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39 so che voglio e non ho cosa io voglia


p.40 la sua vita è mancanza della sua vita. Non può mai esser persuaso
La vita non si sazia del vivere nel presente
p.41 essendo con se stesso l’uomo si sente solo. L’uomo non si possiede. Il suo agire è un esser
passivo perché non ha se stesso
p.42 egli è cosa fra le cose. Ognuno e diverso fra gli altri.
Persuaso è chi ha in sé la sua vita
p.43 il tempo allontana costantemente l’essere nel prossimo istante: per questo la vita non è
p.44 ma chi chiama?
La volontà è sempre di cose determinate.
In ogni punto il tempo toglie alla vita il consistere, ossia la persuasione,
Determinazione è attribuzione di valore: coscienza
In questa vita che non è vita la potenza e l’atto sono la stessa cosa (l’atto di possesso non è che una
determinata potenza)
L’attualità è il congiungersi della potenza localizzata negli aspettii infinitamente vari: coscienza
nella cui instabilità è stabile il suo correlato
p.45 nessuna cosa è per sé ma in riguardo ad una coscienza
La vita è un’infinita correlatività di coscienze
Noi isoliamo una sola determinazione della volontà: ad esempio lo stomaco diventa la coscienza del
mondo come mangiabile! Saziandosi però s’ucciderà.
p.46 tale è la valenza, ossia il correlato del valore.
p.48 il cloro non sa cosa vuole… è nell’oscurità… ma messo vicino all’idrogeno lo vuole. Tale
contingenza all’idrogeno, il cloro non se la può procurare: non ha in sé la sicurezza
dell’affermazione ma attende inerte.
Nella lontananza dall’idrogeno il cloro s’annoia
La volontà tuttavia non sopporta la noia cosicché le determinazioni si collegano a complessi
cosicché anche previdenti alla vicinanza dell’affermazione della determinazione questa non muoia
ma continui grazie alla forza del complesso.
p.49 in tal modo la soddisfazione della mancanza determinata dà modo al complesso delle
determinazioni di mancare ancora
Il complesso delle determinazioni è un organismo
p.50 in tal modo l’organismo può continuare e non essere mai persuaso. Tale è l’amore per la vita.
In ogni determinazione c’è la previsione delle altre future: si nutre del futuro in ogni vuoto
presente. Provvede così senza cura all’avvenire
p.51 egli cura la propria continuazione senza preoccuparsene, perché il piacere preoccupa il
futuro per lui
In tal modo volta per volta nell’attualità della sua affermazione egli si sente superiore all’attimo
presente e alla relazione che a quell’attimo appartiene.
p.52 le cose che lo attorniano sono l’unica realtà assoluta indiscutibile (non questo mi piace ma
questo è buono). L’io è la sua coscienza, il suo piacere la sua attualità che per lui è ferma fuori
del tempo. E’ lui ed è il mondo!
La sua attualità ha nel piacere organizzata la previsione di ciò che conviene alla continuazione
dell’organismo. In tal modo ciò che faccio è determinato da un fine… in tal modo ciò che vive
si persuade esser vita, qualunque vita viva.
p.53 qui non v’è uscita dall’individualità illusoria: persuasione inadeguata: adeguata solo al
mondo ch’essa si finge. A ognuno il suo mondo è il mondo
La stessa cosa è il mio vivere e il mondo che vivo
p.54 il pernio attorno a cui si arrovella gli è dato, e date gli sono le cose ch’ei dice sue
p.55 ma oltre il cerchio egli sente l’agitarsi di ciò che è fuori della sua coscienza e potenza. Nella
trama nota dell’individualità trapela l’oscurità dell’ignoto infinito.
Per sfuggire a tale dolore ecco la fede in un potere adeguato all’infinità che si carichi del peso del
dolore che essi non sanno portare
p.56 quando la trama della persuasione illusoria s’affina ecco che emerge ciò che sfugge alla loro
potenza: temono la morte
p.58 l’oscurità dice: “non sei niente”
p.59 la paura e il dolore della morte accomuna i non persuasi
p.60 la malinconia e la noia in cui emerge il terrore dell’infinito e si spezza il cerchio
dell’individualità. La noia malinconica emerge per via della monotonia; il riconoscimento
dell’altrui individualità come illusoria; rivedere le impronte della propria vita
La paura
p.62 la gioia troppo forte
emerge così la voce che dice tu non sei anziché l’illusorio e rassicurante tu sei.
p.65 nella vita il debole s’adatta e in ciò lo guida il dio dell’amore per la vita
p.67 quello che fai con che mente lo fai? [atteggiamento?!]
Il fine non è mai in ciò che si fa ma è nella continuazione
p.68 è la morte: è rotto il filo dell’amore per la vita
p.69 si vive per non morire, per continuare. La persuasione sarebbe la paura della morte, essere nati
è temere la morte. Se si fa certa la morte in un dato futuro essi sono già morti nel presente
Ogni presente della vita ha in sé la morte.
Chi vuole essere persuaso, avere un attimo solo sua la vita, deve vedere ogni presente come se
fosse l’ultimo
p.70 La morte non toglie nulla a chi ha la vita nel presente poiché nulla chiede in lui di
continuare. La morte infatti toglie solo ciò che è nato ma chi vuole avere la sua vita non deve
credersi nato solo perché è nato. Per lui non v’è bisogno che sia continuata la vita. I suoi bisogni
non curano che il futuro ma egli non li assume!
p.71 egli deve permanere. Deve resistere alla corrente della propria illusione.
p.72 egli deve crear se stesso per avere il valore individuale, che non si muove, è in sé persuaso.
p.73 ognuno è in sé il primo e l’ultimo e deve prender su di sé la responsabilità della propria vita
p.74 occorre farsi una via per riuscire alla vita e non per muoversi fra gli altri
p.77 tutti hanno ragione di vivere… che hanno avuto il torto di nascere
tutti assumono la persona dei propri bisogni giusti, ma nessuno assume la persona della giustizia.
Per tale ragione l’affermazione della sua persona è violenta.
p.80 dare non è per aver dato ma per dare
p.81 fare non è per aver fatto ma per rifarlo.
Occorre invece dare agli altri affinché non chiedano: tale è togliere la violenza dalle radici. Tale è
l’impossibile: il possibile è infatti ciò che è dato
p.82 si rinuncia invece alla vita in ogni presente per via della cura del possibile
Dare è invece fare l’impossibile: dare è avere!
Finché l’uomo vive egli è qui e il mondo è là e vuole possederlo. Deve invece affermarsi non per
continuare: amarlo non perché esso sia necessario al suo bisogno ma per ciò che esso è: deve darsi
tutto ad esso tutto per averlo.
Nel mondo egli non vede una relazione particolare ma tutto il mondo e davanti ad esso egli è
tutto: in quell’ultimo istante egli ha tutto e dà tutto. Esser persuaso è avere nel possesso del
mondo il possesso di sé: esser uno egli e il mondo.
p.83 egli deve volere le cose [non farsi volere dalle cose], amare in loro tutto se stesso e
comunicando il valore individuale, identificarsi.
Deve avere il coraggio di sentirsi solo. Deve avere il coraggio di negare
p.84 nel rapporto con l’altro non ci si deve abbandonare all’apparente simpatia ma occorre
attribuire all’altro la persona che nega, che soffre, che si sente dentro di sé. L’altro gli deve
infatti essere tutto il mondo!
Deve dare vicinanza alle cose lontane
Deve lavorare nel vivo il valore individuale: facendo la propria vita sempre più ricca di
negazioni, creare sé ed il mondo
p.85 il fine è giungere a comunicare il valore individuale
cercare con dati negativi: tale è la ricerca della ragione poiché cerco una cosa che non conosco!
in tal modo il dolore parla: egli lo vede guardare in attesa ad un bene che le singole cose non hanno
il coraggio di volere
p.86 liberati dalle cure [altro pane sarà loro offerto]
p.87 in lui vivono tutte le cose non come correlativo di poche relazioni ma con vastità e profondità
di relazioni. Il cerchio del suo orizzonte è più vasto. Egli ha l’onestà di sentirsi insufficiente davanti
all’infinità potenza. C’è in lui la vicinanza delle cose più lontane.
p.88 Cristo.
Crea la presenza di ciò che è lontano. Si percepisce un senso prima ignorato verso cui si
muove il cuore d’ognuno
Il dolore è gioia
p.89 mentre l’amore per la vita accelera il tempo ansiosa di futuro, la stabilità dell’individuo
preoccupa infinito tempo nell’attualità e arresta il tempo. Persuaso avrà la pace.

p.93 ma gli uomini decadono da questa via. Si fingono così finito il possesso che volevano [anziché
infinito]
p.94 attribuiscono valore alle cose e allo stesso tempo dicono che la loro vita non è in queste bensì
libera nella persuasione e fuori da questi bisogni
Sostengono che il valore di quelle cose non è riguardo al loro bisogno finito bensì c’è il valore
assoluto nel quale essi s’affermano come assoluti
E’ tutto come prima ma questo dicono essere apparenza: c’è il valore assoluto ed essi lo hanno: la
conoscenza finita. L’uomo si ferma e dice io so.
Per tale sapere egli è libero, fuori del tempo, assoluto!
Vive di ciò che gli è dato ma nella sua conoscenza assoluta egli ha la Ragione!
Il fine delle sua affermazioni vitali è la paura della morte ma nel supo Assoluto egli ha il Fine.
p.95 egli non è più uno ma due: corpo e anima pur non sapendo cosa siano.
p.96 conosco l’assoluto così come l’insonne conosce il sonno. L’Assoluto non l’ho fintanto che
non sono persuaso! Ossia non bisogno di nulla!
p.97 si è in due: la sua vita e il suo sapere
Ma come s’afferma tale sapere?
Dicendo “questo è” l’uomo afferma direttamente la propria persona. Dicendo “so che questo è” egli
si afferma davanti alla propria realtà.
Nel primo caso egli vuole qualcosa. Nel secondo caso egli vuole se stesso volente: mette la sua
persona come reale fuori di sé. Egli si afferma davanti ad un elemento della realtà che altro non è
che l’affermazione della sua stessa persona!
Con tale affermazione tuttavia egli rivela la cosa come non reale di per sé [ed infatti è posta da me,
dal mio sapere] e, correlativamente, anche la propria persona come insufficiente [ed infatti io sono
sempre rivolto alle cose, mai persuaso, già da sempre gettato in un mondo].
p.98 mentre nel primo caso la persona è sufficiente alla relatività di ciò che vive; la seconda,
volendo assolutizzare questa relatività, risulta insufficiente del tutto: è fuori della vita,
insufficiente del tutto! [astrazione dalla vita, proiettato nell’esteriorità del sapere teoretico!!!!]
è impotente. Non sa più niente, solo che sa di voler sapere: esser persona finita.
Il suo sapere che era nella vita, ora viene [esteriorizzato] per dire agli altri che si è vivi. Tale è la
rettorica: l’inadeguata affermazione d’individualità. Egli si vuole costituire una persona con
l’affermazione della persona assoluta che egli non ha!
p.99 e tutto ciò perché l’altro gli faccia da specchio e gli dica ciò che non ha, stordendosi così
l’un l’altro! Poiché non hanno nulla si adagiano in parole che fingono la comunicazione
[chiacchiera]. Fingono parole che contengono il mondo assoluto [il mondo del si dice] e di
parole nutrono la loro noia
p.100 il sapere diviene lo scopo della vita. Fiorisce così la rettorica accanto alla vita
p.101 l’accontentarsi alla parola, al segno convenzionale, è la rinuncia all’impossessarsi delle cose.
Via via formano un sistema di nomi. Qui il cervello è libero e assoluto padrone
p.102 pensiamo quindi siamo. Per il pensiero non c’è deficienza, non c’è oscurità
Ma cogito vuol dire cerco di sapere, cioè non so. Ma per gli uomini volere una cosa è averla
Ma per gli uomini è una necessità muoversi [ex-sistere]: sono e non sono, conosco e non conosco: il
pensiero diviene. La realtà, si dice, è la via, il metodo verso la conoscenza, ciò che muove i concetti.
Sono sempre vuoto nel presente e la cura del futuro mi toglie tutto il mio essere. Cogito = non
entia coagito, ergo non sum
p.103 ma questa via è quella che ci risparmia il nostro dover essere uomini: per questa via già
partecipiamo della divinità.
IN realtà non fai, non dici, non sai niente. Non ci sono parole che ti possano dare la vita! La vita è
infatti nel creare tutto da sé. Non adattarsi a nessuna via. Nessuno può essere salvato da altro,
nemmeno da Cristo: deve salvarsi da sé
p.104 L’individuo è il dio che deve essere creato
Occorre seguire Cristo, il quale ha salvato se stesso. Ma seguire non è imitare!
Il senso dell’attività non è ciò che uno ha fatto ma come lo ha fatto
Ognuno è solo e non può aspettarsi l’aiuto che da sé
p.105 l’affermazione è il fiore della negazione!
Volgendosi al sapere, la coscienza attuale dell’onesta volontà della persuasione, distrugge la
persuasione per sempre
p.107 il piacere non è più il suo piacere ma sono i piaceri, il luogo comune [il si]. Cercando non si
ha… si ha solo la propria volontà di avere. Tale è la rettorica [il circolo!!!!]
La loro coscienza non è più un organismo vivo, una presenza delle cose nell’attualità, ma una
memoria.
[p.117 sulla differenza tra Platone e Aristotele: il sistema di quest’ultimo è la teorizzazione propria
della rettorica].
p.119 poi s’ha l’avvento della scienza moderna con la sua pretesa antimetafisica
p.120 nella causa e nella considerazione si trova l’anticipazione
p.121 la scienza parla della necessità di fare tesoro dell’esperienza, dove per esperienza ritiene le
percezioni sensibili. Tuttavia sembra essere questa una strana esperienza! [L’esperienza dei sensi è
infatti sempre situata in base all’atteggiamento!!!]
Quale è allora l’esperienza della realtà?
p.122 ma lo scienziato dice di guardare le cose oggettivamente, avere cioè le cose in sé tra le mani,
fuori del tempo, nella loro pura eternità
p.123 ma vedere oggettivamente o non ha senso perché deve sempre esserci un soggetto,
oppure è l’estrema coscienza di chi è uno con le cose, ha in sé tutte le cose, è persuaso
Ma se l’oggettività fosse questa seconda, vorrebbe dire che posta, la scienza morirebbe
Occorre quindi ammettere che l’oggettività è in un qualche modo soggettività
Allora se non è il persuaso, il dio, è il sasso, ossia l’infinitesimale coscienza della relazione
infinitesimale, e in tale relazione l’illusione dell’assenza di ogni assenso (attualità della
persona nell’affermazione presente) individuale.
p.124 cioè per fare esperienza oggettiva io devo guardare le cose che non vedo perché quelle
che vedo le vedo per l’assenso della mia persona intera
Gli occhi preoccupati dal guardare non vedono
La loro persona si dissolve
Guardare è cioè procurare all’occhio la vicinanza che risvegli il suo assenso [infatti ciò che si
elimina è l’assenso individuale ma non si può togliere del tutto l’assenso], il suo assenso non come
occhio che serve al corpo ma come occhio, insieme di lenti: l’assenso inorganico
Un occhio che vuol vivere per sé
p.125 guardando le cose che non si vedono ossia linee linee, colori colori, … cosa sono non lo
so perché non si vede.
p.126 ciò che lo scienziato vede non ha senso perché il senso non lo vede
p.127 l’occhio nudo vede lo stesso di ciò che vede un telescopio
p.129 l’uomo cerca un’attività che fingendo piccoli scopi conseguibili nell’immediato futuro dia
l’idea di camminare a chi in realtà sta fermo (nel circolo)
p.130 la scienza ha una materia inesauribile e un metodo fatto di vicinanza di piccoli scopi finiti.
Non tollera la persona. Ha necessità della specializzazione.
Così facendo la scienza ha dato una forma stabile alla rettorica del sapere per i secoli a venire
p.131 si battono le vie dell’infinita causalità. Gli scienziati hanno il dio dell’amore per la vita che si
prende gioco d’ogni cosa che vive purché viva.
p.132 in fondo alla trama degli infiniti perché della legge di casua effetto si trova un ornamento
d’oscurità come pegno da pagare.
La scienza si pretende finita nell’infinito ed è quindi infinita in ogni sua pretesa di finitezza
p.133 oggi del resto la scienza non avanza più pretese dogmatiche ma ciò è ancora un nuovo suo
trucco: con la pretesa sua insufficienza si rende ancora più certa dell’avvenire. Escamotage per non
dover guardare in faccia la vita e non vedere la morte
p.134 gli scienziati guardano alla vita inorganica nelle sue relative persuasioni, nelle sue
deeterminazioni, nelle sue proprietà. Fingono cioè la regolarità astraendo dalla contingenza
procurando così la vicinanza al fine di rendere regolare la relazione.
Nei riguardi dell’uomo fingono un’entelechia che soddisfi i suoi bisogni.
p.135 tale è il compito delle macchine che eliminano la contingenza e provocano la vicinanza di
signole parti affinché il tutto cospiri all’avvenimento delle cose che l’uomo richiede per sé.
Sfruttano poi certi termini tecnici su cui gli uomini si adagiano, creando uniformità. La lingua
internazionale sarà la lingua dei termini tecnici.
p.138 altro la teoria altro la pratica
p.139 abbandono le mie opinioni personali, le mie debolezze umane ed entro nell’oggettività per
costruire la civiltà
Assicurazione!!!
p.140 tale è l’individuo sognato da Hegel: l’assicurato! Colui che è l’obiettivazione della libertà che
è fina a se stessa e di se stessa gode.
p.142 l’uomo cerca quindi la libertà d’esser schiavo da cui crede poter giungere alla gioia
p.143 cerca la sicurezza in un codice di diritti e doveri.
Mentre in precedenza si cercava la soddisfazione attuale tutta in un punto, ora si cerca il modo di
poter continuare con sicurezza ad avere fame nel futuro. Dove prima era la via dell’individualità,
ora è la via della disgregazione dell’individualità: vivono come se ci fosse l’assoluto con la
previsione limitata all’attimo. L’uno ama e volge gli occhi al possesso totale, l’altro è tenero verso
ciò che crede di possedere affinchè lo possieda anche in futuro.
p.144 individui ridotti a meccanismi, previsione attuata nell’organismo, sufficienti e sicuri come
divinità
Si sono fatti una forza della loro debolezza, sulla comune debolezza hanno creato una sicurezza
fatta di reciproca convenzione. E’ il regno della rettorica.
p.145 pur essendo ognuno limitato all’attimo la società estende la sua previsione nello spazio e nel
tempo affinché ognuno possa essere attaccato alla vita in modo socialmente utile. Attraverso di loro
vive la vita del grande organismo che elimina la contingenza dal campo della vita umana.
p.146 per raggiungere la sicurezza occorre vincere la materia (spazio e tempo) con la propria forma.
sicurezza significa così lavoro (violenza sulla natura) e proprietà (violenza sull’uomo)
p.147 lo schiavo è materia davanti al padrone, egli è una cosa.
p.148 lo schiavo che non ha più bisogno del futuro è libero (esattamente come l’acqua che non
scende più in basso è libera nei confronti di chiuse e mulini)
p.149 dialettica servo-padrone
la società s’istituisce per convenienza: il suo codice è la cristallizzazione della preoccupazione del
singolo per il suo futuro
p.150 lo scambio conveniente ad entrambi li ha fatti sicuri pur senza amore vicendevole [Smith]
la società fornisce la sicurezza davanti a tutti gli altri: è un padrone migliore dei singoli padroni.
p.151 la cura della sicurezza asserve l’uomo in ogni atto.
L’uomo s’è così respo schiavo attraverso il proprio futuro del futuro di tutti gli altri: egli è
materia (proprietà mobile) [vale a dire che l’unità creata dalla società lega il mio futuro a
quello di tutti gli altri, sono schiavo di tutti]. In cambio la società rende partecipe i suoi schiavi
della sua autorità (cosa che nessun altro padrone farà mai).
Il diritto di lavorare una cosa (proprietà privata) è di fatto il diritto sull’altrui non lavoro (violenza
sull’altro).
p.152 la piccola volontà della singola persona ignara tutto ciò che non sia la sua necessità. Tutto è
materia per la sua vita [la posizione non sembra del tutto dissimile da quella hobbesiana]
In tal modo ognuno è forma e materia, schiavo e padrone ad un tempo per via della convenienza.
L’organizzazione si regge sulla deficienza del singolo e sulla sua paura.
p.155 chi ha assunto la persona sociale risulta dipendente dalle altre persone
Quanto più l’individuo s’adatta alle circostanze contingenti, tanto meno è sua la sufficienza perché
s’affida sempre più alla previsione sociale.
p.156 tutti i progressi della civiltà sono regressi dell’individuo.
Ogni progresso della tecnica istupidisce per quella parte il corpo dell’uomo.
p.160 [alienazione dell’individuo nella società] gli è tolto il senso della responsabilità
p.161 poiché la sua persona d’oggi non è quella di ieri, chi può parlare di responsabilità?
p.162 l’uomo sociale trae la vita ignorandola
p.164 la realtà degli uomini è la figura del sogno e di essa parlano come se narrassero un groviglio
di sogni. Ma l’uomo nel sogno è nudo e davanti a dio così com’è e tutto ciò a cui s’è adattato per
convenzione e che non è suo cade.
Se tuttavia provano a comunicare quelle strane sensazioni dei sogni [ossia provano a dire la verità,
l’essenza della vita] non trovano le parole.
p.165 le parole degli uomini sono frutto di convenzione e ciò si scopre quando provano a dire cosa
sia una determinata cosa: ne escono notizie ricevute e dati coordinati che corrispondono alle
impressioni sensoriali e all’uso per cui serve la data cosa, o ancora all’attrazione o repulsione che ne
provano
La memoria è colma di questi cumuli di disposizioni che gli uomini con le parole non comunicano
bensì significano agli altri così da bastare agli usi della vita.
Così avviene nella società: non suono la mia melodia ma quella prescritta dagli altri.
p.166 nel sogno non esiste realtà congiunta: l’uomo ammaestrato è ridotto a non uscir dal
punto colla sua realtà: il suo modo diretto è il segno d’una data vicina relazione [in altre
parole si sposta d’esperienza in esperienza in modo disgiunto].
p.167 una facoltà potente di sogno è quella dell’artista che riesce a vedere vicine le cose
lontane e quindi le può dare così che esse appaiano nella loro reciproca relazione di vicine e di
lontane.
Il semplice sbaglia perché va a vedere da vicino le cose lontane e le da via via come da vicino le ha
viste.
p.168 egli non ha comunicato l’intimità, la stessa natura dell’oggetto, ma lo ha significato con
quelle apparenze che ogni volta lo fanno riconoscere a chi l’abbia già visto.
Allo stesso modo egli si trascina attraverso le relazioni elementari dei concetti e per quanti giri
faccia non ne prende di più.
Le parole, da corpo vivo, diventano materia che non può che riferirsi in un modo e talvolta in questa
unione resta cristallizzata.
p.169 ciò che avviene nel linguaggio è che in quei verbi che hanno più vita sociale, ossia che
sono d’uso continuo, ha avuto il sopravvento la cura della significazione sufficiente su quella
della comunicazione razionale.
Il modo congiunto delle parole viene ridotto quasi esclusivamente alle elementari relazioni di
tempo e finalità. Il bell’organismo di una frase rivelatrice è ridotta al pesante seguito di
proposizioni incolore incatenate tra loro da congiunzioni [il riferimento potrebbe essere al
tema del poetico… non a caso le citazioni sono dal Boccaccio, dal greco… non a caso a pag 169
all’apice è messo il greco]
p.170 nel gergo filosofico s’è perduto del tutto il senso congiuntivo d’in quanto
p.171 pur con lingua e stile perfetti alla fine non dice nulla [è il si heideggeriano, la sufficienza,
l’accontentarsi]
Quando la sicurezza sociale riduce l’uomo, quanto alla sua previsione organizzata (sicurezza
individuale) all’attimo, al punto, ecco che la profondità della prospettiva linguistica, la vita
organica della lingua la quale pulsa uguale in ogni parola ed in ogni unione di parole, si
disgrega e si fa imbecille.
p.172 tramite la rettorica dell’ottimismo sociale, l’individuo inferiore ottiene gli stessi frutti
che l’individualità superiore otteneva tramite la potenza della persuasione
La lotta prende l’apparenza dell’amicizia nella società
p.173 tutte le parole saranno termini tecnici quando l’oscurità sarà per tutti allo stesso modo
velata, essendo gli uomini tutti allo stesso modo addomesticati. Ogni parola sarà
un’apparenza assoluta. La lingua arriverà al silenzio [vacuità della comunicazione oggi… il si
dice] quando ogni atto avrà la sua efficienza assoluta.
Le parole si riferiranno a relazioni per tutti allo stesso modo determinate
p.174 i luoghi comuni saranno fermi come quelli scientifici [religione, popolo… morale non
vorranno dire più niente]
la vita dell’uomo sarà la divina medietà
p.175 la loro scienza della vita è loro sufficiente
p.176 il loro comodo personale è la loro realtà. La loro impotenza si fa manifesta
nell’inceppamento del comodo d’ognuno
p.177 la vita in ogni forma chiede la vita e le cristallizzazioni individuali curano la propria
continuità [Schopenhauer puro!]
p.178 è l’attaccamento alla vita che ha generato la società
per ironia l’impulso alla debolezza è dato dai più forti [simile a Nietzsche]
p.179 volendo eliminare la lotta presupposero l’amore in tutti gli uomini e li fecero tutti fratelli,
anziché trarre dal dominio sui deboli i beni considerati tali dagli uomini.
Le moltitudini, seguendo l’eroe, volsero verso la vita ciò che per l’eroe era verso l’essere.
[ossia volsero verso la volontà e il protrarsi della vita ciò che per l’eroe era un voto all’essere]
p.181 è però la scienza la vera officina della società, l’officina dei valori assoluti, fornitrice dei
luoghi speciali e comuni. Tramite la sua oggettività che elimina l’individualità, essa assume i
valori dei sensi o i dati statistici dei bisogni materiali come ultimi valori e fornisce alla società
ciò che per la sua vita le è utile.
Splendido esempio sulla sociologia.
p.182 gli scienziati ignarano la finalità pratica delle loro ricerche e fanno la scienza per la scienza.
p.184 con la loro individualità ridotta a meccanismo la loro volontà è tutta informata alle necessità
sociali e in loro vivono i sensi degli altri uomini. Compiono le funzioni della comunità come se
avessero un criterio individuale.
p.187 l’educazione civile fa sì che i giovani siano del tutto disinteressati a quello che fanno, purché
lo facciano secondo le regole con tutta oggettività
p.189 senza mai curarsi del valore
non chiedersi il perché
senza chiedersi che senso abbia

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