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2
Prefazione,
pp.
11-‐16.
Inesperta
di
guerra,
lontana
dai
luoghi,
estranea
dall’esperienza
diretta
della
Grecia
del
secondo
dopoguerra
non
è
stato
facile
per
me
scrivere
queste
righe.
Sin
da
quando
ho
letto
per
la
prima
volta
il
libro,
curato
da
Silvia
Calamati,
ho
sentito
l’esigenza
di
creare
intorno
a
me
l’atmosfera
giusta,
all’interno
della
quale
immergermi
per
rispetto
di
una
vita
conclusasi
in
una
primavera
di
tanti
anni
fa,
dopo
stenti
e
sofferenze
indicibili,
sopportati
per
un’idea
che
oggi
sappiamo
essere
irrealizzata
(e
irrealizzabile).
Per
rispetto
nei
confronti
di
tutti
i
morti
e
per
il
fiume
di
parole
scritte
per
ricordare
la
guerra
civile
greca,
che
ha
sconvolto
il
paese
dal
1946
al
1949
ho
cercato
di
ricreare
intorno
a
me
il
contesto
storico-‐culturale
necessario
per
poter
parlare
di
questo
momento
storico.
Non
volevo
scrivere
un’introduzione
accademica,
con
commenti
di
natura
storico-‐
critica.
Per
mestiere
non
mi
sarebbe
stato
troppo
complesso
ripercorrere
per
grandi
linee
il
volume,
descrivendone
i
punti
salienti,
la
ricchezza
delle
informazioni,
la
delicatezza
struggente
degli
ultimi
mesi
di
vita
di
Sotiris
Kanellopoulos;
non
mi
sarebbe
stato
difficile
esprimere
l’apprezzamento
per
il
lavoro
appassionato
della
curatrice,
valutandone
i
punti
forti
e
segnalando
gli
aspetti
che
meriterebbero
un
maggiore
approfondimento.
Per
esperienza
professionale
avrei
potuto
facilmente
esprimere
un
giudizio
positivo
sugli
apparati
storici
e
sulla
documentazione
allegata
al
diario,
che
hanno
trasformato
questo
libro
da
semplice
e
commovente
documento
storico
in
uno
strumento
per
l’analisi
critica
di
una
fase
poco
conosciuta
della
storia
greca
ed
europea
del
secondo
Novecento.
Ma
non
volevo
semplicemente
esprimere
un
ringraziamento
alla
fatica
della
curatrice
che,
con
il
suo
volume,
offre
uno
strumento
utile
per
studenti
italiani
di
lingua
e
letteratura
neogreca,
e
crea
uno
spunto
di
riflessione
concreta
sulla
Grecia
del
dopoguerra
e
sull’Εμφύλιος
Πόλεμος,
sulla
guerra
civile,
le
cui
conseguenze
sono
ancora
visibili
e
percepibili
nella
vita
politica
e
sociale
greca.
In
una
dimensione
formativa
e
didattica
questo
libro
permette
di
affrontare
in
classe,
davanti
ai
ragazzi
(spesso
assolutamente
digiuni
di
storia
europea
del
Novecento)
il
discorso
su
come
e
perchè
la
Grecia,
all’indomani
della
seconda
guerra
mondiale,
pur
sedendo
al
tavolo
dalla
parte
dei
“vincitori”,
si
ritrovò
invece
ancora
con
le
armi
in
mano,
piangendo
e
seppellendo
morti.
Permette
di
raccontare
una
guerra
spaventosa,
le
cui
cause
solo
in
parte
si
devono
alle
opposte
fazioni
greche
che
nella
seconda
metà
degli
anni
Quaranta
si
sono
scannate:
mentre
il
resto
dell’Europa
occidentale
emergeva
con
fatica
e
con
dolore
dalle
rovine
dei
bombardamenti
e,
ricostruendo
le
città,
iniziava
a
credere
che
mai
più
sarebbe
successo
qualcosa
di
simile,
in
Grecia
era
esploso
un
conflitto,
il
sintomo
più
sanguinoso
della
cosiddetta
“guerra
fredda”,
le
cui
cause
e
conseguenze
hanno
radici
contorte
e
antiche.
3
Questo
libro
può
costituire
un’introduzione
alla
terribile
storia
di
cui
è
intrisa
la
produzione
artistica
greca
del
secondo
Novecento:
poesia
e
musica,
letteratura
e
cinema
del
dopoguerra
greco
narrano
a
gran
voce
quanto
accaduto
in
quegli
anni
e
quasi
nessuno
nel
nostro
paese,
come
negli
altri
paesi
europei,
ha
le
conoscenze
di
base
per
capire
di
cosa
si
stia
parlando.
Per
addentrarsi
all’interno
della
cultura
greca
contemporanea
non
sono
sufficienti,
infatti,
gli
studi
classici,
né
l’amore
per
la
continuità
linguistica
di
un
popolo
che
da
tremila
anni
usa
le
stesse
parole
per
indicare
il
“mare”
θάλασσα,
l’”uomo”
άνθρωπος,
il
“cielo”
ουρανός;
non
è
sufficiente
aver
visitato
le
spiagge
e
le
città
greche,
né
apprezzarne
la
musica
mediorientale
(come
sta
avvenendo
in
questi
ultimi
anni
grazie
alla
riscoperta
del
rebetiko)
e
il
cibo,
è
necessario
avere
almeno
alcune
informazioni
di
base
sui
fatti
storici
più
significativi
per
la
Grecia
del
Novecento.
I
greci
–dall’antichità
ad
oggi-‐
continuano
a
cantare
e
a
rappresentare
attraverso
la
musica,
la
poesia,
e
le
arti
in
genere,
le
loro
vicende
che
sconvolgono
la
loro
vita
collettiva.
Così
come
la
catastrofe
dei
greci
dell’Asia
Minore
nel
1922
è
stata
elaborata
nella
letteratura
e
nella
produzione
artistica
greca
nella
prima
metà
del
secolo
scorso,
anche
l’Εμφύλιος
è
stato
cantato
e
rappresentato
in
versi,
romanzi,
musiche
e
film
greci
(si
riveda
ad
esempio
La
recita
del
compianto
Theo
Angelopoulos).
Senza
le
coordinate
storiche
(che
connettono
la
Grecia
con
l’Europa
orientale,
slava
balcanica
e
ortodossa
e
con
il
vicino
contesto
islamico),
e
senza
le
competenze
linguistiche
e
culturali,
la
Grecia
di
oggi
rimane
-‐per
i
nostri
studenti
(ma
anche
per
la
maggior
parte
dei
cittadini
della
nuova
Europa)-‐
un
paese
ai
margini
dell’Europa
occidentale,
difficilmente
comprensibile,
preda
di
luoghi
comuni
e
di
sciocchezze
giornalistiche
(e
non
solo...).
Eppure,
nonostante
le
barriere
culturali
e
l’inaccessibilità
della
lingua,
quanti
riescono
a
stabilire
un
contatto
più
ravvicinato
con
la
Grecia
contemporanea,
ne
percepiscono
il
fascino
e
la
struggente
malìa.
Una
Grecia
che
riesce
a
mantenere
dignità
e
forza
(malgrado
tutto,
malgrado
tutti)
suscita
ammirazione.
La
Grecia
e
i
greci
di
oggi,
nonostante
tutti
i
difetti,
i
mali
congeniti,
gli
scempi
e
le
imprese
fallimentari,
hanno
dunque
(anche
in
Italia)
un
buon
numero
di
aficionados,
che
vogliono
trasmetterne
un’immagine
quanto
più
possibile
ampia
e
sana.
Questo
libro
non
contiene
solo
le
pagine
del
diario
di
un
combattente
greco
della
guerra
civile,
parole
strappate
dall’oblio
e
rese
in
italiano
dalla
ferma
volontà
di
Silvia
Calamati,
né
recupera
le
briciole
di
un’esistenza
restituendo
un
alito
di
vitalità
a
quanti
hanno
perso
la
vita
in
quella
sciagurata
avventura
militare
post-‐bellica
che
sconvolse
la
Grecia
nella
seconda
metà
degli
anni
Quaranta.
Questo
volume
racchiude
una
serie
di
apparati
e
documenti
necessari
per
ricostruire
il
contesto
storico
dell’epoca
e
per
comprendere
meglio
perché
la
Grecia
è
arrivata
(e
continua
ad
arrivare)
“in
ritardo”
alle
scadenze
imposte
della
politica
occidentale.
È
un
libro
polifonico,
complesso,
disomogeneo,
difficile.
È
un
pugno
nello
stomaco
nelle
pagine
di
Kanellòpoulos;
è
una
doccia
fredda
sulle
coscienze
di
quanti
credono
di
capire
il
presente
senza
avere
un
quadro
chiaro
di
quella
che
è
stata
la
sorte
della
terra
“culla
della
civiltà
occidentale”
negli
ultimi
settacinque
anni.
È
il
dito
nella
piaga
della
nostra
ignoranza,
almeno
da
quel
famoso
“no”
del
28
ottobre
del
1940,
quando
ebbe
inizio
la
rovinosa
campagna
di
Grecia
voluta
da
Mussolini.
È
un
insieme
di
documenti
e
testimonianze
utili
per
ricucire
le
trame
politiche
e
culturali
che
hanno
determinato
in
maniera
decisa
la
storia
recente
dei
greci.
Sono
ancora
vivi
gli
ultimi
che
hanno
un
ricordo
diretto
di
quegli
anni,
anche
se
erano
ancora
bambini,
nella
memoria
di
tutti
loro
è
indelebile
l’odore
del
sangue
e
della
povertà,
della
polvere
da
sparo
e
del
tradimento.
Perché
la
storia
possa
insegnarci
a
interpretare
il
presente
e
a
prevenire
gli
errori
del
futuro,
non
sono
mai
inutili
gli
sforzi
come
quello
compiuto
da
Silvia
Calamati
con
questo
libro.
4
Per
scrivere
queste
righe
ho
fatto
ricorso
ad
un
sottofondo
musicale.
Grazie
alla
possibilità
che
ci
offre
la
rete
ho
ascoltato
i
canti
dei
combattenti,
ta
antartika,
le
parole
di
guerra
e
di
fuoco,
nella
versione
orchestrale,
magistrale
e
corale
realizzata
da
Thanos
Mikrutsikos,
il
musicista
che
qualche
anno
fa
fu
anche
ministro
della
cultura
di
Grecia;
http://www.youtube.com/watch?v=g8F43rPkdI0;
poi
ho
ascoltato
Mikis
Theodorakis
nella
sua
interpretazione
musicale
del
poema
di
Ghiannis
Ritsos,
Romyosini,
composto
proprio
negli
anni
della
guerra
civile:
http://www.youtube.com/watch?v=jZFoSL14-‐KA;
ho
visto
uno
straordinario
documentario
a
cura
di
Roviros
Manthoulis
(1929),
che
nel
1997
ha
intervistato
molti
protagonisti
di
quegli
anni
(tra
i
quali
un
ancora
vigoroso
Charilaos
Florakis)
http://www.youtube.com/watch?v=KELQsGcA6z8,
mescolando
sapientemente
le
testimonianze
prese
nei
caffè
o
nei
salotti
borghesi
della
Grecia
degli
anni
‘90
con
i
documenti
d’epoca.
Nelle
immagini
in
bianco
e
nero,
girate
fra
la
neve
o
le
rocce
arse
senza
un
goccio
d’acqua
nell’estati
assolate;
in
mezzo
a
teste
mozzate
mostrate
come
trofei;
tra
bambini
denutriti
e
nudi,
i
combattenti
come
Kanellopoulos
-‐
per
dimenticare
gli
stenti,
la
fame,
la
sete,
la
morte,
giovani
e
meno
giovani
partigiani-‐
si
davano
forza
con
i
canti
popolari.
Erano
gli
anni
tremendi
della
guerra
intestina
post-‐bellica,
quando
alcuni
greci
pensavano
che
sarebbe
stato
meglio
entrar
a
far
parte
del
blocco
comunista
orientale
piuttosto
che
rimanere
nell’area
di
influenza
americana.
Perché
Mosca,
la
terza
Roma,
aveva
coltivato
da
secoli
legami
di
scambio
e
interrelazioni
politiche,
economiche,
religiose
e
culturali
con
i
greci.
Perché
Mosca
e
il
mondo
slavo
balcanico
erano
più
familiari
e
consoni
all’esperienza
umana
e
culturale
di
molti
greci
di
quanto
non
lo
fossero
Londra,
Parigi
e
Washington.
Ho
avuto
bisogno
di
rintracciare,
con
la
mente
e
la
coscienza,
ma
con
l’udito
e
la
vista,
un
frammento
di
storia,
per
recuperare
briciole
di
un
uomo,
tragicamente
scomparso
in
una
tiepida
primavera
greca
piena
di
sole
e
di
insetti,
durante
la
guerra
civile
greca
e
percepire
il
dramma
collettivo
di
un
popolo.
Kanellopoulos,
del
quale
sono
rimaste
solo
poche
paginette
e
qualche
brandello
di
memoria,
preziose
testimonianze
di
una
esistenza
e
di
una
scelta
ideologica,
diventa
simbolo
di
una
ferita
non
rimarginata
e
Silvia
Calamati
strappa
dell’oblio
questa
pagina
della
nostra
storia
sbattendocela
in
faccia.
In
questo
libro,
a
più
strati,
e
a
molte
voci,
emerge
forte
e
decisa
l’esigenza
di
recuperare,
attraverso
anche
le
corde
del
cuore
e
della
commozione,
un
segmento
di
storia
europea
del
Novecento.
Di
quella
stagione
storica
della
Grecia,
di
quel
momento
della
storia
europea,
non
sembra
esserci
memoria
collettiva
in
Italia,
dove
le
competenze
storiche
hanno
via
via
perso
il
loro
prestigio,
e
a
scuola
non
si
hanno
più
né
il
tempo
né
le
capacità
per
discutere
dell’invasione
italiana
della
Grecia
del
1940
e
dell’occupazione
italiana
nell’Egeo.
Nel
patrimonio
minimo
di
conoscenze
storiche
del
secondo
Novecento
poco
o
nulla
riguarda
la
Grecia,
poco
o
nulla
sappiamo
della
guerra
civile
che
ha
insanguinato
il
paese
fino
al
1949,
del
periodo
che
ha
avviato
la
Grecia
del
dopoguerra
alla
sua
progressiva
“europeizzazione”
e
“occidentalizzazione”
(culminato
con
il
colpo
di
stato
del
21
aprile
1967).
Poco
o
nulla
sappiamo
e
capiamo
di
questo
paese
europeo
che,
quasi
improvvisamente,
è
riemerso
dalla
sua
posizione
di
provincia
orientale
dell’Unione
Europea,
divenendo
membro
nell’allora
Comunità
Economica
Europea
nel
1981,
e
poi
in
progressiva
crescita
fino
ai
giochi
olimpici
del
2004,
che
hanno
segnato
la
battuta
di
arresto
di
un
progresso
fittizio
basato
su
valori
non
posseduti.
In
occasione
degli
scontri
di
piazza,
delle
molotov
e
dei
lacrimogeni,
dei
morti
e
dei
feriti
del
2011,
Atene
è
ritornata
sui
nostri
schermi
e
sulla
scena
giornalistica
5
internazionale.
Tutte
le
televisioni
hanno
puntato
sui
fatti
di
piazza
nella
Grecia
schiacciata
dalla
crisi
economica
e
dalle
misure
di
risanamento
imposte
dall’Europa
(e
dalla
Cancelliera
Merkel
in
particolare),
e
in
Italia
–ma
anche
in
altre
parti
del
mondo
occidentale-‐
ci
si
è
accorti
che
non
esiste
solo
la
Grecia
classica
o
quella
delle
vacanze
di
mare
e
di
cultura.
La
Grecia
di
oggi
è
anche
una
costola
(rotta)
dell’Europa
occidentale.
E
nello
stesso
tempo
si
è
percepito
anche
quanto
la
Grecia
costituisca
un
prelibato
“bocconcino”
per
le
mire
espansionistiche
dei
russi
nel
Mediterraneo.
Sono
pochi
giorni
quelli
che
in
questo
libro
riemergono
con
tenerezza
e
dolore,
due
mesi
e
mezzo
della
primavera
del
1949,
le
ultime
settimane
di
Sotiris
Kanellopoulos;
poche
frasi
scritte
in
condizioni
difficilissime
sotto
ogni
punto
di
vista,
mentre
l’insensibile
natura
continua
il
suo
corso,
facendo
splendere
il
sole
sui
giusti
e
sugli
ingiusti.
Migliaia
di
insetti
rosicchiano
le
ferite,
mentre
l’acqua
manca
e
le
farfalle
leggiarde
svolazzano
ignare
di
tutto
e
di
tutti.
Il
sogno
della
democrazia,
della
λαοκρατία
del
potere
popolare,
sembrava
potersi
raggiungere
solo
aderendo
al
mondo
comunista.
Ma
la
Grecia
era
già
stata
assegnata,
d’ufficio
e
a
tavolino,
all’Occidente:
luce
della
civiltà
occidentale,
colonna
di
marmo
bianco
del
giardino
di
Washington,
la
Grecia
era
troppo
preziosa
per
poter
essere
assegnata
all’area
sovietica.
Era
troppo
pericoloso
che
Mosca
potesse
realizzare
l’antico
sogno
di
uno
sbocco
sul
Mediterraneo,
coltivato
con
certosina
attenzione
sin
dai
tempi
di
Pietro
il
grande
e
Caterina
II
di
Russia.
Il
dolore
per
questo
sogno
infranto
ha
fatto
penare
il
poeta
Ghiannis
Ritsos
(1909-‐
1990),
che,
nel
suo
poema
Romyosini,
(parola
intraducibile
che
racchiude
il
senso
dell’essere
greci
in
continuità
con
l’esperienza
di
eredi
dell’impero
romano
d’Oriente,
e
quindi
connessi
con
il
mondo
dell’Europa
orientale
e
ortodossa),
composto
negli
anni
della
guerra
civile
greca,
canta:
Questi
alberi
non
stanno
comodi
sotto
un
cielo
più
piccolo
Queste
pietre
non
stanno
comode
sotto
i
passi
stranieri
Questi
volti
non
stanno
comodi
se
non
al
sole
Questi
cuori
non
stanno
comodi
se
non
nella
giustizia
A
questi
alberi
non
sta
bene
un
cielo
più
piccolo
Queste
pietre
non
tollerano
i
passi
stranieri
Questi
volti
stanno
bene
soltanto
se
al
sole
A
questi
cuori
si
addice
solo
la
giustizia
Da
tanti
anni
tutti
hanno
fame,
tutti
hanno
sete,
tutti
si
uccidono
l’uno
con
l’altro,
assediati
per
mare
e
per
terra;
l’arsura
ha
divorato
i
campi
e
la
salsedine
ha
impregnato
le
case;
il
vento
ha
scardinato
le
porte
e
abbattuto
i
pochi
alberi
di
lillà
nelle
piazze;
dai
buchi
del
cappotto
entra
ed
esce
la
morte.
La
loro
lingua
è
appiccicosa
come
la
bacca
del
cipresso,
i
cani
sono
morti
avvolti
nelle
loro
stesse
ombre
la
pioggia
batte
sulle
ossa.
…
Il
pane
è
finito,
le
pallottole
sono
finite,
adesso
riempiono
i
cannoni
solo
con
i
loro
cuori.
6