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Istituto di alta formazione artistica e musicale

Conservatorio di musica “G. Verdi” di Milano

Tesi di analisi delle forme compositive (cod. COTP01)

Il Terzo Scherzo di Chopin op. 39: contesto della storia della


forma e analisi compositiva e strutturale.

Docente:
Mo. Mario G.W. Calisi

Discente:
Lorenzo Pusterla
Matricola N. 5037

Anno accademico 2018/2019


Indice

1) Lo scherzo: evoluzione di una forma compositiva

2) L’op.39 nel contesto della produzione chopiniana

a) L’opera di Chopin

b) Questioni musicali del decennio 1830-1840

c) Le soluzioni chopiniane e le opere del 1838-1839

3) Analisi dell’op.39

a) Analisi dell’introduzione

b) Analisi del Presto con fuoco

c) Analisi del Meno mosso

d) Analisi della Ripresa e della Coda

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4) Considerazioni sulla forma dell’op.39 e conclusione

5) Bibliografia e sitografia

6) Partitura del Terzo Scherzo in allegato (a cura di Carl Mikuli, ed. Schirmer,
1895, New York)

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Lo scherzo: evoluzione di una forma compositiva

Le origini e lo scherzo nel 1700:

Come anche altri termini italiani, come ad esempio “sonata” o “variazione”, la parola “scherzo” è
stata associata nel corso della storia a diverse forme musicali. I primi "scherzi” , dell’inizio del
1600, erano madrigali strofici, solitamente a tre voci. Il termine non designava tanto una forma
quanto un genere, di carattere vivace e popolaresco e di argomento profano. La prima raccolta
degna di memoria storica di composizioni di questo tipo furono gli Scherzi Musicali del 1607 di
Monteverdi, il quale ne pubblicherà una seconda raccolta nel 1632. Mentre inteso in questo senso
lo scherzo scompare abbastanza presto, il termine rimarrà in musica per indicare il tratto
caratteriale, sia per denominare un brano che, nella forma scherzando e simili, come indicazione
per lo strumentista.

Nella prima metà del 18° secolo scherzo o badinerie indicò un brano strumentale in tempo rapido
e in metro binario. Ne abbiamo esempi in alcune opere di Graupner, Telemann e Bach, il cui
scherzo dalla seconda suite per orchestra è certamente l’esempio più celebre.

Sempre nel 1700 “scherzo” assunse anche il significato rimasto fino ad oggi: un breve brano
strumentale in forma tripartita (ABA) di tempo vivace ma più lento nella sezione centrale, detta
trio. Inteso in questo senso lo scherzo è un’evoluzione del minuetto, una danza ternaria di tempo
moderato, tripartita nella forma e con due temi per ogni sezione. Il minuetto nacque nella regione
di Poitou in Francia e divenne danza di corte durante il regno del Re Sole. Per gran parte del XVIII
secolo fu la danza aristocratica per eccellenza, ma negli ultimi anni di fatto passò di moda (e il suo
declino simboleggia per molti versi quello dell’aristocrazia in generale)1. Haydn aveva inserito il
minuetto nella forma dei suoi quartetti, delle sue sonate e delle sue sinfonie come secondo o terzo
movimento, spesso pensandolo come un momento di distensione per passare dal primo tempo al
cantabile, o dal cantabile al finale. In molti casi Haydn riempie il minuetto di quella vivacità e
quell’acuto umorismo di cui in molti momenti si fa piena la sua musica, che del minuetto

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Nell’ultima scena del primo atto del Don Giovanni di Mozart abbiamo una celebre dimostrazione del ruolo sociale
del minuetto. Don Giovanni ha organizzato una festa a casa sua con nobili e contadini per festeggiare le nozze di
Masetto e Zerlina, che in realtà vuole sedurre. Quando si aprono le danze Mozart fa suonare all’orchestra tre dipi di
danza contemporaneamente, corrispondenti alle diverse posizioni sociali degli invitati: un minuetto in 3/4 per i nobili,
una danza paesana in tempo allegro in 3/8 e in 2/4 una contraddanza, che era l’unico ballo che nobili e contadini
potevano fare insieme e che don Giovanni usa per ballare con Zerlina.

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stravolgono la compostezza originaria. Nei quartetti op.1, 2 , 3, 9 e 17, ancora legati allo stile
galante e al divertimento, e anche nei quartetti op.20 in cui vengono riprese in modo più articolato
la fuga e le pratiche contrappuntistiche, il minuetto è ancora inteso in senso tradizionale. Nei sei
Quartetti Russi op.33, che segnano un punto di svolta per il gioco dialettico, molto più elaborato
e presente in tutte e quattro le voci , come secondo o nel terzo movimento il minuetto è sostituito
di fatto dallo scherzo. Nell’op.33 però la didascalia scherzo però non è fissa (compare nel secondo,
nel quarto, nel quinto e nel sesto), ma può essere sostituita da Scherzando Allegro (nel primo)
Scherzando. Allegretto (nel terzo): questo ci mostra come per Haydn “scherzo” sia ancora
fondamentalmente un’indicazione di carattere, che non implica una forma precisa e che solo
raramente identifica una struttura musicale a sé stante. Nei gruppi di quartetti successivi (op.50,
dedicati a Federico Guglielmo II di Prussia, op. 54, 55, 64 dedicati al dilettante violinista viennese
Tost, op. 71 e 74 dedicati al conte Appony, op. 76 scritti per il conte Erdoedy, op. 77 e l’incompiuto
quartetto in re minore op.103) non troviamo mai il titolo Scherzo al posto del minuetto, ma
soprattutto nelle ultime raccolte (op. 76 e op.77) troviamo dei minuetti molto spinti nel tempo e
con un fraseggio sincopato e di accenti spostati, tutti elementi propri dello scherzo. D’altra parte
anche quando il minuetto è più simile a quello tradizionale più che come danza galante Haydn lo
tratta come momento espressivo, il cui tono si adatta al quartetto di cui il movimento fa parte.

Anche se in Haydn lo scherzo non è ancora ben definito nella forma è a lui che si devono molte
delle sue cifre stilistiche. Per identificarle meglio analizziamo gli incipit degli scherzi dei primi
due quartetti dell’op.33, in cui sono molto meno ambigue che altrove. Nello scherzo del quartetto
n.1 la cellula ritmica da cui scaturisce la prima semifrase, affidata al primo violino, è costituita da
tre semiminime, una staccata in levare e altre in legato a due. Dopo tre ripetizioni viene ripresa in
imitazione dal secondo violino e da viola e violoncello, mentre il primo violino mantiene un pedale
di fa# in un inciso formato da una semiminima in levare, una minima e quattro semiminime. Dal
punto di vista melodico/armonico il tema è un arpeggio ascendente di tonica seguito da un
arpeggio spezzato di dominante, e ha come perno l’alternanza SI/LA#/SI. Nel primo violino il
secondo SI è in battere, mentre nelle imitazioni compare sul terzo quarto: questo crea una leggera
asimmetria ritmica che contribuisce a dare a questo inizio un carattere giocoso, contrapposto
all’intensità del pedale di dominante. L’asimmetria si vede anche nella fraseologia (12 battute
divise secondo le semifrasi in 3+4+5). Nella terza semifrase la scrittura diventa più omoritmica, e
con una forcella in crescendo e uno sforzatosi la frase chiude modulando in re maggiore.

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fig.1: Incipit dello scherzo del op.33 n.1

Nel quartetto n°2 la cellula ritmica iniziale è più simile a quella del Minuetto: due crome in
anacrusi seguite da due semiminime (vedi fig.2). L’inciso anche qui si ripete tre volte per avere
poi come cellula della seconda semifrase una semiminima in levare, una minima e due
semiminime. La frase viene chiusa con uno slancio melodico del violino in crome e una piccola
cadenza. La scrittura è meno polifonica rispetto al 1° Quartetto ma anche qui abbiamo il perno
sensibile tonica nelle crome in levare, che viene successivamente imitato nella seconda semifrase
da appoggiature di nona di dominante del primo violino.

fig.2: uno degli


schemi ritmici del minuetto

fig.3: Incipit dello scherzo del op.33 n.2

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Lo scherzo in Beethoven:

In Beethoven la distinzione tra scherzo e minuetto è ben definita fin dalla prima opera, i tre Trii
op.1: spariscono le diciture Scherzando Allegro e simili e rimane solo “Scherzo”. Nelle prime
opere il minuetto tradizionale non viene ancora del tutto abbandonato, e nei loro scherzi è evidente
l’ispirazione al modello di Haydn, anche nell’uso del fraseggio irregolare e sincopato e
dell’imitazione tipico dei suoi quartetti (per esempio lo scherzo della sonata op.2 n.3 è costruito
su un serrato gioco imitativo). Beethoven da subito dà ai suoi scherzi un tono più intenso, volitivo:
l’idea di danza diventa mano a mano il simbolo dell’uomo che corre verso i propri ideali. In altre
opere Beethoven usa anche un’altra alternativa, la sonata in tre tempi, che esclude sia scherzo che
minuetto. Dopo le prime venti opere pubblicate il minuetto quando viene adoperato non ha niente
a che vedere con il suo carattere originale. Il terzo movimento prima sinfonia op.21 è di fatto uno
scherzo e in alcune opere successive, per esempio nel terzo tempo della sonata per pianoforte op.
31 n.3 nel primo tempo dell’op.54, il minuetto diventa un modo nostalgico e simbolico di guardare
al XVIII secolo come a un glorioso passato.

Per capire le caratteristiche distintive dello scherzo beethoveniano analizziamo brevemente uno
dei suoi massimi esempi, il terzo movimento della terza sinfonia op.55, detta “Eroica”. Questo
scherzo apparentemente non inizia con il primo tema ma con l’accompagnamento degli archi, che
partono in anacrusi. In realtà anche le prime sette battute degli archi fanno parte del tema, che
complessivamente è lungo 14 battute e costituisce una melodia che parte dal quinto grado inferiore
(rispetto al mi ♭ ) con armonia di tonica, sale al quinto grado superiore con armonia di dominante
e ritorna al punto melodico e armonico da cui era partito. Il primo tema è costruito con tre cellule
motiviche, che verranno usate più volte nell'arco del brano: nota di volta superiore sul quinto grado,
quinto grado superiore ribattuto e successione discendente di due minime puntate. Una novità di
Beethoven rispetto ad Haydn, già presente in altre opere, è che il metro di 3/4 è pensato in uno e
non più in tre, cosa che lo differenzia nettamente dal minuetto. Inoltre l'andamento iniziale dei
violini ha un ritmo emiolico, più precisamente un ritmo binario innestato su un ritmo ternario, che
era già comparso nel primo movimento della sinfonia e che assume ora rilevanza tematico-
strutturale.

Tornando alle primissime battute, all'inizio gli archi suonano un ostinato scandito da semiminime
nel registro medio/grave, in armonia di tonica, con pochissimo spostamento melodico (perlopiù

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note di volta) e con indicazione sempre pianissimo e staccato. Il tempo rapido, l’omogeneità
dell’armonia e dell’ostinato contrapposta alla ritmo incalzante e il timbro scuro degli archi nel
registro medio e contrapposto alla palpitazione dello staccato contribuiscono a dare l’impressione
di un moto perpetuo e di un’immensa forza tenuta in ombra, pronta in ogni momento ad avventarsi
sull’ascoltatore. Dopo quattro battute nella tonica di mi bemolle maggiore gli archi in due battute
virano verso la dominante con un moto contrario tra i primi violini e i violoncelli, cromatico nei
primi violini: quando entrambi arrivano al quinto grado inizia il tema vero e proprio, suonato da
oboe e primi violini all’unisono. Nel frattempo il resto degli archi continua l’ostinato, creando un
effetto di moto perpetuo che sospinge continuamente il ritmo di danza, il cui slancio vitale
prosegue per tutto il movimento. La linea del basso suonata dai violoncelli inoltre si muove molto
rapidamente di grado e di salto, contribuendo a dare il senso del movimento. Il tema viene ripetuto
un tono sopra, in fa maggiore, poi viene sviluppata in modo imitativo la terza cellula del tema.
L'imitazione si conclude in sol minore (dominante della relativa minore di mib maggiore) e si
collega a un'ulteriore comparsa del tema tramite un passaggio cadenzale basato sul primo motivo.
Il tema a questo punto viene ripetuto due volte nella tonalità d'impianto. Alla seconda di queste
tutta l’orchestra esplode improvvisamente, liberando quella potenza che l’incipit lasciava
intendere: Si passa da archi in pianissimo e fiati in piano al tutti orchestrale in fortissimo, e con un
crescendo di archi e fiati di una sola battuta! Appena dopo il fortissimo gli strumenti bassi e quelli
alti dell'orchestra hanno un canone basato sulla terza cellula motivica: l'entrata nei vari registri
viene evidenziata con uno sforzato. Seguono un episodio di transizione e un'ultimo passaggio
cadenzali basato sul primo motivo del tema. Nel Trio, che offre un momento di distensione,
Beethoven crea un effetto di richiamo tra i corni e gli oboi sostenuti dei violini. La ripresa è uguale
all'esposizione, salvo per un brusco cambio di metro nell'ultima transizione (in cui il metro binario
prevale per poche battute su quello ternario). La coda è un grande crescendo conclusivo, in cui il
senso di potenza inespressa e il ritmo emiolico passano ai timpani, che con un ostinato anticipano
il tutti delle ultime battute.

Complessivamente nelle sinfonie di Beethoven lo scherzo più che un elemento di distensione e di


contrasto con i movimenti circostanti è un momento di mediazione e di preparazione al finale. In
questo caso dissolve poco a poco i sentimenti tragici della marcia funebre del secondo movimento
e prepara alla vitalità del tema con variazioni del quarto. Dal punto di vista formale lo schema
ABA ereditato dal minuetto viene preservato, ma Beethoven ampia le proporzioni e concepisce

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una struttura più complessa e interconnessa, servendosi in particolare dei principi di sviluppo e di
elaborazione tematica tipici della forma sonata. Nel suo terzo periodo poi Beethoven applica anche
allo scherzo l'utilizzo delle forme barocche e del contrappunto in stile antico. Di questo l'esempio
più celebre è lo scherzo della nona sinfonia, che fra l'altro riprende alcune idee da quello della
terza. Nel secondo movimento della nona però la sola prima parte è un'intera forma-sonata, che
inizia con un fugato. Al senso di forza vitale e dionisiaca dello scherzo della terza lo scherzo della
nona risponde con la forza della legge, attraverso un moto contrappuntistico solidissimo e
fortemente direzionato nel ritmo. Un' altra peculiarità dello scherzo della nona è il metro di 6/8,
che rende ancora più evidente la dicotomia tra tempo binario e tempo ternario che Beethoven eleva
a parte integrante del dramma.

fig. 4: estratti dallo scherzo della terza sinfonia

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Da Beethoven al 900’:

La forma dello scherzo come definita da Beethoven nel corso della sua produzione diventa un
modello per tutti i compositori successivi, in particolare per quelli del 18esimo secolo, nelle
sinfonie come nella sonata e nella musica da camera. Mentre la forma dello scherzo come
movimento in brani in quattro tempi cambia relativamente poco, il suo spirito raramente è pieno
di quella positività idealistica beethoveniana, tanto meno dell'umorismo di Haydn. In generale si
potrebbe dire che lo scherzo segue l'incupimento della musica del XIX secolo e della sua arte in
generale, che abbandona in larghissima parte il registro comico (di questo è un altro grande segnale
nel mondo della musica la scomparsa dell'opera comica dopo Rossini, che prima del Falstaff di
Verdi vede i suoi ultimi esemplari nell'Elisir d'Amore e nel don Pasquale di Donizetti,
rispettivamente del 1832 e del 1843, che peraltro hanno in loro un fondo molto malinconico, quasi
lacrimevole). Fatta questa premessa, il carattere e la funzione espressiva dello scherzo, e
conseguentemente il linguaggio musicale, variano molto da autore ad autore. Riassumiamo molto
brevemente lo stile di alcuni di loro nei prossimi paragrafi.

Mendelssohn scrive scherzi in 2/4 invece che in tempo ternario, spesso però sono in ritmo
emiolico, riprendendo Beethoven, o hanno un fraseggio e una disposizione di accenti irregolari,
ripreso da Haydn. Spesso hanno un carattere etereo e notturno, in cui di Mendelssohn emerge
molto il tratto romantico, che rimanda allo Shakespeare del Sogno di una Notte di mezza Estate.
Tra i vari esempi citiamo lo Scherzo del Sommernachtstraum e quello dell’Ottetto per archi op.20.
Anche Berlioz scrive in modo simile ne “Mab, regina delle fate”, dal Roméo et Juliette.
Tchaikovskij scrive uno scherzo per ognuna delle sei Sinfonie, e usa perlopiù toni delicati, in
commistione con un’atmosfera popolare tipicamente russa. Brahms infine nella sua titanica sintesi
di romanticismo e stile viennese concepisce gli scherzi della prima e della terza sinfonia
sostanzialmente come intermezzi, ambigui nella forma e pieni di sentimento, mentre quello della
seconda è di carattere pastorale, in linea con la sesta di Beethoven, e quello della quarta è esso
stesso una forma sonata completa, come il secondo mov. della 9° di Beethoven.

Nella seconda metà del 19° sec. in diversi autori sinfonici lo scherzo si riempie da una parte di
malinconica decadente, dall’altro di toni più sarcastici, di danza demoniaca e sardonica. Questi
mondi sonori prima inesplorati in questo genere emergono in modo evidente nei capolavori di
Bruckner e di Mahler. D’altra parte la tradizione romantica dello scherzo come brano a sé stante

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confluisce nello sketch sinfonico impressionistico e tardo-romantico, il cui esempio più noto è il
poema sinfonico L'apprenti sorcier di Paul Dukas.

Anche per lo scherzo Shostakovich attinge a piene mani dallo stile e dalla poetica delle sinfonie di
Mahler, che reinterpreta da cittadino dell’Urss utilizzando spesso sonorità marziali e violente,
ispirate dallo stile dei compositori sovietici a lui contemporanei, dal mondo della guerra e del clima
di terrore delle purghe staliniane. Gran parte degli altri autori di Sinfonie del Novecento
(Prokofiev, Schonberg, Stravinskij, Schnittke, Lutosławski, solo per citarne alcuni) nei confronti
della forma della sonata e della sinfonia, e quindi in particolare dello scherzo, o si rifanno a un
neoclassicismo formale, ma stravolto da linguaggio totalmente nuovo, oppure cambiano le
architetture sinfoniche a tal punto che lo scherzo non è più presente o non è più riconoscibile nel
suo significato tradizionale.

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L’op.39 nel contesto della produzione chopiniana

Lo Scherzo op. 3 in do♯ minore op. 39 venne concluso da Chopin nel 1839, durante la permanenza
sull'isola di Maiorca con George Sand. Al fine di collocare correttamente quest'opera nell'arco
della sua produzione ne esponiamo un rapido sunto delle tappe fondamentali, di certo non
esaustivo ma utile allo scopo.

L'opera di Chopin:

Nelle opere entro il 1830 lo stile pianistico di Chopin da una parte ha per modello quello leggero
e brillante dei pianisti-compositori Biedermeier, dall'altra la sua musica mostra i segni di una
ricerca sia compositiva sia di tecnica pianistica, che raggiunge il suo primo vertice nella prima
raccolta di studi op. 10. Con l'arrivo a Parigi nascono altre opere di grande sperimentazione, in cui
Chopin ripensa la grande forma per pianoforte creando dei modelli alternativi al classicismo:
inventa la ballata per pianoforte solo (la prima è la celebre op. 23) e ripensa in modo radicale lo
scherzo e la polacca, che dà forma di danza diventano poema danzato (i primi esempi sono
rispettivamente l'op. 20 e l'op. 26). Il 1835 segna il distacco di Chopin dalla vita concertistica,
dominata in quel periodo da Liszt e Thalberg. Da questo momento il maggior sostegno economico
di Chopin sarà l'impartizione di lezioni private. Le opere degli anni 1835-1837 contengono lavori
di eufonia e lucentezza insuperate, come il notturno op. 27 n 2, il secondo scherzo op. 31 e i valzer
op. 34. Il terzo scherzo appartiene al periodo immediatamente successivo, corrispondente al 1838-
1839, in cui Chopin scrive anche la seconda sonata op. 35, il secondo improvviso op. 36, I due
notturni op. 37, la seconda ballata op. 38, le due polacche op.40 e le quattro mazurke op.41,
completando inoltre i preludi op. 28, iniziati nel 1836. Sono opere di densità straordinaria, in cui
convivono un virtuosismo potente, l'utilizzo di nuove soluzioni timbriche sul pianoforte e una
ricerca formale e armonico-compositiva di assoluta avanguardia. Niente di destinato quindi al
mondo dei dilettanti, contrariamente ad alcune opere precedenti, né alla borghesia in generale, da
cui Chopin in questi anni prende particolarmente le distanze, anche per l'influenza di George Sand
e dei circoli culturali da lei frequentati. Lo strappo con il mondo borghese viene ricucito
definitivamente con un concerto alla Sala Pleyel il 26 aprile 1841, ma da dopo il 1839 si entra in
un'altra fase dell'opera di Chopin, che si evolverà in una maturità conclusiva. In essa Chopin arriva
a una sintesi del suo lavoro sulla grande forma, scrivendo la terza ballata op. 47, la fantasia op. 49,
che dal punto di vista formale unisce lo scherzo e la ballata, con influenze del grand opéra di

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Meyerbeer (in particolare gli Ugonotti, del 1836), e la quarta ballata op. 52, massimo esempio
dell'uso del contrappunto in funzione al suono del pianoforte; inoltre sperimenta ulteriori soluzioni
timbriche in opere come il preludio op. 45, il quarto scherzo op. 54 e la berceuse op. 57. Entrambe
queste ultime acquisizioni raggiungono il loro massimo sviluppo nella polacca-fantasia op. 61,
ultimo grande apice della produzione chopiniana.

Come si vede anche dalla breve presentazione, Chopin scrive il terzo scherzo op.39 in uno dei
periodi più densi della sua vita, che vede nascere in poco tempo molti capolavori. Nel corso di
questi due anni di intenso lavoro Chopin inizia nel giugno 1838 la tumultuosa relazione
sentimentale con George Sand, con la quale parte per Palma di Maiorca nel novembre dello stesso
anno. Più che una fuga amorosa il viaggio per l’isola spagnola è per riprendersi dall’affezione
tubercolare che i medici gli hanno appena diagnosticato. Da metà del viaggio i due si trasferiscono
nell’Abbazia di Valdemosa: è durante questo soggiorno, nonostante Chopin nelle sue lettere dica
di annoiarsi molto e parla di una cattiva condizione fisica, che molte delle opere sopra citate
vengono portate a termine. In generale nel biennio 1838-1839 Chopin si lancia con nuovo vigore
nella composizione impegnata, affrontando problemi cruciali per gli altri compositori della sua
generazione, in primis Mendelssohn e Schumann. Tra le sfide compositive del decennio 1830-
1840 due in particolare interessano Chopin, fondamentali per l’evoluzione della musica pianistica:
la costruzione di grandi forme che siano adatte ad esprimere i valori estetici e culturali del
romanticismo e la riappropriazione del contrappunto all'interno del suo linguaggio musicale. Per
capire a fondo il terzo scherzo e la sua rilevanza storica dunque dobbiamo partire dalla nascita e
dallo sviluppo storico di questi problemi, ai quali dedichiamo il prossimo capitolo.

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La crisi della sonata e la riconquista del contrappunto

Una società in cambiamento:

La definizione della struttura tipo della sonata fu una delle grandi conquiste della classicità
viennese e garantì la popolarità del genere per più di tre decenni; negli anni della restaurazione
(1815-1830) la sua diffusione invece ebbe un notevole calo, dato in parte da alcune grandi novità
che attraversarono il mondo musicale in quegli anni. Infatti il ceto borghese, che dopo la
rivoluzione francese ascese rapidamente in tutta Europa divenne un grande destinatario di musica,
per cui i musicisti tesero ad adattare buona parte delle loro opere alle sue esigenze e cambiarono
radicalmente il loro rapporto con il pubblico. Mentre tutta la storia moderna fino ad allora la grande
musica strumentale era stata destinata alla fruizione di un elité molto ristretta e culturalmente
elevata, in questi anni nasce appunto il pubblico nei termini in cui lo conosciamo oggi: massificato,
pagante e affamato di spettacolo. Un altro fattore determinante fu lo sviluppo tecnico e la
diffusione capillare del pianoforte, che divenne un vero e proprio simbolo del fare musica nel
mondo borghese e contribuì moltissimo alla nascita del concerto pubblico. Fu proprio grazie agli
introiti dell'esecuzione pubblica e dell'insegnamento ai dilettanti borghesi che si compì a fondo
l'emancipazione sociale del musicista tanto agognata da Mozart in poi.

Lo stile della musica di quegli anni è figlia di questo rapporto proficuo e positivo del musicista
con la società ed è improntato a un virtuosismo brillante e teatrale, progettato per stupire, al quale
ci si riferisce spesso con il termine Biedermeier. In questo senso vennero ripensate diverse forme,
tra cui il concerto per pianoforte e orchestra, le variazioni ed il rondò, mentre la sonata per
pianoforte, che già da Beethoven non veniva destinata al pubblico ma al concerto privato e agli
intenditori, cadde in un relativo disuso e quando se ne fece uso fu spesso adattata alla sensibilità
di quegli anni, passando da brano musicalmente impegnato e di ricerca stilistica a una delle molte
vesti del pezzo da concerto2.

La sonata e i primi romantici :

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Chiaramente ci furono delle eccezioni in cui la sonata rimane sperimentazione del linguaggio e delle forme, come le
sonate di Weber, pioneristiche e pienamente romantiche, e altri esempi isolati di altri autori, tra cui l’op.44, L’Addio
op.64 e Plus ultra op.77 di Dussek, la Sonate Mélancolique op.49 di Moscheles e la sonata op.20 di Vorišek.

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Come abbiamo detto parlando di Chopin negli anni successivi i moti del 1830 questo stile è ormai
superato e lascia spazio all'esplosione di novità della prima generazione di compositori romantici,
in uno slancio che segue i fremiti liberali e rivoluzionari della società europea fino ai moti del
1848. Tra i loro rappresentanti spiccano tre pianisti compositori nati intorno al 1810, ossia
Mendelssohn, Schumann e Chopin. Fino al 1830 ognuno di loro sente l'influenza del Biedermeier,
che anche a seconda della loro maggiore o minore precocità occupa una parte più o meno
consistente della loro produzione: quindi una buona parte dell'opera di Mendelssohn, qualche
lavoro rilevante di Chopin e pochissimo di Schumann; successivamente evolvono il loro stile con
una ricerca molto personale, nell' individualismo tipico della concezione romantica dell'arte.
Comune e imprescindibile è la priorità data alla ricerca musicale, alla composizione di forte
impegno artistico, profondamente innovatrice e lontana negli scopi dal virtuosismo Biedermeier.
Per realizzare queste ambizioni è indispensabile a questi tre compositori dotarsi di impianti formali
ampi e plastici: a questo riguardo soprattutto per Schumann e Mendelssohn è inevitabile il
confronto con le grandi acquisizioni formali dell'ultimo classicismo e con alcuni dei molti punti
lasciati irrisolti dopo la sua fine. Anche se l'oggetto di studio della nostra tesi è una grande forma
di Chopin, che non appartenendo alla cultura tedesca non si pone in diretta continuità con questo
discorso, riteniamo che parlare dello sviluppo di una grande forma per pianoforte solo nella prima
parte dell'ottocento senza avere coscienza dell'eredità di Beethoven e di Schubert corra il grave
rischio di non essere abbastanza contestualizzato, il che limiterebbe la prospettiva storica delle
nostre considerazioni e la profondità della nostra analisi: dunque ripercorriamo brevemente il loro
trattamento della forma nella produzione pianistica.

Excursus: l'eredità di Beethoven e di Schubert

La sonata per pianoforte accompagna l'intero itinerario artistico di Beethoven e da architettura


simbolo del razionalismo settecentesco diventa un immenso laboratorio, che ci mostra i passi della
sua profonda rielaborazione del linguaggio musicale. Ciò rende la sonata un punto di osservazione
rivilegiato anche del percorso suo ideologico e spirituale, che consiste nella maturazione dei valori
dell'illuminismo e della rivoluzione francese per arrivare a un nuovo individualismo e una
fortissima fede idealistica, che negli ultimi anni si astrae dalla società presente nella speculazione
musicale assoluta, affermando valori la cui validità, non realizzata nella storia, viene sancita come
eterna ed universale.

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In questo processo Beethoven tratta la forma con una libertà sempre maggiore, rompendo i delicati
equilibri dialettici su cui la sonata dei suoi predecessori si basava. Nelle prime sonate alterna l'uso
dei quattro movimenti a soluzioni finalizzate a rendere la sonata più unitaria, alcune delle quali
cambiano la successione dei movimenti tradizionale (per esempio nella sonata op. 26 e nelle due
op. 27) e dal punto di vista dialettico o esaspera i contrasti o li appiana totalmente assumendo un
tono più lirico e narrativo. A partire dalle tre sonate op. 31, che segnano l'inizio del secondo periodo
della sua produzione, a una grandissima vitalità e a un eroismo prometeico nei toni e a un
sfruttamento sempre più capillare delle relazioni motiviche tra i temi e della sezione di sviluppo,
corrisponde la tendenza a restringere il movimento lento centrale e a proiettare il primo e l’ultimo
a dimensioni monumentali (in questo Beethoven prende spesso come modello la sonata a due
movimenti tipica del primo classicismo). Dopo la realizzazione dell' op. 53 e dell'op. 57, che hanno
un respiro sinfonico evidente e il carattere plastico dell'eroica, Beethoven interrompe per un
periodo la composizione di sonate, per lasciare spazio alla sinfonia (scrive la 5a, la 6a e la 7a), al
concerto per solista e orchestra (per violino op. 61 e il quarto e il quinto per pianoforte), alla musica
da camera (trii, sonate per violoncello e i quartetto Razumowsky) e alla sua unica opera, il Fidelio.
Qualche anno dopo ritorna alla sonata con tre opere di carattere più amabile e di tratto borghese
(op.78, 79, 81a), ma riprenderà appieno, a partire dall’op.90, solo dopo un'altra pausa, in cui
nascono la 7a e l'8a sinfonia, il trio Arciduca, la sonata per violino e pianoforte op. 96. Nelle ultime
5 sonate (op. 101, op. 106, op. 109, op. 110 e op. 111) Beethoven attua la fusione tra le potenzialità
drammatiche dell'impianto sonatistico e la ricchezza di linguaggio delle forme dell'epoca barocca,
prime tra tutte la fuga, che diventa ultimo movimento nell'op. 101, nell'op. 106, nell'op. 110 e
compare in episodi di fugato, e il tema con variazioni, ultimo movimento dell'op. 109 e dell'op.
111. Dopo l'op. 106, che raggiunge la più grande esasperazione possibile nella costruzione formale,
nelle ultime tre sonate la forma è trattata come un contenitore, che viene assunto liberamente e
viene totalmente subordinato all'unità espressiva, sia nei passaggi di puro fascino timbrico e di
spazializzazione del suono che nel contrappunto più rigoroso ed impellente.

Beethoven era pienamente consapevole che le novità sconvolgenti delle sue ultime sonate
sarebbero rimaste a lungo incomprese, infatti si può parlare di una loro assimilazione solo tra la
fine dell'800' e l'inizio del 900'. Tuttavia resta chiaro anche ai contemporanei che le sonate di
Beethoven hanno segnato un punto di non ritorno, per cui non si può più riprendere un equilibrio
formale che è già stato dimostrato essere inadatto al presente e minato irreparabilmente. D'altra

16
parte il percorso beethoveniano ha ancora molti punti oscuri, e mettersi in continuità diretta con il
suo messaggio è un'impresa monumentale che solo Brahms tenterà, indirizzato da Schumann,
molti anni dopo.

Se Beethoven si fa eroico interprete in musica di un gigantesco cambiamento d'epoca, Schubert


appartenendo alla generazione successiva assume la rottura col passato come già consumata, ma
rifiuta lo stile dei primi concertisti mantenendo le proprie radici saldamente ancorate alla civiltà
del classicismo viennese3. Nella società della Restaurazione illiberale e borghese Schubert si sente
profondamente inattuale: questo smarrimento oltre che nell'immensa produzione liederistica si
riversa in un'impostazione totalmente nuova della drammaturgia sonatistica, alternativa a quella
prometeica di Beethoven. Nelle sue sonate, 23 tra complete e incomplete, il contrasto dialettico tra
primo e secondo tema viene sistematicamente negato: spesso entrambi discendono da una cellula
comune oppure scaturiscono l'uno dall'altro, secondo un principio di variazione continua
finalizzata al lirismo e alla narrazione piuttosto che alla soluzione di un dramma. In questo senso
anche lo sviluppo, che in Beethoven è fortemente direzionato, diventa una peregrinazione senza
meta che sospende la percezione del tempo reale e trasporta nella dimensione del sogno, del
Traumerei romantico.

Contemporaneamente allo sfruttamento della sonata fino all'esaurimento delle sue estreme
possibilità sia Beethoven che Schubert in modi diversi elaborarono per la grande forma pianistica
una soluzione alternativa che si rivelerà fondamentale per i compositori romantici, ossia il ciclo,
la raccolta di piccoli pezzi unitari o nella forma o per la presenza di un tema comune. Beethoven
eleva il genere del tema con variazioni da brano di maniera destinato al consumo dei dilettanti a
strumento di sintesi tra il mondo musicale classico e quello barocco e bachiano, in un percorso che
inizia con le variazioni op. 34 e op. 35, passa per le 32 variazioni in do minore e arriva alle Diabelli
attraverso l'uso della stessa forma negli ultimi movimenti dell'op. 109 e dell'op. 111. Inoltre sceglie
di pubblicare tre raccolte di bagatelle con il numero d'opera (op. 33, op. 119 e op. 126), fatto che
da solo ci dice che Beethoven le reputa tra le opere degne di essere ricordate; di queste la terza è

3
Riportiamo a tal proposito il contenuto di una lettera che Schubert scrisse alla sua famiglia il 25 luglio 1825, durante
un viaggio in Bassa Austria con il cantante Michael Vogl: «Piacquero specialmente le variazioni della mia nuova
sonata a due mani [il secondo movimento della Sonata in la minore op.42], che eseguii da solo, e non senza merito.
Alcune persone mi assicurarono che i tasti diventavano voci cantanti sotto le mie dita, fatto che, se vero, mi fa molto
piacere perché non posso sopportare il maledetto martellamento a cui indulgono anche distinti pianisti e che non diletta
né l’orecchio né la mente».

17
annotata a margine dall'autore come Ciclus von Kleinigkeiten (lett. "Ciclo di bazzecole").
L'attributo di ciclo e la rete tonale tra i singoli pezzi, distanziati da un'intervallo di terza discendente
(insolito ma sperimentato da Beethoven anche nell'impianto tonale dell'Eroica e della Waldstein),
ci portano a considerare le bagatelle l'op. 126 non come un'assortimento ma come un'unico brano
organizzato in frammenti. Questa novità assume tanta più importanza e valore profetico
osservando che stiamo parlando dell'ultima opera che Beethoven destina al pianoforte.

Con il Biedermeier anche la variazione diventa un genere più di spettacolo e virtuosismo che di
impegno e in questa veste gode di grande successo. Abbiamo visto che nelle sonate di Schubert
invece il principio della variazione diventa uno strumento per evitare il contrasto dialettico: dunque
la stessa tecnica che era servita a comunicare alla società contenuti banali diventa negazione di un
dialogo e quindi perdita di socialità. Questa idea viene portata al massimo grado di
sperimentazione nella Fantasia Wanderer, che utilizza l'impianto formale della sonata ma facendo
derivare i temi di tutti i movimenti da un unico materiale di base (una parte del Lied Der
Wanderer).

Anche il ciclo di pezzi brevi, che aveva avuto larga diffusione con destinazione ai dilettanti,
diventa per Schubert occasione di ricerca formale, in particolare negli improvvisi, nei momenti
musicali e nelle danze. Le due raccolte di improvvisi op. 90 e op. 142 sono costituite da quattro
brani ciascuna, assolutamente ed autonomi dal punto di vista espressivo e compiuti in loro stessi e
al tempo stesso disposti in un'alternanza nei tempi e secondo una rete tonale tipica della sonata. I
sei momenti musicali op. 94 e alcune raccolte di danze (i trentasei valzer d 365 e i valzer
sentimentali) invece sono da considerare un'opera unitaria in virtù delle tonalità organizzate
secondo rapporti di terza e nei valzer perché distribuiti all’interno del ciclo in sezioni che seguono
le proporzioni matematiche della sezione aurea.

Al discorso sul ciclo fanno ovviamente da contraltare i grandi cicli di Lieder, in cui l'unità è data
dal testo: An die Ferne Geliebte per Beethoven e i fondamentali Die schöne Mullerin e Winterreise
per Schubert, oltre alle 2 raccolte incompiute pubblicate postume come Schwanengesang.

La sonata e i primi romantici (bis) :

Tornando al periodo storico da cui siamo partiti, possiamo ora dire con coscienza che nel terzo
decennio del XIX secolo Schumann, Chopin e Mendelssohn hanno due modelli a partire dai quali

18
comporre una grande forma, la sonata e il ciclo. Scrivere una sonata (tralasciando l’adattamento a
pezzo da concerto del Biedermeier) significa mettersi in relazione con una storia gloriosa, che è
un tesoro e allo stesso tempo rende arduo pensare a delle soluzioni alternative. Scrivere un ciclo
invece significa seguire una strada più nuova e avveniristica, che sposa felicemente la poetica del
frammento teorizzata nel romanticismo fin dai suoi primissimi anni4, ma necessita di modi nuovi
di dare unità e coerenza formale.

Il contrappunto:

Finora abbiamo parlato per i romantici di un cambiamento nel trattamento della forma, ma
altrettanto importante è l'innovazione del linguaggio musicale: tra i suoi vari aspetti riteniamo
particolarmente interessante e funzionale al nostro studio la concezione del contrappunto di questi
anni. Schumann, Mendelssohn e Chopin furono in modi diversi tre grandi contrappuntisti che
ebbero nello studio di Bach il centro della loro formazione artistica. Mendelssohn poi, com'è noto,
a vent'anni nel 1827 diresse un'esecuzione della Passione secondo Matteo che ebbe un profondo
impatto nella rivalutazione di Bach, come capostipite della grande musica tedesca e figura chiave
per l'affermazione della tonalità. Anche Schumann fu un grande propugnatore della musica di
Bach, specie attraverso la sua attività di critico musicale, e studiò minuziosamente il Clavicembalo
ben temperato, che considerava il “pane quotidiano” per la formazione di un musicista5. Inoltre
per tutto il decennio 1840-1850 si dedicò assiduamente allo studio del contrappunto, che utilizzò
ampiamente tra le altre opere nelle sue sinfonie e nei brani per organo (gli Studien für den
Pedalflügel op.56, i Quattro schizzi per organo op.58 e le Sei Fughe sul nome di Bach per organo
op.606). Schumann non trascura il contrappunto neanche nella prima parte della produzione, in cui
il pianoforte solo ha una netta preponderanza sulle opere per altri organici, ma il trattamento della
linea melodica in Schumann in quel periodo è poco ortodosso e molto discontinuo. D’altra parte
la sua concezione personalissima della polifonia, che non abbandonerà mai del tutto, sarà

4
«La poesia romantica è ancora in fieri; anzi, è la sua vera essenza che può sempre solo divenire, mai essere
compiuta». «Frammenti [...] sarebbero la vera forma della filosofia universale. La forma non conta». Così scrisse sul
secondo numero della rivista «Athenäum» nel 1798 il critico Friedrich Schlegel. Gli fa eco Novalis, coetaneo di
Schlegel e collaboratore nella stessa rivista: «Liriche - semplicemente armoniose e piene di belle parole - ma anche
senza senso o nesso - solo alcune strofe intelligibili - devono essere solamente frammenti delle più svariate entità».
5
“Sia il Clavicembalo ben temperato il vostro pane quotidiano” (Regole di vita musicale, 1845)
6
In realtà l’op.56 è scritta per pedal piano o piano-pédalier, un pianoforte con pedaliera poco diffuso ma caro ad alcuni
compositori tra cui Mozart, Schumann, Alkan e Poulenc. Recentemente è stato da alcuni pianisti ed organisti, tra cui
l’italiano Roberto Prosseda.

19
determinante per lo sviluppo del contrappunto dei compositori successivi7. Anche Chopin crebbe
nello studio appassionato del Clavicembalo ben temperato, che considerava il "non plus ultra" e
che inserì tra le opere da far studiare a tutti i suoi studenti. Ed è proprio dai suoi studenti che
abbiamo molte testimonianze della sua profonda ammirazione per il Thomaskantor. Inoltre durante
il celebre viaggio a Maiorca con la Sand, che come abbiamo già detto vide venire alla luce anche
il terzo scherzo, l’unica partitura che porto con sé fu proprio il Clavicembalo ben Temperato.

L’influenza di Bach sui compositori romantici dunque fu trasversale; tuttavia l’esperienza


dell’ascolto della musica romantica apparentemente dice il contrario. Infatti in molte opere di
Schumann, Chopin e spesso il pensiero polifonico è evidente, ma è allo stesso tempo molto
irregolare, con un continuo sdoppiamento o restringimento del numero delle voci, per cui alcune
linee di controcanto sembrano apparire o svanire dalle figure di accompagnamento. Di contro in
una fuga di Bach è fondamentale che tutte le voci restino indipendenti e siano entità musicalmente
autonome, oltre che pensate per l’incastro contrappuntistico. In che senso allora dai romantici
viene coerentemente perseguito l’ideale polifonico bachiano a cui dicono continuamente di
ispirarsi viene?

Per rispondere a questa domanda bisogna tenere in conto che i compositori romantici inizialmente
conobbero Bach soprattutto studiandolo al pianoforte durante la loro formazione pianistica, e
quindi la loro concezione della polifonia e del contrappunto fu condizionata in modo determinante
dal suono di Bach sul pianoforte moderno. «Una delle differenze principali rispetto all’esecuzione
al clavicembalo era, ed è tutt’oggi, che fin da subito la stragrande maggioranza dei pianisti nella
propria interpretazione ha voluto rendere più chiara al pubblico la struttura della fuga, suonando
con una leggera enfasi le entrate del soggetto8, cosa impossibile con gli strumenti precedenti.
Mentre sulla carta una fuga è un agglomerato di voci indipendenti, all’esperienza dell’ascolto è
ben altra cosa. Suonata su un qualsiasi strumento a tastiera in una fuga per gran parte del tempo
l’orecchio percepisce risaltare una e poi l’altra voce, non sempre in corrispondenza del soggetto.
Man mano che il discorso si concentra su una parte del testo piuttosto che un’altra, siamo consci

7
Per chi fosse interessato questo argomento viene trattato in modo più specifico nel capitolo IX del manuale di
contrappunto del De la Motte (Il contrappunto. Un libro di studio e di lettura, Milano, Ricordi, 1991).
8
In una lettera del 1840 Clara Schumann ci conferma che questo uso era stato adottato anche da suo marito: “Abbiamo
iniziato con le fughe di Bach [del Clavicembalo ben temperato, ndr]; Robert evidenzia quei passi dove il tema ritorna
sempre – studiare queste fughe è molto interessante e mi dà ogni giorno sempre più soddisfazione.” (The Letters Of
Robert Schumann, Selected And Edited by Dr. Karl Storck , Library of Wellesley College, 1907)

20
di una voce che emerge e di un’altra che ritorna nell’armonia generale delle altre. Questo è
particolarmente vero nelle fughe di Bach, soprattutto in quelle del Clavicembalo ben temperato.
Mentre nelle fughe di Mozart e di Beethoven siamo molto spesso costretti a percepire l’azione
indipendente e continua di più voci contemporaneamente, in quelle di Bach esse si mescolano
all’armonia generale più facilmente, con meno opposizioni e contrasti. La sonorità di base può
cambiare molto poco in Bach, ma siamo più consapevoli delle delicate alterazioni dell’armonia e
del colore, perché la nostra attenzione viene attirata successivamente a dettagli diversi in una voce
dopo l’altra. Questa caratteristica è inevitabile in ogni esecuzione su tastiera ma sul pianoforte
balza all’occhio con grande chiarezza, e fu molto importante per i compositori romantici e per
Chopin in particolare.»9

Quello che Chopin e gli altri romantici riproducono del contrappunto bachiano dunque non è la
sua struttura astratta ma innanzitutto la sua esperienza uditiva. Anche il passo più ambiguo o la
relazione polifonica più sottile è pesata per l’ascoltatore, diversamente dalla musica di Bach in cui
l’unico che è davvero in grado di percepire tutto è il musicista, nella veste dell’interprete che sente
l’intreccio sonoro sotto le dita o dello studioso della partitura, che sviscera tutte le relazioni tra le
voci. Chopin nella sua maturità scrive portando al massimo del suo tempo questa idea di
indipendenza parziale e funzionale all’ascolto, che rispetto agli altri compositori romantici è
raggiunta in modo molto meno arbitrario, tanto che estraendo le singole parti da un passaggio di
Chopin vi si trova una consistenza melodica introvabile in ogni altro autore dello stesso periodo.
Per questo il Rosen definisce Chopin “il più grande contrappuntista dopo Mozart, e senza dubbio
il migliore della sua generazione”10. Fu la lezione del contrappunto che permise a Chopin di far
convivere nella sua musica le tre grandi influenze estetiche: l’opera italiana, la musica popolare
polacca e Bach. Anche di questo discuteremo ampiamente in seguito.

Le soluzioni chopiniane e le opere del 1838-1839

Come abbiamo già accennato, Chopin non proviene dalla cultura tedesca: la sua formazione
avviene in una società, quella polacca, musicalmente provinciale e avulsa di gran parte delle

9
cit. da Rosen, The Romantic Generation (Harvard University Press, 1998), Chapter Five "Chopin I: Counterpoint
and the Narrative forms", Italian opera and J.S.Bach, pg. 355.
10
op.cit., pg. 284-285

21
straordinarie innovazioni di Beethoven e Schubert e dominata nei teatri e nelle sale da concerto
dall'opera italiana e dall'accademismo brillante. Le opere scritte ed eseguite durante il soggiorno a
Vienna nel 1830 guardano al Biedermeier in un momento in cui iniziava già ad essere sorpassato,
il che giustifica perché furono sostanzialmente un fiasco, che spinse Chopin a stabilirsi a Parigi e
lo stimolò a trovare forme pianistiche alternative in cui riversare il suo genio. Per quanto riguarda
la grande forma i primi raggiungimenti fortemente innovativi sono il primo scherzo e la prima
ballata, che tracciano due diverse strade. Da una parte nell'op. 20 lo scherzo con trio, che non era
mai stato pubblicato come composizione di ampie dimensioni per pianoforte solo ma sempre
all'interno di sonate e sinfonie11, viene trasformato in una forma ABA+coda basata sul fortissimo
contrasto tra le due sezioni, che a diversamente dallo scherzo tradizionale sono poste una dopo
l'altra senza separazione. Dall'altra con l'op. 23, che costò a Chopin quattro anni di lavoro, nasce
una forma nuova e interamente romantica, la ballata per pianoforte, su cui lavoreranno in seguito
anche Liszt e Brahms12. In origine la ballata era una forma poetica medievale formata da un metro
arcaico e pensato per la danza e da strofe di carattere narrativo inframezzate da un ritornello. Alla
fine del 1700 con la nascita del movimento letterario romantico nacque la ballata moderna, che si
rifaceva a quella medievale nel carattere ma era concepita in modo rinnovato. Già Walter Scott e
Robert Burns ne compilarono delle raccolte e ne scrissero loro stessi, ma l'opera decisiva furono
le Lyrical Ballads di Wordsworth e Coleridge del 1798, che segnarono l'inizio del movimento
romantico in Inghilterra. Negli stessi anni anche in Germania il genere trovò i suoi favori grazie
alle ballate di Bürger, Schiller e Göthe; alcune ballate di Göthe, tra cui la celeberrima Erlkönig,
furono anche musicate da Carl Löwe e da Schubert, quest’ultimo nel tentativo (fallito
miseramente) di guadagnarsi i suoi favori. Anche Adam Mickiewicz, il più grande poeta polacco
del primo ottocento, usò questo genere nella sua opera Ballate e Romanze (1822), che Chopin
conosceva fin da fanciullo e da cui probabilmente prese ispirazione. Nella prima Ballata Chopin
ottiene il senso della narrazione e dell’antico servendosi di due temi, di cui il primo non viene mai
riesposto interamente, ma le sue prime quattro battute ricompaiono fungendo da ritornello tra le

11
In effetti Schubert aveva già iniziato ad ampliarne le dimensioni con gli Scherzi D 593, che però non furono mai
pubblicati in quegli anni, neanche dopo la sua morte. In ogni caso mentre le 292 battute di Schubert fanno pensare a
una dilatazione dello scherzo tradizionale, le 625 di Chopin sono concepibili solo con un ripensamento della forma.
Inoltre diversi autori avevano già pubblicato scherzi per pianoforte solo, ma come piccolo pezzi di carattere e mai
come grandi forme. Come esempi di questo genere riportiamo i nove scherzi Lustiges Drey mal Drey dello svizzero
Xaver Schnyder von Wartense, del 1825, e lo Scherzo a capriccio in fa ♯ minore di Mendelssohn (1835).
12
Prima di Chopin il termine ballata non era mai stato usato per una composizione strumentale, ma per composizioni
per canto e pianoforte.

22
altre sezioni, che sono basate sul secondo tema, tranne la coda che è costruita su materiale nuovo.
Sia la prosodia dei temi che le formule cadenzali che conducono da una sezione all’altra sono
costruite ispirandosi al repertorio operistico di quegli anni, in particolare a Bellini, che Chopin
apprezzava particolarmente. Anche la coda basata su nuovo materiale tematico si ispira all’opera,
in particolare allo stretto posto spesso a conclusione dell’aria; operistico è anche il recitativo poco
prima della conclusione, con l'alternanza ritardando-accelerando. Allo stesso tempo riprende dal
Biedermeier l’idea della conclusione virtuosistica e molto ricca nella scrittura pianistica, che in
questa coda è di impianto orchestrale.

È molto significativo che nessuna delle due soluzioni formali che abbiamo appena visto abbia per
modello la forma sonata: finora prevalgono altre ispirazioni. La forma sonata invece era già stata
adottata da Chopin in alcune delle sue prime opere, tra cui la sonata n.1 e il concerto op.11, ma in
un modo convenzionale e filtrato dal Biedermeier. Nel periodo 1838-1839 Chopin ritornò a
interessarsi alla forma sonata, in modo meno accademico e conscio delle acquisizioni degli anni
precedenti: questo si può vedere non solo nella realizzazione della seconda sonata, che sicuramente
ne è la prova più evidente, ma anche nel terzo Scherzo e nella Seconda Ballata op.38 che rispetto
al primo scherzo e alla prima ballata hanno una struttura formale più compatta. Chopin si serve
della forma sonata, ma a differenza di Schumann e Mendelssohn senza alcuna tentazione
neoclassica perché come già detto il classicismo viennese non gli appartiene. La forma sonata
viene ripresa in modo tutto sommato fedele, ma seguendo una concezione drammatica del tutto
diversa sia dall'esasperazione dei contrasti dialettici in Beethoven che dalla loro negazione in
Schubert al fine di sospendere il tempo reale. I due gruppi tematici dell'esposizione piuttosto che
due elementi strettamente legati e contrapposti, come nella sonata classica, sono visti come due
diverse fasi di una stessa narrazione, presentati in tonalità o modi contrastanti. Un altro utilizzo
assolutamente non classico è che nel seguito (fine dell'esposizione e sviluppo) i due gruppi tematici
non rimangono indipendenti ma si contaminano l'uno dell'altro, tramite elaborazione o
combinazione (ossia la fusione dei due temi tramite l'accostamento di frammenti motivici dell'uno
e dell'altro). La tensione viene accresciuta tramite la variazione e lo sviluppo del materiale tematico
e con procedure tipiche dello stretto operistico (accelerandi, ripetizioni di brevi motivi e
progressioni). Il materiale originario, soprattutto quello del secondo gruppo, riappare con toni più
brillanti, pieno di glorificazione e spesso drasticamente abbreviato. Questa ripresa apicale è posta
il più possibile vicino alla fine del pezzo, come lo scioglimento della trama di un racconto; in

23
alcuni casi può essere anche chiusa da una coda virtuosistica basata su nuovo materiale. Uno dei
tratti più originali di questo impianto è che né la ripresa né lo sviluppo hanno la stessa funzione
della sonata classica. La ripresa di Chopin non risolve le tensioni precedenti né riconcilia le
antinomie armoniche o melodiche; il materiale originale ritorna ampiamente intensificato e più
concentrato, con un'intensità tale da essere condensato in una piccola frazione delle sue
proporzioni originali. Lo scopo della forma di Chopin è di dare al materiale tematico di partenza
una grande enfasi e un'aura di brillantezza, complessità, tensione, violenza e pathos (in questo non
differisce negli intenti, seppur in modo molto più sottile, da molte riprese di Liszt, che
ripropongono i temi cinque volte più forte e con un accompagnamento che ha dieci volte le note
di prima). Lo sviluppo dunque in Chopin non prepara a una risoluzione ma a un'ulteriore
eccitazione: ha un ruolo simile allo stretto, al quale spesso viene associato nel trattamento
compositivo.

Anche se l'idea di ripresentare il materiale amplificandolo è presente fin dalla prima ballata e quella
della ripresa abbreviata dal secondo scherzo, questo impianto formale può considerarsi maturo
solo dalle opere 1838-1839, in particolare con la seconda sonata, la seconda ballata, il secondo
improvviso e il terzo scherzo. In queste opere la struttura formale ha lo scopo di portare avanti sia
le possibilità liriche dei temi che delle ambiguità musicali che vengono risolte solo nel punto
apicale. Per esempio nella ballata op. 38 tutta la sezione iniziale, indicata Andantino, in fa
maggiore, è fin da subito una preparazione della successiva, un Presto in la minore: all'interno
dell'esposizione viene presentata la stessa sequenza armonica che farà da collegamento tra le due
(da sesto grado a tonica, in la minore) e sotto una melodia apparentemente calma e di ininterrotta
continuità il fraseggio e il ritmo armonico hanno molte irregolarità, che all'ascolto suonano come
un'instabilità velata. La ballata continua, ma solo verso la fine la tonalità di la minore viene
preparata come la tonalità principale del brano, e la prima successione dominante-tonica arriva
solo nella battuta prima della coda, che rielabora il materiale del presto e poi a sorpresa lo
ripresenta abbreviato ed enfatizzato. La chiusura dal punto di vista tematico è ciclica, con la ripresa
abbreviata del tema iniziale, che questa volta però è presentato solidamente in la minore.
L'ambiguità tonale della seconda ballata è talmente forte e tanto è originale la sua struttura che
quella che ho scritto è un interpretazione molto recente, che risale agli anni 80' del secolo scorso

24
ad opera di musicologi americani13. Nell'800' lasciò al mondo musicale l'enigma di un brano che
inizia in una tonalità e si conclude in una diversa. Nel primo tempo della seconda sonata invece la
logica che abbiamo esposto prima si vede nel fatto che manca la riesposizione del primo tema nella
ripresa, che risulta così molto abbreviata. Il primo tema d’altra parte è alla base di tutto lo sviluppo
che precede: prima è affiancato al tema introduttivo della sonata; poi viene sovrapposto alla prima
cellula ritmico-melodica del tema introduttivo, in una progressione modulante dalla scrittura
virtuosistica. Lo sviluppo quindi serve per ripresentare il primo tema in modo più drammatico,
mettendo allo stesso tempo in luce l’origine dallo stesso materiale (l’intervallo di settima diminuita
della prima battuta è enarmonicamente equivalente alla sesta maggiore della terza battuta del tema
e le note della prima battuta del tema sono una diminuzione in ordine riverso delle note della terza
per gradi congiunti del soprano dell’introduzione). Visto che per quanto riguarda il primo tema
l’apice della narrazione viene raggiunto durante lo sviluppo, non è necessario scrivere una ripresa
intera, che porterebbe nella logica di Chopin un’ulteriore intensificazione. Per rispettare il senso
della proporzione dunque basta ripresentare il secondo tema; in realtà dopo l’ultimo episodio di
transizione il primo tema riappare al basso, accorciato e portato subito verso gli accordi finali.
L’effetto di sorpresa è simile al ritorno del primo tema alla fine della seconda ballata.

Dopo il 1838-1839 Chopin lavorerà continuamente sul modello formale che abbiamo descritto, e
dalla sua evoluzione nasceranno ancora molte grandi forme, come la terza e la quarta ballata, la
fantasia op.49, la barcarola op.60 e la polacca-fantasia op 61. In queste opere una sempre più acuta
consapevolezza degli equilibri formali si unisce a un’altissima invenzione che rende ognuna di
loro una soluzione formale unica e irripetibile.

13
Mi riferisco in particolare all'articolo Directional tonality in Chopin di William Kinderman, edita da Jim Samson
nella raccolta Chopin Studies (1988), e a The Romantic Generation di Charles Rosen (Harvard University Press, 1998),
che nella sua breve analisi dell'op. 38 segue questa ipotesi.

25
Analisi dello scherzo

Analisi dell'introduzione:

Una caratteristica fondamentale del trattamento della tonalità nello stile classico è che all’inizio
del brano viene presentata la tonalità principale, contro la quale vengono poste una o più tonalità
secondarie, che modulano a quella di partenza prima della fine. Anche se talvolta la tonalità
d’impianto viene inizialmente oscurata (come negli inizi in “tonalità sbagliata” di Haydn) o
introdotta da un “sipario armonico” (come nella prima sinfonia di Beethoven), nello stile classico
la prima parte di un movimento è inevitabilmente nella tonalità principale.

Esiste però un'altra possibilità, che prese piede con la prima generazione di compositori romantici
e venne usata con frequenza sempre maggiore nella seconda metà dell’ottocento, in particolare da
Wagner, Bruckner e Mahler. La tonalità principale può non essere vista come il punto iniziale da
cui far partire il discorso musicale, ma come il punto di arrivo di un processo direzionale. In questo
caso il brano inizia in una tonalità secondaria, che viene trattata in un modo tale da implicare e
preparare la tonalità principale.

Per la prima generazione di compositori romantici l'idea dell'affermazione progressiva del centro
tonale si colloca nel contesto dell'espansione della tonalità rispetto a come era stata utilizzata nel
periodo classico. Con espansione si intende la ricerca di percorsi armonici che possano modulare
con facilità da un centro tonale a un altro, anche molto distante dal primo, e il loro utilizzo al fine
di creare un senso di sospensione momentanea della tonalità. Nella teoria musicale queste idee
furono incarnate in quegli anni dal belga François-Joseph Fétis, secondo il quale la musica era
passata dall'essere unitonica (termine con cui indica genericamente la musica scritta secondo un
sistema modale) e poi transitonica (caratteristica della musica barocca e del periodo classico, con
uno schema fissato di armonie e modulazioni), all'essere con i compositori romantici pluritonica,
ossia più fluida nelle modulazioni e con frequenti commistioni modali. Fétis parla anche di una
quarta categoria, che ritiene sarà tipica della musica dei decenni a lui successivi: la musica
omnitonica, in cui vengono sfruttati al massimo tutti i possibili legami tra i suoni, sia tonali che
modali. Le idee di Fétis contribuirono molto allo studio dell’evoluzione della musica in una
prospettiva storica, che si stava formando per la prima volta in quegli anni. Inoltre ebbero un
profondo impatto sul giovane Liszt, che ebbe modo di ascoltare una sua conferenza a Parigi nel

26
1831 (lo stesso anno in cui assistette per la prima volta a un concerto di Paganini). D’altronde si
può leggere l’evoluzione del linguaggio musicale lisztiano come un progressivo affrancamento da
ogni vincolo nel trattamento del piano tonale, arrivando nei suoi ultimi anni a scrivere pezzi
praticamente atonali come Unstern! o la Bagatelle sans tonalité. Una visione direzionale della
tonalità, che svincola l’inizio dalla tonalità d’impianto partendo da una tonalità diversa oppure
(soprattutto) sospendendo in un passaggio il senso di tonalità stabile è uno dei tanti strumenti che
Liszt usa in questo percorso: tra i vari esempi citiamo l’inizio del Valleé d’Obermann dal primo
Anno di Pellegrinaggio, quello del primo Mephisto Waltz e quello della Sonata in si minore. A sua
volta Liszt influenzò in molti aspetti nel trattamento dell’armonia e anche in questo tipo di inizio
Wagner, di cui fu amico e che sostenne in ogni modo economicamente e promuovendo la sua
musica. Del resto gli inizi con sospensione della tonalità in Wagner compaiono spesso, e in questa
categoria rientra anche il caso più che estremo delle prime battute del preludio del Tristano e Isotta
(1865).

L’avvio del brano in una tonalità diversa da quella di partenza è utilizzato anche da Schumann, per
esempio nel numero 12 delle Davidsbündlertänzanze, e molto da Chopin. Abbiamo già visto la
mirabile costruzione della seconda ballata: oltre a lei, anche nella fantasia in fa minore op. 49 e
nel secondo scherzo op. 31 si può vedere analizzando il piano tonale e le sue proporzioni come la
tonalità iniziale sia in realtà secondaria14. Ci sono anche alcuni brani più piccoli o formalmente
meno ambiziosi che iniziano in una tonalità diversa dalla principale, come il valzer postumo op.70
n.2 ed il bolero op.19. Un caso particolare è costituito dal preludio op.28 n.2, in cui il piano tonale
rimane ambiguo per gran parte del brano: la tonalità principale di la minore viene chiarita solo
nella cadenza che chiude il pezzo, che è l’unica successione dominante-tonica del brano.15 Va
notato che questo preludio venne scritto nello stesso periodo dello scherzo op.39, probabilmente
durante il celebre soggiorno all’abbazia di Valdemosa.

14
Questa interpretazione è reperibile nel saggio Directional tonality In Chopin's music di William Kinderman,
contenuto nella raccolta Chopin Studies edita da Jim Samson (Cambridge University Press, 1988)[1].
15
Di questo preludio sono state fatte innumerevoli analisi ed interpretazioni: tra queste ricordiamo quella di Gerald
Abraham in Chopin’s musical style (London: Oxford University Press, 1939), in cui il preludio viene paragonato per
la sua ambiguità tonale al preludio del Tristano e Isotta di Wagner (1865) e l’articolo di Micheal R.Rogers Rehearings.
Chopin, prelude in A minor, op.28, n.2 (contenuto nella raccolta di saggi 19th-Century Music, Vol. 4 n.2, University
of California Press, 1981) in cui le proporzioni tra i numeri di battute delle varie tonalità del brano vengono studiati
utilizzando la sezione aurea.

27
Il terzo scherzo inizia con un’introduzione di 24 battute che si conclude nella tonalità principale di
do# minore; di queste le prime sedici battute presentano un’ambiguità tonale nell’opera di Chopin
insuperata. La loro scrittura è fortemente contrappuntistica e nell’analisi si prestano a molteplici
interpretazioni. Ma al di là di ogni considerazione è innegabile che a causa del tempo Presto con
fuoco e della scrittura molto essenziale l’effetto per ascoltatore è di una momentanea perdita del
centro tonale, il che ha un impatto drammatico molto forte e presenta il brano come un’opera
d’avanguardia.

Nell’analisi di questo passo il nostro scopo non è di proporre una singola interpretazione in modo
assoluto, perché non sarebbe fedele all’ambiguità dell’oggetto, che non può essere sciolta proprio
perché ad esso congenita. Perciò presenteremo diverse analisi, che prese singolarmente guardano
all’introduzione secondo punti di vista diversi, evidenziando aspetti particolari della tecnica
compositiva, e che confrontate danno modo al lettore di avere un quadro generale e di avere gli
strumenti per comprendere al meglio questo passaggio. Per una comprensione più lineare delle
nostre analisi premettiamo un’analisi fraseologica di carattere prevalentemente descrittivo.

Analisi fraseologica: Come abbiamo detto il terzo scherzo, in metro di 3/4, inizia con
un'introduzione di 24 battute, che si dividono a loro volta in 3 frasi da 8. Le prime due frasi sono
costruite su due incisi: il primo inciso genera in entrambe la prima semifrase, di 6 battute, il
secondo una seconda semifrase di due battute. Ritmicamente il primo inciso è formato da una
quartina di semiminime seguita da una semiminima e da due pause di semiminima, il secondo
invece da una nota tenuta per due battute con anacrusi di croma. Alla terza ripetizione del primo
inciso (a batt. 4/5 e a batt. 12/13) Chopin passa da una a due voci, aggiungendo oltre alle quartine
di semiminima una minima col punto con anacrusi di croma, che ritmicamente è molto simile al
secondo inciso. Di fatto in questo punto i due incisi vengono percepiti insieme, il che dà continuità
al discorso musicale e rende più equilibrate le proporzioni tra le due semifrasi (che quindi possono
essere interpretate sia come 4 battute + 4 battute oltre che come 6+2).

Le quartine della prima semifrase sono una voce all’unisono tra le due mani, scritta nel registro
medio grave, e sottintendono un'armonia fortemente cromatica. Invece la nota tenuta che chiude
la frase è scritta per un accordo in forte, prima di si maggiore in primo rivolto, poi di settima
diminuita. La terza frase è divisa in due semifrasi da quattro battute: la prima contiene un inciso
molto simile al primo, ma con tre semiminime al posto della quartina, seguito dopo una sola

28
ripetizione dal secondo inciso; la seconda è come ritmo e profilo melodico molto simile al primo
tema dello scherzo, che viene affermato subito dopo e che questa frase prepara. Anche il fatto che
nella prima semifrase la quartina lasci il posto a tre semiminime prepara l'ascoltatore all'entrata del
tema, che è costruito in gran parte su questa figura ritmica.

Prima Analisi (usando l’armonia funzionale)

Modulazioni: Lo scherzo inizia in si maggiore, da cui poi modula alla fine dell’introduzione nella
tonalità di impianto di do♯ minore. Come in molti altri passi della musica di Chopin, la stabilità
armonica è qui intrecciata profondamente con la stabilità ritmica16. Infatti nelle prime tre frasi i
punti cardine del percorso armonico sono in corrispondenza del secondo inciso, un accordo che
risuona per due battute intere. In forza di questa osservazione possiamo ripercorrere le modulazioni
principali dell'introduzione isolando i tre momenti accordali e analizzando i rapporti tra le loro
funzioni armoniche, come se seguissero un percorso armonico indipendente da quello delle battute
costruite sul primo inciso, anche se a questo sovrapposto. In questo modo vediamo come dalla
tonica di si maggiore si passi a un secondo grado abbassato di re maggiore in settima diminuita,
tramite tenuta di due suoni comuni ed enarmonia (il fa♯ è in realtà un sol♭, il la♮ un si♭♭17).
Questo accordo risolve su primo rivolto di re maggiore, che viene chiarito come sesta napoletana
di do# minore dall'ultima semifrase dell'introduzione.

Armonie intermedie e modulanti: Tra le due modulazioni (da si maggiore a re maggiore e da re


maggiore a do diesis minore) le battute costruite sul primo inciso hanno funzioni armoniche più
ambigue. Nella prima frase l'affermazione della tonalità di si maggiore viene ritardata utilizzando

16
Per uno studio approfondito del rapporto tra ritmo melodico e distribuzione delle dissonanze nella musica di Chopin
si veda il brillante saggio di Eugene Narmour Melodic structuring of harmonic dissonance: a method for analysing
Chopin’s contribution to the development of harmony , in [1].
17
Come gran parte dei compositori del periodo tonale, anche Chopin semplifica la notazione nella scrittura delle
armonie di settima diminuita. Cfr. Walter Piston, Armonia, ed. EDT, cap. 25, pg. 387/390.

29
l'intervallo di settima diminuita e l’enarmonia. La prima battuta inizia con le prime due note della
triade di fa# minore, che a posteriori possiamo vedere come il quinto grado di si maggiore nel
modo minore, ma appena dopo l'intervallo di settima diminuita mi♯ re♮ porta a un settimo del
quinto in settima diminuita. Quest'ultima funzione armonica non viene risolta ma usata a guisa di
modulo di progressione: la frase va avanti ripetendo esattamente gli stessi intervalli un semitono
sotto. Siamo quindi portati a pensare di trovarci davanti a una progressione cromatica discendente.
Tuttavia osservando meglio notiamo che Chopin abbassa le prime tre note di semitono diatonico
(da fa♯ a mi#, da la a sol♯, da mi a re♯) e le ultime due di semitono cromatico (da mi♯ a mi♮, da
re♮ a re♭). Dunque la seconda battuta non è in realtà un secondo modulo di progressione, anche
se ad esso enarmonicamente equivalente. Questo ci porta a pensare che Chopin dia all'inizio della
seconda battuta una duplice funzione armonica. Effettivamente le prime due note, mi♯ e sol♯,
riprendono la funzione di settima diminuita del quinto lasciata dalla battuta prima. Invece nelle
ultime tre note della prevale la funzione di settima diminuita di fa minore (la triade di fa minore
viene percepita per enarmonia tramite mi♯=fa♮ e da sol♯=la♭). Il settimo grado di quest’ultimo
accordo, re♭, risolve sul do♮, a cui seguono sol♮, re♯ con un appoggiatura di do e si all’inizio
della battuta successiva. Il re♯ e il do vengono percepiti enarmonicamente anche come
rispettivamente mi♭e re♮, per cui all’ascolto nelle battute 3-4-5 si passa da un accordo di fa
minore a una quadriade di settima diminuita re♭-fa♭-la♭♭-si♭ che risolve su una triade di do
minore. La triade di fa minore può essere interpretata come quarto grado di do minore, l’accordo
di settima diminuita come un secondo grado abbassato che risolve sulla tonica. A sua volta
l’accordo di do minore si rivela un secondo grado abbassato in modo minore di si maggiore,
tonalità che viene confermata in modo forte dall’accordo che occupa le battute 6-7-8. L’ultima
nota della quinta battuta, re ♯-mi♭viene percepito sia come terzo grado di do minore sia come
terzo grado di si maggiore, per cui ha funzione di nota comune alle due triadi.

Nella seconda e nella terza frase le battute corrispondenti al primo inciso sono relativamente meno
ambigue, modulando da si maggiore a re maggiore e portando al tema dello scherzo in do♯ minore.
La seconda frase inizia riprendendo la tonica di si maggiore in arpeggio invece che in modo
accordale, poi lo stesso arpeggio viene ripetuto in minore come accordo comune tra si maggiore e
re maggiore (primo grado in minore di si maggiore inteso come anche sesto grado di re maggiore).
Ad esso segue la successione discendente di semiminime si♭-mi♭-do♮con appoggiatura di si♮.

30
Il si♭, che viene tenuto con il valore di una minima col punto, risolve a la♮nella battuta successiva,
per cui anch’esso si può considerare un’appoggiatura. La funzione armonica implicita nei suoni
non di appoggiatura, ossia do♮-mi♭-la♮, viene chiarita dall’accordo successivo, che la conferma
una settima diminuita che grazie all’enarmonia funge sia da settimo grado di si minore che da
secondo grado abbassato in settima diminuita di re maggiore. Dopo l’accordo che chiude la
semifrase si ripresenta la stessa armonia in un rivolto diverso, poi risolve con un altro accordo a re
maggiore, presentato in secondo rivolto. Per le due battute successive il basso resta nella stessa
armonia, poi con l’intervallo di settima diminuita la♮-si♯ il re maggiore viene chiarito come una
sesta napoletana di do♯ minore, che risolve su un settimo grado che a sua volta risolve sulla tonica
di do♯ minore.

Seconda Analisi (proprietà della scrittura pianistica)

In un capitolo precedente abbiamo sottolineato quanto Chopin ammirasse Bach e quanto avesse
imparato dallo studio del Clavicembalo ben temperato. Avevamo anche osservato come la scrittura
dei romantici, che molto spesso non mantiene lo stesso numero di voci indipendenti nel corso di
un brano, ma le fa sorgere e le reimmergere a tratti nell’accompagnamento, fosse apparentemente
in contrasto con il modello bachiano.

Nelle prime battute dell’introduzione le due mani hanno una sola voce raddoppiata in ottava
distribuita tra le due mani. Dal punto di vista strumentale rispetto all’ottava eseguita su una mano
sola questa disposizione permette all’esecutore di ottenere un perfetto legato in entrambe le linee
e un impasto, una fusione maggiore tra i suoni. In questo modo si può ottenere una grande
espressività anche nel piano indicato in questo passaggio. Come abbiamo accennato nell’analisi
fraseologica a battuta 5 Chopin tenendo una nota tra le minime della quartina di fatto aggiunge
brevemente una seconda voce. In realtà questa voce è presente fin dall’inizio, ed è una linea
cromatica discendente da re♮ a si♮(re♮-re♭-do♮-si♮). La scrittura e la dinamica giocano un ruolo
fondamentale nel renderla percepibile come una voce indipendente. Le sue note sono ognuna la
più acuta del proprio inciso nonché le ultime, dopo una quartina di semiminime e prima di due
pause che riempiono il resto della battuta; Inoltre sono poste alla fine di una piccola forcella in
crescendo. All’ascolto dunque quelle note risuonano effettivamente più a lungo nell’orecchio,
perché percepite più chiaramente e più a lungo, anche per la risonanza del pianoforte nel registro
medio che riempie in parte le pause. Il do♮ della quinta battuta è l’unico suono di questa voce che
31
non può beneficiare di queste proprietà della scrittura, perché si sovrappone alla terza quartina,
quindi per essere percepito viene tenuto. Ci sono altri due motivi che rendono rilevante la tenuta
del do♮: si tratta di un punto armonicamente importante, perché prepara direttamente la prima
affermazione di un centro tonale, per quanto momentanea , con l’accordo di si maggiore
successivo, e come già spiegato prima dà equilibrio alla distribuzione dei due incisi all’interno
della frase. Analizzando in quest’ottica il resto di questa figurazione notiamo che la scrittura
suggerisce effettivamente altre due voci, che si muovono ambedue in modo cromatico discendente
(coprendo una distanza di terza minore, da la♮ 3 a fa♯3 la voce centrale e da fa♯3 a re♯3 la voce
più bassa). Per vederlo basta osservare che in ogni inciso le note nella stessa posizione all’interno
della quartina si abbassano man mano di un semitono. In conclusione quella che apparentemente
sembra una figurazione monofonica, ossia a una voce sola, in realtà sottintende tre voci, che si
muovono in modo cromatico percorrendo una terza minore, con moto discendente parallelo.
Questo tipo di movimento delle voci in teoria rischierebbe di non renderle indipendenti. Infatti
estrapolando le tre voci che abbiamo osservato e appianando le loro sfasature ritmiche si ottiene
una successione di accordi in primo rivolto che, anche se con moto cromatico, assomiglia molto a
un falso bordone. L’indipendenza viene ottenuta da Chopin con molte piccole differenze nel ritmo.
La voce centrale è quella che si mantiene ritmicamente più omogenea, comparendo sempre nel
secondo quarto della quartina e concludendosi sul fa♯ dell’accordo di si maggiore. Della prima
voce abbiamo già visto la struttura ritmica, con il cambiamento maggiore a battuta cinque e la
conclusione sul primo quarto della sesta battuta. La voce più in basso infine è variata per le
appoggiature e per il fatto che nella terza ripetizione del primo inciso la prima nota della sua
struttura ritmica viene omessa. Un altro elemento di varietà è la conclusione, che nelle tre voci è
posta in tre punti diversi. Particolarmente interessante è la conclusione della voce più bassa,
nell’ultimo quarto della quartina di battuta 5, che corrisponde a un anticipazione dell’armonia di
si maggiore. A queste tre voci alla settima battuta si aggiunge il fa# in ottava nel registro acuto,
che durante tutta l’introduzione funge da pedale e compare solo nei momenti accordali. In
conclusione abbiamo visto che un passaggio all’ascolto alternato tra un passaggio a una voce e
dei brevi momenti accordali in realtà si può ricondurre a una scrittura a quattro voci indipendenti.

fig.: riduzione delle tre voci poste in verticale

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fig: prime battute del terzo scherzo con le tre voci sottolineate.

La scrittura omofonica pensata a più voci è utilizzata da Chopin in altri lavori, alcuni dei quali
dello stesso periodo dell’op.39. Uno dei suoi raggiungimenti più alti in questa tecnica è il famoso
quarto movimento della seconda sonata, che destò scandalo in Schumann e in Mendelssohn non
meno che disgusto. Formalmente è un’invenzione a una voce, anche in questo caso raddoppiata
all’ottava e distribuita tra le due mani, che fa ampio utilizzo del cromatismo. Tuttavia ad un’analisi
più approfondita si vede come le funzioni armomiche sottointese siano abbastanza chiare, e che il
movimento è scritto in forma sonata, senza molte irregolarità. Anche in quel caso la scrittura a una
voce e il tempo molto rapido rendono impossibile all’ascoltatore (e anche ad ascoltatori attenti
come Schumann e Mendelssohn) cogliere in modo chiaro le funzioni armoniche e il procedere del
discorso musicale, che vengono solo suggeriti in tempi molto brevi e confusi dal cromatismo. Un
altro esempio è la transizione della polacca op.44, coronologicamente di poco successiva al terzo
scherzo, che usa una scrittura a una voce per dare vagamente l’idea di un rullante militare (anche
se chiaramente non con intento di dare alla musica un programma nel senso lisztiano)18. Oltre al
caso di passaggi a una sola voce, la produzione di Chopin è costellata da linee melodiche che
sottintendono più voci al loro interno. Del resto saperne scrivere fa parte del bagaglio di tutti i
compositori almeno dall’inizio del XVIII secolo: non ne troviamo solo nelle sonate per flauto solo
o per violoncello di Bach e nei Capricci di Paganini, ma per esempio in qualunque soggetto di una
fuga. Inoltre dozzine di arie nelle opere e negli oratori di Händel e di altri compositori sono
monofoniche, senza basso continuo o figurato; l’effetto era molto popolare all’inizio del 1700. In
ogni caso in questo tipo di scrittura Bach per Chopin fu sicuramente un grande modello. Ne
riportiamo di seguito un esempio, il soggetto della fuga per organo in la minore BWV 543.

18
Per una descrizione più dettagliata cfr. C. Rosen, The romantic generation (Harvard University Press, 1998),
Chapter Five "Chopin I: Counterpoint and the Narrative forms", par. Counterpoint and the single line, pg.287-302.

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Terza Analisi (teoria dei suoni generatori)

L’introduzione del terzo scherzo è costruita elaborando tutto il suo materiale tematico in modo
molto denso. Per vederlo disponiamo i suoni dei primi tre incisi partendo dal suono più grave al
più acuto e confrontiamoli con il profilo dei due temi dello scherzo, quello della sezione in Presto
con fuoco e quello del Meno mosso. L’analogia più evidente è con il tema del meno mosso: infatti
togliendo il mi♯ ottengono le stesse note del tema, un semitono sopra e in ordine diverso. Il mi♯ è
in rapporto di semitono con il mi e con il fa♯, ed è su questo elemento cromatico di tre note che si
basa il primo tema. Chiamiamo suoni generatori i cinque suoni presenti nel primo inciso. In effetti
in essi troviamo le prime battute del secondo tema per intero e il motivo su cui è costruito il primo,
per cui in sintesi possiamo dire che all’inizio del pezzo Chopin presenta in modo molto concentrato
tutto quello che utilizzerà in seguito.

34
Analisi del Presto con fuoco:

Abbiamo visto nell’analisi della scrittura pianistica come la voce più acuta comparisse con
funzione di pedale solo nei momenti accordali a fine frase, raddoppiata in ottava. Questa voce
viene ripresa con l’ingresso del tema, indicato come risoluto, e viene raddoppiata in ottava anche
dalla sinistra. Il primo tema è costituito da due cellule motiviche: la prima da due minime col punto
che formano una terza discendente, rielaborate subito dopo come tre minime che percorrono una
terza discendente per gradi congiunti. La seconda cellula è formata da tre minime disposte a
intervalli di semitono discendente. La prima frase del tema ha otto battute ed è divisa in tre
semifrasi rispettivamente da 2, 4 e 2 battute. La prima semifrase è occupata dal primo motivo nella
sua forma più estesa, la seconda dall’alternanza di primo e secondo motivo, la terza ripete la prima
cellula al quinto grado. Parte del secondo motivo compare anche isolando le prime note delle
battute dalla seconda alla sesta, secondo quel principio di suggerimento della polifonia di cui
abbiamo parlato in precedenza.

fig.: primo tema con evidenziata in rosso la derivazione dalla prima cellula motivica e in verde la
derivazione dalla seconda.

La prima frase del tema si conclude sul quinto grado, ed è seguita da una frase di otto battute che
rimane in area di dominante. Questa frase è scritta in modo contrastate dalla precedente, perché a
quattro voci e in piano. Anch’essa è divisa in tre semifrasi, disposte in 2+4+2: la prima è costituita
da un unico sol♯ lungo tre minime col punto e raddoppiato su quattro ottave. Facendo partire la
seconda semifrase dalla terza delle battute occupate dal sol♯ notiamo che la voce nel registro medio
ripropone una quinta sotto la melodia suggerita sul battere nella frase precedente sovrapposta a
una linea basata sul primo inciso. La terza frase, che elabora nuovamente primo e secondo inciso,
porta alla ripetizione del tema.

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Il tema viene ripetuto con una variazione della seconda frase, che modula a mi maggiore. A questo
punto inizia una pagina di transizione con un lungo crescendo che porta alla ripetizione del tema.
Essa ha una scrittura simile a quella della seconda frase del tema, con la differenza che al basso il
pedale di dominante è sostituito da una figura di semiminime in staccato derivata dalla prima
cellula. Inoltre le parti si rivelano voci indipendenti solo in alcuni punti, fungendo per il resto da
raddoppi o riempimenti armonici. La transizione si chiude con una progressione discendente che
porta a un passaggio cadenzale in fortissimo. A questo punto la prima parte a partire dall’entrata
del tema si ripete uguale fino alla seconda frase della seconda ripetizione. Un pedale di fa ♯
sostituisce quello di sol♯, e a partire da quello con una scrittura simile alla precedente si modula a
si maggiore. Questa tonalità si rivela un breve passaggio, perché una figura in ottave simile a quella
del tema ed ottenuta elaborando di nuovo la prima e la seconda cellula tramite enarmonia portano
alla dominante di la♭ maggiore. Ripetendo di nuovo le figure della seconda frase del tema si
conferma la tonalità di la♭ maggiore, a sua volta dominante della tonalità del meno mosso,
re♭ maggiore, al quale questa conduce.

Analisi del meno mosso:

La sezione centrale è introdotta da tre la♭ dal valore di minima col punto che occupano tre battute:
anche se qui la nota è ribattuta, questa figura è molto simile al sol ♯ tenuto che costituiva la prima
semifrase della seconda frase del tema. All’ultimo la♭ si sovrappone nel registro medio-grave
un’inversione in diminuzione del tema di questa sezione. La seconda parte dello scherzo è
costituita da un corale a quattro voci di quattro versetti (notiamo che la scrittura a quattro voci era
stata anticipata dalla seconda frase del tema del presto). La sua melodia è costruita da tre cellule
motiviche, che compaiono nel primo versetto e che plasmano gli altri tre. La prima è una nota
tenuta per due minime col punto, la seconda un intervallo di sesta maggiore, la terza un intervallo
di seconda maggiore. Dal punto di vista ritmico-melodico la melodia alterna nel primo e nel terzo
versetto un profilo melodico ascendente con ampiezza di sesta, con ritmo uniforme di una nota per

36
misura, invece nel secondo e nel quarto abbiamo una melodia “a campata”, complessivamente
discendente, con una figura ritmica diversa nella terza battuta.

I versetti del corale sono inframezzati da una figura in arpeggi che nella voce più alta ha una scala
discendente priva del settimo grado, ottenuta per elaborazione delle tre cellule della melodia.

Il corale viene chiuso da una melodia a una voce raddoppiata in ottava nel registro grave in
pianissimo, il cui timbro è simile al suono lontano ed evocativo del corno. Essa è costruita
riprendendo la nota tenuta delle prime tre battute della seconda frase del tema del presto, a cui
seguono le tre cellule motiviche variate. La sua scrittura è la stessa dell’introduzione: l’ottava viene
distribuita tra le due mani, per avere un controllo completo del legato e poter avere un suono
espressivo nel pianissimo.

Segue una ripetizione per intero del corale, un’ottava sopra e con un’armonizzazione con più
raddoppi. La chiusura del corale viene variata (usando un semitono discendente, cellula motivica
del tema del Presto), concludendo su un mi♭ , che apre una transizione in arpeggi di scrittura
brillante, in cui il basso riprende con aumentazione e inversione il tema del corale (ma in modo
minore, con fa♭ invece di fa come primo suono). La transizione si chiude con una scala
discendente ottenuta ornando la melodia formata dalla voce superiore dell’accompagnamento del

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corale, e tornando al la♭ che ne apre nuovamente la melodia. I primi tre versetti ripetono uguale a
prima la melodia del corale ma con un’armonizzazione leggermente diversa. Al quarto versetto
invece di tornare a re♭ maggiore la frase chiude modulando a si♭ minore, mantenendo il profilo
ritmico-melodico del terzo inciso.

Segue una sezione di sviluppo che elabora il profilo melodico del secondo e del quarto versetto
del corale, inizialmente con una progressione cromatica discendente variata nell’armonizzazione.
Segue un’ulteriore elaborazione, in cui il versetto variato viene alternato ad arpeggi ascendenti da
suonare leggerissimi, il tutto con pedale di sol♯. Il versetto viene variato un’ultima volta in forte
per lasciare spazio a uno stretto in cui la sinistra suona una melodia derivata dal tema del presto,
sovrapposta a una melodia ascendente della destra. Dopo un’esasperazione del motivo di semitono
discendente, suonato da ottave e accordi e in accelerando, si arriva alla ripresa del Presto con
fuoco.

Analisi della ripresa:

La ripresa del Presto è uguale alla prima parte fino alla progressione discendente alla fine della
transizione, che invece di tornare alla tonalità di do♯ minore modula alla dominante di mi
maggiore. Segue la ripresa del corale del Meno mosso, che viene ripetuto una volta sola e viene
chiuso dalla stessa melodia a una sola voce nel registro grave che lo concludeva in precedenza. A
questo punto si apre una pagina in Più lento, in cui il corale, che inizia non armonizzato, si rivela
in mi minore anziché in mi maggiore. Il corale in minore, leggermente variato nel profilo melodico,
nel quarto versetto non ripete il profilo melodico del secondo ma sosta sul secondo grado di mi
minore, fa♯ minore, e la sua melodia non sono altro che due intervalli di sesta (do♯-la). Seguono
altri due versetti alternati da arpeggi discendenti che sostano su un accordo di settima di terza
specie in secondo rivolto (la-do♯-re♯-fa♯) che ha funzione di collegamento tra la tonalità di mi
minore (è il settimo grado con il sesto grado della scala di mi minore innalzato) e quella di do♯
maggiore (secondo grado del modo minore con settima). Dal punto di vista melodico il primo di
questi due versetti è simile a quello precedente, mentre il secondo riprende il secondo e il quarto
versetto del corale in maggiore.

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Dopo l’ultimo arpeggio ascendente ricompare al basso in ottava la seconda cellula motivica del
tema del presto, che apre un’ultima ripetizione del corale, perorata in do♯ maggiore con un lungo
crescendo e con un pedale di dominante che è il più lungo di tutta l’opera di Chopin.
L’accompagnamento della sinistra contiene in diminuzione il tema del corale, secondo una tecnica
frequente in Chopin, al fine di dare all’accompagnamento un valore tematico che viene percepito
dall’ascoltatore in modo praticamente inconscio. Tra i vari esempi citiamo l’inizio del preludio
op.28 n 3 e a quello del notturno op.27 n.2. La perorazione del corale finisce riprendendo una
melodia ascendente presente nello stretto che conduceva alla ripresa. Questo elemento viene
interrotto improvvisamente da un passaggio in doppie ottave che rielabora la seconda cellula
motivica del tema del presto e che porta alla Coda.

La coda ritorna al tempo della parte iniziale, Presto con fuoco, e rielabora le cellule motiviche del
suo tema. Con una scrittura diversa viene riutilizzata anche l’idea di progressione discendente
presente alla fine della prima transizione del Presto. La coda ha una sezione che inizialmente viene
ripetuta identica e viene interrotta nel mezzo della progressione discendente da un armonia di
secondo grado maggiore con settima in primo rivolto che porta a un ultimo passo di bravura,
elaborato ancora dalle due cellule motiviche del tema dell’esposizione. La sua scrittura è a una
voce raddoppiata in ottava su due mani, per le stesse ragioni degli altri passaggi che abbiamo visto
scritti in questo modo. Dopo una cadenza in accordi con sesta napoletana (la sesta napoletana
compariva anche alla fine dell’introduzione) il pezzo si chiude con un’ultima variazione delle
stesse cellule motiviche e un accordo in piùchefortissimo con terza di Piccardia.

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Considerazioni formali:

Dal punto di vista del piano tonale è interessante come Chopin attraverso l’enarmonia ampli il
concetto di cambiamento di modo, sia usando la relazione del relativo minore e maggiore sia
passando al modo maggiore o minore della tonica. Oltre alla relazione tra la tonalità d’impianto
del Presto e del Più mosso, questo si vede molto nella ripresa del corale, che prima viene presentata
nel relativo maggiore di do♯ minore, mi maggiore. la ripetizione del corale in mi minore anziché
in mi maggiore è pensata per stupire l’ascolatore, come si vede dalla scrittura inizialmente non
armonizzata, che svela il modo solo con il terzo grado della voce superiore. Questo passaggio di
cambiamento al modo minore allargato viene bilanciato suggerendo alla fine del corale di tornare
alla tonalità di do♯ minore e passando, ancora “a sorpresa” con la mano sinistra sola, in do♯
maggiore.

Dal punto di vista propriamente formale del terzo scherzo Chopin costruisce nella prima sezione,
il Presto con fuoco, una struttura tritpartita un’esposizione in cui il tema viene ripetuto due volte,
un momento di transizione in cui sono presenti tecniche di variazioni simili a quelle tipiche dello
sviluppo di una forma sonata e una ripresa parziale del tema, che viene interrotta da una breve
transizione che conduce alla sezione successiva. Con questa stessa struttura è costruito il Meno
mosso: il corale viene ripetuto due volte, un passaggio brillante funge da transizione/sviluppo e
porta a una ripetizione del corale, che modulando in minore porta alla transizione che porta alla
ripresa. Non si può parlare per queste sezioni prese singolarmente di forma-sonata, ma di una
tripartizione interna formalmente molto costruita. Il bitematismo della sonata classica è presente
ma in dimensioni molto dilatate: a ognuna delle due sezioni è associato uno dei due temi.

Rispetto alla forma tradizionale dello scherzo, la parte meno ortodossa è certamente la ripresa,
perché contrariamente alla struttura dello scherzo tradizionale viene ripreso anche il corale del
Meno Mosso, a cui fra l’altro viene dedicata una parte più estesa che alla ripresa della seconda
sezione. Questo perché Chopin non ha per modello l’ABA dello scherzo, che ha già rispettato nel
primo scherzo op.20, ma la forma narrativa delle ballate e di altre sue grandi forme, di cui abbiamo
parlato nel capitolo precedente. Anche qui la ripresa ha funzione innanzitutto di intensificazione
emotiva e sfrutta soprattutto il secondo tra i due temi presentati. Nelle tre ripetizioni del corale
(manca questa volta la sezione di sviluppo) Chopin costruisce un'ampia climax espressiva
attraverso il cambiamento di tonalità, che raggiunge il suo apice con la perorazione finale in do♯

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maggiore, particolarmente luminosa. Anche qui, come nella seconda e nella terza ballata, il punto
apicale è posto il più possibile vicino alla fine, infatti subito dopo l’ultima ripetizione del corale
inizia la Coda, che in questo caso non è costruita su nuovo materiale tematico (come nella prima
ballata) ma è un’elaborazione finale del materiale del presto, analogamente al finale della seconda
ballata,scritta nello stesso periodo.

Riassumendo, nella composizione di quest’opera Chopin utilizza una soluzione formale unica, che
riprende elementi di sviluppo e di struttura della forma-sonata, ma soprattutto della sua personale
concezione drammatica, sperimentata nelle ballate e in altre grandi forme, che segue innanzitutto
una logica narrativa, tesa a portare i temi presentati a un apice espressivo nella seconda parte del
pezzo. Inoltre in questo pezzo Chopin si concentra moltissimo su alcune tecniche compositive.
Innanzitutto sulla costruzione motivica dei temi e delle transizioni, per cui riesce ad arrivare con
grande economia nel materiale tematico a momenti di felicissima elaborazione contrappuntistica,
come l’introduzione, la prima transizione del Presto e la Coda. Inoltre sulla ricerca armonica, che
si vede nel fatto che non c’è un’armonizzazione del corale uguale all’altra nelle sei volte in cui
viene proposto, nell’ambiguità armonica dell’introduzione e nella finezza di armonizzazione della
transizione che riporta dal corale al presto. Ultimo ma non meno importante, sull’uso sapiente del
pedale di dominante, nella seconda frase del tema del Presto e nella perorazione del corale, che
come abbiamo già detto vanta il pedale più lungo di tutta la produzione di Chopin.

Ricordiamo infine che le caratteristiche formali e l’uso finissimo della tecnica compositiva che
abbiamo osservato in quest’opera si svilupperà ulteriormente nelle opere successive, in cui si aprirà
l’ultima parte dello sviluppo artistico del maestro polacco, e che per portarle a questa maturità nel
terzo scherzo è stato fondamentale per Chopin in particolare tutto il lavoro del periodo 1838-1839,
che ha visto nascere molti tra i suoi maggiori capolavori e di cui quest’opera si pone come una più
che degna conclusione.

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Bibliografia e sitografia

Bibliografia:

Appunti del corso di Analisi delle Forme Compositive dalle lezioni del Mo. Calisi M.G.W.,
docente al Conservatorio "G.Verdi" di Milano.

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the Narrative Forms " (pg. 279-374), in The Romantic Generation, Cambridge (Massachusetts),
Harvard University Press, 1995

Kinderman W., Directional tonality In Chopin, Samson J. (a cura di), in Chopin studies,
Cambridge, Cambridge University Press, 1988, pg. 59-75

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contribution to the development of harmony, Samson J. (a cura di), in Chopin studies, Cambridge,
Cambridge University Press, 1988, pg. 77-114

De la Motte, D., Il contrappunto. Un libro di studio e di lettura, Milano, Ricordi, 1991 (ed. orig.
Kontrapunkt. Ein Lese- Und Arbeitsbuch, Kassel, Bärenreiter Verlag, 1981)

Piston W., Manuale di armonia, trad. it. Gioanola G., Torino, EDT, 1989 (ed. orig. Harmony, New
York, W. W. Norton and Company Inc., 1987)

Rattalino P., Storia del pianoforte, Milano, il Saggiatore, 1982

Rattalino P., Chopin racconta Chopin, Bari, Gius. Laterza & figli, 2009

Carrozzo M., Cimagalli C., Storia della musica occidentale, (vol. 3), Roma, Armando Armando
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Sitografia:

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Littlefield, pp.xv-xxxviii, 2016. ffhalshs-01422228f

HAL Id: halshs-01422228

https://halshs.archives-ouvertes.fr/halshs-01422228

Innumerevoli consultazioni del sito www.flaminioonline.it, nelle pagine relative a tutte le opere
maggiori di Chopin, alle sonate di Beethoven, ai quartetti di Haydn, al catalogo completo delle
opere di Chopin.

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Scherzo_n._3_(Chopin) (ultima consultazione in data 20/08/2019)

https://en.m.wikipedia.org/wiki/Scherzo_No._3_(Chopin) (ultima consultazione in data


20/08/2019)

Ho inoltre consultato un gran numero di partiture di dominio pubblico, scaricandole dal sito
www.imslp.org.

Le foto del quartetto op. 33 n 1 e 2, dello scherzo dell'eroica e del terzo scherzo op. 39 di Chopin
sono estratti rispettivamente da String Quartets, Opp.20 and 33, ed. W. Altmann, Eulenburg, ca.
1930, Lipsia e da First, Second and Third Symphonies in Full Score, ed. M. Unger, Dover
Pubblication, 1976, New York.

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