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Luìs Jorge Gonzàlez

SANTA TERESA DI LISIEUX


I limiti umani di una grande
Santa
Dedico queste pagine a Felipe Sáinz de Baranda e a tutti i carmelitani scalzi,
miei fratelli, come a tutte le carmelitane scalze, che mi hanno permesso di
conoscere e di trarre profitto dagli insegnamenti di santa Teresa di Lisieux,
Dottore della Chiesa.

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Sommario
Indice .............................................................................................................................3
INTRODUZIONE ......................................................................................................4
I - MODELLO DI AUTOSTIMA ...............................................................................6
II - L’ACCOGLIENZA ATTIVA DEL DONO DELLA SALUTE ........................14
III - MAESTRIA NELL’ARTE DEL PENSARE ...................................................20
Scegliere il centro d’attenzione ..............................................................................20
Cambiare la rappresentazione della realtà ............................................................23
Pensare creativamente ...........................................................................................27
IV – LIBERTA’ EMOZIONALE .............................................................................30
V - COMPORTAMENTO ECCELLENTE ............................................................41
Concretizzare la meta .............................................................................................41
Seguire un piano d’azione ......................................................................................43
Efficienza nell’azione .............................................................................................46
VI - MISSIONE PERSONALE: L’ANIMA NELLO SVILUPPO UMANO ........53
VII - TERESA NELLA FUCINA DELLA STORIA ...............................................60
CONCLUSIONE .......................................................................................................68

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INTRODUZIONE

Teresa di Lisieux, nata il 2 gennaio 1873, muore a ventiquattro anni, il 30


settembre 1897. Oggi è una delle figure più luminose nella storia
dell'umanità: conosciuta e stimata in tutto il mondo da cristiani e non
cristiani, esercita un magistero spirituale di portata universale.
Per questo motivo, Giovanni Paolo II l'ha proclamata Dottore della Chiesa
il 19 ottobre 1997.
La ricchezza personale di Teresa non si limita all'aspetto spirituale poiché
anche la sua dimensione umana si rivela esemplare.
Proprio così: Teresa di Lisieux ci si offre come un modello di sviluppo
umano per aver vissuto tutto un percorso dall'immaturità quasi nevrotica
alla sua piena realizzazione come persona.
Ella dimostra con la sua vita che lo sviluppo umano, pur sostenuto dalla
grazia potente del Signore, richiede lo sforzo personale e la capacità di
sfruttare al massimo le proprie risorse umane. Mi accosterò al nuovo
Dottore della Chiesa da un punto di vista decisamente psicologico.
Vorrei precisare come utilizzò le sue risorse umane per superare i suoi
innegabili limiti umani. So che altri studiosi si sono soffermati a considerare
i disturbi psicologici che afflissero Teresa. Se gli studi su tale aspetto
patologico sono poco numerosi, ancora meno sono coloro che si occupano
dello sviluppo psicologico di questa giovane, francese e carmelitana. Il mio
proposito è di insistere su quest'ultima prospettiva, quella cioè del
cambiamento e dello sviluppo della personalità di Teresa.
Però, più che sottolineare i dati storici circa questo argomento, preferisco
osservare i processi umani o psicologici che ella intraprende, allo scopo di
conseguire il suo cambiamento e la sua crescita personale.

Le aree del vissuto umano che Teresa di Lisieux seppe sviluppare in modo
esemplare, e che studieremo in questo breve saggio, sono:
- Autostima,
- Salute fisica,
- L'arte del pensare,
- Libertà emozionale,
- Comportamento eccellente,
- Missione personale,
- Contributo a forgiare la storia.
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I - MODELLO DI AUTOSTIMA

L’atteggiamento di rispetto, di stima e di stimolo per lo sviluppo personale,


che ammiriamo in Teresa di Lisieux e che conosciamo con il nome di
autostima, è direttamente collegato con il secondo e con il primo
comandamento.
Alla domanda: «Qual è il primo di tutti i comandamenti? », Gesù risponde
con sicurezza e con voce ferma: « Il primo è: Ascolta, Israele, il Signore Dio
nostro è poter realizzare le altre forme dell'amore: materno, paterno,
fraterno, filiale e a Dio.
Sappiamo che l'autostima si muove tra due estremi ugualmente pericolosi.
Si immagini una scala graduata da 0 a 100: l'autostima, in quanto rispetto,
attenzione e l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il
tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua
forza.
Il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Non c'è altro comandamento più importante di questi» (Mc 12,28-31).
Il secondo comandamento presuppone che la persona sappia amare se
stessa, che abbia, cioè, un buon livello di autostima.
Eríc Fromm sostiene, anzi, che l'amore a se stessi è una condizione
indispensabile per promozione del proprio « io » nei limiti del ragionevole,
si muoverebbe tra 25 e 75. Se raggiungiamo l'estremo inferiore, il numero
25 della scala, significa che trascuriamo il rispetto e la cura di noi stessi nei
limiti ragionevoli. Cadiamo allora nel rifiuto del nostro io, accettando un
dialogo interno, negativo riguardo a noi stessi, e lasciandoci prendere dal
senso di colpa e di autodistruttività. Scendiamo così fino al livello zero, che
corrisponde alla depressione.
Questa, come si sa, può condurre all'estremo più radicalmente opposto
all'autostima: il suicidio. All’estremo superiore contrario all'autostima
troviamo l'amor proprio, l'egoismo, la vanità, la superbia, la prepotenza e
l'aggressività. Fromm fa presente che c'è una grande differenza tra l'amore
a se stesso, che il Signore prescrive nel secondo comandamento, e l'egoismo:
«L’egoismo e l'amore a se stesso, invece che essere identici, sono realmente
opposti».
Gli eccessi dell'egoismo, infatti, e la superbia risultano egualmente
autodistruttivi poiché l'una e gli altri ci portano all'isolamento, alla
solitudine, al rifiuto degli altri, a essere odiati e disprezzati dagli altri. Teresa

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di Lisieux sa evitare entrambi gli estremi. Indubbiamente, in certi momenti
della sua vita si avvicina pericolosamente all'oscuro abisso della depressione.
Dopo la morte della sua mamma, a quattro anni e mezzo, non ha più lo
splendore della sua abituale allegria, lo slancio della sua sicurezza e della sua
apertura: « E mio carattere felice cambiò completamente; io, così vivace ed
espansiva, diventai timida e silenziosa, sensibile all'eccesso.
Uno sguardo bastava per farmi sciogliere in lacrime, bisognava che nessuno
si occupasse di me perché fossi contenta, non potevo sopportare la
compagnia di persone estranee e ritrovavo la mia gaiezza soltanto
nell'intimità della famiglia ». Più tardi, quando Teresa ha circa dieci anni,
Paolina, la sorella che fino a quel tempo era stata per lei una seconda
mamma, entra al Carmelo. Dopo qualche mese, forse come conseguenza di
questa seconda perdita, Teresa è vittima di quella « malattia così strana » che
essa stessa non riesce a spiegare.
Arriva perfino a dubitare di «aver finto di essere malata ». A questo
proposito scrive: « Non deve stupire che io abbia temuto di aver fatto finta
di essere malata senza esserlo realmente, perché facevo e dicevo cose che
non pensavo, quasi sempre sembravo in delirio e dicevo parole che non
avevano senso; eppure sono sicura di non essere stata priva nemmeno un
solo istante dell'uso della ragione. Spesso sembravo svenuta, perché non
facevo il minimo movimento; tuttavia udivo tutto quello che si diceva
attorno a me e mi ricordo ancora di tutto».
La cugina Giovanna Guérin, descrivendo l'inizio di questa strana malattia,
la sera del 25 marzo 1883, spiega che Teresa fu presa « da un tremito
violento che, al momento, fece pensare a una febbre.
Dopo si manifestò con la depressione, uno stato di semi-allucinazione che
le faceva vedere come forme spaventose gli oggetti diversi o le persone che
le si muovevano intorno» . Sembrerebbe, in questa testimonianza ufficiale,
che Giovanna usi la parola depressione riferendosi alla prima impressione
dei familiari o del medico della famiglia, senza voler dare a questo termine
un significato strettamente clinico. Resta, comunque, come elemento
indicativo. Fa pensare che Teresa rasentò realmente l'orlo dell'abisso oscuro
della depressione.
Un dato interessante. Il desiderio di riabbracciare Paolina nella circostanza
della sua vestizione religiosa, produce in Teresa un miglioramento insperato:
è il 6 aprile 1883.

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Ma, ritornata a casa dopo la cerimonia, il giorno seguente ricade nella sua
malattia con una sintomatologia molto più grave.
La « strana malattia » sconcerta il dottor Nota, che accenna alla possibilità
di un « ballo di san Vito » escludendo formalmente il sospetto dell'isterismo.
Dopo cinque settimane di angoscia, la fede della famiglia Martin ottiene
finalmente quella guarigione che la medicina non riusciva a ottenere.
Il 13 maggio 1883, domenica di Pentecoste, Teresa sente di essere
repentinamente liberata grazie all'« incantevole sorriso della Vergine
Santissima».
Certo, Teresa vive anche, sia pure per qualche momento, il rischio dell'altro
estremo, quello dell'amor proprio e dell'orgoglio, soprattutto nel periodo
felice dei suoi primi anni. Riconosce lei stessa questo rischio che, secondo
la psicologia, la allontanerebbe dalla vera autostima.
Scrive: « C'è un altro difetto che avevo (da sveglia) e del quale la Mamma
non parla nelle sue lettere: era un grande amor proprio. Gliene do solo due
esempi per non rendere troppo lungo il racconto.
Un giorno la Mamma mi dice: "Teresina mia, se baci la terra ti darò un
soldo". Un soldo era per me tutta una ricchezza: per guadagnarlo non avevo
bisogno di abbassare la mia grandezza perché la mia piccola statura non
poneva una grande distanza fra me e la terra; ma il mio orgoglio si ribellò al
pensiero di baciare la terra, e tenendomi ben dritta dissi alla Mamma: "Oh
no, Mammina mia, preferisco non avere il soldo! ...... « Un'altra volta,
dovevamo andare a Grogny dalla signora Monníer. La Mamma disse a Maria
di mettermi il mio bel vestito azzurro cielo orlato di merletti, ma di non
lasciarmi le braccia nude perché il sole non me le scurisse. Mi lasciai vestire
con l'indifferenza che dovevano avere i bambini della mia età, ma dentro di
me pensavo che sarei stata molto più carina con le braccine nude».
In realtà, il peso del dolore e della malattia mantennero Teresa lontano da
questo estremo opposto all’autostima, cioè dall'orgoglio. Continuò tuttavia
a girovagare nel campo dell'altro estremo, quello della depressione.
Perciò, pur essendo guarita da quella strana malattia, mantiene un
atteggiamento chiuso, timido e ipersensibile. Considerando questi tratti del
carattere e quella malattia, alcuni pensano perfino che, almeno in questo
periodo della sua vita, Teresa sia stata una nevrotica. Non dimentichiamo,
d'altra parte, che per tutta la vita Teresa soffre di fobia per i ragni.
Poche settimane prima di morire confessa a Paolina: «Nello stato di
debolezza in cui mi trovo, mi chiedo che cosa mi accadrebbe se vedessi un

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grosso ragno sul nostro letto. Infine, sono disposta ad accettare, per il buon
Dio, anche quella paura. "... Ma se lei chiedesse alla Santa Vergine che questo
non succeda" ». Oltre a questa fobia, Teresa soffre anche di un disturbo, del
tipo nevrosi ossessivo - compulsiva: « la terribile malattia degli scrupoli ( ...
); dire ciò che ho sofferto per un anno e mezzo mi sarebbe impossibile ».
Maria, la sorella maggiore, diventa allora il suo « unico oracolo ». La madrina,
sempre tanto paziente, tutte le sere ascolta la confessione, impregnata di
lacrime, della sorellina, che diventa, a motivo della sua «eccessiva sensibilità,
veramente insopportabile ».
Per raggiungere il livello normale di autostima, mantenendosi nel punto
medio tra la depressione e l'orgoglio, Teresa dovrà ricevere « la grazia di
Natale » nel 1886. Ci troviamo così ad essere testimoni del potere derivante
dall'unione della grazia di Dio con la libertà della persona.
Teresa racconta questo evento, che definisce « piccolo miracolo », quando
ricorda l'ipersensibilità che allora l'affliggeva: « Ero veramente
insopportabile per la mia sensibilità eccessiva; così, se mi capitava di dare
involontariamente un piccolo dispiacere a una persona che amavo, invece
di vincermi e non piangere, cosa che aumentava la mia mancanza invece di
diminuirla, piangevo come una Maddalena e, quando cominciavo a
consolarmi della cosa in sé, piangevo per aver pianto... Tutti i ragionamenti
erano inutili e non riuscivo a correggermi di questo brutto difetto ».
La notte di Natale, dopo la Messa di mezzanotte, il suo carissimo papà,
infastidito nel vedere le scarpe di Teresa accanto al camino, commenta: «
Bene, meno male che è l'ultimo anno! » .
Teresa sente queste parole che la feriscono profondamente. Celina, la sorella
che conosce la sua ipersensibilità, le suggerisce di non scendere subito a
vedere i regali messi nelle sue scarpe: « Ma Teresa non era più la stessa, Gesù
aveva cambiato il suo cuore! Reprimendo le lacrime, scesi rapidamente la
scala e, comprimendo i battiti del cuore, presi le mie scarpe e, mettendole
davanti a Papà, tirai fuori gioiosamente tutti gli oggetti, con l'aria felice di
una regina. Papà rideva, anche lui aveva ripreso il suo buon umore, e Celina
credeva di sognare... Fortunatamente, era una dolce realtà: la piccola Teresa
aveva ritrovato la fortezza d'animo, che aveva perduto a quattro anni e
mezzo, e l'avrebbe conservata per sempre! ...».
In questo testo autobiografico ci sono dettagli che rivelano la collaborazione
di Teresa con la grazia che Gesù le offre.

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Teresa, infatti, non sperimenta un cambiamento automatico che,
all'improvviso, si sia impossessato del suo cuore.
No. Per ricevere la grazia deve fare uno sforzo, come richiede ogni
cambiamento personale: «Reprimendo le lacrime, scesi rapidamente la scala
e, comprimendo i battiti del cuore, presi le mie scarpe e... ».
Da questo momento cresce, fra le altre cose, il livello della sua autostima.
Smette di considerarsi una bambina suscettibile e quindi, dimostrando a se
stessa che è capace di trattenere le lacrime e i battiti concitati del suo cuore,
si sente più coraggiosa e capace di grandi cose.
Riguardando alla propria esperienza natalizia, molto aderente alla realtà, ella
mette in risalto l'intreccio tra la grazia e il suo sforzo personale, descrivendo
con toni forti e vivi il riuscito amalgama della grazia offerta da Gesù e
l'accoglienza pronta e attiva da parte sua.
« In questa notte, nella quale Egli si fece debole e sofferente per mio amore,
Egli mi rese forte e coraggiosa, mi rivestì della sua armatura e da quella notte
benedetta non fui vinta in nessun combattimento, anzi camminai di vittoria
in vittoria e cominciai, per cosi dire, "una corsa da gigante" ».
Nelle ultime frasi, decisamente in linea con l'autostima, risaltano sentimenti
di sicurezza e di fiducia in se stessa.
Senza dimenticare che è stato Gesù a renderla forte e coraggiosa, sente di
essere dotata delle risorse necessarie per camminare, da sola, di vittoria in
vittoria.
Nella vita quotidiana, l'atteggiamento di autostima si esprime, soprattutto,
in due aspetti fra quelli che la Psicologia definisce processi interni.
1) rappresentazione di se stesso,
2) dialogo interno.
La rappresentazione di se stesso porta, di solito, a formare una immagine o
ritratto del proprio “io”.
È ovvio che Teresa, sebbene cerchi accuratamente di evitare gli eccessi dell'«
amor proprio », dimostrando anche una umiltà autentica, si descrive con
immagini positive.
Si considera, nello stesso tempo, piccola e grande. Scrive così di se stessa: «
Io mi considero un debole uccellino appena coperto da leggera lanugine.
Non sono un'aquila: dell'aquila ho semplicemente gli occhi e il cuore,
perché, nonostante la mia piccolezza estrema, oso fissare il Sole divino, il
Sole dell'amore, e il mio cuore sente dentro di sé tutte le aspirazioni
dell'aquila...».

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Le metafore che Teresa usa in questo autoritratto, mettono in luce il dialogo
interno che, mentalmente, sostiene con se stessa. Ha imparato a parlare bene
di se stessa, secondo lo stile di Gesù:
Io sono la luce del mondo » (Gv 8,12). Io sono la via » (Gv 14,6). Io sono
la porta dell'ovile » (Gv 10,7). Io sono il buon pastore » (Gv 1 0, 1 1). Io
sono il pane della vita » (Gv 6,48). Io sono la vita » (Gv 14,6). Io sono la
verità » (Gv 14,6). Io sono mite e umile » (Mt 11,29). Notiamo che Gesù,
quando parla bene di se stesso, si riferisce al livello della identità.
È per questo che usa il verbo « essere ».
Allude, cioè, a quello che lui è nel proprio essere. Per ora, non fa allusione
a quello che la Psicologia definisce livello dei comportamenti.
Benché faccia tutto bene, Gesù, quando parla di se stesso in modo positivo,
pensa al proprio essere o identità. Altrettanto fanno i santi.
Quando si tratta dei comportamenti, parlano anche male di se stessi. San
Giovanni della Croce, per esempio, raccomanda ai suoi discepoli di «
procurare di lavorare al disprezzo di sé e di desiderare che anche gli altri lo
facciano ».
Tuttavia, in riferimento alla propria identità le cose cambiano radicalmente.
Lo stesso Santo, in questo caso, osa sostenere: l'anima « è in sé una
bellissima e rifinita immagine di Dio».
«L’anima disordinata è, per natura, perfetta così come Dio la creò, tuttavia,
come essere ragionevole, è brutta, abominevole, sudicia, oscura...», « Un
solo pensiero dell'uomo vale più di tutto il mondo; pertanto, soltanto Dio
ne è degno ».
Come il mistico carmelitano suggerisce con queste frasi, uno che parli della
propria identità, direttamente o indirettamente fa riferimento a Dio che dà
l'essere a tutte le creature umane.
Di conseguenza, non c'è pericolo di vanità, orgoglio, superbia né di altra
cosa che ne abbia l'apparenza.
Teresa, con la sua abituale acutezza, capta perfettamente l'orizzonte aperto
dall'autostima. Incominciando il suo primo manoscritto autobiografico,
collocatasi nel livello dell'identità o dell'essere, parla di se stessa nei termini
positivi e umili che caratterizzano l'autostima. Leggiamo le sue parole: « Egli
ha voluto creare i grandi santi, che possono essere paragonati ai gigli e alle
rose; ma ne ha creato anche di più piccoli, e questi devono accontentarsi di
essere delle pratoline o delle violette, destinate a rallegrare lo sguardo del

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buon Dio, quando Egli lo abbassa verso terra: la perfezione consiste nel fare
la sua volontà, nell'essere ciò che Egli vuole che noi siamo...».
Ultima frase di questo testo ci offre l'occasione di elaborare una definizione
dell'autostima nella sua espressione più profonda: Essere ciò che Dio vuole
che noi siamo. Che cos'è ciò che Dio vuole che noi siamo? Dio vuole il
nostro sviluppo a livello di identità. Nel profondo del nostro centro
personale, oltre ad altri aspetti del nostro essere, noi siamo soprattutto due
cose: - persone, - figli di Dio.
La via che Dio vuole che noi percorriamo per arrivare ad essere ciò che Lui
vuole che noi siamo, è quella dell'amore radicale a Lui secondo le esigenze
del primo comandamento.
È sicuramente questa la via intrapresa da Teresa per realizzare l'autostima
fino alle sue ultime conseguenze. Ella ha visto fiorire così gli effetti della
pratica del primo comandamento.
Tali effetti sono stati descritti da san Giovanni della Croce, il grande maestro
spirituale di Teresa: «Dio di niente altro si serve che di amore... ed è
perché tutte le nostre opere e tutte le nostre fatiche, per quanto siano
grandi, sono niente davanti a Dio, giacché con esse non gli possiamo
dare niente né compiere il suo desiderio, che è solo quello di esaltare
l'anima.
Nessuna glorificazione desidera per sé, ché non ne ha bisogno, così
che se si serve di qualche cosa, se ne serve perché l'anima sia esaltata.
Poiché non vi è altra cosa in cui la possa esaltare tanto quanto quella
di renderla uguale a sé, perciò vuole unicamente che ella lo ami,
essendo proprio dell'amore rendere uguale chi ama con la cosa
amata».
Sembra che il coraggio venga meno di fronte al peso dell'amore divino. Ciò
che Egli vuole che noi siamo, è chiaro: esaltare l'anima facendola uguale a
sé.
Chiede per questo che ciascun uomo lo ami con la radicalità del primo
comandamento: essendo proprio dell'amore rendere uguale chi ama alla
cosa amata.
Teresa consegue il proprio sviluppo umano superando ogni previsione,
mediante la pratica dell'amore a Dio.
Si lascia, perciò, esaltare da Dio, nonostante la propria immaturità
psicologica, proprio perché lo ama con tutto il proprio essere.

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Gesù lo ama « alla follia ». Scrive: « Vorrei tanto amarlo!... Amarlo più di
quanto sia mai stato amato! ».
Raggiunge così le vette più alte dell'autostima.
Amando Dio, Teresa procura a se stessa il massimo Bene, che è Dio stesso;
di conseguenza, Dio la esalta « rendendola uguale a sé ».
Dinanzi allo splendido panorama che Dio apre alla creatura umana,
possiamo rielaborare la definizione di autostima.
Questo atteggiamento di attenzione, rispetto, promozione, sviluppo e
impulso dei proprio io verso la pienezza, si può riassumere così:
«L’autostima consiste nel volere per sé tutto il bene che Dio, nel Inondo e
in se stesso, offre a ciascuno perché arrivi ad essere ciò che Dio vuole che
sia ».

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II - L’ACCOGLIENZA ATTIVA DEL DONO DELLA SALUTE

Teresa, insieme con l'autostima, riacquista la buona salute. Alcuni momenti


della sua vita religiosa evidenziano in lei una salute anche migliore di quella
delle sue consorelle. Diventa così un modello non solo di autostima, ma
anche di accoglienza attiva del dono della salute.
Potrebbe affacciarsi alla mente, immediatamente, un’obiezione. «Come può
essere modello di salute una che muore a ventiquattro anni di tubercolosi?
».
So che molti giovani francesi morivano di tubercolosi in quel periodo.
Penso, però, che in Teresa si verificassero condizioni mentali o psicologiche,
che le permisero di sopravvivere allo stesso modo delle sue sorelle.
Sostengo questo punto di vista, con il concetto di salute che ci offre
l'organizzazione Mondiale per la Sanità. I medici che costituirono questa
Organizzazione nel 1946, ritenevano che « la salute è uno stato di perfetto
benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto assenza di malattia ».
Recentemente è stata proposta una nuova definizione che si rivela più
realistica e più umile. In questa si sostiene che la salute è « un processo di
idoneità degli individui e delle comunità ad avere un migliore controllo dei
fattori determinanti la salute ».
Nella letteratura medica contemporanea, possiamo individuare i seguenti
fattori che determinano la salute:

1. PENSIERO.
Oggi è risaputo, nel campo della medicina, che i nostri pensieri, nel giro di
pochi secondi, hanno una ripercussione sul corpo.
È questo il motivo per cui ci si raccomanda di pensare alla salute quando la
malattia viene a visitarci.
Il nostro essere, di per sé, è sano. La malattia è come una macchia di vino
rosso sul candido lino di una tovaglia.
I pensieri positivi sono come il candeggiante, che si aggiunge alla lisciva, per
aiutarci a recuperare la salute caratteristica del nostro corpo.

2. SENTIMENTO.
I sentimenti hanno una componente organica, soprattutto a livello
ormonale.

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Di conseguenza, i sentimenti negativi (odio, ira, tristezza, ansietà,
disperazione, eccetera) favoriscono la malattia.
Invece, i sentimenti positivi (amore, gioia, pace, speranza, eccetera)
favoriscono la salute o aiutano a recuperarla.

3. COMPORTAMENTO.
È evidente che i comportamenti che configurano il nostro stile di vita
(alimentazione, esercizio fisico, attività, lavoro, respirazione profonda,
capacità di rasserenarsi, riposo, sonno, eccetera) hanno un impatto diretto
sulla salute.

4. CONNESSIONE MENTE - CORPO.


Un altro fattore determinante la salute consiste nell'essere personalmente
convinti dell'influsso che la propria mente può esercitare sul corpo.
Accettato questo fatto, è aperta la possibilità di influire anche sulla salute
personale.

5. SISTEMA IMMUNITARIO.
Un sistema immunitario attivo ed equilibrato riesce ad affrontare
efficacemente gli antigeni esterni (batteri, virus, parassiti, funghi) e gli
antigeni interni, le cellule anomale del cancro o eccessi che provocano le
malattie da autoimmunità.
L'equilibrio e l'efficienza del sistema immunitario sono indeboliti o annullati
da uno stato di stress.
Questo fa si che lanciamo nel sangue grandi quantità di cortisone e di
adrenalina, capaci di distruggere il sistema immunologico.
Il contrario dello stress è la pace e la serenità.

6. RELAZIONI DI AMICIZIA ED ALTRUISMO.


In base a ricerche ed esperimenti nel campo della medicina, oggi sappiamo
che la salute migliora se abbiamo un gruppo di sostegno, amicizie profonde,
attività di servizio e di soccorso. Soprattutto, quando viviamo l'amore.

7. VISIONE O IDEALE ELEVATO.


Quando all'interno della nostra vocazione riconosciamo la missione
personale è normale che, materialmente o mentalmente, noi disegniamo

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un’immagine che descrive la nostra visione, ricca di mete elevate che, in un
modo o nell'altro, sono essenzialmente altruiste.
La preoccupazione di compiere la propria missione e realizzare la visione
che ci attrae, richiede e genera salute.

8. MEDITAZIONE.
Medici di religioni diverse, dopo molteplici esperimenti iniziati negli anni
'70, riconoscono che la meditazione - che noi chiamiamo meditazione
cristiana, orazione del cuore, orazione di raccoglimento (santa Teresa
d'Avila), orazione di attenzione amorosa (san Giovanni della Croce),
eccetera - porta con sé molti svariati benefici di tipo corporale.
Fra gli altri, ricordiamo: induzione di onde alfa nell'attività cerebrale, ritmo
cardiaco tranquillo, diminuzione di acido lattico che causa tensione
muscolare, diminuzione del consumo di ossigeno cellulare, eccetera.
Avendo presente questo insieme di fattori determinanti la salute, sorge
spontanea la convinzione che Teresa li abbia messi in gioco nella maggior
parte.
La meditazione quotidiana, la visione elevata che orienta la sua missione
personale, le relazioni di amicizia associate all’altruismo, la serenità che
stimola con efficacia ed equilibrio il funzionamento del sistema
immunitario, i sentimenti e i pensieri di tipo positivo, come pure un
comportamento in gran parte sano, sono presenti nella vita di Teresa al
Carmelo.
Naturalmente, le manca una sana alimentazione, poiché al suo tempo le
carmelitane avevano un vitto piuttosto scarso; si aggiungano a questo i
digiuni, le mortificazioni e il fatto che, a causa del freddo intenso, neppure
riusciva a dormire quanto le era necessario.
In generale, però, aveva un buon controllo dei fattori determinanti la salute.
Ne è prova il fatto che trascorre anni in ottima salute.
Teresa stessa, racconta che un’epidemia influenzale colpì la sua comunità e
che il giorno in cui lei compiva diciannove anni, muore una consorella e,
poco dopo, altre due. Teresa ne rimane indenne, insieme con altre due
suore. « In quel periodo, ero sola in sacristia, perché la mia maggiore di
ufficio era gravemente ammalata; ero io che dovevo preparare i funerali,
aprire le grate del coro per la messa, eccetera... Adesso mi chiedo come ho
potuto fare, senza spaventarmi, tutto ciò che ho fatto: la morte regnava
ovunque. Le più malate erano curate da quelle che si trascinavano a fatica e,

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appena una sorella aveva reso l'ultimo respiro, eravamo costrette a lasciarla
sola ».
Il fatto che Teresa continui a mantenersi in buona salute in un ambiente così
patologico e fortemente contagioso, rivela l'ottimo funzionamento del suo
sistema immunitario.
Che cosa debilita, allora, questo suo sistema immunitario?
Perché due anni e mezzo più tardi la sua salute incomincia a vacillare?
Risalgono al giugno 1894 - Teresa ha ventun anni e mezzo - i primi
documenti sulle cure speciali che le vengono praticate.
A luglio, la sorella Paolina, che ora si chiama suor Agnese, scrive a Celina: «
Suor Teresa di Gesù Bambino non sta peggio, ma ha sempre le sue ore di
mal di gola; ne viene colpita la mattina e la sera verso le otto e mezza, e resta
poi un poco rauca. Insomma, la curiamo come meglio possiamo ».
Nel 1895 sembra che migliori: almeno non ci sono allusioni alla sua malattia.
Anche suor Teresa di sant'Agostino riferisce: « Nell'aprile 1895 mi fece
questa confidenza: "Morrò presto"... All'epoca in cui suor Teresa mi parlava
così, godeva ottima salute»”. Passa l'inverno.
Nel corso della quaresima (19 febbraio - 5 aprile 1896), Teresa osserva il
digiuno « in tutto il suo rigore; mai mi ero sentita così forte, e quella forza
durò fino a Pasqua.
Tuttavia, il giorno del Venerdì Santo Gesù volle darmi la speranza di andare
presto a vederlo in Cielo... Oh, come è dolce questo ricordo! ... Dopo essere
rimasta al sepolcro fino a mezzanotte, tornai in cella; ma avevo appena avuto
il tempo di poggiare la testa sul cuscino, che sentii come un fiotto che saliva,
che saliva gorgogliando fino alle labbra... Mi dissi che bisognava aspettare il
mattino per assicurarmi (...) perché mi sembrava che fosse sangue quello
che avevo vomitato ». Si tratta, infatti, della prima emottisi, che si ripeterà la
notte successiva. Il primo medico che la visita, il dottor Francis La Néele,
cugino di Teresa, non dà importanza a questo fatto così grave. Si può
pensare che anche Teresa non lo abbia molto aiutato: se si fosse espressa
con i termini usati nel Manoscritto C appena citato, qualsiasi medico si
sarebbe allarmato.
Nel mese di giugno, una lettera di suor Maria del Sacro Cuore, sorella di
Teresa, afferma che non è peggiorata, ma neppure migliorata. Infatti, «una
tossetta secca e persistente », affatica Teresa « nel corso dell'estate di questo
stesso anno 1896 ».
Soffre dolori al petto.

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Nel mese di novembre, data la possibilità di una partenza di Teresa per un
Carmelo in Indocina, si inizia una novena al beato Teofano Vénard « per
ottenere la sua completa guarigione ». Ma, «proprio durante la novena»,
Teresa riprende a tossire, tanto da constatare lei stessa, nel maggio del 1897:
«Vado di male in peggio».
Il 3 marzo ha inizio la quaresima. Ormai indebolita dalla malattia, Teresa fa
uno sforzo sovrumano per recarsi in cappella e partecipare alla recita dei
salmi. Tuttavia, non può più seguire la vita normale della comunità.
Verso la fine di questa quaresima cade gravemente ammalata. Siamo agli
inizi del mese di aprile.
La prima lettera in cui ricorda la sua ultima malattia porta la data del 4 aprile,
domenica di Passione e giorno anniversario delle sue prime emottisi.
La sua passione durerà centottanta giorni. Tralascio l'esito di questa malattia.
Per il momento, torno alla domanda: che cosa è accaduto perché il sistema
immunitario di Teresa si indebolisse tanto?
La salute recuperata totalmente, senza lasciare conseguenze, si infrange di
nuovo con una recidiva della malattia tubercolare.
Ritorniamo allora alla questione: che cosa debilita il sistema immunitario di
Teresa, dal momento che ella sa controllare i fattori che determinano la
salute?
L'ipotesi che propongo io a questo riguardo si riferisce alle tensioni che
esistono in ogni comunità religiosa.
Teresa però vive tensioni nelle quali si trova coinvolta Paolina, la sua piccola
Madre, che è priora delle carmelitane di Lisieux dal febbraio 1893 al marzo
1896.
La priora che l'ha preceduta, madre Maria di Gonzaga, ama esercitare ancora
il potere. Per questo motivo cerca di interferire nel governo di Paolina, suor
Agnese di Gesù.
È naturale che Teresa soffra delle «sofferenze inflitte alla sua "piccola
Madre" diventata priora», sofferenze causate, ovviamente, da madre Maria
di Gonzaga nei tre anni del priorato di suor Agnese.
«Nel suo triennio ha dato prova delle sue qualità di priora e non è restata
sotto l'influenza di madre Maria di Gonzaga, come questa più o meno
consciamente sperava: non senza soffrire e fare delle concessioni, ella ha
saputo governare.

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Ma la sua vivissima sensibilità ha conosciuto numerose frustrazioni. Teresa
farà di tutto per alleviare la pena della sua «piccola Madre" di fronte alla
morte prossima di sua sorella».
Si può comprendere come, al termine del mandato di madre Agnese,
l'elezione della nuova priora risulti molto tesa e difficile.
La stessa Teresa la descrive metaforicamente, ma in modo chiaro, in una
lettera a madre Maria di Gonzaga: « Ebbene, invece di vedersi come un
tempo scelta da tutte di comune accordo, fu solo dopo aver deliberato sette
volte che il vincastro fu posto nelle sue mani... Tu (Signore), che un tempo
hai pianto sulla nostra terra, non comprendi quanto deve soffrire il cuore
della mia amata Pastora? »
Immagino che Teresa abbia sofferto in questo periodo più di quanto ella
abbia confessato a se stessa. Anche se, come ci rivela nei suoi Manoscritti
autobiografici, sa conservare la propria pace interiore, le pene e le sofferenze
vissute nel corso del priorato della sua « piccola Madre », finiscono col
generare in lei uno stato di stress.
Il suo sistema immunitario, allora, si debilita, e il suo indebolimento
aumenta a causa della elezione di madre Maria di Gonzaga dopo sette
votazioni. Infatti, dopo appena qualche settimana, nell'aprile 1896, soffrirà
le due prime emottisi che segnano l'inizio della fine.
Nonostante tale risultato, Teresa appare ancora come un modello di salute,
se mi riferisco al controllo che sa avere dei fattori determinanti la salute.
Spetta a ciascun essere umano avere un controllo migliore di tali fattori.
Il resto spetta a Dio.

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III - MAESTRIA NELL’ARTE DEL PENSARE

Il pensiero costituisce, indubbiamente, il primo dei fattori che determinano


la salute. Il suo potenziale e le sue capacità vanno, però, molto più lontano.
È decisivo anche in altri campi dell'esistenza umana: la conoscenza, la
riflessione, la filosofia, la teologia, la sapienza, la creatività, l'orazione, la
santità, eccetera.
Per quanto riguarda l'uso e il lavorio del pensiero, Teresa si rivela esemplare
e in modo eccezionale.
Nei suoi scritti appare come una persona che ha imparato ad usare il proprio
pensiero per riflettere, ragionare e approfondire la conoscenza.
Ai nostri giorni stiamo prendendo coscienza che a pensare, intendo dire il
pensare rigorosamente, cioè con esattezza, profondità, sapienza o creatività,
è importantissimo.
Questo modo di pensare, però, non è innato: è un'arte che dobbiamo
imparare.
Per poter pensare veramente, abbiamo bisogno di tempo, di disciplina e di
strategie adeguate. Uno fra i grandi specialisti in questo campo osa
dimostrare che «il nostro cervello è stato concepito per essere
brillantemente creativo. Se così non fosse, sarebbe perfettamente inutile.
Qual è il significato di quest’affermazione?
Significa semplicemente che il cervello umano è stato creato per affrontare
le esigenze concrete d’ogni giorno. Il suo funzionamento è vitale e pratico.
Pertanto, se qualcuno desiderasse imparare a pensare come Teresa, dovrà
sviluppare alcune attività come le seguenti:
- Scegliere il centro d’attenzione,
- Cambiare il centro d’attenzione,
- Cambiare la rappresentazione della realtà,
- Scegliere un dialogo interno costruttivo,
- Pensare creativamente.

Scegliere il centro d’attenzione

Attualmente siamo coscienti che l'oggetto della nostra attenzione diventa,


in pratica, ciò che è più importante per noi, almeno in questo momento della
nostra vita.

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La ragione è molto chiara. La nostra mente ha dimensioni limitate, potendo
ricevere soltanto centoventisei unità d’informazione al secondo.
Ascoltare la voce o la conversazione di una persona si aggira sulle quaranta
unità d’attenzione, e rimangono ottantasei unità, per osservare le espressioni
del volto di quella persona e per pensare a ciò che poi risponderemo.
La mente dell'uomo si può paragonare allo schermo di un televisore. Se
questo è tutto riempito dal volto dell'attore principale di un film, non rimane
altro spazio per mostrarci gli altri personaggi. Se concentri la tua attenzione
su una qualità di un'altra persona, questa virtù diventa per te la cosa più
importante. Se, invece, la tua attenzione è rivolta al difetto di una persona o
al comportamento negativo di qualcuno a te caro, è logico che lo schermo
della tua mente sia riempito dall'immagine corrispondente.
In questi momenti, infatti, la cosa più reale e importante per te è il film che
ti presenta quel difetto o comportamento negativo. Se decidi di dare
maggiore importanza a fatti positivi o a valori da te preferiti, dovrai usare la
tua libertà.
In tal caso, come fece Teresa di Lisieux, dovrai scegliere come centro
d’attenzione, ciò che di buono e di costruttivo c'è negli altri o nelle diverse
circostanze.
Teresa ci racconta che nella sua comunità c'era una sorella che, durante l'ora
d’orazione silenziosa, « si metteva a fare uno strano rumorino che somigliava
a quello di due conchiglie strofinate l'una contro l'altra. Io ero la sola ad
accorgermene, perché ho l'orecchio estremamente fine (un po' troppo, a
volte)... ».
Teresa confessa di sentire, per questo, un gran fastidio: « Dirle, Madre,
quanto quel rumorino mi dava fastidio è cosa impossibile: avevo una gran
voglia di voltare la testa e di guardare la colpevole che, sicuramente, non si
accorgeva della sua mania ».
Avrebbe potuto almeno chiedere alla sorella di smettere... Le sembra però
più perfetto « soffrire tutto questo per amore di Dio e non dare dispiacere
alla sorella».
Cerca allora di mantenersi serena e di unirsi a Dio nell'orazione,
dimenticando quel rumore molesto.
«Tutto era inutile. Sentivo il sudore che m’inondava ed ero costretta a fare
semplicemente un’orazione di sofferenza. Ma, pur soffrendo, cercavo il
mezzo di farlo non con irritazione ma con gioia e pace, almeno nell'intimo
dell'anima.

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Mi sforzavo allora d’amare quel rumorino così sgradevole; invece di cercare
di non ascoltarlo (cosa impossibile), mettevo tutta la mia attenzione ad
ascoltarlo bene, come se si fosse trattato di un concerto meraviglioso...».
È chiaro che Teresa dispone di questa fondamentale facoltà per pensare, la
facoltà cioè di scegliere il centro d’attenzione.
Quando non riesce a centrare la propria attenzione dove lei vuole, allora usa
la sua libertà e decide di concentrarsi su quello che le viene imposto.
In questa maniera, Teresa riesce ad essere padrona della situazione a livello
della sua libertà.
Nel caso precedente, Teresa cercava di cambiare il centro della sua
attenzione. Eppure, era « tutto inutile», come afferma lei stessa. A questo
punto, usando tutta la sua flessibilità, sceglie, nei confronti del rumorino,
una strategia nuova. Ormai la conosciamo. Teresa, infatti, ci spiega: «
concentravo tutta la mia attenzione nell'ascoltarlo bene ». Naturalmente,
ricorda anche altre circostanze in cui usa con successo la sua capacità di
cambiare il centro della sua attenzione.
Però, se non mi sbaglio, questa è una delle risorse che mette in atto con
frequenza maggiore, quando sono in gioco il suo sviluppo umano e,
soprattutto, la sua crescita spirituale.
Sa mettere da parte le sue cose e le sue occupazioni per concentrarsi in Dio
o in Gesù in modo costante.
A questo proposito, sua sorella Celina, che in monastero ha ricevuto il nome
di suor Genoveffa, ci racconta: «Avendole io domandato se perdesse
qualche volta la presenza di Dio, mi rispose con tutta facilità: Oh no, credo
proprio di non essere stata mai tre minuti senza pensare a Dio.
Le manifestai la mia sorpresa circa la possibilità di una tale applicazione. Ella
riprese: "Si pensa spontaneamente a qualcuno che si ama».
Non solo cambia il centro d’attenzione per accogliere la presenza del
Signore, ma anche per concentrarsi nelle sue occupazioni. In questo modo
ottiene di liberarsi da affanni e inquietudine che potrebbero turbarla.
Alla sorella Paolina, suor Agnese, confida: « Ho sempre bisogno di avere del
lavoro già preparato; così non sono preoccupata e non perdo mai il mio
tempo ».
Teresa ci offre un altro esempio, forse più chiaro, di ciò che significa
cambiare il centro d’attenzione, allo scopo di costruire il proprio sviluppo
umano.

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Il 18 aprile 1897 fa una confidenza a sua sorella Agnese che, a sua volta,
commenta: « Mi aveva appena confidato alcune umiliazioni molto penose
che alcune suore le avevano procurato ». Teresa poi aggiunge: «Dio mi offre
così tutti i mezzi per restare piccola, piccola; ma è questo che occorre. io
sono sempre contenta.
Anche in mezzo alla tempesta, mi sistemo in modo da conservarmi bene in
pace all'interno. Se mi raccontano di conflitti tra sorelle, cerco di non
animarmi a mia volta contro questa o quella. Ho bisogno, per esempio, pur
ascoltando, che io possa guardare dalla finestra e godere interiormente della
vista del cielo, degli alberi..». In questa confidenza di Teresa troviamo un
particolare geniale: pur ascoltando, mette il centro della sua attenzione in
qualche cosa di buono o di bello.
I suoi interlocutori non possono sentirsi rifiutati.
Nello stesso tempo, ella non entra nel campo di una conversazione negativa
che potrebbe arrecarle danno o distrarla dalla sua attenzione al Signore.
Anche noi possiamo fare altrettanto.
Di fronte ad una persona o ad una situazione distruttiva, pur ascoltando,
possiamo cercare come centro d’attenzione qualche cosa positiva o bella
come la natura, un'opera d'arte, una persona cara, un progetto
appassionante, Dio stesso, eccetera.

Cambiare la rappresentazione della realtà

Immaginiamo che, nonostante lo sforzo per cambiare il centro d’attenzione,


qualcuno si senta preso da un ricordo, un fatto o un comportamento di tipo
negativo.
Non riesce a toglierselo dalla mente.
In questo caso, ricordiamo che la realtà non entra nel nostro essere
direttamente. In nessun modo.
Quello che percepiamo attraverso i sensi, in particolare quello che vediamo
o quello che ci dicono, dobbiamo rappresentarcelo.
Attraverso le rappresentazioni mentali
- vedere, e udire, sentire, odorare, gustare –
noi possiamo far presente di nuovo, dentro di noi, quello che c'è nella realtà
esterna o nella realtà personale.

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Mediante i processi della sensazione facciamo presenti la gioia interiore, lo
splendore del sole, il profumo della campagna, il canto degli uccelli, le scene
del Papa mentre celebra il Giubileo dell'anno 2000...
È ormai noto che il volto sorridente di una persona cara lo vediamo non
tanto con gli occhi ma con la parte posteriore del cervello.
Se uno ha un tumore in questa zona del capo, anche se i suoi occhi fossero
in condizioni perfette, non sarebbe capace di leggere queste righe.
Questo fatto, scientificamente provato, apre per ogni essere umano un
ampio margine di libertà. Ciò che uno vede, sente, odora o gusta, può
rappresentarselo in diverse maniere.
Un volto « lungo » e fosco può essere visto o rappresentato in modo da
acquistare un forte rilievo: grande, vicino, a tutto colore e illuminato bene.
Con queste caratteristiche sarà causa di vero malessere e disgusto per chi lo
guarda.
Al contrario, se col suo sguardo interiore lo vede lontano, piccolo, scuro, in
bianco e nero, senza movimento e sfocato, quasi di sicuro risulterà innocuo
e indifferente.
Teresa usa la sua libertà per scegliere il proprio modo di rappresentare le
cose o le persone.
Nel corso della sua vita ha la possibilità di offrirci diversi esempi di
quest’abilità che ha saputo sviluppare molto bene.
Spiega, per esempio, a madre Maria di Gonzaga come si comporta per
vincere un'antipatia: « C'è in comunità una sorella che ha il talento di
dispiacermi in tutto: i suoi modi di fare, le sue parole, il suo carattere mi
sembravano molto sgradevoli; eppure è una santa religiosa che deve essere
molto gradita al buon Dio...».
Davanti a questa sorella utilizza, fra le altre, la sua capacità di cambiare i
dettagli e le caratteristiche della sua rappresentazione interna.
Invece di fare un ritratto mentale che metta in risalto i tratti antipatici di
questa sorella, li rimpicciolisce. Contemporaneamente enfatizza le sue
qualità, specialmente quelle che Dio solo conosce, mettendole in primo
piano, con grandi dimensioni, a tutto colore, molto bene in luce. « Sentivo
bene che questo faceva piacere a Gesù, perché non c'è artista che non ami
ricevere lodi per le sue opere, e Gesù, l'Artista delle anime, è felice quando
non ci fermiamo all'esteriorità, ma penetriamo nel santuario intimo che Egli
si è scelto come dimora e ne ammiriamo la bellezza ».

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Agendo in questo modo, Teresa può conferire un tratto amabile alla sorella
che le è naturalmente antipatica.
La stessa libertà per scegliere la maniera di rappresentare la realtà può essere
usata per mettere in evidenza il positivo fino a che si radichi più
profondamente nella nostra personalità.
Quando Teresa si paragona ad un uccellino sa distinguere, nello stesso
tempo, la visione di sé nella vita e l'immagine che lei ha di Dio.
Per questo si serve, come a tutti succede, delle caratteristiche proprie di
ciascun senso.
Per quello che si riferisce alle caratteristiche visive, Teresa accentua la luce,
la dimensione, il colore, la distanza, eccetera.
« L’uccellino vorrebbe volare verso quel Sole brillante che affascina i suoi
occhi, vorrebbe imitare le aquile sue sorelle che vede elevarsi fino al focolare
divino della Trinità Santissima...
Ahimè, tutto ciò che riesce a fare è sollevare le sue piccole ali!
Ma alzarsi in volo, questo non è nelle sue piccole possibilità!
«Che ne sarà di lui? Morirà dal dispiacere di vedersi così impotente?... Oh,
no!
L’uccellino non si affliggerà nemmeno.
Con un abbandono audace, vuole restare a fissare il suo Sole Divino.
Niente potrebbe spaventarlo: né il vento, né la pioggia. E se nubi oscure
vengono a nascondere l'Astro dell'Amore, l'uccellino non cambia posto, sa
che di là dalle nubi il suo Sole brilla sempre, che il suo splendore non
potrebbe eclissarsi neanche un momento».
Nei testi appena citati, Teresa ci rivela i suoi segreti.
Ci spiega come fa a realizzare la sua crescita umana.
Fidandosi del suo Sole eterno, che talvolta è nascosto dalle nubi della sua
freddezza o della sua aridità utilizza le rappresentazioni o sensi interni, per
delineare la sua esperienza della realtà, sullo schermo della sua mente, in
modo che si senta incoraggiata ad andare avanti, a crescere, a collaborare
con l'azione di Dio nella sua vita.

Scegliere un dialogo interno costruttivo

Un'altra delle attività psicologiche che Teresa usa per affrettare il suo
sviluppo è il dialogo interno.

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Quando nella nostra mente ci rappresentiamo qualche cosa o qualcuno, ne
parliamo di solito con noi stessi.
Mediante questo dialogo interno che, comunemente, diciamo pensare,
cerchiamo di valutare ciò che vediamo o ascoltiamo.
Poi lo classifichiamo come buono o cattivo, corretto o meno corretto.
Infine, quale conseguenza pratica, decidiamo che cosa ne vogliamo fare.
Questo dialogo interno svolge un compito molto più importante di quello
che siamo soliti attribuirgli nella nostra vita quotidiana.
Infatti, questo dialogo, unito al modo di rappresentarci la realtà, determina
il nostro stato interno o esperienza.
Se dici a te stesso che la critica che ti hanno fatto è senza fondamento e non
è il caso di considerarla, te ne rimarrai tranquillo come prima.
Ma se cominci a macerare, accogliendo la critica come una cosa ingiusta alla
quale ti ribelli, probabilmente, per non dire di sicuro, ti potrai solo sentire
pieno di rabbia o di risentimento.
Non c'è dubbio: quello che dici a te stesso nel tuo dialogo interno produce
nel tuo animo un impatto forte e penetrante.
Teresa, in modo veramente geniale, si è resa conto molto bene della
trascendenza pratica che il dialogo interno possiede.
Si sforza perciò di avere « sempre pensieri caritatevoli ».
Un giorno, poiché erano arrivati al convento alcuni operai, venne richiesto
a qualcuna di loro di andare ad aprire la porta. Teresa si prepara a farlo ma
si accorge subito che desidera andare anche la sorella, che le è vicina.
Volendo lasciare a questa l'opportunità di recarsi alla porta, di proposito
continua a slacciarsi lentamente il grembiule.
Una sorella la critica: « Ah, lo sapevo che non sarebbe stata lei a guadagnare
una perla alla sua corona, andava troppo lenta... »
Teresa ci offre subito un esempio di dialogo interno di tipo costretto, che
fa nella sua mente: «Sicuramente, tutta la comunità pensò che mi ero
comportata secondo natura e non saprei dire quanto una cosa così piccola,
mi fece bene all'anima e mi rese indulgente verso le debolezze degli altri.
« Ciò mi impedisce anche di provare moti di vanità quando sono giudicata
favorevolmente perché mi dico:” Visto che prendono i miei piccoli atti di
virtù per delle imperfezioni, possono altrettanto bene sbagliarsi prendendo
per virtù ciò che è solo imperfezione”. Allora dico con san Paolo: "A me
poco importa di venire giudicata da un consesso umano. Anzi, io neppure
giudico me stessa, il mio giudice è il Signore".

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Quindi, per rendermi favorevole questo giudizio, anzi, per non essere
giudicata affatto, voglio sempre avere pensieri caritatevoli, perché Gesù ha
detto: "Non giudicate e non sarete giudicati". Proprio con il suo esempio,
Teresa ci insegna che possiamo ragionare in due maniere: costruttiva e
distruttiva.
Quest'ultima maniera porta a conclusioni distruttive o negative mentre
l'altra, la maniera costruttiva di dialogare interiormente con se stessi, arriva
a produrre « sempre pensieri caritatevoli».

Pensare creativamente

Una modalità del pensare costruttivo consiste in ciò che la letteratura


contemporanea chiama il pensare creativo.
C'è chi direbbe semplicemente “pensare”.
Teresa sviluppa fin dall'infanzia questa abilità di pensare.
Quando era bambina e frequentava come collegiale l'abbazia delle
benedettine, una delle maestre le domandò che cosa faceva nei giorni di
vacanza, quando era sola.
«Io le risposi che andavo dietro il mio letto, in uno spazio vuoto che c'era,
e che mi era facile chiudere con la tenda e là "pensavo". "Ma a che cosa
pensi", mi disse. "Penso al buon Dio, alla vita..., alla ETERNITA, insomma,
penso"».
Un'applicazione pratica del pensare, forse una delle più caratteristiche, è
quella di cercare possibilità e alternative.
Attraverso questo processo si può arrivare alla innovazione apportando idee
nuove, alla invenzione di soluzioni, metodi e prodotti, alla scoperta di dati e
orizzonti sconosciuti.
Di Teresa possiamo dire che produce « invenzioni » di carattere poetico,
drammatico e, soprattutto, spirituale.
Nel campo spirituale la sua più grande invenzione è la via dell'infanzia
spirituale.
Racconta lei stessa come si mise a pensare fino a scoprire questa piccola via.
«Voglio cercare il modo di andare in Cielo per una piccola via, diritta e molto
breve, una piccola via tutta nuova.
« Siamo in un secolo di invenzioni: oggi non vale più la pena di salire i gradini
di una scala: nelle case dei ricchi un ascensore la sostituisce
vantaggiosamente.

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« Vorrei trovare anch'io un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché
sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Allora ho
cercato nei Libri Santi l'indicazione dell'ascensore, oggetto del mio
desiderio, e ho letto queste parole uscite dalla bocca della Sapienza eterna:
Se qualcuno è molto piccolo venga a me”.
« Così sono arrivata ad intuire che avevo trovato ciò che cercavo. E volendo
sapere, o mio Dio, ciò che faresti al molto piccolo che rispondesse alla tua
chiamata, ho continuato le mie ricerche, ed ecco quello che ho trovato:
"Come una madre accarezza il figlio, così io vi consolerò: vi porterò in
braccio e vi cullerò sulle mie ginocchia!’’
« Mai parole più tenere, più melodiose hanno rallegrato la mia anima.
L’ascensore che mi deve innalzare fino al Cielo sono le tue braccia, Gesù!”
Per questo non ho bisogno di crescere, anzi, bisogna che io resti piccola,
che lo diventi sempre più”.
Quando realizza le sue scoperte e invenzioni, Teresa non si aggiudica i diritti
di autore. No.
Lascia che altri se ne approprino con tutta libertà:
« Se mi capita di pensare o di dire una cosa che piace alle sorelle, trovo del
tutto naturale che esse se ne impadroniscano come di un bene loro.
Quel pensiero appartiene allo Spirito santo e non a me, poiché san Paolo
dice che senza questo Spirito d'amore non possiamo nemmeno dire "Padre"
al nostro Padre che è nei cieli.
Quindi è ben libero di servirsi di me per dare un buon pensiero a un'anima;
se credessi che quel pensiero mi appartiene, sarei come "l'asino che portava
le reliquie", il quale credeva che gli omaggi resi ai Santi fossero rivolti a lui
».
La ricerca di una piccola via totalmente nuova suscita in Teresa, come del
resto in ogni essere umano, una domanda previa: « Quale potrebbe essere
una Piccola via molto diritta e molto breve per arrivare al Cielo? ».
Rivolgersi domande significa sfidare il proprio cervello a trovare le risposte.
Gesù stesso adotta questo metodo per pensare creativamente.
A un certo punto si domanda: « A che cosa possiamo paragonare il regno
di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? ».
Dal suo cervello riceve subito una risposta creativa: «A un granellino di
senapa... » (Mc 4,30-31).
Domandare significa cercare o indagare per scoprire risposte nuove e
creative.

28
Teresa, nel corso della sua vita, si dimostra dotata di un vivace spirito di
investigazione e di ricerca.
Per esempio, dopo aver scoperto che per farsi portare dalle braccia di Gesù
deve diventare un piccolo bambino, si domanda: « Ma come testimonierà il
suo Amore, dal momento che l'Amore si prova con le opere?».
In seguito, quando si sentirà insoddisfatta della vocazione di carmelitana,
che apprezza moltissimo e che non lascerebbe per nessun'altra cosa, si
domanda, con la sua tipica ansia di ricerca, quale potrebbe essere la sua
missione personale: « Aprii le lettere di san Paolo per cercare qualche
risposta».
In questo modo, usando il metodo di fare domande, ampiamente diffuso
fra gli scienziati contemporanei, Teresa scopre soluzioni che possono
essere, nello stesso tempo, ispirazioni dello Spirito. L’uno e l'altro, l'ingegno
umano creato da Dio e lo Spirito di Gesù, lavorano insieme.
Riassumendo, Teresa ci incoraggia a pensare, a riservarci del tempo per
pensare e pensare in modo creativo.

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IV – LIBERTA’ EMOZIONALE

Teresa di Lisieux consegue il suo sviluppo umano mediante la sua abilità a


pensare, ma soprattutto usando la sua capacità di scegliere, una capacità che
le permette di esercitare con efficacia la sua libertà emozionale.
Sa essere emozionalmente libera in modo così straordinario che, se fosse
vissuta nel nostro tempo, potrebbe sorgere il dubbio che qualcuno l'abbia
istruita sul modo di giovarsi della psicologia contemporanea, soprattutto
della sua ultima corrente: la Psicologia.
All'epoca della seconda Guerra Mondiale, confinato per quattro anni in un
campo di concentramento nazista, il dottor Victor E. Frankl riscoprì quella
libertà interiore presente in tutti gli uomini: scoprì, cioè, che i nazisti
avrebbero potuto privarlo di tutte le libertà, ad eccezione di una: quella
interiore.
Questa libertà interiore, secondo l'esperienza che egli visse nel campo di
concentramento, consiste nell’essere ognuno libero di scegliere
l'atteggiamento o il sentimento con il quale reagire o vivere una situazione
che non può cambiare.
A questo tipo di libertà si riferisce il presente capitolo, sulla libertà
emozionale.
Grazie a questa, ciascuno di noi è, come Teresa, libero di scegliere i
sentimenti con i quali desidera affrontare una persona o un gruppo, come
pure un’esperienza o una situazione.
Teresa, fin dalla grazia di Natale, sfrutta tutta la sua libertà e, sostenuta dal
Signore, decide di abbandonare la sua immaturità psicologica per diventare
una donna.
Così, impegnando tutta la sua intelligenza, il suo realismo e la sua efficienza,
pone le sue emozioni e i suoi sentimenti nelle mani della sua personale
libertà.
Nella Psicologia, alla luce delle ricerche neurologiche contemporanee e in
base alla sua esperienza sul processo dello sviluppo umano, un autore
sostiene: « Se qualcuno può, tu puoi ».
Pertanto, qualsiasi persona può acquisire la libertà emozionale di Teresa se
ne adotta le convinzioni, le strategie, le decisioni e i comportamenti.
Consideriamo perciò alcuni dei comportamenti e delle strategie messi in atto
da Teresa, in modo da capire come dobbiamo fare per riflettere nella nostra
vita la sua libertà emozionale:

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- Opzione per una destinazione emozionale,
- Scelta delle risposte emozionali,
- Cambiare i sentimenti,
- Rincorniciare: cambiare il significato.

Opzione per una destinazione emozionale

La prima lezione che Teresa ci impartisce perché apprendiamo la libertà


emozionale, consiste nel deciderci per una destinazione emozionale.
Che cosa significa destinazione emozionale? In che cosa consiste? Qual è la
sua utilità e come si opta per essa?
Ricordiamo che nel mondo dei mezzi di trasporto, specialmente nel caso di
viaggi in aeroplano, si parla di destinazione.
Ci si vuole riferire alla meta verso la quale è diretto un aereo o qualsiasi altro
mezzo.
Un aereo che decolla da Roma può avere come destinazione Parigi, Madrid,
Londra, eccetera. Anche le persone possono avere destinazioni o obiettivi
diversi. Fra questi si distingue la destinazione emozionale.
Come è facile immaginare, la destinazione emozionale consiste nell'avere
come obiettivo uno stato d'animo, in modo che, qualsiasi cosa succeda,
possiamo vivere le emozioni o sentimenti che corrispondono a
quell'obiettivo. Chi non avesse una destinazione emozionale, è superfluo
dirlo, diventa un essere senza direzione, simile a una di quelle foglie secche
che cadono dagli alberi in autunno. L’acqua e il vento giocheranno con essa
e la trascineranno capricciosamente di qua e di là.
I veicoli, gli animali e i passanti la potranno calpestare e distruggere. La
persona, che manchi di una destinazione emozionale, come una boa alla
deriva, sarà vittima delle mareggiate e delle avversità della vita.
Saranno, allora, i venti mutevoli delle situazioni, dei comportamenti e delle
decisioni altrui a imporle una direzione e una destinazione.
Teresa, dopo la sua scelta natalizia di essere una persona adulta, non è più
come una foglia secca, portata dal vento: tre anni più tardi, all'età di
diciassette anni, stabilisce con chiarezza quali sentimenti dovranno guidare
la sua vita. Opta, cioè, per una destinazione emozionale.
Il giorno della sua professione, l'8 settembre 1890, giorno in cui pronunzierà
i suoi voti di povertà, obbedienza e castità, scrive a Gesù un biglietto che
conserva nel suo cuore. Si tratta di un brano di appena venti righe, di cui se
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ne riserva cinque esclusivamente per stabilire la sua destinazione
emozionale.
Scrive: « Le cose della terra non possano mai turbare la mia anima e niente
turbi la mia pace. Gesù, non ti chiedo che la pace e poi l'amore: l'amore
infinito e senz'altro limite che te, un amore tale che non ci sia più io ma te,
o mio Gesù ».
I sentimenti di pace e di amore, dunque, costituiscono la destinazione
emozionale di Teresa di Lisieux: questo si deduce dal testo appena citato. Ci
sono, però, altre circostanze in cui ella sembra suggerire che anche la gioia
fa parte della sua destinazione emozionale.
A favore di questa ipotesi, abbiamo diverse espressioni che escono dalla sua
penna o dalla sua bocca:
« So trovare sempre il modo di essere felice».
« Sono sempre contenta».
« Quaggiù ci sono anime che gioia invano cercano.
“Invece per me è il contrario. La gioia mi sta nel cuore”.
“E non è gioia effimera, per sempre la possiedo”
“e rose di primavera mi arridono ogni giorno».
La pace, l'amore e la gioia, che san Paolo chiama « frutti dello Spirito » (Gal
5,22), costituiscono per Teresa una vera destinazione emozionale, perché
non rimangono lontano, come una semplice possibilità: niente affatto.
Teresa cerca e conserva la pace, la gioia e l'amore tutti i giorni.
Usa l'avverbio sempre, per qualificare la costanza di questi suoi tre
sentimenti che rappresentano, proprio per questo motivo, un'autentica
destinazione: orientano, come al porto desiderato, la barca della sua anima,
il cui timone, la libertà emozionale, Tersa sa già manovrare con esemplare
maestria.

Scelta di risposte emozionali

Avendo ben chiara la propria destinazione emozionale, Teresa si comporta


da persona matura o autorealizzata: ha nelle sue mani le redini di questo
puledro quasi selvaggio, che è l'emotività.
Molti, però, rinunciano alla loro dignità di persone. Trascinati
inconsciamente dai parametri culturali, agiscono come se fossero marionette
i cui fili si trovano nelle mani di altri o delle circostanze.

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Mi viene da pensare a un modo di fare che facilmente rivelano gli abitanti
di tutti i continenti del nostro pianeta.
Mi riferisco a quella tendenza così spontanea da apparire naturale dare agli
altri la colpa dei propri sentimenti.
Si pronunciano allora affermazioni come le seguenti: « Sono triste perché il
mio amico mi ha tradito », « Sono veramente stizzito, perché il mio maestro
mi ha umiliato in pubblico »; « Sono contento, perché finalmente mio figlio
ha reagito », « Ho tanta gioia perché mi ha dato speranza », eccetera.
Espressioni di questo genere dimostrano chiaramente che pensiamo siano
gli altri o le circostanze ad avere nelle loro mani i fili del nostro cuore: quasi
fossimo veramente marionette.
In realtà, come scoprirono i filosofi stoici, più di venti secoli fa, i sentimenti
sono un prodotto del nostro pensiero. Più concretamente, sono il risultato
della interpretazione che facciamo della realtà per mezzo dei pensieri.
Si può quindi sostenere che « sentiamo come pensiamo ».
Se nei confronti di una persona o di una situazione ti si presentano pensieri
negativi, questi faranno nascere nel tuo cuore sentimenti negativi: odio, ira,
tristezza, ansietà, eccetera.
Se invece elabori pensieri positivi, nel tuo cuore fioriranno ovviamente
sentimenti positivi: amore, gioia, pace, speranza, eccetera. Dopo la grazia di
Natale, Teresa sa essere responsabile dei propri sentimenti. Sa che questi
sono nelle mani della sua libertà. Non attribuisce le proprie emozioni al
padre, alle sorelle, ai familiari, alle monache della sua comunità o agli amici.
Ormai, riconoscendosi persona, si accetta e agisce di conseguenza. Pertanto,
usa la sua libertà per scegliere le sue risposte emozionali. Di fronte alla
sorella della comunità che le è sgradevole, Teresa mette da parte la propria
«antipatia naturale » e opta per l'amore. Sceglie, concretamente, l'amore
cristiano. Questo, sappiamo bene, non consiste in effusioni di tenerezza o
di simpatia. No.
L’amore, soprattutto l'amore che Cristo ci insegna, nasce dalla libertà, come
decisione di procurare alla persona amata ciò che realmente è bene per essa.
I sentimenti di affetto e di tenerezza che accompagnano certe forme di
amore sono del tutto secondari. L’essenziale dell'amore è il bene che si offre
al prossimo, a se stessi o alla natura, indipendentemente dai propri
sentimenti.
Ma sentiamo che cosa fa Teresa: « Per non cedere all'antipatia naturale che
provavo, mi sono detta che la carità non doveva consistere nei sentimenti,

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ma nelle opere, e perciò mi sono impegnata a fare per questa sorella ciò che
avrei fatto per la persona che amo di più.
Ogni volta che la incontravo, pregavo per lei il buon Dio, offrendogli tutte
le sue virtù e i suoi meriti ».
Teresa, superando la sua antipatia, sceglie un amore ricco di fatti: servizi,
sorrisi, scambio di conversazione, eccetera.
In questo modo, scegliendo lei stessa le sue risposte emozionali, non
soltanto esercita la sua libertà emozionale, ma mantiene anche la giusta
direzione che la conduce alla sua destinazione emozionale: amore, gioia,
pace.
Teresa stessa, riferendosi alla medesima sorella, aggiunge: «Non mi limitavo
a pregare per la sorella che mi procurava tante lotte. Mi sforzavo di farle
tutti i favori possibili e, quando avevo la tentazione di risponderle in modo
sgarbato, mi limitavo a farle il mio più bel sorriso e mi sforzavo di sviare il
discorso, perché è detto nell'Imitazione: "È meglio lasciare ognuno nella
propria idea piuttosto che far nascere una contesa».
Infine, pensando a situazioni di questo genere, rivela in quale maniera riesce
a usare la propria libertà emozionale allo scopo di ottenere la pace,
caratteristica della sua destinazione emozionale: « Ah, che pace inonda
l'anima quando si eleva al di sopra dei sentimenti della natura!...».
Certo, Teresa ha saputo trovare in Gesù un maestro di libertà emozionale e
la fonte dell'acqua viva che la rende forte nello sforzo che fa per scegliere le
sue risposte emozionali.
A questo proposito ammette: «Ah, come sono contrari ai sentimenti della
natura gli insegnamenti di Gesù! Senza l'aiuto della sua grazia, sarebbe
impossibile non solo metterli in pratica, ma perfino comprenderli».

Cambiare i sentimenti

Proprio come Teresa ci fa comprendere, la nostra natura presenta dei limiti:


ha bisogno dell'aiuto della grazia, che spesso non sappiamo accogliere.
Finiamo così col cadere in sentimenti che non desideriamo.
Nonostante lo sforzo per camminare verso la nostra destinazione
emozionale e per scegliere la nostra risposta emozionale, ci sorprendiamo a
sperimentare un’emozione o un sentimento che non abbiamo scelto.

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Nella situazione appena ricordata, Teresa vive questa esperienza: sente
antipatia nei confronti di quella sorella. Questo fatto è abituale negli esseri
umani.
È presente perfino nella vita di coloro che hanno stabilito la loro
destinazione emozionale e la perseguono con entusiasmo.
Sorge allora, spontaneamente, la domanda: come cambiare un sentimento
che non vogliamo vivere?
Il corpo è una delle vie più efficaci per cambiare i sentimenti.
Il movimento, l'esercizio fisico, la respirazione profonda e lenta, il
rilassamento muscolare, la dieta naturale, il riposo, il sonno, eccetera,
costituiscono mezzi naturali e sani che aiutano a cambiare il proprio stato
d'animo.
È ovvio che questi mezzi sono in contrasto con quello che ci propone il
mondo contemporaneo: mangiare più del necessario, bere bevande dolci,
alcool, usare sigarette, droga, disordini sessuali, eccetera.
Teresa, senza pensare lontanamente all'uso di questi rimedi nocivi,
preferisce sfruttare direttamente il corpo per cambiare il suo stato d'animo.
Ricordiamo ciò che fece per accogliere la grazia di Natale: « Reprimendo le
lacrime, scesi rapidamente la scala e comprimendo i battiti del mio cuore,
presi le mie scarpe e, mettendole davanti a Papà, tirai fuori gioiosamente
tutti gli oggetti..».
Oltre a certi gesti che sembrano repressivi, ce ne sono altri, in Teresa, che
richiedono movimento, cioè una specie di esercizio fisico: scendere
rapidamente la scala, tirare fuori tutti i regali...
È molto importante in questa strategia di Teresa il cambiamento della
espressione del volto, simile a quello che accade nei fumatori.
Attualmente, alla luce della neurologia e della fisiologia, si pensa che il senso
di soddisfazione del fumatore, più che al fumo del tabacco e alla nicotina,
sia dovuto al modo profondo di respirare mentre espira il fumo e,
soprattutto, al fatto di esprimere nel volto una profonda soddisfazione.
Teresa qualifica con l'avverbio gioiosamente il gesto di tirare fuori tutti i
regali. Questo dettaglio fa pensare che mutò l'espressione del suo volto,
lanciando così una tempesta di stimoli al cervello: la neurologia, infatti, ci
insegna che il cervello lavora, nella maggior parte, per la funzione motoria
del volto.
Un'altra via per modificare un sentimento che palpita nel nostro cuore
consiste nel cambiare il centro di attenzione.

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Se ci mettiamo a pensare o a contemplare ciò che di male e di negativo esiste
in questo mondo, senza alcun dubbio finiremo con lo sperimentare
sentimenti negativi.
Ma come già ho accennato, la persona può scegliere un centro di attenzione
positivo, concentrando in questo tutta la propria attenzione.
Teresa pratica questo metodo con quella stessa sorella per la quale sente
antipatia: «Un giorno, in ricreazione, mi disse con un'espressione
contentissima press'a poco queste parole: "Vorrebbe dirmi, suor Teresa di
Gesù Bambino, che cosa l'attira tanto verso di me, che ogni volta che mi
guarda la vedo sorridere?".
Ah, ciò che mi attirava era Gesù nascosto in fondo alla sua anima... Gesù
che rende dolce ciò che c'è di più amaro! ... Le risposi che sorridevo perché
ero contenta di vederla (certo, non aggiunsi che era dal punto di vista
spirituale)».
Naturalmente, trasferendo in Gesù il centro della sua attenzione, Teresa
ottiene il cambiamento dei propri sentimenti: invece dell’antipatia
sperimenta la gioia di incontrarsi con il suo amato Gesù, presente nell'anima
di quella sorella.
Per cambiare lo stato interiore disponiamo anche di un altro mezzo, che è
quello di modificare il dialogo interno.
Abbiamo già ricordato che noi sentiamo come pensiamo.
Dinanzi a un'anziana sorella, suor San Pietro, Teresa ha timore di
avvicinarla: è una suora che esige attenzioni e cure francamente esagerate e
contraddittorie.
«Tuttavia», scrive Teresa, « non volevo perdere un'occasione così bella di
esercitare la carità, ricordandomi che Gesù aveva detto: Quello che fate al
più piccolo dei miei fratelli, l'avete fatto a me». Il cambiamento del dialogo
interno, in questo testo, è evidente.
Invece di pensare alle difficoltà derivanti dall'aver cura di suor San Pietro,
evoca le parole di Gesù e dice a se stessa che non vuole perdere un'occasione
così bella di esercitare la carità.
Un altro modo di cambiare i sentimenti, già l'abbiamo accennato, può essere
quello di cambiare il modo di rappresentare i fatti e le persone.
Teresa si rende conto di questa risorsa verso la fine della sua vita. Ricorda,
per esempio, che sullo schermo della sua mente soleva ingrandire i problemi
o le difficoltà della vita.

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Ora, a distanza di alcuni anni, vede quelle situazioni come realtà di poca
importanza o dalle dimensioni molto piccole: «Ahimè, quando ripenso al
tempo del mio noviziato, come capisco quanto ero imperfetta... Mi
affliggevo per cose tanto piccole, che adesso ne rido.
Come è stato buono il Signore nel far crescere la mia anima e darle le ali! ..».
Non occorre aspettare che passino gli anni per ridersene delle cose che ora
ci affliggono o ci causano stress. Nello stesso momento in cui ci troviamo
di fronte a situazioni difficili o sgradevoli, possiamo cambiare il modo di
rappresentarle nella mente.
Anche ora, utilizzando di nuovo la libertà di rappresentare le cose in diverse
maniere, potresti relativizzare qualche problema che ti si pone attualmente.
Ricorda una delle immagini più vive che questo problema disegna nella tua
mente. Quindi, cambiane la grandezza, il colore, la luminosità, la distanza, il
movimento e la chiarezza. Falla piccola. Oscurala. Lasciala in bianco e nero.
Allontanala. Cerca di sfocarla e di toglierle il movimento.
Un'altra risorsa per cambiare i sentimenti consiste nell'usare la vídeoteca che
è la nostra memoria.
Ricordando esperienze felici, è spontaneo e naturale rivivere i sentimenti di
godimento e di gioia che erano presenti allora. Evocando la luminosità di
quei momenti è possibile dissipare l'oscurità dei sentimenti di tristezza.
Teresa conosce bene questa possibilità, che è alla portata di tutti. Mentre
contemplava la bellezza dei verdi prati e delle candide montagne della
Svizzera, preparava la sua videoteca per il futuro, quando vivrà prigioniera
nella clausura del Carmelo: «Più tardi, nell'ora della prova, quando,
prigioniera del Carmelo, non potrò contemplare altro che un piccolo angolo
di cielo stellato, mi ricorderò di quello che vedo oggi.
Questo pensiero mi darà coraggio: dimenticherò facilmente i miei poveri
piccoli interessi, vedendo la grandezza e la potenza di Dio, che solo voglio
amare ».
Ogni persona può disporre della propria memoria come di una videoteca
meravigliosa, in cui troviamo archiviate pellicole tristi, noiose, deprimenti,
sconsolanti... ma anche gioiose, tranquillizzanti, incoraggianti,
entusiasmanti.
Ciascuno è libero di scegliere quelle che vuole ripercorrere nella propria
mente.

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Però, se qualcuno decide, come Teresa, di cambiare liberamente i propri
sentimenti, allora gli converrà ricordare, rivivere e fruire di esperienze che
diano frutto, secondo il piano di Dio.

Reincorniciare: cambiare il significato

Immaginiamo che qualcuno domandi a Teresa: « Che cosa faresti se, pur
cercando la tua destinazione emozionale o volendo scegliere liberamente i
tuoi sentimenti, ti sorprendessi a vivere un’emozione o esperienza che non
è positiva? ».
Gli risponderebbe probabilmente di usare il metodo che lei, Teresa, soleva
usare di fronte a situazioni o esperienze negative: quello, cioè, di
reincorniciare.
Reincorniciare o reinquadrare, di per sé significa cambiare la cornice o il
quadro in cui vogliamo inserire una situazione, esperienza o sentimento.
Nel mondo tecnico della Psicologia, l'espressione reincorniciare significa
cambiare il significato di un’emozione, esperienza o situazione,
scoprendone il valore o la bontà.
Per reincorniciare o scoprire quanto c'è di buono o positivo in una cosa,
circostanza, problema o esperienza di tipo negativo, si usano domande
come: « Che cosa c'è di buono in questo? ».
Dinanzi a un problema occorre domandarsi: « Che cosa c'è di buono in
questo problema?», « Che cosa posso imparare da tutto questo? ».
Teresa dimostra una capacità straordinaria e sorprendente per reincorniciare
ciò che è negativo. Ce ne offre diversi esempi nei suoi scritti: con semplicità
lascia risplendere la propria abilità nel dare un significato positivo a quello
che, obiettivamente, potrebbe essere considerato soltanto negativo.
«Sono veramente lontana dall'essere una santa, solo questo (che ho appena
finito di dire) ne è la prova migliore.
Invece di rallegrarmi per la mia aridità, dovrei attribuirla al mio poco fervore
e fedeltà. Dovrei sentirmi desolata perché dormo (da sette anni!) durante le
mie orazioni e i miei ringraziamenti.
Ebbene, non sono desolata ... : penso che i bambini piccoli piacciono ai loro
genitori quando dormono come quando sono svegli... ».
In questa confidenza di Teresa abbiamo un esempio del reincorniciare: sa,
infatti, conseguire la sua destinazione emozionale, in questo caso la gioia,

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usando la sua capacità di dare un significato positivo a quello che, per molti,
sarebbe negativo.
A proposito del ringraziamento dopo aver ricevuto Gesù nell'Eucaristia,
Teresa ci offre un altro esempio luminoso della sua capacità di
reincorniciare.
Durante l'epidemia di influenza, che abbiamo già ricordato, quando diverse
suore muoiono e soltanto Teresa con altre due consorelle sopporta tutto il
peso dei funerali e delle cure alle malate, il sacerdote decide di darle la
comunione tutti i giorni.
Teresa, allora, commenta: « Quando Gesù scende nel mio cuore, mi sembra
che sia contento di essere accolto così bene, e anch'io sono contenta.
«Tutto ciò non toglie alle distrazioni e al sonno di venire a visitarmi, ma alla
fine del ringraziamento, vedendo che l'ho fatto così male, prendo la
decisione di stare in ringraziamento per tutto il resto della giornata... « Vede,
Madre diletta, quanto sono lontana dall'essere condotta per la via del timore: so trovare
sempre il modo di essere felice e di approfittare delle mie miserie. Certo, questo non dispiace
a Gesù, perché Egli sembra incoraggiarmi in questo cammino...».
È evidente, in questo testo, il cambiamento di significato alle distrazioni o
al sonno mentre ha Gesù Eucaristia dentro di sé.
Trasforma i propri limiti in opportunità. Invece di tormentarsi
considerandoli come colpe che le causerebbero angoscia, sfiducia o
tristezza, trasforma i suoi limiti nell'opportunità di amare Gesù nel corso
dell'intera giornata.
Nello stesso tempo ne approfitta per imparare qualche cosa di nuovo o per
trarre vantaggio dalle proprie miserie.
Teresa non parla, qui, di grazia, ma la suppone nella natura umana, che Dio
ha creato con la capacità di reinquadrare le difficoltà, i limiti e le
imperfezioni.
Mediante l'impiego del reincorniciare, certamente in modo costante, Teresa
sviluppa l'abilità di vedere sempre il lato buono delle cose. Lo dice lei stessa:
« Vedo sempre il lato buono delle cose.
Ci sono persone che prendono tutto in modo da farsi più male possibile.
Per me è il contrario. Se non ho che la pura sofferenza, se il cielo è così nero
che non vedo nessuna schiarita, ebbene! Ne faccio la mia gioia... Ne faccio
un vanto! Come le prove di papà, che mi rendono più gloriosa di una
regina».

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Poiché suo padre, sofferente per una malattia degenerativa del cervello,
presentava comportamenti caratteristici della demenza senile o qualcosa di
simile, si può immaginare quanto fosse penoso tutto questo per Teresa e
per le sue sorelle.
Ma Teresa sa reinquadrare tale situazione in modo da non perdere la sua
gioia abituale né la sua pace.
Concludo mettendo in risalto lo sviluppo umano che Teresa ha conseguito
in grado veramente notevole: nonostante la sua infanzia psicologicamente
grigia, ha conquistato una vera libertà emozionale.
Unita con Gesù, maestro di libertà, ha utilizzato diverse tecniche per
conquistarla.
In primo luogo, ha optato per una destinazione emozionale molto concreta.
Guidata da questa, sa scegliere i suoi sentimenti e sa cambiarli. Si serve
inoltre, e con molta efficacia, della sua innata capacità umana per
reincorniciare ciò che è negativo e sgradevole. Mi sembra che veramente la
fede offra un buon allenamento nell'abilità a reinquadrare.
Grazie a questo atteggiamento teologale di fede, è possibile osservare ed
accettare che, veramente, « tutto concorre al bene di coloro che amano Dio
» (Rm 8,28).

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V - COMPORTAMENTO ECCELLENTE

Abbiamo visto come Teresa di Lisieux dimostri il suo sviluppo umano


nell'abilità che possiede di usare creativamente il suo pensiero e di scegliere
liberamente i suoi sentimenti.
Non ci sembrerà strano, dunque, che il suo comportamento risulti
veramente eccellente.
Non intendo riferirmi tanto alla bontà dei suoi comportamenti o azioni,
quanto soprattutto alla loro efficacia: sa conseguire, facendo assegnamento
sulla grazia dello Spirito, quello che si propone come metà.
Per spiegare quest’argomento vorrei soffermarmi su alcuni punti che sono,
in Teresa, ammirevoli.
Se qualcuno li riproducesse nel proprio comportamento, ciò potrebbe
risultare efficace ed eccellente, come per Teresa:
- concretizzare la metà,
- seguire un piano d’azione,
- efficienza nell'azione.

Concretizzare la metà

Il primo passo verso un’azione eccellente consiste nel precisare con tutta
chiarezza quello che realmente si vuole conseguire.
Porsi domande sui risultati desiderati costituisce uno dei segreti dei grandi
uomini e delle donne eccellenti.
L’abilità di Teresa, nel sapere che cosa veramente vuole, appare eccezionale.
Sembra che viva ai nostri giorni e che sia stata allenata nel mondo delle
imprese o della psicologia contemporanea.
Abbiamo un dato molto chiaro a questo proposito. Teresa utilizza
frequentemente la parola meta, proprio come la usiamo noi, oggi. Soltanto
nei suoi Manoscritti autobiografici ho riscontrato dodici volte l'uso della
parola francese but, che significa « metà » o « obiettivo».
Essendo capace di precisare esattamente quello che vuole, riesce ad essere
efficiente nella sua azione, fino ad ottenere i risultati che si è proposta di
raggiungere.
Teresa possiede mete globali che si riferiscono alla sua vita in generale.
Dispone, inoltre, di mete od obiettivi parziali, che la orientano in una
determinata area della sua vita, come potrebbe essere il mantenersi alla
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presenza del Signore, conseguire la propria destinazione emozionale,
eccetera.
Attribuisce ancora una meta parziale ad azioni concrete che compie nel
corso della giornata.
Della sua capacità di stabilire mete globali allo scopo di orientare il processo
della sua esistenza prendiamo, dai suoi scritti, qualche esempio.
Descrivendo la sua preparazione immediata all’emissione dei voti, il giorno
della sua professione come religiosa carmelitana, scrive: « Ai piedi di Gesù -
Ostia, nell'esame che precedette la mia professione, dichiarai che cosa
venivo a fare al Carmelo:
"Sono venuta per salvare le anime e soprattutto a pregare per i sacerdoti".
«Quando si vuole raggiungere uno scopo, bisogna prenderne i mezzi. Gesù mi
fece capire che era per mezzo della Croce che Egli voleva darmi le anime, e la
mia attrazione per la sofferenza crebbe a mano a mano che aumentava la
sofferenza».
In questo testo notiamo che Teresa precisa qual è la sua meta e quali sono i
mezzi che può usare per raggiungerla.
In un'altra occasione, usando una variante di quello che ha appena espresso,
descrive qual è la meta globale della sua vita: «Voglio essere figlia della
Chiesa come la nostra Madre santa Teresa, e pregare secondo le intenzioni
del nostro Santo Padre il Papa, sapendo che le sue intenzioni abbracciano
l'universo.
Ecco lo scopo generale della mia vita».
Oltre a queste e ad altre circostanze in cui allude alla sua meta globale, Teresa
usa in altre occasioni la parola «meta», o un suo sinonimo, per riferirsi alle
sue mete parziali.
Ripensando ai primi anni in Carmelo, ricorda che le era molto chiaro in che
cosa consistesse la perfezione o eccellenza nella vita religiosa.
Programma allora come possa ampliare di più i suoi orizzonti:
«All'inizio della mia vita spirituale, tra i tredici e i quattordici anni, mi chiedevo
in che cosa, più avanti, avrei dovuto fare progressi, perché credevo che mi fosse
impossibile capire meglio la perfezione; ho riconosciuto ben presto che più si va
avanti in questo cammino, più ci si crede lontani dalla meta.
Perciò ora mi rassegno a vedermi sempre imperfetta e trovo in ciò la mia gioia».
Oltre a cercare il fine o meta della perfezione, Teresa, quasi alla fine della
sua vita, si dedica alla ricerca di una sua possibile missione personale.
Considera anche questa ricerca come una meta e, quando la raggiunge,

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commenta: « Come la Maddalena, chinandosi continuamente sul sepolcro
vuoto, finì col trovare quello che cercava, così, abbassandomi fino alle
profondità del mio nulla, mi elevai tanto in alto che riuscii a raggiungere il
mio scopo».
Infine, Teresa si riferisce anche alla meta che ha quando si propone di
ottenere il permesso per entrare al Carmelo a soli quindici anni,
presentandosi a monsignor Révérony.
In seguito, narrando il suo viaggio a Roma per avere un’udienza col papa
Leone XIII, rileva ancora il suo obiettivo quando scrive: «Adesso è di Roma
che mi rimane di parlare, di Roma, meta del nostro viaggio, là dove credevo
di incontrare la consolazione ma dove trovai la croce! ».
Teresa di Lisieux c’insegna, dunque, a precisare le mete che nella vita ci
proponiamo di conseguire, in alcuni dei loro aspetti e in ciascuna delle
principali attività quotidiane.
Ci può aiutare il metodo di farci delle domande.
«Che cosa voglio realmente nella vita? »,
« Che cosa voglio quando mi propongo di pregare, d’amare, di crescere ...?»,
«Che cosa veramente voglio nell'intraprendere quest’attività?».

Seguire un piano d’azione

Teresa non solo è una sognatrice, una donna dai desideri immensi, ma è
anche una donna realista che, come i grandi uomini e le grandi donne della
storia, sa conseguire le sue mete realizzando i suoi progetti.
Il segreto della sua efficacia si fonda sull'abilità che possiede nel seguire un
piano d’azione quando intraprende un’impresa.
Un piano d’azione comporta passi precisi verso il conseguimento della meta
desiderata. Si tratta di un processo, un fluire come quello di un fiume, che
avanza verso la meta. Il suo dinamismo è dato dalle varie azioni che
intraprendiamo per raggiungere la meta. Perciò, trattandosi di azioni,
possiamo misurare o verificare se progrediamo o no verso la meta.
Per la medesima ragione, quando l'azione eseguita non ottiene i risultati che
si cercano, allora la possiamo cambiare e cambiare ancora, finché non
scopriamo l'azione o il mezzo che ci porti fino alla meta che vogliamo
raggiungere.
Il processo dinamico di un piano di azione comporta quattro passi
fondamentali:

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- meta, - azione, - acutezza, - flessibilità
Ci troviamo di fronte a un processo biologico e naturale che opera in tutti i
viventi.
Nel caso degli uomini è più evidente. Nel corso della giornata usiamo questi
quattro passi: meta, azione, acutezza, flessibilità. Adoperiamo
continuamente questo insieme di passi che interagiscono tra di loro. Se, per
esempio, hai bisogno di mangiare, la tua meta sarà quella di saziare la tua
fame. L’azione, ovviamente, sarà quella di ingerire gli alimenti che vuoi
mangiare. Mediante l'acutezza, poi, verificherai se hai raggiunto o no la tua
meta, cioè, se ti senti soddisfatto.
Se dovessi scoprire che c'è ancora un vuoto nel tuo stomaco, userai allora la
tua flessibilità: operi mediante l'azione di cercare qualche altra cosa da
mangiare. Quando avrai finalmente conseguito la meta, quando cioè ti
sentirai soddisfatto, potrai uscire da questo circolo di azione perché hai
saziato la tua fame.
Le persone dal comportamento eccellente sono capaci di seguire questi
quattro punti in modo più cosciente. Non dico in modo del tutto cosciente.
Ma cosciente sì, almeno quanto alla meta e all'azione o alla messa in moto
dei mezzi.
È quanto abbiamo visto in Teresa con una esattezza che sorprende.
In ogni caso, una persona eccellente nel suo comportamento dà
l'impressione che, prima di ogni azione importante, si domandi: - Che cosa
voglio realmente? Qual è la mia meta? - Quale azione o azioni devo
realizzare per raggiungerla.? - Come posso sapere se avanzo o no nel
conseguimento della mia meta? - Quali altre azioni potrei realizzare, se
quello che faccio non mi avvicina alla meta?
Non dico che Teresa si sia rivolte queste domande esplicitamente. Si limita
a rispondere ad esse in modo intuitivo e con una precisione eccezionale.
Ho già insistito sull’abilità che dimostra nel puntualizzare le sue mete e
concretizzare i mezzi o azioni che la possono condurre ad esse.
Vorrei ora sottolineare il realismo e l'efficacia con cui si lancia nell'azione
allo scopo di raggiungere le sue mete, utilizzando i mezzi che il Signore le
ha donato come talenti naturali.
Propongo subito una delle mete di Teresa: risulterà più evidente che ella
segue i quattro passi di un piano sistematico di azione.

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1°- META. Pace interiore. Abbiamo già considerato il biglietto della sua
professione, in cui con una chiarezza che non ci saremmo aspettati da una
giovane di diciassette anni, colloca la pace al centro della sua destinazione
emozionale: «Gesù, non ti chiedo che la pace».

2°. AZIONE: Costante ed efficace. Realizza azioni efficaci per conservare


la sua pace. Riguardo a questo, la sua vita ci offre diversi esempi.
Un giorno in cui Teresa aveva sopportato certe umiliazioni molto penose
da parte di alcune suore, spiega a sua sorella, suor Agnese, come riesce a
mantenersi in pace: «Poco fa, durante la mia lotta a causa di suor X,
guardavo con piacere le belle gazze che svolazzavano sul prato, e mi sentivo
cosi in pace come all’orazione...».

3°. ACUTEZZA: Criterio per misurare il proprio progresso verso la meta.


Teresa non ci dice in modo esplicito quale criterio usi interiormente per
verificare se avanza o no verso la meta. Tuttavia fa capire con molta
precisione di avere e di impiegare un metodo di controllo per sapere se si
allontana o si avvicina alla pace interiore. C'è un episodio della sua vita, che
lei stessa racconta presentandoci al vivo come impiega la sua acutezza.
Teresa porta a madre Maria di Gonzaga, che è ammalata, le chiavi della grata
che si apre per la comunione. Un'altra suora la vede mentre si avvicina alla
porta della cella della superiora.
Temendo che Teresa la svegli, le chiede le chiavi. Teresa rifiuta perché è lei
la sagrestana ed è suo il compito di consegnarle alla Madre.
Nello stesso tempo spiega alla consorella, «il più gentilmente possibile», che
non ha intenzione di svegliare l'ammalata. Quindi, insiste per entrare. La
suora afferra la maniglia e il rumore sveglia la superiora. « Allora, Madre,
tutto ricadde su di me. La povera sorella alla quale avevo fatto resistenza si
mise a declamare tutto un discorso, il cui succo era questo: "suor Teresa di
Gesù Bambino che ha fatto rumore! ... Mio Dio, com'è antipatica ....
eccetera".
Io, che provavo esattamente il contrario, avevo una gran voglia di
difendermi. Per fortuna, mi venne un'idea luminosa: mi dissi che senz'altro,
se incominciavo a giustificarmi, non avrei potuto mantenermi l'animo in
pace; sentivo anche di non avere abbastanza virtù per lasciarmi accusare
senza dire niente. La mia ultima ancora di salvezza era la fuga. Detto fatto:

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senza aprire bocca, lasciando che la sorella continuasse il suo discorso, che
somigliava alle imprecazioni di Camillo contro Roma...».
In questa narrazione, Teresa ci mostra la sua raffinata acutezza: « se
incominciavo a giustificarmi, non avrei potuto mantenere l'animo in pace ».
È evidente che ha nel suo cervello un criterio che le permette di discernere
se si sta avvicinando alla sua meta, che è la pace, o se se ne sta allontanando.
Sa misurare, in base a una sensazione interna che le serve da modello - come
il metro che usiamo per misurare - e mediante il pensiero, la distanza che la
separa dalla meta che si propone di raggiungere.

4. FLESSIBILITA: Abilità a cambiare i mezzi o le azioni. Nella citazione


precedente abbiamo un chiaro esempio della flessibilità di Teresa. Prima di
quel paragrafo, per introdurre l'episodio riportato, scrive: « Il mio mezzo
estremo per non essere vinta nei combattimento è la diserzione...».
Affermando che si tratta del suo mezzo estremo per non essere vinta nel
suo combattimento, fa capire che si tratta di una uscita eccezionale. E nello
stesso tempo, rivela la sua capacità di cambiare i mezzi utilizzati per arrivare
alla meta.
Effettivamente, con il suo stile di trionfatrice che la spinge a conquistare le
mete che si propone, Teresa continua la narrazione con un particolare che
rivela il suo senso di efficienza. Spiega ciò che le è successo dopo essere
andata via dalla cella della superiora senza aprire bocca: «Il cuore mi batteva
così forte, che mi fu impossibile andare lontano, e mi sedetti sulle scale per
godere in pace i frutti della mia vittoria. Quello, Madre, non era coraggio,
vero? Credo però che sia meglio non esporsi al combattimento, quando la
sconfitta è sicura ».
Chiudiamo il ciclo « meta-azione - acutezza - flessibilità », che garantisce un
comportamento efficiente, proprio con quest’esempio della flessibilità di
Teresa: essendo una donna realista e dotata di senso pratico, utilizza questo
piano sistematico di azione.
Usandolo, benché non del tutto deliberatamente, ottiene efficienza e
concretezza nel suo modo di comportarsi.

Efficienza nell’azione

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Le confessioni autobiografiche di Teresa di Lisieux rivelano che, con il suo
sviluppo umano, ha imparato a tollerare, unita con il Signore, alcune
imperfezioni personali.
Però, usando con larghezza il suo senso pratico, sa approfittare di esse come
mezzi efficaci per conservare il suo atteggiamento di umiltà e di piccolezza.
Tale comportamento rivela, nello stesso tempo, anche la sua efficienza
nell'azione. Effettivamente, impiegando le sue apparenti sconfitte come
mezzi per conseguire i suoi fini, Teresa dimostra la propria eccezionale
abilità per arrivare alle mete che si è proposte. Dimostra similmente tutto il
suo carattere di trionfatrice quando si propone di conquistare le mete che il
Signore stesso le presenta.
È allora che con piacere maggiore e con sicurezza parla di vittorie reali e
tangibili.
Abbiamo visto come lei stessa descrive gli effetti della grazia di Natale in
termini di successo costante: « Da quella notte benedetta non fui più vinta
in alcuna battaglia, anzi, camminai di vittoria in vittoria e incominciai, per
così dire, "una corsa da gigante"..».
Per avanzare « di vittoria in vittoria », Teresa deve avere qualche segreto,
che impiega, certo, in sintonia con la grazia del Signore che ella riconosce
costantemente nella sua vita.
Fra i diversi segreti di Teresa, scegliamo i seguenti:
1) Processo del cambiamento,
2) risorse per cambiare,
3) piccole azioni,
4) abilità costituite.

1 - Il processo del cambiamento costituisce una relazione tra un punto di


partenza e un punto di arrivo. Si cerca di arrivare a questo mediante una o
più risorse che servono come mezzo o veicolo. Secondo la Psicologia,
risulta in tal caso lo schema seguente:

--------- Stato desiderato


--------Risorse
-----------Risorse
------------Risorse
-----------Stato attuale

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Stato desiderato. In questo processo tutto comincia con l'avere ben chiaro
nella mente il fine o stato desiderato. Teresa parla più volte dei suoi desideri,
ma è dopo la grazia di Natale che diventa donna dai grandi desideri.
In sole tre pagine li ricorda nella loro diversità: « Non erano ancora le anime
dei sacerdoti che mi attiravano ma quelle dei grandi peccatori: bruciavo dal
desiderio di strapparli alle fiamme eterne... Allo scopo di eccitare il mio zelo,
il buon Dio mi mostrò che i miei desideri gli erano graditi».
«Ah, dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare le anime crebbe
ogni giorno! Mi sembrava di udire Gesù che mi diceva come alla Samaritana:
“Dammi da bere!». « Liberato dagli scrupoli della mia sensibilità eccessiva, il
mio spirito si sviluppò. Avevo sempre amato il grande, il bello, ma a quel
tempo fui presa da un estremo desiderio di sapere».
Stato attuale. Dopo aver ben determinato lo stato desiderato, è
indispensabile conoscere a che punto ci si trovi rispetto ad esso. Pertanto,
allo scopo di ottenere il cambiamento nel perseguire la meta o stato
desiderato, è fondamentale riconoscere e accettare la realtà o stato attuale.
Nella psicologia delle imprese si dice che il dinamismo tra lo stato desiderato
e lo stato attuale « incarna due movimenti subordinati. Il primo consiste nel
rendere sempre più chiaro ciò che è importante per noi.
Spesso nel considerare i problemi che si presentano lungo il nostro sentiero
occupiamo tanto tempo da dimenticare per quale motivo percorriamo
questo sentiero.
« Il secondo consiste nell'imparare di continuo a vedere con maggiore
chiarezza la realtà attuale.
Tutti abbiamo conosciuto persone impelagate in relazioni
controproducenti, che continuano ad impantanarsi perché insistono nel
fingere che tutto va bene ..; procedendo verso una destinazione desiderata,
è vitale sapere a che punto, ora, ci troviamo».
Teresa, sostenuta dal suo particolare realismo e dal suo grande amore per la
verità, ha il coraggio di apparire scortese, nonostante la sua finezza e
delicatezza di tratto.
Due mesi prima di morire, sua sorella suor Agnese le chiede di dire qualche
parola di cortesia e di edificazione al dottor de Cornière. Teresa risponde: «
Ah mia piccola Madre, non è il mio piccolo stile... Il sig. de Comière pensi
ciò che vorrà. Non amo che la semplicità. "Fingere" mi fa orrore...
Confermando quello che abbiamo appena detto, una carmelitana della sua
comunità, nel processo apostolico per la beatificazione ricorda quello che

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Teresa le disse in un'altra circostanza: « lo vi dico la verità. Aborritemi, se
volete, ma ve la dirò sempre fino alla morte».
Il suo amore alla verità si mostra luminoso come una stella quando,
rivolgendosi a Gesù, Verità eterna, dice: « Ma c'è davvero il puro amore nel
mio cuore?... 1 miei immensi desideri non sono forse un sogno, una follia?...
Ah, se è così, Gesù, illuminami: tu lo sai, io cerco la verità..».
Così, forte della verità che cerca, Teresa riconosce che il suo punto di
partenza è grigio e opaco: ipersensibilità nell'infanzia, insuccesso nelle
relazioni con le compagne di scuola, la sua strana malattia, crisi di scrupolo,
fobie che l'accompagnano fino alla morte.
Anche nel Carmelo, Teresa conserverà per sempre la coscienza della propria
fragilità.
Scrive a madre Maria di Gonzaga: « Lei lo sa, Madre: ho sempre desiderato
di essere una santa, ma ahimè, ho sempre constatato, quando mi sono
confrontata con i Santi, che tra loro e me c'è la stessa differenza che esiste
tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli e il granello di sabbia, oscuro,
calpestato dai piedi dei passanti.
Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: Il buon Dio non potrebbe ispirare
desideri irrealizzabili; quindi, nonostante la mia piccolezza, posso aspirare
alla santità.
Farmi diversa da quella che sono, più grande, mi è impossibile; mi devo
sopportare per quello che sono, con tutte le mie imperfezioni..».

2 - Risorse per il cambiamento. Tra le risorse usate da Teresa per


camminare verso il suo stato desiderato è opportuno ricordare non solo
quelle di tipo spirituale, ma anche le risorse umane.
Senza queste, nel caso nostro - uomini e donne che viviamo su questo
pianeta -, quelle sarebbero inutili.
Infine, fra le risorse spirituali di Teresa emergono, soprattutto, gli
atteggiamenti di fede, speranza e amore, che in lei si sintetizzano nell'aspetto
della fiducia e dell'amore.
A padre Rouland infatti scrive: « La mia via è una via tutta di fiducia e di
amore ».
Vive tali atteggiamenti nell'Eucaristia, nell’orazione, nella pratica della
presenza di Dio, nelle relazioni cordiali con le sue consorelle nella comunità.
Trascrivo, ora, la conclusione del suo ultimo manoscritto; potremo così
sentire l'impulso che Teresa vuole trasmetterci verso quella risorsa che è alla

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portata di tutti gli uomini: la fiducia di figli nel Padre nostro del cielo e nel
suo Figlio, Gesù Cristo:
«Appena getto lo sguardo sul santo Vangelo, subito respiro i profumi della
vita di Gesù e so da che parte correre...
Non è al primo posto, ma all'ultimo che mi slancio; invece di farmi avanti
con il fariseo, ripeto, piena di fiducia, l'umile preghiera del pubblicano, ma
soprattutto imito il comportamento della Maddalena, la sua audacia
stupefacente, o meglio, amorosa, che affascina il cuore di Gesù, seduce il
mio.
« Si, lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono
commettere, andrei, col cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le
braccia di Gesù, perché so quanto ami il figlio prodigo che ritorna a Lui.
« Non è perché il buon Dio, nella sua misericordia proveniente, ha
preservato la mia anima dal peccato mortale, che io mi innalzo a Lui con la
fiducia e l'amore ».
Teresa dà a queste risorse l'immagine della piccola via, conosciuta meglio
con il nome di vía di infanzia spirituale.
Per questa via avanza Teresa, unita con Gesù, verso l'unione con Dio,
riconoscendo, umilmente, la propria imperfezione, riponendo tutta la
propria fiducia nella misericordia di Dio, da cui spera la grazia di un amore
illimitato per Gesù e per il prossimo, usufruendo di tutte le sue risorse
personali, soprattutto della sua intelligenza e della sua libertà.

3 - Piccole azioni. Teresa, seguendo la piccola via che ha scelto, cerca di


avanzare verso la realizzazione del suo stato desiderato per mezzo di piccole
azioni.
In questo senso, Teresa sa amalgamare le mete elevate dei suoi desideri
immensi con la piccolezza dei passi concreti che muove verso di esse.
In psicologia è risaputo che il cambiamento e lo sviluppo umani richiedono
esperienza e, quindi, la coscienza della capacità e dell'efficienza personali.
Abbiamo bisogno di sapere per esperienza che, sì, possiamo fare una
determinata cosa.
Allora, proprio le piccole azioni, suggerite esemplarmente da Teresa,
essendo alla portata delle nostre possibilità, generano il sentimento di
capacità e di efficienza.
Teresa di Lisieux, fin da piccola, pur essendo diventata una bambina chiusa
e ipersensibile, acquista il senso dell'efficienza mediante l'esercizio di piccoli

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atti virtuosi: « Le mie mortificazioni consistevano nello spezzare la mia
volontà, sempre pronta ad imporsi; nel trattenere una battuta di risposta; nel
prestare piccoli servizi senza farli valere; nel non appoggiare la schiena
quando ero seduta, eccetera, eccetera...».
Anche al Carmelo, Teresa insiste sulla stessa strada, identificandola anzi con
la sua piccola via. La percorre, in pratica, per mezzo di piccole azioni.
Quando fa il proposito di vivere l'amore, si riconosce come un bambino
piccolo. Perciò si domanda: « Come testimonierà il suo amore, dal momento
che l'amore si prova con le opere? Ebbene, il piccolo bambino getterà fiori,
impregnerà con i suoi profumi il trono regale, canterà con la sua voce
argentina il cantico dell'amore..».
Quindi, concretizza subito quali sono i fiori che lei, come una bambina, può
gettare ai piedi del Signore: « Si, mio Amato, ecco come si consumerà la mia
vita... Non ho altro mezzo per provarti il mio amore che gettare fiori, cioè
non lasciar sfuggire nessun piccolo sacrificio, nessuno sguardo, nessuna
parola, approfittare di tutte le cose più piccole e farle per amore...».

4 Abilità costituite. Teresa conferma la psicologia contemporanea con un


altro aspetto della sua vita: l'acquisizione delle abilità. Attualmente, le abilità
sono considerate fra i pilastri fondamentali della educazione.
Si dice, anzi, che l'apprendimento, nella scuola o all'università o nel lavoro
o nella vita, deve puntare ad acquisire abilità: « In questo contesto,
“apprendimento” non significa essere più informati, ma sviluppare
l'attitudine a produrre i risultati che desideriamo ». Se guardiamo bene, il
concetto moderno di abilità corrisponde a quello che, nell'ambito morale e
spirituale, conosciamo come « virtù ».
L’abilità o virtù sviluppa la capacità reale o attitudine a comportarci secondo
le nostre scelte e decisioni.
Già san Giovanni della Croce aveva notato la necessità di una tale attitudine
quando, riferendosi all'importanza di una effettiva rinuncia a qualsiasi
attaccamento o imperfezione volontaria, si augura che la persona « abbia
potere e libertà per poterlo fare».
Nella psicologia contemporanea, abilità significa esattamente quello che dice
il Santo carmelitano: avere potere e libertà per poter fare ciò che realmente
ci siamo proposti di ottenere.
Teresa di Lisieux ci insegna la risorsa naturale più adatta a sviluppare una
abilità: la piccola azione ripetuta.

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Riferendosi allo sforzo che lei e sua sorella Celina facevano al tempo della
loro adolescenza per acquisire le abilità che desideravano, scrive: « La pratica
della virtù ci diventò dolce e naturale. All'inizio, il mio viso tradiva spesso la
lotta, ma a poco a poco questa impressione scomparve e la rinuncia mi
divenne facile, fin dal primo istante».
Quando un determinato comportamento diventa « facile, fin dal primo
istante» significa che nella propria personalità si è ormai costituita una vera
abilità.
In quest'ultimo esempio, si tratta dell'abilità alla rinunzia.dei propri gusti con
lo scopo di seguire «le orme di Gesù » e far piacere così a Dio Padre.

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VI - MISSIONE PERSONALE: L’ANIMA NELLO SVILUPPO
UMANO

Teresa sintonizza ancora con la psicologia dei nostri tempi in un altro


aspetto essenziale per lo sviluppo umano: la ricerca e la scoperta della
missione personale.
Sarà difficile che la psicologia trovi un'altra persona come Teresa di Lisieux
in cui, già un secolo prima, si verifichi con tanta chiarezza e altrettanta
esattezza il processo di cercare e trovare la propria missione.
Ho suddiviso il materiale pertinente a quest’argomento nei punti seguenti:
- Teresa alla ricerca della sua missione personale,
- Scoperta della sua missione personale,
- Teresa realizza la sua missione personale.

Teresa alla ricerca della sua missione personale

Verso la fine della vita, Teresa comincia a sperimentare un sentimento


d’insoddisfazione. Sente che la sua vocazione non le basta. Desidera molto
più di quanto questa le può offrire. Dichiara lei stessa di non sentirsi
soddisfatta: « Essere tua sposa, Gesù, essere carmelitana, essere grazie
all’unione con te madre di anime, dovrebbe bastarmi... Non è così! ... Certo,
questi tre privilegi sono la mia vocazione: carmelitana, sposa e madre.
« Ma io sento in me altre vocazioni: mi sento la vocazione di guerriero, di
sacerdote, di apostolo, di dottore, di martire; insomma, sento il bisogno, il
desiderio di compiere per te, Gesù, tutte le opere più eroiche...
« Sento nella mia anima il coraggio di un crociato, di uno zuavo pontificio.
Vorrei morire su un campo di battaglia per la difesa della Chiesa..».
La prima cosa che salta agli occhi in questo testo, alla luce
dell’insoddisfazione di Teresa, è la differenza tra vocazione e missione
personale.
Certo, in questa circostanza Teresa non fa una distinzione esplicita fra le
due realtà. O meglio, si, distingue esplicitamente ciò che è la vocazione e ciò
che significa la missione, ma senza usare parole distinte: usa in entrambi i
casi il termine « vocazione ».

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Più tardi, in altri scritti, impiegherà la parola « missione » per riferirsi al
compito speciale che spetta a lei compiere nel mondo all'interno della sua
stessa vocazione.
Notiamo che Teresa allude con perfetta chiarezza alla sua vocazione:
carmelitana, sposa, madre.
Stima e apprezza questa vocazione che presenta tre volti distinti, che
considera come un privilegio: « Certo, questi tre privilegi sono l'essenza della
mia vocazione: carmelitana, sposa e madre ».
Questi tre privilegi dovrebbero bastarle, ma non così: sente altri desideri,
altre vocazioni, aspira a qualche cosa di più.
Aspira, in altre parole, a quella che oggi chiamiamo missione personale.
Sia la teologia che la psicologia contemporanee si occupano di missione
personale.
Per quello che riguarda Teresa di Lisieux, si è intuito il senso della missione
personale che palpita in lei. Più che di un battito ritmico e regolare, come
quello del cuore, si tratta di uno strappo interiore, di intensità variabile,
prodotto dall'attrattiva irresistibile della sua missione.
In un primo momento, non sa di che cosa si tratti. Oltre alla propria, sente
altre vocazioni. Come un'ulteriore chiamata. Come se Dio facesse risuonare
la sua voce nel cuore di Teresa.
Questa chiamata speciale, d'altra parte, è in relazione diretta con il suo
essere, con la sua identità, con la sua persona.
Oggi, tanto la teologia quanto la psicologia concordano nell'osservare che il
compimento della propria missione è ciò che realizza la persona.
Un teologo spagnolo scrive a questo proposito: «Calderón de la Barca in ci
ha fatto riscoprire questo concetto di "missione" della persona: essere
persona è avere una missione e svolgere un compito, così che la persona
fonda la missione e la missione realizza la persona.
Il nostro essere è commisurato col nostro fare e la nostra persona è forgiata
alla misura della nostra missione.
Da questo deriva che scopre la sua persona solo colui che scopre la sua
missione. E realizza la sua autonomia nel mondo solo chi porta a termine
l'incarico che ha ricevuto.
Dio ha affidato la realizzazione del suo progetto nel mondo all'uomo,
confida in lui e da lui aspetta la sua realizzazione».

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Questo significa che Teresa, come uno qualsiasi di noi, ha bisogno di trovare
la sua missione personale non solo per servire il mondo, la Chiesa, gli
uomini, ma anche per realizzare se stessa come persona e come santa.
Da questa duplice necessità, ma soprattutto dalla chiamata che le rivolge
l'Autore della sua missione, sorgono i suoi «desideri audaci» di qualche cosa
che è al di là della sua vocazione di carmelitana, di sposa di Gesù e madre di
anime.
Anche la psicologia, soprattutto la Psicologia, collega missione personale e
realizzazione personale. Secondo la Psicologia, la missione scaturisce
direttamente dall’identità.
Nella misura in cui realizza la propria missione, ottiene nello stesso tempo
che la sua identità fiorisca e si realizzi come tale. Ne consegue la proposta
da parte della Psicologia di mezzi pratici per scoprire la missione personale.
Possiamo comprendere meglio, allora, l'importanza dell’autostima nella vita
umana. Sia dalla prospettiva umana sia da quella spirituale, l'autostima, che
ci spinge a voler «essere quello che Lui (Dio) vuole che noi siamo, ci colloca
sulla via dell'essere, della nostra identità, per cercare proprio lì le radici della
nostra missione personale.
Teresa, per cercare la propria missione, sceglie una via più spirituale: la
Parola di Dio nella Scrittura: « Durante l'orazione i miei desideri mi facevano
soffrire un vero e proprio martirio. Aprii le epistole di san Paolo per cercare
qualche risposta. Mi caddero sotto gli occhi i capitoli 12 e 13 della prima
lettera ai Corinzi... « Nel primo lessi che non tutti possono essere apostoli,
profeti, dottori, eccetera ... ; che la Chiesa è composta da diverse membra e
che l'occhio non potrebbe essere al tempo stesso la mano.
« La risposta era chiara ma non appagava i miei desideri e non mi dava la
pace ».

Scoperta della sua missione personale

Teresa non si può arrestare, ormai. L'impeto della sua ricerca è quasi
irresistibile, tanto che decide di continuare a cercare nella stessa Parola di
Dio.
Questa è una lezione fondamentale per chiunque di noi si decida ad
apprendere da lei uno sviluppo umano, che proceda unicamente alla crescita
spirituale. Dobbiamo cercare, indagare, interrogare ... possiamo soprattutto

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interrogare direttamente l'Autore della missione personale di ciascun essere
umano: Dio Padre.
A Dio possiamo domandare, con perseveranza e viva speranza: « Padre, che
cosa vuoi, tu, da me? ».
La teologia, infatti, ci ricorda che c'è una corrispondenza esatta tra la
speranza che Dio ha posto in ogni persona, e la missione che questa deve
realizzare nel mondo, per potersi realizzare come persona: « Possiamo
concludere dicendo che Dio spera dall'uomo, poiché gli ha consegnato una
missione e gli ha dato fiducia. E gliel'ha data in tal modo da rendergli
possibile la sua infinita signoria come frutto della libertà umana,
valorizzando la libertà dell'uomo.
Il mondo, così, è il risultato di un progetto portato a termine unicamente
dall'uomo e da Dio. In un certo modo Dio provvede a tutto e in un altro
modo, non meno sicuro, a tutto deve provvedere l'uomo. Nell'attuale
disegno di Dio per il mondo, non bastano né Dio senza l'uomo né l'uomo
senza Dio».
Teresa è un chiarissimo esempio di questa collaborazione tra Dio e l'uomo.
E quando si mette a cercare la sua missione personale, la cerca direttamente
nella Parola di Dio. E come se domandasse al Signore: « Padre, che cosa
vuoi da me? ». Proprio nella Parola di Dio trova la risposta del Padre.
Senza darsi per vinta e spinta dalla sua capacità di investigatrice, prosegue la
propria indagine nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi. «Senza
scoraggiarmi continuai la lettura e questa frase mi rincuorò: "Cercate con
ardore i doni più perfetti, ma io vi mostrerò una via ancora più eccellente".
E l'apostolo spiega come tutti i doni più perfetti non sono niente senza
l'Amore... Che la Carità è la via eccellente che conduce sicuramente a Dio.
« Finalmente avevo trovato il riposo! ... Considerando il corpo mistico della
Chiesa, non mi ero riconosciuta in nessuno dei membri descritti da san
Paolo: o meglio, volevo riconoscermi in tutti!...
La Carità mi diede la chiave della mia vocazione. Capii che se la Chiesa aveva
un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di
tutti non le mancava: capii che la Chiesa aveva un cuore e che questo cuore
era acceso d'Amore.
«Capii che solo l'Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l'Amore
si dovesse spegnere, gli apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i
martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue... Capii che l'Amore

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racchiudeva tutte le vocazioni, che l'Amore era tutto, che abbracciava tutti i
tempi e tutti i luoghi... Che l'Amore, insomma, è Eterno!...
«Allora, nell'eccesso della mia gioia delirante, ho esclamato: O Gesù, mio
Amore.... la mia vocazione l'ho trovata finalmente! La mia vocazione è
l'Amore! ... «SI, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto, o mio
Dio, sei tu che me l'hai dato: nel cuore della Chiesa, mia Madre, sarò
l'Amore... Così sarò tutto.... così il mio sogno sarà realizzato!! «Perché
parlare di gioia delirante? No, quest’espressione non è giusta. Si tratta
piuttosto della pace calma e serena del navigante che intravede il faro che
deve condurlo al porto.
O Faro luminoso dell'amore, so come arrivare fino a te, ho scoperto il
segreto per impadronirmi della tua fiamma!».
Là dove Teresa scrive: «O Gesù, mio amore.... la mia vocazione l'ho trovata
finalmente! La mia vocazione è l'Amore!..» potremmo sostituire la parola
«missione» con la parola «vocazione». La sostituzione mi sembra giustificata
alla luce dell'attuale definizione del concetto di missione. La vocazione di
Teresa di Lisieux è di essere carmelitana, sposa del Signore e madre di anime.
All'interno di questo triplice profilo della sua vocazione c'è un nucleo più
profondo e più dinamico, la sua missione: «Nel cuore della Chiesa, mia
Madre, sarò l'Amore ».
Ciò è altrettanto valido per ciascuno di noi: al centro della nostra vocazione
esiste un nucleo vivo e forte, la missione personale. La madre di famiglia è
chiamata a vivere la sua vocazione di sposa e di madre in modo unico e
originale. Il medico deve essere medico in un modo unico e irripetibile. Il
meccanico, l'agricoltore, il netturbino, allo stesso modo del presidente della
repubblica, del governatore, dell'impresario, del vescovo e di ciascun uomo
hanno ricevuto dal Creatore una missione personale. Ciò significa che
ognuno deve cercare la propria missione personale, così da poter realizzare
il proprio compito nella vita, cioè la propria vocazione, con quell’originalità
che gli permette di collaborare con Dio alla costruzione di questo mondo.

Adempimento della missione personale

Una volta che ha scoperto la sua missione personale, Teresa s’impegna a


realizzarla con tutta la forza del suo cuore innamorato. Ama Gesù, ama Dio
Padre, ama le sue consorelle, ama i suoi nemici, ama il suo proprio io, ama
il mondo; in definitiva, nel cuore della Chiesa ella è l'Amore.

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« Si, mio Amato, ecco come si consumerà la mia vita!... Non ho altro mezzo
per provarti il mio amore che gettare fiori, cioè non lasciar sfuggire nessun
piccolo sacrificio, nessuno sguardo, nessuna parola, approfittare di tutte le
cose più piccole e farle per amore!...”, « Voglio soffrire per amore e anche
gioire per amore: così getterò fiori davanti al tuo trono; non ne troverò uno
senza spogliarlo per te!».
Qualche mese più tardi, nel 1897, l'anno della sua morte, scopre che per
compiere la propria missione non occorre affannarsi né angosciarsi, ma
lasciarsi portare dal torrente dell'amore divino: « Alle anime semplici non
servono mezzi complicati: poiché io sono fra queste, un mattino, durante il
ringraziamento, Gesù mi ha dato un mezzo semplice per compiere la mia
missione. Mi ha fatto capire questa parola dei Cantici: "Attirami, noi
correremo all'effluvio dei tuoi profumi.
«O Gesù!, dunque non è nemmeno necessario dire: Attirando me, attira le
anime che amo. Questa semplice parola "Attirami", basta.
« Signore, lo capisco. Quando un'anima si è lasciata avvincere dall'odore
inebriante dei tuoi profumi, non potrebbe correre da sola, tutte le anime che
ama vengono trascinate dietro di lei: e questo avviene senza costrizioni,
senza sforzo, è una conseguenza naturale della sua attrazione verso di te.
Come un torrente che si getta impetuoso nell'oceano trascina dietro di sé
tutto ciò che ha incontrato al suo passaggio, così, o mio Gesù, l'anima che
s’immerge nell'oceano senza sponde del tuo amore attira con sé tutti i tesori
che possiede...».
Queste affermazioni fanno intuire come Teresa vada sempre più
approfondendo il compito particolare che Dio le ha affidato. Non è tanto il
suo amore che fa ardere il cuore della Chiesa, ma l'amore di colui che è
Amore. Adottando questa prospettiva, Teresa arriva ad intuire anche
l'estensione della sua missione personale.
C'è chi osserva che veramente Teresa può servire da modello per i cristiani,
anzi, per i credenti di tutte le religioni.
« La sua esistenza ha un valore esemplare per la Chiesa in quanto lo Spirito
santo s’impossessò di lei (Teresa) e se n’è servito per dimostrare qualche
cosa alla Chiesa, per aprire un paio di prospettive nuove circa il Vangelo ».
Teresa conferma così quello che la teologia contemporanea ci ricorda: la
persona fonda la missione e la missione realizza la persona. Teresa sa che la
sua dottrina è valida per i credenti per aver lei stessa percorso la piccola via
che propone.

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D'altra parte, ampliando man mano l'orizzonte della sua missione, Teresa
arriva a intuizioni geniali e ricche di originalità.
Prima di morire immagina un cielo alla portata della sua missione personale:
« Conto proprio di non restare inattiva in Cielo: il mio desiderio è di lavorare
ancora per la Chiesa e per le anime. Lo chiedo al buon Dio e sono certa che
mi esaudirà. Gli Angeli non si occupano forse continuamente di noi, senza
mai smettere di contemplare il Volto divino, di perdersi nell'oceano senza
sponde dell'Amore? Perché Gesù non mi dovrebbe permettere di imitarli?
».
Teresa scrive queste parole poche settimane prima di morire. Non dubita
che la sua fine sia vicina. Poco prima di questo brano, nella stessa lettera
diretta a padre Roulland, afferma: « Fra poco andrò a sedere al banchetto
celeste: sto per dissetarmi alle acque della vita eterna! Quando riceverà
questa lettera, senza dubbio avrò già lasciato la terra».
Ma non vuole restarsene seduta in Cielo. Programma di continuare la sua
missione sulla terra e contemplare, nello stesso tempo, il volto di Dio,
inabissandosi nell'infinito oceano dell'Amore.

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VII - TERESA NELLA FUCINA DELLA STORIA

Nonostante la sua piccolezza, Teresa è diventata una delle figure più


notevoli del nostro tempo e il suo influsso, benché sia morta nel 1897, è
ancora forte nel secolo XX.
Oggi, agli inizi del Terzo millennio, ella ci accompagna e, di continuo, ci si
avvicina per mostrarci la via.
Con spirito di leader, Teresa c’indica l'orizzonte del futuro: con gesto sicuro,
c’indica qual è lo strumento migliore per forgiare quella storia che l'uomo
merita e che Dio ha voluto fin dall'eternità.
Divido in due parti le riflessioni su quest'ultimo argomento che tratterò
brevemente:

Teresa forgiatrice di storia,


La speranza: motore della storia.

Teresa forgiatrice di storia

Sperimentando soprattutto il dinamismo propulsore della sua missione,


Teresa vive rivolta al futuro.
Come san Paolo, può affermare: « Una cosa faccio: dimentico del passato,
mi lancio verso ciò che ho dinanzi, correndo verso la meta, il premio al quale
Dio mi chiama dall'alto in Cristo Gesù... Quanto al resto, dal punto in cui
sono giunto, continuo nella stessa direzione» (Fil. 3,13 -14.16).
Anche Teresa, nella sua missione, ha fissato lo sguardo alla meta, a Cristo,
al bene e alla salvezza delle persone concrete. Allo stesso modo di Paolo, ha
sviluppato una speciale sensibilità per il futuro. Nonostante la sua bella
memoria, che le permette di ricordare il passato con finezza di particolari,
ella vive in dipendenza del futuro.
Senza alcun dubbio utilizza il passato per riconoscere la sua piccolezza e per
« cominciare a cantare quello che devo ripetere in eterno: "le Misericordie
del Signore"».
La giovane carmelitana francese ha intuito non solo che l'essere umano è
orientato verso il futuro, ma anche che il futuro costituisce il terreno su cui
può costruire la storia. Possiamo qui ricordare il processo del cambiamento
con la sua tensione fra lo stato attuale e lo stato desiderato. Tensione che si
risolve usando, come ponte o veicolo verso il futuro, dove ci aspetta la

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realizzazione dei nostri desideri, le innumerevoli risorse che Dio pone nelle
mani di ciascuno, gruppo o istituzione, e, soprattutto, nelle mani
dell'umanità e della Chiesa.
In questa, certamente, è Dio stesso che ci si offre come la nostra migliore
risorsa.
Nell'ambito di questo processo di cambiamento, lo stato attuale si muove
incessantemente verso il futuro. Per poter prolungare la sua esistenza, ha
bisogno dello spazio vergine e libero del futuro. Eppure, vive sotto la
costante minaccia delle molteplici possibilità con le quali il futuro ci viene
incontro. Possiamo accogliere in qualsiasi momento qualcuna di queste
numerose possibilità del futuro e, in questo stesso istante, lo stato attuale
sarà un altro, sarà già cambiato.
Abbiamo visto, per esempio, che in un certo momento il presente di Teresa,
il suo stato attuale, è d’insoddisfazione nei confronti della sua triplice
vocazione. Tuttavia, avverte nel futuro la presenza di varie possibilità: essere
guerriero, sacerdote, apostolo, dottore, martire... Poi, quando scopre la sua
missione personale, le si fa incontro una possibilità nuova, che comprende
l'essenza delle precedenti.
Opta per questa e la va realizzando nel territorio del futuro. In questo senso,
non c'è dubbio che sul sentiero della vita, che comprende passato – presente
- futuro, il più vivo, reale e aperto è il futuro.
Il passato è già passato. Il presente sta passando per diventare passato,
nonostante che usufruisca dei secondi più immediati del futuro per
prolungare la sua esistenza.
Se stai assaporando un frutto, un crepuscolo di fuoco, la celebrazione
dell'Eucaristia, l'incontro con un amico, il tuo stato attuale non tarderà ad
essere vittima della fugacità della vita, per trasformarsi irrimediabilmente in
passato. Viceversa, il futuro sta sempre di fronte come sorgente traboccante
di possibilità. Tra queste, una consiste nell'offrire lo spazio necessario
perché qualcuno ricordi il passato. Se tu decidessi di raccontarmi le
esperienze vissute nell'ultimo anno del millennio passato, dovresti servirti
dei terreni del futuro, utilizzando i prossimi minuti per narrarmi quello che
hai vissuto.
La Chiesa contemporanea, cosciente della « costituzione futurista »
dell'uomo, incoraggia i cristiani a diventare forgiatori di storia. Nel
Documento di Puebla, sotto il titolo: La Chiesa, scuola di forgiatori di storia,
i vescovi latinoamericani affermano che la Chiesa «nel modo più urgente,

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dovrebbe essere la scuola in cui si educhino uomini capaci di fare storia, per
spingere efficacemente con Cristo la storia dei nostri popoli verso il Regno
».
Quando Teresa dichiara: « Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla
terra», rivela il suo desiderio di promuovere il bene sulla terra. Sa che
soffriamo molte pene, spesso prodotte solamente dall'uomo.
Certo, esistono catastrofi naturali come i terremoti, le inondazioni, le siccità,
eccetera, ma è sicuro che i mali che maggiormente affliggono l'umanità non
sono solo opera del Principe del male ma anche del nostro peccato
personale.
Ricordiamo quello che dice il Documento di Puebla circa i volti sofferenti
dell'uomo: -Volti di bambini, colpiti dalla povertà ancora prima di nascere...
- Volti di giovani, disorientati perché non trovano il loro posto nella
società... - Volti di indigeni, frequentemente di afroamericani, i quali,
vivendo emarginati e in condizioni inumane, possono essere considerati i
più poveri fra i poveri. -Volti di contadini, che vengono confinati come
gruppo sociale... -Volti di operai, spesso retribuiti male e nella difficoltà di
organizzarsi e difendere i loro diritti. - Volti di emarginati e di accatastati
urbani... - Volti di anziani, ogni giorno più numerosi, frequentemente
emarginati dalla società...
Anche se i « volti » riuniti in questo quadro appartengono alla società
latinoamericana, è possibile incontrarli anche negli altri continenti, perfino
nei paesi ricchi dell'America del Nord, dell'Europa, dell'Asia, dell'Oceania,
dell'Africa.
Teresa di Lisieux ha ragione perciò quando, appena due mesi prima di
morire, sogna di passare il suo Cielo sulla terra. Non soltanto per compiere
la sua missione di far amare Dio e offrire la sua piccola via, ma anche per
procurare quel bene che trasforma e porta il sorriso su questi volti segnati
dal dolore e dalla sofferenza: « Sento che sto per entrare nel riposo... Ma
sento soprattutto che la mia missione sta per cominciare: la mia missione di
far amare il buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola via alle anime.
Se il buon Dio esaudisce i miei desideri, il mio Cielo trascorrerà sulla terra
sino alla fine del mondo. SI, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla
terra.
Adottando tale prospettiva di fronte al futuro, senza che lo dica, Teresa
diventa lei stessa forgiatrice di storia. S’impegna a costruire un futuro
migliore.

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Vuole unire i suoi sforzi con la provvidenza del Padre e con gli sforzi di
quanti ancora viviamo su questa terra, per forgiare « quel mondo del quale
tutti vogliamo far parte».

La speranza: motore della storia

Teresa si costituisce forgiatrice di storia non soltanto perché vuole realizzare


una missione a beneficio dei credenti e dell'umanità intera, ma anche perché
è un modello nella pratica della speranza. Nel 1997, in occasione del primo
centenario della morte di Teresa, il cardinale di Bruxelles, Godfried
Danneels, scrive: « Si agita dappertutto un vento di angoscia esistenziale. Si
accetta ormai comunemente che la sola crisi economica non può giustificare
tale situazione. Il vero problema si trova altrove: non sono cattivi i tempi, è
l'anima dell'uomo che è ammalata.
Come un cosmonauta chiuso nella sua capsula spaziale, l'uomo si afferra a
tutto ciò che gli si presenta per mantenere l'equilibrio. « Chi c’insegnerà la
speranza? Dove possiamo trovare un modello, qualcuno che ci abbia
preceduto nelle tenebre e nelle angosce della morte? Esiste in qualche luogo
un dottore della speranza?
«..Teresa è la santa della speranza... La speranza è essenziale: mai e in nessun
luogo è al margine della vita umana: la speranza è il suo muscolo cardiaco,
il miocardio. Se si ferma, sopraggiunge la morte ».
Per comprendere la profondità di queste parole del cardinale Danneels e,
quindi, l'importanza storica della speranza, è opportuno ricordare le
osservazioni fatte su quest’atteggiamento da un filosofo del nostro tempo.
Ernst Bloch, ebreo tedesco e marxista, ha il merito di avere scoperto nel
nostro secolo la fondamentale importanza della speranza. Senza
quest’atteggiamento non c'è cambiamento, né progresso, né storia. In linea
con la sua militanza marxista, Bloch afferma di non credere in Dio ma nella
materia.
Crede che questa si sia andata evolvendo fino a produrre il suo fiore più
bello: la ragione umana.
Quindi, la ragione è capace di tracciare, sull'orizzonte del futuro, i tratti
dell'utopia, del sogno che sembra impossibile. Immediatamente, utilizzando
le ricche potenzialità della materia e spinto dalla speranza, l'uomo si avvia
verso la realizzazione dell'utopia.

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Pensiamo a Leonardo da Vinci. Fra le altre cose, egli concepisce l'utopia di
lanciare l'uomo nello spazio, facendolo volare da un posto all'altro.
Così, avendo presenti le molte diverse utopie (medicina per i malati
incurabili, mezzi di trasporto più veloci, mezzi di comunicazione che ci
fanno testimoni degli avvenimenti storici, eccetera), l'uomo progredisce.
Certo, i sogni di per sé sono sterili. È necessario sperimentare la fiducia e
l'ottimismo della speranza.
Questa, infatti, viene definita come « uno stato d'animo in cui ci si presenta
come possibile quello che desideriamo». Alla luce di queste constatazioni, si
comprende come senza speranza non si verifichi cambiamento né
progresso, tanto meno storia.
Di conseguenza, la speranza si rivela effettivamente come il motore della
storia.
I teologi rimproverano a Bloch di aver tagliato la vena più profonda ed
autentica della speranza: Dio.
Comunque, pur essendo deplorevole questo radicale impoverimento della
speranza, dobbiamo riconoscere che Bloch ne ha recuperato il valore
essenziale. Il risultato finale di questa discussione è lo stesso: la speranza è
il motore della storia, per quanto riguarda l'apporto che l'uomo, con
l'adempimento della propria missione, deve offrire al piano eterno di Dio.
Ormai, nel presente disegno di Dio, non procedono né Dio senza l'uomo
né l'uomo senza Dio.
Possiamo comprendere così il contributo storico di Teresa di Lisieux.
Vivendo la speranza, incarnando un vero modello di tale atteggiamento,
Teresa potenzia il dinamismo della storia all'inizio del Terzo Millennio.
Come si vive o si pratica la speranza? Quali sono i passi concreti che
strutturano la pratica della speranza?
Nella pratica della speranza possiamo distinguere quattro passi principali:
- sognare,
- confidare,
- godere,
- attuare.

Sognare. Teresa si rivela eccellente nella pratica di questo primo passo della
speranza. È questo il momento di elaborare e nutrire desideri. Si tratta,
soprattutto, di desideri straordinari che possono delineare i tratti dell'utopia.

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Di fatto, mettendo insieme alcune delle espressioni manoscritte di Teresa,
non si può non confermare il suo talento esemplare nel sognare o formulare
desideri. In questa abilità ella si rivela come una maestra che c’insegna a
disegnare scenari futuri, a visualizzarci diversi, a praticare quello che Gesù
ci insegna: «Tutto quello che chiedete nella preghiera, abbiate fede di averlo
ottenuto e vi sarà accordato » (Mc 11,24).
Sono proprio della penna di Teresa le seguenti affermazioni: «Lui (Dio) solo
può colmare i miei immensi desideri». «i miei desideri, le mie speranze che
si dilatano all'infinito». “Desideri più grandi dell'universo». “Temerei di
essere schiacciata sotto il peso dei miei desideri audaci». « i miei immensi
desideri non sono forse un sogno, una follia..?» « Perché non riservi queste
immense aspirazioni alle grandi anime ..? »
« Il mio cuore sente in sé tutte le aspirazioni dell'Aquila ». Desideri infiniti.
Teresa adopera proprio l'espressione « desideri infiniti ».
Nel suo Atto di offerta all'amore misericordioso (9 giugno 1895), Teresa
aveva scritto: « Sento nel mio cuore desideri infiniti..».
Secondo il desiderio di Teresa, madre Agnese fece controllare da un teologo
il testo. Dopo averlo esaminato, padre Armand Lemonnier fece cambiare
l'espressione « desideri infiniti » in « desideri immensi».
Teresa obbedì benché avesse già parlato di desideri infiniti in altri scritti. Per
esempio, in una lettera alla sorella Celina (19-20 maggio 1890), scrive: «Ah,
Celina, i nostri desideri infiniti non sono dunque né sogni né chimere,
poiché Gesù ci ha dato lui stesso questo comandamento!..».

Confidare. Animando i nostri desideri o disegnando i nostri sogni, la


speranza ci incoraggia a sentire che, si, la loro realizzazione è possibile.
E motivo per cui la speranza suscita nel nostro cuore il sentimento di
fiducia. Sentimento che troviamo ancora, in Teresa, sorprendente ed
esemplare insieme.
Ricordiamo due testi che esprimono bene la sua fiducia in Dio: « Sento che
se, per assurdo, tu Gesù trovassi un'anima più debole, più piccola della mia,
ti compiaceresti di colmarla con favori anche più grandi, qualora si
abbandonasse con fiducia completa alla tua misericordia infinita». « La mia
via è una via tutta di fiducia e di amore... La perfezione mi appare facile;
vedo che basta riconoscere il proprio niente e abbandonarsi come un
bambino nelle braccia di Dio».

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Godere. La gioia e la contentezza sono un prodotto naturale e spontaneo
della speranza. San Paolo lo ha percepito con la sua abituale acutezza.
Raccomanda la carità fraterna scrivendo: « Siate lieti nella speranza» (Rm
12,12).
È questo che augura anche ai membri della comunità di Roma: «Il Dio della
speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella
speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13).
Anche Teresa, come accade a ogni essere umano, quando prevede i beni che
ha fiducia di ricevere da Dio nel futuro, si sente piena di gioia e di felicità:
“Il pensiero del cielo era tutta la mia felicità». “Quello che mi attira verso la
patria dei Cieli è la chiamata del Signore, è la speranza di amarlo finalmente
come l'ho tanto desiderato e il pensiero che potrò farlo amare da una
moltitudine di anime che lo benediranno eternamente». « Che felicità se
morissi subito! »

Attuare. Teresa, oltre alla gioia, frutto della fiducia, che le fa vedere i suoi
sogni come se già fossero realizzata, sente l'impulso o bisogno di attuare.
Proprio perché la speranza le fa sentire possibile ciò che desidera, si lancia
nell'azione.
Però, agisce perché si sente sostenuta dall’amore, dalla misericordia e
dall'amore di Dio e del Figlio suo Gesù: « i più bei pensieri sono un niente
senza le opere, (Gesù) sa bene che, pur non avendo il godimento della Fede,
mi sforzo almeno di compierne le opere». «So che Gesù non può desiderare
per noi sofferenze inutili e che Egli non mi ispirerebbe i desideri che sento,
se non volesse esaudirli». «Sento sempre la stessa audace fiducia di diventare
una grande Santa, perché non faccio affidamento sui miei meriti, visto che
non ne ho nessuno, ma spero in Colui che è la Virtù, la Santità stessa: è Lui
solo che accontentandosi dei miei deboli sforzi mi eleverà fino a Lui e,
coprendomi dei suoi meriti infiniti, mi farà "santa"».
Insegnandoci questi quattro passi della speranza, Teresa ci allena, in un certo
senso, a diventare, come lei, forgiatori di storia.
Sorprende che una giovane carmelitana che muore sconosciuta alle sue
stesse consorelle in un angolo della Francia, il 30 settembre 1897, sia stata
proclamata Patrona universale delle Missioni insieme con san Francesco
Saverio.
In tempi più recenti, il 19 ottobre 1997, Giovanni Paolo II ha proclamato
Teresa di Gesù Bambino Dottore della Chiesa universale. Attraverso questi

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avvenimenti, e soprattutto attraverso l'influsso spirituale che esercita su
migliaia di anime, Teresa dimostra la sua capacità di indicare nuove rotte per
la storia dell'umanità.
Teresa, che passa il suo Cielo qui sulla terra, vuole muovere il cuore di ogni
essere umano perché ami il Signore come lei lo ama e perché, unicamente
con Dio, diventi forgiatore di una storia più umana, giusta, pacifica e piena
di Dio a beneficio degli uomini e delle donne di tutti i tempi.

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CONCLUSIONE

Avvicinarsi a Teresa mediante i suoi scritti può rianimare la nostra speranza.


Forse lei ha intrapreso il suo processo di sviluppo umano partendo da
condizioni molto più precarie di quelle di molti fra noi.
Sappiamo bene come l'aver perduto la mamma all'età di quattro anni e
mezzo e, sui dieci anni, la sorella Paolina che svolgeva il compito di seconda
mamma, abbia rallentato notevolmente la sua crescita personale. Però,
nonostante le sue grandi limitazioni, intraprende il suo cammino spirituale
con grande passione ed entusiasmo.
Con uno sforzo generoso per accogliere la grazia del Signore, forse senza
proporselo coscientemente, riesce ad inserire la propria umanità in un
processo autentico e costante di crescita e di maturazione.
Seguendo questa via, sicuramente l'unica che conduce alle più alte vette dello
sviluppo umano, Teresa raggiunge un’interazione effettiva tra la sua natura
umana e la grazia: una grazia che Gesù le ha offerto in ogni momento della
sua vita, come fa, del resto, attualmente con ciascuno di noi. Perciò,
ammirando i frutti della collaborazione di Teresa con la grazia del Signore,
possiamo adottarla come esempio di sviluppo umano.
Effettivamente, Teresa ha molto da insegnarci sull'autostima, sul controllo
dei fattori determinanti la salute, l'arte del pensare, la libertà emozionale, il
comportamento eccellente, la ricerca e l'adempimento della missione
personale, e sulla pratica della speranza, per trasformare tutti noi in
forgiatori di storia.
Veramente ci troviamo dinanzi un programma di sviluppo umano scritto
dalla vita di questo giovane Dottore della Chiesa.
Fino a oggi, mi sembra difficile trovare un personaggio storico, un leader,
un genio o un santo che in eguale misura offra esempi circa la via dello
sviluppo umano proposta dalla Psicologia, l'ultima corrente della psicologia
che dimostri in maniera adeguata la validità delle sue tecniche.
Non senza motivo i promotori di questa nuova corrente psicologica
dichiarano che la Psicologia non è un'invenzione ma una scoperta.
Infatti, la Psicologia ha scoperto quello che grandi uomini o grandi donne
hanno fatto per essere eccellenti o per raggiungere le vette più alte dello
sviluppo umano.
Tutti siamo chiamati a questa meta elevata di pienezza umana, una pienezza
che, secondo l'esperienza del più giovane Dottore della Chiesa, si acquista

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accogliendo, esplicitamente o implicitamente, l'aiuto del Signore. Avendo
come alleato il Creatore, è più facile e sicuro riuscire a progredire verso le
vette dello sviluppo umano.
Effettivamente, Teresa ci stimola, con il suo esempio e con la sua dottrina,
ad avere uno sguardo fisso al culmine di « desideri immensi ».
Con occhi di aquila che la fede trapianta nel volto della nostra anima,
possiamo visualizzare i picchi senza fine delle « speranze che si dilatano
all'infinito».
Mi sembra che il compendio migliore di queste pagine sia l'atteggiamento di
speranza.
Proprio nella speranza è contenuta la sintesi migliore dell'esempio di Teresa
di Lisieux, in quanto modello di sviluppo umano. Quella speranza che ci fa
nutrire desideri immensi mentre suscita contemporaneamente fiducia e
gioia, per indurci ad agire con entusiasmo, ottimismo e creatività.
Questo tipo di speranza si dimostra fondamentale non solo per lo sviluppo
umano ma anche per la crescita delle comunità e delle istituzioni, in modo
da forgiare una storia più umana in questo nuovo millennio, soprattutto per
conseguire la pienezza spirituale mediante l'unione di amore con Gesù e con
tutti gli uomini, al calore della Tenerezza di Dio Padre, che è il suo Spirito.

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