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Allievo Docente
Anno I
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Anno I
La ricostruzione della storia sociale dei disabili non è facilmente operabile.1 Vuoi perché nel
tempo, i termini per definire la disabilità sono cambiati, o perché per inquadrare il problema della
disabilità è necessaria una costante circoscrizione del periodo storico a cui ci si riferisce, della natura
delle fonti a disposizione e soprattutto delle modalità con cui esse sono state interpretate, o infine
perché dei disabili non ci si è mai occupati in modo veramente interessato. Emarginati dalla società,
abbandonati a sé stessi hanno finito per riempire quei “silenzi della storia”, silenzi filosofici e
teologici sui disabili che uno studio di Vito Mancuso2 imputa anche alla chiesa, e che S. Zandi chiama
L’intento del testo che mi accingo ad analizzare è quello di mettersi nell’ottica di chi sa di
scavare tra l’archeologia del silenzio, sapendo peraltro che, da sole, le storie di assistenzialismo non
rendono una analisi del fenomeno che sia ben raccordata alla vicenda storica in tutta la sua ampiezza.4
Io dal canto mio ho ritenuto di dover sintetizzare del testo solo alcuni paragrafi che vanno dal primo
al quarto capitolo per cercare di fare un excursus dell’approccio cristiano al tema dell’infermità. Ho
preferito questa strada perché sono agli inizi dei miei studi teologici e ho bisogno di iniziare a
delineare un primo canovaccio della visione teologica durante il cammino del cristianesimo nei vari
contesti storico - sociali. Il cambiamento di prospettiva teologica cambia sia il modo di vedere sia i
problemi che le soluzioni; nella fattispecie il malato, la malattia, il trattamento del malato, la via della
guarigione.
1 Cf. M.Fioranelli, Il decimo Cerchio. Appunti per una storia della disabilità. Presentazione di G. Cosmacini, Laterza,
Bari-Roma 2011. Si vedano pure La disabilità la carne le relazioni. Un mondo che si dischiude, a cura di M.Chiodi,
Centro Volontari Sofferenza, Roma 2010; La difficile storia degli handicappati, a cura di A. Canevaro e A. Giussot,
Carocci, Roma 2000; P. Zonca, L’handicap nella storia. Parole teorie immagini, Libreria Stampatori,Torino 2000.
2 V. Mancuso, Il dolore innocente. L’handicap, la natura e Dio, Mondadori, Milano 2002.
3 Cf. S. Zavoli, Il dolore inutile. La pena in più del malato, Garzanti Libri, Milano 2002. Il volume propone una serie di
interviste a medici, scienziati, uomini di cultura e di chiesa sul mistero del dolore in generale.
4 E.Bressan, L’”Hospitale” e i poveri. La storiografia sull'assistenza: l'Italia e il "caso lombardo”, NED, Milano 1981,
10.
4
In questo breve elaborato, quindi, cercherò di porre attenzione ai caratteri di fondo della
società o della cultura dell’epoca studiata e di capire come la chiesa del tempo abbia elaborato un
proprio pensiero alla luce della fede sul problema degli infermi e abbia inciso nel sistema politico
sociale ed economico con l’obiettivo di tutelare la dignità dei disabili abbattendo le barriere della
5 Ci sembra utile a questo proposito la lettura di G.Scarsini, La Chiesa e l’handicap. Orientamenti e proposte alla
Comunità Cristiana, Salcom, Brezzo di Bedero(VA) 1987.
6 Utile in questo senso ci sembra la lettura di H.J.Stiker, Corps Infirmes et sociétés, DUNOD, Paris 1982.
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Capitolo 1 - Approccio cristiano alla disabilità dalla società classica al trecento
Nelle due grandi civiltà classiche, greca e romana, il destino dei disabili è irrimediabilmente
segnato e dipende dallo status sociale della famiglia. I benestanti li tengono nascosti in casa mentre i
poveri li espongono condannandoli alla morte o alla schiavitù. Il disabile è considerato un peso
sociale, se poi è deforme è simbolo del maligno, diventa capro espiatorio delle colpe di tutti e viene
espulso dalla città a frustate o sassate. Fondamentale per il mondo classico è il pensiero Platonico
riguardo al corpo che viene visto come impedimento per l’anima protesa verso il bene e la verità.
tentazioni del corpo e slanci dell’anima in modo da non ammalarsi. Il tema è ripreso da Aristotele e
in qualche modo anche da Ippocrate il quale sostiene che il malato fisico o mentale è affetto da
squilibrio che però è anche punizione divina: l’epilessia7 è malattia dovuta alla dea della Luna. A
Roma dove le influenze platoniche e aristoteliche erano ben penetrate l’accostamento tra malattia e
punizione divina è la normalità. Anche qui si parla di perturbatio e di tranquillità minacciata dalla
distorsione della realtà dovute a peccati come ambizione e cupidigia. In ogni caso è il peccato
dell’uomo incatenato alla sua condizione umana e ad un corpo che lo allontana dalla perfezione.
Lasciando il mondo classico per rivolgerci a quello biblico apprendiamo che il tema della malattia
come punizione divina e legata al peccato8 è presente anche nei testi veterotestamentari (Es 4,6; sal
7 Pagine molto interessanti si trovano sull’argomento si trovano in G.Cosmacini, Il mestiere di medico. Storia di una
professione, Cortina Raffaello, Milano 2000.
8 Sarà utile leggere sullo stato allotropico della salute fisica e morale A. Vanhoye, La vita consacrata nel mondo della
salute. Fondamenti biblici, in <<Camillianum>> 5 (1994), 23-57
9 Si veda M.Petrini, Il malato e le malattie nelle diverse concezioni culturali e religiose, in <<Camillianum>> 7 (1996),
241-270.
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Anche qui la disabilità, dal punto di vista sociale è considerata una impurità che impedisce di
condurre la vita sociale al punto di dover indossare vesti lacere per essere riconoscibili. Non
dobbiamo dimenticare, però, che siamo nel contesto di Israele, popolo che ha un rapporto speciale
con un Dio geloso che dà e chiede fedeltà, che ha stipulato un patto con il suo popolo con tanto di
benedizioni e maledizioni nel caso di infedeltà. Un Dio pronto a perdonare un popolo che vive la
penitenza in vista dello shub (“ritorno a Dio”). Se questa è la visione costitutiva di un popolo non c’è
da meravigliarsi se pure la malattia viene vissuta come punizione ma con la possibilità di per liberarsi
attraverso la rinnovata fedeltà a Jahweh. I malati, privati della salute (Sir 30, 14 ss.) chiedono ai
sacerdoti e profeti la guarigione confessando i propri peccati e “Dio promette loro di liberarli”. La
salute e la prosperità passano dall’obbedienza al Dio, alla fedeltà nei suoi riguardi. Già questo ci
permette di capire come rispetto al mondo classico il pensiero israelita della malattia è incanalato
nella prospettiva messianica: i malati nel corpo di fatto hanno l’anima malata e possono essere curati
da Dio per mezzo di opere assistenziali umane che possono essere considerate un primo embrione di
collaborazione atta a dare valore alla profezia di salvezza e alla volontà di Dio. In Israele si dà quindi,
assistenza fisica e spirituale, segnando l’inizio del paradigma olistico del tema della salute che Gesù
perfezionerà apportando non pochi cambiamenti. Intanto esclude che la malattia sia volontà punitiva
di Dio assumendola invece come mezzo necessario per la manifestazione delle sue opere. Per guarire
quindi non ci si deve sottomettere al Dio ma si deve avere “fede” e capire che la malattia fa parte del
disegno di Dio e che essa rende il malato protagonista dell’opera di salvezza di Dio. Il metodo usato
da Gesù è quello del dialogo diretto con il malato, dell’approccio psicologico fatto di parole dirette,
gesti simbolici e dialoghi collettivi per ottenere la guarigione spirituale dando compimento alla
Il processo di guarigione per opera di Gesù passa quindi attraverso l’umanizzazione del
malato, la promozione dell’infermo ad una vita positivamente vissuta al di là del deficit. E’ palese
che per far questo il figlio di Dio deve superare una serie di barriere normative: guarisce di sabato,
tocca i lebbrosi, supera gli ostacoli socio-religiosi e soprattutto quelli ontologici, eliminando ogni
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pregiudizio. La guarigione però esige da parte dell’infermo la volontà di guarire e di assumersi le
responsabilità del nuovo livello sociale a cui apparterrà. L’azione di Gesù che passa attraverso i
miracolo e ha come attori principali gli infermi mira a ricostruire la comunità e un nuovo ordine
sociale in cui anche tutti coloro che prima erano emarginati ora possono partecipare ed essere capiti
e accettati.
Dal messaggio di Gesù nasce una nuova cultura sanitaria;10 l’arte medica non è fonte di
guadagno né espressione di magia.11 Lui impone le mani e guarisce gratuitamente, cerca e trova la
collaborazione nell’infermo che avrà fede in Dio. Ed è esattamente questo il punto: a Gesù importa
solo di mostrare la potenza di Dio e reinserire i malati nel contesto sociale. Gesù mette in primo piano
la persona non l’handicap: un principio che ispirerà gli Apostoli e i Padri della chiesa e che diventerà
stile del primo cristianesimo. Come sosterrà M. Milani, “i gesti di accoglienza” di Gesù insegnano ad
della salvezza”.12
10 R. Messina, Storia della carità cuore della Chiesa, Edizioni Camilliane, cit.,21.
11 M.Smith scrive Jesus the Magician, Harper Collins, New York 1978 cercando di dimostrare che Gesù ha praticato la
magia nell’operare miracoli.
12 M.Milani, A immagine del Cristo “paziente”. Sofferenza, malattia e salvezza nella Scrittura, Edizioni Messaggero,
Padova 2003, 109.
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Durante la costruzione della prima comunità cristiana siamo ancora in un periodo in cui il
paganesimo ha la sua influenza e quindi troviamo anche diversi sistemi di guarigione che fanno più
uso della magia e della superstizione. In ogni caso il “Gesù pensiero” viene diffuso e il concetto di
malattia inserito nell’ordine della salvezza. Predicare e curare è un binomio inscindibile e nella
letteratura dei padri della chiesa apprendiamo che essi vedono nella malattia sia una occasione di
compartecipazione alla sofferenza di Cristo, medico e salvatore dell’anima e del corpo. E’ una via
per la salvezza e in tal senso tutti devono parteciparne, per cui il malato diventa occasione per tutti i
fedeli della ecclesia di attivarsi per consolare Cristo e ai malati di bearsi del martirio dell’obbedienza.
Non manca certamente nei padri della chiesa il binomio peccato-malattia ma al di là del tema della
salvezza ora anche viene riconosciuta la pietà di Dio verso i malati. Se Ambrogio mantiene rispetto
per Dio che flagella per la beatitudine futura, Gerolamo sostiene che l’unica vera guarigione è quella
dell’anima e quindi auspica la conversione per il recupero della salute. Addirittura Agostino considera
l’handicap una privatio boni, una mancanza di essere che però è funzionale rispetto al disegno divino.
In realtà in Agostino, c’è il forte desiderio di uno spirito sano in un corpo sano, perché solo “l’armonia
tra la pace del corpo e quella dell’anima dà piacere all’uomo”.13 Il binomio anima - corpo è visto in
generale come unità psicosomatica e quindi l’uomo deve mantenere in equilibrio le due parti per stare
bene. Rispetto al periodo classico però l’influenza di Gesù e del suo metodo dialogico si riflette nel
fatto che ora la mescolanza tra elemento terreno e spirituale ha bisogno della cooperazione tra medico
e paziente per raggiungere la salute del corpo che non può prescindere da quella spirituale e
soprattutto dalla azione di Dio che mostra sempre pietà verso i malati.
13 Cf. N. Cipriani, La cura del corpo e dell’anima in S. Agostino, in Cultura e promozione umana (a cura di Enrico Dal
Covolo e Isidoro Giannetto), Oasi Editrice, cit., 351-359.
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Proprio per la pietas divina Policarpo sosterrà che i presbiteri e i fedeli devono arrecare
consolazione e solidarietà ai bisognosi.14 Lo stesso farà Gregorio di Nanziano invitando gli uomini a
fare opere di carità. I temi della carità e della misericordia quindi iniziano a svilupparsi nella lezione
patristica evidenziando un distacco forte rispetto alla arida filantropia dei medici greci. Il cristiano si
distingue dal pagano per la capacità che ha di praticare la caritas che è imitazione di Cristo. Questo
sentimento caritatevole trova il massimo sviluppo con Gregorio I, meglio conosciuto come Gregorio
Magno che alla fine del VI secolo, in una Italia devastata dall’invasione dei Longobardi e dalla peste,
Durante il suo pontificato Gregorio VII opera numerosi interventi nei vari campi del sociale16
e permette, attraverso l’invio dei missionari la diffusione della regola benedettina in tutta Europa.17
Le missioni di Gregorio Magno hanno lo scopo di dare sollievo al popolo per mezzo di servizi
assistenziali e altre mansioni comprese nel capitolo XXXVI18 della regola di Benedetto.
14 Policarpo, Epistula ad Philippenses 3,3; 6,1; 10, 1-3 (PG 5, 1007 -1014)
15 G. Cosmacini, L’arte lunga, Storia della medicina dall'antichità a oggi, Laterza, Milano 1997, cit.,123
16 Gregorio Magno, Regula Pastoralis III, 12.
17 Cf. L. Dattrino, Il primo monachesimo, Studium, Roma 1984.
18 <<La cura degli infermi sia avanti tutto e sopra tutto, affinché come veramente a Cristo, così ad essi si serva. Sia
dunque massima cura dell’abata affinché con essi non sia usata negligenza. Ai fratelli infermi sia assegnata una cella
particolare nonché un servitore timorato di Dio, diligente e sollecito. Sia loro apprestato l’uso del bagno ogni volta che
se ne presenti il bisogno. Si permetta loro e a tutti i deboli di cibarsi di carne>>, citato da D. Casera, Chiesa e Salute,
L'azione della Chiesa in favore della salute, Ancora, Milano 1991,cit.,63.
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Gregorio, uomo molto caritatevole, si pone l’obiettivo di trasmettere agli “infirmi” il loro
status di “rappresentanti in modo generico della carne piagata e della sofferenza del loro Redentore”19
promuovendoli quindi da malati di una malattia specifica a “parte del genere umano mediante
Gregorio Magno ha dato il via ad una sorta di pedagogia della sofferenza per la quale non c’è più il
malato da curare da una parte e il Cristo Salvatore dall’altra, ma il malato stesso è il Cristo re-
incarnato negli ultimi del suo tempo; un Cristo umiliato da assistere e da riscattare così come
insegnava lo stesso Gesù. La sua azione rispetto ai malati non è quindi un semplice atto di pietas, ma
carità universale assunta come prospettiva di una vita completamente - non a caso è stato definito
Papa della carità19 - basata sulla dottrina del corpo mistico nel quale gli “infirmi” non sono più uomini
affetti da specifiche malattie ma tutti insieme <<genere umano uniti nel corpo di Cristo sofferente>>
e come tali intercessori al cospetto di Dio. La teologia della assistenza di Gregorio, tira fuori il tema
della carità dal guscio della pietas per farne vero sistema di relazioni tra chi esercita la carità con gioia
a prescindere dalla propria capacità economica e chi “paziente” viene assistito, finalmente elevato a
intercessore al cospetto di Dio per le colpe degli uomini.20 L’opera assistenziale del Papa è quindi
particolarmente creativa ed è cuore dell’azione della Chiesa di quel periodo tormentato, la quale
(Chiesa) si è adoperata per garantire giustizia e pace attraverso opere assistenziali ma anche caritative
e civili. Usando un linguaggio più moderno potremmo dire che Gregorio Magno ha una visione
amministrativa che si articola con interventi a breve e lungo termine e che ha come obiettivo quello
di aiutare nell’immediato i sofferenti, smarcandoli, nel frattempo dal loro stato di “Ultimi”. Per
raggiungere lo scopo necessariamente il Papa ha dovuto battere sugli aspetti interiori, psicologici
19 Cf. E. Menestò, Gregorio Magno Papa della carità, in Santità e carità tra oriente e occidente (a cura di M. Gnavi),
Leonardo International, Milano 2004, 54 ss.
20 Cf. Gregorio Magno, Hom. in Ev. (a cura di G. Cremascoli), Centro italiano di studi sull'alto Medioevo ,Roma 1994
(Opere di Gregorio Magno, II), II, XL, 10, 578-580.
21 Citato da N. Guglielmi, Il Medioevo degli ultimi. Emarginazione e marginalità nei secoli XI – XIV, Città Nuova,
Roma 2001, 159.
11
L’azione di Gregorio ha profondamente inciso sia sulla cultura del medio evo che su quella
dei tempi moderni ed è facile capire perché venga ricordato come il miglior discepolo di Gesù per
quei valori di pace e giustizia che costantemente ha difeso attraverso il sentimento di carità e
misericordia che gratuitamente ha donato. Non è da meno Pier Damiani monaco dell’ordine di
Camaldoli. Come Gregorio supera la propria indole ascetica e si dedica agli ultimi del suo tempo
frequentando gli ospedali dove <<il cristiano si trasforma in autentico servo di Dio>>. 22
Con Pier Damiani sembra che si faccia un ulteriore passo avanti: la guarigione è sì spirituale
ma si ripone più attenzione alle cure mediche. Del resto siamo nel periodo del monachesimo, della
farmacia monastica23 e della medicina monastica che pur mantenendo le convinzioni di sempre
rispetto alla natura della malattia inizia a manifestare un certo interesse al dato scientifico anche se
ancora incuneato nella comprensione antropologica del rapporto uomo – universo che non nella
guarigione immediata del corpo. In ogni caso la tendenza a lavorare più sull’immanenza che sulla
trascendenza da una parte allenta un po’ le tensioni tipiche della superstizione e permette il fiorire di
ordini e apparati dedicati alla cura dei più deboli (vedi gli ordini cavallereschi), dall’altra dà
comunque una spinta ulteriore al progresso sociale dovuto alla formazione della società comunale,
permettendo l’evoluzione del sistema sanitario. Nascono così gli ospedali, strutture organizzate
gestite da monaci. Il progresso, come spesso accade, sviluppa nell’uomo una consapevolezza diversa
di sé, un individualismo che lo porta a staccarsi dal sistema creato dallo Stato-Chiesa. Siamo ai primi
tentativi di nascita dell’umanesimo che porterà all’istituzione delle università, al declino della
medicina monastica e alla visione della malattia e dell’handicap come “evento naturale”.
22 A. Casera, L’ospedale e l’assistenza, Salcom, Verbania 1990, cit.,74. Sulla storia degli istituti ospedalieri cf. pure E.
Bressan, L’<<hospitale>> e i poveri, La storiografia sull'assistenza: l'Italia e il "caso lombardo" , NED, Milano 1981
23 Cf. L. Volta, Segreti di Medicina dei conventi, Xenia, Milano 1992.
12
La Chiesa si adegua al clima, tanto che al concilio di Reims del 1131 e a quello di Roma del
1139 viene vietato non solo ai monaci di praticare la medicina fuori dai monasteri ma agli ecclesiastici
la possibilità di esercitare la medicina con la minaccia di scomunica per chi non obbedisce.24
Notiamo quindi una sorta di adeguamento della chiesa che va sempre più secolarizzandosi in
una società in cui le condizioni sociali vanno migliorando. E’ singolare vedere come in questo periodo
economicamente e socialmente più prospero il vecchio concetto di malattia fisica come metafora della
malattia spirituale passi agli ordini mendicanti come quello di San Francesco. Come fu per Gesù
Cristo e per i padri della chiesa fino a Gregorio Magno ora anche San Francesco riprende l’uso della
terapia olistica volta a far capire che la cura del malato non può essere solo frutto del “compatimento
umano”.25 Anche per Francesco il corpo umano è gabbia dell’anima e ostacolo per il raggiungimento
della grazia ed è la sofferenza e la malattia veicolo per fare del peccatore un uomo nuovo capace di
osservare il messaggio cristiano e quindi di vivere civilmente. Il compito della chiesa è quindi
riportare il malato alla guarigione corporea-spirituale e civile e per farlo deve essere lo stesso
soccorritore a proporsi al malato senza aspettare di essere richiesto. In questo, Francesco ricorda
molto Gregorio Magno quando raccomandava ai missionari di far visita ai deboli più reticenti che per
vergogna non chiedevano aiuto. La figura di Francesco e in generale quella di tutti gli ordini
mendicanti sono sintomi dell’inquietudine dei tempi in cui vive,26 tempi ricchi con una chiesa ricca
ma in decadenza. Bisognerà aspettare qualche tempo perché la situazione cambi di nuovo. Il XIV
secolo diventa scenario di una grossa crisi dovuta a carestie e pestilenze che mettono a dura prova gli
uomini i quali ricadranno nella trappole della superstizione. Nel disordine globale saranno sempre i
24 D. Casera, Chiesa e salute, ct.,57:<<Uno occhio impudico è il messaggero di un impudico cuore, ed in qualunque cosa
di cui un prete onesto sentirebbe vergogna di parlare, egli non deve intromettersi. Con apostolica autorità proibiamo
dunque che questa pratica venga continuata e degradiamo e scomunichiamo vescovi, abati e priori conniventi ad una
simile mostruosità>>.
25 Cf. Francesco Diego Tosto, Ultimi o primi? Infirmi e disabili nella storia sociale e letteraria del Cristianesimo - Età
antica e Medioevo-, Istina. Siracusa Novembre 2012. Cit.,132
26 M. Mollat, I poveri nel Medioevo, Laterza, Milano 2001, cit., 139-143
13
Conclusione
Se dobbiamo ammettere che in passato la Chiesa, pur prestando sostegno caritatevole ai più
deboli non sempre ha promosso e valorizzato le loro capacità, dobbiamo pur capire che il modello
ontologico perfetto dell’uomo ereditato dalla civiltà classica ha indotto la società civile a relegare
spostata dal concetto ontologico di essere a quello fenomenologico di esserci ed in questo ambito
ha assunto particolare interesse la “diversità” come risorsa nel progresso antropologico e sociale di
un popolo.28 Durante il Giubileo delle persone disabili (2000) e della proclamazione del 2003 quale
anno europeo delle persone con disabilità, Giovanni Paolo II rivolgendosi ai responsabili politici li
ha esortati a porre al centro delle politiche i deboli e specialmente i disabili tutelandone la dignità
attraverso opere di valorizzazione. Oggi, anche per via della globalizzazione che ha letteralmente
inondato ogni aspetto del vivere sociale e del dominio dei mercati finanziari che mettono al centro la
“cosa da vendere” e l’uomo come consumatore, ancora una volta i poveri sono cifre passive perché
“non consumano”. In questo scenario post moderno, figlio di un illuminismo che ha minato la figura
della trinità, nonostante tutto, ancora una volta, resa la chiesa l’unico attore in grado di difendere gli
“Ultimi” non semplicemente assistendoli in quanto corpi, ma facendone dei “Primi” in quanto uomini
e creature di Dio.
27 Si vedano P.Sgreccia, La tirannia della presunta perfezione e normalità, in <<Camillianum>> 23(2008), 2019-222;
S. korff-Sausse, Da Edipo a Frankenstein. Figure dell’handicap, Ananke,Torino 2009. Su E. Sgreccia si veda Vita,
ragione, dialogo. Scritti in onore di Elio Sgreccia, (a cura di Associazione Scienza & Vita), Cantagalli, Siena 2012.
28 Il concetto viene sviluppato da M. Schianchi, La terza nazione del mondo. I disabili tra pregiudizio e realtà, Feltrinelli,
Milano 2009.
14
Bibliografia
Fonti
Gregorio Magno, Hom. in Ev. (a cura di G. Cremascoli), Centro italiano di studi sull'alto Medioevo ,Roma 1994 (Opere
di Gregorio Magno, II).
Gregorio Magno, Regula Pastoralis III.
Policarpo, Epistula ad Philippenses 3,3; 6,1; 10, 1-3 (PG 5, 1007 -1014)
Studi
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D. Casera, Chiesa e Salute, L'azione della Chiesa in favore della salute, Ancora, Milano 1991.
A. Casera, L’ospedale e l’assistenza, Salcom, Verbania 1990,
N. Cipriani, La cura del corpo e dell’anima in S. Agostino, in Cultura e promozione umana (a cura di Enrico Dal Covolo
e Isidoro Giannetto), Oasi Editrice
G.Cosmacini, Il mestiere di medico. Storia di una professione, Cortina Raffaello, Milano 2000.
G. Cosmacini, L’arte lunga, Storia della medicina dall'antichità a oggi, Laterza, Milano 1997.
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Roma 2011.
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International, Milano 2004.
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Padova 2003
M. Mollat, I poveri nel Medioevo, Laterza, Milano 2001.
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H.–J.Stiker, Corps Infirmes et sociétés, DUNOD, Paris 1982.
Francesco Diego Tosto, Ultimi o primi? Infirmi e disabili nella storia sociale e letteraria del Cristianesimo - Età antica
e Medioevo-, Istina. Siracusa Novembre 2012.
A. Vanhoye, La vita consacrata nel mondo della salute. Fondamenti biblici, in <<Camillianum>> 5 (1994).
15
Vita, ragione, dialogo. Scritti in onore di Elio Sgreccia , (a cura di Associazione Scienza & Vita), Cantagalli, Siena 2012.
L. Volta, Segreti di Medicina dei conventi, Xenia, Milano 1992.
S. Zavoli, Il dolore inutile. La pena in più del malato, Garzanti Libri, Milano 2002. Il volume propone una serie di
interviste a medici, scienziati, uomini di cultura e di chiesa sul mistero del dolore in generale.
P. Zonca, L’handicap nella storia. Parole teorie immagini, Libreria Stampatori,Torino 2000.
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Indice
Introduzione ………………………………………………………………………………………4
Capitolo 1 - Approccio cristiano alla disabilità dalla società classica antichità al trecento…6
Conclusione…………………………………………………………………………………………14
Bibliografia………………………………………………………………………………………….15
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