Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
ISBN 9788890966590
© 2014 Q Institute
Q Institute
Cambiare il mondo, partendo da sé
via Rivo Fontanelle 64 – 47892 Acquaviva (RSM)
www.qinstitute.sm
PREMESSA xi
INTRODUZIONE
Il significato della «Q» 1
CONCLUSIONI 273
La lotta tra il bene e il male 273
Come cambiare il mondo 275
Il miglior investimento 277
Buona lettura!
Enrico Caldari
«Avete letto i giornali oggi? Persone in tutto il mondo si
impegnano a stare al gioco, vittime della società moderna.
Le circostanze ci hanno portato qui. L’Armageddon ci sta ar-
rivando vicino, molto vicino. La lungimiranza è l’unica chiave
per salvare il destino dei nostri bambini. Le conseguenze so-
no serie, molto serie, ora. Gli ipocriti, noi siamo loro schiavi.
Quindi amici, per fermare la fine, dobbiamo contare gli uni
sugli altri. […] Fermiamo quello che sta succedendo. Dobbia-
mo svegliare il mondo dal suo sonno. […] Uomini avidi hanno
ucciso tutta la vita che c’è sempre stata. È meglio compor-
tarsi secondo natura, o la natura ci porterà via tutto. Non
provate a dirmi che ne sappiamo più di lei, sul distinguere
tra il bene e il male. […] Dobbiamo svegliare questo mondo
dal torpore. Gente, fermate quello che sta succedendo. […]
Io vi sto chiedendo: quando impararete a fermare quello che
sta succedendo?»
Jamiroquai (When You Gonna Learn, 1993)
INTRODUZIONE
n Uno 5
n Terra
Q
n Divino
(dal sanscrito, KU)
n Coerenza
n Indipendenza
RISERVA E RISERVATEZZA
DORATA IGNORANZA 41
In Italia non siamo messi meglio. Nel 2010 il nostro PIL era di
2000 miliardi di dollari. Ciò vuol dire che quell’anno tutta la
nostra economia ha mosso quella ricchezza. Nello stesso anno
il nostro debito pubblico era pari a 2400 miliardi di dollari;
corrispondeva cioè al 120% del PIL. Abbiamo sentito spesso
questo dato alla radio, sui giornali o in televisione.
Inoltre, sempre in quell’anno lo Stato italiano sostenne una
52 spesa pubblica di 1070 miliardi di dollari. Ciò significa che più
del 50% del nostro PIL è stato generato dalla spesa pubblica,
cioè dall’erogazione di quei servizi e dal mercato di quelle
attività che sono finanziate dallo Stato.
E tutti quelli – politici ed economisti – che sostengono che
per rilanciare l’economia bisogna tagliare la spesa pubblica?
Se noi abbassassimo la spesa pubblica, che costituisce più
del 50% del nostro PIL, come possiamo pretendere di alzare
il PIL? Non vi sembra un controsenso? Significa che spesso
nemmeno i politici e i giornalisti hanno ben chiare le grandez-
ze messe in gioco nell’economia e come esse interagiscano
tra loro.
In effetti, attraverso le entrate pubbliche (IVA, accise, tasse...)
nel 2010 lo Stato Italiano ha ricavato qualcosa come 960 mi-
liardi di dollari. Gli altri 110 miliardi di dollari sono andati a
costituire il deficit del bilancio statale, e sono stati finanziati
con nuovi debiti. I nuovi debiti sono andati a sommarsi ai
vecchi debiti, accumulati negli anni precedenti. È qualcosa
che succede fin dall’inizio del ventesimo secolo, tutti gli anni,
governo dopo governo.
E aumentando il debito, aumentano anche gli interessi da
pagare su quel debito. È un circolo vizioso, destinato a non
avere alcuna inversione di tendenza.
FABBRICHE DI DEBITI
LOTTE E PARADOSSI
Nella lotta sul controllo dell’emissione del denaro, fino alla
metà del secolo scorso il ruolo delle banche private è stato
«controllato» e «limitato» da un sistema di regole e dalla
possibilità per lo Stato di intervenire direttamente con la
creazione monetaria. Uno Stato, in quanto detentore del
potere legislativo, può creare le regole del proprio sistema
monetario e scegliere come effettuare nuovi investimenti
senza alzare le imposte: indebitandosi o stampando nuova
moneta. Nella seconda metà del ventesimo secolo la se-
conda opzione è stata sempre più relegata a «eccezione»,
59
grazie a un enorme lavoro di lobbying da parte del mondo
bancario privato, volto a evidenziare a livello accademico
soprattutto i lati negativi della creazione monetaria pubbli-
ca (in particolare il rischio «inflazione») e ad alimentare una
globalizzazione che è stata prima di tutto monetaria. Con
l’euro e la nascita della BCE il sistema bancario privato in
Europa ha ottenuto l’egemonia sulla creazione monetaria,
dando alla BCE il ruolo di controllore e garante di questa
egemonia. Così ora uno Stato europeo può alimentare la
spesa solo con le tasse o con il debito, e non può più emet-
tere nuova moneta. In apparente contraddizione, è stato di
recente imposto il pareggio di bilancio statale per ridurre
l’impatto del debito ormai irredimibile. Poco importa se il
deficit statale è una componente strutturale. Gli Stati Uniti,
ad esempio, hanno un deficit statale di oltre il 50% annuo
(cioè, lo stato spende il 50% in più di quanto incassa) e
non potrebbero mai sostenere il pareggio di bilancio e ri-
nunciare al ruolo della FED come «compratore/prestatore»
di ultima istanza. L’Italia è invece ora costretta per legge
al pareggio del bilancio statale: poco importa se non l’ha
mai raggiunto da quando è nata. Oggi più del 90% del
denaro circolante nel mondo occidentale – siano dollari,
euro, sterline o yen – non è stato emesso da banche centrali
come molti credono, ma è stato emesso «digitalmente» dal
sistema bancario privato, come prestiti, dal nulla, creando
nuovi debiti. Se con la vittoria del sistema bancario privato i
debiti sono rimasti l’unico modo per alimentare la «crescita
monetaria», in un mondo che cresce i debiti possono solo
crescere. Ma vivendo comunque in un pianeta «finito» e
non «infinito», se l’indebitamento ha raggiunto un livello
60
insostenibile, per evitare il rischio di un «default» a catena
e il crollo del sistema stesso, il mondo bancario ha deci-
so di «autolimitarsi» nell’unico modo possibile: riducendo
l’erogazione di prestiti. Ed è per questo che ad esempio
in Italia la crescita si è bloccata, il PIL è iniziato a calare e
siamo entrati in «recessione». Non è più possibile curare il
debito con nuovo debito e la recessione ne è la conseguen-
za inevitabile. Un vero paradosso.
DIVIDE ET IMPERA
62
DISTRUZIONE MONETARIA
Secondo gli studiosi ufficiali del sistema monetario ogni
debito ripagato dovrebbe implicare la «distruzione»
del denaro prestato per quel credito. La cifra di denaro
prestata, una volta tornata alla banca, dovrebbe quindi
essere ritirata dalla circolazione monetaria dalla banca
stessa. In realtà, alcuni ricercatori indipendenti (tra cui
l’italiano Marco Saba) sostengono che ripagando un de-
bito non si distrugge la quantità di denaro restituita, ma
questa rimane a disposizione della banca, fuori bilancio
(in «nero»). Lo stesso Saba, basandosi sulle indagini del
giornalista francese Denis Robert (autore del libro Reve-
lations), sostiene che le cosiddette società di «clearing»
interbancario abbiano la fondamentale funzione di mo-
vimentare questa circolazione monetaria «fuori bilancio»
(«off shore»)…
Paul Krugman 71
MISURARE LA FELICITÀ
87
Robert Kennedy
MERITARSI LA RICCHEZZA
COMPILA IL Q TEST
Compila ora il Test di Indipendenza dal Sistema. Per farlo,
vai su www.liberidalsistema.com, clicca su «Q Test» e lascia
i tuoi dati. Oltre a ricevere i risultati del test direttamente
nella tua casella email, riceverai anche alcuni video gratuiti
con degli estratti dai Corsi Q Institute.
Cosa vuol dire? Vuol dire forse che nel nostro Sistema gli
interessi commerciali di chi produce e vende farmaci hanno
maggiore influenza del Giuramento di Ippocrate che tutti i
medici che noi abbiamo delegato a guarirci dovrebbero sot-
toscrivere?
Nel 2005 c’erano circa 8500 farmaci in commercio. Sette anni
più tardi, nel 2012, il loro numero era salito a oltre 10 000.
108 Questo significa che le industrie farmaceutiche hanno conti-
nuato a produrre nuovi farmaci, e molti.
Ma se di quegli 8500 farmaci (dato del 2005) soltanto una
decina funzionava, perché hanno continuato a mantenerli sul
mercato fino al 2012? E soprattutto: siamo sicuri che i farmaci
immessi nel mercato più di recente siano veramente nuovi (e
non «riciclati»), che curino patologie nuove (patologie reali) e
che siano più efficaci di quelli che c’erano prima?
In realtà, spesso i nuovi farmaci non sono altro che una revisio-
ne estetica e di proposta commerciale dei farmaci già esistenti.
Mettetevi nei panni di una multinazionale farmaceutica. Avete
brevettato una molecola per la cura di una patologia, e ne
avete fatto una pillola, un farmaco. Dopo qualche anno, quel
brevetto è destinato a scadere. E allora, voi che fate? Lasciate
che il vostro farmaco perda mercato? Eh no! Ci avete investito
soldi e anni di ricerca! Cosa fate, allora?
Beh, potreste cambiare il colore alla pillola, la sua scatola e
il nome del farmaco. E poi investite su un’altra ricerca che vi
confermi che quella pillola può essere utilizzata anche per una
nuova patologia. E la ribrevettate.
Pensate stia esagerando? Allora analizziamo i dati di uno stu-
dio americano, sempre citato da Pizzuti: «Tra il 1998 e il 2002,
dei 415 nuovi farmaci approvati per la vendita sul mercato
americano, il 14% presentava qualche effettiva novità rispetto
ai già esistenti e il 9% era costituito da farmaci vecchi ai quali
erano stati apportati dei miglioramenti significativi».
Ok. 14% + 9% = 23%. E il restante 77%? Sono nuovi o non so-
no nuovi? E soprattutto: presentano qualche miglioramento o
vantaggio rispetto a quelli già precedentemente in commercio?
Forse non tutti lo sanno, ma non esiste alcuna norma che co-
stringa l’industria farmaceutica a effettuare comparazioni tra
un nuovo farmaco e un farmaco già esistente. 109
In altre parole, chi produce farmaci non deve dimostrare che
quel nuovo farmaco debba funzionare meglio di uno già esi-
stente. Gli basta dimostrare che funzioni meglio di... niente!
Cosa significa «meglio di niente»? Letteralmente: meglio di
niente. Avete mai sentito parlare dell’effetto placebo?
Le pillole, oramai, le prendiamo per qualsiasi cosa. Tant’è che
anche i disturbi psicologici vengono trattati con i farmaci. Bi-
sognerebbe ora chiedersi come può un farmaco che agisce a
livello chimico risolvere un problema che nella maggior parte
dei casi ha origine a livello emotivo.
E allora analizziamo un esempio concreto, e parliamo di uno
dei tanti farmaci antipsicotici presenti attualmente sul merca-
to, di cui non citerò il nome (ma per i più curiosi lo nomino
senza censure all’interno del corso multimediale «Q-Life, Li-
beri dal Sistema»).
Questo farmaco è stato testato attraverso una ricerca per
dimostrarne l’efficacia terapeutica. Tale ricerca (i cui dati sono
pubblicati sul sito Internet «Pharmamedix» da una società di
consulenza del mondo farmaceutico) ha evidenziato che: «Ha
un’azione bilanciata su ansia, depressione, attacchi di panico
e disturbi ossessivo-compulsivi».
Un farmaco risolve tutto questo? Un vero toccasana, sem-
brerebbe.
Per introdurlo sul mercato, la ricerca si è anche premurata di
fornire dei dati oggettivi, espressi in percentuale, sull’efficacia
del nuovo farmaco. L’efficacia è quindi stata pari al 47,8% nei
casi di depressione; 30,5% per chi era affetto da fobia sociale;
63% per chi soffriva di attacchi di panico; 55,1% per chi pre-
sentava disturbi ossessivo-compulsivi. Non viene specificata
la percentuale di efficacia nei casi di ansia generalizzata, ma
110 a questo punto sembrerebbe anche superfluo chiedere un
ulteriore dato, dopo averne accertato l’efficacia nei confronti
di così tanti sintomi. Diamogli fiducia, e crediamo che vada
bene anche per l’ansia generalizzata!
La ricerca su questo farmaco ha inoltre riferito un dato che ho
dovuto studiarmi con calma, perché all’inizio non l’avevo capi-
to bene. Il dato afferma che, nel 63,8% dei casi, dopo 12 mesi
dal trattamento il paziente si trova in uno stato di «eutimia».
Che cos’è l’eutimia? È uno stato d’animo di serenità e neu-
tralità. Dopo un anno dal trattamento... il soggetto che ha
usato il farmaco è tranquillo, sereno e rilassato, in quasi due
casi su tre.
Bene. Ora permettetemi una domanda: questi dati, per essere
ritenuti soddisfacenti, con i dati di quale altra terapia sono
stati confrontati?
Ve lo ripeto: con i dati di una terapia a base di... niente! A
un gruppo di persone è stato dato il farmaco, e a un altro
gruppo è stata somministrata una pillola che non conteneva
assolutamente niente: un «placebo».
Insomma: dare «niente» a qualcuno, dicendogli che gli si sta
dando un farmaco che funziona per risolvere la sua proble-
matica, è l’unico paragone di controllo che viene fatto per
monitorare i nuovi farmaci che vengono messi in commercio.
E allora mi sono chiesto: che risultati di guarigione si sono ot-
tenuti dalla somministrazione di placebo al gruppo di control-
lo? I dati sono sempre consultabili sul sito precedentemente
citato, e sono i seguenti: 14,5% nei casi di fobia sociale (contro
il 30,5% col farmaco); 32,6% nei casi di depressione (47,8%
col farmaco); 35,4% nei casi di disturbi ossessivo-compulsivi
(55,1% col farmaco); 59% nei casi di attacchi di panico (63% col
farmaco). E per finire, il dato più interessante: dopo un anno
dal trattamento con «niente», ben il 69,6% dei soggetti si ri-
trova in uno stato di eutimia, sereno e neutrale. Erano il 63,8% 111
quelli che stavano bene dopo un anno dall’uso del farmaco.
Cosa significa tutto ciò? Che prendere «niente» è quasi me-
glio di prendere un farmaco. Se diamo «niente» a persone
affette da un qualsiasi disturbo psichico, dopo un anno sem-
bra più probabile che stiano meglio rispetto alle persone che
avevano assunto un farmaco (e qui bisognerebbe aprire un
altro capitolo e considerare anche gli eventuali effetti colla-
terali del farmaco, ma mi fermo qui...).
Quindi, tutti noi viviamo in un mondo in cui il sistema farma-
ceutico studia nuovi farmaci e li verifica paragonandoli alla
somministrazione di «niente», e comunque arriva ogni volta
alla conclusione che gli effetti prodotti da «niente» sono simili
(a volte addirittura migliori) di quelli di un farmaco.
A questo punto mi chiedo: non avrebbe più senso promuo-
vere una ricerca sui benefici terapeutici dell’effetto placebo,
piuttosto che su quelli dei farmaci? Cosa ha più effetti colla-
terali, secondo voi: l’effetto placebo o un qualsiasi farmaco
sul mercato?
E allora, se anche l’effetto placebo aiuta a guarire (e con ri-
sultati che a volte non si discostano così tanto da quelli delle
varie pillole o terapie), perché nessun ricercatore lo studia
nel dettaglio?
Ce l’ha detto prima il professor Garattini: l’effetto placebo è
gratis, nessuno lo può vendere! Non è vantaggioso per chi ha
fatto dei farmaci il proprio business!
Che la suggestione e quindi anche il pensiero, inteso anche
come atteggiamento mentale nei confronti della malattia e
della guarigione, sia determinante per la nostra salute, lo dice
anche un altro illustre professore, il dottor Enzo Soresi.
Il dottor Soresi è un pluripremiato medico chirurgo, specializza-
to in malattie polmonari e oncologia clinica, che ha pubblicato
112 oltre 150 lavori scientifici su riviste nazionali e internazionali. Nel
2005 ha scritto un libro intitolato Il cervello anarchico, nel quale
sostiene che la nostra mente ha più potere di quanto pensiamo
nel farci ammalare o guarire. Più che le cause esterne, sostiene
Soresi, è il nostro pensiero, è qualcosa dentro di noi, che può
fare davvero la differenza tra lo stare bene e il non stare bene.
Il pensiero focalizzato negativo produce una patologia fisica. Il
pensiero focalizzato positivo produce benessere fisico.
Ci sono infatti tanti istituti di ricerca che portano avanti studi
sugli effetti psicosomatici degli stati d’animo negativi. Studia-
no gli effetti negativi del pensiero.
Lo stesso Soresi in un’intervista a Il Giornale ha confermato:
«L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far
scomparire un sintomo».
Ma perché allora non studiare seriamente anche gli effetti
positivi del pensiero, al posto di quelli dei farmaci?
È lo stesso Soresi a chiarircelo: «Noi medici non possiamo
sfruttarlo [l’effetto placebo, N.d.A.], altrimenti diventerebbe
un inganno».
Non credevo ai miei occhi quando lessi questa sua dichia-
razione e mi interrogai profondamente sul significato di
questa frase. Egli di fatto chiarisce l’effetto di anni e anni di
«programmazione culturale» svolta dal Sistema sui medici.
E chiarisce la realtà sul nostro Sistema sanitario basato sulla
somministrazione di farmaci. Secondo Soresi ogni qualvol-
ta si ottiene un risultato positivo con l’effetto placebo (cioè,
«suggestionando» un paziente in modo che focalizzi la pro-
pria «attenzione» e la propria «intenzione» sulla guarigione,
anziché sulla malattia) e non con un farmaco o con una terapia
medica, il Sistema «diventerebbe un inganno». Forse perché
il Sistema è in molti casi un inganno. E l’effetto placebo lo
dimostra platealmente, ogni giorno.
Per fortuna qualcuno che studia gli effetti positivi del pensiero 113
e del lavoro «interiore» sulla salute esiste già. Uno di questi è
il Q Institute, l’istituto che ho fondato a San Marino insieme a
Marco Fincati, il cui motto è «Cambiare il mondo, partendo da
Sé» e il cui scopo è proprio quello di diffondere conoscenze e
tecniche per stare bene e rendersi indipendenti e felici, senza
dipendere da altri (e tantomeno dai farmaci).
FABBRICHE DI MALATI
Davvero?
Certo che no! Che ricavi potrebbero avere dal somministrare 125
bicarbonato ai pazienti?
RISCHIO PANDEMIA
I 4 MAGNATI
137
Marco Fincati
Quando Marco mi chiese di partecipare come co-relatore
a un corso che avrebbe tenuto a Rimini, accettai per un so-
lo motivo. Le sue grandi suggestioni razionalmente non mi
convincevano, il suo modo di esporle era lontanissimo dal
mio stile, e lui e le persone che collaboravano all’epoca alla
diffusione del suo lavoro erano quanto di più eccentrico, cu-
rioso e disorganizzato potessi immaginare. Ma le sue tecni-
che funzionavano. L’avevo provato sulla mia pelle. Dopo solo
una seduta guidata da Marco, senza che io sapessi nulla del
Metodo RQI®, applicando semplici procedure e tecniche che
non avevo mai visto prima, blocchi interiori che mi portavo
dietro da anni erano svaniti nel nulla. Serenità, appagamen-
to e leggerezza, che avevo ormai dimenticato, sembravano
aver trovato un modo semplice per rientrare nella mia vita
quotidiana.
142 Mi resi conto che le tecniche di Marco potevano mettere let-
teralmente il «turbo» alla mia crescita personale e alla mia
realizzazione su questa terra, e fare lo stesso per chiunque le
avesse applicate, in qualunque ambito della vita umana. Non
solo Salute e Benessere fisico, ma anche Autostima, Relazioni,
Lavoro e Benessere economico. Non ci sono limiti ai risultati
che si possono ottenere applicandole correttamente. E so-
prattutto sono semplici e alla portata di tutti.
Quando mi chiese di aiutarlo professionalmente a diffondere
il Metodo RQI®, ancora non la reputavo una scelta fattibile.
Troppe incognite e troppi rischi, in un settore che non cono-
scevo e con tante altre attività già avviate che avrei dovuto
mettere da parte. Ma decisi di affidarmi alle tecniche che
Marco mi aveva insegnato per fare quella scelta importante,
dato che le avevo già iniziate a sperimentare con successo
non solo sulla mia salute fisica ed emotiva, ma anche in ambi-
to professionale. E infatti la risposta fu diversa da quella che la
mia mente si aspettava. Il mio cuore diceva che dovevo farlo,
dovevo mollare il resto e collaborare con lui.
Ora, guardandomi indietro, so che quella scelta è stata giu-
sta, come tutte quelle prese applicando correttamente il
Metodo RQI ®. Guardando i risultati raggiunti con Marco
grazie a ciò che ora insegniamo insieme, mi rendo conto
che visti da fuori sembrerebbero incredibili. Oggi migliaia di
persone in Italia conoscono il Metodo RQI®, lo applicano e
ne hanno testimoniato l’efficacia in ogni ambito della loro vi-
ta, per sé e per i propri cari. Per diffonderlo abbiamo creato
Q Institute, il primo istituto al mondo nato per promuovere
conoscenze e strumenti pratici per rendersi indipendenti e
felici. «Cambiare il mondo, partendo da sé» è diventato il
nostro motto ufficiale. I corsi in aula organizzati finora sono 143
andati costantemente sold out, arrivando a riempire sale
con centinaia di partecipanti, da tutta Italia e addirittura
dall’estero, e convincendoci a registrarli e renderli disponibili
anche a distanza, sotto forma di corsi multimediali online.
Ci siamo dati obiettivi importanti, tra cui la diffusione inter-
nazionale del Metodo RQI® e il Q Project (il nostro progetto
per «Cambiare il Mondo»), e abbiamo già iniziato a realiz-
zarli, partendo ogni giorno dal lavoro su noi stessi. L’unica
condizione che chiesi a Marco di rispettare per collaborare
con lui è stata infatti questa: partire ogni giorno dall’appli-
cazione del Metodo RQI® su noi stessi e su ciò che facciamo
insieme. Oggi siamo come fratelli, continuiamo ad applicarlo
ogni giorno ed è questo il segreto dei risultati che stiamo
ottenendo.
L’RQI® è una grande opportunità che spero tanti potranno
cogliere. Serve solo abbandonare per un attimo i dubbi che
144 la mente razionale e le vecchie credenze ci fanno sorgere di
fronte a ciò che ancora non conosciamo, come anch’io ho do-
vuto fare all’inizio, e lasciarci guidare dal cuore prima ancora
di comprendere come sia facile farlo, applicando proprio il
Metodo RQI®.
Esso rappresenta un passo fondamentale per capire ciò che
è possibile fare della nostra vita scoprendo come funziona
davvero il nostro inconscio, come comunicare con esso, come
rimetterci in contatto con ciò che abbiamo dentro, con l’ener-
gia che pervade ogni parte di noi, le persone che abbiamo
intorno e l’intero universo che ci circonda, attingendo alla
quale non ci sono limiti a ciò che possiamo realizzare.
IMPARA AD AUTO-STAR-BENE
LA RIVOLUZIONE VERDE
BIODIVERSITÀ SACRIFICATA
IL RISO ITALIANO
Con oltre 220 000 ettari di risaie, l’Italia è il maggior pro-
duttore di riso in Europa. Varietà come il Carnaroli, l’Arbo-
rio o il Roma fanno dei nostri risi i più ricercati e apprezzati
sul mercato. Tuttavia, da qualche anno nelle risaie italiane
è apparsa una nuova varietà, chiamata Clearfield. Non è
un vero e proprio tipo di riso, ma un insieme di varietà di
riso che contengono un gene che rende il riso resisten-
te all’erbicida Beyond. Il Beyond è prodotto dalla BASF,
un’azienda americana che si appoggia all’Università della
Louisiania per le sue ricerche, i cui frutti sfociano spesso
in nuovi brevetti. Come quello del riso Clearfield e del suo
erbicida, per l’appunto.
Il riso Clearfield è arrivato anche in Italia grazie al prezzo
vantaggioso dei suoi semi, inferiore a quello di altre va-
rietà, ed è stato coltivato su circa 80 000 ettari di terreno
italiano, che equivalgono a più di un terzo di tutte le col-
tivazioni di riso nostrane. Anche in questo caso, gli agri-
coltori che hanno iniziato a utilizzare la varietà Clearfield
hanno dovuto firmare un contratto di utilizzazione della
169
tecnologia pagando una royalty per ogni ettaro coltiva-
to, con il divieto di rifarsi da sé il seme. Ma se durante
il primo anno di semina e di coltivazione con il Beyond
moriva tutto, dopo due o tre anni la natura ha cominciato
ad adattarsi all’erbicida, e così piante infestanti come il
Giavone ora riescono a sopravvivere al diserbante. Ma i
contratti rimangono validi.
AFFARI IN TAVOLA
173
180
187
PICCHI INDOLORI?
Purtroppo, per ora non sono tanti quelli che si sono posti il
problema. Gli stessi stati nazionali forse non si sono posti con
sufficiente convinzione l’interrogativo di come fare a trovare
nuove forme di energia, o a produrne di rinnovabili in modo
autonomo e il più possibile ecologico. L’Italia, ad esempio,
utilizza risorse che arrivano dall’estero, comprandole da altri
paesi. Che si tratti di petrolio libico o di gas russo, stiamo certi
che dalla Pianura Padana non estraiamo più nulla. Il metano
che avevamo è finito da tempo. Ora abbiamo solo buchi vuo-
ti, che al massimo utilizziamo per stoccare un po’ di gas per
le situazioni di emergenza, facendolo arrivare dalla Russia.
Quanto dipendiamo dagli altri? Fino al 2010, l’85% dell’e-
nergia che l’Italia utilizzava proveniva dall’estero. Poi furono
190 promossi finanziamenti al settore delle energie rinnovabili, e
abbiamo aumentato di qualche punto la nostra percentuale
di «autosufficienza», ma ancora oggi siamo largamente dipen-
denti dalle risorse straniere. E dipendendo dal punto di vista
energetico da altri, è ben difficile mirare alla propria indipen-
denza economica o alimentare. Basta un minimo imprevisto,
basta che l’energia dall’estero non ci arrivi più anche solo per
pochi giorni, per creare il blocco totale del paese.
Un esempio concreto? Il gas.
Il gas che utilizziamo tutte le mattine per preparare il caffè,
bollire l’acqua o fare una doccia calda, prima di arrivare nelle
nostre abitazioni compie un lungo viaggio di almeno 10 000
chilometri. Parte dai giacimenti nella Russia settentrionale,
attraversa tutta l’Europa dell’Est, passando prevalentemente
per l’Ucraina e l’Austria, fino poi ad arrivare in Italia setten-
trionale ed essere distribuito in tutto il paese.
Ma cosa succederebbe, ad esempio, se Ucraina e Russia en-
trassero in conflitto? Sta succedendo, ed è già successo in
passato, poiché tra i due paesi prevalgono tensioni politiche
fin dalla caduta dell’Impero Sovietico. E spesso il gas è utiliz-
zato dall’Ucraina come arma di ricatto e di trattativa.
Nel 2006, ad esempio, l’Ucraina chiese di avere gratuitamente
dalla Russia parte del gas che attraversava il suo territorio per
giungere fino in Europa, dove poi veniva commercializzato.
La Russia invece pretendeva che l’Ucraina pagasse il gas al
pari delle altre nazioni europee. La situazione giunse al culmi-
ne della tensione finché l’Ucraina decise di interrompere per
quache giorno le condutture di gas verso l’Europa.
Cosa successe in Italia? Per garantire la disponibilità di gas a
tutte le famiglie nelle loro case, il governo deliberò di sospen-
dere la fornitura di gas a tutto il settore industriale. Era il mese
di febbraio. Immaginatevi se la situazione si fosse protratta a
lungo e se anche le case fossero rimaste senza riscaldamento. 191
Per fortuna, la crisi si risolse dopo pochi giorni, e il gas tornò
disponibile. Ma dal 2006 a oggi gli episodi di tensione politica
tra Ucraina e Russia si sono susseguiti a più riprese. L’ultima
volta che l’Ucraina interruppe il gas fu nel 2012. Anche quella
volta ci trovavamo in inverno.
In quei giorni si leggevano sui giornali le dichiarazioni dell’al-
lora amministratore dell’Eni, Paolo Scaroni, che affermava:
«Dalla Russia sono diminuiti i flussi. Siamo in emergenza ma
abbiamo reagito aumentando le importazioni di gas dall’Al-
geria e attraverso la Svizzera. Quindi non avremo problemi
(…) fino a mercoledì». Era lunedì!
Questo significa che se ci tagliassero il gas dalla Russia, in Ita-
lia avremmo solo un paio di giorni di autonomia, ricorrendo a
tutti i nostri approvvigionamenti interni e a tutte le altre fonti
estere vicine.
Come fare, allora? La tecnologia ha fatto passi da gigante, al
CERN di Ginevra ci sono cervelloni di scienziati al lavoro tutti
i giorni... ci saranno pure delle alternative!
Qualcuno ci ha fatto credere per anni che l’alternativa miglio-
re fosse l’energia nucleare.
Basta costruire qualche centrale ben protetta e alimentarla
con barre di uranio per ottenere energia a sufficienza per
un’intera nazione. E poi, se nel peggiore dei casi ci fosse
qualche problemino.... beh, sono cose che succedono, gli
imprevisti capitano sempre e ovunque. Intanto le scorie pro-
dotte le sotterriamo in qualche miniera in Germania a 800
metri di profondità. E così almeno riduciamo la dipendenza
dal petrolio.
Non è questo che ci hanno sempre detto e insegnato?
Eppure i fatti ci dicono che non sia la soluzione migliore. Di
tanto in tanto, qualcuno «dall’alto» ci lancia un avvertimento
192 per ricordarci che il rischio delle centrali nucleari per l’intera
umanità è molto alto, come alto è il prezzo da pagare in caso
di guasti o malfunzionamenti.
Molti di noi hanno ancora vivo il ricordo di Cernobyl. Per anni
il terreno è rimasto contaminato e gli effetti si sono sentiti in
tutta Europa. Ma dieci anni dopo, chissà perché, nel Vecchio
Continente si sono ricominciate a costruire nuove centrali nu-
cleari. Ha iniziato la Germania e dietro di lei, a ruota, tanti
altri paesi.
Nel 2011 Madre Natura ci mandò un altro avvertimento, che
stavolta coinvolse l’altra parte del mondo: Fukushima, Giap-
pone. Al momento del guasto alla centrale, i 50 000 abitanti
della città nipponica ebbero 15 minuti di tempo per raccoglie-
re i propri averi e abbandonare definitivamente l’area, per non
tornarci mai più. Ancora oggi Fukushima continua a essere un
caso complicato. Sui giornali non ne leggiamo più nulla, ma la
zona è ancora altamente inquinata, e lo resterà sicuramente
per lungo tempo. E dire che prima del disastro di Fukushima
si stava pensando di costruire altre centrali nucleari anche in
Italia. Pensate se un disastro di quella portata fossa accaduto
a una centrale a L’Aquila. Cosa ne sarebbe stato?
199
209
Wilhelm Reich
muovere ogni tipo di innovazione che potrebbe rendere più
indipendente il singolo cittadino. E così, tra le pagine de Il
manuale dell’accumulatore orgonico, si legge: «La scoper-
ta dell’orgone è molto più al sicuro nelle mani del cittadino
medio che nelle mani di politici, accademie delle scienze o
organizzazioni mediche di svariato genere. […] Come la lu-
ce del Sole, l’aria e l’acqua, l’energia orgonica è parte della
natura che esiste ovunque e deve essere disponibile a tutti,
libera dal controllo e da regolamentazioni restrittive, non è
brevettabile e non può essere controllata da alcun individuo
singolo o corporazione».
218
Ettore Majorana
Rupert Sheldrake, biologo e saggista britannico, autore del
libro «Sette esperimenti per cambiare il mondo», tuttora in vi-
ta, è il teorizzatore del «campo morfogenetico», o «risonanza
morfica», che implica un universo non meccanicistico, gover-
nato da leggi che sono esse stesse influenzabili e soggette
a cambiamenti. Secondo le sue teorie, ogni membro della
specie attinge alla «memoria collettiva» (o «campo morfoge-
netico»), e si sintonizza con tutti gli altri membri della specie,
contribuendo a sua volta all’ulteriore sviluppo della specie
stessa e a «modificare» le sue leggi e la sua evoluzione. Le
sue teorie spiegano anche fenomeni «paranormali» e spiega-
no come meccanismi tipici della fisica quantistica (come ad
esempio l’entanglement) possano riprodursi anche nel mondo
umano. Quando Sheldrake parlò per la prima volta di «cam-
po morfogenetico» la rivista New Scientist lo definì come «il
miglior candidato al rogo» (dopo Reich). Di recente un suo 219
intervento offerto in occasione di TED (una serie di confe-
renze organizzate per diffondere «nuove idee»), in cui con
leggerezza e humor inglese Sheldrake smontava uno a uno
molti dei paradigmi più diffusi della «Scienza» ufficiale, è stato
«bannato», cioè «censurato» e rimosso dal sito. Forse perché
le sue idee sono ancora «troppo nuove» per essere diffuse…
Rupert Sheldrake
Mentre Reich sperimentava macchinari per modificare il clima,
anche in Italia c’era qualcuno che faceva qualcosa di simile.
Sto parlando di Pierluigi Ighina. Allievo di Guglielmo Marco-
ni, da giovane si interessò allo studio della natura, delle forze
motrici e dell’elettromagnetismo. Le sue ricerche lo porta-
rono a delineare il concetto di ritmo magnetico Sole/Terra e
alla scoperta di quello che lo stesso Ighina chiamava «atomo
magnetico». Secondo Ighina, al centro del sole vi sarebbe un
cuore magnetico che pulsa al ritmo del cuore umano. Ighi-
na riteneva che, tramite l’applicazione della «filosofia della
spirale», si sarebbe potuta migliorare la vita dell’uomo attra-
verso la costruzione di «artefatti elettromagnetici». E difatti
egli stesso presentò diverse invenzioni, per mezzo delle quali
sarebbe stato possibile rigenerare cellule morte, allontanare
i terremoti (progettò una «valvola antisismica») e allontanare
220 o avvicinare le nuvole (come faceva Reich).
Molti testimoni riportano che Ighina, vivendo vicino a Imola ed
essendo infastidito dal rombo dei motori delle Formula Uno,
Pierluigi Ighina
durante il Gran Premio attivava di proposito il suo macchinario
per procurare precipitazioni atmosferiche. E così, dopo pochi
giri dal via, i piloti erano costretti a fermarsi ai box e a sostituire
le gomme, a danno dello spettacolo e della gara. Altri ricorda-
no anche di un terremoto che coinvolse le zone del modenese,
ma che non investì la vicinissima città di Imola, dove Ighina
viveva e dove aveva installato la sua «valvola antisismica».
Ighina, però, a differenza di Tesla, cercò sempre di evitare il
clamore della stampa, portando avanti i suoi esperimenti e le
sue ricerche in modo appartato, e non brevettò mai le sue ap-
parecchiature, né tentò di ricavarne un profitto. Forse fu que-
sto il motivo per cui riuscì a vivere oltre i novant’anni e a morire
di vecchiaia. Ma anche le sue scoperte vennero dimenticate.
STELLE IN BARATTOLO
221
Non riuscì a morire di vecchiaia, invece, lo scienziato Eugene
Mallove, la cui indagine scientifica circa il tema della «fusione
fredda» toccò interessi troppo al di fuori della sua portata.
Ma andiamo con ordine, e cerchiamo di ricostruire i fatti an-
che stavolta.
Tutto partì quando, nel 1989, due professori universitari di
elettrochimica, Martin Fleischmann e Stanley Pons, annun-
ciarono al mondo la scoperta della fusione «a freddo» in una
conferenza stampa. Spiegarono che era possibile produrre
energia pulita a costi irrisori mediante un semplice procedi-
mento elettrochimico, capace di innescare reazioni di fusio-
ne nucleare a bassa temperatura. Questa nuova tecnologia
avrebbe garantito energia pulita per tutti e posto fine a gravi
squilibri economici che avvantaggiavano esclusivamente lob-
by occidentali.
Furono forse quelle lobby a mettere fine alla carriera dei due
scienziati che, poco dopo il loro clamoroso annuncio, furono
costretti a ritirarsi a vita privata. Ma poiché la notizia della
possibile realizzazione di energia dalla fusione a freddo era
ormai di dominio pubblico, era necessario screditare tutte le
ricerche di Fleischmann e Pons. Le prime obiezioni del mondo
accademico all’eccezionale scoperta giunsero dalla conferen-
za della Società Americana di Fisica (APS), che smentì tutti
gli effetti misurati dai due scienziati. Arrivò poi una seconda
smentita dai ricercatori del laboratorio di Oxford, e una ter-
za da uno speciale gruppo di ricercatori incaricati dal Dipar-
timento dell’Energia Statunitense (DOE). Poco dopo arrivò
anche una quarta e più autoritaria smentita da parte del MIT
(che negli Stati Uniti è considerato il «tribunale della scienza»),
il quale definì la fusione fredda come «mera spazzatura».
In sostanza, si trattò di una serie di «scomuniche scientifiche»
222 che infangò per sempre l’autorevolezza dei due scienziati.
Ma fu proprio allora che Eugene Mallove, un autorevole ri-
cercatore che ai tempi lavorava proprio al MIT in veste di ca-
poredattore scientifico dell’ufficio stampa, fece una scoperta
che riaprì il caso. Rimettendo mano ai documenti dello stesso
MIT, Mallove si accorse che la relazione decisiva sulla fusione
fredda era stata inspiegabilmente manipolata. I risultati posi-
tivi dei test erano stati tenuti nascosti falsificando i documenti.
Mallove fu talmente indignato dall’accaduto che, per prote-
sta, non esitò a dimettersi dal MIT, a rischio di compromet-
tere la propria brillante carriera. Nel 1991 pubblicò un libro
inchiesta intitolato Fire from Ice, in cui denunciò la deliberata
soppressione dei risultati sulla fusione fredda ottenuti dal MIT
e da altri laboratori in tutto il mondo da parte dei gruppi
di potere accademici. «Non c’è alcun dubbio che la fusione
fredda non sia un errore», scrive Mallove. «Credere che cen-
tinaia di scienziati in tutto il mondo abbiano commesso si-
stematicamente errori riguardo le anomalie nucleari misurate
significa distorcere il significato di “prova scientifica” fino a un
assurdo limite. (...) Continuare a ignorare la fusione fredda è
patologico». Patologico, cioè frutto di un Sistema «malato».
Mallove non fece una bella fine. Perse la vita a 57 anni di mor-
te violenta. Alcuni sconosciuti lo massacrarono a bastonate
nella notte del 14 maggio 2004 e gli inquirenti archiviarono il
caso come tentativo di rapina.
223
Eugene Mallove
Richard Gage
La Pancakes Theory, utilizzata dalla commissione ufficiale per
spiegare il crollo delle due torri, viene quindi duramente cri-
ticata: il kerosene contenuto in un Boeing non sarebbe stato
sufficiente a creare il calore necessario a «sciogliere» le strut-
ture in acciaio dell’edificio, e non è possibile che il crollo di un
piano sull’altro (uno dopo l’altro, come una pila di pancakes,
appunto) sia avvenuto in così pochi secondi, come se l’ultimo
piano arrivasse a terra «cadendo nel vuoto», senza subire al-
cun rallentamento dall’impatto coi piani sottostanti. Qualche
altra tecnologia dev’essere stata utilizzata per far crollare così
rapidamente le due torri e gli edifici limitrofi, in quelle che – a
detta degli esperti indipendenti – sembrano più «demolizioni
controllate» che crolli dovuti all’impatto di uno o più aerei, o
agli incendi conseguenti.
Alla luce di quanto sopra, e a prescindere dal fatto che il
mandante di queste «demolizioni controllate» possa essere 227
stato veramente un terrorista afghano, certo occorre farsi più
domande di quelle che si sono posti i giornalisti che hanno ri-
portato l’evento sui media di tutto il mondo, imbeccati in me-
rito dalle «versioni ufficiali». Alcuni analisti indipendenti hanno
addirittura messo in dubbio l’autenticità dei video presentati
durante la diretta (in particolare uno stesso video trasmesso
identico da tutte le tv) in cui il secondo crash aereo sembre-
rebbe un montaggio, frutto di una sovrimpressione prepara-
ta ad hoc, come dimostrato da alcune imperfezioni che un
esperto di video-editing avrebbe facilmente individuato.
Ma non è finita qui.
La più incredibile scoperta in merito all’11 settembre che mi
sia capitato di fare – stimolato nella ricerca da questo mio
legame «di nascita» coi tragici eventi segnati da questa data
– è stata una «pesante» e approfondita indagine investiga-
tiva, supportata da centinaia di prove, video, foto, grafici e
rilevazioni scientifiche, raccolte in un volume di oltre 500 pa-
gine intitolato Where Did the Towers Go? Evidence of Direct
Free-Energy Technology on 9/11 («Dove sono finite le torri?
Prove dell’utilizzo di Free-Energy Direzionale sull’11/9»). Il te-
sto è frutto di un’indagine forense condotta dalla dottoressa
Judy Wood, ricercatrice universitaria Ph.D., che ne ha anche
fatto oggetto di una denuncia legale allo Stato di New York.
Riguardo alle proprie competenze in materia, Wood scrive:
«L’oggetto principale delle mie ricerche è sempre stato nel
campo della “fotomeccanica”, che prevede l’uso di immagini
per determinare le caratteristiche dei materiali […]. Per questo
è assolutamente naturale per me vedere anomalie nel com-
portamento dei materiali guardandone immagini fotografiche
[…]. Mi è capitato a volte di incontrare fenomeni inaspettati
228 che si sono presentati a me come rompicapo. E risolverli mi
ha fornito un’ampia esperienza sulle caratteristiche anomale
dei materiali e sull’interferenza dei campi elettromagnetici.»
Le anomalie riscontrate da Wood nell’analisi dei video, delle
immagini e dei dati riguardanti il crollo degli edifici del World
Trade Center formano una lista abbastanza impressionante,
che neanche una demolizione controllata (con esplosivi militari
o con piccoli ordigni nucleari) potrebbe spiegare.
Scioglimento di travi d’acciaio e strani fuochi senza alcuna
emissione di calore; ribaltamento e strani danneggiamenti di
oggetti pesanti (incluse auto «tostate» nei parcheggi limitrofi
al WTC); incredibile assenza di detriti in corrispondenza degli
edifici crollati (da cui la domanda «Dove sono finite le torri?»)
e invece presenza di enormi nubi di polvere finissima, durate
per settimane (da cui il termine «polverizzazione», usato al
posto di «crollo»); nessun rumore tipico di crolli del gene-
re percepito dai testimoni sul luogo; dati sismici della zona
che non riportano scosse sufficientemente forti o lunghe in
corrispondenza dei crolli; centinaia di inspiegabili «jumpers»,
persone saltate nel vuoto dagli edifici, anche dai piani più alti
e non incendiati, senza alcun motivo apparente; mancanza di
danni rilevanti ai piani sotterranei e alla «vasca» che contiene
il WTC e lo protegge dalle acque dell’Hudson River; man-
canza di danni alle linee della metro che passavano proprio
sotto le due torri; mancanza di danni agli edifici «al di là della
strada» rispetto a quelli crollati; presenza incredibile di so-
pravvissuti in aree isolate ai piani più bassi delle due torri, che
sarebbero dovuti rimanere schiacciati dal crollo di 110 piani
sopra le loro teste… e così via.
La lista è davvero lunga e supportata da dati e prove scien-
tifiche. Secondo Wood una qualche forma di energia diversa
da quelle «convenzionali» è stata utilizzata per la demolizione
degli edifici del WTC, una forma di energia «direzionale», una 229
sorta di «campo di forza concentrato», capace di sciogliere
e polverizzare in maniera localizzata quanto presente in una
determinata area (cemento, acciaio, persone) e lasciare com-
pletamente intatto tutto quanto era nelle immediate vicinanze
e al di sotto degli «obiettivi».
Si tratterebbe quindi di una «Nuova Hiroshima», in cui sareb-
be stata dimostrata al mondo intero la capacità di controllare
una nuova forma di energia a scopi «terroristici» (o «militari»).
Come durante la seconda guerra mondiale era accaduto con
la fissione nucleare – poi utilizzata anche a scopi civili per la
produzione di energia elettrica – ora una nuova forma di ener-
gia sarebbe stata svelata al mondo intero. E secondo Wood
essa potrebbe avere a che vedere con gli studi più avanzati
di Nikola Tesla – bloccati da J. P. Morgan per i motivi che ab-
biamo visto – probabilmente portati avanti in segreto da altri
dopo la sua morte (e sappiamo che lo stesso Tesla collaborò
coi militari prima di morire, non avendo altre forme di sosten-
tamento, convinto da essi a sfruttare il suo genio proprio per
ideare il cosiddetto «raggio della morte»).
È indubbio che tanti scienziati indipendenti si siano misurati
finora con le cosiddette tecnologie «Free Energy», ed esisto-
no serie possibilità che – tra le migliaia di fallimenti e bufale
circolanti – qualcuno di essi sia davvero riuscito a ottenere
energia pulita e libera da fonti innovative, a basso impatto e
a basso costo (fusione fredda, energia del vuoto, elettroma-
gnetismo, motori magnetici o gravitazionali, o chissà cos’al-
tro), capaci di risolvere la dipendenza dell’umanità dalle fonti
fossili, come anche di essere trasformate in potenti armi di
distruzione. Come già accennato in precedenza, la scelta di
chi dovesse ottenere questo grande risultato sembrerebbe
oggi ristretta a due possibilità: brevettare la propria scoperta
230 per metterla sul mercato (rischiando di essere «convocato»
dai militari, «comprato» dalle lobby del settore, o fatto «spa-
rire», come successo ad esempio a Tesla, Reich, Majorana e
Mallove); oppure tenerla ben nascosta nel «garage di casa»,
evitando di sfruttarla commercialmente e di esporsi trop-
po per non subirne le conseguenze. Come hanno fatto ad
esempio Ighina, il quale non brevettò mai le sue scoperte,
morendo quindi tranquillo e ignorato nella sua casa di Imola,
e l’eccentrico ricercatore canadese John Hutchison, tirato in
ballo da Wood insieme a Tesla per spiegare alcune anomalie
riscontrate l’11 settembre, e che pare sopravviva vendendo
su Internet strani oggetti «fusi» durante i suoi esperimenti…
234
7 INDIPENDENZA FINANZIARIA
Simone Perotti
236
Enrico: Forse tu sei stato agevolato nel fare una scelta di cam-
biamento: avevi soldi da parte e una cultura manageriale per
gestire il denaro che avevi, lavorando molto meno. Oppure
tutti possono fare quello che hai fatto?
Enrico: Visto che non ci sono alibi e che ognuno di noi po-
trebbe fare una scelta di cambiamento per uscire dal Sistema
e conquistare la sua libertà, cosa non deve mancare nel ba-
gaglio di conoscenze e competenze che ogni persona si deve
portare prima di fare questo salto?
IMPRESE ILLUMINATE
Alcuni di voi si aspetteranno ora esempi altisonanti: Ap-
ple, Google, Facebook, Tesla Motors, o magari SpaceX,
l’altra azienda di Elon Musk, nata per portare l’umanità su
Marte… Invece vorrei accennarvi a un progetto italiano,
che rappresenta un esempio di come principi nuovi, che
ribaltano il funzionamento del Sistema e contribuiscono a
cambiarlo «dal basso», possano anche essere buone idee
per guadagnarsi da vivere, portando ogni giorno la pro-
pria goccia nel becco, oltre che «a casa la pagnotta».
Vorrei quindi parlarvi di Mammamamma, il primo net-
work in franchising per il Noleggio di Articoli per Bimbi.
L’idea è molto semplice: se per 7 miliardi di noi che vivia-
mo sul pianeta ogni mamma avesse comprato una carroz-
zina nuova… il mondo sarebbe invaso di oggetti utilizzati
solo per pochi mesi e poi dimenticati in un garage. Molti
degli articoli usati nella prima infanzia sono spesso com-
prati nuovi per poi finire dopo poco inutilizzati a prendere
polvere in soffitta o in garage. Chiunque di voi abbia figli
ha fatto quest’esperienza. Per non parlare dei miliardi di
pannolini usa-e-getta utilizzati ogni anno…
Si legge sul sito: «Da noi puoi trovare i consigli giusti per
evitare sprechi ed errori che l’inesperienza può farti fare.
Le giovani mamme spesso si fanno regalare o comprano
oggetti che finiscono in garage quasi nuovi… Ci siamo
passati anche noi! Ogni articolo ha diversi periodi di uti-
255
lizzo: alcuni li userai solo pochi giorni, altri pochi mesi e
altri per qualche anno. Per questo da noi puoi scegliere
i migliori prodotti e decidere per quanto utilizzarli, con
un sicuro risparmio e la possibilità di scegliere la migliore
qualità per il tuo bimbo. Tutti gli articoli sono controllati e
igienizzati prima di ogni noleggio. E se non sei soddisfat-
ta potrai cambiarli in ogni momento! Gli articoli Condivisi
vengono ricondizionati, controllati e igienizzati con atten-
zione, pensando ai bimbi che li utilizzeranno. In alcuni casi
non ti accorgerai nemmeno che li ha già utilizzati un’altra
mamma…».
E ci sono tanti altri aspetti dell’essere «mamma» che han-
no un forte impatto sull’ambiente:
«Ogni anno solo in Europa vengono prodotti oltre 20 mi-
liardi di pannolini monouso non biodegradabili, che fini-
ranno ammucchiati in una discarica o bruciati in un ince-
neritore.
Ogni bimbo ne usa in media 5000 nei primi 3 anni di vita,
con costi anche superiori ai 1500 euro.
Ma fortunatamente esistono delle valide alternative, per
un sicuro risparmio per l’Ambiente e per il Portafogli. Per
questo da noi trovi un’ampia scelta e i migliori consigli di
utilizzo di pannolini lavabili multiuso e pannolini biode-
gradabili. E se questo è possibile per i pannolini del tuo
bimbo… ti sei mai chiesta se esistono altrettanto valide
alternative agli assorbenti usa-e-getta che ogni donna
utilizza? Certamente sì! E da noi puoi trovare un’ampia
scelta di coppette mestruali multiuso e tutti i consigli e le
rassicurazioni che cerchi. Migliaia di donne le usano già
con soddisfazione!».
256
E pensando invece all’igiene dei bimbi? Anche su questo,
Mammamamma ha da dire la sua:
«Dovremmo fare molta attenzione ai detergenti che usia-
mo in casa, per lavare superfici, piatti e vestiti che usano i
nostri bimbi. Additivi chimici e sostanze non naturali ne fan-
no un veicolo di intossicazione e inquinamento. Una dose
di un normale detersivo può inquinare fino a 300 000 litri di
acqua potabile. L’utilizzo di detersivi biologici può ridurre
questo impatto e le possibili reazioni causate da un eccesso
di esposizione ai prodotti chimici nei nostri bambini.
Inoltre, perché riciclare i flaconi ogni volta che finiscono,
gettandoli nella differenziata per essere fusi e ristampati,
per poi essere di nuovo riempiti e tornare al supermerca-
to, facendo chissà quanta altra strada? È possibile riempirli
semplicemente utilizzando detergenti «alla Spina», saltan-
do tutti quei costosi passaggi. Da noi trovi una scelta di
Detergenti Bio e alla Spina pensati per la massima sicurez-
za dei tuoi bimbi, e per un minor impatto sull’Ambiente
in cui vivono.»
Sintetizzando, qual è la mission di Mammamamma?
«Favorire la solidarietà tra mamme e la sostenibilità, at-
traverso la promozione del risparmio e del riuso. In un
mondo che non può permettersi più sprechi, abbiamo
deciso di dare un contributo alla riduzione dei consumi e
alla sostenibilità ambientale, pensando alle persone più
importanti del mondo: le mamme e i loro bimbi. Le nostre
parole chiave sono: Risparmio, Riuso e Rispetto. Per noi
sono già diventate un imperativo, e crediamo che presto
lo saranno per tutti. Il nostro motto è Qualità da Mamma
a Mamma e vogliamo portarlo in ogni città italiana, anche
257
grazie al nostro franchising.»
Ma da chi è arrivata questa idea innovativa?
«Mammamamma è un’idea ispirata da due vivaci gemel-
lini, nati nel 2009 e abituati da subito a condividere ogni
cosa. Accudirli è stato un lavoro serio per mamma Silvia
e babbo Andrea, che ha permesso loro di diventare veri
esperti di articoli per l’infanzia e di come utilizzarli al me-
glio. Lo zio Enrico, esperto di marketing, comunicazione e
sostenibilità, li ha convinti a condividere la loro esperienza
con altri genitori, creando insieme il primo franchising eu-
ropeo per il noleggio di articoli per bimbi!»
Ebbene lo zio Enrico sono proprio io. Dopo parecchio la-
voro di «ripulitura interiore» e «focalizzazione» sulla mia
vera missione… il risultato è stato l’idea giusta.
E a esser sinceri anche il modello per «Babbobabbo»
sarebbe già pronto anche se non ho ancora trovato il tem-
po per realizzarlo!
Oggi Mammamamma conta decine di «PuntiMamma» in
tutta Italia, dando da lavorare a tante mamme come ha
fatto per prima con mia sorella. Con grande sopresa di chi
ancora sogna il «posto fisso» Silvia si è potuta licenziare
dal suo precedente lavoro (era impiegata in una banca
locale…) e dedicarsi a quello in cui crede veramente! Ora
è lei ad avere la responsabilità di gestire il network, con la
mia supervisione, ma posso dire fieramente che Mamma-
mamma sta già «camminando con le sue gambe».
Per maggiori informazioni – scusatemi, ma non posso esi-
mermi dal fare un po’ di promozione! – consultate il sito
www.mammamamma.it.
258
ATTIVI E PASSIVI
259
Ti invito ora a ripensare alle risposte che hai dato quando hai
compilato l’ultima parte del «Q Test», proprio in riferimento
all’indipendenza finanziaria (se non l’hai ancora fatto, sei sem-
pre in tempo per collegarti ora su www.liberidalsistema.com).
In questo libro l’ho scritto più volte, quindi so che ora an-
che voi lo avrete ben chiaro: se vogliamo cambiare il mondo,
dobbiamo partire da noi. «Cambiare il mondo, partendo da
sé» è il motto del Q Institute. Utopico? Idealista? Arrogante?
Non a patto che si sappia la strada da percorrere, dal «sé» al
«mondo».
Quando un’azienda fa un business plan ha ben chiara la posi-
zione che riveste in quel momento, il punto di partenza, le sue
possibilità e gli obiettivi che vuole raggiungere, cioè il punto
di arrivo, e così dobbiamo fare noi.
Qual è il nostro punto di partenza? Dove vogliamo arrivare,
qual è il nostro scopo? Che tappe intermedie ci sono tra noi
(la situazione che viviamo ora) e il nostro obiettivo (la situazio-
ne che vogliamo raggiungere)? Come possiamo arrivare alla
meta, passo dopo passo? Come possiamo arrivare a cambiare
il mondo partendo da noi?
Sono domande come queste che fanno la differenza tra chi
rimane idealista e chi invece si rimbocca le maniche e si dà
da fare.
A riguardo io, Marco Fincati e il Q Institute abbiamo il nostro
progetto (che abbiamo chiamato Q Project: la «Q» e tutto
ciò che rappresenta non potevano certo mancare). E siamo
consapevoli degli «step» da superare.
Prima c’è l’individuo. Il primo passo è cambiare me stesso, la
mia consapevolezza e il mio atteggiamento verso il mondo.
Solo cominciando a cambiare me stesso potrò influenzare
276 in maniera positiva le persone intorno a me, partendo dal-
la mia famiglia, dal nucleo in cui vivo, per poi espandere il
mio esempio e la mia consapevolezza anche oltre le mura
domestiche: nell’ambiente di lavoro, nel condominio in cui
vivo, nel quartiere in cui abito, quindi aiutando altri a farlo.
Pensate, ad esempio, se qualcuno che abita nel vostro pa-
lazzo cominciasse per primo a farvi notare come sia possibile
risparmiare denaro e rispettare l’ambiente semplicemente
utilizzando fonti di energia rinnovabili per l’illuminazione e
il riscaldamento della propria abitazione. Non avreste anche
voi il desiderio di imitarlo? Io me ne rendo conto ogni gior-
no, sfrecciando nella mia auto elettrica. In tanti mi osservano
ammirati. Quello di cui hanno bisogno è un esempio, per
prendere coraggio e «crederci» in prima persona. E io glielo
sto dando. Il buon esempio è contagioso, e ognuno di noi
può essere il primo a darlo.
Me n Famiglia n Comunità n Città n Nazione nMondo
IL MIGLIOR INVESTIMENTO
Grazie di Cuore.
9 APPENDICE
IL PERCORSO Q LIFE
5) INDIPENDENZA FINANZIARIA:
– Corso Avanzato «RQI® Business»
1) SAPERE
290
RISORSE UTILI
Per maggiori informazioni sul Metodo RQI®, sui Corsi in Aula e sui 291
Corsi Multimediali:
www.metodorqi.com
Blog ufficiale:
www.metodorqi.blogspot.it