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La peste MeToo e la cultura della vittimizzazione

Dietro una retorica di emancipazione il movimento MeToo, cavallo di troia del femminismo
radicale, nasconde una delle ideologie più reazionarie e pericolose nate in seno all'occidente
democratico contemporaneo.

Rilevanza del MeToo

Con MeToo definiamo un movimento nato nel 2017 a seguito di un celebre articolo di Ronan
Farrow sul ​New Yorker​, in cui sono stati resi pubblici alcuni comportamenti tenuti da Harvey
Weinstein nel periodo in cui era uno dei più importanti produttori di Hollywood. Il grosso delle
accuse mosse a Weinstein, semplificando, è di aver abusato del suo potere per ottenere
favori sessuali.
Uomini e donne di tutto il mondo hanno quindi colto l'onda emotiva creatasi dallo scandalo
per condividere esperienze di abusi, stupri, molestie e violenze subite. Molte di queste
accuse, indipendentemente dalla loro veridicità, hanno poi causato licenziamenti, suicidi,
aperture di fascicoli presso la magistratura e altre conseguenze significative.
Per avere un'idea dell'impatto che il movimento ha avuto citiamo alcuni dati certi: almeno un
migliaio di persone accusate di condotta sessuale scorretta, più di duecento licenziamenti,
almeno sette suicidi. Ma l'effetto più importante è stato quello di aver reso dominante la
narrazione del femminismo radicale, imponendo un nuovo modo di leggere la realtà e di
concepire le interazioni umane.
Con una semplice euristica possiamo affermare che nel 2019, nel momento in cui scriviamo,
la stragrande maggioranza dei media considera l'impatto di MeToo complessivamente
positivo, e la quasi totalità dei commentatori ritiene i comportamenti di Weinstein criminali.
Qui proveremo a confutare entrambe queste tesi argomentando che l'attacco di MeToo alla
civiltà sta avvenendo attraverso quattro vettori sinergici:

1) La creazione di una lettura storico-sociale incorretta;

2) La richiesta di politiche discriminatorie, censorie e sessiste come le quote e le aggravanti


di genere, i vincoli salariali e varie forme di limitazioni alla libertà di espressione;

3) La messa in discussione di tutte le garanzie fondamentali del giusto processo tra cui la
presunzione di innocenza, l'onere della prova a carico dell'accusa, la proporzionalità tra reati
e sanzioni, il principio di prevedibilità, la certezza del diritto e il principio di legalità penale;

4) La creazione di un clima intimidatorio in cui la libertà individuale è fortemente limitata dal


pervasivo controllo sociale, dall'autocensura, dalla mancata separazione tra norma giuridica
e norma morale, dall'impossibilità a disporre del proprio corpo.
Nazifemministi non si nasce, lo si diventa

Se il merito di MeToo è quello di aver stimolato un dibattito sulle interazioni in ambiente


lavorativo e sulle forme di violenza, il problema è l'agghiacciante risultato di queste
riflessioni.
Da una campagna contro le molestie il movimento si è immediatamente trasformato in una
crociata puritana sessuofobica che, con metodi da Santa Inquisizione, sta riscrivendo in
senso illiberale le regole di convivenza civile nelle nostre società.

Chiariamo che col termine nazifemminismo ci riferiamo al movimento di opinione, divenuto


oggi culturalmente egemone, che va nella direzione opposta al filone del femminismo
liberale iniziato dalle suffragette. Ci riferiamo al femminismo fallofobico, zelota e oscurantista
delle Valerie Solanas, delle Lorena Bobbitt, ma anche delle Julie Bindel, che si batte ​contro
l'uguaglianza giuridica dei sessi, ​contro​ le libertà personali, ​contro​ l'autodeterminazione.
Questo femminismo non smaschera un sistema patriarcale oppressivo fatto di abusi e ricatti,
ma inaugura una nuova era della vittimizzazione in società ipersensibili e ipermoraliste.
È il maccartismo che torna via social network, il vecchio terrore giacobino che si ripete sotto
forma di farsa.
L'intolleranza degli ultras femministi più agguerriti ricorda infatti il Comitato di Salute
Pubblica di Robespierre o la Cina della Rivoluzione Culturale. Gli ingredienti ci sono tutti:
l'isteria di massa, il clima di sospetti e delazioni, le purghe, i nemici del popolo, le gogne, i
suicidi, l'utopia dell'uomo nuovo, le opere messe all'indice e la retorica del cambio di
paradigma. Una nuova caccia agli stregoni insomma, o una nuova guerra di Vandea, sotto le
mentite spoglie del progressismo femminista.

Anche la dialettica è quella tautologica e circolare tipica del fanatismo, ad esempio


considerare sia le discriminazioni favorevoli che quelle sfavorevoli come frutto del sistema
patriarcale, quindi prova della sua esistenza. “Se i tribunali affidano i figli sempre alle madri è
perché il pregiudizio le relega al ruolo domestico” affermano.
Pensarla diversamente significa avere il patriarcato introiettato o essere complici del
sistema, come nei processi alle streghe in cui se la vittima resisteva alla tortura era
chiaramente posseduta, se cedeva era rea confessa. Ne sa qualcosa Ronald Sullivan, il
professore di Harvard linciato per aver difeso Weinstein in tribunale, e Ian Buruma, direttore
della New York Review of Books, costretto alle dimissioni per aver osato pubblicare un
saggio critico verso MeToo​.

In questo elenco degli orrori non poteva mancare l'argomento ​ad hominem​ usato contro
l'opera, che non sta risparmiando la damnatio memoriae per autori del calibro di Boccaccio,
Nabokov, Montanelli, Antonioni, Von Trier, Allen, Besson, Polanski, Neruda, Faulkner,
Koestler, Picasso, Golding e Shakespeare. Petizioni per rimuovere ​La bisbetica domata, La
tragedia di Tito Andronico​ e ​La commedia degli errori​ dai corsi di studio si moltiplicano.
Pasolini è stato definito su Esquire “un ricattatore impunito in preda al delirio fascista, che
umilia, abusa e priva di dignità umana le proprie vittime”.
Da ​Il flauto magico​ di Mozart è ormai buona norma espurgare la scena sull'astuzia delle
donne, dalle ​Metamorfosi​ di Ovidio la storia di Apollo e Dafne. Di Euripide evitare totalmente
Le Baccandi​ e ​Ippolito​ se non si vuole urtare le sensibilità. Passare ​Baby, It's Cold Outside
in radio è considerato un inno allo stupro, esporre ​Thérèse Dreaming​ di Balthus addirittura
un inno alla pedofilia.
Nel 2018 la Manchester Art Gallery, in un eccesso di zelo perbenista, ha rimosso ​Ila e le
Ninfe​ di Waterhouse senza nemmeno aspettare la relativa petizione.
Anche far morire la ​Carmen​ di Bizet è ritenuto offensivo. A Firenze infatti, sempre nel 2018,
è andata in scena una riscrittura del finale in cui il fastidioso femminicidio si è trasformato in
un più accettabile e politicamente corretto maschicidio.

Usare l’argomento ​ad hominem​ contro l’opera significa attribuire alle opere le colpe degli
autori, creando meccanismi retroattivi per cui se ad essere accusato è un illustratore si
bruciano i suoi libri (vedi David Diaz), se è un attore si censurano i suoi film (vedi Kevin
Spacey).
Ecco perchè di Louis C.K., Aziz Ansari, James Dashner, Morgan Freeman, Junot Diaz,
Daniele Gatti, Chuck Close, Thomas Roma, Terry Richardson o Garrison Keillor
(quest'ultimo licenziato per aver sbagliato di pochi centimetri la posizione della mano durante
un abbraccio dieci anni prima) si vorrebbe cancellata anche la memoria oltre che il posto di
lavoro.

Il caso Weinstein-Argento

Il processo ad Harvey Weinstein è una pura formalità dato che l'opinione pubblica, i media, il
mondo politico e quello accademico l'hanno già eletto capro espiatorio da sacrificare
sull'altare della nuova morale. Weinstein è diventato il modello negativo per eccellenza,
l'archetipo del predatore seriale, l'eponimo del maiale affamato di vergini. Non ​capro​ quindi,
ma ​porco​ espiatorio.
Le accuse mosse contro di lui sono molte e vanno dallo stupro all'abuso di potere. Noi ci
limiteremo ad analizzare uno dei primi episodi resi pubblici, quello che è divenuto un caso
scuola della molestia sessuale 2.0: la vicenda di Asia Argento.

I fatti sono questi: un produttore (Weinstein) chiede un incontro con un’attrice-regista


(Argento); i due rimangono soli in una camera d'albergo; a quel punto il primo chiede una
prestazione sessuale alla seconda che gliela concede. Dopo vent’anni Argento denuncia
pubblicamente di aver subito uno stupro.
Argento riconosce di non aver opposto alcuna resistenza alle avance, anzi ammette di aver
emesso “versi di piacere” convinta che “quello fosse il modo migliore per farlo smettere.”
Anche senza violenza fisica quindi, Asia descrive l'esperienza come un “trauma orribile” che
l'ha “rovinata”. Questo perché la violenza, a suo avviso, è stata di altra natura.
Nelle vicende di stupri o molestie troviamo quasi sempre due versioni dei fatti: l'accusato
afferma di aver ricevuto il consenso, l'accusante di averlo negato. Nel caso
Weinstein-Argento invece non ci sono due versioni contrastanti, entrambe le parti
sostengono che il consenso c'era. Il problema è quindi capire se questo consenso è stato
estorto con ricatto o plagio.

Asia dichiara di aver accettato le proposte di Weinstein per:


– Paura della sua stazza
– L'obbligo morale derivante dai costosi regali ricevuti
– Paura di rovinare la sua carriera cinematografica

È ovvio che la stazza di una persona non può essere in sé letta come minaccia
all'incolumità, altrimenti dovremmo condannare ciccioni e palestrati a priori.
Anche il fatto che un dono imponga l'obbligo di fare sesso è un'interpretazione squisitamente
soggettiva. Non possiamo far arrestare per stupro i partner che ci fanno regali, specie se
quei doni li accettiamo (come ha fatto Asia). Il regalo non è un incantesimo che ci costringe
a subire rapporti sessuali indesiderati.
Asia si è sentita obbligata ad andare a letto col produttore, ma il maratoneta che si sente
moralmente obbligato a correre senza fiato gli ultimi chilometri può denunciare il comitato
olimpico per violenza?
È dunque possibile che l'obbligazione naturale costituisca un vincolo giuridico, ovvero che si
possa condannare qualcuno, non in base alle sua azioni oggettive, ma in base
all'interpretazione soggettiva degli obblighi morali che si immagina derivare dalle sue azioni?

Non ci interessa qui mettere in evidenza le contraddizioni di Argento per attaccarla sul lato
umano. Non ci soffermeremo sulla sua frequentazione col produttore dopo il presunto
abuso, o sul fatto di essere stata accusata da un minorenne per lo stesso reato. Non
tratteremo nemmeno i vantaggi economici e mediatici ottenuti con sua nuova ribalta. Quello
su cui ci interessa riflettere è se Weinstein ha esercitato o meno una persuasione indebita
su di lei, quindi se c'è stata coercizione e, più in generale, se è lecito usare risorse
economiche e sociali come mezzo per ottenere favori sessuali.

Cos'è un ricatto? Cos’è una minaccia?

Argento (e l'opinione pubblica) sostiene che nella proposta sessuale di Weinstein era
nascosta una minaccia implicita, quella di non foraggiare o addirittura ostacolare la sua
carriera cinematografica. Ricordiamo che all'epoca dei fatti Harvey Weinstein era uno dei più
influenti produttori di Hollywood e Asia Argento un'attrice e regista emergente.

La minaccia è la promessa di un reato.


Persuadere facendo promesse è lecito, diventa illecito quando si promettono azioni illegali.
In teoria (tratteremo poi la pratica) per esserci ricatto o minaccia deve essere prospettato un
male ingiusto e notevole che impedisce l'esercizio di un diritto. Ma avere l'appoggio di
Weinstein alla propria carriera cinematografica può considerarsi un diritto?

Facciamo qualche esempio: Mick Jagger minaccia implicitamente le sue fidanzate di non
renderle famose? Berlusconi minaccia le sue prostitute di non coprirle di regali? Il principe
William ha minacciato Kate Middleton di non farla diventare principessa se non si fosse
concessa sessualmente? Si può dire che un produttore minaccia di non farti diventare una
star di Hollywood?
Immaginiamo la scena di una giovane Kate Middleton che entra nella stanza d'albergo
dell'appena conosciuto principe William e lo trova inaspettatamente in accappatoio. È una
condotta appropriata quella del principe? Sta abusando del suo fascino reale e della netta
asimmetria sociale per ottenere favori sessuali? Possiamo dire che Kate non è libera di
scegliere se accettare le avance del principe per la minaccia implicita di non divenire
principessa?
Proporre uno scambio tra sesso e privilegi, o tra sesso e denaro, non può essere un ricatto
perché non è un diritto venire in possesso del denaro e dei regali altrui. Non è altresì un
diritto essere assunti e fare carriera in aziende private, avere amici potenti, divenire stelle del
cinema o ereditare titoli nobiliari.

Facciamo qualche altro esempio: la frase: "se mi baci ti offro da bere" è un ricatto sessuale?
La fidanzata che mette il muso se non gli compri la borsa ti sta ricattando? La ragazza che
usa il suo fascino per ottenere un contratto, un marito, un favore, un lavoro, sta
commettendo un reato?
È dunque possibile che ci sia minaccia se il “danno” è arrecato con il consenso del
danneggiato; se è causato nell'esercizio di un diritto; e se implica un'azione squisitamente
legale?
La differenza tra proposta, promessa e minaccia è (o dovrebbe essere) proprio nella legalità
o meno delle conseguenze che si prospettano. Ripetiamo: per esserci minaccia il male
prospettato deve essere “ingiusto”, quindi ​contra ius; ​e non un'azione perfettamente legittima
che rientra nei diritti di chi la compie.

Esempi:
“Se ti spogli ti produco il film” = legittimo
“Se non ti spogli non ti produco il film” = legittimo
“Se non ti spogli ti ammazzo” = ricatto

“Se scrivi bene del governo ti nomino direttore” = legittimo


“Se scrivi male del governo ti licenzio” = legittimo
“Se scrivi male del governo ti calunnio” = ricatto

Weinstein non ha in alcun modo minacciato di ostacolare la carriera di Asia Argento, ma


qualora l'avesse fatto promettendo azioni entro i limiti dei suoi diritti, non sarebbe da
considerare illecito, al massimo inelegante.
Se un produttore non può assegnare un ruolo in base alla disponibilità sessuale di un'attrice
dovremmo mettere al bando su due piedi l'intera industria del porno. Se l'offerta di
scambiare sesso per soldi è ricattatoria, lo è anche qualsiasi altra offerta di beni o servizi,
indipendentemente da cosa chiesto in cambio.

Consideriamo anche il punto di vista inverso: se Argento avesse usato il suo corpo per
ottenere vantaggi sarebbe stato legale? È lecito sedurre un uomo potente per ottenere
privilegi economici e prestigio? Poteva Asia minacciare di non concedersi, dunque ricattare
Weinstein? Si, ma non sarebbe stato un reato, perché avere i favori sessuali di qualcuno
non è mai un diritto, e non può essere un ricatto prospettare di negarli.
Può dunque una persona facoltosa far leva sui suoi denari per conquistare un partner, e
viceversa una persona attraente utilizzare il suo aspetto per ottenere un lavoro?
Si può sedurre puntando su qualità estetiche, carisma, cultura, simpatia, potere, benessere
economico, status. Cedere al fascino del denaro vale quanto cedere al fascino estetico.
La nostra libertà passa anche per la facoltà di sedurre con ciò che si ha, e farsi sedurre da
ciò che si vuole.

Libertà positiva e negativa

Se per esserci minaccia o ricatto occorre negare i diritti della vittima, è fondamentale chiarire
anche il concetto di diritto. L'appoggio di un produttore alla carriera di un regista è un diritto?
Asia Argento aveva diritto ad avere successo a Hollywood con l'appoggio di Weinstein?
Questo è un passaggio centrale del discorso, che chiama in causa la differenza tra libertà
positiva e negativa, e che ci aiuta a valutare se può essere lecito usare il proprio status
come mezzo per ottenere favori sessuali (e il sesso per ottenere privilegi).

La libertà negativa (libertà da) è la più elementare, e concepisce la libertà come assenza
d'impedimento, assenza di costrizione e non-interferenza del potere statale sulle azioni
individuali. Libertà negative sono quelle individuali e quella di manifestazione del pensiero.
La libertà positiva invece (libertà di) è più complessa, e risponde alla domanda: che cosa o
chi è la fonte dell’ingerenza che può indurre qualcuno ad agire?

Anche se sembra più avanzata, la libertà positiva nasconde in sé il germe del totalitarismo,
perché finisce sempre ed inevitabilmente per affermarsi a scapito della libertà negativa
fondamentale.
Questo è uno degli errori più clamorosi del femminismo radicale, che per avere l'uguaglianza
nei punti d'arrivo, nega l'uguaglianza nei punti di partenza (vedi quote di genere); per
garantire la protezione dalle molestie, nega la libertà di espressione.

Isaiah Berlin spiega che nella libertà positiva è racchiuso uno spaventoso progetto politico di
palingenesi antropologica che ambisce a costruire coercitivamente le persone in tutti i loro
aspetti, perché le due forme di libertà non sono complementari ma in opposizione. Non si
può garantire al tempo stesso la libertà di non essere offesi e la libertà di esprimersi,
bisogna fare una scelta. Il confine tra buon gusto imposto ​manu militari​ e censura è
inesistente.

Usare il proprio status come mezzo per ottenere favori sessuali sarà forse poco elegante,
ma vietarlo per legge significa negare la libera disposizione del proprio corpo.
Per ogni individuo che usa il suo status per ottenere sesso, ce n'è un altro che usa il sesso
per ottenere potere, soldi o altri privilegi. Vogliamo imporre limiti all'uso del potere erotico per
scopi estranei alle sue finalità? Chi può stabilire, se non noi stessi, quali sono gli scopi delle
nostre azioni e le finalità dell'esercizio dei nostri diritti? Arricchirsi per far colpo su qualcuno,
o fare colpo su qualcuno per arricchirsi, non può essere illecito in una democrazia liberale
avanzata.
Discriminazioni e caste: l'asimmetria non è un reato

Indipendentemente dalla liceità dello scambio tra Asia e Harvey, una vera e propria trattativa
(o minaccia) da parte di Weinstein non c'è mai stata. Asia Argento sostiene infatti che la
minaccia fosse implicita e dimorasse nella differenza di status tra i due: l'uno esperto, ricco e
potente, l'altra giovane e alle prime armi. La tesi è che questa asimmetria avrebbe creato un
condizionamento tale da porre automaticamente la Argento sotto ricatto e impedire una sua
decisione autonoma.

Esiste dunque il libero arbitrio in un contesto di squilibrio di poteri?​ ​Può un datore di lavoro
fare una proposta sessuale o avere una relazione affettiva con un suo dipendente? Può farlo
un medico con un suo paziente, uno studente col suo docente, un venditore col suo
acquirente, un prestatore di servizio col fruitore del servizio?
Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, che a 15 anni ha fatto l'amore
con la sua professoressa (attuale première dame di Francia), saprebbe certamente cosa
rispondere.

Diciamo subito che proibire legami sentimentali e interazioni sessuali tra persone con ruoli
sociali differenti è una barbarie. Censurare comportamenti in base a differenze di età, di
sesso, di ceto o di status, è un'aberrazione giuridica e morale che cancella il principio di
uguaglianza davanti alla legge, e disegna un sistema discriminatorio simile a quello delle
caste o a quello delle leggi razziali. Come nel terzo Reich erano proibiti rapporti sessuali tra
ariani e non ariani, come in India erano vietati matrimoni tra gruppi sociali diversi, oggi
stiamo accettando il principio che un rapporto sessuale tra persone di diverso rango può
costituire in sé reato; un reato che si configura non in base a ciò che si fa, ma in base a ciò
che si è, o al gruppo a cui si appartiene.

Dato che gli individui sono tutti in ogni aspetto diversi, è inevitabile che ci sia asimmetria nei
rapporti umani. I rapporti sono sempre asimmetrici. A volte questa asimmetria può provocare
disagio e imbarazzo, altre volte possiamo sentirci in soggezione dallo status di una persona,
ma chiamare questo disagio “intimidazione” e volerlo sanzionare per legge è assurdo. Il
sentirsi o meno intimiditi dal sesso, dal carisma, dallo status o dal potere di una persona non
può essere regolato per legge, e non può valere come prova di un crimine. Una semplice
proposta non può considerarsi ricatto o molestia in base ad una differenza sociale.

L'approccio sessuale di Weinstein ad Asia può essere giudicato poco elegante, ma


l'eleganza e le buone maniere non devono essere imposte per legge, meglio regolarle
socialmente come si fa in ogni altra circostanza della vita.
Mettiamo il caso che una ragazza povera sia l'amica di un ragazzo ricco, e da questa
amicizia derivino vantaggi per la ragazza tra cui inviti a cena, regali, feste, viaggi,
opportunità professionali, ecc.
In che modo una proposta sessuale da parte del ragazzo ricco alla ragazza povera sarebbe
diversa dalla proposta sessuale di un datore di lavoro al suo impiegato? In entrambi i casi
c'è una parte economicamente più debole che potrebbe sentirsi ricattata. Per assurdo il
MeToo dovrebbe battersi anche contro questo tipo di interazioni, chiedendo che diventino
reati.

Il consenso, sia se dato per attrazione fisica, interesse economico o calcolo politico, è
ugualmente consenso.
L'intimidazione e la minaccia non hanno niente a che fare con differenze di status e
asimmetrie, hanno invece a che fare con l'integrità fisica e i diritti inalienabili della vittima.
Si è vittima di abuso quando si è privati in modo illecito della libertà, ma nascere a Calcutta
invece che a Zurigo, o brutta invece che bella, non è una privazione illecita della libertà,
nonostante questi fattori limitano di fatto le possibilità di scelta delle persone.
Se inseriamo i condizionamenti ambientali nella categoria “ricatto”, non ne veniamo più a
capo perché siamo tutti in ogni istante condizionati da società, economia, cultura, salute,
strutture e sovrastrutture infinite. Non possiamo dirci ricattati dal fascino di una donna.
L'attrice non può dirsi sotto ricatto del suo desiderio di sfondare a Hollywood.

Affermare che donne povere e con lavori precari sono più esposte ai ricatti professionali è
come dire che uomini “brutti” sono più esposti alle truffe e ai ricatti sentimentali delle donne.
È ovvio che l'utilità marginale di un bene è maggiore per chi di quel bene ha meno
disponibilità, quindi un povero sarà più propenso di un ricco ad accettare proposte di lavoro,
e un “brutto” sarà statisticamente più disposto di un “bello” ad accettare proposte sessuali (a
parità di tutte le altre condizioni).
Se ci preoccupiamo dei rischi che le giovani donne hanno di subire proposte sessuali
indesiderate, perché non ci preoccupiamo dei rischi che le giovani donne hanno di ottenere
favoritismi di ogni tipo?

La ​reductio ad absurdum​ inconsapevolmente fatta dal MeToo per liberare l'umanità dai
condizionamenti, ha creato casi degni della Buoncostume o della Psicopolizia orwelliana.
Ryan Adams, ad esempio, è stato accusato di aver usato la sua aura di rockstar per far
colpo sulle groupie. Una vecchia amante di Liam Neeson lo ha denunciato ricordandosi che
un rapporto sessuale tra i due era stato semi-consenziente (anche se durante il rapporto non
si era presa la briga di dirlo). James Franco è stato denunciato da una sua ex fidanzata
dopo aver realizzato (grazie a MeToo) che il loro legame, solo apparentemente frutto di una
libera scelta, era in realtà forzato da una “dinamica di potere sbilanciata”, cioè dal fatto che
lui era più bello, ricco e famoso di lei.

Mettiamo il caso che il nostro capoufficio ci mostra la foto di sua moglie e gli diciamo che è
adorabile solo per compiacerlo; siamo stati ​costretti​ a mentire? Abbiamo subito un subdolo
ricatto basato sull'asimmetria sociale e sulla minaccia implicita di subire ritorsioni?
Se il fruttivendolo dopo anni si accorge che il prezzo di quelle pere era troppo basso, e la
sua vendita è stata forzata da rapporti di forze sbilanciati, può sporgere denuncia?

Siamo tutti sempre in posizione di dominio o di vulnerabilità rispetto ad altri: economica,


sessuale, intellettuale, sociale. I rapporti umani sono sempre anche rapporti di forza e di
status, non per questo possiamo parlare di coercizioni, ricatti e abusi. Non esistono rapporti
alla pari, nemmeno tra “pari”, ma differenze di aspetto, potere, cultura, età, e prestigio non
sono evidenze di reato o elementi del crimine, e non possono giustificare restrizioni delle
libertà.
Risolvere contenziosi sulla base di asimmetrie significa attribuire responsabilità penale non
più all'individuo ma al gruppo, alla classe, al sesso, alla religione o alla razza, come è stato
fatto negli anni più bui del ventesimo secolo.

Clima intimidatorio e mutazione della morale

La retorica perversa della libertà positiva sta mutando, oltre che le norme, anche la morale
pubblica promuovendo un puritanesimo da ​Lettera scarlatta​ applicato a tutti gli ambiti della
sfera sociale.
I collegi femminili ad esempio, un tempo considerati segno della sottomissione sessista, oggi
sono ​safe spaces​ assolutamente necessari alla civiltà. Persino il linguaggio è passato sotto
la scure a doppio taglio della nuova dottrina: la legge C-16 dell'ordinamento canadese
prevede sanzioni economiche e addirittura l'arresto per chi non rispetta la grammatica
politicamente corretta di Stato.
In Svezia la violenza, la minaccia o la condizione di vulnerabilità non sono più decisivi per
determinare uno stupro, basta la mancanza di consenso esplicito, ottenibile anche con
un'applicazione sul cellulare.
La simulazione di un incontro nell'epoca del consenso certificato via app ripetuto per ogni
fase del corteggiamento la immaginiamo così (ma saranno i bias del patriarcato):
– Posso toccarti la mano?
– Permesso accordato.
– Posso fare una battuta a doppio senso con riferimenti sessuali?
– Accetta richiesta.
– Posso fare un commento sul tuo aspetto estetico?
– Conferma consenso.
– Posso metterti una mano sul ginocchio?
– Autorizzazione concessa con riserva, vedi informativa allegata.

È vero che un comportamento passivo possa rivelarsi non consensuale, ma gli automatismi
previsti dalla legge svedese ci paiono grotteschi.

La campagna MeToo contro le molestie ha già ottenuto codici di condotta e protocolli in cui
si vieta categoricamente l'umorismo sul posto di lavoro; i contatti fisici; gli aperitivi tra
colleghi; la condivisione di taxi; tutto per prevenire disagi e “richieste implicite o esplicite di
prestazioni sessuali non gradite”, considerate vere e proprie aggressioni sessuali.
Ma come è possibile per il proponente sprovvisto di capacità divinatorie, sapere in anticipo
se la proposta verrà apprezzata o meno? Come si può essere vittima di una domanda?
Come si concilia la libertà di non venire importunati con la libertà di manifestazione del
pensiero garantita dalla Costituzione?

Catherine Deneuve ci ricorda che la libertà di importunare è fondamentale per la libertà


sessuale e per la libertà tout-court. Chiedere un rapporto sessuale non può essere reato, il
crimine sarà semmai ​costringere​ ad un rapporto sessuale.
Proposte lecite ma scortesi, arroganti e maleducate, devono essere trattate come trattiamo
la maleducazione: con sanzioni sociali. È ovvio che errori e ingiustizie possono verificarsi
anche nella sfera privata, ma saranno comunque preferibili alle ingiustizie di Stato.
Se il potente di turno crea un clima ostile, degradante e offensivo; se ha l'abitudine di
mettere in imbarazzo i suoi interlocutori, fare proposte inopportune o scegliere parametri
discutibili per premiare i suoi dipendenti, è giusto che la sua immagine e le sue finanze ne
risentano.
Come scrive Mises: ​“dal momento che l'occupazione non è un favore, ma una transazione
commerciale, il dipendente non ha bisogno di temere che possa essere licenziato se finisce
per essere antipatico. Poiché l'imprenditore che licenzia, per ragioni di pregiudizio personale,
un impiegato utile che vale la pena di pagare, fa male solo a sé stesso e non al lavoratore, il
quale può trovare altrove una posizione simile.”
Se l'imprenditore preferisce la compiacenza sessuale al talento pagherà un prezzo
economico e reputazionale, perderà l'impiegato competente, la produttività, i clienti e la
credibilità.
Chiedere sesso in cambio di soldi (una tantum o stipendio mensile) e chiedere soldi in
cambio di sesso può essere considerato volgare, immorale, illogico e improduttivo, ma non
può essere considerato illegale.

Garantire per legge educazione e buon gusto è pratica assai pericolosa. Stabilire a priori
centralmente cosa è “appropriato” e “politicamente corretto” equivale ad accettare il controllo
ideologico sui comportamenti privati che è tipico dello Stato etico.
Il buon gusto è relativo e variabile: se oggi non è appropriato fare una battuta sulle bionde,
domani non sarà appropriato farla sul governo, su un evento storico o su una teoria
scientifica.
Un giudizio schietto o un'avance sessuale può certamente turbare la nostra sensibilità, ma il
rischio di essere offesi è il prezzo da pagare per non vivere in un totalitarismo.
Per capire dove portano i progetti di palingenesi antropologica attuata tramite il controllo del
linguaggio non è necessario leggere romanzi distopici, basta studiare i regimi dittatoriali del
novecento. Quando lo Stato tenta di regolare per legge l'educazione, il gusto e la morale;
quando tenta di proteggerci da disagi, imbarazzi, discriminazioni, offese e molestie finisce
sempre per farlo a detrimento delle libertà fondamentali. Perché ciò che il bruco chiama “fine
del mondo” e “immorale”, il resto del mondo chiama “farfalla” e “libertà d'espressione”.

Incertezze del diritto

Quanto detto sinora va inquadrato in un progressivo offuscamento dei confini linguistici che
mette pericolosamente in discussione la certezza del diritto e il principio di legalità penale.
Quando il movimento MeToo si appropria di termini come “abuso”, “stupro” e “molestia” per
descrivere “perdita di comfort”, il risultato che ottiene è svuotarne la portata semantica
originaria, rendendoli meno efficaci nel descrivere fatti gravi.
Se non distinguiamo nettamente tra violenza verbale e violenza fisica; tra inappropriato e
violento, non rendiamo un buon servizio né alle vittime, né ai carnefici, perché l'infinita
discrezionalità delle definizioni impedisce la prevedibilità del diritto, che è una delle garanzie
fondamentali dello Stato liberale.

Già dal settecento Locke teorizzava la necessità di un assottigliamento dei comportamenti


punibili, escludendo ad esempio quelli che andavano incontro a disapprovazione solo
religiosa o solo sociale.
Come afferma Ayn Rand: “​Il governo non ha modo di reprimere innocenti, può solo
reprimere criminali. Ma quando non ci sono abbastanza criminali il governo li crea,
dichiarando così tante cose come un crimine che diventa impossibile vivere senza
infrangere le leggi”​ .
Il perimetro totalmente arbitrario della perdita di comfort può infatti espandersi fino a trovare
una potenziale offesa per ogni comportamento.

La corsa alle libertà positive ci sta portando a restringere i livelli di tollerabilità giuridica di
alcuni comportamenti, al punto da tutelare gli stati d'animo soggettivi e l'agio degli individui
più dei loro diritti primari.
Il goffo tentativo di dare un bacio al primo appuntamento ad esempio, in diversi paesi può
essere considerato un “assalto sessuale” con conseguente schedatura a vita nel registro dei
molestatori.

Per la cultura della vittimizzazione tutto, indipendentemente dalle intenzioni, può essere una
molestia se crea una qualche forma di disagio nel soggetto. Un motto di spirito, un contatto
fisico, un aggettivo, una vignetta satirica, una foto o uno slogan politico, se dà fastidio a
qualcuno è automaticamente “aggressione” o “micro-aggressione” degna di essere
sanzionata.
Ma proteggerci dalle micro-offese è davvero più importante di garantire la libertà di
espressione?
Il passo successivo sarà sentirsi offesi, molestati e turbati da una scollatura, da un ciuffo di
capelli, da una minigonna o da uno sguardo. E non parliamo solo di assurdi costumi da
integralismi islamici; negli occidentalissimi uffici Netflix da qualche anno è considerato
sessualmente molesto, quindi sanzionabile, guardare qualcuno per più di cinque secondi
consecutivi.

Rendere pervasiva e imprevedibile la regolamentazione delle interazioni umane non potrà


che inibire le interazioni stesse, creare un clima intimidatorio e una società di repressi di cui
saranno vittime soprattutto le donne.

Aporie del femminismo radicale

La narrazione dominante in base alla quale il patriarcato pervade la società odierna in ogni
suo aspetto negando i diritti delle donne è sostanzialmente falsa. È vero il contrario: le
donne sono spesso favorite da leggi biecamente discriminatorie quali le quote di genere e le
aggravanti per reati come il femminicidio, come la legge introdotta in Spagna nel 2004 che
riconosce maggiore lesività alla violenza commessa da un uomo rispetto all'identica violenza
commessa da una donna.
L'allarme sociale sul femminicidio va poi considerato in relazione al fatto che sono le
violenze sui maschi la stragrande maggioranza. Come può una cultura favorire gli uomini se
li uccide in media quattro volte più delle donne?

Prendiamo come altro esempio lo studio del 2016 di Christopher Krebs secondo cui il 20%
delle studentesse americane sono state vittime di violenza sessuale, il che sarebbe prova
inconfutabile della “cultura dello stupro” endemica e dilagante anche in occidente.
Analizzando la ricerca osserviamo che:
– Non è stata commissionata e realizzata da un ente neutrale
– Il campione non è rappresentativo
– La definizione di “sexual assault” si presta a interpretazioni eterogenee
– I dati non si basano su fatti accertati ma su dichiarazioni volontarie

Altre ricerche (vedi Sinozich & Langton 2014) riducono drasticamente la percentuale di
studentesse vittime di violenza o molestia allo 0,6% del totale, aiutando a leggere il
fenomeno da una prospettiva molto diversa.

Un serio problema interpretativo nasce poi dalla confusione tra quelli che sono gli input e gli
output di un certo modello economico e sociale.
Se la tesi è che l'uguaglianza formale delle leggi e l'uguaglianza delle condizioni di accesso
non sono sufficienti e serve uguaglianza anche nei risultati, a questo punto perché limitarsi a
garantire uguale salario e uguale rappresentanza solo ai due generi?
Perché chiedere le quote di genere e non le quote per transessuali? Oppure le quote per
buddhisti? Non hanno anche loro diritto, come gruppo, ad essere rappresentati?

Ci sono innumerevoli categorie in cui possiamo classificare le minoranze: etnia, religione,


lingua, istruzione, età, stato di salute, estrazione sociale, provenienza geografica,
orientamento sessuale, condizione familiare, ecc. E queste categorie possono anche
combinarsi tra loro, dando vita a infiniti incroci di potenziali svantaggiati da proteggere.
Se una donna subisce più discriminazioni di un uomo, una donna povera ne subirà più di
una ricca e così via. Come inseriamo un uomo nero povero e omosessuale in questa
graduatoria degli svantaggi, rispetto ad una donna bianca ricca? Chi dei due merita più
tutele?

Il femminismo radicale condanna la differenza di salario tra uomini e donne, ma accetta


volentieri la differenza di condanne penali, di morti sul lavoro e di aspettativa di vita.
Il fatto che gli uomini guadagnano più delle donne è vista come un'ingiustizia, ma il fatto che
ci sono più uomini condannati (in proporzione ai processi) è la prova della loro aggressività.
Uno studio sulle differenza di genere nelle condanne penali in USA dimostra che per reati
identici un imputato uomo ha doppie probabilità di essere giudicato colpevole rispetto ad una
donna.
Il fatto che il 90% degli psicologi e degli archeologi siano donne è dovuto alle discriminazioni
di una società sessista intrisa di matriarcato? O il fatto che il 90% dei contributori di
Wikipedia siano uomini è dovuto alla lobby del patriarcato no-profit?
Se prevale il principio di uguaglianza nei risultati a scapito dell'uguaglianza nei punti di
partenza, come rimediamo al fatto che gli uomini vivono in media sei anni meno delle
donne?
Che propone il MeToo per correggere il ​gender gap​ tra i carcerati (93% uomini), tra le morti
sul lavoro (97% uomini), tra i suicidi (75% uomini), tra le vittime di omicidi (80% uomini), tra i
senzatetto (87% uomini) e tra i morti in guerra (99% uomini)?
Se è vero che la nostra società valuta il lavoro degli uomini più di quello delle donne, è
anche vero che valuta la vita delle donne più di quella degli uomini.

Ci sono diverse partite che si possono giocare nell’esistenza, in alcune sono più
avvantaggiati gli uomini, in altre le donne. Non è coerente costruire una carriera giocando
sul fatto di essere oggetto di desiderio sessuale e poi criticare il maschilismo della cultura
occidentale.
Assumere o dare premi in base a simpatia, disponibilità, aspetto fisico o idee politiche è
quello che avviene normalmente ogni giorno in una società libera. Indossatori vengono
ingaggiati in base al loro aspetto fisico; comici in base alla loro simpatia; funzionari di partito
in base alle loro idee politiche.
Sono i datori di lavoro che devono stabilire i criteri per essere reclutati nelle proprie aziende;
sono gli elettori che devono scegliere i loro rappresentanti; sono gli azionisti che devono
stabilire gli stipendi dei propri amministratori delegati.
Il fatto che i datori di lavoro non possono differenziare le modalità di assunzione di crescita
professionale dei lavoratori è una limitazione della libertà d'impresa. Perché la distribuzione
corporativa deve valere più del talento?
Se possiamo scegliere le nostre frequentazioni in base a sesso, etnia, religione, preferenze
politiche e disponibilità, perché non possiamo fare altrettanto con i nostri impiegati e
collaboratori? Vogliamo imporre delle quote anche alle feste e agli inviti a cena? Oppure
decidiamo che dopo le 19:00 le discriminazioni sono tollerate?

Assumere basandosi sulla simpatia o sull'aspetto fisico è ugualmente discriminatorio che


assumere sulla base di quote riservate alle minoranze, con la differenza che nel secondo
caso la discriminazione è istituzionalizzata. Mentre i privati rispondono sempre della loro
reputazione e della loro performance sul mercato, le discriminazioni imposte per legge nel
tentativo di modificare la realtà mediante interventi di ingegneria sociale calati dall'alto sono
terrorizzanti.
"C'è una enorme differenza tra trattare le persone in modo uguale e cercare di renderle
uguali"​ dice Hayek.
Uguaglianza formale e sostanziale, come libertà positiva e negativa, sono principi in antitesi
oppositiva non dialettica, in cui un elemento esclude sempre l'altro. Per imporre
l'uguaglianza (non nei punti di partenza, ma nei punti di arrivo) tra soggetti diseguali si
finisce sempre e inevitabilmente per erodere l'uguaglianza ​de iure​, ovvero quella più
basilare.

Esempio:
– L'accesso alla posizione X è data dal merito, senza distinzioni di genere (uguaglianza formale)
– Si stabiliscono quote per garantire la presenza di minoranze (uguaglianza sostanziale)
– L'accesso alla posizione X non è data più dal merito (erosione dell’uguaglianza formale)

Al posto di parcellizzare e lottizzare i premi, non è meglio assegnarli semplicemente a chi li


merita, ovvero lasciare liberi i singoli cittadini, quando possibile, di decidere quali siano i
criteri di meritocrazia?

Pretendere parità negli stipendi è poi una delle mosse più controproducenti che il movimento
femminista possa fare.
Se per qualsiasi motivo un genere è in media preferibile all’altro in una determinata
mansione, imporre uguale salario servirà solo a tenere i meno produttivi fuori dal mercato
del lavoro, perché è ovvio che a parità di costo verranno scelti i più qualificati.
Se invece la produttività dei generi è in media equivalente, ed è il datore di lavoro a fare
discriminazioni arbitrarie, differenziare i salari è l’unico modo per fargli pagare il prezzo dei
suoi pregiudizi.
Analizziamo, ad esempio, il caso di un imprenditore che discrimina ingiustamente le donne.
Con salari forzatamente uguali, assumere solo uomini non avrebbe conseguenze
economiche per lui. Con disparità nei salari invece, assumere solo uomini avrebbe un costo.
Viceversa l’imprenditore senza pregiudizi avrebbe solo da guadagnare ad assumere
collaboratori donne ugualmente competenti ad un prezzo inferiore. Questo sistema di
incentivi e disincentivi non può che portare nel medio termine all’effettiva parità di salari tra
pari.

Ogni volta che lo Stato impone un salario o una quota compie una discriminazione
incostituzionale, perché punisce e premia gli individui in base ad una loro condizione
personale o sociale.
Il paradosso del femminismo radicale è che imponendo salari, prezzi, quote, aggravanti e
attenuanti, nega la pari dignità sociale e l’uguaglianza davanti alla legge, che torna quindi a
fare distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali.

MeToo non tratta gli individui come agenti morali

Per proteggere i maggiorenni da sé stessi il MeToo sta scivolando verso la reintroduzione


del reato di plagio, e verso un paternalismo bigotto in cui il libero arbitrio è annientato dal
conformismo alla morale dominante e i cittadini non sono più agenti morali ma soggetti
passivi da porre sotto tutela.

Con il Caso Weinstein-Argento è passato il principio che può esserci violenza anche con il
placet della vittima, e che la volontà espressa sul momento non ha alcun valore rispetto alla
successiva opinione di un giudice. Questo assunto è di una gravità disarmante perché
espropria donne e uomini del loro statuto di soggetti autonomi e cancella il diritto a disporre
di sé stessi.
Se una persona non è responsabile delle proprie azioni non è libera. Libertà e responsabilità
sono inseparabili. Proteggere un individuo dalle conseguenze delle sue stesse azioni
significa togliergli la facoltà di agire e la facoltà di autodeterminarsi.

La cultura della vittimizzazione cavalcata dal MeToo si basa proprio sulla rinuncia alla
respons-abilità,​ ovvero all'​abilità​ di ​rispondere,​ nell'illusione di avere più protezione e più
diritti.
Ma promuovere il ruolo di vittima e lo stato di impotenza, incoraggiando l'aggressività
passiva come mezzo per ottenere vantaggi economici e sociali è un'altra arma a doppio
taglio.
Se “mi ha convinto” può diventare “mi ha plagiato” e quindi “mi ha costretto”, non esiste più
un modo legale di interagire tra esseri umani.

Un principio cardine del diritto penale, valido da almeno duemila anni, è che senza vittima
non può mai esserci reato (​nullum crimen sine iniuria)​ . Se però la vittima non è padrona
della propria coscienza, delle proprie azioni e della propria volontà, i reati possono
nascondersi ovunque.
Permettere di revocare il consenso dato ad un atto sessuale non significa solo rendere tutti
ricattabili, ma creare i presupposti per negare la libertà sessuale attraverso lo Stato di polizia
e la totale incertezza del diritto.

Può un'attrice scegliere di concedersi sessualmente per ottenere benefici lavorativi? Esiste
la facoltà di fare sesso o sposarsi per convenienza?
Arrogarsi il diritto di decidere cosa è violento, cosa è morale e cosa è lecito nella sfera
privata degli altri, contro l'opinione stessa dei soggetti coinvolti, non è ammissibile.
Quando un adulto non può decidere cosa fare del suo corpo, perché “sul momento la
violenza può sfuggire alla sua percezione”, si sta di fatto demolendo la libertà di coscienza.
L'articolo uno della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo andrebbe quindi riscritto
così: “gli esseri umani nascono liberi ma, dato che la nocività di alcuni comportamenti può
sfuggire alla loro comprensione, devono stare sotto potestà. Essi sono dotati di ragione e
coscienza, ma alcune volte queste sono offuscate, quindi non bisogna tenerne sempre
conto. Deve essere invece lo Stato l'arbitro finale del loro destino”.

Se può esserci violenza anche senza coercizione, e se un comportamento può costituire


reato anche con il pieno ed esplicito consenso della vittima, significa che su se stesso, sulla
sua mente e sul suo corpo, l’individuo non è sovrano; e se non siamo padroni del nostro
corpo, del nostro pensiero e delle nostre azioni, siamo schiavi.
Non possiamo essere puniti per il modo in cui interpretiamo la nostra sessualità.
Se non siamo liberi di farci violenza non siamo liberi. Solo noi possiamo decidere cosa è
dignitoso, cosa è violento e cosa è desiderabile fare col nostro corpo; se è giusto
maltrattarlo, venderlo per denaro o per fama, regalarlo, martoriarlo con l'astinenza, buttarlo
via, nasconderlo o esibirlo in favore di telecamera. Il potere non deve limitare le nostre scelte
perché crede, contro la nostra opinione, che stiamo subendo violenza. Confondere tra
“morale” e “penale” e imporci il marchio di vittima contro la nostra volontà, non sono che
modi subdoli per controllarci.
Inquietanti applicazioni pratiche di queste teorie regressive le vediamo nella legge 967
approvata in Californiana che considera “stupro” il sesso consenziente fatto sotto effetto di
alcol o droghe.
E se entrambi i partner hanno bevuto? Sono entrambi stupratori.
Perché, ci chiediamo, l'assassino brillo è considerato responsabile delle sue azioni e
l'amante brillo no?

La protezione si dà al prezzo della libertà. Eccessiva protezione nei flirt, nel sesso, nel
linguaggio, nei rapporti lavorativi e nelle interazioni quotidiane, ci costerà molto più di quanto
i neo-femministi stessi immaginano.

Il plagio

Se il sesso tra Weinstein e Argento è stato consensuale, e se non c'è stata alcuna minaccia
da parte di Weinstein, per esserci un illecito Asia Argento deve essere stata manipolata e
ridotta in stato di soggezione psichica, ovvero plagiata. Ma il reato di plagio, introdotto in
Italia dal fascismo, è una bestialità giuridica senza eguali perché non riconosce lo statuto
legale degli individui. Nel diritto romano infatti ​plagium​ era la cooptazione di una schiavo
altrui, che doveva essere tenuto sotto controllo anche riguardo alle sue decisioni personali.
Con il reato di plagio il confine tra legittima persuasione, ricatto e riduzione in schiavitù viene
meno, e qualsiasi interazione umana o scelta individuale può tranquillamente essere messa
in discussione e sanzionata da un tribunale.

Per dare un'idea dell'assurdità a cui può arrivare questa impostazione citiamo un fatto
realmente accaduto. Nel 1962 il Tribunale di Roma stabilì che il rapporto privato tra due
adulti consenzienti era illegale, quindi impose nove anni di reclusione al primo e quindici
mesi di internamento al secondo.
Il motivo della decisione era l'asimmetria della loro relazione: anagrafica, sociale e culturale,
quindi la presenza di un assoggettamento, di un plagio.
I due si chiamavano Aldo Braibanti e Giovanni Sanfratello e avevano quasi le stesse età di
Harvey Weinstein e Asia Argento all'epoca dei fatti in esame.
I reati addebitati a Braibanti, come quelli addebitati a Weinstein, si riducono nell'aver indotto
una persona, attraverso la sua influenza, a compiere determinate scelte al posto di altre,
ovvero a concedersi sessualmente.
Come oggi il movimento MeToo, anche all'epoca il Tribunale di Roma argomentava che la
violenza era sottile, non esteriore, dovuta al carisma, alla differenza di status e di forza
intellettuale e sociale.

Ma la persuasione, se fatta con mezzi leciti, non può essere considerata crimine perché ci
condizioniamo tutti reciprocamente in ogni istante della nostra vita. La persuasione è il cuore
della convivenza civile, la usiamo al posto della violenza per trovare accordi e risolvere
controversie. Condannare la capacità persuasiva di qualcuno è lunare.
Non si può mettere fuori legge la capacità di influire sugli altri, ed è impossibile distinguere
oggettivamente tra ricatto psicologico, legittima persuasione e plagio.
Qual è, ad esempio, la differenza tra la un produttore che seduce un'attrice e un prete che
usa il suo ascendente per convincere una ragazza ad indossare il cilicio e chiudersi in
clausura?

Nel 1981 la Corte costituzionale italiana cancella il reato di plagio proprio per
l'indeterminatezza della norma e l'impossibilità di attribuire ad essa un contenuto oggettivo,
coerente, logico, razionale e verificabile, quindi a rischio di intollerabili arbitrii dell'organo
giudicante.
Non può esservi plagio senza violenza o minaccia, e la violenza non deve derivare da
suggestione ma deve essere tale da coartare oggettivamente la libertà.

Ecco uno stralcio significativo della sentenza che coglie il punto:


“Fra individui psichicamente normali, l’esternazione [...] può dar luogo ad uno stato di
soggezione psichica [...] pertanto una limitazione del determinismo del soggetto. Questa
limitazione, come è stato scientificamente individuato ed accertato, può dar luogo a tipiche
situazioni di dipendenza psichica che possono anche raggiungere, per periodi più o meno
lunghi, gradi elevati come nel caso del rapporto amoroso, del rapporto fra il sacerdote e il
credente, fra il maestro e l’allievo, fra il medico e il paziente ed anche dar luogo a rapporti di
influenza reciproca. Ma è estremamente difficile se non impossibile individuare sul piano
pratico e distinguere a fini di conseguenze giuridiche l'attività psichica di persuasione da
quella anch'essa psichica di suggestione. Non vi sono criteri sicuri per separare e qualificare
l’una e l’altra attività e per accertare l’esatto confine fra esse.”

Il cortocircuito logico del reato di plagio è nascosto nell'assolutismo culturale che ne è alla
base, ovvero nel considerare la propria visione del mondo assoluta e non relativa, quindi
imporla con violenza agli altri. Per il legislatore fascista la libertà era “libertà di fare il bene”
seguendo l'etica di Stato. Se un soggetto sceglieva di seguire una morale diversa da quella
di regime era la prova che non era libero, che era stato quindi plagiato.
Il reato di plagio non serviva a tutelare la libertà, al contrario era un mezzo di repressione e
persecuzione. Con il pretesto di punire “chiunque sottoponga una persona al proprio potere”,
colpiva in realtà ogni tipo di anticonformismo.

Anche oggi la protezione dalle molestie rischia di essere una copertura ideologica per il
controllo sociale che il potere, qualunque esso sia, esercita sui cittadini. L'estensione delle
tutele in stile MeToo è pericoloso, e lo si paga con la totale incertezza del diritto e la rinuncia
a conquiste fondamentali come l'articolo 3 della Costituzione sull’uguaglianza, l’articolo 13
sulla libertà personale, l'articolo 21 sulla libertà di espressione e l'articolo 25 sulla legalità
della pena.
Nel caso Braibanti lo Stato, forse anche in buona fede, per proteggere un ragazzo dagli
abusi di un rapporto asimmetrico, ha ritenuto giusto rapirlo, chiuderlo in manicomio e
sottoporlo a quaranta elettrochoc, creando un'infamia peggiore dell'affare Dreyfus che i
digiuni di storia sono condannati a ripetere.

Conclusioni
La ​stanza tutta per sé​ a cui ambiscono i femministi di oggi non è più l’ideale di libertà e
indipendenza di Virginia Woolf, ma una cella rosa confetto nel Panopticon del conformismo.
Perché l’ondata MeToo, punta di diamante dei movimenti identitari, ha fatto passare per
progresso morale un arretramento su tutta la linea dei diritti e della civiltà giuridica.

E' giusto che donne e uomini segnalino pubblicamente comportamenti scorretti e mettano
alla berlina datori di lavoro poco seri, ma se passa l'idea che il consenso ad un'azione può
essere ritirato a posteriori, o che la differenza di status costituisca prova di reato, si rinuncia
a garanzie basilari dello Stato di diritto. Se può esserci reato indipendentemente
dall’opinione e dalla volontà espressa dalla vittima, siamo tutti in potenziale pericolo. Se il
consenso non conta nulla, non solo si umilia l'individuo cancellando la libertà di
autodeterminazione e il principio di responsabilità personale, ma si rende tutti ricattabili.

MeToo ha spacciato per conquista di civiltà l'inversione dell'onere della prova introdotta nei
campus americani per gli esposti di molestie, dove la nuova formula “preponderanza della
prova” ha sostituito quella “oltre ogni ragionevole dubbio” nei processi interni.
Lo slogan “we believe survivors” descrive a pieno questa follia giuridica. Immaginiamo se un
giudice affermasse “io credo all'accusa” o “io credo solo agli uomini” o “io credo solo ai
bianchi” cosa succederebbe.
Eliminando la presunzione di innocenza e spostando l'onere della prova da chi accusa a chi
è accusato si cancella una conquista giuridica millenaria e si crea terreno fertile per ogni
genere di abusi, falsità e ricatti.
Se una pubblica denuncia porta automaticamente simpatia e attenzione mediatica senza la
responsabilità di dimostrare ciò che si afferma, l'incentivo è alla calunnia e alla simulazione
di reato.

MeToo purtroppo non è una rivoluzione, è esattamente l'opposto: un patibolo puritano, una
caccia alle streghe medioevale che sospende lo Stato di diritto e le garanzie costituzionali;
un cancro tirannico che mette in discussione conquiste fondamentali come l'equità del
processo, la terzietà del giudice e la conformità alle leggi.
MeToo è un distillato di ignoranza, narcisismo, moda, superficialità, isteria, fanatismo,
paranoia, manie persecutorie, giustizia sommaria, lobbismo corporativo e abusi di potere,
che non serve a tutelarci ma ad ottenere effimere rendite di posizione a scapito di consolidati
diritti individuali.

Questa non è una battaglia violentati contro violentatori, è libertari contro totalitari, perché è
quella dei totalitarismi la libertà a cui mira MeToo: la libertà di riconoscersi nel corpo sociale,
di conformarsi all'identità di gruppo, alla prassi condivisa, ai tabù di regime, alla morale
dominante.
Non riconoscere il meccanismo tipicamente inquisitorio dei processi indiziari, l'equivalenza
tra accusa e condanna, la trasformazione del sospetto in colpevole, la celebrazione della
gogna e l'ostentazione pubblica della punizione che è in atto; far finta di non vedere
l'ideologia reazionaria che si cela dietro il fanatismo neo-femminista, la politica di
discriminazioni e la cultura della vittimizzazione, apre ai pericoli di una società coercitiva alla
Handmaid's Tale in cui, nel tentativo di difendere le vittime da loro stesse, si vivrà nel terrore
e nell’impossibilità di esprimersi.

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