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BERGSON.
1
PM, p. 142.
2
decide di lasciar cadere la questione a causa dirà delle sue scarse conoscenze
matematiche. E infatti non raccoglierà questo lavoro nella raccolta delle sue opere
complete. Quindi una situazione di imbarazzo.
In realtà l’imbarazzo non dipende dalle cantonate che B. può aver preso o
meno, bensì dal fatto che egli, nel voler fare chiarezza confrontandosi con uno
scienziato, quindi nel ridire quello che ha sempre detto, di fatto si esprime in modo
diverso, voglio dire che afferma cose che sembrano in contrasto con quanto detto
altrove.
1. Nel II cap. del Saggio, dopo aver definito la durata come molteplicità
qualitativa in successione, denuncia il presente come un elemento spaziale che,
una volta attribuito al tempo, finisce con l’inficiarne proprio la specificità.
L’idea della totalizzazione della durata nel presente, quasi fosse un piano sul
quale raccogliere dei punti omogenei, è proprio quanto viene escluso. Tempo
spazializzato: ritaglio un segmento della durata; lo suddivido in termini
omogenei, che si differenziano solo per la diversa posizione occupata; li
raccolgo in un unico spazio, reale o ideale. L’astrazione spazializzante divide,
ma solo per sommare, per raccogliere in una rap-presentazione, nel presente,
ossia in una visione sincronica e simultanea. È la mente di Dio che contiene in
un eterno presente la totalità della storia e dei tempi, e che nell’ottica
secolarizzata della modernità diventa la scrittura scientifica, la quale raffigura,
su un foglio di carta, la totalità dell’universo in un’immagine schematica2.
2. In MM l’istante è concepito come una contrazione della durata, che a sua volta
ha ancora un minimo di durata.
3. In IM e nell’EC, si parla apertamente di pluralità di durate e di comunicazione
tra durate. Insomma non si parla mai di un tempo unico ed universale.
2
DS, p. 55.
3
Tale affermazione veniva suffragata dai noti esempi dei due colpi di fulmine
che sono simultanei rispetto ad un osservatore sulla banchina di una stazione
ferroviaria, ma successivi rispetto ad un osservatore situato in un treno in corsa, o di
un segnale luminoso lanciato dal centro di una stanza in movimento. L’osservatore
posto all’interno della stanza osserverà che il segnale luminoso raggiunge
simultaneamente le pareti, che sono poste a uguale distanza dal centro di
propagazione. L’osservatore esterno, al contrario, osserverà che
Argomentazione di Bergson.
sperimentino la stessa temporalità6. Questo nella teoria di Einstein non accade, perché
i SC scelti volta per volta come termini di riferimento, vengono considerati come
immobili e non come in movimento. Un osservatore che si consideri immobile
percepirà quanto si verifica nel suo SC nella forma della simultaneità, cioè:
1. compresenza degli eventi;
2. possibilità di raccoglierli in un unico criterio di misurazione.
Questo stesso osservatore vivrà gli eventi dell’altro SC, supposto in movimento,
come successivi. Basta invertire le parti perché si verifichino esperienze analoghe. La
pluralità dei tempi è insomma un effetto prospettico, e B. fa il noto esempio del
pittore7.
Il fisico si colloca al di fuori di ciò che descrive: in un luogo immobile dal
quale abbracciare con lo sguardo un sistema in movimento. In questo contesto, solo il
fisico immobile è concepito come cosciente ed osservante, mentre l’altro è solo
osservato, cioè è immaginato. Io attribuisco all’uomo osservato una successione di
eventi, laddove egli vive una simultaneità. La teoria di E. confermerebbe la
concezione metafisica del tempo inteso come immagine mobile dell’eternità, perché è
a partire da un punto immobile che si concepisce il movimento. In questo caso il
movimento è un caso particolare della quiete, e la successione un caso particolare
della simultaneità.
Secondo passo. Affermazione del carattere assoluto del movimento, che
significa: se io mi affanno su per una scarpata, so di muovermi non perché
commisuro il mio corpo alla superficie immobile del terreno, ma perché faccio una
sfaticata! Il movimento assoluto non è in relazione ad un sistema di riferimento
immobile, ma è tutt’uno con l’esperienza vissuta di uno sforzo. Il moto assoluto è il
movimento così come viene avvertito da chi lo effettua. Da qui l’affermazione: «non si
può parlare di una realtà che dura senza introdurvi della coscienza» 8. Quindi ritorno al
vissuto: senza una coscienza che sperimenta niente tempo, ma solo simboli disseminati
sulla carta. Coscienzialismo di B?
6
DS, p. 84.
7
DS, pp. 74-75.
8
DS, p. 45.
5
Terzo punto. Indagine sulla natura del tempo e sulla genesi dell’idea di un
tempo unico ed universale. Il tempo inteso come molteplicità qualitativa viene
definito come uno scorrere ed un passaggio che bastano a se stessi:
Altrove B. dice:
Questa tesi stacca il tempo dal movimento inteso come una traslazione: il
divenire non è un viaggio nel quale c’è un punto di partenza, un percorso da seguire,
un traguardo. Questa è l’immagine spaziale del tempo. Il che è un modo per dire che
il tempo non passa, ma è piuttosto un continuo processo di alterazione qualitativa che
non va da nessuna parte. Deleuze approfondirà questo aspetto parlando piuttosto di
un processo di affezione, intendendo questa come il diffondersi di un movimento
espressivo su una superficie immobilizzata. La mobilità durevole coinciderebbe con
l’alterazione espressiva di un qualcosa che è immobile nel senso che non va da qui a
là. Da questo punto di vista dovremmo dire che nell’autentica durata c’è solo
simultaneità? Non è finita qui.
Come si forma l’immaginazione (perché immaginazione? Dove lo dice?) di un
tempo unico ed universale? (giacché è un’immaginazione, anche se non del tutto
9
DS, p. 40.
10
PM, p. 163.
6
fittizia). Si forma per analogia. Attribuisco alla realtà esterna la stessa mobilità che
sperimento nella mia coscienza.
11
DS, p. 42.
12
DS, p. 42.
13
DS, p. 42.
14
DS, p. 51.
7
Considerazioni.
15
DS, pp. 49-50.
8
momenti posso essere più preso dai miei pensieri, o più attento a quanto vedo
etc.
Al di là di questo non ci viene detto nulla. Resta da chiarire che cosa sia questa
corrispondenza tra stati d’animo e flussi. Che significa che «gli stati del nostro
mondo materiale sono contemporanei alla storia della nostra coscienza»16?
Jung, nella Sincronicità (1952), descriverà questo tipo di corrispondenza nei
termini di una filosofia dell’espressione.
In realtà, in altre opere ci sono dei luoghi in cui B. descrive questo tipo di
comunicazione. Tuttavia, non ce n’è neanche uno che faccia riferimento ad un tempo
unico, nonché a una forma qualsiasi di simultaneità.
Uno è il punto da cui siamo partiti, lo sforzo. B. dice che solitamente noi
guardiamo il movimento, ma non lo percepiamo17, perché in fondo non ci facciamo
caso, anche se ne parliamo. Ora, quando noi facciamo uno sforzo, avvertiamo
effettivamente un cambiamento in noi stessi e avvertiamo nello stesso tempo una
relazione tra interno ed esterno. C’è sforzo quando la continuità del mio movimento
viene in qualche modo rallentata, quando la temporalità che mi appartiene non è
pienamente confermata dal tempo del mondo.
delle cose che tiene sospeso a sé tutto il resto» 19. Lo specifico del tempo, che appunto
è evoluzione creatrice, è essenzialmente indeterminazione, che viene vissuta nel
ritardo e nell’esitazione. Qui si sperimenta l’impossibile totalizzazione del
dispiegamento temporale, il fatto che la durata non si raccoglie né si totalizza appunto
perché dura.
Il tempo è ciò che impedisce che tutto sia dato in un colpo solo. Ritarda,
o piuttosto è ritardo. Deve quindi essere elaborazione20.
Il tempo è questa esitazione stessa, o non è nulla21.
Se non c’è intervallo tra desiderio e realizzazione, tutto è istantaneo e non c’è
durata (e neanche desiderio). Se invece “ci vuole del tempo” io avverto, nell’attesa,
una durata interiore ed una durata delle cose. C’è corrispondenza tra una durata
interiore ed una esteriore solo a condizione che questi due tempi non coincidano, solo
a condizione che vi siano qualità e quantità di successione differenti. Si potrebbe poi
capovolgere l’esempio e dire che l’attesa non è l’estensione alle cose della durata
interiore, ma che è l’esitazione delle cose ad attivare in me qualcosa come uno stato
di attesa. C’è una mobilità di fondo che attiva contemporaneamente una durata delle
cose ed un tempo vissuto, ma li attiva come differenti.
Insomma, in tutti i luoghi in cui B. parla di una comunicazione etc., egli mostra
piuttosto una non-coincidenza di tempi: attesa, esitazione, ritardo etc.
Altrove:
Ancora:
24
EC, pp. 9-10.
25
IM, p. 77.
11
L’intuizione della nostra durata, lungi dal lasciarci sospesi nel vuoto
come farebbe la pura analisi, ci pone in contatto con tutta una continuità
di durate che dobbiamo cercar di seguire sia verso il basso che verso
l’altro26.
Conclusioni.
26
IM, p. 79.
12
4. Abbiamo visto che i flussi non entrano nella coscienza più di quanto la
coscienza non esca da se stessa. Il che vuol dire che vivo autenticamente una
durata ogni volta che sperimento tentennamento ed esitazione nelle cose, ogni
volta che i conti non tornano, che “non ci capisco niente”. Ma solo così io
constato nelle cose la stessa non-coincidenza, la stessa mobilità che c’è in me.
In altri termini, nel prolungarsi analogico nel mondo, la coscienza bergsoniana
vive un’esperienza di spaesamento: un frangersi e rifrangersi in cui non
succede nulla eppure qualcosa è già cambiato e non si torna più al punto di
partenza.
Il pensiero di B. anticipa quanto poi Freud definirà come esperienza
dell’Unheimlich, del perturbante, nella quale ciò che perturba è appunto l’Heimat, ciò
che vi è di familiare. Tema tutt’altro che assente nel pensiero di B. ed al quale egli ha
dedicato uno studio intitolato Il ricordo del presente e il falso riconoscimento (1908),
nel quale riprende lo schema dell’esperienza affrontato in MM. Ogni momento della
nostra esperienza è sottoposto alla ritmica di contrazione e distensione, dove:
Contrazione = percezione;
Distensione = ricordo.
Il ricordo non è percezione illanguidita, ma uno dei modi di effettuarsi della
durata. Percezione e ricordo sono irriducibili perché sono la stessa cosa: due qualità
differenti della durata. L’unità della durata – come sostenuto da Jankélévitch –
coesiste con la dualità delle direzioni.
Percezione e ricordo si producono insieme ma si biforcano. Dove si presentano
nella loro inseparabilità di unico momento dell’esperienza qualitativamente
differenziato, abbiamo l’esperienza dell’inserzione della durata (ritardo, anticipo,
esitazione etc.) nell’istante, l’esperienza paradossale e perturbante del ricordo del
presente (di questo presente). Allora viviamo come se recitassimo un copione e ci
vedessimo recitarlo. Il punto di maggiore vicinanza con il nucleo mobile delle cose e
di noi stessi è quello in cui la coscienza sperimenta nella maniera più drammatica
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