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• la madre, la marchesa
Adelaide Antici, era una
donna energica, molto
religiosa ma che non riuscì a
trasferire a Giacomo tutto
l'affetto di cui aveva
bisogno.
Dissesto finanziario e rigida economia
domestica
• Il conte Monaldo fece
alcune speculazioni
azzardate allora la
marchesa prese in
mano un patrimonio
familiare dissestato,
riuscendo a rimetterlo
in sesto grazie ad una
rigida economia
domestica.
Lo studio
• Leopardi ricevette la prima
educazione come da
tradizione familiare, da due
precettori gesuiti. Lo studio
era incentrato sul latino, la
teologia e la filosofia, ma
anche sulla formazione
scientifica.
PESSIMISMO
Elabora la teoria del
Pessimismo, in cui si possono
distinguere tre fasi
• La giovane contadina torna dai campi al tramonto del sole con il fascio d’erba e porta in mano un mazzetto
di rose e viole, con il quale, come è usanza, si prepara ad abbellire il seno ed i capelli, domani per il giorno di
festa. La vecchietta siede sulle scale a filare con le vicine, rivolta al tramonto, alla direzione in cui il giorno
finisce; e inizia a raccontare della sua giovinezza, quando si faceva bella nei giorni di festa e, ancora in
salute e in forma, era solita ballare la sera con quelli che furono compagni della sua giovinezza, della sua età
più bella. Tutta l’aria si oscura già, il cielo ritorna azzurro e le ombre, alla luce bianca della luna sorta da
poco, tornano a vedersi giù dai colli e dai tetti. Ora la campana annuncia la festa che arriva e si potrebbe
dire che a quel suono l’animo trova conforto. I ragazzi, gridando a gruppi nella piazzetta e saltellando qua e
là, producono un rumore che rende felici: e intanto lo zappatore ritorna a casa per il suo pasto frugale
fischiettando e pensa tra sé e sé al suo giorno di riposo.
• Poi, quando intorno è spenta ogni altra luce e tutto il resto è in silenzio, senti picchiare il martello, senti il
rumore della sega del falegname che sta sveglio alla luce della lucerna nel chiuso della sua bottega e si
affretta e si dà da fare per finire il suo lavoro prima del sorgere del sole.
• Questo (il sabato), tra sette giorni, è il più amato, pieno di speranza e di gioia: domani (domenica) la
tristezza e la noia riempiranno le ore e ciascuno tornerà col pensiero al suo lavoro consueto.
• Ragazzo spensierato, questa età giovanile è come un giorno pieno di allegria, un giorno chiaro, sereno, che
precede la tua maturità. Sii felice, ragazzo mio; questa è una condizione felice, un’età serena. Non voglio
dirti altro; ma non ti sia di peso che la tua maturità tardi ancora a giungere.
Figure retoriche
• Allitterazioni: “donzelletta, vecchierella, novellando, sulla, bella, colli”; “giorno, chiaro,
ciascuno, gioia, stagion, pien, pensier, lieta”;
• Metafore: “età più bella” (v. 15); “età fiorita” (v. 44); “stagion lieta” (v. 49) per indicare la
giovinezza; “festa” (vv. 47 e 50) per indicare la maturità;
• Similitudine: vv. 44-45: “cotesta età fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno”;
• Metonimia: v. 17: “il sereno” (ad indicare il cielo);
• Enjambements: vv. 4-5: “reca in mano / un mazzolin di rose e di viole”; vv. 33-34: “la
sega / del legnaiuol”; vv. 40-41: “tristezza e noia / recheran l’ore”;
• Apostrofi: v. 43: “garzoncello scherzoso”; v. 48: “fanciullo mio”;
• Preterizione: v. 50: “altro dirti non vo’”;
• Iperbato: vv.6-7: “tornare ella si appresta / dimani, al dì di festa, il petto e il crine”; v. 41-
42: “ed al travaglio usato / ciascuno in suo pensier farà ritorno”; vv. 50-51: “ma la tua festa
/ ch’anco tardi a venir non ti sia grave”;
• Anastrofi: v. 11: “novellando vien”; v. 45: “d’allegrezza pieno”;
• Anadiplosi: vv. 45-46: “un giorno di’allegrezza pieno / giorno chiaro, sereno”
Commento
• Il sabato del villaggio fa parte dei cosiddetti “grandi idilli” e fu composto a Recanati nel 1829, subito dopo La quiete dopo la tempesta,
con la quale presenta diverse analogie: ha la stessa struttura, con prima una parte descrittiva, poi una riflessione che prende le mosse
dalla descrizione precedente. Inoltre, i due idilli sono complementari anche dal punto di vista tematico, in quanto nella Quiete il piacere
era visto come assenza di dolore, mentre qui è l’attesa e l’illusione, destinata ad essere delusa, di un godimento futuro.
• Si tratta di tematiche tipiche degli idilli leopardiani: le illusioni e le speranze della giovinezza, il ricordo, i quadri di vita paesana con le
suggestioni date dalle immagini “vaghe e indefinite”, unite, però, nei cosiddetti “grandi idilli”, ad un pessimismo assoluto e ad una
lucida consapevolezza dell’”arido vero”. Per questo, le immagini liete sono spesso create dalla memoria e si accompagnano sempre
alla consapevolezza del dolore e della loro illusorietà.
• Il sabato simboleggia l’attesa di qualcosa di più piacevole e lieto: tutti lavorano più alacremente, pensando che quello successivo sarà
un giorno di riposo; ma quando arriva finalmente la domenica a dominare sono tristezza e noia e il pensiero va subito alle consuete
fatiche che ci aspettano il giorno successivo. Il sabato, dunque, è come la giovinezza, ricca di attese e illusioni; mentre la domenica
simboleggia le delusioni dell’età più matura. Per questo, Leopardi invita il suo “garzoncello scherzoso” a cogliere l’attimo e a godersi la
sua giovane età, senza preoccuparsi del domani: non bisogna aspettarsi goie future, perché, come la domenica delude le attese del
sabato, così l’età adulta è destinata a deludere le attese della giovinezza.
• Il quadro di vita paesana, che si apre con la contrapposizione tra la “donzelletta” (v. 1), simbolo dei piaceri della giovinezza, e la
“vecchierella” (v. 9) che rappresenta il ricordo dei piaceri passati, non ha nulla di realistico, sia perché rimanda a numerosi precedenti
letterari, sia perché il paesaggio descritto è simbolico e ricco di quelle immagini “vaghe e indefinite” tanto care a Leopardi, perché
permettono di evocare vastità e lontananze che stimolano l’immaginazione. Proprio a quest’esigenza di indeterminatezza risponde
anche l’accostamento di rose e viole, inverosimile perché si tratta di fiori che fioriscono in mesi diversi e, per questo, criticato da
Pascoli in un celebre saggio del 1896.
• La parte finale di riflessione, a differenza di quella della Quiete, è breve e pacata; il colloquio col ragazzo non è angoscioso, ma
affettuoso e delicato e vi sono evocate immagini di vita, legate al campo semantico delle gioie della giovinezza: “età fiorita” (v. 44),
“chiaro”, “sereno” (v. 46), “festa” (vv. 47 e 50), “soave” (v. 48), “lieta (v. 49)”. Infatti, il poeta qui invita il ragazzo a non addentrarsi oltre
l’angusto spazio dell’illusione giovanile, ma a godersela appieno, prima che l’”arido vero” della maturità arrivi a rovinarla. La tenerezza
e l’affetto del poeta sono dimostrati anche dall’uso costante di diminutivi: “donzelletta” (v. 1), “mazzolin” (v. 4), “vecchierella” (v. 9),
“piazzuola” (v. 25), “garzoncello” (v. 43).
XXIII - CANTO NOTTURNO Dl UN PASTORE ERRANTE DELL' ASIA
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, • Corre via, corre, anela,
• Silenziosa luna? • Varca torrenti e stagni,
• Sorgi la sera, e vai, • Cade, risorge, e più e più s'affretta,
• Contemplando i deserti; indi ti posi. • Senza posa o ristoro,
• Ancor non sei tu paga • Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
• Di riandare i sempiterni calli? • Colà dove la via
• E dove il tanto affaticar fu volto:
• Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
• Abisso orrido, immenso,
• Di mirar queste valli?
• Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
• Somiglia alla tua vita
• Vergine luna, tale
• La vita del pastore.
• E' la vita mortale.
• Sorge in sul primo albore
• Move la greggia oltre pel campo, e vede
• Nasce l'uomo a fatica,
• Greggi, fontane ed erbe; • Ed è rischio di morte il nascimento.
• Poi stanco si riposa in su la sera: • Prova pena e tormento
• Altro mai non ispera. • Per prima cosa; e in sul principio stesso
• Dimmi, o luna: a che vale • La madre e il genitore
• Al pastor la sua vita, • Il prende a consolar dell'esser nato.
• La vostra vita a voi? dimmi: ove tende • Poi che crescendo viene,
• Questo vagar mio breve, • L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
• Il tuo corso immortale? • Con atti e con parole
• Studiasi fargli core,
• Vecchierel bianco, infermo, • E consolarlo dell'umano stato:
• Mezzo vestito e scalzo, • Altro ufficio più grato
• Con gravissimo fascio in su le spalle, • Non si fa da parenti alla lor prole.
• Per montagna e per valle, • Ma perchè dare al sole,
• Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, • Perchè reggere in vita
• Chi poi di quella consolar convenga?
• Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
• Se la vita è sventura,
• L'ora, e quando poi gela,
• Perchè da noi si dura?
• Mille cose sai tu, mille discopri,
• Intatta luna, tale • Che son celate al semplice pastore.
• E' lo stato mortale. • Spesso quand'io ti miro
• Ma tu mortal non sei, • Star così muta in sul deserto piano,
• E forse del mio dir poco ti cale. • Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
• Ovver con la mia greggia
• Seguirmi viaggiando a mano a mano;
• Pur tu, solinga, eterna peregrina, • E quando miro in cielo arder le stelle;
• Che sì pensosa sei, tu forse intendi, • Dico fra me pensando:
• Questo viver terreno, • A che tante facelle?
• Il patir nostro, il sospirar, che sia; • Che fa l'aria infinita, e quel profondo
• Che sia questo morir, questo supremo • Infinito Seren? che vuol dir questa
• Scolorar del sembiante, • Solitudine immensa? ed io che sono?
• E perir dalla terra, e venir meno • Così meco ragiono: e della stanza
• Ad ogni usata, amante compagnia. • Smisurata e superba,
• E tu certo comprendi • E dell'innumerabile famiglia;
• Il perchè delle cose, e vedi il frutto • Poi di tanto adoprar, di tanti moti
• Del mattin, della sera, • D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
• Del tacito, infinito andar del tempo. • Girando senza posa,
• Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore • Per tornar sempre là donde son mosse;
• Rida la primavera, • Uso alcuno, alcun frutto
• A chi giovi l'ardore, e che procacci • Indovinar non so. Ma tu per certo,
• Il verno co' suoi ghiacci. • Giovinetta immortal, conosci il tutto.
• Questo io conosco e sento,
• Che degli eterni giri,
• Che dell'esser mio frale,
• Qualche bene o contento
• Avrà fors'altri; a me la vita è male.
• O greggia mia che posi, oh te beata,
• Che la miseria tua, credo, non sai!
• Forse s'avess'io l'ale
• Quanta invidia ti porto!
• Da volar su le nubi,
• Non sol perchè d'affanno
• E noverar le stelle ad una ad una,
• Quasi libera vai;
• O come il tuono errar di giogo in giogo,
• Ch'ogni stento, ogni danno,
• Più felice sarei, dolce mia greggia,
• Ogni estremo timor subito scordi;
• Più felice sarei, candida luna.
• Ma più perchè giammai tedio non provi.
• O forse erra dal vero,
• Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
• Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
• Tu se' queta e contenta;
• Forse in qual forma, in quale
• E gran parte dell'anno
• Stato che sia, dentro covile o cuna,
• Senza noia consumi in quello stato.
• E' funesto a chi nasce il dì natale.
• Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
• E un fastidio m'ingombra
• La mente, ed uno spron quasi mi punge
• Sì che, sedendo, più che mai son lunge
• Da trovar pace o loco.
• E pur nulla non bramo,
• E non ho fino a qui cagion di pianto.
• Quel che tu goda o quanto,
• Non so già dir; ma fortunata sei.
• Ed io godo ancor poco,
• O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
• Se tu parlar sapessi, io chiederei:
• Dimmi: perchè giacendo
• A bell'agio, ozioso,
• S'appaga ogni animale;
• Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
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