Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Indice.
Prefazione.
Note.
Nota bio-bibliografica.
Premessa.
Introduzione.
L'inizio.
La sua memoria.
Note.
Il suo mondo.
La sua mente.
La sua volontà.
La sua personalità.
Uno sguardo al futuro.
Appendice.
Bibliografia.
Note.
Prefazione.
NOTE.
Nota bibliografica.
Aleksandr Romanovitch Lurija è nato a Kazan nel 1902. Laureatosi alla
Facoltà di scienze sociali nell'università di Kazan, dal 1923 cominciò a
lavorare nell'Istituto di psicologia sperimentale di Mosca. Nel 1937 si
laureò in medicina all'università di Mosca, dove attualmente dirige il
Laboratorio di neuropsicologia dell'Istituto Burdenko di neurochirurgia
ed è professore al Dipartimento di psicologia.
La bibliografia di Lurija è vastissima; le opere citate nella prefazione
non sono che le più note. L'elenco dei volumi tradotti nelle lingue
occidentali si trova in L. Mecacci. "Western literature on Soviet
psychology: a selected bibliography", in "Conditional Reflex" (in corso
di stampa). In lingua italiana è stato tradotto: "Le funzioni corticali
superiori nell'uomo", Firenze, Giunti, 1967; "Il ruolo del linguaggio
nella formazione di connessioni temporali e la regolazione del
comportamento nei bambini normali e oligofrenici", in "Psicologia e
pedagogia", a cura di M. Cecchini, Roma, Editori Riuniti, 1969,
"L'organizzazione funzionale cerebrale", in "Le scienze", 1970, n. 22;
"Linguaggio e comportamento", Roma, Editori Riuniti, 1971.
Premessa.
Questa estate l'ho passata lontano dalla città. Dalle finestre spalancate
arrivava il fruscio degli alberi e l'odore dei campi, sul mio tavolo
stavano sparsi appunti ingialliti: e io mi sono trovato a scrivere un
piccolo libro su uno strano individuo, musicista e giornalista mancato,
che era divenuto un mnemonista, era entrato in rapporto con molte
personalità della cultura e, fino alla fine della vita, era rimasto una
specie d'uomo incompiuto, sempre in attesa che qualcosa di bello gli
avvenisse. Molte cose egli ha insegnato a me e ai miei amici, ed è quindi
giusto che questo piccolo libro sia dedicato alla sua memoria.
Estate 1965.
A. R. Lurija.
Introduzione.
Questo piccolo libro su una grande memoria ha una storia assai lunga. Per
la durata di quasi trent'anni l'autore ha avuto modo di osservare
sistematicamente un uomo, la cui memoria eccezionale era da annoverarsi
tra le più forti che siano note alla letteratura sull'argomento.
Molto è il materiale che, nel corso di questo periodo, è venuto a
raccogliersi, tanto da permettere non solo lo studio delle forme e dei
procedimenti principali di tale memoria, che praticamente non aveva
limiti, ma anche di descrivere, in base alle osservazioni da noi
condotte, le caratteristiche salienti della personalità di quell'uomo
singolare.
A differenza di altri psicologi, che si sono dedicati a indagini su
persone dotate di una memoria eccezionale, l'autore non si è limitato
alla misurazione della estensione e della durabilità di quest'ultima, o
alla descrizione dei procedimenti che il soggetto delle sue esperienze
usava per la rievocazione e la riproduzione del materiale. Assai più
interessanti gli sono apparsi altri problemi. Quali riflessi ha una
memoria eccezionale su tutti gli aspetti principali della personalità
umana, cioè sul pensiero, sull'immaginazione, sul comportamento? Quali
alterazioni può subire il mondo intimo d'un uomo, il suo rapporto con gli
altri, il suo stile di vita, se uno solo dei lati della sua attività
psichica - la memoria - ha uno sviluppo abnorme, e quindi introduce un
mutamento in tutti gli altri lati dell'attività psichica?
Un approccio di questo genere all'indagine dei fenomeni psichici non è
cosa frequente nella scienza psicologica, che più spesso si occupa delle
peculiarità della sensazione e della percezione, dell'attenzione e della
memoria, del pensiero e dell'emozione, e solo raramente prende in esame
il problema della dipendenza di tutta la struttura psichica d'un
individuo da uno dei lati dell'attività psichica.
E' un genere di approccio, però, che ha la sua storia. Esso è stato
adottato universalmente in medicina, dove il clinico perspicace non
limita mai il suo interesse al sintomo, oggetto della sua indagine, ma
sempre si sforza di comprendere in che modo il disturbo d'un particolare
processo si ripercuota sul decorso di tutti gli altri processi
dell'organismo, e in che modo le alterazioni di tali processi (che in
ultima analisi hanno un'unica radice) conducano ad un'alterazione
dell'intero organismo, e all'insorgenza d'un quadro "morboso globale", di
quella cioè che in medicina si chiama una "sindrome".
Lo studio d'una sindrome include sia la conversazione col paziente, sia
una serie di speciali procedimenti sperimentali, a volte psicologici, a
volte fisiologici: non deve, insomma, limitarsi all'osservazione clinica
delle circostanze morbose. E altrettanto degne d'essere indagate sono le
alterazioni che l'abnorme sviluppo d'uno degli aspetti dell'attività
psichica ha l'effetto di produrre sull'intera struttura della vita
psichica, su tutta la personalità. Anche noi, in casi simili, ci
troveremo a che fare con delle "sindromi", alla base delle quali c'è un
unico fattore; solo che non saranno, le nostre, sindromi cliniche, ma
psicologiche. E' appunto dell'insorgenza d'una di tali sindromi - una
sindrome prodotta da una eccezionale memoria - che noi ci occuperemo nel
presente studio. L'autore spera che gli psicologi, quando lo avranno
letto, si sforzeranno di scoprire e descrivere altre sindromi
psicologiche, e d'indagare quali caratteristiche si determinino
nell'individuo in seguito all'abnorme sviluppo della sensibilità o
dell'immaginazione, della facoltà d'osservazione o del pensiero astratto,
della volontà di potenza o della soggezione a una sola idea. Sarebbe,
questo, l'inizio d'una psicologia concreta che non verrebbe a perdere
nulla del suo carattere scientifico.
Il fatto che un simile tipo d'indagine prenda le mosse dall'analisi d'una
memoria eccezionale, e dalla parte da essa esercitata nella formazione
della vita psichica d'un individuo, non è senza vantaggi.
In quest'ultimi anni, infatti, lo studio della memoria, che per lungo
tempo era rimasto stagnante, è tornato a trovarsi al centro di animate
ricerche e di frenetici sviluppi. Questo progresso è dovuto allo sviluppo
d'un nuovo ramo della tecnica: quello dei calcolatori e ad un nuovo
settore della scienza: la bionica, che ci ha costretto a considerare con
attenzione tutti i fenomeni riguardanti il funzionamento della nostra
memoria, e ad approfondire lo studio dei processi soggiacenti alla
«registrazione» del materiale recepito e alla «lettura» delle tracce.
Questo progresso è legato, altresì, alle ultime acquisizioni scientifiche
sul cervello, sulla sua struttura, fisiologica e biochimica.
Tutti questi campi non saranno da noi trattati nel presente studio allo
stesso modo che non sarà neppure trattata tutta la ricca letteratura
sull'argomento. Il nostro è un piccolo libro dedicato "a un solo"
individuo, il quale si trova in possesso d'una memoria, di tipo sensorio-
visivo, eccezionale per il suo sviluppo: questo ipersviluppo determina
nella sua personalità delle caratteristiche straordinarie. L'autore
cercherà di dare una descrizione quanto più possibile completa delle
peculiarità da lui osservate in quest'uomo nel corso d'un lungo periodo
di tempo; e non oltrepasserà, nel suo studio, i limiti di quanto gli è
stato fornito dalle osservazioni fatte intorno a un tale notevolissimo
"experimentum naturae".
L'inizio.
La sua memoria.
Lo studio della memoria di S. ebbe inizio nel 1925, quando egli svolgeva
il suo lavoro di giornalista. Si è protratto poi per molti anni, mentre,
tralasciate varie professioni, egli si era tutto consacrato alla
mnemotecnica, esibendosi in pubblico.
Durante questo lasso di tempo, i processi mnestici di S., pur conservando
la loro struttura iniziale, vennero ad arricchirsi di nuovi metodi, e
divennero psicologicamente diversi.
Noi prenderemo in esame le caratteristiche della sua memoria nelle tappe
successive.
Dati iniziali
Tabella 1.
6 6 8 0
5 4 3 2
1 6 8 4
7 9 3 5
4 2 3 7
3 8 9 1
1 0 0 2
3 4 5 1
2 7 6 8
1 9 2 6
2 9 6 7
5 5 2 0
x 0 1 x
Tabella 2.
Z C S T I P R
K P O S M K S
L T O A L Ch T
M T Z S K R C
eccetera
Le sinestesie.
Non esisteva dunque, per S., quel confine ben netto che, per tutti noi,
divide la vista dall'udito, l'udito dal tatto o dal gusto. Quei residui
di sinestesi che, in molti dei comuni individui, si conservano solo in
forma rudimentale (chi non sa che i suoni alti e bassi appaiono
diversamente colorati, che vi sono toni «caldi» e «freddi», che le parole
«venerdì» e «domenica» hanno un alone di colore diverso?), erano rimasti
in S. come la connotazione fondamentale della sua vita psichica. Apparsi
in lui assai precocemente e serbatisi poi fino agli ultimi giorni, erano
essi che - come vedremo in seguito - segnavano della loro impronta la sua
percezione, il suo apprendimento, il suo raziocinio, ed entravano come
componente essenziale nella sua memoria.
Il richiamo «per linee» e «per spruzzi» entrava in vigore nei casi in cui
S. veniva a trovarsi di fronte a suoni isolati, a sillabe senza senso, a
parole sconosciute. In questi casi egli segnalava che suoni, voci o
parole gli suscitavano dentro delle impressioni visive: «globi di fumo»,
«spruzzi», «linee diritte o spezzate»; a volte gliene nascevano
sensazioni gustative sulla lingua, altre volte sensazioni di morbido o di
pungente, di liscio o di ruvido.
Queste componenti sinestesiche d'ogni stimolo visivo, e specialmente
uditivo, erano, nel primo periodo dell'evoluzione di S., una
caratteristica essenzialissima della sua capacità mnemonica, e solo più
tardi - con lo svilupparsi della memoria concettuale e figurativa -
vennero a ritrarsi in un secondo piano, pur continuando a conservarsi in
ogni sua rievocazione.
Il valore obiettivo di tali sinestesie, per il processo rievocativo,
stava nel fatto che le componenti sinestesiche creavano una specie di
sfondo a ogni ricordo, apportando il complemento d'una informazione «in
soprappiù» e garantendo l'esattezza del ricordo stesso: se infatti (e lo
vedremo più innanzi) S. ripeteva una parola in modo inesatto, quelle
sensazioni sinestesiche complementari, non trovandosi a coincidere con la
parola originaria, lo avvertivano che, nella sua riproduzione, «qualcosa
non andava», e lo costringevano a correggere l'inesattezza sfuggitagli.
Parole e immagini.
"Quando io sento la parola "verde", appare un vaso verde con dei fiori;
"rosso", appare un uomo con la camicia rossa, che mi si avvicina. Se
sento "azzurro", ecco da una finestra qualcuno che sventola una bandiera
azzurra... Perfino le cifre mi rammentano delle immagini... Così l'1 è un
uomo fiero, diritto; il 2, una donna allegra; il 3, un uomo accigliato,
non saprei perché... Il 6 è un tale a cui si è gonfiato un piede; il 7,
uno coi baffi; l'8, una donna molto grassa, un sacco su un altro... E
così, a sentire 87, io vedo questa grassona in compagnia d'un uomo che si
torce i baffi."
Difficoltà.
L'eidotecnica.
"So che io debbo far attenzione a non lasciar fuori nessun oggetto: e
allora lo faccio più grande. Per esempio, vi ho detto la parola "uovo":
siccome era facile non avvedersene, non solo lo faccio più grande, ma lo
appoggio alla parete d'una casa, e lo metto meglio in luce con un
lampione... Ormai, non colloco più degli oggetti in un punto di passaggio
oscuro... Che ci sia una buona luce e allora mi riuscirà facile
scorgerli!
(giugno 1935)."
"Mi dicono: 'ubi bene ibi patria'. Io non so di che si tratti... Ma,
d'improvviso, mi sorgono di fronte Bènja [Beniamino] ('bene') e 'pater'
(mio padre)... e non faccio che ricordare: stanno tutt'e due in una
casettina dentro ai boschi, e... litigano fra loro...
(dicembre 1932)."
"Nel": io avevo pagato la quota del club, e là, nel corridoio, c'era la
ballerina Nelskaja;
"mezzo": io sono un violinista e avevo posto accanto ["vmeste"] a lei un
violinista che suonava lo strumento;
"del": accanto ci sono delle sigarette "Dely";
"cammin": pure lì accanto c'è un caminetto ["kamin"];
"di": c'era una mano che indicava la porta ["dver"];
"nostra": c'era un naso ["nos"], un uomo batteva il naso in quella porta
e ce lo schiacciava contro;
"vita": l'uomo sollevava un piede attraverso la soglia dove giaceva un
bambino, cioè la "vita", vitalismo; ["vitalizm"];
"mi": avevo collocato lì un'ebrea, che appunto diceva «mi» (pronuncia
ebraica del russo "my": noi), «noialtri qui siamo di troppo»;
"ritrovai": questo era un alambicco ["retorta"], una specie di pipa di
vetro, trasparente, che ecco cadeva in terra e allora la mia povera ebrea
correva via gridando: «"vaj"», e questo era "vaj";
"per": quella fuggiva e intanto, all'angolo della Lubjanka, su una
carrozzella da nolo, ecco spuntare mio "padre";
"una": all'angolo di via Sucharevka c'era piantato un poliziotto dritto
impalato, che stava là come un bellissimo 1;
"selva": al suo fianco colloco un palco sul quale si mette a danzare una
certa "Selva"; ma perché non fosse la celebre Silva le assi del palco le
crepano sotto: questo è il suono della vocale "e";
"oscura": dal palco sporge in fuori un asse ["os"]: sporge proprio in
direzione d'una gallina ["kuritsa"]: cioè, "os-cura";
"che": potrebbe essere un cinese, Ce-cen [si noti che il "che" era stato
erroneamente pronunciato come un "ce" (n.d.a.)];
"la diritta": accanto colloco una donna, una parigina, cioè la mia
assistente Margarita;
"via": e lei che dice «via» ["vasa" (vasha), vostra] e mi tende la mano;
"era": ne accadono di fatti strani nella vita d'uomo: io ho bevuto una
bottiglia intera di champagne, è per me una cosa che fa epoca, apre
un'"era" nuova;
"smarrita": ed ecco che vedo un tram, dove la bottiglia di champagne fa
da conducente. Nel tram c'è seduto un ebreo col taleth sulle spalle, che
legge lo "Schma Israel", cioè "sma", e con lui sua figlia "Rita";
"Ahi": in ebraico equivale al russo "ahà!" Qui io avevo situato sempre
nella stessa piazza un uomo che starnutiva: apscí!, cosicché me ne
balenavano le lettere ebraiche "a" e "h"...;
2quanto": qui al posto di quinta musicale avevo messo un pianoforte e
siccome la vocale "a" ha per me un suono bianco si trattava d'un
pianoforte coi tasti tutti bianchi;
"a dir": a questo punto mi ero trasferito a Torzok, nella mia stanza col
pianoforte... Vedevo, lì sopra, il mio spartito in tedesco, che diceva
"dir" ossia «te»; per indicare la "a" precedente avevo semplicemente
posto sul tavolo... che cosa? "A" è un suono bianco ed ecco che mi si era
confuso col fondo della tovaglia: così, non me ne sono più ricordato;
"qual era": mi si era presentato un uomo a cavallo, col cappello
spagnolo, un antico cavaliere ["Kavaler"], ma poi scelsi altrimenti;
perché non ci fosse del superfluo feci uscire dai piedi di mio suocero un
ruscello [in ebraico: "qual"] e dentro ci scorreva dello champagne
«"Era"»;
"è": in quanto ad "e", io lo vedevo in Gogol: «Chi ha detto eh?»:
Bobcinskij (Bobtchinskij) e Dobcinskij (Dobtchinskij)?...
"cosa": la loro serva vede una capra ["koza"];
"dura": e le dice «Dove ti vai a ficcare, stupidona?» ["dura"].
1. MAVANASANAVA
2. NASANAMAVA
3. SANAMAVANA
4. VASANAVANAMA
5. NAVANAVASAMA
6. NAMASAMAVANA
7. SAMASAVANA
8. NASAMAVAMANA eccetera.
TABELLA 3
1 2 3 4
2 3 4 5
3 4 5 6
4 5 6 7
"No, così è troppa roba... Ogni parola mi desta delle immagini e queste
irrompono una sull'altra, e ne vien fuori un caos... Io non riesco a
raccapezzare niente... eppoi, c'è di mezzo anche la vostra voce... e per
di più queste chiazze... E così, tutto mi si mischia insieme!"
Era questo che spingeva S. a leggere più lentamente, situando via via le
immagini ai loro posti, e sobbarcandosi in tal modo (come vedremo più
innanzi) a un lavoro molto più arduo e sfibrante di quello che compiamo
noi tutti; in noi, infatti, non accade che, leggendo un testo, ogni
parola susciti tante immagini perspicue, e l'enucleazione dei principali
capisaldi concettuali, apportatori del massimo d'informazione possibile,
si svolge con assai maggiore semplicità e immediatezza di quanto S. non
riuscisse a fare, con la sua memoria a base di immagini e di sinestesie.
"L'anno scorso - leggiamo nel resoconto d'una delle sue sedute (14
settembre 1936) - mi venne dato il problema: «Un commerciante vendette
tanti metri di tessuto...» Non appena sentii pronunciare «commerciante e
«vendette», ecco che vedo un negozio, col commerciante nascosto dietro al
bancone fino alla vita... Egli commercia in stoffe, e io vedo un
avventore che mi sta voltato di schiena... Io sto presso l'ingresso,
l'avventore si sposta un pochino a sinistra, e io vedo la stoffa, vedo un
libro mastro, e tanti altri particolari che non hanno niente a che fare
col problema... e così l'essenziale mi sfugge... Ecco, ora un altro
esempio. L'anno scorso, sono stato presidente di un'organizzazione
sindacale, e dovevo appianare dei conflitti di lavoro. Vengono a
riferirmi di comizi tenuti a Taskent (Tashkent), nel circo equestre, poi
a Mosca, e così sono costretto a trasferirmi mentalmente da Taskent a
Mosca... Vedo ogni particolare, ma è tutta roba che debbo metter da
parte, tutta roba superflua, giacché in realtà non ha nessuna importanza
dove quelli si siano messi d'accordo, se a Taskent o in qualche altro
posto; l'importante è quali condizioni siano state stabilite. E allora io
mi trovo nella necessità di stendere come un grande lenzuolo, che tenga
nascosto tutto il superfluo, cosicché nulla che non sia necessario mi
appaia più alla vista..."
L'arte di dimenticare.
Siamo giunti così all'ultimo problema che ci resta da chiarire, per avere
un profilo completo della memoria di S. E' un problema, di per sé,
paradossale, non solo, ma la sua soluzione rimane confusa. E tuttavia,
non possiamo far a meno di affrontarlo.
Molti di noi pensano: come trovare un modo per migliorare la memoria?
Nessuno si cura del problema: quale il modo migliore per dimenticare? Nel
caso di S., accade tutto il contrario. Come imparare a dimenticare? Ecco
il problema da cui egli è assillato più che da ogni altro.
Già in quanto si è detto sopra, circa le difficoltà di comprendere e di
mandare a memoria un testo letterario, si è incontrato questo problema.
In un testo, i dettagli sono molti, ciascuno genera immagini nuove, le
immagini fan deviare dall'essenziale, e via via le parole ulteriori
suscitano nuove immagini: ne nasce un caos. In che modo liberarsene, non
vedere più tutto ciò che complica tanto la diretta comprensione del
testo? Non vedere più, arrestare il pullulio delle immagini: così S.
stesso formulava il compito che gli si parava innanzi. Ma il suo lavoro
di professionista della mnemonica lo poneva di fronte anche a un secondo
compito: in che modo dimenticare, in che modo scancellare le immagini,
che ormai non servissero più?
Al primo dei due problemi, è relativamente facile dare una risposta. Nel
suo lavorio sulla tecnica delle immagini S. si perfeziona sempre più
nell'abbreviazione di queste ultime, e i dettagli superflui si ritraggono
in secondo piano.
"Io temo che sedute distinte non abbiano a confondermisi insieme. Perciò,
mentalmente, cancello la lavagna, e quasi la ricopro d'una pellicola
assolutamente refrattaria alla vista e impenetrabile. E' una pellicola
che (si direbbe) srotolo fuori dalla lavagna stessa, tanto che ne avverto
lo scricchiolio. Quando la seduta ha termine, scasso ben bene tutto ciò
che è stato scritto, mi discosto dalla lavagna e, tra me, strappo via
quella pellicola. Mi metto a discorrere e, intanto, è come se tra le mani
appallottolassi la pellicola... E tuttavia, non appena mi riavvicino alla
lavagna, quelle cifre potrebbero di nuovo apparire... Una minima
associazione di tal genere, e neanch'io mi avvedrei più di continuare la
medesima tabella."
("da una lettera del 1939").
"Una volta (era il 23 aprile) mi ero esibito a tre riprese in una stessa
serata. Mi sentivo fisicamente stanco, e cominciai a pensare come
regolarmi con la quarta esibizione. Tra poco, le tabelle delle prime tre
esibizioni mi sarebbero potute sprizzare innanzi... Questo era per me un
problema terribile... Ecco, voglio proprio vedere se la prima tabella
viene a sprizzarmi di nuovo, oppure no. Quasi temevo che la cosa non
accadesse. Volevo e non volevo. E così, mi metto a pensare: quella
lavagna non mi riapparirà più; e il perché è semplice: perché io non
voglio! Ahàh... ma allora, se io non voglio, quella non riappare più...
Non c'era dunque altro da fare che prender bene coscienza di questo!"
Incredibile, ma questo metodo diede i suoi frutti. Forse, qui, avrà avuto
una parte la fissazione della mente sull'assenza dell'immagine; forse si
sarà trattato d'un rifiuto dell'immagine, d'una inibizione di questa,
aiutata dall'autosuggestione: ma a che scopo arrischiare congetture su
quel che ci resta oscuro? Certo è che il risultato fu evidente.
Ecco tutto quello che noi siamo in grado di dire della straordinaria
memoria di S., del ruolo in essa svolto dalle sinestesie, della tecnica
delle immagini e della «tecnica cronologica», i cui meccanismi ci restano
tuttora oscuri...
E' giunto ora il momento di affrontare una nuova parte del nostro
racconto.
Abbiamo esposto in che modo S. percepisse e mandasse a memoria ciò che lo
colpiva, quanto prodigiosamente esatti fossero i suoi ricordi, e quale
straordinaria capacità di durata avessero le immagini che insorgevano in
lui; abbiamo preso visione della loro bizzarra struttura, e del lavorio
che egli doveva compiervi attorno. Ora, ci resta da fare un'escursione in
quello che era il suo mondo: nel suo pensiero, nella sua personalità.
Potrà rimanere senza peso, tutto ciò che si è detto fin qui, di fronte
alla sfera delle sue percezioni, al mondo in cui viveva? Pensava, egli,
allo stesso modo che noi tutti pensiamo? Non si formavano dunque, dentro
di lui, nel suo comportamento, nella sua personalità, dei tratti
peculiari, inconsueti per qualsiasi altro uomo?
Stiamo per iniziare, come s'indovina, un racconto di cose meravigliose: e
molte volte, di qui innanzi, ci avverrà di sperimentare quell'impressione
che provò la piccola Alice quando, passata oltre la superficie dello
specchio, si ritrovò nel misterioso paese delle meraviglie...
NOTE.
Il suo mondo.
"Ero ancora piccolissimo, non avevo forse neanche un anno... Più chiaro
d'ogni altra cosa mi risale alla memoria l'arredamento che avevo
intorno... Non ricordo l'arredamento di tutta la stanza ricordo quello
dell'angolo dove si trovavano il letto di mia madre e la culla. La culla
era una specie di lettino con le balaustrine alle sponde e, sotto, due
assicelle arrotondate, su cui dondolava... Ricordo che il parato della
camera dava sul marrone, il letto era bianco.. Ecco mia madre che mi
prende su e poi mi posa di nuovo: io sento quel movimento... Ho
un'impressione di calduccio e una sgradevole impressione di freddo...
Chiarissimo, poi, è il ricordo della luce: di giorno era 'così', più
tardi, 'così' (questo, al crepuscolo), e ancora più tardi, la luce gialla
della lampada... e allora diventava 'così'". ("agosto 1934").
Fin qui, non si esce dai limiti di quelle immagini che possono facilmente
affiorare in chiunque, con maggiore o minore vaghezza.
Ma ecco subentrare nel racconto delle note ben diverse. Le immagini nette
si ritirano in secondo piano, e sorgono quelle confuse esperienze
sinestesiche, nelle quali le percezioni e le sensazioni non hanno limiti,
le immagini del mondo esterno vengono sostituite da impressioni sfocate,
tutto diviene labile, confuso, ed è difficile esprimere a parole quel che
si prova.
E ancora:
Le parole.
Oh, sono tutte cose che gli psicologi conoscono già così bene! Stumpf,
per esempio, osservando il suo figliolino, notò come, per lui, un «kva»
fosse insieme un'oca e un'aquila e la moneta stessa su cui quest'ultima
era e effigiata... O quel tanto noto «kch», con cui il bambino denota sia
il gatto, sia la sua pelliccia, sia la pietra aguzza che l'ha sgraffiato!
Sì, nei racconti di S. c'è un che di autentico, di aderente alla realtà,
che ci fa ritornare agli anni lontani de prima infanzia.
L'ampia capacità di traslato delle parole infantili ci è dunque ben nota
(2): in S., però, anche in questi conosciutissimi motivi incominciano a
intrecciarsi assai presto delle note nuove.
"... Ecco «mama», o «mame», come dicevamo da piccoli. E' una nebbiolina
luminosa... Così «mama» come tutte le altre donne, è qualcosa di
luminoso... e il latte nel bicchiere, e la lattiera bianca, e la tazza
bianca, tutto insieme è come una nuvola d'un bianco luminoso... E ora
ecco la parola 'ghiss' (in ebraico «mesci!»); questa è apparsa più tardi,
e denota una manica, qualcosa di stralciato, di lungo, come quel
rivoletto quando si mesce il tè... Nel samovar lucidato, il riflesso del
viso è anch'esso 'ghiss': risplende come il suono 'ss', ed è un viso
allungato, come un rivolo d'acqua, come il braccio che lentamente, nella
sua manica, si abbassa verso di me, quando versano il tè nella mia
tazza..."
("settembre 1934").
Il contenuto della parola deve quindi armonizzare con suono che essa dà:
se questo manca, S. è capace di piombare nello smarrimento.
"Il nostro medico di famiglia era il dottor Tigher... «'Me darf rufen den
Tigger'»... Io pensavo che dovesse arrivare una specie di bastone alto
alto, che si sarebbe ficcato giù in terra («e» «r»)... ma chissà chi era?
Mi risposero: il dottore!... E allora io vidi, "il dottore":
tondeggiante, una specie di pan pepato, delle nappine intorno, qualche
cosa che penzolava all'ingiù... e appunto lo collocai su quel bastone...
Quando poi entrò stanza un buon tipo di zio d'alta statura, acceso in
faccia, io lo squadrai da capo a piedi... Macché, non si trattava davvero
di quello!»."
("31 marzo 1938").
"Il significato d'una parola deve coincidere in pieno col suo suono. Il
tedesco 'Mütter', chissà perché, è un sacchetto scuro, color cannella,
appeso in posizione verticale con delle pieghe... La prima volta che lo
sentii pronunciare; subito mi apparve così... Il suono vocalico, in una
parola, è la cosa fondamentale, mentre quello consonantico ne forma lo
sfondo: io vedo, dunque, una sinuosità, ma la 't' e la 'r' qui sono
dominanti... mentre per esempio 'Milch' è una specie di cordino con un
borsello... 'Löffel' [cucchiaio] è un che d'intrecciato... e 'maim' [in
ebraico: acqua] è una nuvola e quella 'm' si allontana anch'essa chissà
dove."
("ottobre 1934").
"La parola, secondo il suono che dà, possiede un certo aspetto e colore,
mentre il significato ha un altro aspetto e peso, suona altrimenti... Di
tutto questo bisogna tener conto perché io possa applicare la parola al
momento e al luogo: da una parte, costituisce una complicazione,
dall'altra, un metodo mnemonico. Se io, in quel momento, penserò al fatto
che possiedo questa strana singolarità, e che debbo adattarmi a quanto mi
circonda, si avrà un risultato; se, invece, non ci penserò, potrà darsi
che io faccia l'impressione d'un uomo limitato, ottuso,
sconclusionato..."
("16 ottobre 1934").
La sua mente.
Ammettiamo pure che molte di queste proposte non siano poi troppo
pratiche: dove trovare, infatti, tante camere d'aria di automobile, da
poterle tagliare in anelli di gomma e introdurre così un nuovo sistema
d'imballaggio? Del resto, S. non si è mai distinto per praticità (e ne
vedremo in seguito la ragione). Ma resta il fatto che, «quanto gli altri
risolvono col calcolo e sulla carta», lui lo risolveva con la «visività
mentale»: e qui stava la sua gran superiorità. La quale, in modo
particolare, si dava a conoscere in quei cimenti, che a noi riescono
difficili appunto perché il «calcolo» verbale ci impedisce la perspicuità
della «visione».
"... Là, in via Bronnaja, avevamo una cameretta dove ci s'incontrava col
matematico G. Lui mi raccontava come risolveva i problemi, e mi proponeva
di risolverne qualcuno anch'io: lui seduto al tavolo, io in piedi.
«Figuratevi - mi diceva - di avere dinanzi a voi una mela, e che questa
debba essere circondata con un cordino o con una correggiuola: si otterrà
un circolo, con una determinata lunghezza di circonferenza. Ora, a tale
lunghezza di circonferenza, io aggiungerò 1 metro, e così questa nuova
lunghezza corrisponderà alla circonferenza della mela aumentata di 1
metro. Tornate di nuovo a disporre il cordino intorno alla mela: è chiaro
che, fra la mela e il cordino, resterà uno spazio maggiore di prima...»
Mentre egli mi viene dicendo così io vedo lì, di fronte a me, la mela mi
ci chino sopra, la circondo col cordino... Lui dice «correggiuola», e
subito io vedo lì quel laccio di cuoio. Quando mi ha parlato del metro,
ho visto un pezzetto di questo laccio, anzi no, era tutto intero, e l'ho
disposto a cerchio, e nel centro ci ho collocato la mela. Ora lui mi
dice: «Figuriamoci il globo terrestre». E, sulle prime, io vedo il grosso
globo della terra, anch'esso abbracciato torno torno da una correggiuola,
e poi i monti, i rilievi... «Ora, allo stesso modo, noi aggiungeremo alla
correggiuola un metro. Dovrà risultarne un certo intervallo di spazio.
Quale sarà questo intervallo?» La prima rappresentazione che mi faccio è
un enorme globo terrestre. Io lo abbraccio: no, mi sta troppo vicino. Lo
allontano... lo trasformo in un mappamondo, ma senza piedistallo... No,
neppure così va bene: somiglia alla mela... Allora, a un tratto, la
stanza dove ci trovavamo svanì, e mi apparve un immenso globo in
lontananza, a parecchi chilometri... Sostituisco il laccio di cuoio con
un cerchiello di acciaio: il compito è arduo: bisogna girare là attorno
con precisione. Poi aggiungo quel metro, e guardo l'intervallo di spazio
che ne scaturisce. Quanto spazio c'è? Debbo rifletterci sopra, farmene un
concetto, per ridurlo alle misure in uso fra gli uomini... Accanto alla
porta, mi dà nell'occhio una cassetta io la trasformo a uso di globo e,
attorno, ci giro la correggiuola. Fatto questo, ci aggiungo un metro,
attenendomi esattamente agli spigoli... Poi prendo la misura precisa,
taglio la correggiuola in quattro parti, e ciascuna risulta di 25
centimetri: per ogni pezzo della correggiuola resta un sopravanzo: la
lunghezza l'ogni lato della cassetta più una quarta parte... Naturalmente
a grandezza della cassetta è indifferente: se ogni lato misurasse 100o
chilometri, io dovrei aggiungerci sempre 25 centimetri. Abbiamo così 4
lati, e a ciascuno tocca una giunta di 25 centimetri... Ora discosto il
laccio di cuoio dai fianchi della cassetta, e ne risultano per ogni lato
12,5 centimetri, cioè dappertutto il laccio dista dalla cassetta 12,5
centimetri.
La cassetta potrebbe anche essere enorme, misurare un milione di
centimetri di lato, ma sarebbe sempre lo stesso: aggiungendo 1 metro,
toccherebbero a ciascun lato 25 centimetri... E ora la cassetta ritorna
alla sua condizione normale. Io non ho che da togliere gli spigoli e
trasformarla in una figura rotonda... Ebbene, il risultato è sempre lo
stesso... Ecco in che modo io ho risolto quel problema."
("12 marzo 1937").
Finora ci siamo sollevati alle quote alte del pensiero di S.: ora
dobbiamo scendere alle sue quote basse. Qui il nostro cammino diverrà più
difficile, e saremo costretti inoltrarci su un terreno infido, dove ad
ogni passo il piede può sprofondare nella palude...
Abbiamo visto quale efficace punto d'appoggio costituisca il pensare per
immagini, che permette di eseguire nella mente tutte le manipolazioni che
possono comunemente venir eseguite con gli oggetti nella realtà.
Tuttavia, non si nascondono forse in questo pensiero immaginativo tanto
più, sinestesico, anche dei pericoli? Non crea esso degli ostacoli a una
corretta esecuzione delle fondamentali operazioni conoscitive?
Soffermiamoci su questo.
S. legge il frammento d'un testo. Ogni parola genera in lui un'immagine.
«Gli altri pensano, ma io vedo! Appena incomincia una frase, le immagini
appaiono. Più innanzi si va, sempre immagini nuove. E via, e via di
questo passo...»
Abbiamo già parlato del fatto che, se il brano vien letto rapidamente,
un'immagine rincorre l'altra, e tutte si accalcano, si ammucchiano
insieme. Come raccapezzarsi, allora, in un tal caos d'immagini?
E se, d'altronde, il brano vien letto lentamente, mancano forse delle
altre difficoltà?
"Mi viene data la frase: «N. stava in piedi, appoggiato con la schiena a
un albero...». Io vedo già un uomo vestito d'un abito blu scuro, giovane,
magrolino. N. è un nome così elegante! Si trattiene sotto un grosso
tiglio e, tutt'intorno, c'è erba, c'è bosco... «Attentamente N. osserva
la vetrina d'un negozio...» Eccoti servito! Ma allora non si tratta d'un
bosco, né d'un giardino: costui fa sosta lungo una via cittadina, e
bisogna rifar tutto da capo!"
("marzo 1937").
L'acquisizione del senso d'un brano, la ricezione delle informazioni, che
in noi corrisponde sempre a un processo di scelta del più essenziale e di
scarto del meno essenziale - processo che si svolge in modo sintetico -
viene a rappresentare, qui, un tormentoso processo di lotta con le
immagini sempre ripullulanti. Così, le immagini possono riuscire, anziché
di aiuto, di ostacolo all'apprendimento: esse spingono fuori strada,
impediscono di enucleare l'essenziale, si affollano insieme, rigogliano
di nuove immagini, e poi, a un certo punto, salta agli occhi che esse non
sono affatto appropriate al filo conduttore del testo, e tutto va rifatto
da cima a fondo. Che lavoro di Sisifo non viene a costituire, allora, la
lettura d'un semplice frammento, perfino d'un semplice inciso? Né si
potrà mai avere la certezza che queste così vivide immagini sensibili
giovino ad orientarsi nel senso giusto: chissà che non ne portino
lontano?
Ma non finiscono qui le difficoltà: questo, piuttosto, ne è soltanto il
principio.
"Il fatto è che, quanto vedo mentre leggo, è fantastico, non corrisponde
al contenuto della mia lettura... Quando c'è la descrizione d'un
qualsiasi castello, le sale centrali, chissà come, finiscono sempre a
trovarsi in quell'appartamento dove abitavo da bambino... Così, quando
leggevo 'Trilby', in quel punto che si era dovuto prendere in affitto una
stanza sotto i tetti, questa, infallibilmente, veniva a trovarsi ai miei
occhi là da un nostro vicino, in quella stessa casa... Mi accorgevo che
la cosa non andava, ma, per forza d'inerzia, le immagini mi conducevano
pur sempre là... E così sono costretto a trattenermi, a fare uno sforzo
su me stesso, a mutare artificialmente le immagini che mi stanno dinanzi
agli occhi... Ne nasce un conflitto tremendo, che mi ostacola la lettura,
la rallenta, e mi distrae dall'essenziale. Foss'anche diversissimo
l'ambiente: ma quando arriva la descrizione del protagonista che esce
sulla scala, risulta che si tratta della scala di quella casa dove
abitavo una volta... Io gli vado dietro, mi distraggo dalla lettura, e
così non posso più leggere non posso più concentrarmi: è una cosa che mi
sottrae una enorme quantità di tempo..."
("12 marzo 1935").
"... Ecco, per esempio, «equipaggio» ['equipaz']. Questo è per forza una
carrozza. Come faccio a capire che può essere un equipaggio di marinai?
C'è un gran lavoro da compiere, per liberarsi di tutti i dettagli e
rendersi conto di questo! Per farlo, io debbo rappresentarmi che, sulla
carrozza, non ci sia il solo cocchiere, ma anche il lacchè, e che essa
sia servita da un numeroso personale: soltanto allora riesco a farmi
questo concetto...
E «pesare le parole...». E' forse possibile pesarle? 'Pesare': io vedo
dei grossi pesi, come c'erano a R. nella nostra bottega, che in un piatto
ci si metteva il pane, nell'altro il peso, ed ecco la lancetta che si
sposta, ecco che viene a fermarsi al centro... E qui, invece, «pesare le
parole!» (6).
("maggio 1934").
Tre giorni dopo, la lettura viene ripetuta lentamente, una strofa alla
volta:
1.) Ah, ora ho visto tutt'altro: lui stesso è quello che lavora, in lui
c'è una gran bramosia, esulta di fronte a quel fiume di vino. Ho udito:
«dentro di lui»... ah, ecco, vuol dire che è l'operaio a giornata? Allora
deve provare delle sensazioni tremende...
(A questo punto lo sperimentatore spiega: sta pigiando l'uva!) Ah, sì! Ma
a me, dall'infanzia, è rimasta una visione diversa: delle travi
tutt'attorno, e il rabbino che mi dice: «'dreshen die Weintrubn'»; io
guardo dalla finestra: e tutto si svolgeva in quel vicolo là. Quando
debbo concepire un'immagine nuova, sono costretto a dominare quella
vecchia.
2.) «Entrò nella baraonda»... che pasticcio! Come sarebbe? Dalla capanna
usciva del fumo... Che roba è? «Tuonava»: questo l'ho tralasciato...
perché le gocce di pioggia vengono a battere sull'erba...
E' entrato nella capanna: ma dentro c'era una stanza... E' la stanza che
ho veduto leggendo Zoscenko (Zoshtchenko), dove un tale, in tempo di
mietitura, chiedeva amore a una donna... «Lei stava seduta e si grattava
una gamba»... Ed ecco la capanna: si trattava d'una stanza...
«Tuonava il tramonto»: questo, poi, non può stare... Il tramonto del
sole? Il tramonto è qualcosa d'idillico...
«Oscillavano l'erbe»: è inverosimile! I fili d'erba non oscillano,
oscillano gli alberi... Ma poi ho visto il falasco... Però, se il
tramonto è idillico, come mai «l'erbe oscillano?»
«Il vento scompigliava la capanna»: ma come poteva esserci il vento, con
un tramonto così? Scompigliava, scompigliava... vuol dire che spostava la
capanna? La capanna veniva spostata? Ah forse, all'interno la
scompigliava... ma no, non può essere: io mi trovo ancora all'esterno...
Solo quando «è entrato scalzo», solo allora la porta s'apre sull'interno
della capanna...
... Io sono un grande conservatore, nelle parole... Avevo sempre pensato
che delle 'misure profilattiche' potessero esservi soltanto in medicina,
e un 'intervallo' soltanto in musica... Mi domandavo: come mai con tanta
disinvoltura la gente applica le parole in campi diversi? E' un trucco, è
della sofistica... Sì, io ho bisogno di leggere con la massima sveltezza
possibile per poter capire, per impedire che le immagini insorgano:
altrimenti, ogni parola, io la vedo..."
("15 marzo 1938").
"Mi rendo conto che è immensamente difficile far nello stesso tempo da
sperimentatore e da oggetto dell'esperimento. Ma ho cercato di farlo
coscienziosamente e imparzialmente. Appena letta la poesia, mi sono
affrettato a scrivere i miei commenti, cercando di eseguir la cosa con
rapidità, in modo che non vi s'insinuassero particolari estranei.
La lettura è scorsa fino in fondo senza difficoltà. Tutto liscio. Senza
accorgermene, sono stato preso intimamente dal contenuto (si vede che lo
stile non faceva ostacolo allo srotolarsi dei quadri). Nella sala da
pranzo dell'appartamento dei miei genitori, in casa Ravdin, siede su
un'alta poltrona la bellissima Ogareva. La parte sinistra del suo viso è
illuminata. Alle sue spalle, il nostro orologio a pendolo. In grembo essa
tiene un cesto di frutta dal quale trae fuori una lettera: e lì, appunto,
legge: «volendo persuadere noialtri»... A chi si riferisca quel
«noialtri», per il momento lo ignoro. Che cerchi di persuadere, è chiaro,
ma il modo? Evidentemente, per mezzo della lettera... Dalla parte in
penombra della stanza viene ad emergere, trasparente, la figura del «dio
dei giardini»: un vecchio canuto, con la barba tutta inanellata. Cerco
ora una giustificazione di un'immagine simile. Ho indovinato! Argomento
del discorso è il metropolita: leggendo il secondo verso, vedo subito chi
è quel noialtri: lì sulla strada, presso la finestra aperta, ci sono
Puskin e due suoi compagni, e malignamente sghignazzano. Puskin indica
con la mano la finestra, e le arguzie si susseguono senza interruzione.
Io non ho tempo di ascoltare, giacché ormai sono passato alla lettura del
terzo verso. Il decrepito «dio dei giardini» si è come ispessito (era,
infatti, trasparente), è vestito d'una tonaca nera, sta dritto in piedi
e, come in atto di pregare, guarda alla Ogareva: ma la mano di lei, con
la lettera, si è rilassata, abbandonata giù. La grossa croce d'oro, sul
petto di lui, lentamente si fonde, lui solleva la testa e, con occhi
velati ma, chissà perché, alquanto brillanti (ah, ora è proprio bene in
luce tutto quanto), guarda la donna. Con la sua rauca voce di basso,
ecco, ha intonato una romanza nello stile dei canti di chiesa. La Ogareva
lo guarda stupita, sconcertata. Il soffitto della stanza, tappezzato di
carta lustra si è trasformato in nubi color del latte, sullo sfondo delle
quali viene a risaltare per primo il bel viso della donna, coi chiari
capelli sciolti. E' un viso di donna che mi è ben noto fin dagli anni
dell'infanzia, quando facevo i miei studi al 'cheder'. Essa mi si
presentava allora come la «voce di Dio», affacciato a guardare dalle
nuvole, e faceva parte delle predizioni dei profeti: in antico ebraico,
si chiamava «'Bas-Koil'», cioè la figlia della voce (divina)..."
("Da una lettera di S. in data 15 novembre 1937").
"L'eternità: è quello che sempre è stato così... ma che cosa c'era prima?
E dopo, che ci sarà? No, sono cose che non si possono vedere...
Per intendere a fondo il senso d'una cosa, bisogna vederla... Ecco, per
esempio, la parola «nulla». Ho letto attentamente: «nulla»... E' molto
profondo... Mi sono figurato che potesse essere meglio chiamare così,
«nulla» qualche cosa... Se io questo «nulla» ['ni-cto' (ni-tchto)],
diverrà qualche cosa ['cto-to' (tchto-to)]. me, per capire il senso
profondo, è indispensabile, a questo vedere... Mi rivolgo a mia moglie e
le domando. che cos'è il nulla? E' che non c'è niente! Ma, per me, non è
così... Io già vedo questo «nulla», sento che lei non pensa in modo
giusto... la nostra logica si è formata sulla base di una lunga
esperienza... Vedo bene come questa logica si è formata... Dunque,
bisogna risalire alle nostre sensazioni... Se vien fuori il «nulla»,
dev'esserci qualche cosa... Qui, qui è il difficile! Quando mi si dice
che «l'acqua è incolore», io mi ricordo di come mio padre doveva segnare
gli alberi sul fiumicello Bezymjannaja, perché era ostacolo alla
corrente... Comincio a pensare al fiumicello Bezymjannaja [senza-nome].
Esso, dunque, non ha nome... Quante immagini inutili mi nascono dentro da
una sola parola! E «qualche cosa»... «Qualche cosa», per me è una specie
di nuvoletta di vapore, condensata, d'un determinato colore simile a
quello del fumo. Quando invece mi si dice «nulla», allora è una nuvoletta
più rarefatta, perfettamente trasparente; e quando, da questo «nulla» io
cerco di captare qualche particella, ottengo qualche particella minima di
tale «nulla»."
("12 dicembre 1935").
Come sono strane e, nello stesso tempo, come note e familiari queste
esperienze! Esse sono inevitabili in qualsiasi adolescente che, abituato
a pensare per immagini perspicue, affronti la sfera dei concetti astratti
e si trovi nella necessità di assimilarli. Che cos'è il «nulla» ['ni-
cto'], se sempre qualche cosa ['cto-to'] c'è? Che cos'è l'«eternità», e
che cosa c'era prima di essa? E che cosa ci sarà dopo? E l'«infinito»...
che cosa ci sarà di là dall'infinito?... Sono concetti che esistono, che
si studiano nelle scuole, ma come rappresentarseli? E, se
rappresentarseli non è possibile, che imbroglio ne vien fuori?
Queste domande maledette, che sgorgano dall'impossibilità di coesistenza
fra le rappresentazioni perspicue e le concezioni astratte, assillano
l'adolescente, lo opprimono, destano in lui l'esigenza di battersi con
tutte le forze per venire a capo di ciò che è talmente contraddittorio.
Ma, nell'adolescente, esse fanno presto a ritirarsi: il pensiero concreto
cede il passo a quello astratto, il ruolo delle immagini perspicue passa
in secondo piano di fronte a quello che assumono i valori verbali
convenzionali, il pensiero logico-discorsivo; le rappresentazioni
perspicue restano in una zona periferica, dove è meglio non andare a
stuzzicarle, quando si tratta di maneggiare i concetti astratti.
In S., al contrario, questo processo non può svolgersi così rapidamente,
lasciandosi dietro soltanto il ricordo dei tormenti passati. Egli non può
capire se non vede: tant'è vero che si sforza di vedere il «nulla», di
trovare un'immagine dell'«infinito»... I tormentosi tentativi rimangono,
ed egli, per tutta la vita, conserva i conflitti intellettuali
dell'adolescente, dimostrandosi senz'altro impotente a varcare la soglia
«maledetta».
Ma le immagini, che quei concetti richiamano, non sono in alcun modo
d'aiuto: che può venirne dal fatto che, quando si dice «eternità», emerga
un antico vegliardo, probabilmente quel Dio di cui S. ha sentito leggere
nella "Bibbia"? E allora, al posto delle immagini, sorgono di nuovo
«globi di fumo», e «spruzzi», e «linee»... Che cosa rappresentano? Forse
quel contenuto dei concetti astratti, che egli si sforza di vedere in
forme perspicue? O si tratta di quelle immagini, già a noi note, dei
suoni attinenti alla pronuncia d'una parola, che sorgono quando il senso
della parola resta sconosciuto? E' difficile dire se qualche aiuto possa
venirne ad assimilare un concetto: certo è che, in lui, sorgono di
continuo, si affollano riempiono tutta la sua coscienza.
"... Per quanto riguarda l'arte, è noto che determinati periodi del suo
fiorire non trovano nessuna rispondenza nel generale sviluppo della
società, e neppure, di conseguenza, nello sviluppo del materiale
fondamento di quest'ultima, costituente per così dire lo scheletro della
sua organizzazione..." (7)
"L'inizio è stato buono. Ho visto, non so perché, l'antichità in cui
vivevano Aristotele, Socrate... Si trattava, semplicemente, della casa di
Chaim Petuch: là mi hanno fatto studiare l'antichità. Quando ho guardato
meglio, mi trovavo su certe rovine, che erano quelle della fortezza dei
Maccabei... Ma noi avevamo cominciato a parlare dell'arte... Io vedo
sempre Nerone, allo stesso modo che anche il Senato di Caligola mi si dà
a vedere nella nostra verde sinagoga: è là che si svolgeva il Sinedrio...
Ma, di tutta questa frase niente mi è rimasto dentro!
Sicché, allora, la vita della società... lo spirito sociale... non si
rifletteva nell'arte... I rapporti sociali e di classe della società non
trovavano riflesso nell'arte... E, in quanto allo «scheletro»... sarà
stato la carcassa di qualche cosa...
Oh, ecco, rileggendo una seconda volta, ora sì che capisco! Perfino
quello «scheletro», ora, mi sembra una cosa di secondo piano... In quanto
poi a quel 'non tengono conto del materiale fondamento della società', si
tratta per me di qualcosa di astratto, è una specie di cirro, di
nuvoletta..."
La sua «volontà».
Chi non ricorda una prova semplicissima, una prova che risale alla nostra
infanzia, intesa a dimostrare la forza dell'immaginazione?
Il vostro braccio è teso: fra le dita, tenete ben stretto un filo, al
quale è legato un piccolo peso. Voi incominciate a figurarvi con vivezza
che la mano stia compiendo un movimento circolare. E il piccolo peso,
dapprima lentamente, poi con sempre maggiore decisione, incomincia
descrivere il profilo d'un cerchio.
L'immaginazione ha condotto così al movimento: e la psicologia, ben
conoscendo i meccanismi dell'«atto motorio», ha già da gran tempo
dimostrato che la misteriosa «lettura del pensiero» si riduce forse senza
residui a una lettura dei movimenti che l'immaginazione provoca nella
persona osservata. E quanti altri fatti, attestanti la facilità con cui
una forte immaginazione (quella stessa che provocava nel medioevo, in
donne isteriche, le stigmate) può dar luogo ad alterazioni dei processi
somatici, sono stati raccolti ai nostri giorni dalla psicosomatica e
dalla medicina! Quanti spiragli su un mondo ancora ignoto si aprono i
fenomeni osservati negli yoghi indiani!
In che modo tutto questo si sarà riflesso in chi, come in S., la forza
dell'immaginazione superava tanto nettamente ogni altro esempio a noi
noto?
Potremo stupirci se un'immaginazione di eccezionale vivezza, com'era
quella di S., non mancherà di dimostrarcisi idonea a provocare dei
movimenti, e ,se il dominio sui processi del proprio organismo, attuato
per mezzo di una simile immaginazione, supererà quanto ci è noto
dall'osservazione condotta su oggetti normali?
"No, anche qui non c'è niente di straordinario! E' che io vedo me stesso
in atto di accostare la destra a una stufa infocata... che calore
scottante! S'intende bene che la sua temperatura s'innalza! Nella
sinistra, invece, io ci tengo un pezzetto di ghiaccio. Io vedo questo
pezzetto di ghiaccio, mi sta lì nella sinistra, lo tengo ben stretto...
Sfido io che mi diventa più fredda!"
("giugno 1938").
"Debbo andare dal dentista... Sapete anche voi che piacere sedersi in
quella poltrona e sentirsi trapanare un dente! Prima, infatti, era una
cosa che mi faceva proprio paura. Adesso, però è diventato così
semplice... Ecco, mi dolgono i denti... S'incomincia da un filo d'un
rosso arancione, che mi dà inquietudine. So che, a lasciar le cose così,
il filo si allargherà, si trasformerà in massa compatta... Io accorcio il
filo, lo accorcio ancora, ancora... fin tanto che, ecco, non è più che un
puntino: e il dolore scompare... In seguito, però, ho adottato un metodo
diverso. Sto già seduto lì sulla poltrona: ma no, non sono io, è un
altro, è lui che ci sta seduto... E io, S., gli sto a fianco, e osservo
come a lui trapanano il dente... Lascia pure che, a lui, faccia male: già
non sono io che sento il male, ma lui! E, in questo modo, non sento più
nessun dolore..."
("gennaio 1935").
"... Ecco com'era quando io ero piccolo. Andavo a scuola al 'cheder'. E'
già giorno: bisogna alzarsi! Guardo l'orologio: no, c'è ancora tempo, si
può restare un altro po' a letto... E, intanto, continuo a guardar sempre
le lancette dell'orologio... Segnano, ora, le otto e mezzo... Dunque è
presto, ancora... E, d'improvviso, mia madre: «Come, non sei ancora
uscito, e tra poco sono le nove!». Ma come facevo, io, a saperlo? Io
vedevo la lancetta grossa che guardava in giù: all'orologio, erano le
otto e mezzo..."
"... Non c'è per me gran differenza tra quello che mi raffiguro e quello
che esiste. E spesso, se mi raffiguro una cosa, proprio quella accade!
Per esempio, feci una scommessa con un collega, che la cassiera del
negozio mi avrebbe dato in resto più del dovuto. Io mi rappresentai alla
mente tutto per filo e per segno; ed effettivamente, quella mi diede in
resto non 10, ma 20 rubli... bene, so anch'io che si tratta d'un caso,
d'una coincidenza; ma nell'intimo, ho pur sempre l'impressione che ciò
avvenga perché io lo vedo... E se poi la cosa non mi riesce, mi pare che
si debba attribuire o al fatto che ero stanco, o che, in quell'altra
persona la volontà era diretta altrove...
A volte mi sembra perfino che potrei guarire me stesso, purché me ne
faccia una rappresentazione ben chiara... E anzi, che potrei guarire
anche gli altri... So che, se avverto i sintomi del male, subito mi
figuro che esso se ne vada: ed ecco, infatti, non c'è più, e io sto bene:
il male non è potuto venire avanti!
Sto partendo per Samara... D'improvviso Misa (Misha) (mio figlio) si
ammala di stomaco. Viene il medico e non riesce a capire che cosa abbia.
E invece, è tanto semplice: gli ho fatto mangiare troppo lardo... Io
vedo, dentro al suo stomaco, quei bocconi di lardo... Voglio che lui
riesca a digerirlo, cerco di venirgli in aiuto... Mi figuro, vedo quel
lardo che si scioglie. E Misa, a poco a poco torna a sentirsi bene...
D'accordo, non c'è dubbio, so che non è così: ma il fatto è che sempre,
tutto questo, io lo vedo..."
La sua personalità.
"... Ecco, è giorno: debbo andare alla scuola... Manca poco, ormai, alle
otto... Bisogna alzarsi, vestirsi, mettersi il paltò, il cappello, le
soprascarpe... Non posso più rimanere a letto: e, così, mi viene una
rabbia... Vedo, sì, che a scuola ci debbo andare, ma perché non ci va
«lui», piuttosto? Ed ecco che è «lui» ad alzarsi, a vestirsi... è «lui»
che prende il paltò, il cappello, s'infila le soprascarpe... è «lui» che,
ormai, è andato a scuola... Oh, adesso, finalmente, tutto è in ordine! Io
resto a casa, e «lui» se ne va. D'improvviso, entra mio padre: «E' tardi,
e ancora tu non sei andato a scuola?»."
("20 ottobre 1934").
"... Questa è una cosa che è rimasta in me molto a lungo, e anzi, forse,
rimane tuttora... Guardo l'orologio e poi, per un pezzo, continuo a
vederlo... Le lancette stanno sempre lì allo stesso punto, e io non mi
accorgo che il tempo è già trascorso oltre. Ecco perché spesso mi avviene
di tardare..."
("ottobre 1934").
"Mi hanno sempre chiamato «'Kalter Nefesch'» [in ebraico: anima fredda]:
c'è, per esempio, un incendio, e io tardo a capire: «Che cos'è, un
incendio?»... Il fatto è che, prima, devo vedere ciò che mi vien detto...
E, in questo secondo d'intervallo che passa prima che io veda, accolgo
tutto freddamente..."
("giugno 1934").
A noi psicologi è ben nota quella immaginazione creatrice, dalla quale si
genera l'azione, e che puntualmente si coordina col mondo esterno. Da un
tal genere d'immaginazione sono discesi tutti i grandi inventori. Ma ci è
pure nota un'altra immaginazione, la cui attività non si orienta verso il
mondo esterno: un'immaginazione che nasce dal desiderio e che fa da
surrogato all'azione, rendendo quest'ultima superflua. Quanti inattivi
fantasticatori vivono nella sfera d'una tale immaginazione, trasformando
la loro vita in un «sogno ad occhi aperti», riempiendola tutta intera di
ciò che gli inglesi chiamano "waking dream"!
C'è da meravigliarsi se S., con le sue esperienze sinestesiche diffuse e
le sfolgoranti immagini sensibili, sia divenuto un fantasticatore
incallito?
Ma non sono, le sue, di quelle fantasticherie che approdano all'azione.
Sostituiscono, piuttosto, l'azione, poggiando sulle esperienze della
propria vita psichica, convertite in immagini. E' quanto già abbiamo
veduto nel frammento riportato qui sopra.
"Debbo andare alla scuola... Ed ecco che vedo me stesso... «E' 'lui' che
va a scuola!» Io mi stizzisco contro di «lui»: perché è così lento a
prepararsi?
Ho otto anni. Stiamo facendo il trasloco. Io non ho voglia di muovermi...
Mio fratello mi prende per mano e mi porta alla carrozza da nolo... Vedo
il vetturino che sta biascicando una carota... Ma io non ho voglia di
partire: e così rimango a casa. Vedo «lui» che se ne sta là, alla
finestra della vecchia camera, e non va in nessun posto." ("20 ottobre
1934").
E appunto una simile divisione: un «io» che ordina e un «lui» che esegue,
e che dall'«io» è veduto, permane in S. per tutta la vita. «Lui» è quello
che va dov'è necessario, «lui» è quello che ricorda, mentre l'«io» non fa
che comandare, guidare, controllare... Tanto che, a non sapere nulla di
quei meccanismi psicologici della vivida, perspicua «visione», sui quali
così particolareggiatamente abbiamo insistito nel corso della nostra
narrazione, sarebbe davvero facile confondere tutto questo con quella
«scissione della personalità», di cui tanto si occupano gli psichiatri, e
con la quale, in realtà, tanto poco di comune ha la «alienazione» della
propria personalità, quale in S. si verifica.
La possibilità di «vedere» e di «alienare» se stesso, trasformando le
proprie sensazioni ed azioni in una immagine a norma della quale è «lui»
che prova quelle sensazioni e compie quelle azioni su «mio» comando, può
anche riuscire a volte di grande aiuto per una libera regolazione del
comportamento: lo abbiamo già visto parlando del dominio sui processi
vegetativi, o della eliminazione del dolore mediante il trasferimento su
un'altra persona. Ma quanto spesso, viceversa, una simile «alienazione»
può essere di ostacolo a una valida direzione del comportamento!
"... Eccomi seduto in casa vostra, tutto immerso nei miei pensieri...
Voi, che siete un padrone di casa ospitale, mi domandate: «Che ve ne pare
di queste sigarette?». «Così così, una cosa di mezzo...» Io non avrei mai
risposto in questo modo, ma «lui» ci può rispondere. E' una mancanza di
tatto, ma spiegare a «lui» quale papera abbia commesso, non mi è
possibile. «Io» mi sono assorto in altro, e «lui» parla come non sta
bene."
("20 ottobre 1934").
In casi come questo, la minima distrazione conduce al punto che quel
«lui», che S. vede così chiaramente, esorbita da ogni controllo e viene
ad agire automaticamente.
E quanto frequenti sono i casi in cui le immagini pullulanti impediscono
di mantenere l'opportuna linea del discorso, e fanno dirottare di qua e
di là! In quei momenti egli si trova assediato dal rigoglio dei
particolari, dalle reminescenze collaterali; il discorso diviene verboso,
pieno di digressioni a non finire: e gli occorre un grande sforzo su se
stesso per tornare di nuovo al tema originario.
S. era il primo ad essere consapevole della sua verbosità, della
necessità di restar sempre ben vigile per conservare il tema del
discorso, e della impossibilità in cui si trovava di riuscirvi ogni
volta. Tanto a me, che lo tenevo in osservazione, quanto pure agli
stenografi, che annotavano le nostre conversazioni, questo era noto anche
meglio che a lui. E quanta fatica costava, a chi scrive, separare
l'essenziale dall'incessante ramificarsi e disviarsi della conversazione
con quest'uomo!
"Io ho molto letto, e sempre mi sono identificato con l'uno o con l'altro
dei protagonisti: giacché io li vedevo... Ancora a diciott'anni, non
riuscivo a capire come mai i miei compagni si preparassero a diventare
ragioniere o commesso viaggiatore... Ciò che più importa, nella vita, non
è la professione: la cosa principale è quel non so che di piacevole, di
grandioso, che un giorno accadrà... Se a diciotto o vent'anni io mi tossi
creduto maturo al matrimonio, e una contessa o una principessa mi avesse
offerto di divenire mia moglie, nemmeno questo mi sarebbe bastato: chissà
che non potessi diventare un personaggio ancora più alto? Quanto a tutto
ciò di cui finora mi sono occupato - articoli scritti in terza pagina, o
il mio debutto nel cinema - è tutta roba che «non è ancora quel che dico
io», roba ancora provvisoria, temporanea...
Essendomi capitato, un giorno, di leggere il bollettino azionario, e
avendo dato prova di tenere a mente le quotazioni di borsa, diventai
agente di cambio; ma questo non era davvero «quel che dico io», era
semplicemente un modo di far quattrini... La vita, quella vera, è ben
altra cosa. Tutto stava, per me, nelle fantasie, non già nelle
faccende... E così, abitualmente, io restavo passivo. Non capivo che gli
anni passavano: si trattava sempre d'un «frattanto che...». Ed ecco
quell'impressione: «Ho solo 25 anni» «Ne ho solo 30»: e sempre avanti
così... Nel 1917, partii volontario per la provincia, deciso ad
abbandonarmi alla tendenza corrente: partecipai al 'proletkult', diressi
una tipografia, feci il reporter, ebbi un mio giro di vita... Così anche
adesso: il tempo passa, io potrei pervenire a tante affermazioni, ma
sempre continuo ad aspettar qualche cosa... Tale, ormai, sono rimasto..."
("25 febbraio 1937").
La psicologia non è ancora una vera scienza della personalità umana nei
suoi aspetti vitali e reali.
Non è ancora giunta, infatti, al punto di poter descrivere il contesto
della personalità in modo tale, che ogni sua parte trovi la rispettiva
collocazione, e le leggi della sua formazione divengano altrettanto note
e trasparenti quanto quelle della sintesi dei corpi chimici composti.
Una psicologia di tal genere appartiene al futuro: a un futuro dal quale
sarebbe ancora più difficile dire quante decine d'anni ci separano
ancora...
Sul cammino che conduce a una tale psicologia della personalità, sono
molte tuttora le strade tortuose, sono molti i sentieri scoscesi,
difficilmente accessibili...
Non c'è dubbio, però, che un'indagine diligente del modo in cui si
configura la personalità in condizioni dello sviluppo anormale delle sue
varie parti, e la descrizione del processo a capo del quale vengono a
formarsi in essa le «sindromi», resta una delle principali vie
d'approccio a questo arduo problema.
E chissà che questa descrizione d'un uomo che tutto «vedeva», non possa
avere anch'essa il suo valore, lungo quel difficile cammino...
Appendice.
Sono state proposte due ipotesi per spiegare i difetti della memoria del
genere comune nelle lesioni cerebrali localizzate. La prima attribuisce
l'oblio al «decadimento della traccia» vedi, ad esempio, [3]). I
neurologi suppongono che negli stati patologici del cervello la velocità
di decadimento viene accresciuta, le tracce divengono instabili e la loro
consolidazione diviene difficile.
La seconda ipotesi attribuisce il disturbo della memoria non ad una
ridotta capacità di immagazzinare, ma ad una difettosa capacità di
recuperare; viene supposto che le difficoltà della memoria sono dovute ad
un accresciuto blocco delle tracce da parte di azioni o di impressioni in
interferenti [4, 5.]. Questo aumento della inibizione delle tracce a
causa di interferenze viene considerato come la causa principale
dell'oblio anormale negli stati patologici [6, 7].
Cercheremo di esaminare entrambe le ipotesi. Cominciamo con due serie di
esperimenti. Nel primo analizzeremo come le tracce possono essere
recuperate dopo un intervallo di 1-2 minuti libero da impressioni o
azioni interposte («intervallo libero»). Nel secondo ripeteremo
l'esperimento, ma con l'intervallo occupato da impressioni o azioni
interposte (cioè, «interferenti»). Queste possono essere «eterogenee»,
come quando viene richiesto al soggetto di fare dell'aritmetica
mentalmente, o «omogenee», come quando gli viene richiesto di ricordare
una seconda serie di parole. Se si trova che il recupero è normale dopo
il periodo libero, ma è bloccato dagli stimoli interferenti, ci sono dei
fondamenti per accettare la seconda ipotesi: l'oblio patologico è dovuto
ad un blocco della capacità di recupero a causa di una attività
interposta.
I nostri risultati sono chiari: si è trovato che una larga maggioranza di
pazienti affetti da lesioni cerebrali: localizzate (tumori, emorragie,
traumi cranici) è capace di ricordare una serie breve di forme
geometriche, disegni, movimenti, cifre, parole o frasi nella condizione
di «intervallo libero», mentre si è trovato che essi avevano una grossa
difficoltà nel ricordarli nella condizione di «interferenza». In tali
casi i pazienti dicevano che le tracce delle impressioni precedenti
«scomparivano» e che non erano capaci di ricordarle, oppure davano prova
di una «combinazione» della tracce della serie precedente con quelle
della serie successiva. Questi risultati dimostrano che gli stati
patologici del cervello, associati a lesioni focali, danno luogo ad un
aumento del blocco delle tracce causato dall'attività interposta tra la
percezione ed il richiamo e che i disturbi della memoria, osservati in
questi casi, sono dovuti ad un aumento della inibizione delle tracce
causata da ciascuna attività interposta.
Ebbene, si sono ottenuti dati con pazienti affetti da tumori profondi del
cervello [8, 9, 10], da aneurismi dell'"arteria communicans anterior"
[11], da lesioni focali del lato convesso dell'emisfero sinistro [9, 12],
ed anche con pazienti affetti da traumi cerebrali massivi [13]. Soltanto
le lesioni del lobo sinistro temporale e temporoparietale danno luogo ad
un'instabilità delle tracce immediate verbo-acustiche, e sono stati
osservati anche dei difetti nella loro consolidazione [9, 14].
Discuteremo più avanti questi casi.
L'inibizione delle tracce, che si è accresciuta patologicamente a causa
dell'interferenza, sembra essere un fattore fondamentale sottostante ai
disturbi della memoria associati a tutte le lesioni cerebrali. Ecco il
motivo per il quale consideriamo questo meccanismo come fondamentale.
I disturbi della memoria possono essere del tipo "generale" (cioè, di
modalità non specifica), come nella classica sindrome di Korsakov, o del
tipo "parziale" (modalità specifica), ad esempio, acustici, verbali,
spaziali. Essi possono essere presenti a tutti i livelli di codificazione
od essere limitati ad un livello soltanto, ad esempio, a quello inferiore
(sensoriale) o a quello superiore (intellettuale). Inoltre, possono
essere presenti in pazienti non affetti da stati di confusione o di
sonnolenza, sebbene la loro associazione con questi stati, o con
l'inerzia patologica dell'attività nervosa, non sia naturalmente incomune
[15]. Vedremo più avanti come possono essere importanti queste differenze
e considereremo il loro significato per la localizzazione ed il substrato
fisiologico dei disturbi della memoria.
colonna 1: casa-albero-gatto
colonna 2: notte-stufa-dolce
colonna 3: ?/1
colonna 4: ?/2
- prima risposta:
positiva (alla colonna 1.)
positiva (alla 2.)
no dimenticato (alla ?/1)
non riesco proprio a ricordarmi (alla ?/2)
- seconda risposta:
due risposte positive (alla 1)
due risposte positive (alla 2)
prima niente - seconda: no... dolce?... (alla ?/1)
prima niente - seconda: ...no ...non ricordo (alla ?/2)
- terza risposta:
positiva (alla 1).
positiva (alla 2.)
...gatto ...no... non so (alla ?/1)
...albero... dolce ...no ...non ci riesco (alla ?/2).
"Caso R.
Donna di quaranta anni. Tumore alle parti posteriori del corpo calloso
coinvolgente le aree ippocampali. Sindrome di amnesia grave con
disorientamento spaziale e temporale, e con gravi disturbi alla memoria
recente. Aumento patologico del blocco della incapacità di ricordare
causato da stimoli interposti.
1. 'Riconoscimento delle forme' (tecnica di Konorski). Veniva presentato
per 5-6 secondi un triangolo blu. Dopo un intervallo «libero» di 30
secondi, un minuto od un minuto e mezzo, veniva presentata una seconda
figura. Questa poteva essere lo stesso triangolo blu o un quadrato blu o
un triangolo verde. La paziente doveva dire se la seconda figura era la
stessa o era differente. Con gli intervalli «liberi» ella poteva
facilmente svolgere questo compito, ma esso invariabilmente non veniva
svolto se una attività (ad esempio, semplici computi, osservazione di un
disegno) veniva interposta tra la presentazione delle due figure. In tali
circostanze la paziente non poteva neppure ricordarsi che precedentemente
era stata presentata una figura.
2. 'Effetti del contrasto tra dimensioni' (tecnica del «set fisso» di
Uznadze). Due palle di legno di diversa dimensione venivano poste nelle
due mani, la più piccola nella sinistra. Alla paziente veniva richiesto
di dire quale palla fosse la più grande. Dopo 15 prove alla paziente
venivano presentate due palle identiche. Come di norma, la paziente
stimava la palla posta nella mano sinistra come la più grande e questa
illusione veniva conservata dopo un intervallo «libero» di due minuti
massimo. Se, tuttavia, l'intervallo veniva occupato da una attività
interposta, le stime della dimensione relativa divenivano casuali.
3. 'Ricordo di parole: interferenza «eterogenea»'. Non si osservavano
difficoltà nella ripetizione di gruppi di 3-4 parole dopo un intervallo
«libero» di due minuti massimo. Ma quando l'intervallo era occupato da
un'attività estranea come la descrizione di un disegno o un semplice
computo, potevano essere ricordati solo uno o due elementi.
4. 'Ricordo di parole: interferenza «omogenea»'. Dato un gruppo di 2-3
parole isolate e poi un secondo gruppo di uguale lunghezza e richiesto di
ricordare dapprima il primo gruppo di parole e poi il secondo, la
paziente non vi riusciva affatto. Diceva che il primo gruppo di parole la
confondeva completamente e che mentre cercava di ricordarlo dimenticava
anche il secondo gruppo. Ciò si vedeva dopo 5-6 ripetizioni
dell'esperimento, sebbene talvolta venisse riprodotto un gruppo
combinato.
5. 'Riproduzione di disegni o di azioni'. Risultati analoghi venivano
ottenuti se le parole venivano sostituite da gruppi di disegni o di
azioni non collegati tra di loro.
6. 'Ricordo di frasi'. Delle brevi frasi, con significato, di 4-7 parole
presentate oralmente potevano essere riprodotte senza difficoltà dopo
intervalli «liberi» di 2 minuti massimo. Quando tuttavia veniva
presentata immediatamente dopo la prima una seconda frase di lunghezza
paragonabile, e alla paziente veniva richiesto di ripetere la prima frase
e poi la seconda, ella non vi riusciva affatto o dava una versione della
seconda frase includente solo elementi della prima [combinazione]. C'era
poca o nessuna alterazione nella ripetizione.
7. 'Ricordo di brani'. Il succo di un racconto molto breve presentato
oralmente, poteva essere riprodotto subito dopo (con qualche omissione) e
tale capacità poteva essere alterata con 2-3 ripetizioni. Tuttavia, se
veniva letto e riprodotto, subito dopo il primo, un secondo racconto e
alla paziente veniva poi richiesto di ripetere il primo racconto, ella o
non riusciva a ricordare neppure il primo o ne dava una versione
combinata. La capacità non era alterata dopo 5-6 ripetizioni."
"Caso K.
Studente di anni 26. Trauma massivo ad entrambi i lobi frontali. Stato di
incoscienza, durato 4-5 giorni, seguito da uno stato prolungato di
confusione. Il paziente mancava di spontaneità, era affetto da acinesi e
da ecolalia da perseverazione marcata e da disturbi della memoria. I dati
sotto riportati furono osservati in un arco di tempo compreso tra uno ed
i tre mesi dopo aver subito la lesione. Durante l'intervista, il
linguaggio del paziente era povero ed era molto perseverante.
'Ricordo di parole: interferenza «eterogenea»'. Il paziente poteva
ritenere gruppi di 2-3 o anche 4-5 parole e ricordarle dopo intervalli a
liberi» di un minuto e mezzo. Se veniva interposto un semplice computo
tra la presentazione ed il richiamo, il paziente sostituiva delle cifre
alle parole richieste e negava averle dette.
'Ricordo di parole: interferenza «omogenea»'. Il paziente ripeteva
facilmente due gruppi di 2-3 parole isolate presentate in successione
immediata. Se poi però gli si richiedeva di ripetere di nuovo il primo
gruppo, egli ripeteva semplicemente il secondo gruppo, senza correggersi.
'Riproduzione di disegni o di azioni'. Il paziente poteva ritenere delle
sequenze di 2-3 disegni o azioni e riprodurli dopo un intervallo «libero»
di 1,5-2 minuti. Quando però veniva presentata una seconda sequenza
simile e gli veniva richiesto di riprodurre la prima dopo aver riprodotto
la seconda egli falliva completamente, ripetendo semplicemente
quest'ultima senza alterazioni o dando una risposta «combinata» con
marcate perseverazioni.
'Ricordo di frasi'. Frasi potevano essere ricordate facilmente dopo
intervalli «liberi» di 1,5-2 minuti. Quando però si richiedeva di
ricordare una frase dopo aver ricordato una seconda, egli non faceva
altro che riprodurre semplicemente quest'ultima. Sebbene riconoscesse che
le due frasi erano differenti per significato e suono, egli sembrava
impotente ad inibire la perseverazione.
'Ricordo di brani'. Durante il primo periodo di osservazione il paziente
cominciava a riprodurre il brano presentato, ma non era capace di
fermarsi e continuava a produrre associazioni libere ed incontrollate che
potevano continuare per 15-20 minuti (confabulazione). Poche settimane
più tardi, egli era capace di riprodurre il paragrafo, ma quando veniva
presentato un secondo paragrafo, la sua riproduzione era assai
contaminata dal primo e venivano messi in evidenza degli errori
stereotipati. Gli sbagli non venivano mai corretti."
E' chiaro che i difetti apparenti della memoria nei pazienti affetti da
lesioni ai lobi frontali sono dovuti soprattutto ad una mancanza di
capacità di passare da un soggetto ad un altro, con conseguenti
perseverazioni e grossi insuccessi nella correzione degli errori
stereotipati. Il ricordo è di conseguenza reso difficile ed impreciso.
Bibliografia.
NOTE.
Nota 1: Nel testo, sempre, «a zuk (giuk)», dove il termine russo "zuk"
[scarabeo] è inscindibilmente preceduto, nella mente del bambino,
dall'articolo ebraico "a". (n.d.t.).
Nota 2: Confronta A. R. LURIJA, F. JA. JUDOVITCH "Rec (Retch) i razvitie
psichiceskich (psichitcheskich) protsessov rebenka" [Il linguaggio e lo
sviluppo dei processi psichici infantili], Mosca 1956.
Nota 3: Non appesantiremo il nostro racconto con esempi atti a dimostrare
i vantaggi che derivano al pensiero quando si appoggia ad immagini
perspicue. Abbiamo a nostra disposizione un gran numero di soluzioni di
problemi, descritte dallo stesso S., che potrebbero servire di esempio.
Nota 4: Confronta R. JAKOBSON, M. HALLE, "Foundations of language"
Mouton, Hague, 1956.
Nota 5: Reali difficoltà nell'apprendimento di tali significati sorgono
in casi particolari. Un esempio ce ne porge l'acquisizione del linguaggio
nei bambini sordomuti, nei quali l'apprendimento del significato
generalizzato delle parole è una delle più serie pietre d'inciampo.
Confronta R. M. BOSKIS, "Osobennosti recevogo (retchevogo) razvitija u
detej pri narusenii (narusheni) zvukovogo analizatora" [Particolarità
dello sviluppo del linguaggio nei bambini in caso di lesione
dell'analizzatore acustico], in Izv. AMN. RSFSR, 1953, n 48, e anche N. G
MOROZOVA, "Vospitanie soznatelnogo ctenija (tchtenija) u gluchonemych
skolnikov (shkolnikov)" [L'educazione alla lettura consapevole negli
allievi sordomuti], Mosca, Ucpedgiz (Utchpedgiz), 1953.
Nota 6: Tralasciamo qui altri due esempi, intraducibili in italiano.
(n.d.t.).
Nota 7: Confronta MARX, "Per la critica dell'economia politica",
Prefazione, Roma, Editori Riuniti, 1971.
Nota 8: Queste esperienze sono state condotte, a loro tempo, con la
partecipazione di S. A. Charitonov, N. V. Raevaja, S. D. Rolle, A. I.
Rudnik, che ringraziamo della collaborazione prestataci.
Nota 9: A. R. LURIJA, "Novoe v psichologii, biologii i patologii
pamjati", in "Voprosy psichologii". n. 2, 1971, pagine 164-152. (Trad. di
S. Sorrentino).
Nota 10: D. A. NORMAN (ed), "Models of human memory", New York, Academic
Press, 1970.
Nota 11: M. PRIBRAM, D. E. BROADBENT (ed). "Biology of memory", New York,
Academic Press, 1970.
Nota 12: G. TALLAND, N. WAUGH (ed), "The pathology of memory", New York,
Academic Press, 1969.
Nota 13: N. I. SLAMECKA (ed.), "Human learning and memory", saggi scelti,
Oxford university Press, 1967; L. POSTAM , G. KAPPEL, "Verbal learning
and memory", Penguin Books, 1969.
Nota 14: "Mernory desorders in local brain damages", in
"Neuropsychologia", n. 6, 1971. (Trad. di L. Mecacci.)