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a cura di
Alessandro Arienzo, Marco Castagna
Diogene Edizioni
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ISBN 978-88-6647-0xx-x
Mario Rusciano
Presentazione 7
Louis Begioni
Les emprunts à l’anglais dans la terminologie de la crise: comparaison entre la 25
langue française et la langue italienne
Marco Castagna
L’uomo della folla. Ovvero del terrore dell’utopia 33
Antonio Gentile
Oltre il rumore e il silenzio: lo spazio abitato della convivenza politica 47
Rocco Pititto
La compassione come fondamento etico della comunicazione 59
Simona Venezia
I paradossi della condivisione: etica ed ermeneutica della comunicazione 77
Marica Spalletta
Media digitali, “politica 2.0” e nuove forme della partecipazione: ha ancora senso
parlare di giornalismo? 91
Fabio Ciaramelli
La servitù volontaria come paradosso della modernità 103
Alessandro Arienzo
Stato, sovranità, democrazia: note per un lessico della crisi 125
Giovanni Semeraro
Crisi della partecipazione politica: ripensare la democrazia 139
Giulio Querques
La pervasività comunicativa della semiosfera economica 199
Zhang Xiaoyong
La Filosofia dell’Età della Crisi 209
«Oggi, chi apre un giornale si imbatte spesso nella parola ‘crisi’. Essa indica
insicurezza, sofferenza e incertezza, e allude a un futuro ignoto i cui presupposti
non si lasciano chiarire a sufficienza». Sprovvisti di alcun riferimento bibliografi-
co, difficilmente dubiteremmo della collocazione di queste parole all’interno del
dibattito contemporaneo intorno alle condizioni socio-economiche degli ultimi
anni. Eppure, la frase è estratta da un intervento tenuto da Koselleck nel 1985 a
Castel Gandolfo, in occasione di un incontro di storici ed intellettuali riuniti per
discutere intorno al tema della “crisi”. E se l’analogia fra la percezione della si-
tuazione odierna e quella di un trentennio fa non avesse nulla su cui farci riflette-
re, sarà forse più interessante sapere che Koselleck aveva rintracciato la frase in
un lessico francese del 1840, per poi commentare laconicamente, a sua volta, che
«oggi le cose non stanno diversamente»1.
È lecito sospettare, dunque, che la straordinarietà della “crisi” non sia indivi-
duabile nella rarità di un evento quanto, piuttosto, nelle conseguenze che ad esso
seguono. Ancora nella prospettiva di Koselleck2, “crisi” è da intendersi, infatti,
come una chiave d’accesso concettuale privilegiata per comprendere ogni pro-
cesso di trasformazione, in cui la comprensione della situazione di partenza – e
la conoscenza delle sue condizioni storico-universali – costituisce la premessa
necessaria per poter formulare nuove ipotesi. D’altronde, già nella sua identità eti-
mologica, il termine esclude ogni forma di passiva accettazione degli eventi, indi-
cando una scelta che è sempre frutto di giudizio3; e come tale, essa riveste un va-
1 Gli interventi del simposio di Castel Gandolfo sono raccolti in K. Michalski (ed.), Über
die Krise: Castelgandolfo-Gespräche (1985), Klett Cotta, Stuttgart, 1986. L’intervento di Koselleck è
stato poi ripreso in R. Koselleck, Begriffsgeschichten: Studien zur Semantik und Pragmatik der politi-
schen und sozialen Spraken, Suhrkamp, Frankfurt a.m., 2006, pp. 203-217; trad. a cura di C.
Sandrelli, Il vocabolario della modernità. Progresso, crisi, utopia e altre storie di concetti, Il Mulino, Bolo-
gna, 2009.
2 Cfr. R. Koselleck, Krise, in O. Brunner, W. Conze, R. Koselleck (ed.), Geschichtliche
parazione” e “scelta/decisione/giudizio”.
La maggior parte, e di gran lunga, di coloro che passavano, aveva un’aria soddi-
sfatta, da gente pratica, e pareva non curarsi d’altro che di aprirsi una strada in
4 E.A. Poe, The man of the crowd, pubblicato simultaneamente in «Antinkson’s Casket» e
«Burton’s Gentleman Magazine», dec. 1840; trad. a cura di G. Manganelli, in E. A. Poe, I Rac-
conti, Einaudi, Torino, 20093, pp. 210-217.
5 Tra il testo letterario e la sua lettura sociologica si estende un vasto spazio di traduzioni
interpretative che nasce da quella lettura baudelaireiana che nel racconto di Poe aveva indivi-
duato l’incarnazione paradigmatica del flâneur (Cfr. Ch. Baudelaire, Le peintre de la vie moderne,
1863, in Id., Oeuvres complètes, Éd. de la Pléiade, Paris, 1954, pp. 881-922; trad. a cura di G. Ra-
boni in Ch. Baudelaire, Poesie e Prose, Mondadori, Milano, 1973, pp. 940-941), e per questo
tramite arriva a Walter Benjamin (Cfr. W. Benjamin, Charles Baudelaire. Ein Lyriker irri Zeitalter
des Hochkapitalismus, Frankfurt, 1969; ed. it. a cura di G. Agamben, B. Chitussi e C. C. Harle,
Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, Neri Pozza, Vicenza, 2012; e Id.,
“Charles Baudelaire”, in Gesammelte Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1955; trad.
a cura di R. Solmi, Di alcuni motivi in Baudelaire, in Angelus Novus, Einaudi, Torino, 1995, pp. 89-
130) e giunge (mediato dalle analisi della psicoanalisi, della sociologia e della teoria della
letteratura intorno al tema della folla) al pensiero sociologico dl XX secolo (Cfr. H. Neumeyer,
Der Flâneur: Konzeption der Moderne, Verlag Königshausen & Neumann, Würzburg, 1999; Z.
Bauman, Desert Spectacular, in K. Tester (ed), The Flâneur, Routledge, London, 1994, pp. 138-
158; A. Gleber, Women on the Streets and Streets of Modernity: In Search of the Female Flâneur, in A.
Dudley (ed.), The Image in Dispute: Art and Cinema in the Age of Photography, Texas UP, Austin,
1997, pp. 55-87).
Di un certo libro tedesco, ben si è detto che “Es läßt sich nicht lesen”, non ac-
consente a lasciarsi leggere. Vi sono segreti che non tollerano di lasciarsi dire.
Uomini muoiono sui loro giacigli notturni, torcendo le mani di confessori spet-
Ibid.
7
8 Poe fa riferimento ai dipinti del pittore tedesco Friedrich August Moritz Retzsch (1779-
1857).
9 E.A. Poe, The man of the crowd, cit., p. 214.
E dalla conclusione:
E, quando presero a scendere le ombre della seconda sera, mi sentii affatto sfini-
to e, fermandomi bruscamente davanti all’errabondo, lo fissai a lungo in volto.
Non mi notò, ma continuò la sua camminata grave, mentre, rinunciando a se-
guirlo, restavo immerso nella contemplazione. Questo vecchio, – dissi alla fine, –
è il tipo, il genio dell’infamia occulta. Rifiuta di restare solo. È l’uomo della folla.
È vano tenergli dietro; nulla apprenderò di lui, e delle sue imprese. Il più tristo
cuore che ci sia al mondo è un libro più voluminoso dell’Hortulus Animae, ed è
forse grazia non piccola di Dio che “es läßt sich nicht lesen” (non acconsente a
lasciarsi leggere)11.
Pur senza alcuna pretesa critica, il lettore dell’opera di Poe potrà facilmente
osservare che, benché L’uomo della folla non rientri nel novero dei racconti esem-
plari della poetica dello scrittore, tuttavia in esso è già presente – si noti che lo
scritto è di poco precedente all’inizio delle avventure di Dupin – un “perturban-
te” senso dell’orrore (si leggano il «fardello d’infamia», la «criminosa essenza»,
l’«infamia occulta»), attraverso il quale il testo riesce tanto a sottrarsi all’impiego
didascalico, quanto a mettere in scena il vissuto dialettico della crisi.
Senza immaginazione,
la paura non esiste
Arthur Conan Doyle
Ivi, p. 210.
10
Ivi, p. 217.
11
12 Si tratta, ovviamente, di un tema troppo ampio perché se ne possa tracciare qui una an-
che minima cartografia che tenga conto di autori, opere, questioni e metodi. Il presente inter-
vento è debitore delle letture delle opere di Jerome Bruner e Paul Ricœur per la riflessione
sulla narratività, di Charles S. Peirce e Umberto Eco per il quadro gnoseologico, di Michel De
Certeau e John R. Searle per l’analisi delle dinamiche sociali narrativamente costruite. Di o-
gnuno di questi autori si riporta in bibliografia almeno un’opera di riferimento.
13 La principale conseguenza ontologica della scoperta freudiana dell’inconscio è che la ca-
tegoria di rappresentazione non riproduce, a un livello secondario, una pienezza anteriore, che
si potrebbe afferrare pure in modo diretto; piuttosto, la rappresentazione si impone come li-
vello assolutamente primario di costituzione dell’obiettività. Ecco perché non esiste significa-
zione che non sia sovradeterminata sin dall’inizio (la jouissance è possibile solo attraverso l’inve-
stimento radicale in un petit objet a, ovvero il petit objet a diventa la categoria ontologica prima-
ria). Nei termini della filosofia politica, ciò significa che nessuna pienezza sociale è possibile se
non attraverso l’egemonia. E l’egemonia altro non è che l’investimento, in un oggetto parziale,
di una pienezza sempre sfuggente perché puramente mitica. (Cfr. E. Laclau, On Populist Reason,
Verso, London, 2005; trad. a cura di D. Ferrante, La ragione populista, Laterza, Roma-Bari,
2008, p. 109).
14 Cfr. R.C. Schank, R.P. Abelson, Scripts, Plans, Goals, and Understanding: An Inquiry finto
per l’adulto. Andare in macchina all’asilo o fare colazione al mattino sono copioni per un
bambino. Alcune situazioni possono essere copioni per qualcuno ed eccezionali per altri: fare
la glicemia o iniettarsi una sostanza sono un copione per il paziente diabetico, eccezionali per
altri.
2. Essere Altrove
Risposi osservando che, mentre tutti i testimoni andavano d’accordo nel ritenere
la voce grossa per quella di un francese, sulla voce acuta vi era molto disaccordo.
«Codeste sono le deposizioni», riprese Dupin, «ma non già la peculiarità delle
deposizioni. Non avete notato nulla di singolare. Eppure vi era qualcosa da os-
servare. Tutti i testi, come avete rilevato, erano d’accordo sulla voce grossa. Ma a
riguardo della voce acuta, la cosa singolare consiste non già nel loro disaccordo,
16 E.A. Poe, The Murders in the Rue Morgue, Graham’s Magazine, April, 1841; trad. a cura di
G. Manganelli, Gli omicidi della Rue Morgue, in E.A. Poe, I Racconti, cit., pp. 233-234.
17 Cfr. almeno C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in A. Gargani (ed), Crisi
della ragione, Einaudi, Torino, 1979, pp. 57-106; U. Eco, T. Sebeok, (edd.), Il segno dei tre, Bom-
piani, Milano, 1983.
18 Le regole che seguiamo sono segnate da una profonda linea di demarcazione: vi sono
regole (e significati) che seguiamo ciecamente, per abitudine, ma delle quali, riflettendo, pos-
siamo almeno in parte renderci consapevoli; vi sono poi regole che seguiamo inconsapevol-
mente (come le proibizioni inconsce); infine, vi sono regole e significati di cui siamo consape-
voli, ma di cui dobbiamo mostrare di non esserlo (si tratta di tutte quelle allusioni oscene sulle
quali si soprassiede in silenzio per sostenere le “apparenze”).
19 Si noti che la natura organizzata delle ideologie non ne determina la necessità di una co-
erenza interna.
20 Cfr. T.F. Corran, Soldiers of Peace. Civil War Pacifism and the Postwar Radical Peace Movement,
Fordham UP, New York, 2003; A. Oberschall, Social Movements. Ideologies, Interesas, and Identities,
Transaction, New Brunswick, NI, 1993; J. Van der Pligt, Nuclear Energy and the Public, Black-
well, Oxford, 1992.
21 Cfr. P. Ricœur, Lectures on Ideology and Utopia, Columbia UP, New York, 1986; trad. a
cura di G. Grampa, Conferenze su ideologia e utopia, Jaca Book, Milano, 1994, pp. 29-118. I testi
delle conferenze sono stati poi sintetizzati e rivisti per un’ulteriore raccolta di saggi (Cfr. P.
Ricœur, Du texte à l’action. Essais d’herméneutique II, Le Seuil, Paris, 1986; trad. a cura di G.
Grampa, 1989, Dal testo all’azione, Jaca Book, Milano, pp. 271-392). Entrambe le opere devono
essere inquadrate in relazione ad un quadro di ricerca più ampio intorno al rapporto tra rap-
nea come negli scritti del giovane Marx (in particolare nei Manoscritti economico-
filosofici del 1844 e ne L’Ideologia Tedesca), l’ideologia non sia opposta alla scienza
quanto alla realtà intesa come praxis: l’ideologia sarebbe, perciò, uno strumento
che oscura il processo della vita reale: è solo nel successivo sviluppo in termini
sistematici del marxismo a partire dalle pagine del Capitale che l’ideologia viene
opposta alla scienza: l’ideologia diventa, perciò, tutto ciò che è prescientifico nel
nostro approccio alla realtà sociale. A questo punto – sottolinea Ricœur – il con-
cetto di ideologia fagocita quello di utopia: tutte le utopie sono considerate dal
marxismo come ideologie. Non si tratta, dunque, di negare ogni legittimità al
concetto marxiano di ideologia, quanto quello di ricondurlo ad alcune delle me-
no negative funzioni dell’ideologia. Dobbiamo ricomprendere il concetto di ide-
ologia come distorsione entro una struttura che riconosca l’organizzazione sim-
bolica della vita sociale. Se la vita sociale non ha una struttura simbolica diventa
impossibile capire come viviamo, facciamo delle cose, e proiettiamo queste atti-
vità in idee, diventa impossibile capire come la realtà possa diventare un’idea o
come la vita reale possa produrre illusioni; questi sarebbero solo eventi mistici e
incomprensibili22. L’ideologia vive, perciò il paradosso di queste due funzioni: il
ruolo assolutamente primitivo di integrazione di una comunità e il ruolo di di-
storsione del pensiero in forza di un interesse. Ciò che spesso viene ingiustamen-
te sottovalutato nell’analisi del discorso ideologico è il momento conoscitivo de-
strutturante che, per noi, coincide con il momento dell’utopia. In questa prospet-
tiva, infatti, l’utopia è un non-luogo, l’Altrove, un luogo di “contaminazioni flut-
tuanti” in cui possiamo distanziarci dall’immaginario comunemente accettato ed
eventualmente trasformarlo. In altre parole, l’utopia è il pensare altrimenti che
regola l’istituzionalizzazione e la deistituzionalizzazione ideologica. E, perciò, l’u-
topia è la crisi.
presentazione e azione (Cfr. P. Ricœur, La sémantique de l’action. Ière partie: Le discours de l’action,
Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, Paris, 1977; trad. a cura di A.
Pieretti, La semantica dell’azione, Jaca Book, Milano, 1986) che condurrà, nel decennio successi-
vo, allo sviluppo dell’originale modello ermeneutico ricœuriano.
22 Tale struttura simbolica può essere pervertita, appunto, dagli interessi di classe così co-
me ha mostrato Marx, ma se non vi fosse una funzione simbolica già operante sarebbe impos-
sibile capire come la realtà possa produrre ombre di questo tipo. Ricœur – come Žižek più
tardi e a partire da altri presupposti – riprende la distinzione ideologia\praxis sottolineandone
la connessione piuttosto che l’opposizione: è tale connessione che precede la distorsione
dell’ideologia. Si tratta, chiaramente di porre il processo di interpretazione come costitutivo
della praxis stessa. L’ipotesi – che Ricœur leggeva nell’opera di Clifford Geertz (The Interpreta-
tion of Cultures, Basic Books, New York, 1973; trad. a cura di E. Bona, Interpretazione di culture,
Bologna, Il Mulino, 1987) – è che dove esistono esseri umani, un mondo non simbolico di
esistenza, anzi un tipo di azione non simbolica, non può durare.
3. Orrore o Terrore?
Se la vita è un giallo, non tutti siamo Auguste Dupin. E una testa staccata in
un appartamento chiuso dall’interno può rimanere un evento inquietante.
Il senso delle nostre esistenze è storico-narrativo; il carattere ipotetico della
nostra conoscenza lo rende instabile, costantemente rinegoziabile; gli apparati
ideologici che orientano i nostri discorsi si fondano su di una routine che può
più o meno velocemente dissolversi. Da un lato, tutto ciò costituisce – positiva-
mente – l’aspetto dinamico di ogni identità; dall’altro, tale dinamismo comporta
momenti critici con cui ci si confronta raramente con serenità:
23 A. Artaud, 1926, Fragments d’un Journal d’Enfer, in Id., Œuvres completes, vol. 1, t. 1, Galli-
mard, Paris, 1975, pp. 133-44; trad. a cura di C. Rugafiori, Frammenti di un Diario d’inferno, in A.
Artaud, Al paese dei Tarahumara, Adelphi, Milano, 1966, pp. 58-59.
24 S. Freud, Das Unheimliche, 1919, in Ders Studienausgabe, Bd. IV. Psychologische Schriften, Fi-
scher, Frankfurt am Main, 1982, pp. 241-274, trad. a cura di C.L. Musatti, Il perturbante, in Ope-
re, vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, pp. 77-118.
mia», con il vuoto su cui si fonda ogni nostra consuetudine familiare, ovvero il
momento in cui è messo in questione ogni tipo di reificazione ideologica: la «cri-
minosa essenza» di ogni istituzione .
La teoria della letteratura registra due modi principali di reagire al perturban-
te: l’orrore e il terrore25.
Il primo è il rifiuto annichilente dell’illeggibile fondo oscuro della realtà,
l’inafferrabile assenza di senso che può condurre alla follia (Lovecraft). L’evento
che crea orrore è un evento che contraddice le leggi del nostro mondo e che o
non trova posto nell’ordine simbolico del personaggio. Il secondo è la crisi che
conduce alla creazione di un nuovo quadro simbolico (Poe). L’evento che crea
terrore è un evento che o non contraddice le leggi del nostro mondo, condivise
dal personaggio, oppure, anche se le contraddice, rientra nelle leggi di un mondo
altro comunque condiviso dal personaggio. Il personaggio prova terrore, ma rea-
gisce nel momento in cui incasella l’evento in uno schema che accresce il suo
campo simbolico, viene acquisito e superato: l’incontro con l’altro diventa esperienza.
In questo secondo senso, secondo Lacan, l’Angoscia è l’affetto legato alla
messa in crisi dell’ordine simbolico. L’istituzione di un ordine simbolico – a cui
Lacan dà nome di “grande Altro” e che può essere personificato o reificato nel
Dio che, dall’aldilà, veglia su di me e su tutti gli individui reali, o anche l’Ideale in
cui credo (la Libertà, il Comunismo, la Nazione) – che avvolga e regoli il deside-
rio è indispensabile all’espressione ed alla stessa sopravvivenza del soggetto: solo
in questo modo riusciamo a rapportarci all’irriducibile estraneità del reale, che in
se stessa resterebbe priva di senso26. È per questo motivo, infatti, che negare la
presenza del grande Altro, in nome della Ragione o della Tecnica, ha conseguen-
ze catastrofiche: il disintegrarsi dell’apparenza (di libertà) che è propria dell’or-
dine sociale, il che equivale al disintegrarsi della sostanza sociale stessa, la disso-
luzione, insomma, del nesso sociale. Lo stato di angoscia diffusa nella nostra cul-
tura è, dunque, lo stadio della ricerca di un orizzonte di senso possibile27. Ed è
25 Cfr. R. Runcini, La Paura e l’Immaginario Sociale nella Letteratura. I. Il Gothic Romance, Liguo-
poranea: oggi è il capitalismo che è propriamente rivoluzionario (Cfr. S. Žižek, The Sublime
Object of Ideology, Routledge, London, 1989; Id., The Plague of Fantasies, Verso, London, 1997;
trad. parziale a cura di M. Senaldi, L’epidemia dell’immaginario, Meltemi, Roma, 2004).
28 Nell’antichità greca, krisis possedeva significati delimitabili in maniera relativamente
chiara in ambito giuridico, medico e teologico. È sulla base medica che, a partire dalla fine del
XVII secolo il termine subisce un’estensione metaforica alla politica, all’economia ed alla sto-
ria. Verso la fine del XVIII secolo, il concetto torna a caricarsi di valenza teologica secolariz-
zata in un’aspettativa di Giudizio Universale. L’appartenenza ad un discorso piuttosto che ad
un altro ne segna la valenza nella durata e negli effetti (continuativa piuttosto che ricorsiva,
esistenziale piuttosto che economica).
29 Cfr. F.R. De Chateaubriand, Essai historique, politique et moral sur les révolutions anciennes et
modernes considérées dans leurs rapports avec la Révolution Française [An Historical, Political and Moral
Essay on Revolutions, ancient and modern], Londra, 1797, trad. a cura di E. Pasini, Saggio sulle rivolu-
zioni, Medusa, Milano, 2006.
30 Cfr. R. Koselleck, Krise, cit., pp. 32-34.
31 Ivi, p. 13.
32 Cfr. H. Arendt, Between Past and Future. Six Exercises in Political Thought, The Viking Press,
New York, 1961; trad. a cura di T. Gargiulo, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano, 1999. È in
questo senso che il filosofo sloveno Slavoj Žižek (Die Revolution Steht Bevor. Dreizhen Versuche
Zu Lenin, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 2002; trad. parziale a cura di F. Rahola, Tredici
volte Lenin. Per sovvertire il fallimento del presente, Feltrinelli, Milano, 2003) reintroduce la distinzio-
ne leninista tra libertà “formale” e libertà “reale”: la prima è la libertà di scelta all’interno delle
coordinate dei rapporti di potere esistenti, mentre la seconda designa un intervento che mina
alle basi queste stesse coordinate: non si tratta di limitare la libertà di scelta, bensì di conserva-
re la scelta fondamentale.
trova ad agire.
In termini narrativi, questa scelta critica si realizza attraverso l’elaborazione di
nuove strutture e strategie discorsive, e si comprende un discorso solo se è in
grado di costruire per esso un modello. Nei romanzi gialli, questo è il compito
dell’investigatore, nelle nostre società è il ruolo dell’intellettuale. Quanto all’o-
dierna classe intellettuale, il vero problema non è, dunque, nella sua assenza, quan-
to nel suo fallimento. Complice il non aver resistito ad una progressiva privatiz-
zazione del general intellect, l’intellettuale contemporaneo gioca ad assumere un
ruolo che non è il proprio, ovvero quello dell’esperto e dell’analista, adeguando il
proprio lessico a quello dell’ideologia predominante. All’intellettuale spetterebbe,
invece, il compito di fornire l’orizzonte utopico in grado di riorganizzare “altri-
menti” gli eventi.
In fin dei conti, la scelta è ancora una volta se essere degli isterici che chiedo-
no un nuovo padrone, o se iniziare a prendere sul serio una semplice domanda:
Che fare?
***
Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del su-
peramento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non
congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpe-
ro, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumi-
smo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giu-
stizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e
che ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi
si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata.
Ecco in base a quale giudizio il movimento operaio può far sua la bandiera
dell’austerità.
L’austerità è per i comunisti lotta effettiva contro il dato esistente, contro
l’andamento spontaneo delle cose, ed è, al tempo stesso, premessa, condizione
materiale per avviare il cambiamento. Così concepita l’austerità diventa armata
di lotta moderna e aggiornata sia contro i difensori dell’ordine economico e so-
ciale esistente, sia contro coloro che la considerano come l’unica sistemazione
possibile di una società destinata a rimanere arretrata, sottosviluppata e, per giun-
ta, sempre più squilibrata, sempre più carica di ingiustizie, di contraddizioni, di
disuguaglianze.
E. Berlinguer, Austerità occasione per trasformare l’Italia. Le conclusioni al convegno
degli intellettuali (Roma 15-1-77) e alla assemblea degli operai comunisti (Milano, 30-1-77),
Editori Riuniti, Roma, 1977, pp. 13-14.