambi costanti, per cui le due rotazioni attorno agli assi di precessione
e di figura sono uniformi, allora la precessione è detta regolare.
2π 2π
θ0 = 23◦ 28′ , ϕ̇ = , ψ̇ = .
1g 365 ¢ 26000g
65
3.24 Sistemi di riferimento equivalenti
Teorema C.N.S. affinchè due sistemi di riferimento (O) ed (O1 ) siano equivalenti è che
si abbia
a(P ) = a1 (P ) , 8P = P (t) .
Sono sistemi equivalenti fra di loro i sistemi stellari, vale a dire i sistemi di riferimento con
origine in una stella fissa ed assi orientati verso stelle fisse. Il sistema solare, con origine nel
centro del Sole ed assi orientati verso stelle fisse, è da ritenersi, in buona approssimazione,
equivalente ad un sistema stellare. Ricordiamo che le stelle fisse sono le stelle per le quali
la loro reciproca posizione ci appare invariabile nel tempo. Chiaramente il Sole non è una
stella fissa.
Un sistema di riferimento molto importante per noi terrestri è il sistema terrestre-stellare,
con origine nel centro della terra ed assi orientati verso stelle fisse.
Supponiamo di avere due corpi rigidi C e C1 , con C1 che si muove su C avendo con esso
un unico punto di contatto. Sia σ la superficie di C e σ1 quella di C1 , con σ e σ1 superfici
regolari. Consideriamo un sistema di riferimento Oxyz solidale con C ed uno O1 x1 y1 z1
solidale con C1 . Sia Oxyz il sistema fisso ed O1 x1 y1 z1 quello mobile.
66
Per ogni P 2 C1 si ha
dO1
v(P ) = + ω £ (P ¡ O1 ) , (3.63)
dt
v(M ) = v 1 (M ) + v τ (M ) ,
con
dO1
v τ (M ) = + ω £ (M ¡ O1 ) .
dt
Quest’ultima relazione fornisce
dO1
= v τ (M ) + ω £ (O1 ¡ M ) ,
dt
v(P ) = v τ (M ) + ω £ (P ¡ M ) .
v(P ) = v τ (M ) + ω t £ (P ¡ M ) + ω n £ (P ¡ M ) , 8P 2 C1 . (3.64)
Definizione Si dice che un corpo rigido C1 , per il quale si ha ω n = 0, rotola senza strisciare
sul corpo C se v τ (M ) = 0.
Osservazione Nel moto di puro rotolamento (sinonimo di rotolamento senza strisciamento)
la velocità del punto di contatto M è nulla, e quindi lo stato cinetico è di rotazione con
asse di istantanea rotazione (M, ω), con ω tangente a σ (e quindi anche a σ1 ) in M .
67
4. CONCETTI E NOZIONI FONDAMENTALI DELLA MECCANICA
Prima di entrare nel vivo della Meccanica, è necessario introdurre una serie di concetti,
nozioni e strumenti senza i quali lo studio non può essere affrontato. In questo capitolo,
si introdurranno, fra l’altro, i postulati fondamentali della Meccanica, i concetti di forza,
di vincolo e di lavoro. Sottolineiamo il fatto che per noi “Meccanica” significa Meccanica
Classica, vale a dire quella branca della scienza che si occupa dei fenomeni di moto per i
quali il modello matematico può essere efficacemente costruito assumendo che i concetti
di spazio e tempo siano assoluti (Postulato di pag. 43). La Meccanica Classica fallisce
quando i fenomeni comportano delle velocità confrontabili con quella della luce. In
questo caso il modello matematico utile è fornito dalla Meccanica Relativistica.
4.1 Forze
Una forza è un ente fisico in grado di modificare lo stato di quiete o di moto rettilineo
uniforme di un punto materiale rispetto ad un dato osservatore. In altre parole, una forza
è qualcosa che produce accelerazione.
Il concetto importantissimo di forza, cosı̀ introdotto in termini fisici, in termini matematici
viene definito nel modo seguente:
Definizione Una forza è un vettore applicato (P, F ). Il punto P è il punto di applicazione della
forza ed il vettore F è il vettore della forza.
68
Da quanto detto emergono dunque due concetti basilari:
- sul punto P agisce una forza se e solo se la sua accelerazione è non nulla;
- quantitativamente questa forza corrisponde all’allungamento di un dinamometro campione teso in
modo da compensare la forza stessa.
Fino a questo punto si è parlato “della forza” applicata al punto P come se su P agisse
un’unica forza. In realtà molto spesso su P agiscono più forze e tutto quanto detto finora
rimane valido in virtù del concetto di forza risultante e di un postulato che ora andiamo
a formulare. Supponiamo che il punto sia soggetto a N forze (P, F i ) , i = 1, 2, ..., N .
N
F = Fi .
i=1
Supposto poi che l’accelerazione prodotta dalla singola forza (P, F i ), quando applicata
singolarmente, sia ai , e che quella prodotta dalla forza risultante sia a, vale il seguente
Postulato L’accelerazione del punto P quando ad esso sono applicate N forze (P, F i ) è
uguale a quella che ha P quando vi è applicata la sola forza risultante (P, F ), ossia
a = a1 + a2 + ¢ ¢ ¢ + aN .
In altre parole: gli effetti meccanici prodotti da più forze aventi lo stesso punto di appli-
cazione si sommano.
Sulla natura del vettore di una forza si assume poi questo ulteriore
Postulato Il vettore F di una forza (P, F ) dipende, in generale, dalla posizione del suo
punto d’applicazione, dalla sua velocità e dal tempo, ossia
F = F P, v(P ), t . (4.1)
69
Posto P ´ (x, y, z) e F = Fx i + Fy j + Fz k, la (4.1) significa
Fx = Fx (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) ,
Fy = Fy (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) ,
Fz = Fz (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) .
Per completare questo primo discorso sulle forze, occorre dire che esse possono essere di
due tipi diversi:
- dovute a corpi (quali le forze newtoniane, elastiche, elettriche, viscose, reazioni vincolari);
- dovute al sistema di riferimento (forze di trascinamento e di Coriolis).
Rinviando al momento opportuno la definizione delle diverse forze elencate fra parentesi,
assumiamo fin d’ora che le forze dovute a corpi siano assolute, cioè valga il
Siamo ora in grado di enunciare le Leggi fondamentali della Meccanica, vale a dire i
tre postulati, nati dall’osservazione sperimentale, che sono basilari nella costruzione del
modello matematico che ci apprestiamo a descrivere e che utilizzeremo ai fini dello studio
del moto (e dell’equilibrio) dei sistemi materiali.
Un punto materiale si intende isolato se è posto ad una distanza molto grande dagli altri
corpi dello spazio, per cui si possono ritenere trascurabili le forze esercitate da questi
ultimi sul punto. La prima Legge della Dinamica postula dunque l’esistenza di almeno un
riferimento rispetto al quale un punto materiale isolato ha accelerazione nulla, e quindi non
è soggetto a forze. Questo riferimento ha un ruolo privilegiato: esso permette di definire
la forza assoluta che agisce sul punto materiale P come quella che agisce su P rispetto a
questo riferimento. Tale forza è esclusivamente dovuta a corpi.
70
quindi può essere riguardato come inerziale. Nello studio di molti fenomeni che avvengono
sulla superficie terrestre è inoltre lecito ritenere inerziale anche il sistema terrestre-stellare.
ma = F . (4.2)
Consideriamo ora un sistema di due punti materiali (P, mP ) e (Q, mQ ). I due punti
esercitano uno sull’altro una forza. Sia (P, F Q→P ) la forza che agisce sul punto P dovuta
a Q e (Q, F P →Q ) quella che agisce su Q dovuta a P . Ebbene, vale il seguente postulato :
Le forze (P, F Q→P ) e (Q, F P →Q ) sono uguali e contrarie e con linea d’azione coincidente
con la retta congiungente i due punti. Ossia:
(a) F Q→P = ¡F P →Q ;
(b) F P →Q k (P ¡ Q) .
71
È importante sottolineare come un sistema meccanico costituisca un modello matematico
che si ritiene valido ai fini dello studio di un problema che ci interessa. Cambiando il
problema, anche il sistema meccanico in generale varierà. Il seguente esempio potrà aiutare
a capire il concetto. La terra può essere rappresentata con un punto se ci interessa il suo
moto attorno al sole, con una sfera rigida se si vogliono studiare i suoi moti rispetto ad un
sistema terrestre-stellare (precessioni,...), con un corpo continuo deformabile se interessano
le sue deformazioni (deriva dei continenti, maree,..). Ovviamente, cambiando il problema
in esame, cambieranno in generale anche le forze di cui si deve tenere conto.
4.4 Vincoli
Supponiamo ora che in ogni istante una qualunque configurazione del sistema meccanico
sia determinata dagli m parametri x1 , x2 , ..., xm . Ciò equivale ad affermare che in ogni
istante t i parametri xi determinano la posizione di ognuno degli N punti Ps del sistema,
ossia che sono note le seguenti N funzioni:
Nella (4.3) è stata introdotta una notazione di cui verrà fatto ampio uso in seguito: con
la lettera in grassetto x si intende l’insieme delle variabili x1 , x2 , ..., xm . Ovviamente
con ẋ si potrà rappresentare l’insieme delle derivate ẋ1 , ẋ2 , ..., ẋm .
Definizione Se un vincolo non dipende dal tempo è detto fisso o scleronomo; altrimenti
è detto mobile o reonomo.
72
Esempio
Consideriamo un punto vincolato a muoversi su
una circonferenza di raggio R; sia θ l’angolo che
individua la posizione di P su di essa. Vediamo
come, a seconda del caso, questo vincolo (la cir-
conferenza) possa essere o fisso o mobile.
Caso I. Supponiamo che la circonferenza, il cui piano coincide col piano Oxy, sia fissata
con il centro C fissato nel punto dell’asse x di ascissa d. Chiaramente, in questo caso il
vincolo è fisso. Osserviamo che la posizione di P è data da
x = R cos θ + d
(4.4)
y = R sin θ .
Caso II. Supponiamo ora che la circonferenza trasli uniformemente con velocità vo i con
il centro C che si muove percorrendo l’asse x. In questo caso la circonferenza è mobile
e quindi anche il vincolo lo è. Supposto che all’istante t=0 si abbia C´O, l’ascissa di C
sull’asse x è v0 t. Di conseguenza la posizione di P sul piano ora è determinata da
x = R cos θ + v0 t
(4.5)
y = R sin θ .
Il confronto delle (4.4) con le (4.5) porta ad una considerazione molto importante: se il
vincolo è fisso, il punto dipende dal tempo t solo attraverso l’angolo θ; se il vincolo è mobile,
il punto, oltre la dipendenza implicita attraverso θ, dipende da t anche esplicitamente.
Generalizzando, si può affermare che la presenza esplicita nella (4.3) della variabile t significa
vincoli mobili nel tempo, mentre la mancanza significa vincoli fissi.
Definizione Un sistema meccanico si dice scleronomo se tutti i suoi vincoli sono sclero-
nomi; altrimenti è detto reonomo.
Osservazione: un sistema libero è un sistema scleronomo.
Definizione Un vincolo si dice interno se è dovuto a punti del sistema, esterno se è dovuto
a punti non appartenenti al sistema.
Esempio
Consideriamo un anello puntiforme vincolato a scorrere lungo un’asta. Caso I: il sistema
materiale sia costituito dal solo anello. L’asta non fa parte del sistema meccanico e quindi
il vincolo che agisce sull’anello è esterno. Caso II: il nostro sistema materiale è costituito
dall’anello e dall’asta. In questo caso l’asta esercita sull’anello un vincolo interno (cosı̀
come l’anello sull’asta).
73
I vincoli analiticamente si traducono in equazioni o disequazioni che devono essere soddi-
sfatte dai parametri xk .
Definizione Un vincolo si dice bilaterale se è espresso da un’equazione, unilaterale se è
espresso da una disequazione.
Esempio
Anche in questo caso un esempio può essere d’aiuto a capire la differenza fra i due tipi di
vincolo.
Caso I. Consideriamo un punto materiale vincolato a muoversi all’interno o sulla superficie
di una sfera di raggio R. Adottati come parametri xi le coordinate cartesiane x, y e z di P
rispetto ad una terna Oxyz con O coincidente col centro della sfera, il vincolo è espresso
dalla disequazione
x2 + y 2 + z 2 · R 2 ,
e pertanto si tratta di un vincolo unilaterale.
Caso II. Se invece il punto è vincolato a muoversi sulla superficie della sfera, il vincolo è
espresso dall’equazione
x2 + y 2 + z 2 = R 2 .
Dunque, in questo caso il vincolo è bilaterale.
F (x1 , x2 , . . . , xm , t) = 0 . (4.6)
Un vincolo bilaterale con un’espressione analitica del tipo (4.6) è detto vincolo finito.
Come abbiamo visto, ciascun vincolo bilaterale finito comporta una relazione d’ugua-
glianza tra due o più parametri xi . Di conseguenza, supposto che sul sistema meccanico
agiscano r vincoli del tipo (4.6), questo significa che r parametri xi sono esprimibili in
funzione dei rimanenti n=m¡r, e che pertanto non è necessario usare tutti gli m parametri
inizialmente introdotti, ma soltanto n che siano indipendenti. Per meglio capire quanto
detto consideriamo un esempio estremamente importante (anche ai fini degli esercizi).
74
due parametri x e θ sono sufficienti ad individuare, qualunque sia il moto della ruota, la
posizione della ruota stessa. Tuttavia, se il moto è di puro rotolamento, la velocità di
trascinamento di M deve essere nulla. Di conseguenza si ha:
dC
v τ (M ) = + ω £ (M ¡ C) = ẋi + θ̇k £ (¡Rj) = (ẋ + Rθ̇)i = 0 ,
dt
x + Rθ = 0 . (4.7)
Osserviamo che il fatto che nella definizione si sia detto parametri “necessari” implica pure
che essi siano indipendenti. Osserviamo inoltre che la scelta dei parametri è in generale
largamente arbitraria.
Ritornando alla ruota che rotola senza strisciare sulla rotaia, essa ha 1 grado di libertà. Se
invece la ruota rotola e striscia, allora non sussistendo più la relazione (4.7), i parametri
x e θ sono indipendenti e la ruota ha 2 gradi di libertà.
D’ora in poi indicheremo sempre con n il numero di gradi di libertà del sistema e con
q1 , q2 , ..., qn gli n parametri indipendenti scelti. A questi ci riferiremo come parametri o
coordinate lagrangiane. Le loro derivate q̇i saranno chiamate velocità generalizzate.
75
Definizione Un sistema meccanico ad n gradi di libertà con parametri lagrangiani q1 , q2 ,
. . . , qn si dice olonomo se non ha vincoli bilaterali del tipo
Assumeremo poi che ciascun parametro lagrangiano qi abbia un proprio intervallo di va-
riabilità :
qi 2 [qi1 , qi2 ], i = 1, ..., n , (4.9)
con i qi1 che possono anche essere ¡1 ed i qi2 che possono anche essere +1. Una qualunque
configurazione C 0 del sistema compatibile con i vincoli sarà associata ad una n-pla di valori
numerici soddisfacenti le (4.9), per cui dovrà essere del tipo
che chiameremo spazio delle configurazioni del sistema meccanico. Ogni moto del sistema
nell’intervallo di tempo (t1 , t2 ) sarà rappresentato dal moto del punto
C(t) ´ q1 (t), q2 (t), ..., qn (t) ´ q(t)
all’interno di S, dove descriverà una traiettoria di estremi C(t1 ) e C(t2 ). Se qi (t) = qi1
oppure qi (t) = qi2 , diremo che qi ha, all’istante t, un valore estremale.
Come si è convenuto, d’ora in poi n indicherà il numero dei gradi di libertà del sistema
meccanico in questione. Analogamente possiamo convenire di indicare con N il numero
dei punti materiali costituenti il sistema.
76
2) Sistema costituito da due particelle P1 e P2 collegate da un’asta rigida (n = 5)
Supposto che l’asta abbia lunghezza ℓ e che P1 ´ (x1 , y1 , z1 ) e P2 ´ (x2 , y2 , z2 ), l’equazione
del vincolo è della forma
(x1 ¡ x2 )2 + (y1 ¡ y2 )2 + (z1 ¡ z2 )2 = ℓ2 .
Anche in questo caso si tratta di un vincolo finito scleronomo bilaterale.
4) Il pattino (n = 3)
Si tratta del sistema costituito da due particelle P1 e P2 collegate da un’asta di lunghezza
costante ℓ e vincolate a muoversi in un piano in modo che la velocità del punto medio
dell’asta abbia la direzione dell’asta. Supponendo P1 = (x1 , y1 , z1 ) e P2 = (x2 , y2 , z2 ) e
supponendo che il moto avvenga nel piano xy, i vincoli sono i seguenti :
z1 = 0
z2 = 0
(x1 ¡ x2 )2 + (y1 ¡ y2 )2 = ℓ2
ẋ + ẋ2 ẏ1 + ẏ2
1 = .
x1 ¡ x2 y1 ¡ y2
Si tratta di un sistema meccanico soggetto a tre vincoli finiti (le prime tre equazioni) e
ad un vincolo del tipo (4.8) (l’ultima equazione). Di conseguenza questo costituisce un
esempio di sistema non olonomo.
77
4.8 Spostamenti infinitesimi
Introduciamo ora i concetti di spostamento infinitesimo reale e spostamento virtuale che gio-
cheranno un ruolo fondamentale in argomenti molto importanti che svilupperemo nel se-
guito. Si tratta di concetti non banali, legati alla nozione matematica di ”infinitesimo”.
Una grandezza costituisce un ”infinitesimo” quando, facendone un opportuno limite, essa
tende a zero. Operativamente, per semplificare le cose, gli infinitesimi possono essere trattati
come quantità finite ”arbitrariamente piccole”. In quest’ottica, il differenziale dx della varia-
bile spaziale x può essere visto come un incremento (positivo o negativo) estremamente
piccolo di x. Analogamente il differenziale dt della variabile tempo t può essere riguardato
come un intervallo molto piccolo di tempo.
78
b) Uno spostamento virtuale è uno spostamento fittizio, ipotetico, ma compatibile con i vincoli,
che immaginiamo di far compiere al punto P all’istante t0 . Gli spostamenti virtuali costitui-
scono, come avremo ampiamente occasione di verificare in seguito, un artificio analitico
estremamente utile.
Definizione Uno spostamento virtuale δP si dice invertibile se anche ¡δP è uno sposta-
mento virtuale; altrimenti esso è detto non invertibile.
È importante sottolineare il fatto che, perché uno spostamento virtuale δP sia non inver-
tibile, occorre che almeno uno dei parametri qi nella configurazione occupata dal sistema
meccanico all’istante t0 abbia un valore estremale e che il corrispondente δqi sia diverso da
zero. Supponiamo, per esempio, che sia q1 (t0 ) = q11 e δq1 > 0. Ovviamente lo spostamento
¡δP implicherebbe ¡δq1 , e quindi si verrebbe ad avere q1 = q11 ¡ δq1 < q11 , il che non è
lecito.
δ ∗ P = δ1∗ P + δP .
79
Vediamo ora come le nozioni date per un singolo punto P si estendono al sistema meccanico
di cui esso fa parte. I parametri lagrangiani siano q1 , q2 , ..., qn . Supponiamo che il sistema
meccanico sia costituito di N punti Ps . Naturalmente lo spostamento infinitesimo di
un sistema meccanico è definito dagli spostamenti infinitesimi di tutti i suoi punti. Per
indicare uno spostamento virtuale si potrebbe dunque scrivere
δC ´ (δP1 , δP2 , . . . , δPN ) .
n
Ma essendo ∂Ps
δPs = δqk ,
∂qk
k=1
tutti i δPs sono individuati dalla n¡pla (δq1 , δq2 , ..., δqn ). Di conseguenza si ha anche
δC ´ (δq1 , δq2 , . . . , δqn ) .
Definizione C0 = (q10 , q20 , . . . , qn0 ) è una configurazione interna per il sistema meccanico
se ogni spostamento virtuale del sistema a partire da C0 è invertibile.
Definizione C0 = (q10 , q20 , . . . , qn0 ) è una configurazione di confine se esiste almeno uno
spostamento virtuale del sistema a partire da C0 che è non invertibile.
In base a quanto affermato in precedenza si può dire che, affinchè una configurazione
C0 sia interna occorre che nessuno dei qi0 , i = 1, ..., n, sia estremale. Se invece almeno
uno dei qi0 ha un valore estremale, allora C0 è di confine. Consideriamo i due esempi
seguenti. i) punto P (x, y, z) libero, per cui ¡1<x< +1, ¡1<y<+1, ¡1<z<+1 :
ogni configurazione è di tipo interno. ii) punto vincolato a muoversi all’interno di una
stanza, 0 · x · a, 0 · y · b, 0 · z · c : ogni configurazione relativa alle pareti è di
confine, tutte le altre sono interne.
Nota bene La scelta di particolari sistemi di coordinate può portare a configurazioni per le
quali il valore di qualche coordinata è estremale senza che la configurazione sia di confine.
Un esempio in cui si può banalmente incorrere in errore si ha quando si utilizza un angolo
θ per descrivere una rotazione, senza che alcun vincolo fisico ponga delle limitazioni.
80
Chiaramente, se si assume θ variabile tra 0 e 2π, θ = 0 e θ = 2π non sono configurazioni
di confine. Per ovviare a questo inconveniente è sufficiente considerare θ variabile tra
¡1 e +1 (anche se in questo modo si perde la biunivocità della corrispondenza fra
configurazioni del sistema e valori del parametro θ).
Definizione Una forza (P, F ) si dice attiva se il suo vettore F è noto in funzione di
x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t, essendo x, y, z le coordinate di P .
Le forze attive possono essere distinte in due tipi: a) le forze dovute a corpi, quali le forze
Newtoniane, elettriche, elastiche, etc.; b) le forze dovute al sistema di riferimento, quali le
forze di trascinamento e di Coriolis.
Per quanto concerne le forze dovute a corpi sottolineiamo il fatto che sono forze assolute,
cioè forze che non dipendono dall’osservatore. Le altre, invece, variano a seconda dell’os-
servatore e sono collegate ovviamente alle accelerazioni che intervengono nel moto relativo
rispetto ad un osservatore assoluto inerziale.
Nota bene Il vettore F = F (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) di una forza attiva (P, F ) deve essere noto
in funzione di x, y, z, ẋ, ẏ, ż. Ciò non significa affatto che questi parametri siano noti in
funzione del tempo ! Se cosı̀ fosse il moto di P sarebbe già noto, mentre il nostro problema
è proprio quello di determinarlo !
Le forze attive dovute all’azione di altri corpi possono essere distinte in interne ed esterne a
seconda che siano dovute a punti materiali facenti parte del sistema materiale considerato
oppure no. Nel caso di forze interne vale ovviamente il Principio di azione e reazione. Su
ogni punto Ps di un sistema meccanico si possono dunque pensare applicate una forza
attiva interna (Ps , F is ) ed una esterna (Ps , F es ). Volendo, nel caso in cui intervengono
anche forze non assolute dovute ad un sistema di riferimento non inerziale, queste si
possono includere fra le forze attive esterne. In realtà su ciascun punto Ps agiscono in
generale più forze interne e più forze esterne. Ovviamente, (Ps , F es ) è la risultante delle
forze esterne, (Ps , F is ) è la risultante di quelle interne.
Le reazioni vincolari, differentemente dalle forze attive, sono forze più o meno incognite,
dovute ai vincoli, la cui natura è sancita dal postulato che segue.
81
Postulato delle reazioni vincolari Un sistema meccanico comunque vincolato può essere
reso libero, senza alterarne lo stato di quiete o di moto, sopprimendo i vincoli e sostituendo
ad essi “opportune forze” dette reazioni vincolari.
L’azione di un vincolo può essere rappresentata o da una singola reazione o da un sistema
di più reazioni. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, è sufficiente considerare una sola
reazione il cui punto di applicazione coincide col punto su cui il vincolo agisce.
Definizione Un vincolo si dice liscio o senza attrito se la sua azione è rappresentata da un’u-
nica reazione vincolare (P, Φ) avente la direzione di uno spostamento totalmente proibito
e verso opposto. Altrimenti il vincolo è detto scabro o con attrito.
Spesso, anziché coinvolgere gli spostamenti totalmente proibiti, si dice più semplicemente
che un vincolo è liscio quando esplica un’unica reazione normale al vincolo stesso. Vediamo
ora alcuni esempi di vincoli lisci:
- punto vincolato ad un piano liscio : Φ = Φn (n versore normale al piano);
- punto appoggiato ad un piano liscio : Φ = Φn , Φ¸0 (n versore normale al piano,
diretto nel verso in cui può avvenire il distacco);
- punto vincolato ad una curva liscia : Φ = Φn n + Φb b (n e b versori lungo la normale
principale e la binormale).
Come nel caso delle forze attive, anche le reazioni vincolari possono distinguersi in interne
ed esterne, e ciò a seconda che il vincolo è di tipo interno od esterno. Di conseguenza, su
ogni punto Ps di un sistema meccanico, oltre alle forze attive interna (Ps , F is ) ed esterna
(Ps , F es ), potremo sempre pensare che ci siano le reazioni vincolari interna (Ps , Φis ) ed
esterna (Ps , Φes ).
82
4.12 Vettori caratteristici di un sistema di forze
Su ogni sistema meccanico agiscono sempre delle forze, in generale sia forze attive che
reazioni vincolari. Consideriamo per il momento delle forze generiche, senza specificarne
la natura, ed andiamo ad introdurre alcune nozioni che ci torneranno poi utili in seguito.
Al momento in cui queste nozioni saranno utilizzate, potremo facilmente circoscriverci
o alle sole forze attive o alle sole reazioni vincolari o ad un qualunque altro insieme di
forze. Consideriamo dunque un generico sistema di forze agenti sul sistema meccanico; lo
indicheremo enumerando le forze: (As , F s ), s = 1, . . . , N . Ovviamente, più forze possono
avere lo stesso punto di applicazione, per cui i punti As , che naturalmente sono punti del
sistema meccanico, non sono necessariamente distinti.
N
R= F s, (4.13)
s=1
b) il vettore
N
N
Ω(O) = Ωs (O) = F s £ (O ¡ As ), (4.14)
s=1 s=1
83
Proprietà dei vettori caratteristici
ossia
Ω(O1 ) = Ω(O) + R £ (O1 ¡ O). (4.15)
Nel seguito la scrittura di un momento senza l’indicazione del polo, ne implicherà auto-
maticamente l’indipendenza.
I = R ¢ Ω(O) . (4.16)
Il nome è giustificato dal fatto che questa grandezza non dipende dal polo rispetto al quale
è calcolato il momento risultante. Infatti, considerato un secondo polo O1 ed utilizzando
la (4.15), si ha
R ¢ Ω(O1 ) = R ¢ Ω(O) + R £ (O1 ¡ O) = R ¢ Ω(O) + R ¢ R £ (O1 ¡ O) = R ¢ Ω(O) .
Si chiama momento assiale del sistema di forze (As , F s ), s = 1, . . . , N , rispetto alla retta
(O, r), r versore, la grandezza scalare
N
Ωr = Ω(O) ¢ r = F s £ (O ¡ As ) ¢ r.
s=1
84
Tale grandezza dipende dalla retta, ma non dal punto O. Infatti, qualunque sia O1 2
(O, r), per cui r k (O1 ¡ O) , si ha:
Ωr (O1 ) = Ω(O1 ) ¢ r = Ω(O) + R £ (O1 ¡ O) ¢ r = Ω(O) ¢ r + R £ (O1 ¡ O) ¢ r =
= Ω(O) ¢ r = Ωr (O).
Diamo ora una definizione il cui significato fisico apparirà chiaro nel seguito del corso.
′
Definizione Due sistemi di forze S : (As , F s ), s = 1, . . . , N , e S ′ : (A′ s , F s ), s = 1, . . . , N ′
si dicono equivalenti se
′ ′
R=R e Ω(O) = Ω (O).
Teorema C.N.S. affinché due sistemi di forze siano equivalenti è che essi abbiano lo
stesso momento risultante qualunque sia il polo.
In virtù della (4.15), qualunque siano i punti O ed O1 , valgono le seguenti relazioni:
C.N. Hp.: i due sistemi di forze sono equivalenti. Th.: i due momenti sono gli stessi per
qualunque altro polo O1 . Ciò è evidente dalle relazioni (4.17): l’uguaglianza dei secondi
membri comporta anche quella dei primi.
′
C.S. Hp.: Ω(O) = Ω (O) qualunque sia O. Th.: i due sistemi sono equivalenti, cioè
′
R = R . L’ipotesi e le (4.17) comportano
′ ′
R £ (O1 ¡ O) = R £ (O1 ¡ O) =) (R ¡ R ) £ (O1 ¡ O) = 0,
85
4.14 Sistemi elementari di forze
R = 0, Ω = 0, I = 0.
R = F, Ω(A) = 0, I = 0.
c) una coppia (A, F ), (B, ¡F ), con F non parallelo a (B—A), per cui
R = 0, Ω = F £ (B ¡ A) 6
= 0, I = 0.
Si chiama braccio della coppia la distanza fra le linee d’azione delle due forze. Osser-
viamo che l’ipotesi fatta di non parallelismo tra F e (B—A) implica un braccio non nullo.
Osserviamo anche che, essendo R = 0, il momento di una coppia non dipende dal polo.
d) una forza (A, F ) ed una coppia (B, F 1 ), (C, ¡F 1 ), di braccio non nullo, con F parallelo al
momento della coppia Ω = F 1 £ (C ¡ B). Chiaramente:
R = F, Ω(A) = Ω, I6
= 0.
Osserviamo che la definizione di sistemi elementari di forze è del tutto analoga a quella di
stati cinetici elementari introdotta in cinematica.
a2 ) R = 0, Ω 6
= 0 : il sistema S è equivalente ad una qualunque coppia di forze di
momento Ω.
86
a3 ) R 6
= 0, Ω(O) = 0 : il sistema S è equivalente ad una forza (A, R), con A punto
qualunque della retta (O, R). Tale retta, che rappresenta il luogo dei punti dello spazio
rispetto ai quali il momento risultante è nullo, si chiama asse centrale del sistema di forze.
a4 ) R 6
= 0, Ω(O) 6
= 0, R ? Ω(O): se avessimo un polo O1 tale che Ω(O1 ) = 0,
ricadremmo nel caso precedente. Facciamo vedere che un tale O1 esiste. Essendo
Ω(O1 ) = Ω(O) + R £ (O1 ¡ O) ,
perché Ω(O1 ) sia nullo, O1 dovrà essere soluzione dell’equazione
Ω(O) = R £ (O ¡ O1 ) . (4.18).
Essendo R ? Ω(O), si tratta di un problema di divisione vettoriale (x1.7) che ammette
infinite soluzioni: tutti i punti di una certa retta parallela a R. Si può dunque affermare
che il sistema S è equivalente ad una forza (A, R), con A punto qualunque della retta
(O1 , R) formata dai punti O1 soluzione dell’equazione (4.18).
= 0, per cui R 6
Caso b). Ora I 6 = 0, Ω(O) 6
= 0, con i due vettori non ortogonali. Sono
dunque possibili due sottocasi.
b1 ) R k Ω(O) : il sistema S è equivalente ad una forza (A, R), con A punto qualunque
della retta (O, R), ed una qualunque coppia di momento Ω(O). Anche in questo caso la
retta (O, R) è detta asse centrale del sistema di forze.
b2 ) R ed Ω(O) sono obliqui, per cui, scomponendo Ω(O) lungo le direzioni rispettivamente
parallela e perpendicolare a R, si può scrivere
Ω(O) = Ω (O) + Ω⊥ (O) .
Osserviamo che se avessimo un polo O1 tale che Ω(O1 ) = Ω (O) ci troveremmo nelle stesse
condizioni del punto b1 ). Perchè un siffato O1 esista deve essere
Ω(O1 ) = Ω(O) + R £ (O1 ¡ O) = Ω (O) + Ω⊥ (O) + R £ (O1 ¡ O) = Ω (O)
ovvero
Ω⊥ (O) + R £ (O1 ¡ O) = 0 o, equivalentemente, Ω⊥ (O) = R £ (O ¡ O1 ) .
87
anticipiamo fin d’ora che, mentre questa distinzione non è rilevante quando il sistema di
forze è applicato ad un corpo rigido, lo è invece nel caso di un corpo deformabile.
b) Il più semplice sistema equivalente ad un sistema nullo è una coppia di braccio nullo.
Esempio significativo: la coppia di forze che due punti materiali esercitano l’uno sull’altro
in virtù del principio di azione e reazione.
c) L’asse centrale è definito quando il sistema di forze è equivalente ad una sola forza
e quando è equivalente ad una forza ed una coppia. Nel primo caso l’asse centrale è il
luogo dei punti rispetto ai quali il momento risultante è nullo; nel secondo caso è il luogo
dei punti rispetto ai quali Ω è parallelo ad R. Ebbene, poiché in entrambi i casi un
polo non appartenente all’asse centrale comporta una componente di Ω ortogonale all’asse
medesimo, è chiaro che l’asse centrale è il luogo dei punti dello spazio rispetto ai quali il
modulo del momento risultante del sistema di forze è minimo. Nel caso di equivalenza ad
una forza ed una coppia il momentorispetto adun punto P dell’asse centrale vale
R R I
Ω(P ) = Ω(O) ¢ = 2R.
jRj jRj R
d) L’invariante I di un sistema di forze complanari è sempre nullo. Infatti, se Π è il piano
delle forze, R è parallelo a tale piano, mentre Ω(O), con O 2 Π, è ortogonale a Π. Se poi
R6
= 0, il sistema è equivalente ad una forza con asse centrale che sta, come le forze, su Π.
Corollario 1 : C.N.S. affinché un sistema di forze sia equivalente ad una forza ed una
coppia è che si abbia I 6
= 0.
Corollario 2 : C.N.S. affinché un sistema di forze sia equivalente ad una sola forza è che
si abbia I = 0, R 6
= 0.
Corollario 3 : C.N.S. affinché un sistema di forze sia equivalente ad una coppia è che si
abbia R = 0, Ω 6
= 0.
Infine, una considerazione molto importante. Nel caso in cui il sistema è equivalente ad una
forza, e solo in questo caso, ha senso parlare di forza risultante o, più semplicemente, della
risultante, intendendo con ciò una forza equivalente al sistema. Sottolineiamo la differenza
tra il risultante e la risultante: il primo, cioè il vettore risultante, è un vettore libero ed
esiste sempre; la seconda, ossia la forza risultante, esiste solo nel caso di sistemi particolari
(Corollario 2), il più semplice dei quali è quello in cui tutte le forze hanno lo stesso punto di
applicazione A. Ovviamente in questo caso A costituisce il punto d’applicazione “naturale”
della risultante, come assunto nella definizione di forza risultante data nel x4.1.
88
4.16 Operazioni elementari sulle forze
Con le forze si possono compiere tre operazioni elementari che trasformano il sistema di
forze dato in un sistema equivalente.
a) Composizione di due o più forze applicate allo stesso punto. Tale operazione consiste
M
nel sostituire al sistema di forze (A, F s ), s = 1, ..., M , la risultante (A, F = F s ).
s=1
b) Scomposizione di una forza in due o più forze con lo stesso punto d’applicazione ed
aventi direzioni assegnate as . Tale operazione consiste nel sostituire alla forza (A, F ) il
sistema di forze (A, F s = Fs as ), s = 1, ..., M , con s Fs as = F .
c) Scorrimento di un forza lungo la sua retta d’azione. Questa operazione consiste nel
sostituire alla forza (A, F ) la forza (A′ , F ), con A′ punto qualunque della retta (A, F ).
89
Ovviamente, se il sistema è costituito di N > 3 forze, se ne prendono tre e ci si riduce ad
N ¡ 1 forze, poi se ne prendono ancora tre e ci si riduce ad N ¡ 2, e cosı̀ via fino a che
non ci si riduce a due soltanto.
Se le tre forze sono parallele, la dimostrazione è ancora valida prendendo come retta r la
linea d’azione di (A1 , F 1 ). Se delle tre forze due sono complanari ed incidenti, mediante
scorrimento queste due si riducono immediatamente ad una sola forza, per cui il teorema
è subito provato. Se tutte le forze sono complanari, il sistema si riduce ad una sola forza
(caso generale) o ad una coppia (caso particolare).
M
M
M
Ri = F is = F r→s = 0 ,
s=1 s=1 r=1
r
=s
M
M
M
Ωi (O) = F is £ (O ¡ Bs ) = F r→s £ (O ¡ Bs ) = 0 .
s=1 s=1 r=1
r
=s
90
Un analogo teorema vale ovviamente anche per le reazioni vincolari:
Teorema Il sistema delle reazioni vincolari interne (Ds , Φis ), s = 1, . . . , M ′ , è equivalente
al sistema nullo.
4.18 Sistemi di forze parallele
Consideriamo ora il caso particolare di un sistema di forze tutte parallele. Indicato con
a un versore con la direzione delle forze, il sistema in questione può essere scritto nel
modo seguente: (As , Fs a), s = 1, ..., N . Ovviamente lo scalare Fs , che rappresenta la
componente del vettore F s lungo a, è positivo o negativo a seconda che F s è concorde o
discorde con a. Se gli Fs hanno tutti lo stesso segno, le forze sono tutte concordi.
Infatti, essendo
N
N
N
R= Fs = Fs a = Fs a = Ra,
s=1 s=1 s=1
N
N
N
Ω(O) = F s £ (O ¡ As ) = Fs a £ (O ¡ As ) = a £ Fs (O ¡ As ),
s=1 s=1 s=1
ne consegue
N
I = R ¢ Ω(O) = Ra ¢ a £ Fs (O ¡ As ) = 0 .
s=1
Questo teorema implica dunque che un sistema di forze parallele non è mai equivalente
ad una forza ed una coppia. In particolare implica che un sistema di forze parallele con
R6
= 0 è sempre equivalente ad una sola forza, in altre parole ammette la risultante. In
questo caso vale l’importante
91
rispetto ad una qualunque rotazione delle forze, lasciandone fermi i punti d’applicazione
e invariate le intensità.
È immediato verificare che se tutti i punti d’applicazione delle forze stanno su una retta,
anche C sta sulla retta. Analogamente, se tutti i punti As stanno in un piano, anche C
sta nel piano.
Consideriamo a titolo di esempio il più semplice sistema di forze parallele: quello costituito
di due sole forze. Siano (A1 , F1 a) e (A2 , F2 a) le due forze, con F1 + F2 6
= 0. Assunto come
asse Ox la retta congiungente i punti A1 ed A2 , essendo A1 ´ (x1 , 0, 0) e A2 ´ (x2 , 0, 0),
le (4.20) forniscono immediatamente yC = zC = 0, per cui C sta sulla congiungente A1
con A2 . Inoltre
F1 x1 + F2 x2
xC = =) F1 (xC ¡ x1 ) = ¡F2 (xC ¡ x2 ).
F1 + F2
Definizione Si chiama peso del punto materiale (P, m) la forza che occorre equilibrare
perché il punto sia in equilibrio rispetto ad un osservatore solidale con la terra.
La forza peso, che indichiamo con (P, p), è la risultante delle forze dovute all’attrazione
Newtoniana ed ai moti della terra. Essa risulta principalmente dalla composizione di due
forze: la forza d’attrazione esercitata dalla terra e la forza centrifuga (che sarà definita
più avanti) dovuta alla rotazione uniforme della terra attorno al proprio asse. Più preci-
samente, indicati rispettivamente con n e N i versori radiali e normali all’asse terrestre
92
orientati come in figura, si ha
mM
p ' G n ¡ mρ cos ϕω2 N , (4.21)
ρ2
dove G è la costante di gravitazione universale, ρ è
la distanza di P dal centro della terra, M la massa
della terra, ϕ è la latitudine di P e ω è la velocità
angolare della terra. Poichè la forza Newtoniana è
diretta verso il centro della terra e la forza centrifuga è normale all’asse, ne consegue che,
eccetto che all’equatore e ai poli, la forza peso non passa per il centro della terra (anche
se vi passa molto vicino).
Nel seguito il vettore p della forza peso agente su (P, m) sarà scritto come
p = mg = ¡mgk , (4.22)
In particolare, la forza peso può sempre essere applicata nel baricentro G del sistema
materiale. È infatti facile verificare che il baricentro è il centro delle forze peso.
Come si calcola la massa di un punto materiale (P, m) ? Assunta come massa unitaria
quella di un punto campione (P0 , m0 ), si ha:
93
m p
da cui la relazione = . Per ottenere la massa m fornita dalla bilancia basta porre
m0 p0
m0 = 1:
p
m= .
p0
Definizione Si definisce lavoro reale infinitesimo della forza (P, F ) il prodotto scalare
dL = F ¢ dP. (4.23)
dL = Fx dx + Fy dy + Fz dz. (4.24)
Definizione Si definisce lavoro reale infinitesimo compiuto dal sistema di forze (Ps , F s ), s =
1, . . . , N , la somma dei lavori dLs compiuti da ciascuna forza, ossia
N
N
dL = dLs = F s ¢ dPs . (4.25)
s=1 s=1
Quando il sistema delle forze in questione è quello delle forze attive, è molto conveniente
rappresentare dL in una forma che ora andiamo a ricavare.
n
∂Ps
N N n N
∂Ps
dL = F s ¢ dPs = Fs ¢ dqi = Fs ¢ dqi
s=1 s=1 i=1
∂qi i=1 s=1
∂qi
Ponendo
N
∂Ps
Qi = Fs ¢ , i = 1, ..., n , (4.26)
s=1
∂qi
si ha
n
dL = Q1 dq1 + Q2 dq2 + ¢ ¢ ¢ + Qn dqn = Qi dqi . (4.27)
i=1
Le Qi sono dette forze generalizzate di Lagrange. In un certo senso, esse generalizzano il
concetto di componenti cartesiane delle forze. Infatti, nel caso di un punto libero, posto
q1 = x, q2 = y, q3 = z, si ha Q1 = Fx , Q2 = Fy , Q3 = Fz .
94
4.22 Lavoro finito
Definizione Si definisce lavoro compiuto dalla forza (P, F ) nell’intervallo di tempo (t1 , t2 )
l’integrale curvilineo
P2
L = (γ) F ¢ dP, (4.28)
P1
Poiché, in generale, F = F (x, y, z; ẋ, ẏ, ż; t), questo integrale, in generale, dipende: a) dalla
curva γ (a causa della dipendenza da x, y, z); b) dalla legge oraria con cui P percorre γ (a
causa della dipendenza da ẋ, ẏ, ż); c) direttamente dal tempo, cioè dall’intervallo (t1 , t2 ).
Analogamente al lavoro di una singola forza, anche questo integrale dipende, in generale,
dalla traiettoria Γ, dalle modalità con cui il sistema si sposta da C1 a C2 (attraverso le
velocità generalizzate q̇i ) e dal tempo.
Definizione Si definisce lavoro virtuale, ovviamente infinitesimo, della forza (P, F ) il pro-
dotto scalare
δL = F ¢ δP = Fx δx + Fy δy + Fz δz. (4.30)
Nel caso di un sistema ad n gradi di libertà su cui agisce un sistema di N forze attive
(Ps , F s ), si ha
N
N
n
∂P n N
∂Ps
n
s
δL = δLs = Fs ¢ δqk = Fs ¢ δqk = Qk δqk . (4.31)
s=1 s=1
∂qk s=1
∂qk
k=1 k=1 k=1
Questa relazione esprime il lavoro virtuale delle forze attive. Osserviamo che (4.31) coin-
cide formalmente con l’espressione (4.27) del lavoro reale infinitesimo. Ciò non sarebbe
vero se il sistema meccanico non fosse scleronomo.
95
4.24 Lavoro infinitesimo delle forze applicate ad un corpo rigido
Se il sistema materiale è un corpo rigido C, il lavoro virtuale delle forze ad esso appli-
cate assume una semplice espressione, di particolare importanza, che deriva dalla formula
fondamentale della cinematica rigida
dPs dO1
= + ω £ (Ps ¡ O1 ).
dt dt
N
N
dL = F s ¢ dPs = F s ¢ dO1 + dθa £ (Ps ¡ O1 ) =
s=1 s=1
N N
= F s ¢ dO1 + F s ¢ (O1 ¡ Ps ) £ dθa =
s=1 s=1
N N
= F s ¢ dO1 + F s £ (O1 ¡ Ps ) ¢ dθa .
s=1 s=1
Osservazioni:
— Il lavoro infinitesimo, sia reale che virtuale, delle forze interne (attive e vincolari) che
agiscono su un corpo rigido, è sempre nullo.
— L’espressione trovata per dL (o δL) ci dice che due sistemi di forze equivalenti, se applicati
ad un corpo rigido, compiono lo stesso lavoro. Ciò non è vero se il corpo è deformabile, in
quanto la formula (4.32) non vale più.
— Sottolineiamo che l’espressione di dL ottenuta vale qualunque sia il punto O1 del corpo
rigido e qualunque sia lo spostamento infinitesimo dO1 , (O1 , dθa) (analogamente per
δL).
96
4.25 Forze posizionali
Definizione Una forza attiva (P, F ) si dice posizionale quando il suo vettore F dipende
solo dalla posizione del suo punto d’applicazione P ´ (x, y, z), ossia se
F = F (x, y, z).
Il vantaggio più immediato che deriva da questa proprietà consiste nel fatto che il lavoro
finito di una forza posizionale, dato dall’integrale (4.28), dipende solo dalla traiettoria γ
percorsa per andare da P1 a P2 , mentre è indipendente sia dalla legge oraria che dal tempo.
Osserviamo che nel caso di una forza (Ps , F s ) applicata ad un sistema con parametri
lagrangiani qi , il fatto che sia posizionale implica
F s = F s (q1 , q2 , . . . , qn ).
Ovviamente, se tutte le forze applicate al sistema sono posizionali, anche il lavoro finito L
espresso dalla (4.29) dipende soltanto dalla “traiettoria”.
Consideriamo un punto materiale (P, m), libero e soggetto ad un’unica forza posizionale
(P, F ). Siano x, y e z le coordinate di P rispetto ad un sistema di riferimento Oxyz
rispetto al quale sia
F (x, y, z) = Fx (x, y, z) i + Fy (x, y, z) j + Fz (x, y, z) k. (4.34)
Definizione La forza posizionale (P, F ) si dice conservativa se esiste una funzione U (x, y, z)
tale che
∂U ∂U ∂U
Fx = , Fy = , Fz = .
∂x ∂y ∂z
La principale proprietà che caratterizza una forza conservativa consiste nel fatto che il
lavoro da essa compiuto quando il punto P si sposta dalla posizione P1 alla posizione P2
dipende solo dalle posizioni iniziale e finale, e non dalla traiettoria γ percorsa. Si ha infatti
P2
L = (γ) dL = U (P2 ) ¡ U (P1 ).
P1
97
Definizione Un sistema di forze attive posizionali si dice conservativo se esiste una funzione
U = U (q1 , q2 , . . . , qn ) tale che
∂U
Qi = , i = 1, . . . , n , (4.35)
∂qi
essendo le Qi le forze generalizzate.
La principale proprietà dei sistemi conservativi di forze è che il lavoro da esse compiuto sul
sistema meccanico quando questo si sposta dalla configurazione C1 = q1 ´ (q11 , q21 , ¢ ¢ ¢ , qn1 )
alla configurazione C2 = q2 ´ (q12 , q22 , ¢ ¢ ¢ , qn2 ) non dipende dalla traiettoria Γ percorsa
(nello spazio delle configurazioni), ma solo dai suoi punti estremi C1 e C2 . Infatti, si ha
C2
L = (Γ) dL = U (C2 ) ¡ U (C1 ) = U q2 ) ¡ U (q1 ) .
C1
Osserviamo che, se una forza è conservativa, essa rimane tale qualunque sia il sistema
meccanico a cui la si applichi. Ne consegue che, se un sistema è costituito di forze tutte
conservative, è certamente conservativo. Possono però esistere dei sistemi conservativi di
forze senza che tutte le forze componenti, prese singolarmente, lo siano.
Sia (P, F ) una forza conservativa e sia U (x, y, z) il suo potenziale. Quando la forza viene
applicata ad un sistema meccanico di parametri lagrangiani qi , il suo potenziale diventa
U (q) = U x(q), y(q), z(q) .
Di conseguenza, se si considera un generico sistema di N forze Ps , F s (q) tutte conser-
vative, per cui esistono gli N potenziali Us (q) = Us xs (q), ys (q), zs (q) , allora anche il
sistema di forze è conservativo e il suo potenziale è dato dalla somma dei potenziali delle
singole forze, ossia
U (q) = s Us (q) .
98
Dunque, per un sistema conservativo di forze attive, si ha
dL = dU . (4.36)
In Analisi Matematica questo fatto si esprime dicendo che dL è una forma differenziale
esatta. La condizione (4.35) della definizione equivale dunque alla richiesta che dL sia un
differenziale esatto.
Nella pratica la verifica che un dato sistema di forze posizionali è conservativo si ri-
duce a verificare che il corrispondente lavoro infinitesimo dL = ni=1 Qi dqi è una forma
differenziale esatta. A tal fine, date per soddisfatte alcune condizioni sulle funzioni
Qi (q1 , q2 , . . . , qn ) e sul loro dominio di esistenza, è sufficiente verificare che dL è una
forma chiusa, ossia che valgono le uguaglianze
∂Qh ∂Qk
= , h, k = 1, . . . , n .
∂qk ∂qh
Consideriamo in particolare il caso di una singola forza della forma (4.34). Volendo ve-
rificare che è conservativa, essendo dL dato dalla (4.24), dovranno essere soddisfatte le
relazioni
∂Fx ∂Fy ∂Fx ∂Fz ∂Fy ∂Fz
= , = , = .
∂y ∂x ∂z ∂x ∂z ∂y
Per quanto riguarda il calcolo del potenziale, ne diamo un’espressione nel caso particolare
in cui la forza è piana, rinviando ad un testo di Analisi Matematica per il caso di una
forza non piana. Sia
dL = Fx dx + Fy dy = A1 (x, y) dx + A2 (x, y) dy = dU
la forma differenziale. Comunque scelto P0 ´ (x0 , y0 ), la funzione potenziale U (x, y), cioè
la funzione avente come differenziale la forma appena scritta, è la seguente:
x y
U (x, y) = A1 (ξ, y0 ) dξ + A2 (x, ξ) dξ . (4.37)
x0 y0
99
4.27 Esempi significativi di sistemi conservativi di forze
a) Forza costante
Tra le forze costanti va annoverata la forza peso. In tal caso, assunto un sistema di rife-
rimento Oxyz con z verticale ascendente, il peso ha vettore ¡mgk. Dalla (4.38) consegue
quindi che il potenziale della forza peso che agisce sul punto materiale (P, m) è dato da
Dunque, il potenziale delle forze peso agenti su un sistema materiale è uguale a quello della
risultante purché applicata nel baricentro. Esprimendo zG in funzione di q1 , q2 , . . . , qn , si
ottiene U (q). Osserviamo che la relazione (4.39) mette in evidenza, per la prima volta,
l’importanza del baricentro.
Se andiamo a calcolare il lavoro finito L delle forze peso nell’intervallo (t1 , t2 ) quando il
sistema meccanico si sposta dalla configurazione C1 ´ C(t1 ) a C2 ´ C(t2 ) , si ottiene:
Osserviamo infine che l’espressione (4.39) di U rimane valida anche per un corpo continuo
in quanto si ricava allo stesso modo sostituendo la somma con il corrispondente integrale.
100
b) Forza d’attrazione Newtoniana
Consideriamo il punto materiale (P, m) e la forza d’attrazione Newtoniana (P, F ) che agisce
su P dovuta al punto materiale (O, M ). Come è ben noto, il vettore F è il seguente:
mM
F = ¡G r,
ρ2
P −O
essendo G la costante di gravitazione universale (positiva), ρ la distanza di P da O e r = ρ
il versore avente la direzione della retta congiungente P con O, orientato da O verso P
(il che spiega il segno meno). Si può dimostrare che questa forza è conservativa ed il
potenziale U , espresso in funzione di ρ, è il seguente:
mM
U (ρ) = G + U∗ . (4.40)
ρ
Data una molla di lunghezza a riposo nulla, avente un estremo nel punto fisso O e l’altro
nel punto P , il punto P è soggetto alla forza di vettore
F = ¡k2 ρr ,
con k2 costante elastica della molla, e ρ ed r con lo stesso significato visto in b). La forza
(P, F ) è conservativa ed il suo potenziale vale
1
U (ρ) = ¡ k2 ρ2 + U ∗ , (4.41)
2
Se invece la molla a riposo ha lunghezza ℓ, allora
F = ¡k2 (ρ ¡ ℓ)r ,
e quindi
1
U (ρ) = ¡ k2 (ρ ¡ ℓ)2 + U ∗ . (4.42)
2
Siano (P1 , k2 ρa) e (P2 , ¡k2 ρa) le due forze elastiche, con
P2 ¡ P1 = ρa. In questo caso P1 e P2 sono due punti di
un sistema meccanico, entrambi mobili, collegati tra di loro
da una molla. Si può dimostrare che il sistema costituito da
questa coppia di forze elastiche interne è conservativo e vale
1
U (ρ) = ¡ k2 ρ2 + U ∗ ,
2
esattamente come nel caso di una singola forza elastica esterna.
101
Osserviamo che questo costituisce un esempio di un sistema conservativo di due forze,
senza che ciascuna delle due forze sia conservativa. Risulta infatti impossibile scrivere
separatamente il potenziale di ciascuna delle due forze.
4.28 Potenza
Osserviamo che ci sono dei testi di Meccanica Razionale nei quali viene prima introdotta
la nozione di potenza, e poi attraverso questa la nozione di lavoro.
Concludiamo questo capitolo con alcune nozioni, molto importanti, riguardanti il lavoro
delle reazioni vincolari per una classe molto importante di sistemi meccanici, che adesso
definiamo.
Definizione Un sistema meccanico vincolato si dice a vincoli perfetti o ideali se, per qua-
lunque configurazione C0 compatibile coi vincoli, e per qualunque spostamento virtuale a
partire da C0 , il lavoro δρ delle reazioni vincolari è non negativo, ossia
N
δρ = Φs ¢ δPs ¸ 0 . (4.43)
s=1
102
La relazione (4.43), e di conseguenza la nozione di vincolo perfetto, costituisce una re-
lazione sintetica dedotta, con metodo induttivo, dall’esame di una vasta gamma di casi
concreti : essa riassume tutte le proprietà delle reazioni vincolari nel caso, sia pure limite,
di assenza di attrito. In altre parole, i vincoli lisci sono anche perfetti. Ricordiamo che i
vincoli lisci più comuni sono quelli di un punto P a) vincolato ad una curva liscia; b)
vincolato ad una superficie liscia; c) appoggiato ad una superficie liscia.
L’utilità di introdurre la nozione di vincolo perfetto è giustificata dal fatto che ci sono anche
vincoli scabri che sono perfetti. Infatti, il vincolo di puro rotolamento, che può realizzarsi
solo in presenza di attrito, è un vincolo perfetto.
Un’importante proprietà, che contraddistingue i vincoli perfetti da quelli che non lo sono,
è la seguente:
Il lavoro reale, sia infinitesimo che finito, della reazione vincolare associata ad un vincolo scleronomo
perfetto è sempre nullo.
103
5. MECCANICA DEL PUNTO
A volte particolari condizioni iniziali possono dar luogo a soluzioni costanti (o staziona-
rie). Ciò è possibile quando esistono particolari posizioni nelle quali il sistema meccanico,
postovi in quiete in un dato istante, vi rimane per sempre. Ebbene, la ricerca di siffatte
soluzioni, o per dirla con linguaggio più appropriato, la ricerca delle configurazioni d’equilibrio,
costituisce un altro problema che la Meccanica insegna ad affrontare e risolvere.
Osserviamo che una configurazione d’equilibrio è rappresentata da una n-pla (q1∗ , q2∗ , ..., qn∗ )
di numeri. C’è dunque una differenza sostanziale tra la determinazione del moto e quella
delle configurazioni d’equilibrio. Nel primo caso si deve determinare una n-pla di funzioni,
nel secondo caso, ammesso che il problema abbia soluzione, una o più n¡ple di numeri.
Nel primo il problema ammette sempre soluzione e questa è unica; nel secondo caso il
problema può avere o non avere soluzione, e in caso positivo, le soluzioni possono essere
1,2, ... ,m (anche infinite).
104
Il problema del calcolo delle reazioni vincolari nelle configurazioni d’equilibrio è un problema suc-
cessivo a quello di determinare le suddette configurazioni. Analogamente al caso dinamico,
esso può essere affrontato e risolto (in modo univoco) solo se le reazioni vincolari non sono
in numero sovrabbondante (più avanti diremo “solo se il problema è staticamente de-
terminato”). Determinare le reazioni vincolari significa associare ad ogni configurazione
d’equilibrio le rispettive reazioni.
Sottolineiamo il fatto che il problema del moto (o dell’equilibrio) viene sempre prima di
quello delle reazioni (che può anche non interessare). Vedremo metodi per scrivere le equa-
zioni che governano il moto (o le equazioni per l’equilibrio) che prescindono completamente
dalle reazioni vincolari ed altri che, al contrario, le contemplano.
In ogni caso per determinare il moto di un sistema ad n gradi di libertà dovremo scrivere
un sistema di n equazioni differenziali in cui non compaiono altre incognite se non le qk (t).
Associando a queste equazioni le condizioni iniziali e risolvendo il problema di Cauchy cosı̀
ottenuto, si determinerà il moto.
Per quanto concerne invece il problema dell’equilibrio, esso comporta la scrittura di un
sistema di n equazioni (non più differenziali !) nelle sole incognite qk . Ciascuna n-pla solu-
zione di questo sistema costituisce una configurazione d’equilibrio per il sistema meccanico
(purchè nel dominio di variabilità dei parametri e purchè le relative reazioni vincolari siano
compatibili con i vincoli).
105
5.2 La legge di Newton
Lo studio del moto di un punto si basa sulla legge di Newton. Come abbiamo già visto,
essa postula che, rispetto ad un osservatore inerziale, un punto si muova in modo tale che
la sua accelerazione a e il vettore risultante R di tutte le forze ad esso applicate, siano
legate dalla relazione
ma = R(P, v, t) (5.1)
Ricordiamo che le forze o sono dovute ai corpi (forze newtoniane, elastiche, elettriche,
viscose, convettive, reazioni vincolari) o sono dovute al sistema di riferimento (forze di
trascinamento e forze di Coriolis, che vedremo in seguito). Spesso tornerà utile evidenziare
nella (5.1) la distinzione fra il vettore risultante F delle forze attive (noto in funzione di
P, v(P ) e t) ed il vettore risultante Φ delle reazioni vincolari (sempre incognito, totalmente
o parzialmente):
ma(P ) = F (P, v(P ), t) + Φ(P, v(P ), t). (5.2)
106
assieme alle condizioni iniziali
a) Determinare l’ integrale generale del sistema di equazioni differenziali (5.4) (coi metodi
dell’Analisi Matematica). Ciò porta a determinare tre funzioni
x = x(t, C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ),
y = y(t, C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ), (5.6)
z = z(t, C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ),
essendo C1 , ..., C6 sei costanti arbitrarie. Le 16 funzioni P (t) date dalle (5.6) rappresen-
tano gli 16 moti di P che sarebbero possibili sotto l’azione di un qualunque sistema di
forze avente come vettore risultante F .
Esaminiamo ora alcuni possibili casi di punto soggetto a vincolo liscio. Nel caso di punto
vincolato od appoggiato ad una superficie, per semplificare le cose, si considera un piano.
a) Punto vincolato ad un piano liscio Π. In questo caso il problema ha due gradi di libertà:
siano x e y le coordinate del punto P rispetto ad un sistema Oxyz con il piano xy coinci-
dente con Π. Essendo il vincolo liscio, la reazione vincolare è normale al piano e quindi è
107
diretta lungo k, per cui Φ = Φk. Posto F = Fx i+ Fy j + Fz k ed a(P ) = ẍi + ÿj, l’equazione
di Newton, proiettata su i, j e k fornisce il seguente sistema di tre equazioni scalari:
mẍ = Fx (ẋ, ẏ, x, y, t)
(5.8a)
mÿ = Fy (ẋ, ẏ, x, y, t) (5.8b)
0 = Fz (ẋ, ẏ, x, y, t) + Φ . (5.9)
L’equazione (5.9) fornisce la reazione vincolare Φ. Una volta che il moto di P è stato
determinato, Φ è nota in funzione del tempo.
b) Punto appoggiato ad un piano liscio Π. Le equazioni (5.8) sono ancora le equazioni del
moto, mentre la (5.9) fornisce sempre la reazione vincolare. In questo caso, però, preso il
versore k orientato nel verso in cui può avvenire il distacco, si deve aggiungere la condizione
Φ ¸ 0,
che deve essere verificata in ogni istante in cui il punto P è appoggiato a Π. Se accade
che Φ(t∗ ) = 0 e Φ(t) < 0 per t > t∗ , ciò significa che all’istante t∗ P si stacca da Π. Di
conseguenza, per t > t∗ il problema non è più lo stesso: ora P è libero !
c) Punto vincolato ad una curva liscia γ. Ora il problema ha un grado di libertà: sia s l’ascissa
curvilinea di P su γ. Considerata la terna di versori t, n e b intrinseca a γ, essendo la
reazione vincolare normale a γ, si ha Φ = Φn n + Φb b. Posto F = Ft t + Fn n + Fb b,
l’equazione di Newton, proiettata su t, n e b fornisce le seguenti tre equazioni scalari:
ms̈ = Ft (s, ṡ, t) (5.10)
2
ṡ
m = Fn (s, ṡ, t) + Φn (5.11)
ρc
0 = Fb (s, ṡ, t) + Φb . (5.12)
108
5.5 Equilibrio di un punto libero o vincolato senza attrito
Osserviamo subito che dire che P0 è posizione d’equilibrio di P equivale ad affermare che
l’equazione del moto di P ammette la soluzione costante (o stazionaria) P (t) ´ P0 .
Chiediamoci ora quanto segue: posto il punto P in una generica posizione P0 con velocità
v 0 = 0, cosa fa P ?
Teorema C.N.S. perché P0 sia posizione d’equilibrio per un punto P libero o soggetto a
vincolo liscio è che si abbia
Dimostrazione.
C.N. Sia P0 posizione d’equilibrio per P . Dunque, posto P in P0 con velocità v 0 nulla,
vi rimane. Di conseguenza, si ha v(t) ´ 0 per t > t0 , e quindi anche a(t) ´ 0. L’equazione
di Newton comporta allora R(P0 ) = 0, o equivalentemente, F (P0 ) + Φ(P0 ) = 0.
C.S. Sia R(P0 ) = 0. Per sapere se P , posto in P0 all’istante t0 con velocità nulla, vi
rimane, andiamo a studiare il relativo problema di Cauchy. Se esso ammette la soluzione
costante P (t) ´ P0 , essendo questa unica in virtù del fatto che il punto è libero oppure
soggetto a vincolo liscio, avremo dimostrato che il punto rimane in P per ogni t > t0 .
Il problema di Cauchy (5.3) ora è il seguente:
ma = R(P )
P (t0 ) = P0 (5.14)
v(t0 ) = 0.
Chiaramente, essendo R(P0 ) = 0, P (t) = P0 è soluzione.
Commento: Questo teorema è molto importante in quanto dice che le posizioni d’equilibrio
di un punto P libero o soggetto a vincolo liscio sono date da tutte e sole le soluzioni P0 dell’equazione
F (P ) + Φ(P ) = 0 .
109
5.6 Possibili casi di equilibrio di un punto
L’equazione vettoriale (5.13) è sempre equivalente a tre equazioni scalari in tre incognite
scalari : gli n parametri che determinano la posizione di P , n · 3, e le (3 ¡ n) componenti
della reazione vincolare. Esaminiamo il problema dell’equilibrio di un punto in alcuni casi
specifici, già studiati, per quanto concerne il moto, nei paragrafi (5.3) e (5.4). Teniamo
presente che ora, dovendoci occupare d’equilibrio, le forze sono posizionali.
a) Punto libero. In questo caso l’equazione (5.13) proiettata sugli assi fornisce il seguente
sistema di tre equazioni scalari nelle incognite x, y e z :
Fx (x, y, z) = 0
Fy (x, y, z) = 0 (5.15)
Fz (x, y, z) = 0.
c) Punto appoggiato ad un piano liscio. Il sistema che fornisce l’equilibrio del punto è
ancora (5.16), però con l’aggiunta della condizione Φ ¸ 0, condizione che assicura che il
punto non sia distaccato dal piano. Ciò implica che fra tutte le soluzioni (x∗ , y ∗ ) del sistema
costituito dalle prime due equazioni di (5.16), soltanto quelle per le quali Fz (x∗ , y ∗ ) · 0
rappresentano posizioni d’equilibrio. Se fosse Fz (x∗ , y∗ ) > 0 il punto si solleverebbe dal
piano.
110
d) Punto vincolato ad una curva liscia. L’equazione (5.13) proiettata sui versori della
terna intrinseca t, n e b dà le tre seguenti equazioni scalari nelle incognite s, Φn e Φb :
Ft (s) = 0
Fn (s) + Φn = 0
Fb (s) + Φb = 0
e) Punto fisso. In questo caso non ci sono posizioni d’equilibrio da calcolare. L’equazione
(5.13) permette tuttavia il calcolo della reazione vincolare. Se il punto è fissato in P0 di
coordinate (x0 , y0 , z0 ), posto Φ = Φx i + Φy j + Φz k, si ha il sistema
Fx (x0 , y0 , z0 ) + Φx = 0
Fy (x0 , y0 , z0 ) + Φy = 0
Fz (x0 , y0 , z0 ) + Φz = 0,
Consideriamo un punto soggetto ad un vincolo con attrito. Ora, differentemente dal caso di
vincolo liscio, la reazione vincolare Φ ha anche una componente tangente al vincolo. Il
vettore Φ può dunque scriversi come Φ = Φt + Φn , cioè come somma di due componenti
l’una tangente al vincolo e l’altra normale. L’esperienza ha portato Coulomb a formulare
due relazioni, una valida in statica, l’altra in dinamica, che legano Φt a Φn .
Relazione statica:
jΦt j · fs jΦn j (5.17)
Relazione dinamica:
v
Φt = ¡fd jΦn j (se v 6
= 0) (5.18)
jvj
I coefficienti fs e fd , che sono detti coefficienti d’attrito statico e d’attrito dinamico, sono legati
dalla relazione fd · fs e dipendono dalla natura del punto materiale e del vincolo.
111
moduli delle due componenti, la relazione dinamica non solo lega il modulo di Φt a quello
di Φn , ma ne fornisce la direzione (quella della velocità) ed il verso (opposto a quello in
cui il punto si muove). La diseguaglianza (5.17) porta, in generale, ad infinite posizioni
d’equilibrio. Fra queste ci sono ovviamente quelle che si avrebbero se il vincolo fosse liscio.
Uno tra i comportamenti temporali più significativi che un sistema fisico può esibire è
quello che comporta delle oscillazioni. Questo fenomeno può nascere sotto forma di vi-
brazioni meccaniche, fluttuazioni di carica elettrica sulle armature di un condensatore in
un circuito elettrico, il moto in cima ad una colonna di fluido nel tubo di un manometro,
ed in molti altri modi. Tuttavia, per rimanere in argomento con la dinamica del punto,
consideriamo un punto materiale (P, m) vincolato a muoversi su una retta liscia, che as-
sumiamo come asse Ox. In ogni caso il punto è soggetto ad una forza elastica (P, ¡k2 xi).
Può poi essere soggetto anche ad una forza viscosa (P, ¡2mpẋi), con p > 0, e ad una forza
periodica di tipo sinusoidale (P, N cos(Ωt + α)) i. A delle forze agenti su P , si parla di
ẍ + ω 2 x = 0 . (5.19)
Abbiamo cosı̀ ritrovato l’equazione differenziale (3.18) che, come già sappiamo, è carat-
teristica dei moti oscillatori armonici. L’Analisi Matematica insegna che il suo integrale
generale è dato da
x(t) = C cos(ωt + γ) , (5.20)
112
il che porta al sistema seguente:
x0 = C cos γ
v0 = ¡ω C sin γ .
Risolvendolo si ottiene
v
0
arctan ¡ se x0 > 0
ω x
v 0
"
arctan ¡ 0 + π
v02 se x0 < 0
C= x20 + , γ= ω x0 (5.21)
ω2
π
¡ se x0 = 0 e v0 > 0
2
+π se x0 = 0 e v0 < 0 .
2
ẍ + 2pẋ + ω2 x = 0 . (5.23)
Il suo integrale generale può assumere tre diverse forme a seconda del segno del discrimi-
nante ∆ = p2 ¡ ω 2 dell’equazione caratteristica associata:
λ2 + 2pλ + ω 2 = 0 . (5.24)
Distinguiamo dunque i tre casi, e per ciascuno di essi diamo l’integrale generale e i valori
delle costanti C e γ in funzione delle condizioni iniziali.
a) Caso p2 > ω 2 . Le radici λ1 = ¡p ¡ p2 ¡ ω 2 e λ2 = ¡p + p2 ¡ ω2 di (5.23) sono
reali ed entrambe negative. Di conseguenza, posto β1 = ¡λ1 e β2 = ¡λ2 si ha
113
che fornisce
β2 x0 + v0 β1 x0 + v0
C1 = , C2 = .
β2 ¡ β1 β1 ¡ β2
C1 = x 0 , C2 = px0 + v0 .
Osservazioni :
— Nei casi a) e b) l’uso del termine “oscillazioni” per descrivere i moti associati alle soluzioni
dell’equazione (5.23) è improprio in quanto il moto non è oscillatorio.
— Caratteristica comune delle oscillazioni libere smorzate è il fatto che asintoticamente
esse tendono a “smorzarsi”, vale a dire
limt→∞ x(t) = 0.
— Un punto materiale che si muove su una retta liscia sotto la sola azione di una forza
elastica è spesso detto oscillatore armonico. Un oscillatore armonico ha la notevole
proprietà di esibire solo moti periodici aventi tutti lo stesso periodo indipendentemente
dalla loro ampiezza (proprietà dell’isocronismo, caratteristica delle piccole oscillazioni del
pendolo semplice, che vedremo più innanzi).
— Se il punto è soggetto anche ad una forza viscosa, allora si parla di oscillatore armonico
smorzato.
114
5.9 Quantità di moto ed energia cinetica di un punto
Definizione Si definisce quantità di moto del punto materiale (P, m) rispetto ad un dato
sistema di riferimento il vettore
Q = mv .
d(mv) dQ
Nell’ipotesi di massa costante, siccome ma = = , l’equazione di Newton può
dt dt
essere cosı̀ riscritta:
dQ
= F + Φ. (5.28)
dt
Questa equazione, a cui ci si riferisce come all’equazione della quantità di moto, vale però
anche nel caso di massa variabile. Concettualmente essa è molto diversa dalla legge di
Newton: infatti, mentre quest’ultima esprime il legame tra forze e variazione istantanea
di velocità, la (5.28) lega le forze alla variazione istantanea della quantità di moto. Molti
autori interpretano la legge di Newton come caso particolare dell’equazione della quantità
di moto, ma qui si preferisce non entrare in disquisizioni circa quale delle due venga prima.
Teorema delle forze vive (o dell’energia cinetica): Il lavoro infinitesimo (o finito) compiuto
da tutte le forze applicate ad un punto è uguale alla variazione infinitesima (o finita) di
energia cinetica.
Sia dL ´ dL + dρ il lavoro infinitesimo di tutte le forze applicate al punto, sia attive che
vincolari. Dimostriamo che
dL = dT . (5.30)
Si ha infatti
dv dv
dL = F ¢ dP + Φ ¢ dP = R ¢ dP = ma ¢ dP = m ¢ v dt = m ¢ v dt =
dt dt
d v2 d 1 mv 2 1
=m dt = 2 dt = d mv 2 = dT .
dt 2 dt 2
115
Consideriamo ora uno spostamento di P finito relativo ad un intervallo di tempo (t0 , t). Il
lavoro finito L si ottiene integrando la (5.30) sull’intervallo suddetto. Si ha quindi
P (t) t
L = (γ) dL = dT ,
P (t0 ) t0
L = T ¡ T0 , (5.31)
Definizione Si chiama energia meccanica totale di un punto materiale soggetto ad una forza
attiva (risultante) conservativa la somma dell’energia cinetica T e dell’energia potenziale
V.
T ¡U =T +V =E. (5.32)
dL = R ¢ dP = F ¢ dP + Φ ¢ dP = dL + dρ = dL ,
in quanto il lavoro dρ della reazione vincolare, se c’è, è nullo (come si è visto alla fine
del precedente capitolo nel caso di vincoli scleronomi perfetti). In virtù della (5.30) si ha
quindi dL = dT e, grazie al fatto che la forza attiva applicata a P è conservativa, si ha
anche dL = dU . Ne consegue perciò
dT = dU , ossia d(T ¡ U ) = 0 ,
e quindi, integrando, T ¡ U = cost = E .
116
loro derivate ẋ(t), ẏ(t), ż(t), costituisce un’equazione differenziale del I◦ ordine. Avendo le
stesse incognite di una equazione del moto, se ci farà comodo, potremo utilizzarla al posto
di una delle equazioni del moto. Ritorneremo sull’argomento un po’ più avanti quando si
parlerà degli integrali primi.
Se alcune delle forze applicate al punto fanno si che la forza risultante non sia conservativa,
allora indicando con Lr il lavoro finito compiuto da tali forze, si ha
(T + V ) ¡ (T0 + V0 ) = Lr . (5.34)
Se Lr < 0, le forze si ”oppongono” al moto e per questo sono dette resistenti. Pertanto, in
questo caso, la (5.34) equivale ad affermare che se un punto è soggetto a forze resistenti,
durante il moto la sua energia meccanica totale diminuisce di una quantità uguale a quella
dissipata da tali forze.
Vale il seguente
Teorema Se il polo O1 è fisso rispetto ad Oxyz, si ha
dK(O1 )
= Ω(O1 ) + Ψ(O1 ) , (5.37)
dt
con Ω(O1 ) e Ψ(O1 ) momento risultante rispetto ad O1 rispettivamente delle forze attive
e delle reazioni vincolari agenti su P .
Dimostrazione :
dK(O1 ) d dO1 dP
= mv £ (O1 ¡ P ) = ma £ (O1 ¡ P ) + mv £ ¡ ,
dt dt dt dt
e ricordando la legge di Newton, ed essendo O1 fisso e v ´ dP
dt ,
dK(O1 )
= (F + Φ) £ (O1 ¡ P ) = Ω(O1 ) + Ψ(O1 ) .
dt
117
5.12 Integrali primi del moto di un punto
Definizione Si definisce integrale primo del moto del punto P una funzione ϕ delle sue
coordinate x, y, z, delle componenti ẋ, ẏ, ż della sua velocità, e del tempo t, che rimane
costante durante il moto. In altre parole, in ogni istante t si ha
ϕ x(t), y(t), z(t), ẋ(t), ẏ(t), ż(t), t = C , (5.38)
dove C è una costante, x(t), y(t), z(t) sono le leggi del moto di P e ẋ(t), ẏ(t), ż(t) le
corrispondenti derivate. La costante C si determina attraverso le condizioni iniziali.
Un integrale primo del moto è a tutti gli effetti equivalente ad una equazione del moto,
col vantaggio di essere un’equazione differenziale del I◦ ordine anziché del II◦ . Per questa
ragione gli integrali primi, quando esistono, possono tornare molto utili ai fini dello studio
del moto.
Vediamo due esempi significativi di integrali primi collegati con le nozioni di energia totale,
di quantità di moto e momento della quantità di moto introdotte in precedenza.
1
m(ẋ2 + ẏ 2 + ż 2 ) + V (x, y, z) = E .
2
b) Integrali primi assiali. Si ottengono dall’equazione della quantità di moto (5.20) quando
il vettore risultante di tutte le forze applicate al punto ha componente sempre nulla lungo
uno degli assi. Per esempio,
dQ dQx
(F + Φ) ¢ i = 0 ) ¢i=0 ) =0,
dt dt
per cui
Qx = Cx , vale a dire mẋ = Cx = mv0x .
In questo caso si può parlare di conservazione della quantità di moto lungo l’asse x.
Analogamente Q può conservarsi lungo gli assi y oppure z. In tali casi si avrebbe
118
5.13 Pendolo semplice
Indicato con π il piano della circonferenza e con α l’angolo che π forma col piano oriz-
zontale, assumiamo come sistema di riferimento il sistema Cxyz, con C centro della cir-
conferenza, Ck normale a π ed orientato verso l’alto, Ci e Cj paralleli alle rette di π
rispettivamente orizzontali e con la massima pendenza (anche j orientato verso l’alto).
Assumiamo poi come parametro l’angolo θ = OCP , levogiro rispetto a k (O punto più
basso della circonferenza).
Pertanto, indicato con ℓ il raggio della circonferenza e tenuto conto che Φ è normale al
vincolo, l’equazione di Newton, proiettata su t, n e k, fornisce le tre equazioni scalari
seguenti:
m ℓ θ̈ = ¡mg sin α sin θ
(5.39)
m ℓ θ̇2 = ¡mg sin α cos θ + Φn .
0 = ¡mg cos α + Φb
119
dove si è posto
g sin α
ω2 = . (5.41)
ℓ
π
Osservazione: 0 < α · 2
. Se fosse α = 0, la circonferenza sarebbe orizzontale ed il moto
sarebbe uniforme (θ̇ = costante), per cui non avremmo più un “pendolo”.
Lo studio delle soluzioni del problema di Cauchy (5.40) risulta alquanto complicato in
quanto esse non sono esprimibili in termini di funzioni elementari. Per via analitica sono
facilmente studiabili solo dei particolari moti approssimati detti piccole oscillazioni, ossia
dei moti tali che il punto si mantenga sempre cosı̀ vicino alla posizione θ = 0 per cui siano
lecite le approssimazioni
sin θ ' θ , cos θ ' 1 . (5.42)
θ(t) = C cos(ωt + γ) .
Abbiamo dunque trovato che il punto, spostato di “poco” dalla posizione di equilibrio
stabile θ = 0 e con una velocità “sufficientemente piccola”, descrive delle oscillazioni perio-
diche di ampiezza C intorno a tale posizione. Il periodo di queste oscillazioni, ricordando
120
la posizione (5.41), vale
#
2π ℓ
T = = 2π . (5.43)
ω g sin α
Osserviamo che T non dipende dall’ampiezza C. Questo fatto, che si esprime dicendo che
le piccole oscillazioni del pendolo sono isocrone, fu osservato per la prima volta da Galileo
ed è noto come legge dell’isocronismo del pendolo.
I moti generici del pendolo semplice possono essere studiati qualitativamente mediante il
teorema di Weierstrass, che in questo corso non trattiamo. Ci limitiamo solo a riportare i
risultati di un tale studio.
Il tipo di moto del pendolo semplice dipende dalle condizioni iniziali. Più precisamente,
dipende dal valore E dell’energia meccanica totale e dal suo rapporto con il valore massimo
Vmax dell’energia potenziale. Prescindendo dai possibili casi di quiete, si hanno i tre casi
seguenti:
a) E > Vmax : il punto si muove sulla circonferenza sempre nello stesso verso con velocità
che non si annulla mai. Per questa ragione spesso si parla di moto rivolutivo.
dove la costante arbitraria U ∗ è stata posta uguale a ¡mgl sin α in modo che U (0) = 0.
Da (5.44) è facile verificare che Vmax = ¡U (π) = 2mgl sin α.
121
Si può dimostrare (cosa che omettiamo) il seguente:
Come si ricorderà, la validità della legge di Newton è stata postulata per i sistemi di
riferimento inerziali. Questo teorema estende la sua validità a tutti i sistemi di riferimento.
Ne consegue che se O1 x1 y1 z1 è un riferimento non inerziale, potremo sempre scrivere
ma1 = R1 , (5.45)
con R1 , vettore risultante di tutte le forze agenti su P rispetto ad (O1 ), che è conveniente
scrivere come
R1 = F 1 + Φ1 ,
separando cosı̀ le forze attive e le reazioni vincolari. Ora, mentre è chiaro che Φ1 = Φ
in quanto le reazioni vincolari sono forze dovute a corpi e quindi assolute, non sappiamo
quanto vale il vettore risultante F 1 delle forze attive agenti su P rispetto ad (O1 ). Ma
F 1 è facilmente deducibile. Infatti, scritta l’equazione di Newton rispetto all’osservatore
assoluto,
ma = F + Φ ,
122
Il concetto di forza da noi adottato è un concetto “relativo”: la forza agente su
di un punto materiale dipende dall’osservatore. Esiste però anche una concezione
“assoluta”, meno moderna (anche se adottata ancor oggi da molti autori di testi
di Meccanica), secondo la quale le forze sono dovute solo a corpi e sono caratte-
rizzate dal fatto di tendere a zero quando le reciproche distanze dei corpi tendono
all’infinito. In base a questa seconda concezione, poiché l’accelerazione a(P ) varia
con l’osservatore mentre F non cambia, la legge di Newton vale solo rispetto ad
un osservatore inerziale. Per studiare il moto rispetto ad un osservatore non iner-
ziale occorre ancora scrivere l’equazione (5.46), ma questa non è più l’equazione
di Newton. I termini ¡maτ e ¡mac , di cui bisogna sempre tenere conto, non
sono più dovuti a forze vere ma a forze fittizie, variabili con l’osservatore. Dunque,
nelle due concezioni cambia l’interpretazione dei simboli, ma le formule rimangono
inalterate.
Osserviamo che se l’osservatore fisso (O) è un osservatore inerziale, allora il vettore F nella
(5.47) è dovuto a tutte e sole le forze dovute a corpi, che sono le stesse per qualunque
osservatore. Se invece (O) è un osservatore non inerziale, F è il risultante, oltre che delle
forze dovute a corpi, anche di quelle di trascinamento e di Coriolis dovute al moto di
(O) rispetto ad un osservatore inerziale. Dunque, è sempre conveniente assumere come
osservatore fisso un osservatore inerziale.
In virtù della (5.47) e tenendo conto che P in equilibrio rispetto ad (O1 ) significa v 1 = 0,
e quindi ac = 2ω £ v 1 = 0, e di conseguenza anche F c = 0, l’equazione dell’equilibrio
relativo è la seguente:
F + Φ ¡ maτ = 0 . (5.48)
123
Il caso più semplice, ma nondimeno significativo, di moto relativo si ha quando il sistema
relativo (O1 ) trasla.
In questo caso la forza di trascinamento agente sul punto materiale (P, m) ha vettore
d2 O1
F τ = ¡m ,
dt2
mentre la forza di Coriolis, essendo ω = 0, è nulla.
ṡ2τ
F τ c = ¡m nτ , (5.49)
ρcτ
si chiama forza centrifuga agente su P .
Caso particolare significativo. Consideriamo il caso in cui il sistema (O1 ) si muove rispetto
ad (O) di moto rotatorio attorno ad un asse fisso (A, a) con velocità angolare ω = ωa.
In tal caso la curva di trascinamento di un punto
P è una circonferenza di centro la sua proiezione
P0 sull’asse. Di conseguenza la componente nor-
male dell’accelerazione aτ vale ω 2 (P0 ¡ P ), da cui
(5.50) F τ c = mω 2 (P ¡ P0 ) .
124
Un esempio di forza centrifuga, e più in generale, di problema di equilibrio relativo, è
già stato visto quando si è definita la forza peso agente su un punto nel x4.19. Il peso
di un punto materiale, infatti, è la forza F 1 = F ¡ maτ che deve essere compensata
perchè P sia in equilibrio rispetto ad un riferimento solidale con la terra. F è la forza
assoluta, cioè dovuta a corpi, e quindi è la risultante delle forze d’attrazione Newtoniana,
che approssimiamo considerando solo l’attrazione della terra. La forza di trascinamento
¡maτ , dovuta al moto della terra rispetto ad un sistema stellare (riferimento inerziale), è
invece approssimata dalla forza centrifuga agente su P per effetto della rotazione uniforme
2π
della terra attorno al proprio asse, ed ha quindi l’espressione (5.50) con ω = g velocità
1
angolare della terra.
Osservazione. L’unico caso in cui la forza centrifuga è nulla si ha quando il sistema (O1 )
trasla di moto rettilineo.
125
6. MECCANICA DEI SISTEMI
Occorre però avere ben presente che, essendo i sistemi delle forze attive e delle
reazioni vincolari interne equivalenti al sistema nullo, si ha
Tra i possibili moti di un sistema meccanico ci può anche essere ”l’equilibrio”, che ha
luogo quando il sistema rimane sempre fermo nella stessa configurazione C0 = q0 . In
questo caso i parametri lagrangiani qi (t) si mantengono costanti (ovviamente qi (t) = qi0 ),
e rappresentano una soluzione stazionaria delle equazioni differenziali del moto del sistema
(di cui parleremo più innanzi).
Estendendo la definizione già data per un punto (vedi x5.5), diamo la seguente
Spesso, anziché dire che il sistema è in quiete nella configurazione d’equilibrio C0 , si dice
che esso è in equilibrio in C0 .
126
parole, andiamo a trattare il capitolo della Meccanica che tradizionalmente va sotto il nome
di STATICA. I metodi che vedremo sono due: il metodo dei lavori virtuali e il metodo
delle equazioni cardinali. Nel caso di sistemi conservativi vedremo anche un terzo metodo,
il metodo del potenziale, molto pratico, ma utile solo per il calcolo delle configurazioni
d’equilibrio.
Nota bene: essendo in Statica, come supposto alla fine del x5.1, le forze sono assunte posi-
zionali.
C.N.S. perché una configurazione C0 sia d’equilibrio per un sistema meccanico a vincoli
perfetti è che il lavoro virtuale delle forze attive sia negativo o nullo per ogni spostamento
virtuale del sistema a partire da C0 , ossia
N
δL = F s ¢ δPs · 0 , 8δC . (6.1)
s=1
Sia C0 = q0 ´ (q10 , q20 , ..., qn0 ) una configurazione d’equilibrio del sistema. Ciò significa che,
posto il sistema in quiete in C0 all’istante t0 , vi rimane anche per t > t0 . Di conseguenza
ciascun punto materiale Ps del sistema è in equilibrio per t ¸ t0 , e quindi il sistema di
forze agenti su Ps è equivalente al sistema nullo. Si ha cioè
F s + Φs = 0 , s = 1, ..., N . (6.2)
Se si considera uno spostamento virtuale del sistema δC ´ (δP1 , δP2 , ..., δPN ), moltipli-
cando scalarmente (6.2) per δPs e sommando rispetto ad s, si ottiene
F s + Φs ¢ δPs = 0 .
s
N
δρ = Φs ¢ δPs ¸ 0 ,
s=1
127
Osservazioni importanti.
b) Nel caso di un corpo rigido la disuguaglianza (6.1), tenendo conto del fatto che il lavoro
virtuale delle forze attive ha un’espressione formalmente uguale alla (4.33), diventa:
δL = F e ¢ δO1 + Ωe (O1 ) ¢ aδθ · 0 , 8δC = δO1 , (O1 , δθa) . (6.3)
c) Il principio dei lavori virtuali costituisce uno strumento estremamente utile ai fini
del calcolo delle configurazioni d’equilibrio in quanto coinvolge solamente le forze attive.
Tuttavia esso permette anche il calcolo delle reazioni vincolari. A tal fine occorre :
— eliminare i vincoli, uno o più alla volta, sostituendoli con le relative reazioni vincolari;
— riguardare le reazioni vincolari come forze attive, ed applicare il principio in corrispon-
denza di opportuni spostamenti virtuali, compatibili con i vincoli rimasti, che facciano
“lavorare” le reazioni;
— riscrivere la (6.1) tante volte fino ad ottenere un numero di equazioni (indipendenti) pari
al numero delle reazioni vincolari che si vogliono calcolare;
— risolvere infine il sistema di equazioni cosı̀ ottenuto.
Gli esempi che riporteremo più avanti chiariranno meglio il senso di queste affermazioni.
La prima utile applicazione del principio dei lavori virtuali è rivolta alla determinazione
delle configurazioni d’equilibrio, in particolare di quelle interne, di un sistema olonomo
a vincoli perfetti. A tal fine supponiamo, come al solito, che il sistema abbia n gradi di
libertà, con parametri lagrangiani qi . Ricordando l’espressione del lavoro virtuale delle
forze attive mediante le forze generalizzate di Lagrange, (6.1) diventa
δL = Qk δqk · 0 , 8δC ´ (δq1 , δq2 , ..., δqn ) . (6.4)
k
128
Essendo poi il sistema olonomo, i δqk sono indipendenti, e quindi si possono considerare
gli n spostamenti virtuali del tipo
Qk δqk = 0 , e quindi Qk = 0 .
Le configurazioni d’equilibrio interne del sistema meccanico sono tutte comprese fra le
soluzioni di questo sistema di n equazioni nelle n incognite qi . Si noti che eventuali
soluzioni rappresentanti configurazioni di confine sono pure d’equilibrio.
Poiché il sistema delle forze attive è conservativo, esiste una funzione U = U (q1 , q2 , ..., qn ),
che abbiamo chiamato potenziale, con la proprietà che
∂U
Qk = , k = 1, ..., n .
∂qk
Di conseguenza il sistema (6.5), che vale in quanto il sistema meccanico è olonomo, scle-
ronomo e a vincoli perfetti, diventa
∂U
= 0, k = 1, ..., n . (6.6)
∂qk
Ricordiamo che tra i punti di stazionarietà di una funzione ci sono i punti di minimo e di
massimo.
129
A titolo di esempio consideriamo il pendolo semplice. Il potenziale è dato dalla (5.44):
U (θ) = ¡mgl sin α(1 ¡ cos θ), con 0 · θ < 2π. Le posizioni d’equilibrio θi∗ coincidono con
i punti di stazionarietà di U (θ), e quindi sono date dalle soluzioni dell’equazione
Come esempi si considerino il pendolo semplice nel punto più basso (equilibrio stabile) e
nel punto più alto (equilibrio instabile), oppure un punto materiale, sempre soggetto al
solo peso, vincolato ad un piano orizzontale (equilibrio indifferente).
Cos’è un intorno I(C0 ) ? Dato un sistema meccanico, ed una sua configurazione interna
C0 = q0 , un intorno I(C0 ) è, ad esempio, il seguente:
I(C0 ) ´ (q10 ¡ ǫ, q10 + ǫ) £ (q20 ¡ ǫ, q20 + ǫ) £ ¢ ¢ ¢ £ (qn0 ¡ ǫ, qn0 + ǫ) .
Naturalmente I(C0 ) è contenuto nello spazio n¡dimensionale delle configurazioni.
130
Sistemi meccanici conservativi
Teorema di Torricelli : in un sistema meccanico conservativo con solo la forza peso le confi-
gurazioni d’equilibrio stabile si hanno quando zG è minima e quelle di equilibrio instabile
quando zG è massima.
Un’applicazione immediata del teorema di Torricelli si ha nel caso del pendolo semplice.
zG , che ovviamente coincide con zP , è minima per θ = 0 e massima per θ = π. Di
conseguenza θ = 0 rappresenta la posizione d’equilibrio stabile e θ = π quella d’equilibrio
instabile.
Il principio dei lavori virtuali costituisce uno dei possibili strumenti utilizzabili per de-
terminare le configurazioni d’equilibrio e le relative reazioni vincolari di un qualunque
sistema meccanico, purché a vincoli perfetti. Attraverso una sua applicazione ai sistemi
olonomi, abbiamo poi visto che le configurazioni d’equilibrio interne di un sistema con-
servativo corrispondono ai punti di stazionarietà del potenziale, con l’importantissima
proprietà che nei punti di massimo l’equilibrio è stabile, mentre in quelli di minimo
l’equilibrio è instabile. A questi due strumenti, principio dei lavori virtuali e metodo
del potenziale, che abbiamo già a disposizione, andiamo ora ad aggiungerne un terzo:
131
le equazioni cardinali della statica. Procederemo ricavandole, anche se costituiscono un
caso particolare delle equazioni cardinali della Dinamica che ricaveremo più innanzi. Il
ricavarle separatamente porta sı̀ a qualche ripetizione e ad una leggera perdita di tempo,
però permette una maggior chiarezza e una miglior organizzazione delle esercitazioni.
Ωe (O) + Ψe (O) = 0 ,
che grazie alla prima delle (6.7) è indipendente dal polo. Risulta cosı̀ dimostrata anche la
necessarietà della seconda equazione cardinale della statica.
132
Osservazioni
— Dalla dimostrazione appena fatta è evidente che il teorema vale anche scrivendo le
equazioni (6.7) per tutte le forze attive e le reazioni vincolari sia esterne che interne, ossia
F +Φ=0
(6.9)
Ω +Ψ = 0.
Scrivere (6.7) anzichè (6.9) ha il pregio di mettere in evidenza la irrelevanza, nelle equazioni
cardinali della statica, delle forze e delle reazioni vincolari interne. Più avanti vedremo
che ciò è vero anche per le equazioni cardinali della dinamica.
— Scrivendo (6.7) o (6.9) si è omesso il polo in quanto irrilevante. Infatti, in virtù della
relazione (4.15) e della prima delle equazioni (6.7) o (6.9), l’equazione dei momenti, se
verificata per un polo O, risulta verificata per qualunque altro polo O1 .
In generale (cioè escludendo casi particolari quali i sistemi piani) le due equazioni vettoriali
(6.7) sono equivalenti a 6 equazioni scalari. Tale sistema è dunque risolubile, in generale,
solo quando anche le incognite sono esattamente 6.
L’esperienza dimostra tuttavia che dalle (6.7) è sempre possibile dedurre n equazioni che non
contengono le reazioni vincolari, per cui il problema dell’equilibrio (cioè il problema di determi-
nare le configurazioni d’equilibrio) è sempre risolubile. Ogni n—pla (q1∗ , q2∗ , ..., qn∗ ) soluzione del
sistema rappresenta una configurazione d’equilibrio, purchè le relative reazioni vincolari
siano compatibili con la natura dei vincoli. Il senso di questa ultima affermazione risulterà
più chiaro dagli esempi che seguono relativi a dei vincoli d’appoggio.
Supposto che i vincoli siano lisci, ogni reazione vincolare può essere totalmente o parzial-
mente incognita. Se è totalmente incognita, essa comporta tre incognite scalari. Se si sa
133
che la reazione vincolare sta in un piano, allora le incognite scalari sono due. Nel caso poi
che la direzione sia nota, allora l’incognita è una sola. In quest’ultimo caso può essere noto
anche il verso: ciò comporta che l’incognita soddisfi anche ad una disequazione. Dunque,
ogni reazione vincolare implica, a seconda del tipo di vincolo, da una a tre incognite sca-
lari. Il numero delle incognite dovute alle reazioni vincolari dipende dunque dal numero
dei vincoli e dalla loro natura.
134
6.8 Equilibrio di un corpo rigido con un asse fisso
Supponiamo che l’asse sia stato fissato in due punti: Q1 ´ O ´ (0, 0, 0) (la scelta di O è
a nostra discrezione) e Q2 ´ (0, 0, h). Il sistema di reazioni vincolari esterne consta allora
delle reazioni (Q1 , Φ1 = Φ1x i + Φ1y j + Φ1z k) e (Q2 , Φ2 = Φ2x i + Φ2y j + Φ2z k). Osserviamo
che le reazioni vincolari, essendo applicate all’asse, hanno momento risultante normale
all’asse stesso. Infatti
2
Ψe (O) = Φr £ (O ¡ Qr ) = Φ2 £ (O ¡ Q2 ) =
r=1
= (Φ2x i + Φ2y j + Φ2z k) £ (¡hk) = ¡hΦ2y i + hΦ2x j . (6.10)
Andiamo dunque a scrivere le 6 equazioni scalari che si ottengono proiettando sugli assi
le due equazioni (6.7). Posto
si ottiene
Fex + Φ1x + Φ2x = 0
Fey + Φ1y + Φ2y = 0
F + Φ + Φ = 0
ez 1z 2z
(6.11)
Ωex ¡ hΦ2y = 0
Ωey + hΦ2x = 0
Ωez = 0 .
L’ultima equazione di questo sistema non contiene le reazioni vincolari. Poiché il pro-
blema ha un solo grado di libertà, si tratta dell’equazione che fornisce le configurazioni
d’equilibrio. Riscriviamola mettendone in evidenza l’incognita θ:
135
Le configurazioni d’equilibrio del corpo rigido sono tante quante le soluzioni θ ∗ di (6.12).
Assumiamo dunque che in Q2 ci sia un anello. In questo caso, essendo Φ2 normale all’asse,
si ha Φ2 = Φ2x i + Φ2y j. Le prime cinque equazioni del sistema (6.11) diventano quindi:
Fex + Φ1x + Φ2x = 0
Fey + Φ1y + Φ2y = 0
Fez + Φ1z = 0 (6.13)
Ωex ¡ hΦ2y = 0
Ωey + hΦ2x = 0 ,
Perché una configurazione C0 sia d’equilibrio occorre e basta che la condizione (6.3) sia
soddisfatta per qualunque δC.
136
Sopprimiamo dapprima solo il vincolo in Q2 e lo sostituiamo con la reazione vincolare
Φ2 = Φ2x i + Φ2y j, che riguardiamo come forza attiva. Ora il corpo rigido ha come unico
vincolo il punto fisso Q1 . Sono dunque possibili le rotazioni (tutte invertibili) attorno ad
un qualunque asse (Q1 , a). La (6.3) diventa perciò
δL = Ωe (Q1 ) + Φ2 £ (Q1 ¡ Q2 ) ¢ aδθ = 0 , 8a e 8δθ 6
= 0,
Ωe (Q1 ) + Φ2 £ (¡hk) = 0 .
Proiettando sugli assi x e y si ottengono le due ultime equazioni di (6.13), che forniscono
le componenti di Φ2 .
δL = (F e + Φ1 + Φ2 ) ¢ δO1 = 0 .
137
Con le equazioni cardinali della statica
La reazione vincolare (O1 , Φ) ha come direzione quella della normale a Π. Trattandosi poi
di un vincolo di appoggio, il vettore Φ è diretto da Π verso C , ossia Φ = Φk, con Φ ¸ 0.
Consideriamo dapprima una traslazione δO1 di C parallela al piano Π (che coincide con
Oxy), e quindi invertibile. In tal caso (6.3) diventa
δL = F e ¢ δO1 = 0 8δO1 k Π ,
δL = F e ¢ δO1 · 0 ,
il che implica che l’angolo tra δO1 e F e deve essere ottuso. In altre parole, F e deve essere
diretta da C verso Π. Si ha quindi F e = Fez k, con Fez ·0.
138
Se consideriamo poi uno spostamento virtuale rotatorio (O1 , aδα) con a versore arbitrario,
essendo anch’esso invertibile, si avrà
δL = Ωe (O1 ) ¢ aδα = 0 8a .
δL = (F e + Φ) ¢ δO1 = 0 8δO1 ,
e quindi Φ = ¡F e .
139
Nello scrivere le equazioni (5.13) e (6.7) è molto importante tener presente che le eventuali
coppie di forze attive e di reazioni vincolari interne debbono essere tenute in considerazione,
e ciascuna forza interna e ciascuna reazione vincolare deve apparire nella equazione (5.13)
(se agisce su un punto) o nelle equazioni (6.7) se agisce su un corpo rigido. L’esempio che
segue renderà più chiara questa affermazione.
Consideriamo due aste rigide AB e CD incernierate mediante una cerniera sferica negli
estremi B e C (per cui B ´ C). Chiaramente le due aste esercitano l’una sull’altra un
vincolo, che per il principio di azione e reazione implica una coppia di reazioni vincolari
interne al sistema del tipo (B, Φ) e (C, ¡Φ), con Φ totalmente incognito e quindi del tipo
Φ = Φx i + Φy j + Φz k. Ebbene, quando si scrivono le equazioni (6.9) per l’asta AB si deve
includere la reazione vincolare (B, Φ), mentre quando si scrivono per l’asta CD occorre
tener conto della reazione (C, ¡Φ). Per inciso, osserviamo che a volte, quando il sistema
è piano e tutte le forze attive stanno in quel piano (per esempio il piano xy), si può anche
avere una cerniera piana, rappresentabile perciò con una reazione di vettore Φ = Φx i + Φy j.
Le considerazioni appena fatte valgono anche nel caso in cui, calcolate le configurazioni d’e-
quilibrio col principio dei lavori virtuali, si vogliano determinare anche le relative reazioni
vincolari.
In alcuni testi si parla di sistemi articolati. Si tratta di sistemi composti di aste rigide,
assimilabili a segmenti rettilinei, collegate tra loro mediante cerniere. Ciascuna di queste
si suppone assimilabile ad un punto materiale e costituisce un nodo. Il sistema deve essere
connesso, non deve cioè constare di parti scollegate tra di loro.
Nel paragrafo x5.7 si è considerato l’attrito nel caso di un punto. Ora si vedrà cosa significa
dire che un corpo rigido C è in quiete o si muove appoggiato in un punto O1 ad un altro
corpo rigido C 1 in presenza di attrito. Come si è già detto l’attrito è dovuto a forze, sia
normali che tangenti, che si manifestano quando un corpo si muove o tenta di muoversi
su un altro. Ebbene, dire che c’è attrito fra C e C 1 significa convenire che C 1 esplica su C
un sistema di reazioni vincolari equivalente ad una forza di vettore Φ e ad una coppia di
momento M . La forza (O1 , Φ) si oppone al moto di strisciamento, e quindi rappresenta
l’attrito radente, mentre la coppia si oppone al moto di rotazione, e perciò rappresenta
l’attrito volvente.
140
Al fine di formulare le leggi dell’attrito in statica ed in dinamica, poniamo
Φ = Φt t + Φn n = Φt + Φn
(6.15)
M = Mt t + Mn n = M t + M n ,
con t versore parallelo al piano tangente e n versore normale. Osserviamo che nella termi-
nologia della “Meccanica Applicata” la reazione (O1 , Φn ) è detta forza normale di contatto,
mentre la reazione (O1 , Φt ) è detta forza d’attrito radente. Dal canto suo, la coppia di
momento M t è detta coppia d’attrito di rotolamento, in quanto si oppone al moto di puro
rotolamento, mentre quella di momento M n è detta coppia di attrito di giro, in quanto si
oppone al moto di prillamento attorno alla normale.
Noi, tuttavia, per semplificare le cose, supporremo sempre di poter trascurare la coppia,
limitandoci perciò a considerare soltanto la reazione (O1 , Φ).
L’attrito in statica
L’attrito in dinamica
Durante il moto di C1 su C , oltre alle equazioni cardinali della dinamica (che vedremo
più innanzi), la reazione Φ deve soddisfare
— nel caso di puro rotolamento, alla condizione (6.16);
— nel caso di rotolamento e strisciamento, alla condizione
vτ
Φt = ¡fd jΦn j , (6.17)
jv τ j
Dunque, quando C 1 si muove su C , occorre distinguere il caso in cui c’è strisciamento dal
caso in cui non c’è. In quest’ultimo caso la relazione che riguarda l’attrito radente non
cambia rispetto al caso statico in quanto il punto di contatto O1 è fermo rispetto a C .
Se invece C 1 striscia su C la relazione statica (6.16) è sostituita dalla relazione dinamica
(6.17). La costante fd , che è minore di fs , è detta coefficiente d’attrito dinamico radente.
141
6.12 Quantità di moto di un sistema
Vale l’importantissimo
Teorema La quantità di moto di un qualunque sistema meccanico è uguale alla quantità
di moto del baricentro qualora vi si attribuisca tutta la massa del sistema, ossia
Q = M vG . (6.19)
Osservazione In realtà il teorema ora dimostrato vale qualunque sia il sistema Gx′ y ′ z ′ .
La dimostrazione si fa procedendo allo stesso modo, ma con v τ (Ps ) = v G + ω £ (Ps ¡ G).
È facile verificare che il termine s ms ω £ (Ps ¡ G) porta un contributo nullo a QG .
142
6.13 Momento delle quantità di moto di un sistema
Infatti:
K(O1 ) = ms v s £ (O1 ¡ Ps ) = ms v s £ (O1 ¡ O2 + O2 ¡ Ps )
s s
= ms v s £ (O2 ¡ Ps ) + ms v s £ (O1 ¡ O2 ) = K(O2 ) + M v G £ (O1 ¡ O2 ) .
s s
In particolare, se O2 ´ G, si ha
Quando il polo O1 è in moto rispetto ad Oxyz, il calcolo di K(O1 ) può essere facilitato
coinvolgendo il momento relativo delle quantità di moto rispetto ad O1 , vale a dire
K ′ (O1 ) = ms v s′ £ (O1 ¡ Ps ) ,
s
143
ossia
K(O1 ) = K ′ (O1 ) + M v(O1 ) £ (O1 ¡ G) . (6.25)
144
e quindi, ricordando la definizione (2.7) di momento d’inerzia,
z
K(O) = IO θ̇k . (6.29)
z
Ovviamente IO rappresenta il momento d’inerzia rispetto all’asse fisso (O, k).
Per calcolare K(O), possiamo calcolare prima K(G) e quindi utilizzare la (6.24). Essendo
′
K(G) = K (G), il conto è presto fatto. Rispetto al sistema traslante Gx′ y ′ z ′ il moto del
′
corpo è rotatorio con asse fisso. Dunque, per ottenere K (G) si può applicare la (6.29),
ovviamente tenendo conto che in questo caso l’asse è (G, k). Si ha quindi:
′z
K(G) = K (G) = IG θ̇k . (6.30)
z
z
K(O) = IG θ̇k + M v G £ (O ¡ G) = IG θ̇ + M (xG ẏG ¡ ẋG yG ) k . (6.31)
Sia Oxyz il sistema di riferimento fisso rispetto al quale vogliamo studiare il moto del
corpo rigido, con Oz coincidente con l’asse fisso. Sia poi Ox1 y1 z1 un sistema solidale
col corpo con Oz1 ´ Oz. L’unico parametro lagrangiano è rappresentato dall’angolo di
1 .
rotazione θ del corpo, che può essere definito come θ = xOx
Consideriamo ora un generico punto Ps del corpo e indichiamo con (x1s , y1s , z1s ) le sue
coordinate rispetto alla terna solidale. Ebbene, poiché Ps descrive la circonferenza di
centro Qs (proiezione di Ps sull’asse) con velocità angolare ω = θ̇k, indicati con ts e ns i
versori tangente e normale a tale circonferenza in Ps , posto rs = Ps ¡ Qs , si ha
145
Ps ¡ O = x1s i1 + y1s j 1 + z1s k1 ,
Ps ¡ Qs = x1s i1 + y1s j 1 = ¡rs ns ,
Qs ¡ P s x1s i1 + y1s j 1
ns = =¡ ,
rs rs
¡y1s i1 + x1s j 1
ts = ,
rs
v s = rs θ̇ts .
Nota bene. Le formule (6.28), (6.29), (6.30), (6.31) e (6.32) sono molto utili ai fini degli
esercizi. Nella stragrande maggioranza di questi, infatti, i corpi rigidi considerati sono
piani e mobili nel loro piano o con asse fisso. Con le formule suddette è quindi possibile
calcolare tutti i momenti delle quantità di moto che servono (per scrivere, come vedremo,
la seconda equazione cardinale della dinamica).
146
essendo v s la velocità di Ps rispetto ad Oxyz. Per un corpo continuo C si definisce invece
1
T = ρ(P )v 2 (P )dC .
2 C
Dimostrazione
Poiché si ha v s = v s′ + v G , si ha
1 1 2 1 2
T = ms vs2 = ms vs′ + ms vG + ms v s′ ¢ v G
2 s 2 s 2 s s
1 2
= TG + M vG + QG ¢ v G .
2
Ma QG in virtù della (6.21) è nullo. Dunque vale la (6.34).
Corollari
— T = 12 M vG
2
se e solo se il sistema materiale trasla;
— T = TG se e solo se il baricentro è fermo.
147
Corpo rigido traslante con velocità v.
Tutti i punti hanno la stessa velocità, per cui: T = 12 M v 2 (6.35)
1 1 1
T = ms vs2 = ms rs2 θ̇2 = θ̇ 2 ms rs2 ,
2 s 2 s 2 s
1 z 2
T = I θ̇ , (6.36)
2 O
1 z 2
TG = I θ̇ . (6.37)
2 G
1 2 1 z 2 1 2 1 z 2 1
T = TG + M vG = IG θ̇ + M vG = IG θ̇ + M (ẋ2G + ẏG
2
). (6.38)
2 2 2 2 2
148
Nota bene. I risultati (6.35), (6.36) e (6.38) sono utili alla risoluzione di quasi tutti gli
esercizi che verranno proposti.
Abbiamo ora a disposizione tutti gli elementi necessari per introdurre: a) le equazioni
cardinali della dinamica, che costituiscono uno strumento essenziale che permette di
determinare sia le equazioni differenziali del moto di un sistema sia le reazioni vincolari
(purché il loro numero sia quello minimo necessario a realizzare i vincoli); b) le equa-
zioni di Lagrange, che permettono di scrivere le equazioni differenziali del moto di un
qualunque sistema olonomo (purché a vincoli perfetti e bilaterali).
dQs
ms as = = F es + F is + Φes + Φis , s = 1, ..., N .
dt
Sommando su tutti gli N punti si ottiene
dQ
s
= F es + F is + Φes + Φis = F e + F i + Φe + Φi .
s
dt s
dQ
= F e + Φe . (6.39)
dt
Questa equazione esprime il Teorema della quantità di moto: La derivata della quantità di
moto di un qualunque sistema meccanico è uguale al vettore risultante delle forze attive e
vincolari esterne.
Ricordando poi che Q = M v G la (6.39) può essere messa in una forma equivalente di
rilevante significato fisico. Risulta infatti
d2 G
M = F e + Φe . (6.40)
dt2
In questa forma l’equazione esprime il Teorema del moto del baricentro: Il baricentro di un
qualunque sistema meccanico si muove come se in esso fosse concentrata tutta la massa e
ad esso fossero applicate tutte le forze attive e vincolari esterne.
149
Abbiamo cosı̀ ricavato la prima equazione cardinale della dinamica, nelle due forme equivalenti
(6.39) e (6.40). Osserviamo che in virtù di questa equazione le forze attive e vincolari
interne non hanno alcun effetto sul moto del baricentro, mentre le forze attive e vincolari
esterne hanno effetto solo attraverso il loro risultante.
Consideriamo ora un punto O1 qualunque, non importa se fisso o mobile rispetto al rife-
rimento fissato. Il momento della quantità di moto del punto (Ps , ms ) rispetto al polo O1
per definizione è
K s (O1 ) = ms v s £ (O1 ¡ Ps ) .
Derivando si ha
dK s (O1 ) dO1
= ms as £ (O1 ¡ Ps ) + ms v s £ ,
dt dt
dPs
dove si è omesso di mettere il termine ¡ms v s £ in quanto evidentemente nullo.
dt
Tenendo di nuovo conto della legge di Newton e sommando quindi sugli N punti, si ottiene
dK(O1 ) dO
1
= F es + F is + Φes + Φis £ (O1 ¡ Ps ) + ms v s £
dt s s
dt
dO1
= Ωe (O1 ) + Ωi (O1 ) + Ψe (O1 ) + Ψi (O1 ) + Q £ ,
dt
dK(O1 ) dG dO1
= Ωe (O1 ) + Ψe (O1 ) + M £ . (6.41)
dt dt dt
Questa equazione è detta seconda equazione cardinale della dinamica. Se il polo O1 è fisso,
oppure coincide con G, oppure ha velocità parallela a quella di G, allora l’ultimo termine
di (6.41) è nullo, e si ha
dK(O1 )
= Ωe (O1 ) + Ψe (O1 ) . (6.42)
dt
Questa equazione esprime il Teorema del momento delle quantità di moto: La derivata del
momento delle quantità di moto di un qualunque sistema meccanico, rispetto ad un punto
fisso o al baricentro o ad un punto con velocità parallela a quella del baricentro, è uguale
al momento risultante delle forze attive e vincolari esterne.
Le due equazioni cardinali della dinamica (6.39) (o (6.40)) e (6.41) sono necessariamente
soddisfatte durante il moto di un qualunque sistema meccanico. Supposto che il sistema
abbia n gradi di libertà con parametri lagrangiani q1 , q2 , ..., qn , ciò significa che esiste
almeno un sistema di reazioni vincolari esterne (Ps , Φes ), compatibili con i vincoli, che
assieme alle n funzioni qi (t) soddisfano in ogni istante le due equazioni.
150
Osservazione. Le equazioni cardinali della Statica (6.7) sono contenute in quelle della
Dinamica. Infatti, se il sistema è in equilibrio, allora tutti i punti Ps sono fermi, e le
equazioni (6.39) e (6.41) si riducono alle (6.7).
Si può dimostrare, cosa che non facciamo, che vale il seguente importantissimo
Teorema Se il sistema materiale è un corpo rigido, soggetto a vincoli perfetti, le equazioni
cardinali della dinamica sono sufficienti a determinarne il moto.
Dunque, le equazioni cardinali delle dinamica sono necessarie e sufficienti a determinare il moto
di un corpo rigido. Sottolineiamo il fatto che ai fini di tale moto le forze attive e vincolari
interne non hanno alcuna rilevanza, e che quelle esterne intervengono solamente attraverso
i loro vettori caratteristici. Conseguenza di quest’ultima osservazione è che se ad un corpo
rigido si applicano due sistemi equivalenti di forze (ovviamente non simultaneamente!),
essi producono gli stessi effetti meccanici.
Gli importantissimi teoremi dell’energia già visti per un singolo punto materiale (vedi
x5.10) si estendono facilmente ai sistemi di punti. Sia, come al solito, (Ps , ms ), s =
1, . . . , N, il sistema materiale.
Dimostrazione: Dal paragrafo 5.10 sappiamo già che per ogni punto Ps si ha
dL = dL + dρ = dT , (6.43)
Per quanto concerne poi la dimostrazione della versione finita del teorema, occorre inte-
grare la relazione (6.43) su un intervallo di tempo finito, ad esempio l’intervallo (t0 , t).
Posto quindi T0 = T (t0 ) e T = T (t) e indicate con C0 la configurazione del sistema all’i-
stante t0 e con C quella all’istante t, ricordando la definizione (4.29), si ha
C t
L = (Γ) dL = dT ,
C0 t0
151
essendo Γ la traiettoria percorsa dal sistema (nello spazio delle configurazioni) per andare
da C0 a C. Ora, tenendo conto che dT è il differenziale della funzione T (t) e indicando con
L il lavoro finito, si ha
L = T ¡ T0 . (6.44)
Definizione Si definisce integrale primo del moto del sistema meccanico una funzione ψ dei
suoi parametri lagrangiani qi , delle sue velocità generalizzate q̇i e del tempo t, che rimane
costante durante il moto, ossia
ψ(q(t), q̇(t), t) ´ ψ(q1 (t), ..., qn (t), q̇1 (t), ..., q̇n (t), t) = C , (6.46)
dove C è una costante che si determina attraverso le condizioni iniziali.
Altri integrali primi possono derivare dalle equazioni cardinali della dinamica. Se accade
che il secondo membro di (6.39) oppure di (6.42) ha componente nulla lungo una direzione,
questo comporta l’esistenza di un integrale primo. Per esempio,
dQ dQz
(F e + Φe ) ¢ k = 0 =) ¢k =0 =) =0 =) Qz = Q0z = cost ,
dt dt
152
comporta la conservazione della quantità di moto lungo l’asse z.
— Il sistema solare, essendo (in buona approssimazione) un sistema isolato, cioè non sog-
getto a forze esterne, ha sia F e + Φe = 0, per cui Q = Q0 , sia Ωe (G) + Ψe (G) = 0, da cui
K(G) = K 0 (G). Il primo integrale primo implica che il moto del baricentro del sistema
solare sia rettilineo uniforme (rispetto alle stelle fisse), il secondo che il piano passante per
G e normale a K 0 (G) conservi giacitura costante (sempre rispetto alle stelle fisse).
— Una persona ferma su un piano orizzontale liscio non può muoversi parallelamente al
piano se non lanciando un oggetto. In tal caso, se M ed m sono le masse rispettivamente
della persona e dell’oggetto, e V e v le rispettive velocità dopo il lancio, essendo Q0 =
m
mv + M V = 0, si ha V = ¡ M v.
— Il baricentro di un proiettile che scoppia (a causa di forze interne), nel vuoto (e quindi
in assenza di forze resistenti dovute al mezzo) continuerebbe a muoversi dopo lo scoppio
come se niente fosse accaduto.
— Si consideri una ballerina come un corpo rigido ruotante attorno ad un asse z verticale.
Poiché il peso e la reazione vincolare hanno momento assiale (lungo z) nullo, ne consegue
Kz = C θ̇ = Iz θ̇ = cost. Ciò significa che quando la ballerina apre le braccia, Iz aumenta
e θ̇ diminuisce, mentre Iz diminuisce facendo aumentare θ̇ quando la ballerina porta le
braccia in alto vicino all’asse.
Le equazioni cardinali (6.40) e (6.42) della Dinamica, che in generale comportano 6 equa-
zioni scalari indipendenti, permettono sempre di determinare il moto di un corpo rigido.
Infatti, se n è il numero di gradi di libertà del corpo, è sempre possibile ricavare dal sistema
delle 6 equazioni scalari n equazioni non contenenti le reazioni vincolari che costituiscono
le equazioni differenziali del moto del corpo.
153
Se il numero delle reazioni vincolari scalari è 6¡n, il che significa che non ci sono rea-
zioni ”superflue”, allora, dopo aver risolto il problema del moto, è possibile determinare
anche le reazioni vincolari. È importante sottolineare che un numero sovrabbondante di
reazioni vincolari scalari, sovrabbondante nel senso di maggiore rispetto a quello stretta-
mente necessario per realizzare i vincoli, in ogni caso impedisce solamente di determinare
completamente le reazioni vincolari, ma non di risolvere il problema del moto.
ms as = F s + Φs , s = 1, ..., N ,
F s ¡ ms as + Φs = 0 , s = 1, ..., N . (6.47)
Interpretando ciascuno dei vettori ¡ms as come una forza (ne ha le dimensioni), che chia-
meremo forza d’inerzia relativa al punto Ps , le (6.47) dicono quanto segue: durante il moto
di un qualunque sistema meccanico, in ogni istante le forze attive, le forze d’inerzia e le
reazioni vincolari si fanno equilibrio. Poiché le reazioni Φs rappresentano le azioni dei
vincoli, si può anche dire che durante il moto di un qualunque sistema meccanico, in ogni
istante le forze attive e le forze d’inerzia si fanno equilibrio in virtù dei vincoli.
A questo enunciato si può dare un’altra forma osservando che si può scrivere
F s = ms as + (F s ¡ ms as ) , s = 1, ..., N .
In base a questa osservazione la forza attiva agente su ciascun punto Ps può essere scom-
posta in due componenti: la prima, di vettore ms as , rappresenta la forza che sarebbe
atta ad imprimere al punto Ps , qualora fosse libero, lo stesso moto che esso acquista sotto
l’azione combinata dell’intera forza F s e dei vincoli; la seconda componente, il cui vettore
154
è F s ¡ ms as (e quindi somma dei vettori della forza attiva e della forza d’inerzia), rappre-
senta quella parte di F s che va perduta per compensare i vincoli. Ciò giustifica il nome
di forze perdute che di solito si dà alle componenti F s ¡ ms as .
(F s ¡ ms as ) + Φs = 0 , s = 1, ..., N ,
si può enunciare il
Principio di D’Alembert: Durante il moto di un qualunque sistema meccanico, in ogni
istante le forze perdute e le reazioni vincolari si fanno equilibrio.
L’interesse del principio di D’Alembert consiste nel fatto che permette di ridurre ciascun
problema di dinamica ad un problema di statica: a tal fine basta sostituire alle forze attive
le forze perdute (o, equivalentemente, aggiungere alle forze attive le forze d’inerzia).
Dato un sistema a vincoli perfetti e bilaterali, ad n gradi di libertà e con parametri la-
grangiani qk , si può dimostrare che valgono le seguenti equazioni di Lagrange:
d ∂T ∂T
¡ = Qk , k = 1, ..., n . (6.48)
dt ∂ q̇k ∂qk
Si tratta di un sistema di n equazioni differenziali del 2◦ ordine nelle n incognite qk (t), che
rappresentano le equazioni differenziali del moto del sistema. Osserviamo che per scriverle
occorre ricavare l’energia cinetica T = T (q̇, q) e le forze generalizzate Qk = Qk (q̇, q, t).
Associando poi alle equazioni (6.48) le condizioni iniziali fqk (0)g e fq̇k (0)g, e risolvendo il
corrispondente problema di Cauchy, si determina il moto del sistema meccanico.
155
Considerato un punto O1 del corpo appartenente all’asse, in virtù della formula (4.33),
tenendo poi conto che O1 è fisso, si ha
dL = F e ¢ dO1 + Ωe (O1 ) ¢ adθ = Ωe (O1 ) ¢ kdθ = Ωez (O1 )dθ .
Dunque:
Qθ = Ωez ,
dove si è omessa l’indicazione del polo per l’indipendenza del momento assiale dalla scelta
del polo sull’asse. Pertanto, scrivendo l’equazione di Lagrange si ha
d
Iz θ̇ = Ωez ,
dt
e quindi, mettendo in evidenza i parametri da cui dipende il secondo membro,
156
6.22 Pendolo fisico.
Definizione Si chiama pendolo fisico (o pendolo composto) un corpo rigido soggetto solo al
peso con un asse fisso nè baricentrico nè verticale. L’asse è detto asse di sospensione.
Indicato con Iz il momento d’inerzia rispetto all’asse fisso, l’equazione differenziale del
moto è
Iz θ̈ = ¡mgd sin α sin θ . (6.51)
Iz mgd sin α g sin α
Posto poi ℓ = e ω2 = = , si ritrova la (5.32), cioè l’equazione
md Iz ℓ
di un pendolo semplice di lunghezza ℓ:
θ̈ + ω2 sin θ = 0 .
Il pendolo fisico, avendo la stessa equazione del moto del pendolo semplice, dà luogo agli
stessi moti di quest’ultimo. Naturalmente ciò va inteso nel senso che ciascun punto del
corpo rigido (compreso il baricentro G) si muove come se fosse un pendolo semplice.
Osservazioni.
— Per α = 0 l’asse è verticale e l’equazione (6.51) fornisce θ̈ = 0, che implica rotazione
uniforme oppure quiete. Chiaramente in questo caso il corpo non è più un “pendolo”.
— Se l’asse è baricentrico si ha di nuovo θ̈ = 0, e quindi si ha ancora rotazione uniforme
oppure quiete.
— Se l’asse è baricentrico o verticale ogni posizione è d’equilibrio (equilibrio indifferente).
157
Bibliografia
Testi teorici:
Eserciziari:
Bampi Franco, Benati Mauro e Morro Angelo, Problemi di Meccanica Razionale, ECIG.
158
Indice analitico
159
equazione, frequenza, 38
della quantità di moto, 115 funzione,
differenziale, 38 di Lagrange, 155
del pendolo semplice, 119 potenziale, 98
di Newton, 71, 106
vettoriale del moto, 33 geometria delle masse, 20
equazioni, glifo, 60
cardinali della dinamica, 149 grandezze,
cardinali della statica, 132 scalari, 1
cartesiane del moto di un punto, 33 vettoriali, 1
differenziali del moto, 106
di Lagrange, 155 integrale generale, 38, 107
per un sistema conservativo, 156 integrale primo del moto,
parametriche di base e rulletta, 61 di un punto, 118
equilibrio, 126 di un sistema materiale, 152
dei sistemi conservativi, 129 invariante,
dei sistemi a vincoli perfetti, 128 di un sistema di forze, 84
di un corpo rigido, 133 di uno stato cinetico rigido, 46
appoggiato in un punto ad un piano, 137 ipociclo, 60
con un asse fisso, 135 isocronismo del pendolo, 121
di un punto, 109 istante,
appoggiato ad un piano liscio, 110 di arresto, 46
libero, 110 iniziale, 106
vincolato ad una curva liscia, 111
vincolato ad un piano liscio, 110 Lagrangiana, 156
indifferente, 130 lavoro,
instabile, 130 finito, 95, 97
relativo, 123 infinitesimo reale, 94
stabile, 130 virtuale, 95
fase iniziale, 37 legge,
forma differenziale esatta, 99 dell’isocronismo del pendolo, 121
formula fondamentale della cinematica rigida, 44 del moto incipiente, 109
formule, di Newton, 71, 106
di Poisson, 43 oraria del moto, 34
di trasformazione di coordinate, 53 leggi fondamentali della Meccanica, 70
forza, 68 linea nodale, 42
assoluta, 70, 123 massa, 20, 93
attiva, 81 matrice,
centrifuga, 124 definita positiva, 26
conservativa, 97 d’inerzia, 26
costante, 100 modulo di un vettore, 1
di Coriolis, 122 momento,
di trascinamento, 122 assiale, 84
elastica, 101 centrifugo, 25
esterna, 81 della quantità di moto (o angolare), 117, 143
interna, 81 di un corpo rigido (esempi), 144
Newtoniana, 101 di un punto, 117
peso, 92, 125 di un sistema di punti, 143
posizionale, 97 di deviazione, 25
resistente, 117 d’inerzia, 23
risultante, 69, 88 centrale , 29
viscosa, 70 polare, 28
forze, principale, 28
d’inerzia, 154 di una coppia di forze, 86
fittizie, 123 di una forza, 83
generalizzate di Lagrange, 94 risultante di un sistema di forze, 83
perdute, 155
160
moto, piano,
cicloidale, 60 orizzontale, 93
di un corpo rigido, 149 osculatore, 32
con asse fisso, 155 piccole oscillazioni del pendolo semplice, 120
di precessione, 65 polo,
di piroettamento, 67 delle accelerazioni, 63
di puro rotolamento, 61, 67, 74 del momento della quantità di moto, 117
di rotolamento, 67 del momento di una forza, 83
di strisciamento, 67 posizione d’equilibrio di un punto, 109
piano, 57 postulato delle reazioni vincolari, 81
rispetto ad un suo punto, 64 potenza di una forza, 102
rotatorio, 49 potenziale, 98
rototraslatorio, 50 precessione, 42, 65
traslatorio, 46 principio,
di un punto, 106, 107 d’azione e reazione, 71
accelerato, 37 dei lavori virtuali, 127
aperiodico con smorzamento critico, 38 d’inerzia, 70
aperiodico smorzato, 38 di D’Alembert, 154
appoggiato ad un piano liscio, 108 problema,
asintotico, 121 di Cauchy, 106
circolare, 39 di cinematica relativa, 53
diretto, 34 di dinamica relativa, 121
libero, 106 di statica relativa, 123
oscillatorio armonico, 37 staticamente determinato, 133
oscillatorio smorzato, 38 prodotto,
periodico, 37, 121 d’inerzia, 25
relativo, 121 di un numero per un vettore, 2
retrogrado, 34 misto, 9
rettilineo, 36 scalare (o interno), 6
ritardato, 37 vettoriale (o esterno), 8
rivolutivo, 121 profili coniugati, 59
uniforme, 34, 36 pulsazione, 37
uniformemente vario, 37 punto d’applicazione, 2, 68
vincolato ad una curva liscia, 108 punto materiale, 20
vincolato ad un piano liscio, 107
epicicloidale, 60 quantità di moto,
ipocicloidale, 60 di un punto, 115
rigido piano, 57 di un sistema di punti, 142
161
sistema, teorema,
di forze, 83 di Coriolis, 55
conservativo, 98 di Huyghens (o di Steiner), 24
elementare, 86 di König, 147
interne, 90 di Mozzi, 49
parallele, 91 di riduzione per un sistema di forze, 89
di riferimento, di Torricelli, 131
assoluto (o fisso), 53 terna intrinseca, 33
inerziale o Galileiano, 70 traiettoria di un punto, 33
mobile (o relativo), 53 traiettorie polari, 58
solare, 66 trasformazioni di Galileo, 66
stellare, 66
terrestre-stellare, 66 velocità, 34
sistema materiale, 71 angolare, 39, 47
sistema meccanico, 71 assoluta, 54
conservativo, 129 di trascinamento, 55
iperstatico, 134 generalizzate, 75
libero, 72 relativa, 54
olonomo, 76 scalare, 34
reonomo, 73 vettoriale, 34
scleronomo, 73 verso di un vettore, 1
vincolato, 72 versore, 1
sistemi equivalenti, normale, 33
di forze, 85 tangente, 32
di riferimento, 65 verticale per un punto, 93
somma di vettori, 2 vettore, 1
spazio delle configurazioni, 76 applicato, 2
spostamento, 33 di una forza, 68
infinitesimo reale, 73 libero, 1
invertibile, 79 nullo, 1
proibito, 79 opposto, 2
virtuale, 78 risultante, 3, 83
stato cinetico, 45 spostamento, 33
elementare, 45 velocità angolare, 43
elicoidale, 45, 49 vettori,
nullo, 45 caratteristici di uno stato cinetico rigido, 46
rigido, 46 caratteristici di un sistema di forze, 83
rotatorio, 45, 47 concordi, 2
traslatorio, 45 discordi, 2
equipollenti, 1
tensore d’inerzia, 26 paralleli, 2
teorema, vincolo, 72
della quantità di moto, 149 bilaterale, 74
delle forze vive (o dell’energia cinetica), esterno, 73
per un punto, 115 finito, 74
per sistema di punti, 151 interno, 73
del momento della quantità di moto, 150 liscio (o senza attrito), 82, 102
del moto del baricentro, 149 perfetto (o ideale), 102
di composizione delle accelerazioni, 55 reonomo (o mobile), 72
di composizione delle velocità, 54 scabro (o con attrito), 82
di conservazione dell’energia, scleronomo (o fisso o stazionario), 72
per un punto, 116 unilaterale, 74
per un sistema, 152
162