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Rivista fondata nel 1994

XII / n.s. 2
Luca Ronconi
Firenze Cinque-Seicento
Queens Masques
Gli attori del Siglo de Oro
Archivio Multimediale
degli Attori Italiani
Ricerche in corso
Canterine e attrici italiane
del Sei-Settecento
Eleonora Duse
Poste Italiane spa - Tassa pagata - Piego di libro
Aut. n. 072/DCB/FI1/VF del 31.03.2005

Anno XII / n.s. 2 - 2015 FIRENZE


ISSN 1122-9365 UNIVERSITY
www.fupress.com PRESS
DRAMMATURGIA
XII / n.s. 2
2015
DRAMMATURGIA
NUOVA SERIE

RIVISTA ANNUALE DIRETTA DA SIRO FERRONE E STEFANO MAZZONI

Anno XII / n.s. 2 - 2015

Firenze University Press


2015
Anno XII / n.s. 2 - 2015

Direzione
Siro Ferrone, Stefano Mazzoni.
Comitato direttivo
Maria Chiara Barbieri, Alberto Bentoglio, Carla Bino, Francesco Cotticelli, Paola
Daniela Giovanelli, Renzo Guardenti, Gerardo Guccini, Claudio Longhi, Teresa
Megale, Caterina Pagnini, Laura Peja, Marzia Pieri, Anna Scannapieco, Francesca
Simoncini, Elena Tamburini, Anna Maria Testaverde, Alessandro Tinterri, Paola
Ventrone, Piermario Vescovo.
Comitato scientifico
Alessandro Bernardi, Lorenzo Bianconi, Annamaria Cascetta, Franoise Decroisette,
Jrme de La Gorce, Andrea Fabiano, Teresa Ferrer Valls, Georges Forestier, Sara
Mamone, Lorenzo Mango, Silvia Milanezi, Cesare Molinari, Juan Oleza, Franco
Perrelli, Franco Piperno, Mirella Schino, Ferdinando Taviani.
Redazione
Lorena Vallieri, caporedattore; Emanuela Agostini, Lorenzo Galletti, Leonardo
Spinelli, Gianluca Stefani, segreteria di redazione, documentazione ed editing.

Consulenza telematica: Stefano Marapodi, Lorenzo Mucchi.


Digitalizzazione immagini: Giovanni Martellucci.

I saggi editi in Drammaturgia sono stati valutati, in forma anonima, dal Comitato
Direttivo e/o dal Comitato Scientifico e dai referees anche internazionali, tutti
coperti da anonimato. Per informazioni sul sistema peer review utilizzato dalla
rivista si rinvia al sito: www.fupress.com/drammaturgia

In copertina: Luca Ronconi e Mariangela Melato durante le prove di Amor nello


specchio di Giovan Battista Andreini, regia di Luca Ronconi (2002). Foto di Marco
Caselli Nirmal. Si ringrazia il fotografo per la gentile concessione dello scatto.

Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4380 del 21 aprile 1994

2015 Author(s). This is an open access journal distributed under the terms of the
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Borgo Albizi, 28, 50122 Firenze, Italy
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INDICE

SAGGI
Claudio Longhi, Per Luca Ronconi (1933-2015): quasi una leon de tnbres 7
Sara Mamone, Drammaturgia di macchine nel teatro granducale fiorentino. Il teatro degli
Uffizi da Buontalenti ai Parigi 17
Anna Maria Testaverde, Lavventura del teatro granducale degli Uffizi (1586-1637) 45
Caterina Pagnini, Anna di Danimarca e i Queens Masques (1604-1611) 71
Franoise Siguret, La lumire et le temps sur la scne baroque : Poetique & Pratique 89
Paologiovanni Maione, Il possesso della scena: gente di teatro in musica tra Sei e
Settecento 97
Anna Scannapieco, I numeri delle comiche italiane del Settecento. Primi appunti 109
Franco Perrelli, Il mulo di Lessing 129
Alessandro Tinterri, Silvio dAmico e la nascita del Burcardo 141

DOCUMENTI E TESTIMONIANZE
Teresa Megale, Eleonora Duse. Nuovi frammenti autografi di un lungo percorso teatrale 151
Co2. Intervista a Giorgio Battistelli, a cura di Anna Menichetti 169

RICERCHE IN CORSO
Teresa Ferrer Valls, Il punto sul mondo degli attori del Siglo de Oro 185
Francesca Simoncini, Le prime attrici della compagnia Reale Sarda nel database AMAtI 197
Francesca Simoncini-Antonio Tacchi, Carlotta Marchionni 201
Daniela Sar, Amalia Bettini 223
Emanuela Agostini, Antonietta Robotti 241

INDIZI DI PERCORSO E PROGETTI


Gianluca Stefani, Sebastiano Ricci impresario in angustie a Venezia: i guai della stagione
1718-1719 al SantAngelo 263
Adela Gjata, Le regie goldoniane di Renato Simoni (1936-1947) 291

Summaries 309

Gli autori 317

DRAMMATURGIA, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 5-6


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ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
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Claudio Longhi

PER LUCA RONCONI (1933-2015):


QUASI UNA LEON DE TNBRES

Shiv

Qui a New Orleans laria secca.

Seduti su due piccoli panchetti di legno


addossati alla parete
i due fratelli Lehman
aspettano
salutano
ringraziano.

La porta si chiude
poi si riapre: un altro.

La barba lunga, tutti e due


non pi tagliata da quando cominciato il lutto.1

Il 21 febbraio scorso, sul far della sera, uscito di scena Luca Ronconi. Sen-
za clamori, col suo consueto passo felpato ed elegante di flneur del teatro, in
bilico tra Baudelaire e Robert Walser, intimamente romano, ma in fondo di
casa pure tra Vienna e Berlino. Distinto, caustico e sornione a un tempo, ri-
servato, ma con insospettabili generose aperture, e in fondo anche un po snob,
capace di collere bibliche e di insensibilit sconcertanti, ma anche teneramente
innamorato delle sue rose e dei suoi cani Se n andato scivolando ironico e
leggero, secondo i suoi ben noti tracciati ortogonali, oltre la soglia sospesa, l
a sinistra: una finestra buia ritagliata nel candore clinico e splendente del pal-

1. S. Massini, Lehman Trilogy, Torino, Einaudi, 2014, Parte prima. Tre fratelli, p. 37.

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 7-16


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CLAUDIO LONGHI

coscenico. Se n andato come gli algidi e umanissimi titani della sua ultima
fatica, la Lehman Trilogy, in scena quella stessa sera in via Rovello: personaggi
esaltati, fissati e di maniera, ricalcati dal copione di Massini, ma profilati con
quel suo inconfondibile tratto spezzato, formatosi alla bottega delladorato
Binswanger. Svelte silhouettes grottesche ritagliate da una fantasia di Bosch, o
da un capriccio di Goya, incollate sulla piatta e rarefatta attesa, tutta metafisi-
ca, di un quadro di Magritte.
Dai tempi leggendari dei Lunatici (1966), ormai mitico anno zero della sua
carriera registica che lo aveva visto balzare agli onori delle cronache teatrali
nazionali, fino a quella sera di febbraio, Luca era stato (ed era pervicacemen-
te rimasto) lenfant terrible (e, a tratti, lenfant gt) delle nostre scene: sempre,
e comunque, lenfant. Lo era ancora, a quasi ottantadue anni, non per la per-
niciosa abitudine tutta italiana di ritardare i processi di crescita, ma perch di
fatto, in barba allanagrafe, e a dispetto di ogni pascolismo edulcorato, Luca era
rimasto, con tutta la violenza, la crudelt e la trasgressivit del caso, un bam-
bino meglio: un adolescente estroso e inquieto. In mancanza di una lucida
comprensione di questa sua lampante schizofrenia, non si capirebbe la follia,
geniale e ottusa, di circa mezzo secolo di progetti teatrali esorbitanti, vissuti
bout de souffle.
Un ragazzo favoloso, una siepe, linfinito Sempre caro mi fu quester-
mo colle, / e questa siepe, che da tanta parte / dellultimo orizzonte il guardo
esclude (Leopardi, Linfinito, vv. 1-3): in fondo Luca e il suo teatro erano tut-
ti l, fissati, da sempre e per sempre, in questo icastico quadretto leopardiano.
Da una parte un desiderio, quasi pantagruelico, di conoscere tutto nel senso
pi fisico e radicale del termine attraverso la scena; di collezionare e catalogare
sulle tracce di Giulio Camillo luniverso intero in teatro; di nutrire la pro-
pria accesa fantasia di qualsivoglia scrittura da quella pi ortodossamente
teatrale a quella pi lontana dalla scena (si pu recitare tutto a teatro, era so-
lito ripetere, anche lelenco del telefono) ma con una evidente inclinazio-
ne per leccentricit, lanomalia o la mostruosit. Dallaltra il limite (fisico ed
economico), la barriera, la convenzione, o peggio ancora labitudine, il condi-
zionamento insuperabile della realt: quei confini, insomma, che Luca ha
sfidato e calpestato e violato per tutta la vita e a cui ogni volta testardamen-
te tornato nella profonda e radicata convinzione che solo nel vincolo e nella
gabbia lartista trova la sua vera libert. Non per nulla, al principio degli anni
Novanta, proprio Nella gabbia di Henry James aveva attratto la sua curiosit e
ne era nato un prezioso e intelligente divertissement, in cui, relegati i settanta
privilegiati spettatori in una tribunetta montata in palcoscenico, al Morlacchi
di Perugia, il teatro, per trasparente allegoria, si era fatto claustrofobica sce-
na del liberissimo fluire del racconto. Dalla Kthchen von Heilbronn, naufragata
sulle acque del lago di Zurigo nel 1972 e presentata finalmente al pubblico in

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PER LUCA RONCONI

una versione mutila e largamente approssimativa rispetto al disegno originale


schizzato con Arnaldo Pomodoro, alle rocambolesche disavventure delle tour-
ne di Orestea (1972-1974) e Utopia (1975), con recite continuamente bloccate
o interrotte per problemi di sicurezza o difficolt di allestimento; dalla messa
in scena mai realizzata di Vida es sueo in un campo di grano nei dintorni di
Brescia allipotesi degli ultimi anni Novanta di rappresentare il De rerum natu-
ra, in un travestimento di Edoardo Sanguineti, fuori dai palcoscenici tradizio-
nali, o ancora ai tentativi ricorrenti, mai arrivati a buon fine, di metter mano
alla Commedia della vanit di Canetti o allAnnibale di Grabbe, la teatrografia di
Luca piena, a ben vedere, di aborti o fallimenti o sogni impossibili rimasti
nel cassetto, non meno significativi per capire il suo approccio alla scena dei
grandi spettacoli che lo hanno reso famoso: la poetica di un puer, certo sempre
senex per la profondit della sua cultura e la lucidit del suo sguardo, pronto
a sacrificare qualunque cosa (o teatro) e chiunque (a cominciare da s stesso),
con una intransigenza quasi talebana, pur di dar forma alla propria prorom-
pente immaginazione.
E in quella irriducibile dialettica tra siepe e ultimo orizzonte appena
evocata, si celava forse, Leopardi docet, uno dei segreti dellarte di Ronconi: il
suo incessante inseguimento, attraverso le lande drammaturgiche pi estreme,
dello spettacolo infinito, di uno spettacolo, cio, che per le sue connotazio-
ni spazio-temporali fosse capace di sottrarsi, in essenza, allattenzione totale
del pubblico.2 Di qui la caratteristica Sehnsucht di tutti gli spettacoli di Luca,
pure i pi parossisticamente irridenti: lanelito o la nostalgia, che sempre vi
si respirava, di un infinito impossibile. Di qui anche la sua irrisolta e irrisol-
vibile incertezza tra linesausta passione per la scena, luogo deputato di ogni
esperienza e conoscenza possibili (il teatro una forma complessa di cono-
scenza maturata attraverso lesperienza era un altro suo celebre adagio), e, a
un tempo, il disagio del teatro, spazio fisico e mentale endemicamente afflitto
da una cronica inadeguatezza, o incommensurabilit, a qualsivoglia oggetto
sia in esso rappresentato. Difficile, a questo proposito, non pensare a Infinities
(2002), labirintica e parzialissima sineddoche, per via tutta allusiva, de lInfini-
to, universo e mondi in cui fluttuiamo.
Il pencolare di Luca tra passione e disagio della scena era stato evidente fin
dai suoi esordi teatrali, non gi in veste di regista, ma di attore, quando Luigi
Squarzina, suo maestro in Accademia, nel 1953 lo aveva scelto, appena ven-

2. Conversazione con Luca Ronconi (Roma, 10 marzo 1996), a cura di C. Longhi, in E.


Sanguineti, Orlando furioso. Un travestimento ariostesco. Prima rappresentazione: Spoleto, 4 luglio
1969. Regia di Luca Ronconi, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della regione
Emilia Romagna-Soprintendenza per i beni librari e documentari / Il nove, 1996, p. 300.

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CLAUDIO LONGHI

tenne, per vestire i panni di Mauro Bartoli nei suoi Tre quarti di luna. Arrivato
alla ribalta dopo soli due anni di studi, contro i tre richiesti dagli statuti della
scuola, Luca intraprende al fianco di Vittorio Gassman, sotto legida della pre-
stigiosa ditta Teatro dArte Italiano, una carriera di interprete fortunata che
nel volgere di una manciata danni lo porta a confrontarsi coi maggiori registi
del panorama nazionale: oltre allo stesso Squarzina riincontrato, dopo Tre
quarti di luna, con Lorenzaccio (1954), T e simpatia (1955), La Romagnola (1959),
La congiura (1960) , Orazio Costa (Candida, 1953), Giorgio Strehler (Tre quarti
di luna, 1955), Giorgio De Lullo (Il diario di Anna Frank, 1957) o Michelange-
lo Antonioni (Io sono una macchina fotografica, 1957). Una carriera promettente
che lo vede, per, anche continuamente insoddisfatto; perennemente ombro-
so, taciturno e defilato, nonostante il favore di molti critici. Al fondo del suo
stare in scena, infatti, si colgono sempre una riposta e acuta insofferenza nei
confronti del teatro come e una incontenibile voglia di immaginare un pos-
sibile teatro futuro. Lo strappo arriva, giusto giusto in capo a dieci anni, quan-
do nel 1963 Luca, vincendo le sue esitazioni, smette le vesti dattore e firma la
sua prima regia per la compagnia Gravina-Occhini-Pani-Ronconi-Volont:
La buona moglie, sintesi delle due commedie goldoniane La putta onorata e La
buona moglie, appunto, debuttata a Roma, al teatro Valle, il 23 dicembre. Al-
lergico alle consuetudini e al bon-ton della societ teatrale di quegli anni, per
il suo debutto registico Luca rompe con tutte le tradizioni goldoniane cono-
sciute: dalla placida e implacabile comicit di Baseggio, percorsa da brividi in-
quieti, agli stereotipati omaggi a un lezioso Settecento di maniera, caratteristici
delle messe in scena pi sciatte, al realismo arioso e sorprendente di Visconti.
Il suo un Goldoni aspro e nero, che puzza di unefferata Italietta di provin-
cia. Il fiasco colossale e talmente inappellabile da far vacillare la vocazione
teatrale del giovane regista. Ma dopo due prove in sordina (Il nemico di se stes-
so, per il teatro di Ostia Antica, nel 1965, e Commedia degli straccioni, a Porto-
civitanova Marche, nellestate del 1966), la rivelazione arriva con i Lunatici il
12 agosto sempre del 66. A contatto con il ribollente magma drammaturgi-
co di Middleton e Rowley, la melanconia saturnina di Ronconi si incendia.
Lo spettacolo non meno crudo del Goldoni di tre anni prima. La coppia di
protagonisti che lo porta in scena, i beniamini del pubblico televisivo Sergio
Fantoni e Valentina Fortunato, ridotta ad una sconcia caricatura di s stessa.
La recitazione, violentemente fisica, acida e gridata. I gesti, legnosi ed ec-
cessivi. Ma i tempi sono cambiati e questa volta lintellighenzia teatrale plau-
de. Si scomoda Artaud e il suo teatro della crudelt. A novembre, Luca gi
tra i firmatari dellappello Per un convegno sul nuovo teatro, pubblicato da Fran-
co Quadri sulle pagine di Sipario (n. 247), e proprio il gran satrapo Franco
diventer negli anni il suo pi sagace e lucido esegeta. Lungi dal risolversi in
pulsione autodistruttiva, con i Lunatici lavversione per i limiti del teatro si tra-

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PER LUCA RONCONI

sforma in energia rivoluzionaria, propulsiva per nuove sfide: nella marginalit


accentratrice del regista, motore immobile della rappresentazione, deus ex ma-
china continuamente presente e radicalmente assente, di fatto ormai diventato
nel sistema teatrale italiano il vero depositario ed estensore del patto dram-
maturgico, a met degli anni Sessanta, linquieto ed estroso Luca scopre dun-
que il proprio precario e solidissimo ubi consistam. Tre anni dopo, nel 1969, in
tandem con limbattibile guastatore letterario Edoardo Sanguineti, in veste di
Dramaturg, la pi schietta vena creativa di Ronconi trova finalmente modo di
sgorgare copiosa con Orlando furioso, la straordinaria anatomia teatrale dello-
monimo poema ariostesco che, ab origine, per dirla con Calvino, si rifiuta di
cominciare, e si rifiuta di finire.3 In un estremo sforzo di adesione al dettato
dAriosto, fittamente intrecciato in labirintico entrelacement, la scatola scenica
sottoposta dal regista a una torsione spasmodica che la manda in frantumi e
la rappresentazione tracima sullintero spazio, in un continuum indistinto e si-
multaneo che abbraccia ugualmente pubblico e attori. La chimera dello spet-
tacolo infinito alla sua prima rutilante oggettivazione.
In fondo lintero sterminato catalogo delle regie di Ronconi, nei suoi mil-
le rivoli difficili da ridurre a unit, figlio del big bang dellOrlando e della sua
trascinante e febbricitante foga utopica generata dalla negazione della misura.
Una medesima ambizione enciclopedica a dilagare e a saturare, alla ricerca di
un fine e di una fine perpetuamente rinviati, e uno stesso caparbio rigetto delle
scelte scontate, dei modelli dati una volta per tutte, pervadono infatti le frequenti
e stranianti incursioni di Luca nel teatro antico alla ricerca del rito perduto4
(Orestea, 1972; Die Bakchen, 1973; Die Vgel, 1975; Die Orestie, 1976; Baccanti,
1978; Pluto, 1985; Medea, 1996; Prometeo incatenato-Baccanti-Rane, 2002), cos
come i suoi affondi sulla scena contemporanea (Caldern, 1978 e 1993; Besucher,
1989; Davila Roa, 1997; Itaca, 2007; La modestia e Il panico, rispettivamente 2011
e 2013; Lehman Trilogy, 2015); il suo culto per le favole filosofiche dei dram-
maturghi della Mitteleuropa (Al pappagallo verde e La contessina Mizzi, 1978;
Commedia della seduzione, 1985; Luomo difficile, 1990; Professor Bernhardi, 2005;
Inventato di sana pianta, ovvero Gli affari del barone Laborde, 2007); la sua impietosa
scintigrafia della crisi del dramma borghese nelle sue diverse e morbosamente
seducenti facies ippocratiche svarianti da Ibsen (Lanitra selvatica, 1977; John Ga-
briel Borkman, versione televisiva, 1982; Spettri, 1982; Verso Peer Gynt, eserci-
zi per gli attori, 1995; Nora alla prova da Casa di bambola, 2010) a Strindberg (Il
sogno, 1983 e 2000; Danza macabra, 2014), da Pirandello (Die Riesen vom Berge,

3. I. Calvino, La struttura dellOrlando (1974), in Id., Perch leggere i classici, Milano,


Mondadori, 1991, p. 78.
4. Cfr. F. Quadri, Il rito perduto. Saggio su Luca Ronconi, Torino, Einaudi, 1973.

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CLAUDIO LONGHI

1994; Questa sera si recita a soggetto, 1998; In cerca dautore. Studio sui Sei personag-
gi, 2012) a echov (Tre sorelle, 1989; Laboratorio per Un altro gabbiano, 2009) o
a ONeill (Strano interludio, 1990; Il lutto si addice ad Elettra, 1997); la sua saga-
ce critica al realismo (Ignorabimus, 1986) e le sue ritornanti tentazioni mistiche
(Dialoghi delle carmelitane, 1988; I fratelli Karamazov, 1998); le sue avvertite e cu-
riose ricognizioni della letteratura (Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, 1996;
Memorie di una cameriera, 1997; Quel che sapeva Maisie, 2002; Pornografia, 2013),
delle scienze (Infinities, 2002; Biblioetica, dizionario per luso, 2006; Lo specchio del
diavolo, 2006) o del cinema (Lolita, 2001) alla ricerca di sempre nuove frontie-
re genuinamente contemporanee del teatrale; la sua spontanea inclinazione al
kolossal (Gli ultimi giorni dellumanit, 1990; Progetto domani, 2006) e ancora le sue
sistematiche esplorazioni del teatro per musica, ugualmente disposte ai commerci
con Rossini (Il barbiere di Siviglia, 1975; Il viaggio a Reims, 1984; La Cenerentola,
1998) e alla dimestichezza con Wagner (Loro del Reno, 1979; La Valchiria, 1980;
Sigfrido, 1981; Il crepuscolo degli dei, 1981), allo studio dei classici del repertorio
contemporaneo (Globokar, Traumdeutung, 1969; Stockhausen, Samstag aus Licht,
1984; Janek, Il caso Makropulos, 1993 e Nono, Intollerance 1960, 2011), cos co-
me allattenta meditazione sul lascito dei grandi maestri del melodramma ba-
rocco (Rossi, Orfeo, 1985; Monteverdi, Orfeo e Il ritorno di Ulisse in patria, 1998;
Lincoronazione di Poppea, 2000; Hndel, Giulio Cesare in Egitto, 2002). Ecco: il
barocco. Il cangiante universo barocco, regno indiscusso di Circe e del pavone,
con le sue ansie di ricapitolazione e di sistematizzazione e le sue stupefacenti
e teatralissime Wunderkammer, resta lo spazio dazione privilegiato di Luca.
Un barocco saggiato nelle sue pi varie declinazioni: dalle lussureggianti in-
venzioni elisabettiane, tra Shakespeare (Misura per misura, 1967 e 1992; Riccardo
III, 1968; Le marchand de Venise, 1987; Re Lear, 1995; Sogno di una notte di mez-
za estate, 2008; Il mercante di Venezia, 2009) e colleghi (La tragedia del vendicatore
di Cyril Tourneur, 1970; Una partita a scacchi di Thomas Middleton, 1973; Pec-
cato fosse puttana di John Ford, 2003), alle abissali implosioni di Racine (Fedra,
1984), dalle spastiche visioni dellantirinascimento italiano (Il candelaio, 1968 e
2001) alle austere pompe dei campioni della controriforma iberica (La vita so-
gno, 2000) e su tutto il concettoso teatro di Andreini (La centaura, 1972 e 2004;
Le due commedie in commedia, 1984; Amor nello specchio, 1987 e 2002). Strano alter
ego, Lelio, attore-autore campione dellArte, del regista-drammaturgo Ron-
coni, sempre cos dichiaratamente ostile alle antiche tradizioni dei comici
italiani in aperto spregio di mode registiche ampiamente diffuse, da Copeau a
Mejerchold, tutte tese a rivalutare i tesori del professionismo allimprovviso
del nostro Bel Paese. In fondo la duplice Centaura di Luca, couplet di allestimenti
rispettivamente firmati per lAccademia darte drammatica di Roma nel 1972 e
per il Teatro Stabile di Genova nel 2004, resta uno degli emblemi pi limpidi
della sua scena smisurata ed eccezionale, quando non eccessiva.

12
PER LUCA RONCONI

Nel grande teatro-mondo di Ronconi, la tragica antitesi leopardiana


siepe/orizzonte non governa, per, le sole scelte drammaturgiche, ma in-
nerva ogni aspetto dellarte scenica, dalla progettazione degli spazi, continua-
mente giocata in montaggio sul doppio binario della suprema concentrazione
e della massima dilatazione, alla concertazione della recitazione. La prosodia
dellattore italiano innaturalmente esemplata, secondo Luca, sulla sintassi
francese divenuta lingua ufficiale delle nostre ribalte tra Otto e Novecento at-
traverso la barbara pratica delle grossolane traduzioni a calco imposte dalla dura
legge del mercato violentata e decostruita. La battuta aperta e scomposta,
fin dallOrestea di Belgrado, secondo le regole della linguistica strutturalista
diventa oggetto di una vivisezione e di una ricucitura maniacali, nellinten-
to, ancora una volta impossibile, di far piazza pulita di ogni regola acquisita e
risalire sperimentalmente al guizzo germinante del pensiero, al lampo che le-
ga limmagine concettuale alla parola, al cortocircuito folgorante che traduce
limpulso nervoso nellinarcarsi della lingua. E con la stessa furia con cui di-
strugge e rifonda metrica e sintassi, Luca sovverte e riplasma larticolazione,
sminuzza e reimpasta i fonemi. Guardateli e ascoltateli gli attori che recitano
nei suoi spettacoli, tutti intenti a mangiare le parole. Torna subito alla mente
Gadda: E in lingua nostra, che la parola si pu stirare, contrarre e metastata-
re (palude, padule: femminile e maschile) secondo libidine, come la fusse una
pasticca tra i denti.5 E quella stessa tragica antitesi disciplina anche le pratiche
pedagogiche di Ronconi, perch Luca oltre a essere per sua stessa ammissio-
ne allievo di attori, in primis Marisa Fabbri come i grandi padri fondatori
del primo Novecento stato pure un regista pedagogo. Nessun sistema, al-
la sua scuola. In oltre trentanni di attivit, aveva infatti spiegato nellincipit
della sua lectio magistralis, pronunciata in occasione del conferimento della lau-
rea ad honorem in Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo, presso
lUniversit di Bologna, nel 1999, mi capitato in pi di una circostanza di
dichiarare di non essere a differenza di altri miei colleghi del passato e del
presente un regista-teorico: come spesso mi sono trovato ad osservare nel
corso di interviste, dibattiti o altri appuntamenti, argomentava ancora, il mio
lavoro non nasce dallapplicazione di una teoria e nemmeno amo teorizzare
a posteriori su di esso o sul teatro ho come limpressione, infatti, che se lo
facessi non sarei pi in grado di cimentarmi in quelloperazione sempre nuova
che la messa in scena di un testo.6 Nessun sistema, dunque, per il Ronconi

5. C.E. Gadda, Lingua letteraria e lingua delluso (1942), ora in Opere di Carlo Emilio Gadda,
iii. Saggi giornali favole e altri scritti, a cura di L. Orlando, C. Martignoni, D. Isella, Milano,
Garzanti, 1991, vol. i, p. 491.
6. Testo trascritto da un frammento della registrazione video della lectio magistralis tenuta
da Ronconi a Bologna in occasione del conferimento della laurea ad honorem in Discipline delle

13
CLAUDIO LONGHI

maestro, ma solo sulle tracce di Goethe una sana e delicata empiria.7 In


mancanza di un paradigma metodologico preordinato da consegnare al discen-
te, il costante sforzo di Luca, nelle sue lezioni, era infatti quello di trasmette-
re allallievo un ethos: quello stesso comportamento appreso decenni prima
in Accademia nei corsi del grande Orazio Costa, ossia larte di scartocciare le
patate. Ronconi non insegna le regole della recitazione, ma costringe i gio-
vani a confrontarsi con la loro siepe, il testo, per liberare le potenzialit in-
finite dellinterpretazione lultimo orizzonte della loro arte , in un corpo
a corpo selvaggio che non esclude nessun colpo basso. In un simile approccio
alla didattica smaccatamente laboratoriale di un laboratorio che riflesso
dellantica officina laula soltanto laltra faccia del palcoscenico e il palco-
scenico dellaula, le lezioni sono prove e le prove sono lezioni, ogni spettacolo
un po un saggio e ogni saggio in fondo uno spettacolo. Dai primi corsi
in Accademia dei tardi anni Sessanta, vivaio dei giovani interpreti dellOrlan-
do e di Orestea, alla scuola per attori fondata a Torino nel 1991 come palestra
di nuovi interpreti per il Teatro Stabile, dai corsi di perfezionamento romani,
propedeutici a Verso Peer Gynt o a Questa sera si recita a soggetto, gi gi fino
allisola felice di Santa Cristina, la scuola/centro teatrale da lui creata nel 2002
insieme a Roberta Carlotto, la pedagogia di Ronconi si salda perfettamente
con la sua prassi di metteur en scne e, messa in scena dopo messa in scena, ge-
nerazioni di attori dalla gi ricordata Marisa Fabbri a Mariangela Melato o a
Franco Branciaroli, da Franca Nuti a Massimo De Francovich o ad Annama-
ria Guarnieri, da Giovanni Crippa a Paolo Pierobon, da Maria Paiato a Fran-
cesca Ciocchetti o a Fausto Russo Alesi hanno affinato nel lavoro con Luca
i loro mezzi espressivi, talvolta in un gioco di mutuo e fecondissimo scambio
tra compagni di strada, talaltra in un durissimo tirocinio condotto sotto la sua
vigile sorveglianza, cos come altre generazioni di attori da Gabriella Zam-
parini a Mauro Avogadro o a Riccardo Bini, da Massimo Popolizio a Galatea
Ranzi, da Manuela Mandracchia a Raffaele Esposito o a Simone Toni si so-
no formate proprio sotto la sua guida.
In ultimo, al di l del sacro temenos dellesperienza estetica, la dialettica
siepe/orizzonte orienta pure la carriera di Ronconi come amministratore
della cosa pubblica. Dopo i sogni postsessantotteschi della cooperativa Teatro
Libero, e intercalate alle tante esperienze da regista free lance da lui maturate,
la direzione della Biennale Teatro di Venezia (1974-1977), lavventura esal-

arti, della musica e dello spettacolo il 29 aprile 1999, presso laula absidale di Santa Lucia, http://
www.almanews.unibo.it/98_99/Ronconi/Mpg/Ro003.mpg (ultimo accesso: 8 aprile 2015).
7. Cfr. J.W. Goethe, Massime e riflessioni (1983), a cura di S. Seidel, introd. di P. Chiarini,
Milano, TEA, 1988, p. 136 (massima 565).

14
PER LUCA RONCONI

tante e grottesca del Laboratorio di progettazione teatrale di Prato, stritolato


dalle faide interne alla sinistra tra PCI e PSI (1976-1979), e a seguire la dire-
zione artistica del Teatro Stabile di Torino (1989-1994) e del Teatro di Roma
(1994-1998), fino allestrema stagione alla guida del Piccolo Teatro di Milano
al fianco di Sergio Escobar (1999-2015) sono altrettanti capitoli, spesso scrit-
ti a pi mani con collaboratori deccezione quali Paolo Antonio Radaelli o
Nunzi Gioseffi, di una critica serrata alla politica culturale nazionale, segna-
tamente di ambito teatrale, improntata a un netto rifiuto della ormai sempre
pi asfittica realt del modello milanese del teatro/servizio pubblico in vista
di una appassionata perorazione dellutopia del teatro/valore. Centrali, poi,
nella sua visione del sistema teatrale, la difesa dellidea di canone nazionale,
a dispetto di ogni localismo, esemplata sui grandi modelli doltralpe a partire
dalla Maison Molire, e la sua incessante ricerca di una compagnia permanen-
te, chiss se mai davvero voluta. Beffardo gioco del destino, o del caso, che
proprio il giorno delle sue esequie il MiBACT abbia comunicato la lista dei
nuovi Teatri Nazionali, figli del decreto cultura di Massimo Bray. A petto di
questa strana, appassionata militanza, tutta, per, giocata, si badi, tra le retro-
vie, senza mai spingersi allaperta presa di posizione, al braccio di forza con
il potere, sorge il legittimo sospetto che larcistrutturalista Ronconi, figlio di
De Saussure e Roland Barthes, coltivasse nel suo raggelato formalismo, appa-
rentemente alieno da ogni interesse civile, una vigile e fin quasi sovreccitata
sensibilit politica: fa riflettere che coi suoi spettacoli dal Candelaio, diretto
per la prima volta nel 1968 mentre soffiavano i venti della contestazione, agli
Ultimi giorni dellumanit, portati in scena alla vigilia dello scoppio della guer-
ra del Golfo nellinverno del 1990 Ronconi non abbia mai mancato un solo
vero appuntamento con la storia.
Un ragazzo favoloso, una siepe, linfinito Il teatro delladolescente Lu-
ca vive tra scatole o cataste di mobili la scatola gialla del Pasticciaccio, la sca-
tola bianca della Lehman Trilogy, le piramidi di tavolini e letti e trumeaux di
Memorie di una cameriera e porte. Sinistre intelaiature di porte, vuote come
le sbigottite orbite del teschio, o ante abbandonate, gettate alla rinfusa qua-
si in mucchi di cupi sarcofagi, o porte da ascensore, spalancate e sigillate er-
meticamente da silenziose coulisse. Porte come improvvisi varchi nella siepe,
aperture intermittenti affacciate sullinfinito, sullo spazio misterioso dellal-
trove. Forse il teatro di Luca anche questo: un vertiginoso e metafisico tea-
tro della morte. Daltronde lamico Sanguineti non aveva decretato che ogni
teatro un teatro anatomico?8 E cos, nella superficiale e piatta orizzontalit

8. E. Sanguineti, La philosophie dans le thtre (1992), ora in Id., Il gatto lupesco. Poesie (1982-
2001), Milano, Feltrinelli, 2002, p. 195.

15
CLAUDIO LONGHI

del suo ininterrotto tallonamento dellinfinito, Luca finisce con limprimere


una violenta svolta verticale alla sua scena. E il suo teatro scientifico, cinema-
tografico, in costante ricerca della sintonia col suo tempo, sempre chino su di
un presente-in-procinto-di-farsi-futuro, si ritrova improvvisamente un teatro
inattuale, antico quanto luomo.
Alla vigilia dello scoppio del secondo conflitto mondiale, Savinio annotava:
Il drammatismo ha bisogno di speciali condizioni mentali limitazioni men-
tali, ostacoli mentali; e il nostro tempo ha abolito tutte le limitazioni mentali,
ha abbattuto tutte le barriere mentali n traccia rimane pi di quellineffabile
muro contro il quale urtava la mente delluomo e da quellurto sprizzava il
drammatismo come una negra scintilla.9 Proprio da queste pagine discende
Alcesti di Samuele, il triumphus mortis di Alberto De Chirico, diretto da Ronco-
ni, per il Teatro di Roma, nel 1999.
La sera del 21 febbraio scorso, Luca uscito di scena, ma non se ne an-
dato. ancora l, col suo consueto passo felpato ed elegante di flneur del te-
atro, e scivola, secondo i suoi ben noti tracciati ortogonali, di porta in porta,
a raccontarci, attraverso la memoria dei suoi incredibili spettacoli, dei segreti
della scena e dei misteri dellarte rappresentativa. Resta ancora con noi (e ci
auguriamo per sempre), come gli algidi e umanissimi titani della Lehman Tri-
logy, la sua ultima fatica.

Monday Lunch

Intorno al tavolo
tavolo di cristallo
cristallo lungo quanto tutta la stanza
sulle poltrone nere
sembra il lunch del luned
anche se notte
anzi
fra poco
lalba.

Dentro la stanza, il silenzio regna.

Sei uomini anziani.


Aspettano la notizia.10

9. A. Savinio, Nuova enciclopedia (1977), Milano, Adelphi, 19914, pp. 122-123 (voce
Dramma).
10. Massini, Lehman Trilogy, cit., Parte terza. Limmortale, p. 325.

16
Sara Mamone

DRAMMATURGIA DI MACCHINE
NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO.
IL TEATRO DEGLI UFFIZI DA BUONTALENTI AI PARIGI*

1. La recente scoperta di un manoscritto di Joseph Furttenbach, architetto


tedesco a lungo residente in Italia nella sua fase di formazione, allievo dellacca-
demia di Giulio Parigi e testimone diretto dello spettacolo del 1608 nel teatro
degli Uffizi, d loccasione per ripensare lintera vicenda della scena medicea1
alla luce di quella preziosa testimonianza consuntiva che rivela dettagliata-
mente i meccanismi di funzionamento della complessa macchineria fiorentina.
La pratica teatrale fiorentina si caratterizza precocemente non solo come
messa a punto di un organismo drammaturgico che nasce dal recupero della
drammaturgia antica ma anche come il proseguimento di una linea romanza
che accompagna la drammatizzazione dei momenti salienti del calendario li-
turgico attraverso la messa in evidenza degli episodi pi evocativi ed emozio-
nanti, quali lAnnunciazione, il Natale, lAscensione, ecc.
Questa spettacolarit romanza,2 a Firenze pi che altrove, si vale delle com-
petenze di unorganizzazione sociale fortemente incentrata sulla diffusione

*
Il 14-15 novembre 2014 Jan Lazardzig ed Hole Rler dellUniversit di Amsterdam han-
no organizzato un workshop focalizzato sulla scoperta da parte di Rler di un manoscritto
di Joseph Furttenbach; il codice (codex iconographicus 401 della Bayerische Staatsbibliothek
Mnchen) sar presto pubblicato sia nella versione originale in tedesco che nella versione in-
glese. Il presente saggio rielabora larticolo presentato in quelloccasione col titolo The Uffizi
Theatre: The Florentine Scene from Bernardo Buontalenti to Giulio and Alfonso Parigi e di prossima
pubblicazione inTechnologies of Spectacle. Knowledge Transfer in Early Modern Theater Cultures, a
cura di J. Lazardzig e H. Rler, Frankfurt a. M., Klostermann, 2016. Per ogni informazione
sul progetto: http://www.holeroessler.de/furttenbach.html.
1. Strumento imprescindibile dinformazione resta Il luogo teatrale a Firenze. Brunelleschi
Vasari Buontalenti Parigi, catalogo della mostra a cura di M. Fabbri, E. Garbero Zorzi, A.M.
Petrioli Tofani, introd. di L. Zorzi [ordinatore] (Firenze, 31 maggio-31 ottobre 1975),
Milano, Electa, 1975.
2. Cfr. L. Zorzi, Il teatro e la citt. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, pp. 48 n.-
54 n.; 170 n.-174 n. Si vedano anche le riflessioni di S. Mazzoni, Ludovico Zorzi. Profilo di uno stu-
dioso inquieto, Drammaturgia, xi / n.s. 1, 2014, pp. 9-137, in partic. p. 93 e relativa bibliografia.

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 17-43


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18359
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
SARA MAMONE

dei saperi tecnologici e dellimpiego precoce di ingegneri e architetti civili


nella ricaduta della rappresentazione religiosa. Questa pratica aveva permes-
so la sperimentazione di tecniche di scena maturate attraverso la competenza
e lesperienza acquisite quotidianamente nel campo della tecnologia muraria,
meccanica, nella pratica e nellesercizio di quegli antichi mestieri (dei funa-
ioli, legnaiuoli, scalpellini, doratori, fabbri; ma anche polveristi, bombardie-
ri) che avevano da tempo costituito i fondamenti di uneconomia cittadina e
rappresentato i campi di sperimentazione di attivit artigianali di livello non
inferiore alle arti maggiori.3 Cos che, quando la maturazione umanistica
recuperer lidea del teatro antico e la sua drammaturgia, questa trover im-
mediatamente linnesto dei saperi tecnologici nel nuovo tessuto spettacolare.
Nel XV secolo limpiego di maestranze artistiche del calibro di Masolino e di
Filippo Brunelleschi, per aumentare il prestigio delle pi famose chiese del-
la citt in occasione delle celebrazioni rituali, crea un terreno fertilissimo di
competenze che potranno essere messe in campo nel secolo successivo al ser-
vizio di unideologia umanistica e signorile fondata sulla restituzione dellanti-
co funzionale alle esigenze di una nuova classe dirigente. Nel corso del primo
trentennio del Cinquecento il patrimonio mitologico stato convertito come
base di autorizzazione per le prese del potere signorili e limmenso patrimonio
reinventato a scopi politici e autorappresentativi: il teatro assolve alla funzione
primaria di esibire le capacit di governo della nuova aristocrazia. La base di
questo nuovo modo di rappresentare affonda perci le sue radici proprio nella
lunga sperimentazione tecnologica delle sacre rappresentazioni.4

3. A.M. Testaverde, Lofficina delle nuvole. Il teatro mediceo nel 1589 e gli Intermedi del Buontalenti
nel Memoriale di Girolamo Seriacopi, Musica e teatro. Quaderni degli amici della Scala, vii, 1991,
11-12, p. 71. Per una proficua integrazione documentale: T. Pasqui, Libro di conti della commedia.
La sartoria teatrale di Ferdinando I de Medici nel 1589, prefaz. di A.M. Testaverde, Firenze, Nicomp,
2010. Per le competenze tecnologiche e luso della macchineria nelle rappresentazioni religiose
a partire dalla fine del XIII secolo si veda N. Newbigin, Feste dOltrarno. Plays in Churches in
Fifteenth-Century Florence, Firenze, Olschki, 1996. Limitatamente a una istituzione fiorentina di
lunga durata si veda anche A.M. Evangelista, Lattivit spettacolare della compagnia di San Giovanni
Evangelista nel Cinquecento, Medioevo e Rinascimento, xviii/n.s. xv, 2004, pp. 299-366.
4. Si veda a mo di esempio levoluzione di una tra le figurazioni macchinistiche di pi
vasta applicazione: la nuvola che, evidente tramite tra la terra e il cielo, fa da supporto per le
ascensioni nelle rappresentazioni sacre e, procedendo con laiuto di una tecnologia sempre pi
complessa, diviene elemento portante di molta simbologia barocca nella quale al Salvatore e ai
Santi delluniverso cristiano si sostituiscono gli dei della mitologia, tramite a loro volta delle fi-
gurazioni autorappresentative dei nuovi poteri signorili. Cfr. S. Mamone, Les nues de lOlympe
la scne: les dieux au service de leglise et du prince dans le spectacle florentin de la Renaissance, in Images
of the Pagan Gods, a cura di R. Duits e F. Quiviger, London, The Warburg Institute, 2009, pp.
329-366. Per la sacra rappresentazione v. ora P. Ventrone, Teatro civile e sacra rappresentazione a
Firenze nel Rinascimento, Firenze, Le Lettere, 2016.

18
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

Senza soluzione di continuit si arriva quindi alla pratica macchinistica sul


palcoscenico che, accogliendo con circa un secolo di ritardo il suggerimento
brunelleschiano del luogo di rappresentazione unitario rispetto al fraziona-
mento dei luoghi deputati, di fatto crea le basi del teatro cosiddetto moderno.
La concentrazione frontale del luogo dellazione rispetto al luogo della visio-
ne determina una netta rottura rispetto allitineranza degli spettatori e crea le
condizioni per la sperimentazione dello spazio privilegiato in cui organizzare
tutti gli elementi dellazione scenica.
Assai precocemente in Firenze si determina un diverso interesse per lalle-
stimento dei testi drammatici rispetto a quei momenti di intrattenimento che
possiamo comprendere nella definizione di intermedio e che divennero ben
presto la forma privilegiata dal pubblico, e quindi della magnificenza auto-
rappresentativa del signore committente, e la miglior palestra per le esibizioni
delle competenze tecnologiche dei suoi artisti-apparatori.
Nella rappresentazione del 1539 nel secondo cortile di palazzo Medici per
le nozze di Cosimo con Eleonora di Toledo compariva nel cielo unAurora
con alle spalle la macchina del Sole che durante lo spettacolo si muoveva dan-
do lillusione dello scorrere del tempo.5 Linvenzione di Bastiano da Sangallo
verr poi ripresa nel 1542 dallallievo Giorgio Vasari nellesportazione a Ve-
nezia de La Talanta messa in scena da una compagnia della Calza.6 Ancora da
studiare gli episodi relativi agli allestimenti nella sala del Papa del convento
di Santa Maria Novella, sede dellaccademia Fiorentina (Il furto di Francesco
dAmbra nel 1544, La gelosia del Lasca nel 1550) e le prime prove nel salone dei
Cinquecento di palazzo Vecchio, diventato residenza della famiglia regnante
(I bernardi di Francesco dAmbra nel 1548 e La gioia di Giovanni da Pistoia nel

5. [] ordin [Bastiano da Sangallo] con molto ingegno una lanterna di legname a uso
darco dietro a tutti i casamenti [della scena prospettica che rappresentava Pisa], con un sole alto
un braccio, fatto con una palla di cristallo piena dacqua stillata, dietro la quale erano due torchi
[torce] accesi, che la facevano in modo risplendere, che ella rendeva luminoso il cielo della scena
e la prospettiva in guisa, che pareva veramente il sole vivo e naturale; e questo sole [] avendo
intorno un ornamento di razzi doro che coprivano la cortina, era di mano in mano per via di
un arganetto tirato con s fattordine che a principio della commedia pareva che si levasse il sole,
e che salito in fino al mezzo dellarco scendesse in guisa, che al fine della comedia entrasse sotto
e tramontasse (G. Vasari, Le vite de pi eccellenti pittori, scultori ed architettori, in Le opere di Giorgio
Vasari, con nuove annotazioni e commenti di G. Milanesi, Firenze, Sansoni, 19062, to. vi, p.
442, Vita di Bastiano detto Aristotile da San Gallo).
6. Cfr. ivi, pp. 223-226; e v. G. Scocchera, Il programma e lapparato. Contributi allo studio
dellallestimento della Talanta, in Antropologia e Transculturalismo. Roma e Venezia nel Rinascimento,
Teatro e storia, x, 1995, 17, pp. 365-402; da integrare, anche per la bibliografia, con L.
Vallieri, Prospero Fontana pittore-scenografo a Bologna (1543), Drammaturgia, xi / n.s. 1, 2014,
pp. 347-368: 354 e nota 34.

19
SARA MAMONE

1550). Precedente al 1552 (anno di pubblicazione) una strabiliante descrizio-


ne di Anton Francesco Doni riferita a un allestimento teatrale:

udi dire duna comedia, la quale aveva avuto bellissimi intermedii. Il primo fu che
il palco salz e sotto vapparve una fucina di Vulcano; e al batter dei martelli su-
diva (e non si vedeva altro che gli uomini nudi che linfocato strale battevano) una
mirabil musica, dopo la quale si richiuse il palco. Dicevano ancra che al secondo
atto, essendo la scena sopra un perno che si voltava a poco a poco, che appena sac-
corsero le brigate che la si volgesse, vi si vedde un teatro pieno di popoli e nel luogo
del palco una battaglia dalcune barchette in acqua, che facevano stupire in quella
gran sala tutti gli udienti. Fu al terzo atto chiusa Venere e Marte sotto la rete con
una musica damori concertata con variati strumenti ascosti, che larmonia cavava i
cuori dei petti per dolcezza alle persone. Al quarto atto dissero i galanti uomini che
saperse il cielo e si vidde tutti gli dei a convito splendidissimo e ricco e tanto orna-
to doro, argento, vestimenti, ornamenti e gioie, che pareva impossibile essersi gli
uomini imaginati tanta pompa: nel qual convito sudirono molte sorte di concer-
ti di musiche allegre e divine. Al quinto atto gli dei di cielo, di terra, di selve e di
mare, con le ninfe loro, fecero su la scena diverse e mirabili danze. [] E univano
gli atti, i salti, i passi, e ciascuno altro moto con le parole dei canti, che parte erano
di sopra, parte dietro alle prospettive, e parte sotto terra. Nel cielo sudivano stor-
te, violini, cetere, cembanelle, arpicordi, flauti, cembali e voce di fanciulle; in terra
violoni, liuti, clavicembali, viole a braccio e voci di tutte le parti; sotto terra sona-
vano tromboni, cornetti senza boccuccio, flauti grossi, e a voce pari, tutti i canti:
talmente che queste musiche e questi intermedi furon giudicati pi stupendi che si
potesser far mai e che mai fosser fatti.7

Questa descrizione della commedia con bellissimi intermedii che, per la


complessit macchinistica, avevo sempre trascurato ritendendola pi frutto di
fantasia che reale descrizione di un evento, deve invece essere attentamente
studiata, alla luce di molte nuove acquisizioni che tendono ad anticipare cro-
nologicamente limportanza anche tecnologica degli intermezzi8 nelleconomia
complessiva della rappresentazione. Dovremo quindi registrare gi a questal-
tezza molte delle invenzioni che percorreranno come topoi lintera vicenda del
teatro illusionistico: innalzamento del palco e visione della Fucina di Vulcano,
rotazione totale della scena su perni e apparizione prima di una folla poi di
una piccola battaglia navale; gli Amori di Venere e Marte; lapertura del cie-
lo e lapparizione del convito degli dei; la discesa degli dei tra danze e canti

7. In Opere di Pietro Aretino e di Anton Francesco Doni, a cura di C. Cordi, Milano-Napoli,


Ricciardi, 1976, to. ii, pp. 705-706.
8. Si ricordi il caso studiato da Vallieri, Prospero Fontana pittore-scenografo a Bologna (1543),
cit., in partic. pp. 359-361.

20
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

e, non ultima, la disposizione orchestrale degli strumenti musicali tra Cielo,


Terra e Inferi con luso del sottopalco.
stata avanzata lipotesi9 che la stupefacente descrizione possa riferirsi a un
allestimento relativo proprio a uno di questi spettacoli dellaccademia Fioren-
tina e, realisticamente, alla prova matura di uno dei suoi pi illustri membri,
appunto quel Giorgio Vasari che, fatte le prime esperienze come allievo di
Sangallo, si avviava in quegli anni a essere il pi stretto collaboratore del gran-
duca Cosimo, pronto per le successive prove degli spettacoli dinastici in occa-
sione delle nozze del reggente Francesco con Giovanna dAustria. La cofanaria
del 1565, nel salone dei Cinquecento in palazzo Vecchio, fu infatti spettacolo
cardine anche dal punto di vista della maturazione del luogo dello spettacolo
e delle sue dotazioni scenotecniche.10 Fu anche la precoce prova di un ribalta-
mento nella gerarchia dei valori spettacolari nei quali la commedia rappresen-
tata diventer di fatto secondaria rispetto allimpegno degli intermezzi che,
significativamente, saranno sei, incorniciando quindi i cinque atti e avendo
perci il ruolo cardine nella gerarchia della ricezione degli spettatori, aprendo
e chiudendo lintero allestimento. Giova qui ricordare come i sei intermezzi
tra gli atti fossero legati da un filo conduttore unitario (premessa gi matura
per levoluzione nelle forme del melodramma): la favola di Amore e Psiche.
Dalla descrizione che ne fa il Lasca11 il i intermedio si apre con la discesa
di una nuvola su cui siede, su un carro trainato da due cigni e tempestato di
gemme, Venere, accompagnata dalle tre Grazie e dalle Quattro Stagioni. Nel-
la discesa il carro si allontana dal consesso degli dei celesti che restano al loro
posto cantando soavemente mentre tra i cinque sensi anche lolfatto viene se-
dotto da profumatissime essenze vaporizzate nellaria. Anche Amore entra in
scena scortato dalle personificazioni della Speranza, del Timore, dellAllegria
e del Dolore; accettato linvito materno a far innamorare Psiche di un amo-

9. Cfr. A.M. Testaverde, Teorie e pratiche nei progetti teatrali di Giorgio Vasari, in Percorsi
vasariani tra le arti e le lettere. Atti del convegno di studi (Arezzo, 7-8 maggio 2003), a cura di M.
Spagnolo e P. Torriti, Montepulciano (Si), Le Balze, 2004, pp. 63-75, in partic. 66-67.
10. Per la descrizione della sala teatrale e del palcoscenico allestito verso il lato nord del
salone stesso, oltrech per la descrizione dellapparato di sala e per la scena prospettica, resta
basilare la relazione di Domenico Mellini: Descrizione dellapparato della comedia et intermedii
dessa; recitata in Firenze il giorno di S. Stefano lanno 1565 nella gran sala del palazzo di sua eccellenza
illustrissima nelle reali nozze dellillustrissimo et eccellentissimo signore il signor don Francesco Medici
principe di Fiorenza, et di Siena, et della regina Giovanna dAustria sua consorte, Firenze, Giunti,
1566. Si vedano anche le considerazioni di Anna Maria Testaverde nel saggio qui presentato
alle pp. 45-69.
11. Cfr. Anton Francesco Grazzini detto il Lasca, Descrizione deglintermedii rappresen-
tati colla commedia nelle nozze dellillustrissimo, ed eccellentissimo signor principe di Firenze, e di Siena,
Firenze, s.n.t., 1566.

21
SARA MAMONE

re umano, Cupido se ne esce di scena lanciando saette amorose tra il pubbli-


co mentre il carro di Venere riguadagna il cielo con movimento ascendente.
Nel ii intermedio le quattro aperture praticabili, che per uso de recitanti
serano nella scena lassate,12 vedono lentrata di Zefiro, della Musica, del Gio-
co, del Riso e di vari Amorini inneggianti alla bellezza di Psiche che aveva
fatto innamorare Amore stesso.
Nel iii parve [] quasi che il Pavimento della Scena in sette piccioli Mon-
ticelli sandasse alzando; onde si vide a poco, a poco uscire prima sette, e poi
settaltri Inganni,13 mentre nel iv i monticelli vengono riassorbiti in sette pic-
cole voragini da cui escono la Discordia, lIra, la Crudelt, la Rapina, la Ven-
detta e due Antropofagi che, affiancati da due personificazioni del Furore con
armi che celavano strumenti musicali, avrebbero accompagnato la moresca di
chiusura datto.14
Il v intermedio, piuttosto complesso, diviso in due parti. La prima ac-
compagna il canto di Psiche, oppressa dalla Gelosia, dallInvidia, dalla Pre-
occupazione e dallo Scorno che suonano meravigliosamente quattro violoni
i cui archetti paiono trasformati in serpi.15 La seconda mutazione contempla
lapertura del palco con lapparizione dellinfernal cerbero e appresso con
diversi Monstri si vide apparire Caronte con la sua barca16 sulla quale Psiche
fece la sua uscita di scena.
Lultimo intermedio felicemente pacificatore e contempla unulteriore
apertura del sottopalco da dove si vede in un tratto uscire un verdeggiante
Monticello tutto dAllori, e di diversi fiori adorno, il quale avendo in cima
lalato Caval Pegaseo, fu tosto conosciuto essere il Monte dElicona.17 Psiche
e Amore, finalmente ricongiunti e pacificati con Venere, scendono le pendici,
accompagnati dal corteggio festoso di Amorini, Zefiro, Pan e Imeneo, e po-
nendo fine allo spettacolo con un nuovo et allegrissimo ballo.18
Risulta ormai assestata la macchina scenica con movimenti complessi che
stabiliranno a grandi linee il canone macchinistico del futuro. Sono presenti
dispositivi ascendenti e discendenti: tra essi la nuvola del i intermedio (che in
realt apre lo spettacolo a mo di prologo). Viene usato il sottopalco con ef-
fetti illusionistici: i monticelli che emergono e le corrispondenti voragini che
si inabissano, lapparizione di Cerbero tra fuoco e fiamme e Caronte con la

12. Ivi, p. 7.
13. Ivi, pp. 8-9.
14. Cfr. ivi, p. 10.
15. Cfr. ivi, p. 12.
16. Ivi, p. 13.
17. Ibid.
18. Ivi, p. 14.

22
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

sua barca. A sigillo dellintero spettacolo, il monte Elicona sale dal sottopalco
con in cima lalato Pegaso. Sar questa limmagine topica che si affermer in
seguito divenendo il vero e proprio simbolo dellintera macchineria del tea-
tro barocco insieme allo sperimentato ingegno delle nuvole. Si segnala gi
qui19 lintervento tecnico del giovane Bernardo Buontalenti per le macchine
pi complesse, relative alla costruzione del cielo (a uso di mezza Botte con
cortine di legname, tutto coperto di tele et dipinto con aria piena di nuvole,
che girava in tondo, secondo che faceva tutta la Scena)20 e la messa in opera
dei tirari del Cielo cio linsieme della macchineria verticale (salite, discese
e, di l a poco, anche il virtuosistico movimento in diagonale). La macchina
delle nuvole ospita gi in questa occasione quella moltitudine di dei celesti
che diverr vero e proprio marchio del grande architetto fiorentino, nonch
banco di prova per tutti gli scenotecnici a venire. Di questo episodio, che si
segnala sempre pi come prototipico, va inoltre sottolineata linvenzione del
retropalco,21 cio lorganizzazione del complesso degli spazi destinati alla-
zione che consente di razionalizzare la gestione degli impianti macchinistici
e funzionali. Questo nuovo assetto segna anche la definitiva separazione tra
gli spazi dellazione e quelli della visione. Altro elemento pionieristico la di-
sposizione strumentale in cui si precisa la distinzione tra gli strumenti ap-
parenti e quelli non apparenti, cio nascosti, destinati a rivestire un ruolo
sempre pi rilevante nel meccanismo illusionistico. Nel v intermedio, opera
dello Striggio, le allegorie della Gelosia, dellInvidia, della Preoccupazione e
dello Scorno, raccolti da terra quattro Serpenti, che di essa si videro mara-
vigliosamente uscire22 e nei quali erano congegnati quattro violoni, perco-
tendoli con verghe spinose che nascondevano gli archetti, accompagnarono
il mesto canto di Psiche con tanta maestria che si vide trarre a pi duno le
lagrime da glocchi.23 Nel 1569 in occasione della visita dellarciduca Carlo
dAustria, fratello della granduchessa, i sei intermezzi de La vedova replicano
la complessit scenotecnica gi sperimentata nello stesso salone dei Cinque-
cento. In particolare il consesso finale degli dei conferma lavvenuto conso-
lidamento del topos.

19. Si veda al proposito A.M. Testaverde, Informazioni sul teatro vasariano del 1565 dai registri
contabili, in Per Ludovico Zorzi, a cura di S. Mamone, Medioevo e Rinascimento, vi/n.s. iii,
1992, pp. 83-95: 92-93.
20. Mellini, Descrizione, cit., p. 9.
21. Cfr. Zorzi, Il teatro e la citt, cit., p. 105.
22. Il Lasca, Descrizione, cit., p. 12.
23. Ibid. E v. le riflessioni di G. Guccini, Loci sonori: i comici e linvenzione del melodramma,
in Drammaturgie dello spazio dal teatro greco ai multimedia, a cura di S. Mazzoni, Drammaturgia,
x, 2003, 10, pp. 141-200: 185 ss.

23
SARA MAMONE

Dopo una lunga e complessa fase di incertezza, la ricchezza delle compe-


tenze scenotecniche, applicate a un uso ormai maturo dellorganismo dram-
maturgico anche nella sua valenza musicale, porta lesperienza fiorentina alla
sintesi del patrimonio tecnologico della scena e quindi al successivo passo del-
la messa a reddito di questi saperi nella razionalizzazione patrimoniale di un
edificio apposito. Accanto ai contenuti, che resteranno neoplatonici per evi-
denti ragioni di autocelebrazione, il nuovo teatro degli Uffizi sancir anche il
definitivo trionfo tecnologico di un pragmatico modello.24 Toccher comun-
que a Bernardo Buontalenti portare a compimento nel 1586 la laboriosa fase
di strutturazione e destinazione degli spazi del complesso voluto da Cosimo,
progettato inizialmente da Vasari e destinato principalmente alla efficienza del
funzionamento amministrativo. Le complesse questioni riguardanti la sala, le
sue evoluzioni e le differenti attribuzioni di paternit sono trattate in questa
stessa sede editoriale da Anna Maria Testaverde.25

2. La nuova sala razionalizza comunque le esigenze di questa matura sce-


notecnica e, a partire almeno dalla met degli anni Ottanta, consolida defini-
tivamente questa destinazione. Loccasione fu data nel 1586 dalla emulazione
dinastica nei confronti della corte estense grazie al matrimonio di Virginia de
Medici (sorella del granduca) con Cesare dEste. La commedia (Lamico fido di
Giovanni de Bardi) non riveste pi alcuna importanza, schiacciata dalla novit
dellapparato e soprattutto dalla ricchezza degli intermedi sempre pi afferma-
to nel gradimento del pubblico. A ben guardare per la novit risiede, oltre
che nellaspetto scenotecnico, anche nelle possibilit fornite dalla stanzialit.
Un attento esame della macchineria inventata e posta in essere a Firen-
ze negli episodi fin qui citati a partire dal 1539 mostra come venga messa in
campo la tecnica della variatio pi che della vera e propria invenzione. S che
possiamo ipotizzare che la complessa macchineria registrata da Joseph Furt-
tenbach nel gi citato manoscritto inedito sia in realt testimonianza anche
di una tradizione precedente ai raggiungimenti scenotecnici da lui descritti e
successivamente messi a frutto. Avremmo cos non solo la preziosa descrizio-
ne dello spettacolo del 1608 ma la storicizzazione di oltre un sessantennio di
storia scenotecnica. Le macchine descritte dal Doni ante 1552 gi vedono in
scena la fucina di Vulcano, le apparizioni del mare, il convito degli dei in cielo,

24. Cfr. S. Mamone, Il risparmio e lo spreco sotto lo sguardo di Callot, in Id., Di, semidei, uo-
mini. Lo spettacolo a Firenze tra neoplatonismo e realt borghese (XV-XVII secolo), Roma, Bulzoni,
2003, pp. 149-168. Diverso il caso degli aristocratici Olimpici e del loro struggente sogno di
restituzione dellantico: v. S. Mazzoni, LOlimpico di Vicenza: un teatro e la sua perpetua memoria
(1998), Firenze, Le Lettere, 20102.
25. Cfr. qui pp. 45-69.

24
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

la spettacolare macchina ascendente con il monte Elicona e in cima il cavallo


alato Pegaso, gli intermezzi non apparenti, la rotazione su perno. Lapparato
del 65 conferma le tipologie: il movimento simmetrico ascendente e discen-
dente sotto il piano del palco (monticelli che si trasformano in voragini), lIn-
ferno, la salita del monte Elicona.
Il metodo operativo creato dal Buontalenti per la messa in scena sperimenta
una maggior capienza della soffitta del teatro mediceo rispetto agli ambienti
costruiti per il palcoscenico del teatro vasariano nel salone dei Cinquecento.
Ci consent di accrescere la consistenza numerica delle macchine-nuvole sul
palcoscenico degli Uffizi. Nella successiva prova del 1589 le nuvole divente-
ranno ben sette stabilendo cos il prototipo che permarr per tutta la vicenda
scenotecnica del teatro barocco recepita, a livello trattatistico, sia da Furttenbach
che da Sabbatini,26 confermando la tipologia ormai canonica delle scene: il
consesso degli dei in cielo; linferno aperto; la gran macchina del giardino; la
scena di mare col carro di Nettuno; la scena di nuvole col carro discendente
di Giunone; il coro di pastori e pastorelle.
La maggior parte delle trovate scenotecniche affidata alla praticabilit del
piano del palco provvisto di botole e di canali di scorrimento. Ma linnova-
zione pi rilevante legata al potenziamento delle macchine, in particolare
quelle delle nuvole che aumentano anche la loro capienza potendo reggere cos
presenze di attori e cantori sempre pi numerose. Le potenzialit del palcosce-
nico vengono sfruttate appieno solo nellepisodio del 1589 per gli intermezzi
della Pellegrina in occasione delle nozze del granduca in carica, Ferdinando,
con Cristina di Lorena. Si tratta di un radicale intervento di ristrutturazio-
ne che mira a rendere permanente il teatro di corte consentendo parimen-
ti allarchitetto di ottimizzare le sperimentazioni scenotecniche. La soluzione
viene trovata aumentando la profondit del palcoscenico ampliato di circa 5
braccia (da m. 11,60 a m. 14,50).27 Come conseguenza si riorganizz anche il
piano28 predisponendolo con un numero di aperture e canali di scorrimento
maggiore che consentissero la messa in valore delle macchine saglienti, e di-

26. Cfr. J. Furttenbach, Newes itinerarium Italiae [], Ulm, Saur, 1627; Id., Architectura ci-
vilis, Ulm, Saur, 1628; Id., Architectura recreationis [], Augsburg, Schultes, 1640; Id., Mannhaffter
Kunst-Kunst-spiegel [], Augsburg, Schultes, 1663; N. Sabbatini, Pratica di fabricar scene e machine
ne teatri (1638), con aggiunti documenti inediti e disegni originali a cura di E. Povoledo,
Roma, Bestetti, 1955.
27. Cfr. Testaverde, Lofficina delle nuvole, cit., pp. 82, 91-92.
28. Da rilevare anche la complessit dellassetto delle stanze di servizio: stanze dei pittori,
stanza delle acconciature, le stanze dei costumi, la stanza dei doratori, la dispensa (la stanza buia
con derrate per lallestimento dei rinfreschi per i musici e per gli accademici, ecc.; cfr. ivi, p. 93).

25
SARA MAMONE

scendenti dal Cielo, passanti per laria, e uscenti di sotto l palco.29 Parimenti
si rese funzionale la verticalit dello spazio creando una partizione strutturale
che consentisse la praticabilit di un livello di soffitta che verr chiamato Pa-
radiso e che avr varie funzioni. Tra queste quella del ricovero delle macchi-
ne in riposo e del loro funzionamento nel corso dellazione. Saranno appunto
queste le macchine discendenti del Cielo.30
Nel 1991 Anna Maria Testaverde ha pubblicato il Memoriale di Girolamo
Seriacopi, nel quale il provveditore alle fortezze medicee registrava tutti gli
interventi, gli acquisti, e gli ordini relativi alla trasformazione del teatro di
corte. La studiosa aveva suggerito il nome di Furttenbach31 come possibile te-
stimone di un assetto della sala non troppo dissimile da quello di questo 1589.
Effettivamente, in base alle recenti acquisizioni e nel raffronto con i dati for-
niti dal Seriacopi, le indicazioni dellarchitetto tedesco (esplicitamente riferi-
bili al 1608 e anche ad allestimenti successivi) possono estendere il loro valore
testimoniale rebours fino a quella esperienza.
Laumento della volumetria consente lintroduzione contemporanea di mec-
canismi in movimento articolati su tre livelli: la compresenza sia di strutture
aeree, sia di strutture mobili a terra, sia di quelle ascendenti dal sottopalco. Lo
stupore registrato dagli spettatori e dai cronisti il frutto della razionalizza-
zione delle funzioni complesse di questa nuova macchina scenica.
Forse pi ancora della stupefazione illusionistica vale la pena ricordare qui
il dato materiale dellorganizzazione meccanica che la rende possibile e che
risponde appieno allinnovazione buontalentiana nella tradizione tecnologica
fiorentina. Tante macchine, e della grandezza [] che noi diremo, si possano
esser vedute uscir di terra, e irsene al Cielo, e venire in terra, e attraversare in
qua, e n l quella scena, e sempre cariche di persone, commenta il relatore
ufficiale De Rossi.32
La lunga fase organizzativa mette a disposizione dellartista un bacino di
duecentocinquanta macchinisti dai quali estrapolare volta a volta i circa cento
manovratori necessari. Questi vengono suddivisi in squadre che, coordinate
da caporali, vengono incaricate di svolgere rigorosamente i compiti assegnati
e lungamente messi a punto nelle prove. La suddivisione dei compiti orga-
nizzata nella razionalizzazione spaziale: nel i intermedio, ad esempio, ventidue

29. B. de Rossi, Descrizione dellapparato e deglintermedi fatti per la commedia rappresentata in


Firenze. Nelle nozze de serenissimi don Ferdinando Medici, e madama Cristina di Loreno, gran duchi di
Toscana, Firenze, Padovani, 1589, p. 17.
30. Per la definizione del Paradiso e il suo funzionamento v. Testaverde, Lofficina delle
nuvole, cit., pp. 94-98.
31. Rivedi nota 27.
32. De Rossi, Descrizione, cit., p. 34.

26
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

addetti sostano sui ballatoi perimetrali per la manovra dei canapi e dei con-
trappesi per due nuvole; nel sottopalco la squadra di cinque macchinisti, in-
caricati della manovra delle medesime nuvole, muove largano.33 Si conferma
quindi lassestamento tematico conseguente allassestamento macchinistico:
sette nugole allaperture, cinque delle quali si movevano, e se ne venivano in
terra, e due si rimanevan lassuso.34
Nel i intermedio, LArmonia delle sfere, si realizza un gioco complesso di
nuvole portanti, anche laterali, con la contemporanea apertura del cielo in
tre parti. Si materializza uno sfondo di cielo stellato cui seguono la spari-
zione delle sette macchine-nuvole e la contemporanea chiusura del cielo.
Il ii intermedio La contesa tra le Muse e le Pieridi composto di ben cinque fa-
si: la trasformazione della scena in giardino; lascesa dal sottopalco del monte
Parnaso su cui sono collocate le Ninfe Amadriadi; lapparizione di grotte a se-
guito della rotazione dei periatti; la metamorfosi a vista delle Pieridi in gazze;
la sparizione del monte nel sottopalco.
Il iii intermedio, La lotta tra Apollo e Pitone, articolato in quattro fasi: la
prima vede ad apertura di sipario un bosco e una caverna che accolgono lin-
gresso simmetrico laterale di cantori e ballerini; nella seconda fase si apre la
caverna e appare la testa del drago; nella terza la macchina del drago dispie-
ga le ali distese mentre simmetricamente il dio Apollo discende dal cielo; la
quarta fase articolata nel combattimento pantomimico tra il dio e il drago e
nella successiva uscita di scena degli abitanti.
Il iv intermedio, LInferno, assai complesso ma al contempo replica temati-
che gi trattate: su un carro trasportato da una nuvola che si muove orizzontal-
mente la maga evoca i demoni dellaria che scendono su una macchina-nuvola
che si apre a semicerchio mostrando il loro consesso ([] e arrivata al mezzo
saperse, e fecesi un semicircolo [] con maraviglia di chi la vide: e non so-
lamente potette nascer la maraviglia nel vedere cos gran macchina aprirsi in
aria, ma nel vederla cos carica di persone)35 e poi si richiude e risale in cie-
lo mentre il palco si riempie di scogli, dantri, caverne piene di fuochi.36 La
terza fase trasforma lo spazio scenico in mondo inferico: lateralmente il pian-
cito si riempie di altissime rocce mentre il palco sprofonda e simmetricamen-
te emerge lInferno con Lucifero dalle grandissime ali.37 Il meccanismo dello

33. La complessit della manovra descritta minutamente in Testaverde, Lofficina delle


nuvole, cit., pp. 93-101.
34. De Rossi, Descrizione, cit., p. 60.
35. Ivi, p. 50.
36. Ivi, p. 51.
37. Per la fortuna della macchina scenica di Lucifero e per la sua diretta influenza nellopera
grafica di Jacques Callot e conseguentemente per la diffusione della figurazione in ambito euro-

27
SARA MAMONE

sprofondamento e della simmetrica emersione ormai ben assestato, e riman-


da alluso del sottopalco con effetti illusionistici gi testimoniato dalla descri-
zione del Doni del 1552 e replicato nel 1565 con i monticelli che emergono
mentre le corrispondenti voragini si inabissano. Gi esibito anche il numero
dellapparizione di Cerbero dal sottopalco, tra fuoco e fiamme.
Il v intermedio si apre su una scena marina e ha come soggetto Anfitrite e
la nave di Arione. Si articola in due sequenze indipendenti: nella prima il pal-
co trasformato in mare; emerge Anfitrite su una conchiglia e dopo il canto
si immerge nelle acque col suo seguito. Appare subito in sequenza, ondeg-
giando in mezzo alla scena, una galea attrezzata di tutto punto bene armata,
e ben corredata38 e con la ciurma in assetto (di quaranta persone carica, se
ne venne ondeggiando in mezzo la scena, su la quale stette sempre in conti-
nuo moto);39 fatto un mezzo giro volta la prua e si pone di fronte al palco dei
principi, ammaina la vela in segno di reverenza mentre Arione, impersonato
da Jacopo Peri, suona divinamente e finito il canto si tuffa in mare, portato
quindi in salvo da un delfino.
Nel vi intermedio, che fa da sigillo allo spettacolo, Gli dei donano ai mortali lAr-
monia e il Ritmo. il gran finale con le sette macchine-nuvole in piena attivit a
portare sulla terra il consesso degli dei che si uniscono ai mortali in un ballo con-
clusivo. Non manca nessun artificio seduttivo tra fumi, profumi e piogge doro.
Non abbiamo altra notizia delluso del teatro degli Uffizi prima del gran-
de apparato per le nozze di Maria de Medici con Enrico IV di Francia nel
1600. Nel gran teatro si rappresenta Il rapimento di Cefalo di Gabriello Chia-
brera con musiche di Giulio Caccini e uno stuolo numerosissimo di interpreti
(pare fossero almeno cento). Dal punto di vista dellefficienza macchinistica
lepisodio rappresenta in qualche modo il punto di rottura nello sperimentali-
smo scenotecnico almeno per due ragioni: la prima va ricercata forse nel diffi-
cile adattamento reciproco delle complesse componenti (larmonizzazione dei
tempi dellesecuzione musicale e quelli dellesecuzione macchinistica); la se-
conda, a questa legata, sta forse nelleccesso di ardimento tecnologico tentato
da un apparato allestitorio granducale non in grado di opporsi allavventuri-
smo sperimentale del plenipotenziario del granduca, il fratello don Giovanni.40

peo, si vedano almeno le tavole delle Tentazioni di SantAntonio in cui lincisore lorenese, allora
testimone diretto e cronista grafico degli eventi spettacolari medicei, si rif senza ombra di dub-
bio alla figurazione teatrale. Cfr. almeno D. Ternois, Lart de Jacques Callot, Paris, De Nobel,
1962. Si veda anche S. Mamone, Loeil thatral de Jacques Callot, in Jacques Callot (1592-1635), a
cura di P. Chon e D. Ternois, Paris, Klincksieck, 1993, pp. 203-229.
38. De Rossi, Descrizione, cit., p. 57.
39. Ibid.
40. Sulla figura del principe e sul suo ruolo nella organizzazione spettacolare medicea, si

28
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

La pubblicistica ufficiale in questo caso si dimostra assai pi sobria del solito


lasciando alla descrizione dellincaricato Michelangelo Buonarroti jr losten-
sione della magnificenza spettacolare.41 La fonte resta fondamentale anche se
da leggersi pi come intenzionale che non correttamente cronistica. oppor-
tuno infatti riferirsi a voci meno tendenziose per avere chiara informazione
del non felice esito tecnologico: Per lapparato scenico e gli intermedi meri-
t molta lode, ma il modo di cantarla venne facilmente a noia, oltre che non
sempre il movimento delle macchine riuscito felice,42 cos testimonia il le-
gato pontificio Pietro Aldobrandini, confermando alcune difficolt di relazio-
ne espresse con ancora maggior perentoriet da Emilio de Cavalieri: Et se il
signor don Giovanni avesse voluto un poco di parere da me circa le musiche
della commedia, et anco da Bernardo sopra le cose appartenenti alle macchine
credo che ogni cosa saria restata terminata e finita, et le musiche sariano state
proporzionate al luogo e al teatro et sariano stati i danari spesi con pi soddi-
sfazione degli ascoltatori.43 Le puntuali indicazioni del Buonarroti sono co-
munque preziose per comprendere limportanza di questo allestimento come
cerniera tra il passato e il futuro, quasi intenzionale linea di demarcazione tra
una sperimentazione ardimentosa e una successiva pressoch seriale reiterazio-
ne di schemi: argomentare allor si potette, quello il sigillo dovere essere, che
chiugga la porta della magnificenza dogni spettacolo per lungo tempo. Imper
che nessun movimento di macchine cos traversanti circolarmente, e discen-
denti, e saglienti, come venenti inanzi, e chiudentisi per vari modi mancov-
vi, dismisurati pesi reggendo sopra.44 Interessante la piena valorizzazione del
backstage a conferma di quanto la tecnologia fosse diventata valore esibitorio:

veda S. Ferrone, Attori mercanti corsari. La commedia dellArte in Europa tra Cinque e Seicento (1993),
Torino, Einaudi, 2011, pp. 143-199 (Don Giovanni impresario).
41. Cfr. M. Buonarroti Jr, Descrizione delle felicissime nozze della cristianissima maest di
madama Maria Medici regina di Francia e di Navarra, Firenze, Marescotti, 1600 (cito dallesemplare
conservato presso listituto Warburg).
42. Diario del viaggio fatto dal cardinal Pietro Aldobrandini nellandare legato a Firenze per la cele-
brazione del sponsalizio della regina di Francia et in Francia per la pace, ms., Bibliothque Nationale
de Paris, Mss. Its. 1323, c. 37v.
43. La lettera di Emilio de Cavalieri al granduca Ferdinando, Roma, 7 ottobre 1600, ms.,
Archivio di stato di Firenze, Mediceo del principato, f. 899, cc. 415r.-417v., stata pubblicata per la
prima volta in A. Solerti, Laura Guidiccioni e Emilio de Cavalieri. I primi tentativi del Melodramma,
Rivista musicale, ix, 1902, pp. 818-820. Proprio come cerniera tra le acquisizioni del passato
e il, relativo, consolidamento per il futuro, lepisodio analizzato anche sotto questo aspetto
in S. Mamone, Firenze e Parigi, due capitali dello spettacolo per una regina: Maria de Medici (1987),
ricerca iconografica di S. M., fotografie di F. Venturi, Cinisello Balsamo (Mi), Silvana, 19882,
pp. 81-98 (p. 83 per la lettera).
44. Buonarroti jr, Descrizione, cit., p. 36.

29
SARA MAMONE

Oltre che la diversit, e quasi contrariet delle stesse macchine, e di loro aspetto; s co-
me della nugola dellAurora con quella della Notte, dellapertura del Cielo con quella
della Terra, e del Mare con le selve, e daltre con altre; discoverse maggiormente lar-
te, e la nvenzione squisita. E tante, e s fatte furono, che quale avesse veduto lasco-
so luogo dove elle locate erano, e si maneggiavano [] quivi altres avria veramente
veduto, ciascuna apertura, o componimento picciolo, o grande di ferro, o legname a
maraviglia rendere oprare con agevolezza non pi creduta, bench per loro quantit
ad usarli huomini moltissimi richiedessero, regolati in un certo modo da note, e ter-
minazioni di musica, che ad ora ad ora delle macchine abbisognava.45

Lepisodio pur non segnando ancora completamente il superamento dellalter-


nanza tra atti e intermezzi svaluta definitivamente la commedia recitata mentre
i temi degli intermezzi vengono a essere una sorta di catalogo delle possibilit
macchinistiche fino ad allora esperite. Ci troviamo quindi semmai di fronte
a un organismo le cui due componenti (esecuzione musicale ed esecuzio-
ne macchinistica) si trovano di fronte a problemi inediti di armonizzazione.
Per quel che qui ci riguarda (la complessa articolazione funzionale dellintera
macchineria) possiamo osservare come ormai la strumentazione sia collauda-
ta (i tentativi di superamento non saranno particolarmente felici) costituendo
anche un dato patrimoniale acquisito. A questo punto la macchineria diviene
elemento mitopoietico essa stessa, costringendo linvenzione poetica a subor-
dinarsi alla preesistenza di un capitale macchinistico da mettere a frutto.46 E
infatti la drammaturgia del Rapimento di Cefalo pu anche essere letta come
la prescrizione di un montaggio di pezzi di bravura: come i virtuosi anche la
scenotecnica ha ormai il suo repertorio, le sue arie di baule.
Il i intermedio infatti mette in scena Il monte Elicona con il cavallo Pegaso (fig. 1)
che fa scaturire giochi dacqua percuotendo la roccia con lo zoccolo; il soggetto
ormai canonico, almeno dalla rappresentazione del 1565 in palazzo Vecchio
e, nella forma del monte che sorge dal sottopalco, presente anche negli allesti-
menti del 1586 e del 1589 nello stesso teatro degli Uffizi. Il palcoscenico esonda
nellalzata verso la platea con una decorazione di salvatichi gradi, e massosi, che
con arte rustica, e dissimulata, parevano aprire triplicata callaia alla sua salita.47
Collaudata anche la scomparsa del monte Elicona, con un meccanismo a caduta
che rende velocissimo lassorbimento dellingegno nel sottopalco.
Il ii intermedio, la Scena marina con gli dei marini, tritoni e lOrca di tutta
evidenza una semplice variazione della scena marina con Arione e i delfini

45. Ivi, pp. 36-37.


46. Cfr. S. Mamone, La macchina o lindifferenza del mito, in Id., Di, semidei, uomini, cit.,
pp. 193-209.
47. Buonarroti jr, Descrizione, cit., p. 23.

30
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

gi elaborata e allestita con successo per il v intermedio de La Pellegrina (fig.


2). Pure sperimentata la sparizione del mare.
Il iii intermedio, Il carro della Notte e lapparizione dei segni zodiacali, eviden-
zia i precedenti mostrando la messa a frutto del patrimonio macchinistico e
anche la reiterazione dei temi drammaturgici da questo dipendenti. Rupi, spe-
lonche e rovine sono una variazione di quelle dellInferno nel iv intermedio
de La Pellegrina, il frondoso bosco attraversato da un carro doro brunito che
rappresenta La Notte tirato da due civette sempre variazione del iv interme-
dio de La Pellegrina con il Carro della Maga (figg. 3-4). La risalita in un cielo
sempre pi oscuro nel quale appaiono i segni dello Zodiaco ripropone il tema
dei pianeti precedentemente esibito nel i e nel vi intermedio de La Pellegrina.
Lapparizione dei Sette Pianeti risale comunque assai indietro nel tempo, es-
sendo gi presente nella pionieristica macchineria delle quattrocentesche sacre
rappresentazioni dOltrarno.48
iv intermedio Berecinzia. La dea della terra appare dalla metamorfosi di
un monticello sorto dal pavimento da cui escono venti odorosi (variazione
dellintermedio infernale del 1589 oppure riuso delle due caverne rotanti del
ii intermedio [fig. 5], per non riandare ai monticelli dellintermedio del 1565).
Discesa di nuvole e gara con bel contrasto di macchine, e in gi e in su andan-
ti e correntisi dietro; qui non necessario ricercare una precisa variazione nel
patrimonio delle sette nuvole create da Buontalenti per La Pellegrina. Interes-
sante notare lattenzione a un altro elemento materiale perfezionato nel corso
dellesperienza apparatoria e cio, tra le funzioni non apparenti, quella della
problematica aereazione della sala che aveva visto nellallestimento del 1589 la
creazione di sfiatatoi al soffitto celati da eleganti rosoni e che qui si potenzia
con lapertura di finestroni posti ai lati del palcoscenico (probabilmente quelli
allaltezza del secondo piano del retropalco) da cui fuoriescono Venti grandis-
simi e freschi che sfiatarono odorantissimi e s gagliardi, che tutto il teatro
conforto non piccolo ne ricevette, che s calcato vi era.49
Il v intermedio prevede lormai canonico Consesso degli dei con Giove, assi-
so in trono sullaquila movente le ali, che ordina a Mercurio e Cupido la fine
degli amori di Aurora e Cefalo. Indi tutti gli dei risalgono su nuvole. Anche
qui superfluo citare corrispondenze puntuali con i precedenti usi della mac-
chineria delle nuvole essendo il soggetto praticamente ineludibile a partire
dallallestimento dellopera ante 1552 descritta dal Doni.
vi intermedio. Per lepilogo il palcoscenico si trasform in un magnifico, e
gran Teatro di mezzo ovato di ordine dorico, che divisato per dorate colonne,

48. Rivedi nota 4.


49. Buonarroti jr, Descrizione, cit., p. 31.

31
SARA MAMONE

e nicchie con loro statue doro, e corniciamenti faceva eguale corrispondenza al


Teatro stesso.50 La mutazione straordinaria richiama vistosamente la non dissi-
mile descrizione di De Rossi, relativa a unapertura di scena precedente linizio
vero e proprio della rappresentazione nellepisodio dell89, con un clamoro-
so esempio di manierismo metateatrale. Al calare del sipario (cio ad apertura
della rappresentazione essendo il sipario a caduta) si era presentata agli occhi
di ciascheduno, tutta la sala uno anfiteatro perfetto (perciocch la Prospettiva,
che era in faccia con la sua architettura corintia si congiugneva con lApparato,
e per essa lAnfiteatro aveva l suo fine).51 La descrizione del De Rossi piut-
tosto confusa e non trova precisi riscontri nelle descrizioni consuntive dei cro-
nisti presenti allo spettacolo, ma ai nostri fini non si pu non notare come essa
corrisponda perfettamente (con un semplice cambio di stile architettonico: da
corinzio a dorico) alla conclusione del Rapimento di Cefalo. Davanti a questa ar-
chitettura si apre in proscenio unenorme botola e emerge Il carro trionfale della
Fama attorniato da sedici fanciulle rappresentanti le citt del dominio grandu-
cale.52 Il virtuosismo tecnologico si accentua in un triplice movimento simul-
taneo: mentre il carro inizia la discesa nel sottopalco, dal medesimo emerge un
grandissimo giglio rosso e dorato (emblema della citt di Firenze) che si con-
giunge con la macchina discendente rappresentante la corona regale di Maria in
una immagine compendiaria del nuovo stato della regina sposa. Saranno forse
proprio le difficolt di questi arditi movimenti a generare gli inconvenienti di
funzionamento lamentati dai cronisti, segnando di fatto un arretramento del-
lo sperimentalismo nellepisodio successivo del 1608 nel quale il macchinismo
scenotecnico si attester sulle basi consacrate nel 1589. Ma non pu sfuggire la
citazione che collega idealmente lepilogo del 1600 con il prologo del 1608
per Il giudizio di Paride53 di Michelangelo Buonarroti jr rappresentato nel teatro
granducale per le nozze di Cosimo II con Maria Maddalena dAustria, sceno-
grafie di Giulio Parigi, spettatore attento Joseph Furttenbach.
Per la visualizzazione di questo spettacolo siamo aiutati dalla ricca serie di
incisioni di Remigio Cantagallina54 che affiancano la pubblicazione del testo

50. Ivi, p. 34.


51. De Rossi, Descrizione, cit., p. 16.
52. Ricordiamo che la figurazione delle fanciulle rappresentanti le citt del dominio medi-
ceo aveva gi fatto bella mostra di s nellapparato di sala del secondo cortile di palazzo Medici
in occasione della rappresentazione de Il Commodo per le nozze di Cosimo e Eleonora di Toledo.
53. Cfr. Michelangelo Buonarroti jr, Il giudizio di Paride favola del signor Michelagnolo
Buonarroti. Rappresentata nelle felicissime nozze del serenissimo Cosimo Medici principe di Toscana e della
serenissima principessa Maria Maddalena arciduchessa di Austria, Firenze, Sermartelli, 1608.
54. Le incisioni si trovano a Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, nn. 95763-
95765; 95766-95768. Per una descrizione delle tavole: Il luogo teatrale, cit., pp. 120-121, schede
8.30-8.35.

32
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

del Buonarroti e che costituiscono lelemento portante anche del manoscrit-


to annotato di Furttenbach.55 Possiamo quindi procedere alla rapida descri-
zione di questi intermezzi che confermano luso reiterato di una macchineria
collaudata che prevale nettamente sullinnovazione. A mo di ulteriore esem-
pio restiamo proprio su questo i intermedio del Palazzo della Fama (fig. 6) il
cui meccanismo aiuta a comprendere anche il funzionamento delle mutazioni
del prologo e dellepilogo del Rapimento di Cefalo: nel mezzo del palcoscenico
un grandissimo Palagio, tutto fatto a specchi, in luogo di bozzi, con spaziosi
portici, ed altissima torre in cima alla quale compare la Fama che mostra agli
sposi la lunga schiera dei loro progenitori. Gli sposi entrano nel palazzo, il pa-
lazzo sparisce dalla scena e la fama, restata in aria, cominci a salire allins,
e si nascose tra le nuvole, cantando.56
Nel ii intermedio Astrea scende sulla terra e riporta let delloro (fig. 7). La sce-
na di tutte nuvole si giova senza dubbio della macchineria e della sequenza
dei due intermezzi gemelli di apertura (il i, LArmonia delle sfere) e di chiusu-
ra (il vi, Gli dei donano ai mortali lArmonia e il Ritmo) dellallestimento dell89
mutando semplicemente liconologia. E sar prezioso a breve il raffronto tra la
spiegazione di Furttenbach, i dati forniti dal Diario di Seriacopi e la dettaglia-
ta descrizione delle feste commissionata a Camillo Rinuccini. In questa co-
stante opera di riciclaggio57 non azzardato pensare che lo sfondo di Firenze
in apertura di scena sia nientemeno che lammiratissimo sipario dello Zucca-
ri (fig. 8) che copriva la scena de La cofanaria del 1565 (e che viene verosimil-
mente prestato per la prima scena de Le nozze degli dei del 1637 nel cortile di
palazzo Pitti per celebrare le nozze del granduca Ferdinando II con Vittoria
della Rovere [fig. 9]). Cos come le insegne di Flora, il leone che tiene il gi-
glio, i costumi di Arno e delle sue Ninfe, laquila volante simbolo della casa
dAustria da cui proveniva la sposa, i sei globi rappresentanti linsegna medi-
cea fanno ormai parte di un assestato trovarobato.
Anche il iii intermedio, Il giardino di Calipso (fig. 10), sembra trarre profitto,
nella costruzione dei palazzi laterali, dalle grottesche del ii intermedio de La

55. Si rilegga a p. 17 lavvertenza a queste pagine.


56. Questa e la citazione precedente sono in C. Rinuccini, Descrizione delle feste fatte nelle
reali nozze de serenissimi principi di Toscana don Cosimo de Medici, e Maria Maddalena arciduchessa
dAustria, Firenze, Giunti, 1608, pp. 40-41. Su lorganizzazione dellintero evento si veda ora
A.M. Testaverde, Michelangelo Buonarroti il Giovane e le didascalie sceniche per il Giudizio di Paride,
in Studi di storia dello spettacolo. Omaggio a Siro Ferrone, a cura di S. Mazzoni, Firenze, Le Lettere,
2011, pp. 166-179 e relativa bibliografia. Quanto al nesso macchinistico tra il prologo e lepilogo
del Rapimento di Cefalo e, a ritroso, il ii intermedio della Pellegrina: Mamone, Firenze e Parigi,
cit., p. 88.
57. Cfr. Mamone, Il risparmio e lo spreco, cit.

33
SARA MAMONE

Pellegrina, La contesa tra le Muse e le Pieridi, oltre a corrispondere puntualmente


alla descrizione fatta da De Rossi in quella occasione: divenne tutta quanta la
scena un vago giardino, che ricoperse in modo le case, che pi non si vedeva
alcun segno desse.58 Per la descrizione completa di questa mutazione si legga
il resoconto ufficiale di Rinuccini.59 Se ne ritrova una riproduzione seriale, a
opera di Alfonso Parigi, nella seconda mutazione de La liberazione di Ruggero
dallisola dAlcina del 1625 a Poggio Imperiale (fig. 11). E anche nella tavola n.
21 del trattato Architectura recreationis (1640) del nostro Furttenbach (fig. 12).
Nel iv intermedio, con la scena di mare de La nave di Amerigo Vespucci (fig.
13), assistiamo a una ardimentosa eroicizzazione di un soggetto non mitologico
ma direttamente encomiastico nella celebrazione della gloria di un fiorentino
illustre. Anche se a soggetto clamorosamente mutato (ma, a ben guardare, si
tratta di un abile travestimento) entrano in scena le consolidatissime macchi-
ne: la nave di Amerigo di tutta evidenza quella di Arione nel v intermedio
de La Pellegrina (fig. 2) mentre lintero assetto riproduce le quinte rocciose
dello stesso intermedio della Pellegrina e il corpo centrale della scena altro non
se non la sintesi della macchina ascendente della montagna de La contesa tra
le Muse e le Pieridi associata allo squarcio del cielo con la nuvola che regge il
consueto consesso degli dei.
Il v intermedio, La Fucina di Vulcano, mostra una rotazione completa della
macchineria della prospettiva con la salita dal sottopalco della fucina di Vulca-
no (tema che risale addirittura agli intermedi descritti dal Doni).60 Lincisione
di Cantagallina (fig. 14) mostra esplicitamente i tre livelli dellapparato mac-
chinistico con in basso la scena infernale, sul piano della scena i Ciclopi e in
aria il carro-nuvola di Marte trainato da cavalli bai e condotto dalla Vittoria
e dalla Gloria.61 La comparazione iconografica mostra chiaramente lidentit
tra questa macchina e quella che nel iv intermedio de La Pellegrina sosteneva
il Carro della Maga e di cui abbiamo testimonianza dal disegno buontalen-
tiano (fig. 4), mentre lincisione del medesimo intermedio (fig. 3), chiaramen-
te compendiaria, mostra anche la visione dellInferno sorgente dal sottopalco
tramite una macchina travestita da un enorme Lucifero.
Il vi e ultimo intermedio, Il tempio della Pace, unapoteosi della macchine-
ria, un concertato finale. Sono usati tutti i livelli dellimpianto macchinistico
del teatro, rappresentati nellincisione (fig. 15) con la abituale sintesi compen-
diaria che chiarisce visivamente luso del Paradiso inaugurato nella ristrut-

58. De Rossi, Descrizione, cit., p. 37.


59. Cfr. la descrizione del giardino in Rinuccini, Descrizione, cit., pp. 43-44.
60. Cfr. nota 8.
61. Si veda la ricca descrizione sempre in Rinuccini, Descrizione, cit., pp. 48 ss.

34
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

turazione dell89. La scena si apre su un ricco tempio e, inalterata, verr poi


riusata per il iii intermedio de La liberazione di Tirreno e Arnea (fig. 16) in occa-
sione dei festeggiamenti per le nozze di Caterina de Medici con Ferdinando
Gonzaga62 (1617) e nella scena finale de La Flora o vero Il Natale de fiori sempre
di Andrea Salvadori (1628),63 dove fa la sua comparsa in cima alla fonte aerea
lalato caval pegaseo (fig. 17) de Il rapimento di Cefalo. Il patrimonio delle sette
macchine-nuvole occupa lintero cielo mentre i movimenti ascendenti (trono
della Pace) e discendenti (la Pace sulla nuvola) richiamano inequivocabilmente
lassetto macchinistico del palcoscenico del Mediceo.64

3. Ci fermiamo a questo 1608, dopo il quale pare veramente di poter datare


la conclusione della fase sperimentale e lavvio di quella serialit che riprodur-
r sui palcoscenici di tutta lEuropa delle corti le invenzioni e le realizzazioni
macchinistiche fiorentine. Questo avverr sia attraverso la ben nota dissemina-
zione degli ingegneri fiorentini (Lotti e Baccio in Spagna, i Francini in Fran-
cia, Costantino de Servi in Inghilterra, Alessandro Pieroni e Baccio nellarea
imperiale) sia attraverso la formazione dei talenti stranieri presso laccademia
di Giulio Parigi, in particolare Inigo Jones e Joseph Furttenbach.
Complessa la storia della circolazione dei disegni e del materiale tecnico
necessari alla diffusione di un sapere che diventa sempre pi richiesto come
strumento di aggiornamento e prestigio. A questo compito adempiranno nel
corso del Seicento i trattati di cui quello del Sabbatini certamente il perno.
Lamplissima diffusione di questultimo ha forse messo in ombra i suoi debiti
nei confronti della macchineria fiorentina, debiti che un primo esame del ma-
noscritto di Furttenbach sembrano invece confermare. A questa altezza crono-
logica sono ormai risolte le problematiche tecniche e consolidate le tipologie

62. Cfr. A. Salvadori, Veglia della Liberation di Tirreno et Arnea, Autori del sangue Toscano. Il
manoscritto si trova a Firenze, Biblioteca nazionale centrale, ms., Palatino 251, cc. 134r.-144v.,
Raccolta di poesie musicali dei secoli XVI e XVII. Per lopera completa dellimportante personaggio
si rinvia a D. Sar, Andrea Salvadori e lo spettacolo fiorentino allepoca della reggenza (1621-1628),
tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, Universit degli studi di Firenze, Facolt di
lettere e filosofia, a.a. 1999-2000 (relatore: prof. Sara Mamone). A questo episodio si deve la ce-
leberrima incisione di Jacques Callot che mostra linterno del teatro (un esemplare conservato
a Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, 8015 st. sc.).
63. A. Salvadori, La Flora o vero Il Natal de Fiori. Favola dAndrea Salvadori, rappresentata
in musica recitativa nel teatro del serenissimo gran duca per le reali nozze del serenissimo Odoardo Farnese
e della serenissima Margherita di Toscana [], Firenze, Cecconcelli, 1628 (cito dal frontespizio).
64. Rinuccini, Descrizione, cit., p. 52: uno eccelso, e ricco tempio, tutto doro, di super-
bissima architettura, e pieno di statue, e altri ornamenti sacri, nel quale a un tempo compariro-
no, e dal Cielo la Pace in una nugola, e di sotto terra il suo trono.

35
SARA MAMONE

che divengono addirittura elemento vincolante per la drammaturgia.65 Come


appare dallazione di Michelangelo Buonarroti che per Il giudizio di Paride pre-
dispone un piano registico attento al coordinamento delle manovre sceniche
con le azioni degli interpreti;66 il vero problema da risolvere quello dellar-
monia di tutte le componenti, in particolare la sincronia del movimento delle
macchine con le esecuzioni musicali e coreutiche. Problema per il quale luni-
ca soluzione suggerita da Buonarroti quella di molte prove di palcoscenico:

non mi par da indugiare a esercitar le macchine, e le musiche in sul luogo perch, co-
me ho detto, ogni magistero vuol lunga, e diligente pratica, altrimenti le cose van-
no per mala via e ne abbiamo gli anni passati, veduto lesempio e questo un gran
viluppo, perch, essendosi fatte le invenzioni delli intermedi e le musiche ancora da
diversi, ciascuno ha atteso al suo proprio, so che se non si viene presto in cognizione
di quelle difficult che si posson dar le macchine di questa con quella di invenzione,
e il simile le musiche, ci potremmo trovar tanto tardi al procurar il rimedio che le
difficolt saccrescessero.67

Pare di sentire da vicino gli insegnamenti sperimentali dellamico Galileo e


quasi unanticipazione di quello spirito dellaccademia del Cimento che di l
a non molti anni far proprio della sperimentazione il suo motto: Provando
e riprovando.
Una coscienza registica pi complessa si fa strada in questi anni, legata al
nuovo genere melodrammatico e riassunta per noi, oltre che dalle preoccupa-
zioni del Buonarroti, dal prezioso trattato de Il corago68 che intorno agli anni
Trenta sistematizza le svariate necessit trovando in ununica figura professio-
nale (un mestiero) tutte le qualit necessarie alla sintesi.

65. Cfr. Mamone, La macchina o lindifferenza del mito, cit.


66. Testaverde, Michelangelo Buonarroti il Giovane, cit., p. 169.
67. Lettera di Michelangelo Buonarroti a Curzio Picchena, Firenze, agosto 1608 (?),
Archivio di stato di Firenze, Mediceo del principato, f. 6068, cc. 387r.-388r., cit. in Testaverde,
Michelangelo Buonarroti il Giovane, cit., pp. 170-171.
68. Cfr. Il corago, o vero alcune osservazioni per metter bene in scena le composizioni drammatiche, a
cura di P. Fabbri e A. Pompilio, Firenze, Olschki, 1983. Lopera, anonima, viene attribuita con
ottime ragioni allentourage rinucciniano.

36
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

Fig. 1. Bernardo Buontalenti, Disegno per il prologo del Rapimento di Cefalo, 1600 (Lon-
don,Victoria & Albert Museum, E 1187/1931).

Fig. 2. Epifanio dAlfiano (da Bernardo Buontalenti), Anfitrite e la nave di Arione, v inter-
medio della Pellegrina (1589), 1592, acquaforte (Firenze, Biblioteca marucelliana, I, 400).

37
SARA MAMONE

Fig. 3. Epifanio dAlfiano (da Bernardo Buontalenti), LInferno, iv intermedio della Pelle-
grina (1589), 1592, acquaforte (Firenze, Biblioteca marucelliana, I, 399).

Fig. 4. Bernardo Buontalenti, LInferno, iv intermedio della Pellegrina, 1589, disegno a


penna, bistro, acquerello e tracce di matita nera (Paris, Cabinet des dessins du Louvre, 867).

38
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

Fig. 5. Epifanio dAlfiano (da Bernardo Buontalenti), La contesa tra le Muse e le Pieridi, ii
intermedio della Pellegrina (1589), 1592, acquaforte (Firenze, Biblioteca marucelliana, I,
400).

Fig. 6. Remigio Cantagallina (da Giulio Parigi), Palazzo della Fama, i intermedio del Giu-
dizio di Paride, 1608, acquaforte (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, 95763).

39
SARA MAMONE

Fig. 7. Remigio Cantagallina (da Giulio Parigi), Astrea scende sulla terra e riporta let delloro,
ii intermedio del Giudizio di Paride, 1608, acquaforte (Firenze, Gabinetto disegni e stampe
degli Uffizi, 95764).

Fig. 8. Federico Zuccari, Bozzetto preparatorio per il sipario della Cofanaria, 1565, disegno
a matita nera, acquerello e tempera bianca su carta tinta marroncina (Firenze, Gabinetto
disegni e stampe degli Uffizi, 11074 F).

Fig. 9. Stefano Della Bella (da Alfonso Parigi), Prima scena rapresentante Fiorenza, Le nozze
degli dei, 1637, acquaforte (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, 102509).

40
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

Fig. 10. Giulio Parigi, Il giardino di Calipso, iii intermedio del Giudizio di Paride, 1608,
acquaforte (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, 95765).

Fig. 11.Alfonso Parigi, Isola dAlcina, seconda mutazione della Liberazione di Ruggiero dallisola
dAlcina, 1625, acquaforte (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, 2304 st. sc.).

Fig. 12. Johann Jacob Campanus (incisore), Scena di comme-


dia (da Joseph Furttenbach, Architectura recreationis, Ulm 1640,
tav. 21).

41
SARA MAMONE

Fig. 13. Remigio Cantagallina (da Giulio Parigi), La nave di Amerigo Vespucci, iv intermedio
del Giudizio di Paride, 1608, acquaforte (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi,
95766).

Fig. 14. Remigio Cantagallina (da Giulio Parigi), La Fucina di Vulcano, v intermedio del
Giudizio di Paride, 1608, acquaforte (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi,
95767).

42
DRAMMATURGIA DI MACCHINE NEL TEATRO GRANDUCALE FIORENTINO

Fig. 15. Giulio Parigi, Il tem-


pio della Pace, vi intermedio
del Giudizio di Paride, 1608,
acquaforte (Firenze, Gabi-
netto disegni e stampe degli
Uffizi, 95768).

Fig. 16. Jacques Callot (da


Giulio Parigi), Il regno dA-
more, iii intermedio del-
la Veglia della liberatione di
Tirreno (1617), acquaforte
(Firenze, Gabinetto disegni
e stampe degli Uffizi, 8017
st. sc.).

Fig. 17. Alfonso Parigi, Il


fonte pegaseo col ballo dellAu-
re, scena finale de La Flora,
1628, acquaforte (Firenze,
Gabinetto disegni e stampe
degli Uffizi, 2300 st. sc.).

43
Anna Maria Testaverde

LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE


DEGLI UFFIZI (1586-1637)

La memoria visiva dei modelli realizzati nel 1975 per la mostra Il luogo te-
atrale a Firenze, diretta da Ludovico Zorzi, resta viva e condizionante nelle-
segesi del cinquecentesco teatro degli Uffizi progettato per la corte medicea.1
Ritenuta gi dai contemporanei espressione matura di una pratica scenica da-
vanguardia altamente specializzata, quella duplice esperienza fiorentina di fine
secolo (1586, 1589) ha alimentato lhumus della spettacolarit di corte euro-
pea, ponendosi a modello per le riflessioni teoriche e le realizzazioni pratiche
di molti architetti, italiani e stranieri.2

1. Cfr. Il luogo teatrale a Firenze. Brunelleschi Vasari Buontalenti Parigi, catalogo della mostra a
cura di M. Fabbri, E. Garbero Zorzi e A.M. Petrioli Tofani, introd. di L. Zorzi [ordinato-
re] (Firenze, 31 maggio-31 ottobre 1975), Milano, Electa, 1975. I modelli furono nuovamente
esposti e commentati in Teatro e spettacolo nella Firenze dei Medici. Modelli dei luoghi teatrali, cata-
logo della mostra a cura di E. Garbero Zorzi e M. Sperenzi (Firenze, 1o aprile-9 settembre
2001), Firenze, Olschki, 2001. In partic. rinvio ad A.M. Testaverde, Il salone dei Cinquecento nel
palazzo della Signoria: laula regia. Integrazioni e aggiornamenti (ivi, pp. 157-159); Id., Palazzo degli
Uffizi: il teatro mediceo. Integrazioni e aggiornamenti (ivi, pp. 196-198). Cfr. inoltre le riflessioni di
S. Mazzoni, Ludovico Zorzi. Profilo di uno studioso inquieto, Drammaturgia, xi / n.s. 1, 2014,
pp. 9-137: 83-86.
2. La fortuna internazionale della tecnica scenica fiorentina stata oggetto, presso lUni-
versit degli studi di Firenze, di tesi e saggi condotti sotto la guida della prof. Sara Mamone.
Cfr. almeno, tra le numerose referenze scaturite da quella officina, S. Mamone, Firenze e Parigi
due capitali dello spettacolo per una regina. Maria de Medici (1987), Cinisello Balsamo (Mi), Silvana,
19882; A.M. Testaverde-S. Castelli, Le feste del Duca di Lerma nelle lettere degli ambasciatori
fiorentini. Influenze fiorentine, in Reprsentation, criture et pouvoir en Espagne lpoque de Philippe II
(1598-1621). Colloquio internazionale (Firenze, 14-15 settembre 1998), Firenze-Paris, Alinea-
Publications de la Sorbonne, 1999, pp. 49-68; C. Pagnini, Costantino de Servi, architetto-sceno-
grafo fiorentino alla corte dInghilterra (1611-1615), Firenze, Sef, 2006; S. Bardazzi, La furia icono-
clasta dellanno 1619. Le devastazioni nella cattedrale del castello di Praga nel resoconto in italiano di un
anonimo cronista, eSamizdat, v, 2007, 1-2, pp. 459-467. Gi in un mio precedente studio (cfr.
A.M. Testaverde, Lofficina delle nuvole. Il teatro Mediceo del 1589 e gli Intermedi del Buontalenti
nel Memoriale di Girolamo Seriacopi, Musica e teatro. Quaderni degli amici della Scala, vii,

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 45-69


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18360
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
ANNA MARIA TESTAVERDE

Lepisodio convocato, tra i pi noti e meglio documentati della pratica sce-


notecnica di Antico regime, necessita tuttavia di una tempestiva revisione.
Oltre ad ampliare le informazioni documentarie non sar inutile rivisitare le
teorie trattatistiche che ispirarono la tipologia di quel teatro; e la questione
da contestualizzare nello strategico passaggio dal metamorfico apparato di ta-
luni luoghi teatrali (si pensi al concetto di sala dapparato, formulato da Elena
Povoledo)3 ai primi edifici teatrali contemporanei (1580-1585, teatro Olim-
pico di Vicenza di Andrea Palladio e Vincenzo Scamozzi; 1588-1590, teatro
scamozziano di Sabbioneta).4 Ancora. Ricostruire gli antecedenti scenotecnici
del teatro granducale degli Uffizi chiarir lentit del patrimonio spettacolare
ereditato da Bernardo Buontalenti ritenuto dalla storiografia artefice incon-
trastato del teatro di corte fiorentino, ma soprattutto depositario di saperi
maturati, fin dal suo esordio, anche al fianco di Giorgio Vasari.
In occasione della citata mostra del 1975 fu realizzata la prima ipotesi di
ricostruzione filologica della struttura temporanea a uso di teatro antico im-
palcata nel 1565 dal Vasari nel salone dei Cinquecento in palazzo Vecchio in
occasione delle nozze di Francesco dei Medici con Giovanna dAustria (fig.
1). Giusta tale ipotesi limpostazione longitudinale del vano della platea e della
cavea allungata a forma di U avrebbe anticipato quella del futuro teatro degli
Uffizi ritenuta, da Zorzi, la modellazione pedissequa dellanfiteatro di Bobo-
li. In questa ottica, proseguiva lo studioso, lasse Cesariano-Palladio, rotante
intorno alla cavea emiciclica (prodotto delliscrizione del circolo nel quadra-
to, e in un triangolo equilatero in esso, il cui vertice fissa il punto di fuga del

1991, 11-12) mi convinsi che unindagine su Joseph Furttenbach, allievo dellaccademia degli
architetti Parigi e a lungo residente a Firenze, avrebbe arrecato apporti significativi per una
migliore conoscenza del teatro degli Uffizi. A tale fine sono state eseguite, sotto la mia guida,
le traduzioni dal tedesco di tutti i capitoli dedicati al teatro nei trattati del Furttenbach. Cfr.
S. De Gennaro, Lesperienza italiana nellopera teorica e pratica di Joseph Furttenbach, tesi di laurea,
Universit degli studi di Bergamo, a.a. 2003-2004 (relatore: prof. Anna Maria Testaverde). E v.,
in questo numero di Drammaturgia, il saggio di Sara Mamone.
3. La studiosa riteneva che sia la struttura vasariana fiorentina del 1565 che quella progetta-
ta da Vasari a Venezia nel 1542 fossero conformi ai modi tipici del teatro da sala [] con una di-
sposizione longitudinale delle assise, lungo le pareti maggiori dellambiente. Cfr. E. Povoledo,
Vasari, Giorgio, in Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Le Maschere, 1962, vol. ix, coll. 1466-471:
1467. Ipotesi ripresa in N. Pirrotta, Li due Orfei. Da Poliziano a Monteverdi (1969), con un saggio
critico sulla scenografia di E. Povoledo, Torino, Einaudi, 19752, p. 415.
4. Al riguardo si vedano i fondamentali S. Mazzoni, O. Guaita, Il teatro di Sabbioneta,
Firenze, Olschki, 1985 e soprattutto S. Mazzoni, LOlimpico di Vicenza: un teatro e la sua perpe-
tua memoria (1998), Firenze, Le Lettere, 20102. Cfr. poi Id., Oltre le pietre: Vespasiano Gonzaga,
Vincenzo Scamozzi y el teatro de Sabbioneta, in Teatro clsico italiano y espaol. Atti delle giornate
diSabbioneta (25-27 giugno 2009), a cura di M. del V. Ojeda Calvo e M. Presotto, Valncia,
Publicacions de la Universitat de Valncia, 2013, pp. 11-52.

46
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

proscenio), rimaneva estraneo alla riflessione degli architetti fiorentini sullo


spazio scenico.5 Il teatro degli Uffizi sarebbe dunque la sintesi di esperienze
romanze pregresse portate a piena maturazione dal Buontalenti, del quale tut-
tavia ancora sfuggono i principii ispiratori della sua idea di teatro allantica.
La questione si collega alla crux interpretativa del modello ipotizzato nel 75 da
Zorzi e Cesare Lisi, i quali, si badi, evitarono di progettare un apparato ispi-
rato allandamento curvilineo della cavea classica. La scelta fu chiarita a suo
tempo in questi termini da Anna Maria Petrioli Tofani: a causa dellabitudi-
ne dei cronisti cinque e secenteschi di descrivere gli spettacoli ponendosi dal
punto di vista dei principi, il Mellini non ci ha lasciato purtroppo alcuna no-
tizia circa la forma del lato della sala opposto a quello del palcoscenico, anche
se era presupponibile che le due file di gradoni laterali dovessero a un certo
punto incurvarsi fino a formare una specie di anfiteatro.6 Ritengo invece che
la scarsa attenzione di Domenico Mellini, al pari di altri cronisti, per quel-
la parte della sala sia motivata dalla curiosit per loriginalit tecnologica del
palcoscenico, da lui descritto con ampi dettagli, mentre il rapido riferimento
allapparato a uso di teatro antico7 potrebbe significare la registrazione di una
distribuzione del pubblico ormai consueta. Del resto, le nuove informazioni
documentarie sulla costruzione del temporaneo teatro vasariano del 65 hanno
ribadito lesigenza di rileggere lepisodio nel contesto speculativo delle teorie
architettoniche vitruviane, un progetto condiviso anche da Stefano Mazzoni
nel suo studio sul teatro Olimpico di Vicenza.8
La cultura trattatistica dellarchitetto aretino e le sue personali esperienze
di matrice vitruviana, compiute nellambiente veneto-padano,9 non furono da

5. L. Zorzi, Il teatro e la citt. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, p. 120.
6. Il luogo teatrale a Firenze, cit., p. 96, scheda 7.8.
7. [D. Mellini], Descrizione dellapparato della comedia et intermedii dessa; recitata in Firenze il
giorno di S. Stefano lanno 1565 nella gran sala del palazzo di sua eccellenza illustrissima nelle reali nozze
dellillustrissimo et eccellentissimo signore il signor don Francesco Medici principe di Fiorenza, et di Siena,
et della regina Giovanna dAustria sua consorte, Firenze, Giunti, 1566, p. 4.
8. I documenti sulla costruzione del teatro provvisorio vasariano sono stati editi da A.M.
Testaverde, Informazioni sul teatro vasariano del 1565 dai registri contabili, in Per Ludovico Zorzi, a
cura di S. Mamone, Medioevo e Rinascimento, vi/n.s. iii, 1992, pp. 83-95. Lipotesi vitru-
viana stata poi condivisa, anche in occasione seminariale, da Mazzoni, LOlimpico di Vicenza,
cit., p. 114. Devo agli anni di intenso lavoro con i colleghi fiorentini, con i quali ho trovato
piena rispondenza interpretativa, la decisione di tornare a ri-scrivere la storia di questo teatro
mediceo. Sulla teorizzazione vitruviana di Vasari segnalo la tesi di laurea, condotta sotto la gui-
da di Stefano Mazzoni e Siro Ferrone, di G. Anastasio, Il teatro vasariano del 1565: nuove ipotesi
di ricostruzione, Universit degli studi di Firenze, a.a. 1996-1997.
9. Cfr. A.M. Testaverde, Teorie e pratiche nei progetti teatrali di Giorgio Vasari, in Percorsi
vasariani tra le arti e le lettere. Atti del convegno di studi (Arezzo, 7-8 maggio 2003), a cura di M.
Spagnolo e P. Torriti, Montepulciano (Si), Le Balze, 2004, pp. 63-75. Cfr. anche M. Dezzi

47
ANNA MARIA TESTAVERDE

lui dimenticate. La sua pi nota attivit fiorentina di architetto-scenografo si


distanziava ormai di un ventennio da quelle gi maturate a Venezia dove era
stato chiamato fin dal 1541 dal suo concittadino Pietro Aretino. Qui, noto,
aveva progettato per la Compagnia della Calza dei Sempiterni, in occasione
della messa in scena della Talanta (1542), un teatro provvisorio lavorando con
artisti che apprezzarono la sapiente qualit del suo intervento: trovarono che
il Vasari non solo era l innanzi arrivato, ma aveva disegnato ogni cosa, e non
ci aveva se non a por mano a dipignere.10 Lesperienza fu condotta in colla-
borazione con lesegeta vitruviano Tiziano Aspetti detto Minio,11 al quale i
Sempiterni, nel campo di Santo Stefano, nella medesima giornata, avevano
commissionato una sorta di theatrum templum con al centro un palco in forma
teatrale.12 Sempre al Minio, con ogni probabilit, i Sempiterni affidarono, in
quel carnevale del 42, la progettazione di una simbolica machina del mondo
equorea (ed lecito pensare che Vasari abbia visto quellapparato).13

Bardeschi, Lapparire e lessere. Gli apparati del 1565 per le nozze di Francesco de Medici con Maria
Giovanna dAustria: palazzo Vecchio, Quaderni di teatro, iii, 1981, 12, pp. 173-200.
10. Lepisodio narrato nella Vita di Cristofano Gherardi, in G. Vasari, Le vite de pi
eccellenti pittori, scultori ed architettori, in Le opere di Giorgio Vasari, con nuove annotazioni e com-
menti di G. Milanesi, Firenze, Sansoni, 19062, to. vi, pp. 223-225 (p. 223 per la citazio-
ne). Sullesperienza veneziana restano sempre validi gli studi di D. McTavish, Apparato dei
Sempiterni, Venezia, per la commedia di Pietro Aretino, La Talanta, in Giorgio Vasari. Principi, letterati
e artisti nelle carte di Giorgio Vasari, catalogo della mostra a cura di L. Corti et al. (Arezzo, 26
settembre-29 novembre 1981), Firenze, Edam, 1981, pp. 112-116; G. Scocchera, Il programma
e lapparato. Contributi allo studio dellallestimento della Talanta, in Antropologia e Transculturalismo.
Roma e Venezia nel Rinascimento, Teatro e storia, x, 1995, 17, pp. 365-402; F. Mancini-M.T.
Muraro-E. Povoledo, I teatri del Veneto, i. to. i. Venezia, teatri effimeri e nobili imprenditori,
Venezia, Regione del Veneto, Giunta regionale-Corbo e Fiore, 1995, pp. 41-66. Una sintesi
delle notizie sullo spettacolo, tratte dalle vasariane vite degli artisti, si legge in T.A. Pallen,
Vasari on Theatre, Carbondale and Edwardsville, Southern Illinois University Press, 1999, pp.
92, 99-103. Sulla presenza a Venezia del Vasari e le sue relazioni artistiche in area veneta cfr.
The Ashgate Research Companion to Giorgio Vasari, a cura di D.J. Cast, Farnham, Ashgate, 2014.
11. Il medesimo Tiziano [Minio], quando il Vasari fece il gi detto apparato per li Signori
della Compagnia della Calza in Canareio, fece in quello alcune statue di terra e molti Termini.
Linformazione contenuta nella Vita di Jacopo Sansovino in Vasari, Le vite de pi eccellenti
pittori, scultori ed architettori, cit., to. vii, p. 516.
12. Nella giornata prescritta, fu la Piazza di Santo Stefano adobbata [] con palchi, o
pogioli in giro, in forma di Teatro, e nel mezzo era innalzato uneminente palco in forma
teatrale. Linformazione tratta da B. Giustinian, Historie cronologiche della vera origine di tutti
glordini equestri, e religioni cavalleresche [], Venezia, Combi e LaNo, 1672, p. 114. Cfr. anche
Scocchera, Il programma e lapparato, cit., p. 376, nn. 42-43.
13. La Sempeterna, nel celebrar la sua maggior festa, rappresent in Canal Grande la ma-
china del mondo, nel mezzo del quale cavuo & regalmente addobbato doro & di seta, furono
100 electissime gentildonne, le quali ballando al suono di ben cento stromenti musici, erano

48
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

Vasari era giunto a Venezia dopo essere stato protagonista a Firenze di un


attivo iter di apparatore fin dal carnevale del 1534, presso la Compagnia del
Vangelista,14 al fianco del Bronzino, e poi, dal 1536, con Bastiano da Sangal-
lo.15 Ed economico ipotizzare, nel successivo ventennio toscano, alcuni suoi
significativi contributi, come architetto-scenografo al fianco di altri artisti, per
gli allestimenti teatrali nella sala del Papa, situata nel chiostro grande del con-
vento di Santa Maria Novella, dove si riuniva laccademia Fiorentina (1544, Il
furto di Francesco dAmbra; 1550, La gelosia di Anton Francesco Grazzini det-
to il Lasca). Si aggiunga che lattivit teatrale dellaccademia di Cosimo I de
Medici era proseguita nel salone dei Cinquecento ancor prima delle ristruttu-
razioni vasariane (1547-1548, I bernardi di Francesco dAmbra; 1550, La gioia
di Giovanni da Pistoia).16
Oltre alloperato teatrale vasariano restano poco conosciuti gli interventi,
nel medesimo salone dei Cinquecento, di figure di spicco come Baldassarre
Lanci da Urbino architettore dellillustrissimo di Fiorenza e molto attivo co-
me scenografo negli anni successivi.17 La lacunosa storia di quei decenni, qui

tirate dolcemente da palaschermi & altri legni per lo corso dellacqua (F. Sansovino, Venetia
citta nobilissima et singolare [], Venezia, Farri, 1581, p. 152). Lattribuzione al Minio ribadita dal
gi citato Scocchera (rivedi nota precedente) e da L. Padoan Urban, Le feste sullacqua a Venezia
nel sec. XVI e il potere politico, in Il teatro italiano del Rinascimento, a cura di M. de Panizza Lorch,
Milano, Edizioni di Comunit, 1980, p. 493.
14. Cfr. A.M. Evangelista, Lattivit spettacolare della compagnia di San Giovanni Evangelista
nel Cinquecento, Medioevo e Rinascimento, xviii/n.s. xv, 2004, pp. 299-366: 326-327. La
scarsit di studi riguardanti gli scambi culturali sottesi allattivit teatrale dellaretino stata
rilevata anche da C. Conforti, Vasari architetto, Milano, Electa, 1993, pp. 68-69. La carenza di
documentazione grafica teatrale di sicura mano vasariana stata dibattuta e motivata da G. De
Angelis DOssat, Disegno e invenzione nel pensiero e nelle architetture del Vasari, in Il Vasari sto-
riografo e artista. Atti del congresso internazionale nel iv centenario della morte (Arezzo-Firenze,
2-8 settembre 1974), Firenze, Olschki, 1976, pp. 773-784; G. Marchini, Su i disegni darchitettura
del Vasari, ivi, pp. 101-108; R. William, Art, Theory and Culture in Sixteenth-Century Italy: from
Techne to Metatechne, Cambridge, Cambridge University Press, 1997.
15. Cfr. Il luogo teatrale a Firenze, cit., pp. 82-83, scheda 6.3.1.
16. Cfr. ivi, pp. 83-84, 94-95, schede 6.5.1.-6.5.6., 7.3.-7.5. Sulluso della sala del Papa v.
J. Bryce, The Oral World of the Early Accademia Fiorentina, Renaissance Studies, 1991, 1, pp.
77-103. Per una sintesi sulle accademie teatrali fiorentine: S. Mazzoni, Lo spettacolo delle acca-
demie, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, diretta da R. Alonge e G. Davico Bonino, i.
La nascita del teatro moderno. Cinquecento-Seicento, Torino, Einaudi, 2000, pp. 869-904: 880-894
(con bibliografia).
17. Cfr. Il luogo teatrale a Firenze, cit., pp. 100-101, schede 7.15.-7.16.; Zorzi, Il teatro e la
citt, cit., pp. 210-212. Sullattivit del Lanci nel 1565, per la mascherata della Genealogia degli dei,
v. ora A.M. Testaverde, Il Libro delle figure delle maschere. Note per i ricamatori della Genealogia
degli dei, in La mascherata della Genealogia degli dei (Firenze, carnevale 1566). Le ricerche in corso. Atti
della giornata di studi (Firenze, 2 dicembre 2011), a cura di L. DeglInnocenti, E. Martini, L.

49
ANNA MARIA TESTAVERDE

rivisitata anche da Sara Mamone,18 illuminata da uno spettacolo illustrato


nel 1552 in un poco noto Dialogo dei Marmi (Lo svegliato) di Anton Francesco
Doni, forse organizzato proprio dallaccademia Fiorentina. La minuziosa de-
scrizione di macchine sceniche per intermedi e i soggetti proposti in palco-
scenico svelano la qualit tecnologica della scenotecnica fiorentina anteriore
alle pi note messe in scena vasariane (e buontalentiane):

udi dire duna comedia, la quale aveva avuto bellissimi intermedii. Il primo fu che
il palco salz e sotto vapparve una fucina di Vulcano; e al batter dei martelli sudiva
(e non si vedeva altro che gli uomini nudi che linfocato strale battevano) una mi-
rabil musica, dopo la quale si richiuse il palco. Dicevano ancra che al secondo atto,
essendo la scena sopra un perno che si voltava a poco a poco, che appena saccorsero
le brigate che la si volgesse, vi si vedde un teatro pieno di popoli e nel luogo del pal-
co una battaglia dalcune barchette in acqua, che facevano stupire in quella gran sala
tutti gli udienti. Fu al terzo atto chiusa Venere e Marte sotto la rete con una musica
damori concertata con variati strumenti ascosti, che larmonia cavava i cuori dei petti
per dolcezza alle persone. Al quarto atto dissero i galanti uomini che saperse il cielo
e si vidde tutti gli dei a convito splendidissimo e ricco e tanto ornato doro, argento,
vestimenti, ornamenti e gioie, che pareva impossibile essersi gli uomini imaginati
tanta pompa: nel qual convito sudirono molte sorte di concerti di musiche allegre e
divine. Al quinto atto gli dei di cielo, di terra, di selve e di mare, con le ninfe loro,
fecero su la scena diverse e mirabili danze.19

Dunque, nel 1565 lallestimento vasariano nel salone dei Cinquecento avreb-
be offerto uneccellente opportunit di applicazione di soluzioni gi collaudate,
ma arricchite da sperimentazioni proposte dal protetto del principe France-
sco, il Buontalenti proiettate verso lalienante spazialit del palcoscenico del
teatro degli Uffizi. Si pensi alla sistemazione dei cieli spezzati sul palcosceni-
co (cos li avrebbe definiti Nicol Sabbatini nel suo trattato),20 i buontalentiani
tirari del Cielo, perfezionati per azionare il congegno della macchina-nuvola

Ricc, Studi italiani, xxv, 2013, fasc. 1-2, pp. 63-74.


18. Cfr. pp. 19-21; e v. S. Mamone-A.M. Testaverde, Vincenzio Borghini e gli esordi di
una tradizione: le feste fiorentine del 1565 e i prodromi lionesi del 1548, in Fra lo spedale e il principe.
Vincenzio Borghini. Filologia e invenzione nella Firenze di Cosimo I. Atti del convegno (Firenze, 21-
22 marzo 2002), a cura di G. Bertoli, R. Drusi, Padova, Il Poligrafo, 2005, pp. 65-77.
19. In Opere di Pietro Aretino e di Anton Francesco Doni, a cura di C. Cordi, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1976, to. ii, pp. 705-706. Il testo commentato in Testaverde, Teorie e pratiche di
Giorgio Vasari, cit., p. 67. E v. qui, a pp. 20-21, quanto osserva Sara Mamone.
20. Per la definizione di cielo spezzato e le modalit di realizzazione si vedano i capp. 4
(Come si deve fare il cielo della scena) e 37 (Modo di fare il cielo spezzato) in N. Sabbatini, Pratica di
fabricar scene e machine ne teatri (1638), con aggiunti documenti inediti e disegni originali a cura
di E. Povoledo, Roma, Bestetti, 1955, pp. 12-13, 101.

50
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

a discesa verticale, di memoria quattrocentesca,21 proposta con accrescimen-


ti dimensionali e azzardate manovre a vista. La notevole mobilit dazione
dei congegni, che richiedeva una solida struttura del palcoscenico, consent
di moltiplicare e rendere ancora pi complesse le uscite di sotto il palco su-
scitando lironia sprezzante di Giovanbattista Cini nei confronti del neofita
Buontalenti: la calata del Cielo a Bernardo non riesce, con il rischio di ef-
fetti di fantocciaggine.22
Il successivo progetto di teatro di corte, affidato al Buontalenti, d avvio a
una storia che stata ricostruita, nelle sue complesse varianti, nel contesto del
pi noto progetto vasariano per la fabbrica degli Uffizi: unavventura edifica-
toria contrassegnata da occasioni perdute e da interventi sconosciuti, segnali
di scelte progettuali dettate da intenti della committenza ancora non piena-
mente chiariti.
I rilievi e gli studi cartografici eseguiti per il progetto Grandi Uffizi,23 e le
interpretazioni sullattivit vasariana dovute a Claudia Conforti, rivelano una
edificazione del salone caratterizzata da ignote responsabilit progettuali.24 La
trascrizione del Registro de 13 magistrati della fabbrica, conservato presso lAr-
chivio di stato di Firenze, ha confermato la responsabilit di Vasari nel ruolo
di Architectore25 (il cantiere fu aperto, come puntualmente egli annota nel
suo Diario, il 23 marzo 1560),26 ma la complessa e farraginosa struttura buro-

21. Cfr. Testaverde, Informazioni sul teatro vasariano del 1565, cit., p. 92. Per la macchina-
nuvola e per gli ingegni di memoria brunelleschiana impalcati nei festeggiamenti delle confra-
ternite fiorentine: N. Newbigin, Feste dOltrarno. Plays in Churches in Fifteenth-Century Florence,
Firenze, Olschki, 1996, in partic. i documenti contenuti nel vol. ii, pp. 283-752; Id., Greasing the
Wheels of Heaven. Recycling, Innovation and the Question of Brunelleschis Stage Machinery, I Tatti
Studies. Essays in the Renaissance, iii, 2007, pp. 201-241. Sui rapporti tra le macchine nuvo-
le e larte coeva cfr. A. Buccheri, The Spectacle of Clouds, 1439-1656. Italian Art and Theatre,
Farnham, Ashgate, 2014.
22. La lettera del Cini al Borghini si legge nel Carteggio artistico inedito di D. Vinc. Borghini,
raccolto e ordinato da A. Lorenzoni, Firenze, B. Seeber, 1912, p. 46; e v. Testaverde,
Informazioni sul teatro vasariano del 1565, cit., p. 93.
23. Cfr. Cantiere Uffizi, a cura di R. Cecchi e A. Paolucci, Roma, Gangemi, 2007.
24. Cfr. almeno, anche per la bibliografia pregressa: C. Conforti, Giorgio Vasari, Milano,
Electa, 2010; Vasari, gli Uffizi e il Duca, catalogo della mostra a cura di C. Conforti, F. Funis, F.
De Luca (Firenze, 14 giugno-30 ottobre 2011), Firenze, Giunti, 2011. Cfr. inoltre L. Satkowski,
Giorgio Vasari Architect and Courtier, Princeton, Princeton University Press, 1993; Giorgio Vasari
and the Birth of the Museum, a cura di M. Wellington Gahtan, Farnham, Ashgate, 2014.
25. Deliberazioni e partiti della fabbrica de 13 magistrati, a cura di C. Conforti, F. Funis,
Roma, Gangemi, 2007, p. 16.
26. Ricordo come a d 23 di Marzo [] si cominci la Fabrica de Magistrati alla Zecha in
fiorenza che havevo fatto modello et dal Duca mi fu fatta provisione di scudi centocinquanta (Il
Libro delle Ricordanze di Giorgio Vasari, a cura di A. Del Vita, Arezzo, Casa Vasari, 1927, pp. 83-84).

51
ANNA MARIA TESTAVERDE

cratica e i contrasti e le interferenze dei Tredici Provveditori imposero di ra-


zionalizzare le responsabilit e i tempi di esecuzione, tanto che gi nel giugno
1561, su indicazione dello stesso Vasari, il duca Cosimo nomin un responsa-
bile amministrativo, suo diretto interlocutore, affidandogli il compito di Prov-
veditore generale: il tecnico-ingegnere Bernardo Puccini. Questi, forte di una
solida esperienza nei cantieri bellici, aveva lavorato con il celebre ingegnere
di corte Giovan Battista Belluzzi detto il Sanmarino, progettista militare, che
ebbe un ruolo non secondario nella vittoria fiorentina contro Siena.27 Puccini
riorganizz lo staff operativo del cantiere degli Uffizi, nominando quale sot-
to architettore Dionigi di Matteo Nigetti.28
Il pragmatico sostegno di Puccini alla decisione del principe di economiz-
zare nella realizzazione della grandiosa impresa degli Uffizi fu determinante
per la progressiva emarginazione del Vasari nella conduzione del cantiere. E
sebbene tra il 1564 e il 1565 lormai vecchio architetto fosse riuscito a con-
durre a termine con successo la costruzione del corridoio di collegamento con
il palazzo della Signoria,29 nel 1569 fu estromesso dai lavori esecutivi a causa
delle sue perplessit circa la statica del futuro salone per le adunanze delle ma-
gistrature allogato sopra la sede dei Nove Conservatori.
Un rescritto del 18 luglio di quellanno conferma che il duca aveva affidato
la commissione al Vasari:

Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Principe


Giorgio Vasari architetto a questa fabbrica per commissione (come dice) haveva dal
Illustrissimo Padre di quella, ci ha referito come e si facci il salone nuovamente ordi-
nato sopra li Magistrati dalla banda di san Piero Scheraggio, che per si comincino
a fare i pilastri che vi vanno, et si faccino lavorare i cavalletti et quelli altri legnami,
acci che si possa di mano in mano andar mettendo in opera secondo che la fabbrica
har la possibilit de i denari.30

27. Cfr. D. Lamberini, Il principe difeso. Vita e opere di Bernardo Puccini, Firenze, Giuntina,
1990; Id., Il Sanmarino: Giovan Battista Belluzzi architetto militare e trattatista del Cinquecento,
Firenze, Olschki, 2007.
28. Cfr. Lamberini, Il principe difeso, cit., p. 152.
29. Sulla costruzione del corridoio di collegamento cfr. G. Cataldi, La fabbrica degli Uffizi
ed il corridoio vasariano, Studi e documenti di architettura, 1976, 6, pp. 105-144; Il corridoio
vasariano agli Uffizi, a cura di C. Caneva, Cinisello Balsamo (Mi), Silvana, 2002; F. Funis,
Scavalcando il fiume: la costruzione del corridoio vasariano, Firenze 1565, in Architettura e tecnologia:
acque, tecniche e cantieri nellarchitettura rinascimentale e barocca, a cura di C. Conforti e A. Hopkins,
Roma, Nuova Argos, 2002, pp. 58-75; F. Funis, Il corridoio vasariano: idea, progetto e cantiere, in
Cantiere Uffizi, cit., pp. 377-391.
30. Archivio di stato di Firenze (dora in poi ASF), Magistrato di Nove, f. 3710, c. 173v.;
cit. in J. Lessman, Studien zu einer Baumonographie der Uffizien Giorgio Vasaris in Florenz, Bonn,
Rheinische Friedrich-Wilhelms Universitt, 1975, p. 339, doc. 185.

52
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

Ma le difficolt economiche e limpazienza di procedere in tempi pi rapidi


causarono la rottura dei rapporti operativi con il principe committente. Vasari,
si accennato, era perplesso circa la stabilit del salone: il qual considerando
alli tanti vani, et aperture che e vi son sotto, dice che quanto a lui pareva (co-
me anco a noi parve) che il dar cottimo fussi pericoloso per molte ragioni che
lui allegava, per le mura grosse di questo salone.31 Un problema gi solleva-
to dallarchitetto con lamico Vincenzo Borghini denunciando che i cottimi
e le scritte fanno rovinar le fabbriche.32
Il 17 agosto 1570 larchitetto aretino fu estromesso dal progetto: Sua Al-
tezza vuole che si dieno in cottimo a ogni modo, et quando ordina una cosa
vuol essere ubbidito, scriveva il segretario Lelio Torelli confermando al duca
la disponibilit del Puccini: Bernardo Puccini nostro collega refer per ordi-
ne di Vostra Altezza come la mente sua era che il restante delle mura di que-
sto salone si dessi in cottimo al mancho offerente.33
Dunque, fu proprio il progetto del salone, voluto da Cosimo in accordo con
il Vasari e decollato nellestate 1569, la causa del clamoroso allontanamento del
suo progettista; e gi lanno seguente, lo ricorda Vasari stesso, non si riscosse
pi dai Magistrati della Fabbrica.34
Se la data di nascita del futuro teatro degli Uffizi si ancora con certezza
allagosto 69, difficile confermare che limpianto strutturale della sala cor-
risponda a un progetto originario vasariano. Laffidamento dei lavori allarchi-
tetto-ingegnere Puccini (deceduto per nel 1578) potrebbe avere determinato
significative modifiche e lavori frettolosi. Comunque sia, resta inattendibile
lipotesi che sin dagli inizi si pensasse di costruire una sala teatrale allinter-
no degli Uffizi. Lo provano quei documenti archivistici che continueranno
a menzionare il Salone dove si raguna il Consiglio suggerendo cos, alme-
no per alcuni anni, la condivisione di tale spazio con le magistrature.35 Se nel
1576 il Residente veneto Andrea Gussoni ricordava lintenzione principesca

31. ASF, Magistrato di Nove, f. 3710, cc. 178v.-179r. (in Lamberini, Il principe difeso, cit., pp.
244-245).
32. ASF, Carteggio dartisti, ii, c. 76; cit. in Lessmann, Studien zu einer Baumonographie der
Uffizien, cit., p. 333, doc. 170.
33. ASF, Magistrato di Nove, f. 3710, cc. 178v.-179r. (in Lamberini, Il principe difeso, cit., p.
245).
34. Il Libro delle Ricordanze di Giorgio Vasari, cit., p. 101.
35. Manca unesatta ricostruzione dellintero complesso architettonico. Prezioso per tale ri-
costruzione il Ristretto delle bellezze della citt di Firenze di Giovanni de Bardi (gi citato in Zorzi,
Il teatro e la citt, cit., p. 218 n. 146). Varie sono le copie del testo del Bardi: a Firenze (Biblioteca
nazionale centrale, Palatino 917; Biblioteca riccardiana, ms. 2020) e a Siena (Biblioteca comu-
nale degli Intronati, ms. A.vi.42). Il testo ora edito: Giovanni de Bardi e il Ristretto delle bellezze
della citt di Firenze per Cristina di Lorena, a cura di E. Carrara, Pisa, ETS, 2014.

53
ANNA MARIA TESTAVERDE

di utilizzare la sala per rappresentare commedie,36 nel 1578 il cronista Lapini


nel suo Diario ne ribadiva un diversificato uso collettivo.37
Il progetto vasariano del salone, pur condiviso con Cosimo de Medici, non
conferma quindi luso di unoriginaria destinazione teatrale stabile: forse lestro-
missione dellarchitetto dal cantiere, la morte del committente e lavvicendarsi
dei granduchi e dei fidati architetti scrissero una storia diversa. Soltanto negli
ultimi mesi del 1585 si confermava la trasformazione del Salone dove si raguna
il Consiglio per farci una comedia.38 A tal fine si acceler il completamento
delle aperture trabeate della loggia allultimo piano delledificio,39 si scherma-
rono le invetriate lavorate da otto maestri veneziani e si iniziarono a sistemare
3 chiavistelli con 4 anelli per chiavistello e 3 toppe serviti a 3 finestre in sul
corridoio che guardano nel salone.40 Linaugurazione del teatro, noto, ebbe
luogo il 16 febbraio 1586 con la rappresentazione della perduta commedia La-
mico fido, di Giovanni dei Bardi, inserita nel calendario celebrativo delle nozze
di Virginia dei Medici con Cesare dEste. Sebbene la descrizione di Bastiano
De Rossi41 non registri la presenza di Giovan Battista Guarini assai proba-
bile che lamico Bardi avesse gi previsto linserimento di tre guariniani co-
ri in versi per gli intermedi che non sembrano tuttavia essere stati eseguiti.42
Una preferenza verso il Pastor fido daltra parte sarebbe stata ribadita nel 158943

36. Al palazzo di Piazza dove abita [il granduca] fa una giunta di pi di cinquanta stanze
con una sala per rappresentare commedie, il pavimento della quale sar pi alto da un lato che
da un altro acciocch non sia impedita la veduta a quelli che sono di dietro (cit. in Zorzi, Il
teatro e la citt, cit., p. 107).
37. A d 29 di detto aprile, in marted mattina a ore 13 si cant una Messa figurata
nella sala grande nuova sopra li Magistrati; e finita si dette principio a nuovo squittinio (Diario
fiorentino di Agostino Lapini dal 252 al 1596, ora per la prima volta pubblicato da Gius. Odoardo
Corazzini, Firenze, Sansoni, 1900, p. 199).
38. ASF, Guardaroba medicea, f. 114, c. 48d.
39. Cfr. Verso i nuovi Uffizi: progetti e realizzazioni recenti, catalogo della mostra a cura di
M.A. Lolli Ghetti, A. Paolucci (Firenze, 12-19 aprile 1999), Firenze, Giunti, 1999, p. 14.
40. ASF, Guardaroba medicea, f. 114, c. 48d.
41. B. de Rossi, Descrizione del magnificentissimo apparato e de maravigliosi intermedi fatti per la
commedia rappresentata in Firenze nelle felicissime nozze deglillustrissimi, ed eccellentissimi signori il signor
don Cesare dEste, e la signora donna Virginia Medici, Firenze, Marescotti, 1586.
42. Cfr. V. Rossi, Battista Guarini ed il Pastor fido. Studio biografico-critico con documenti
inediti, Torino, Loescher, 1886, p. 79. Daltra parte questi inserti guariniani sono registrati in
uno schema progettuale delle feste fiorentine conservato a Venezia presso il museo Correr (fon-
do Cicogna 537). Limportanza del codice gi stata sottolineata da Mazzoni, LOlimpico di
Vicenza, cit., p. 79 nota 41.
43. Nel febbraio del 1588 Luca Cortile, in una lettera indirizzata al duca Alfonso II dEste
in Ferrara, ricorda che Gioved mattina mentre andavamo alla messa in occhio, Sua Altezza
[Alfonso II dEste] entr in ragionamento di far recitare la comedia e mostr di havere animo
che si recitasse la Pastorale del Cavaliere Guarino, la quale mi disse che sperava di havere

54
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

quando, dopo ripetute e illusorie speranze, la scelta finale privilegi invece il


recupero di un testo (La Pellegrina di Girolamo Bargagli) con frettolose e op-
portune giunte encomiastiche.44 E giova ricordare lo strategico contributo del
Guarini alla rappresentazione inaugurale dellOlimpico di Vicenza.45
Nonostante la mancanza di documenti iconografici, la prolissit descrittiva
del De Rossi testimonia la trasformazione del salone a forma di Teatro, con
sei gradi, che la circondavano intorno intorno.46 In questa prima versione, si-
mile a un giardino de pi vaghi, il Buontalenti avrebbe dato vita allatmo-
sfera di un anfiteatro classico.
Il confronto con lanfiteatro classico torna anche nelle pagine che descri-
vono la nuova struttura commissionata per le nozze del 1589 tra il granduca
Ferdinando I e Cristina di Lorena. Nel 1600 Michelangelo Buonarroti il Gio-
vane specifica che la forma di essa [cavea] nellopposta faccia alla scena47 era
in guisa di mezzo ovato e nel 1608 la struttura era a somiglianza del circo
de Romani con gradi attorno.48
Le due versioni del teatro di corte degli Uffizi, pur presupponendo una com-
mistione tra lidea di teatro classico e la romanza sala dapparato, erano dun-
que state previste dalla committenza non nella residenza privata dei principi,
ma in un edificio che poneva sotto il diretto controllo granducale le strutture
economiche e amministrative dello stato. La posizione urbanistica strategica
e la necessit di mantenere in loco i memorabili e complessi congegni scenici
motivarono poi la stabilit di uso teatrale del grande vano, sempre pi spesso
definito Salone della Commedia Grande.
Il modello progettato da Zorzi nel 1975 restato a lungo un punto di riferi-
mento ineludibile (fig. 2). I dubbi dello studioso circa la struttura del palcosceni-

(Archivio di stato di Modena [dora in avanti ASMO], Ambasciatori, Firenze, Luca Cortile, b. 28).
Questa e altre lettere sono parzialmente trascritte e commentate in I. Fenlon, Preparations for a
Princess: Florence 1588-89, in In cantu et in sermone. For Nino Pirrotta on his 80th birthday, a cura di
F. Della Seta-F. Piperno, Firenze, Olschki, 1989, pp. 259-281. Si vedano anche le missive del
Guarini indirizzate allamico Bardi in Lettere del signor cavaliere Battista Guarini nobile ferrarese. Di
nuovo in questa seconda impressione di alcune altre accresciute e dallautore stesso corrette, Venezia, Ciotti,
1594, pp. 74-77. Sul Pastor fido basti qui rinviare a L. Ricc, Ben mille pastorali. Litinerario
dellIngegneri da Tasso a Guarini e oltre, Roma, Bulzoni, 2004, passim.
44. Cfr. A.M. Testaverde, La scrittura scenica infinita: La Pellegrina di Girolamo Bargagli, in
Drammaturgia a pi mani, Drammaturgia, i, 1994, 1, pp. 23-38.
45. Cfr. Mazzoni, LOlimpico di Vicenza, cit., passim.
46. De Rossi, Descrizione, cit., p. 2.
47. M. Buonarroti Jr, Descrizione delle felicissime nozze della cristianissima maest di madama
Maria Medici regina di Francia e di Navarra, Firenze, Marescotti, 1600, p. 22.
48. C. Rinuccini, Descrizione delle feste fatte nelle reali nozze de serenissimi principi di Toscana
don Cosimo de Medici, e Maria Maddalena arciduchessa dAustria, Firenze, Giunti, 1608, p. 33.

55
ANNA MARIA TESTAVERDE

co (lasciato intenzionalmente neutro e privo di scenografie) e sullimpianto del


vano rimasero irrisolti e tuttavia in seguito lipotesi di ricostruzione zorziana
fu spesso pedissequamente ribadita.49 Altrettanto indiscussa rimase lautorialit
del Buontalenti, senza addurre gli opportuni confronti con le esperienze ten-
tate sui palcoscenici di Ferrara, Mantova, Urbino e Bologna.50 E sono ancora
insufficienti le riflessioni storiografiche sugli apporti in scena della contem-
poranea ingegneria meccanica e bellica,51 e certo non giova il silenzio della
documentazione giustificato da quella segretezza ideologico-politica che ha
sempre circondato i progressi tecnici.
Le incertezze di Ludovico Zorzi cercavano chiarimenti, in quegli anni or-
mai lontani, nelle copiose informazioni contenute nel Memoriale di Girolamo
Seriacopi, provveditore del Castello di Firenze e principale estensore di un
inedito brogliaccio di lavoro dei manufattori poi edito nel 1991.52 Il Memo-

49. Alludo specialmente allerronea ricostruzione proposta da James M. Saslow nel suo pur
premiato volume The Medici Wedding 1589: Florentine Festival as Theatrum Mundi, New Haven-
London, Yale University Press, 1996, pp. 78-83. Lo studioso propone un palcoscenico a coulisses,
ignorando sia le ipotesi formulate dalla scrivente (1991) che i documenti iconografici scoperti
da A.R. Blumenthal, Giulio Parigis Stage Designs: Florence and the Early Baroque Spectacle, New
York-London, Garland, 1986, pp. 129-130. Gli inediti disegni, che consentivano di formulare
ipotesi ben diverse, da me condivise, sono ora analizzati in A.M. Testaverde, Michelangelo
Buonarroti il Giovane e le didascalie sceniche per il Giudizio di Paride, in Studi di storia dello spettacolo.
Omaggio a Siro Ferrone, a cura di S. Mazzoni, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 166-179 e figg. 1, 3.
Le due diverse ipotesi di ricostruzione del teatro degli Uffizi sono opportunamente registrate in
S. Mazzoni, Atlante iconografico. Spazi e forme dello spettacolo in occidente dal mondo antico a Wagner
(2003), Corazzano (Pisa), Titivillus, 20084, tavv. 162 e 165.
50. Si veda ad esempio il bel saggio di L. Vallieri, Prospero Fontana pittore-scenografo a
Bologna (1543), Drammaturgia, xi / n.s. 1, 2014, pp. 347-369, che conferma la necessit di
focalizzare gli studi su esperienze precedenti, in una fitta rete di sempre aggiornate relazioni.
51. Come ha sottolineato, tra gli altri, G. Adami, Scenografia e scenotecnica barocca tra
Ferrara e Parma (1625-1631), Roma, LErma di Bretschneider, 2003, pp. 25-38. Ma per una
riflessione filologica circa larchitettura militare e la scenotecnica buontalentiana v. C. Bino,
L'ordine meccanico. Tecnica e sapienza nel teatro degli Uffizi di Bernardo Buontalenti, tesi di dot-
torato in Storia dello spettacolo, Universit degli studi di Firenze, xiii ciclo, 2000, tutor:
Sara Mamone e Stefano Mazzoni. Alla studiosa si deve inoltre una ipotesi di ricostruzio-
ne del teatro degli Uffizi del 1589, ispezionabile anche su YouTube (https://www.youtube.
com/watch?v=exsIHLxaeqg), che non si discosta dallimpostazione del modello progettato
da Zorzi.
52. Il registro fu scoperto da A. Warburg, I costumi teatrali per gli intermezzi del 1589: i disegni
di Bernardo Buontalenti e il Libro di conti di Emilio de Cavalieri. Saggio storico-artistico, Atti dellac-
cademia del r. Istituto musicale di Firenze, xxiii, 1895, pp. 103-146. Lo studio sistematico di
tale fonte fu poi avviato, sotto la guida di Ludovico Zorzi, da F. Berti, Studi su alcuni aspetti del
diario inedito di Girolamo Seriacopiesui disegni buontalentiani per i costumi del1589, in Il teatro dei
Medici, a cura di L. Z., Quaderni di teatro, ii, 1980, 7, pp. 157-168; Id., I bozzetti per i costumi,
in La scena del principe, catalogo della mostra a cura di E. Garbero, A.M. Petrioli Tofani, L.

56
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

riale ha consentito di seguire in itinere le fasi costruttive della seconda versio-


ne del teatro di corte e di proporre una nuova ipotesi di ricostruzione (fig. 3):
una proposta critica che cercava di risolvere le incongruenze dovute spesso
alla mancanza di documentazione e a una eccessiva fiducia nelle descrizioni
dei relatori ufficiali, non di rado in contrasto con le osservazioni dei cronisti-
spettatori presenti.
Di pi. Le decisioni del granduca Ferdinando I dei Medici aprono nuovi
orizzonti di ricerca sulla veridicit dellevento dell89 e sulle sue scelte per-
sonali originarie che, se realizzate, avrebbero scritto una differente storia dello
spettacolo fiorentino. Nel febbraio 1588 Ercole Cortile, ambasciatore estense a
Firenze dal 1575, in una lettera ad Alfonso II dEste, confidava al suo signore
la volont di Ferdinando di inviare presso la corte di Urbino il fidato Giovan-
ni dei Bardi a vedere quella [commedia] che si reciter presto l, per veder
la maniera del recitare, s anco lapparato, per ricavarne eventuali modelli:

Si dice che il Gran Duca pensa a maritarsi presto, et si data commissione di metter
allordine una commedia, come dicono qui Regia, et il Signor Giovanni da Vernia
ander per odine del Gran Duca a Urbino a vedere quella che si reciter presto l, per
veder la maniera del recitare, s anco lapparato, et il Fortuna che negozia qui quando
occorre per il Signor Duca dUrbino disse che esso il signor Giovanni ha dato con-
to di questa sua gita, et non sa con che garbo vi voglia andare, non avendo servit
col Signor Duca, et manco amicizia di que paesi, et parer strano che vada di l di
questa maniera [] ha detto a me esso Signor Giovanni che lapparato ha da essere
il pi superbo che si sia fatto mai in nessuna parte, et che si star al manco otto mesi
a metterlo in ordine.53

Gli esiti di quella missione restano ancora poco noti e non sappiamo a quale
modello urbinate il granduca intendesse fare riferimento.54 La volont di re-
alizzare nellarco di otto mesi un nuovo teatro di corte, con il pi superbo
apparato che si sia fatto mai in nessuna parte, acceler lo smontamento dellar-

Zorzi [ordinatore] (Firenze, 1980), Firenze, Edizioni medicee, 1980, pp. 361-363. Infine, il
registro fu trascritto integralmente in Testaverde, Lofficina delle nuvole, cit., pp. 176-249.
53. ASMO, Ambasciatori, Firenze, Ercole Cortile, b. 28 (lettera del 28 febbraio 1588, cit. in
Fenlon, Preparations for a Princess, cit., p. 266 n. 16).
54. Cfr. Bino, L'ordine meccanico, cit., p. 77. Sullattivit teatrale alla corte urbinate, rinvio a
F. Piperno, Limmagine del duca. Musica e spettacolo alla corte di Guidobaldo II duca dUrbino, Firenze,
Olschki, 2001; Id., Spettacoli a Pesaro nel 1621 per nozze Medici-Della Rovere: sulla autonomia pro-
gettuale di una corte periferica, in Lo stupor dellinvenzione. Firenze e la nascita dellopera. Atti del
convegno internazionale di studi (Firenze, 5-6 ottobre 2000), a cura di P. Gargiulo, Firenze,
Olschki, 2001, pp. 87-103; P. Davidson, The Theatrum for the Entry of Claudia de Medici and
Federigo Ubaldo della Rovere into Urbino, 1621, in Court Festivals of the European Renaissance: Art,
Politics and Performance, a cura di R. Mulryne, Aldershot, Ashgate, 2002, pp. 311-334.

57
ANNA MARIA TESTAVERDE

redo buontalentiano della prima versione del teatro degli Uffizi. La vendita dei
materiali venne affidata alla Guardaroba granducale, in occasione dei festeg-
giamenti per le feste patronali di san Giovanni.55
In quei mesi il Cortile riferiva che il granduca pensava di voler mutare
parecchie volte la prospettiva di scena. Ci avrebbe imposto anzitutto il per-
fezionamento del palcoscenico e Ferdinando non era convinto di affidare il
lavoro al mitico Buontalenti, avendo a sua disposizione un altro abile archi-
tetto, lurbinate Francesco Paciotto.56 Due artisti rivali:

[il granduca] pensava di voler mutare parecchie volte la prospettiva di scena; et anco
lapparato della sala, et che le succederebbe facilmente poich aveva il Pacchiotto et
Bernardo delle Girandole, che fanno a gara a chi pu far meglio, et che chi voleva esser
ben servito in simil cose, bisognava haver uomini che sinvidiassero lun laltro; perch
ciascuno procura di far conoscere pi il suo valore; ma il Pacchiotto il principale et si
mostra che nelle cose di Bernardo vi sono molti errori, come nella fabbrica di Livorno.57

Il Paciotto, allievo di Girolamo Genga, gi al servizio di Cosimo I e di Fer-


dinando I come esperto tecnico-militare per Livorno, fu a Firenze fino alla-
prile 1589, allontanandosi poco dopo alla volta di Mantova.58 Appartenente
a una famiglia al servizio dei Della Rovere (Felice Paciotto, il segretario di
Guidobaldo, fu un attivo drammaturgo di corte), Francesco vantava esperien-
ze scenotecniche di alta qualit. Sebbene un suo intervento diretto nellallesti-
mento fiorentino del 1589 non sia attestato, il Medici ne apprezzava il talento,
la fama e le esperienze tecniche esperite alla corte urbinate. Le sue competen-
ze scenotecniche e la sua probabile consulenza meriterebbero ulteriori indagi-
ni, anche per ritessere quellipotetico filo conduttore dei rapporti tra tecnici
della scena che avrebbe poi portato alla pubblicazione del trattato di Nicol
Sabbatini. Si ponga mente, ad esempio, a eloquente riscontro, al progetto (fig.
4), riferito al teatro del Sole allestito nel salone della corte di Pesaro, forse per
le nozze del 1621 tra Ubaldo della Rovere e Claudia dei Medici, assegnato
variabilmente alla mano del Sabbatini o a quella dellAleotti. Il riferimento
allexemplum fiorentino ormai ampiamente condiviso dagli studiosi di quel

55. Per il riuso dellarredo del teatro nei festeggiamenti del 1588 si veda la Lettera allillustris-
simo eccellentissimo signor don Pietro Medici di Valerio Ruggieri sopra la festa fatta dal duca di Carroccio
nella festivit di San Giovambatista, Firenze 1588.
56. Sul personaggio: N. Ragni, Francesco Paciotti, architetto urbinate (1521-1591), Urbino,
Accademia Raffaello, 2001; A. Coppa, Francesco Paciotto architetto militare, Milano, Unicopli,
2002.
57. Lettera di Ercole Cortile al duca Alfonso II dEste, Firenze, 25 giugno 1588 (ASMO,
Ambasciatori, Firenze, Luca Cortile, b. 28, cit. in Fenlon, Preparations for a Princess, cit., p. 270 n. 29).
58. Cfr. Coppa, Francesco Paciotto architetto, cit., p. 103.

58
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

teatro i quali rinviano alle soluzioni del Buontalenti per la sala medicea degli
Uffizi, soprattutto per landamento curvilineo dellapparato.59
La decisione di assegnare allesperto Buontalenti la nuova versione del te-
atro degli Uffizi risult vincente. Le modalit dei suoi interventi per il nuovo
arredo del salone e soprattutto lorganizzazione tecnico-macchinistica, pen-
sata per un pi ampio palcoscenico, permisero di realizzare una struttura per
ludienza pi ridotta, a vantaggio della spazialit della scena. Lo prova il Me-
moriale del Seriacopi.
La soluzione storiografica di talune incongruenze presupponeva una parti-
zione del teatro in tre sezioni (andito-foyer; cavea con gradoni; palcoscenico),
ma richiedeva soprattutto un ulteriore studio architettonico degli ambienti
circostanti il salone. Per quanto riguarda limpianto semiellittico della cavea
e lincerta collocazione dellandito con soprastante balcone, stato proficuo
comparare il progetto con una idea di teatro formulata nel 1598 da Giorgio
Vasari il Giovane (fig. 5), un cortigiano che molto aveva meditato sui mano-
scritti e sui disegni del Puccini.60
Il foglio propone un originale impianto ottagonale pensato, come specifica
larchitetto, imitando gli Antichi e facendo la presente pianta dun gran Sa-
lone, o vero stanzon per recitarvi commedie, tragedie [] poi che anche le
giostre e simili tornei cavallereschi si possono fare.61 Lipotesi vasariana (solo
proposta o effettivamente realizzata?) una reinterpretazione dellidea di anfi-
teatro degli Antichi inscritta nel vano rettangolare di un salone. Per il lato di
accesso al teatro, Vasari jr proponeva sul lato breve del vano il congiungimento
delle due ali laterali della cavea mediante una struttura balconata sopraeleva-
ta (un ricetto) riservata al pubblico maschile: haviamo fatto due scale acci
gli uomini possono salire, e scendere, senza impedire le donne, e per non fare
confusione si sono fatti i gradi attorno anco per loro.62 Tale soluzione fa me-
glio comprendere lubicazione di quel balcone de pi degni situato sopra il
portale di accesso al teatro degli Uffizi e destinato nel 1589 ai musici. Gi nel
1600 (per le nozze di Maria dei Medici) il balcone-palco ospitava i pi impor-

59. Cfr. F. Mariano, Lo spazio del teatro nelle Marche, in Il teatro nelle Marche: architettura,
scenografia e spettacolo, a cura di F. M. Scritti di F. Battistelli, F. M., A. Pellegrino, Jesi-Fiesole,
Banca delle Marche-Nardini, 1997, p. 64. La pianta stata poi ampiamente discussa in Adami,
Scenografia e scenotecnica barocca, cit., pp. 74-75.
60. Cfr. Testaverde, Lofficina delle nuvole, cit., p. 87. Per un medaglione dellarchitetto: L.
Olivato, Profilo di Giorgio Vasari il Giovane, Rivista dellIstituto nazionale darcheologia e storia
dellarte, n.s., xvii, 1970, pp. 181-229.
61. G. Vasari il Giovane, La citt ideale. Piante di chiese (palazzi e ville) di Toscana e dItalia, a
cura di V. Stefanelli, introd. di F. Borsi, Roma, Officina, 1970, pp. 153-154.
62. Ivi, p. 154.

59
ANNA MARIA TESTAVERDE

tanti dignitari, la Regina Madre e alcuni ambasciatori steteno in su un palcho


sopra la porta della detta sala).63 Nella medesima occasione, ma in posizione
distanziata, al piano alto della galleria, assistevano allo spettacolo il Nunzio apo-
stolico con altri ambasciatori residenti affacciati alle finestre della Galleria.64
La chiusura di questo balcone, trasformato poi in palco segreto chiuso da
una grata, potrebbe essere stata realizzata nel 1610 quando la Guardaroba sald
la fattura di una gelosia fatta nel Salone della Comedia dove ha a stare el Gran
Duca a sentire la commedia; de albero con la sua guancia e fondo traffora-
to, el suo sportello tessuto di regoli e accomodata e confitta dove ha stare.65
Il palco segreto viene nuovamente descritto in uno degli ultimi spettaco-
li allestiti negli anni prossimi alla chiusura del teatro quando, nel 1624, per la
Rappresentazione di SantOrsola, il relatore precisa la dislocazione del pubblico:

Madama S.a con la Principessa di Urbino con le sue filliuole et dame era a vedere so-
pra la porta di detta sala in luogo incognito e non visibile da nessuno; et il Cardinale
de Medici con il Cardinal Capponi erono a una finestra della galleria con lo strato
rosso a vedere, et lambasciatore di Modena et di Lucca et quel di Venezia stettono
allaltre finestre a vedere.66

La distribuzione degli spettatori chiarisce definitivamente la sinora fraintesa


organizzazione spaziale del teatro: nel secondo piano degli Uffizi, in galleria, si
aprivano tre finestre (prototipi dei futuri palchetti del teatro allitaliana) riser-
vate a una parte degli ospiti illustri, mentre in platea, al centro della curvatura
della cavea, era allogato una sorta di palco reale, soprastante laccesso al salo-
ne, raggiungibile da scale interne ancora visibili nelle primissime piante degli
Uffizi (secolo XVIII). E non sar inutile pensare al teatro Farnese di Parma.
Tale assetto ora confermato da una inedita preziosa pianta (fig. 6) conser-
vata presso lArchivio di stato di Modena tra le carte che descrivono una topica
diatriba circa le precedenze e le dislocazioni gerarchiche dei diplomatici invitati
alla citata rappresentazione teatrale del 1624.67 Il disegno, seconda testimonian-
za iconografica dopo quella di Callot (fig. 7), accompagna un gruppo di lettere:

63. Cos il diarista Tinghi (cito da A. Solerti, Musica, ballo e drammatica alla corte medicea dal
1600 al 1637. Notizie tratte da un Diario con appendice di testi inediti e rari, Firenze 1905; rist. anast.
Bologna, Forni, 1969, p. 26).
64. Ibid.
65. ASF, Guardaroba medicea, f. 308, ins. 2, c. 160r.
66. Cos ancora il Tinghi (in Solerti, Musica, ballo e drammatica alla corte medicea, cit., pp.
174-175).
67. Spetta alla musicologa K. Harness (Echoes of Womens Voices: Music, Art, and Female
Patronage in Early Modern Florence, Chicago, University of Chicago Press, 2006, p. 15) il repe-
rimento del documento, ma la studiosa non ne ha colto n limportanza n la preziosa unicit.

60
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

Ad 7 ottobre 1624
Il Signor Conte Cesare Molza ambasciatore di Modona in Firenze fu invitato dal
Gran Duca per una [] del Signor Filippo Nicolini []. Per il quale invito and
lambasciatore e fu accompagnato dal Signor Cavalier Staffa cameriero del Gran
Duca, ritrovandovisi nel medesimo tempo li Signori ambasciatori lucchesi ordinario
e straordinario, che tolto in mezo lambasciatore di Modona se nandarono in galeria,
dove dal signor Cavalier Staffa fu applicata la terza finestra che guarda nel teatro al
signor ambasciatore di Modona con quelli di Lucca. Allora il Signor ambasciatore di
Modona domand al Signor Staffa per chi dovevano servire le altre due finestre, ri-
spose la prima per li signori Cardinali Medici e Capponi e la seconda per Monsignor
Nuncio, e con lui il residente di Venezia.68

Il segretario mediceo Curzio Picchena ribadiva la forza della tradizione nella


sistemazione di invitati e pubblico:

Sappia dunque Vostra Altezza che quando si fanno feste nella sala grande, si sogliono
assegnare due finestre, che rispondono nella Galleria, una al Nuncio e laltra alli due
ambasciatori per servirsene a loro piacimento e lasciarvi accostare chi a loro piacesse.
Il Nuncio per non star quivi solo ha menato seco talvolta qualche personaggio fore-
stiero o un frate o un amico, s come questa volta vi invit il residente di Venezia,
senza che loro Altezze se ne siano impacciate punto. Quello non luogo pubblico,
anche le finestre restano tanto alte che dal piano della sala difficilmente si scorgono
quelli che vi sono, onde si pu dire che veggono e non sono veduti.69

In prossimit dello spettacolo furono nuovamente mutati ordine e precedenze:

ottobre 1624
Serenissimo padrone colendissimo
Intesi poi che a Palazzo vi era ordine di dare nella sala della rappresentatione allam-
basciatrice mia con carega di veluto il primo luogo e cos lesortai andarsene, comella
fece qual fu conforme lintentione trattata []. Aggiungo per qualificata considera-
tione che il signor Nuncio non si trov mai nel tempo che si fece la rapresentatione
col residente a quelle finestre, ma se ne stato sempre con li cardinali, restando solo il
residente a quella finestra e produsse causa che il popolo consider assai questa novit.70

Laffinit della sconosciuta pianta modenese del teatro degli Uffizi con una
cavea di forma poligonale (fig. 6) assai simile al disegno-progetto del nipote
del Vasari (fig. 5) a suo tempo messo a opportuno confronto con lincisione
del Callot (fig. 7) sollecita nuove ipotesi ricostruttive. Al nuovo impianto

68. ASMO, Ambasciatori, Firenze, Cesare Molza, b. 53, ins. 18, cc. 35r.-v.
69. Ivi, c. 36r.
70. Ivi, c. 42r.

61
ANNA MARIA TESTAVERDE

della sala e alla sua accertata partizione sar aggiunta la ricostruzione dellasset-
to misto del palcoscenico ancora organizzato con il sistema dei periaktoi, ma
con binari scorrevoli nel fondale.71 Lorganizzazione delle scene ruotanti, gi
studiata su disegni di Michelangelo Buonarroti il Giovane per lallestimento
de Il giudizio di Paride del 1608,72 risponde poi ai modelli registrati nelle pagi-
ne trattatistiche dellarchitetto tedesco Joseph Furttenbach.73
In quello scorcio di Seicento la cinquantennale storia del teatro degli Uffizi
stava ormai divenendo, a livello europeo, un modello tecnico museale visitato
dagli ospiti cittadini;74 un exemplum da descrivere su pagina, certo, ma tecnolo-
gicamente superato dalle sperimentazioni di architetti non direttamente allievi
del Buontalenti. La cristallizzazione del sistema macchinistico, divenuto or-
mai tecnologicamente obsoleto ed economicamente inaccettabile, ne decret
il saltuario utilizzo e quindi un inevitabile disuso. In prossimit dellennesimo
evento spettacolare nuziale mediceo (1637, nozze di Ferdinando II con Vit-
toria della Rovere) lallestimento delle Nozze degli dei fu trasferito nel cortile
della residenza dinastica di palazzo Pitti. La scelta venne allora imputata alla
gran calura estiva e alla pessima acustica dellormai desueto teatro degli Uffi-
zi.75 Lordine di smontare completamente il fastoso teatro di corte giunse il 10
dicembre 1636 quando il segretario Benedetto Guerrini ne dette incarico al
marchese di SantAgnolo del Castello di Firenze: Il Serenissimo Padrone ha
comandato che io dica a V.S. Ill.ma che faccia disfare la sciena della Comedia
che sta nel salone Reale et con q.sto la reverischo, De Pitti, l x di dicembre
1636.76 Il 14 dicembre si motivava lo smantellamento e la necessit di recupe-
rare i materiali ancora utilizzabili per lapparato nel cortile di Pitti:

Ill.mo Sig.re P.ne ill.mo


Il Serenissimo Gran Duca ha comandato che io scriva a V.S.A. Ill.ma che dia ordine
dalla Fortezza sia somministrato tutto quello faccia di bisogno per servitio della nuo-
va festa da farsi nel cortile, secondo di mano in mano domander lingegniere Parigi
non solo di legnami, ferramenti et altro ma delle maestranze ancora et che tutto fassi
con ogni vantaggio facendo pagare dal Camarlengo delle Fortezze il danaro che an-

71. Cfr. Testaverde, Lofficina delle nuvole, cit., pp. 98-101.


72. Cfr. Testaverde, Michelangelo Buonarroti il Giovane e le didascalie sceniche per il Giudizio
di Paride, cit., figg. 1 e 3.
73. Cfr. ancora Testaverde, Lofficina delle nuvole, cit., passim (e v. qui il saggio di Sara
Mamone).
74. Cfr. ivi, p. 151.
75. Cfr. ivi, p. 152. Le motivazioni sono riferite nella relazione ufficiale, per la quale si veda:
[F. de Bardi], Descrizione delle feste fatte in Firenze per le reali nozze de serenissimi sposi Ferdinando II
gran duca di Toscana, e Vittoria principessa dUrbino, Firenze, Zanobi Pignoni, 1637, p. 24.
76. ASF, Fabbriche medicee, f. 127, c. 209r.

62
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

der bisognando e che i ferramenti e legnami della scena vecchia che si disfa, si sal-
vino tutti i buoni per uso della presente festa et si tenga conto a chi si consegnano
e tutto fassi conforme al solito dellaltra volta che si fatto simil festa e la reverisco.
De Pitti, l 14 dicembre 1636
Di V.A. Ill.mo Devotissimo e Obbligatissimo
Benedetto Guerrini
-Il Provveditore Generale delle fortezze eseguisca quanto vi vien comandato da S.A.S.
in virt di questo biglietto. Data in Firenze li 15 dicembre 1636.
Gio. Medici Generale.77

Si chiudeva cos, nel dicembre 1636, una memorabile esperienza scenotecnica,


lasciando in disuso lantico salone fino alla sua trasformazione ottocentesca in
area politica e museale.78 La residenza di Pitti apriva nuovi scenografici luoghi
teatrali per gli ospiti pi illustri e riservava al pubblico familiare e dinvitati le
sale interne della maestosa Versailles fiorentina.

Appendice

ASMO, Ambasciatori, Firenze, Cesare Molza, b. 53, ins. 18.

c. 43r.
Disegno della pianta del teatro degli Uffizi
A scena
B scenetta per li signori deputati alla sopraintendenza alla representatione
C banchi per il popollo
D gradi pieni di dame
E gradi pieni di gentilomini
F Arciduchessa
G Arciduca
H ambasciatore dellImperatore
I don Louis Bracco ambasciatore cattolico
L Gran Duca
M ambasciatore di Spagna
N principe don Lorenzo
O principessa Margaritta
P principessa Anna

77. Ivi, c. 209v.


78. Cfr. R. Mangione, Documenti sul riuso del teatro Mediceo degli Uffizi (1740-1848), Annali
del dipartimento di storia delle arti e dello spettacolo della Universit di Firenze, n.s., x, 2009,
pp. 187-245. Il saggio rielabora un importante lavoro compiuto, in ambito di tesi, presso lUni-
versit di Firenze, sotto la guida del relatore, il prof. Stefano Mazzoni.

63
ANNA MARIA TESTAVERDE

Q principe Gio Carlo


R principe Francesco
S principe Mattias
T principe Leopoldo
V ambasciatore di Modena
X ambasciatori di Lucca, moglie dellambasciatore vecchio
1 donna Isabetta dInstain prima dama dellarciduchessa
2 signora Niccollina
3 signora marchesa Virginia Malaspina
4 sig.ra......
5 s.ra.....
signor card. Medici
signor card. Capponi
Nuntio
Residente di Venezia
Ambasciatore straordinario di Lucca
Ambasciatore di Modena
Ambasciatore ordinario di Lucca
Cancelli dentro quali stava la Gran Duchessa con la principessa dUrbino.

c. 54v.
La domenica doppo desinare si stette discorrendo aspettandosi lora della rapresenta-
tione che si principi allAve Maria.
Nel qual teatro erano accomodati su gradi divisi con tavole [dallo] oltre da ducen-
to cinquanta dame, la met per parte contigue alla scena, poi i rimanente de gradi
pieni di gentiluomini, la maggior parte forestieri, per mezzo su le banche de genti-
luomini mariti di quelle dame, poi altri della citt, ma con spatio che stessero larghi
senza tomulto.
Larciduchessa con tutti i Principi et dame di palazzo stavano inanzi della scena su
careghe per lordine infrascritto.
Serenissima signora Arciduchessa
Serenissimo signor Arciduca
Serenissimo Gran Duca
Eccellentissimo principe Savelli ambasciatore cesareo
Eccellentissimo duca di Pastrana ambasciatore cattolico
Eccellentissimo don Louis Bravo ambasciatore cattolico allArciduca
Eccellentissimo signor Principe Lorenzo

c. 55r.
Tutti i soprascritti sedevano per ordine del pari in careghe di valuto cremisino.
Innanzi di quelli sedevano del pari in seggiole pi basse assai
Eccellentissima signora principessa Margarita
Eccellentissima signora principessa Anna figliuole della serenissima Arciduchessa
Eccellentissimo signor principe Gio Carlo

64
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

Eccellentissimo signor principe Francesco


Eccellentissimo signor principe Mattias
Eccellentissimo signor principe Leopoldo figliuoli della serenissima Arciduchessa
Ambasciatore di Modona
Ambasciatore di Lucca
Duchessa di Vernich, rest vuoto questo luogo perch non vi venne
Marchesa Virginia Malaspina
Donna Isabetta De Stain dama maggiore della Serenissima
Signora
Signora
Signora
Alle finestre della galleria stavano vedendo la rapresentatione li signor cardinali
Capponi et Medici et signor Nuntio, ambasciatore di Modena et di Lucca ordinario
et straordinario et residente di Venetia.
Madama la Gran Duchessa stava nascosta in certi canzelli dirimpetto alla scena, aven-
do con lei la signora Principessa dUrbino.
Questa festa parve a principe e dame et a tutti li ispettatori troppo breve per la va-
ghezza sua e per lesquisita qualit de musici, quale termin doppo le tre ore di not-
te con universale applauso.

65
ANNA MARIA TESTAVERDE

Fig. 1. Ipotesi di ricostruzione dellapparato teatrale realizzato da Giorgio Vasari nel 1565
nel salone dei Cinquecento in palazzo Vecchio a Firenze (Ludovico Zorzi-Cesare Lisi
1975. Provincia di Firenze).

66
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

Fig. 2. Ipotesi di ricostruzione del fiorentino teatro Mediceo degli Uffizi con lapparato
buontalentiano del 1589: veduta della sala (Ludovico Zorzi-Cesare Lisi 1975. Provincia
di Firenze).

Fig. 3. Ipotesi di ricostruzione in pianta del teatro Mediceo degli Uffizi, versione 1589
(Annamaria Testaverde-Saverio Balli 1990. Da Testaverde 1991, p. 28, fig. 7).

67
ANNA MARIA TESTAVERDE

Fig. 4. Nicol Sabbatini (?), Teatro del


Sole: sala temporanea allestita nel 1621
nel salone di corte di Pesaro, disegno
(Pesaro, Biblioteca oliveriana, ms. 387,
vol. x, c. 173).

Fig. 5. Giorgio Vasari il Giovane, Pianta di stan-


zone, 1598, disegno (Firenze, Gabinetto disegni
e stampe degli Uffizi, 4576 A).

68
LAVVENTURA DEL TEATRO GRANDUCALE DEGLI UFFIZI

Fig. 6. Pianta del teatro degli Uffizi


di Firenze, 1624, disegno (Mode-
na, Archivio di stato, Ambasciatori,
Firenze, Cesare Molza, b. 53, ins. 18,
c. 43r.).

Fig. 7. Jacques Callot (da Giulio Pari-


gi), Interno del teatro Mediceo degli
Uffizi: i intermedio della Veglia della
liberatione di Tirreno (1617), incisione
(Firenze, Gabinetto disegni e stampe
degli Uffizi, 8015 st. sc.).

69
Caterina Pagnini

ANNA DI DANIMARCA E I QUEENS MASQUES


(1604-1611)

1. Profilo di una regina: una storiografia avversa

Seconda dei sette figli di Federico II, re di Danimarca e Norvegia, e di So-


phia di Mecklenburg-Gstrow, Anna (fig. 1) nasce nel 1574 nel castello reale
di Skanderborg situato nella regione dello Jutland centrale; insieme alla sorella
maggiore Elisabetta e al terzogenito Cristiano, futuro re di Danimarca, per-
sonalmente istruita dalla madre, donna di carattere indipendente e combatti-
vo, nonch amante della cultura e importante mecenate di artisti. Una figura
che rappresenter per la giovane principessa danese un modello indimenticabi-
le per il suo futuro di regina. Nel 1589, infatti, a diciassette anni, Anna viene
data in sposa al giovane re di Scozia e Irlanda, Giacomo VI Stuart; seguendo
le vicende dinastiche del suo consorte, da tempo designato ufficiosamente al-
la successione al trono dInghilterra da Elisabetta I, nel 1603 viene incorona-
ta regina di Inghilterra, Scozia e Irlanda a fianco del marito, da allora in poi
Giacomo I di Inghilterra, Scozia e Irlanda (fig. 2).1
Sin dal regno di Elisabetta I il masque, genere spettacolare ibrido, inizia a
configurarsi come lintrattenimento per la corte e della corte e ricever la
sua definitiva codificazione in et giacobina. Gli studiosi di area anglofona si
sono concentrati prevalentemente sulla ricognizione metaforico-letteraria di
questa forma spettacolare intesa come instrumentum regni per la glorificazione
del sovrano e della sua politica, con particolare attenzione alla ormai conso-
lidata prassi del masque del periodo carolino (1625-1642).2 Tutto questo sulla

1. Pubblico qui una prima stesura dei risultati scientifici, in parte conseguiti e in parte
in via di approfondimento documentario, bibliografico e iconografico, sulla figura di Anna
di Danimarca. Si tratta quindi di un work in progress attualmente mirato sulle fonti conservate
presso gli archivi italiani, in partic. lArchivio di stato di Firenze (dora in poi ASF) e che poi si
focalizzer sui fondi archivistici londinesi.
2. La produzione saggistica di area anglofona sul masque del periodo elisabettiano, giacobino
e carolino estesissima; basti qui ricordare i lavori fondanti di E.K. Chambers, The Elizabethan
Stage, Oxford, Oxford University Press, 1923, 4 voll.; E. Welsford, The Court Masque. A

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 71-88


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18361
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
CATERINA PAGNINI

scia di una radicata storiografia anti-giacobina che, sviluppatasi a partire dalla


fine della dinastia regnante Stuart, con la decapitazione di Carlo I (30 gennaio
1649), ha svilito per secoli la figura di Giacomo I, sia dal punto di vista politico
che culturale. Un giudizio negativo che ha coinvolto non soltanto loperato del
monarca ma tutto lapparato delle sue corti, ufficiali e residenziali, con par-
ticolare accanimento nei confronti di quelle satellitari dei suoi favoriti, prima
Robert Carr, conte di Somerset e poi George Villiers, duca di Buckingham;
entrambi personaggi controversi che, con le loro alterne vicende politiche e
personali, hanno non poco contribuito al prolungato e ingiustificato discredito
nei confronti del regno di Giacomo I, solo recentemente rivalutato.3

Study in the Relationship between Poetry and the Revels, Cambridge, Cambridge University Press,
1927; A. Nicoll, Stuart Masques and Renaissance Stage, London, Harrap, 1937; G.E. Bentley,
The Jacobean and Caroline Stage, Oxford, Clarendon Press, 1941-1968, 7 voll.; D. Bergeron,
Twentieth Century Criticism of English Masques, Pageants and Entertainments: 1558-1642, San
Antonio, Trinity University Press, 1972; R. Strong, Art and Power: Renaissance Festivals, 1450-
1650, Woodbridge, Boydell, 1984 (1a ed. 1973); S. Orgel, The Illusion of Power: Political Theatre
in the English Renaissance, Berkeley, University of California Press, 1975; D. Lindley, The Court
Masque, Manchester, Manchester University Press, 1984; J. Peacock, The Stuart Court Masque,
Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, lvi, 1993, pp. 183-208. Tra i pi recenti stu-
di: The Politics of the Stuart Court Masques, a cura di D. Bevington e P. Holbrook, Cambridge,
Cambridge University Press, 1998; J. Astington, English Court Theatre 1558-1642, Cambridge,
Cambridge University Press, 1999; The Cambridge History British Theatre, i. Origins to 1660, a
cura di J. Milling e P. Thomson, Cambridge, Cambridge University Press, 2004; Localizing
Caroline Drama: Politics and Economics of the Early Modern English Stage, 1625-1642, a cura di A.
Zucker e A.B. Farmer, New York, Macmillan, 2006; D. Lewcock, Sir William Davenant, the
Court Masque and the English Seventeenth Century Scenic Stage, c1605-c1700, Amherst, Cambria
Press, 2008; K. Curran, Marriage, Performance and Politics at the Jacobean Court, Farnham,
Ashgate, 2009; B. Ravelhofer, The Early Stuart Masque: Dance, Costume and Music, Oxford,
Oxford University Press, 2009; G. Heaton, Writing and Reading Royal Entertainments, Oxford,
Oxford University Press, 2010; R. Dutton, The Oxford Handbook of Early Modern Theatre,
Oxford, Oxford University Press, 2011; L. Shohet, Reading Masques: The English Masque and
Public Culture in the Seventeenth Century, Oxford, Oxford University Press, 2011.
3. Della riabilitazione politica e culturale di Giacomo I e della sua corte si ampiamen-
te trattato in C. Pagnini, Costantino de Servi, architetto-scenografo fiorentino alla corte dInghilterra
(1611-1615), Firenze, Sef, 2006, pp. 19-52, cui si rimanda per ulteriori approfondimenti e per la
bibliografia. In questa sede vale la pena citare il volume di G.P.V. Akrigg, Jacobean Pageant or The
Court of King James I, New York, Atheneum, 1978, uno dei primi saggi scientifici che propone
una buona ricostruzione del regno del sovrano britannico, affiancandone i tratti politici alle
tendenze culturali, sociali e spettacolari. Inoltre si citano i pi recenti W.B. Patterson, King
James VI and I and the Reunion of Christendom, Cambridge, Cambridge University Press, 1998; J.
Travers, James I: the Masque of Monarchy, London, The National Archives, 2003; A. Stewart,
The Cradle King: a Life of James VI and I, New York, St. Martins Press, 2004; James VI and I:
Ideas, Authority and Government, a cura di R.A. Houlbrooke, Aldershot, Ashgate, 2006; K.P.
Walton, Leanda de Isle. After Elizabeth: the Rise of James of Scotland and the Struggle for the Throne

72
ANNA DI DANIMARCA E I QUEENS MASQUES

Nelle maglie di questa consolidata tendenza storiografica per pi aspetti de-


viata e deviante stata inglobata anche la consorte del sovrano Stuart, di volta
in volta delineata come una figura inconsistente, capricciosa e superficiale ed
eccessivamente frivola e mondana per il suo cosiddetto sproporzionato inte-
resse nei confronti degli intrattenimenti (revels) di corte.4 Anche Roy Strong,
nel suo autorevole studio sulla vita del primogenito di Anna e Giacomo, il
principe Enrico Stuart, definisce la regina madre in termini poco lusinghie-
ri, liquidando in poche righe il suo ruolo nella famiglia reale: On the whole

of England, The Journal of British Studies, xlvi, 2007, 1, pp. 170-171; J. Rickhard, Authorship
and Authority. The Writings of James VI and I, English Historical Review, cxxvii, 2012, pp.
173-175.
4. La bibliografia su Anna di Danimarca piuttosto scarna; la prima pionieristica mo-
nografia sulla regina risale al 1970, un lavoro che, sebbene tracci un profilo biografico piutto-
sto dettagliato, si focalizza principalmente sui tratti familiari e sul contesto della corte, quasi
ignorando lattivit politica, culturale e spettacolare della regina (cfr. E.C. Williams, Anne of
Denmark. Wife of James VI of Scotland: James I of England, Harlow, Longmans, 1970). Il contri-
buto fondamentale quello dello studioso shakespeariano Leeds Barroll che nella sua biografia
culturale dedicata alla regina inglese delinea un profilo politico e culturale finalmente ade-
guato (cfr. L. Barroll, Anna of Denmark, Queen of England. A Cultural Biography, Philadelphia,
University of Pennsylvania Press, 2001, preceduto dal contributo preparatorio Id., The Court of
the First Stuart Queen, in The Mental World of the Jacobean Court, a cura di L. Peck, Cambridge,
Cambridge University Press, 1991, pp. 191-208). Lo studio di Barroll ha aperto nella produzio-
ne scientifica anglofona una strada che stata, in anni recenti, oggetto privilegiato per gli studi
di gender che, pur apportando notevoli contributi alla restituzione del personaggio, tendono a
spostare i diversi approfondimenti sempre in direzione della medesima prospettiva storiografica
neo-femminista: si veda lo studio di B. Kiefer Lewalski, Enacting Opposition: Anne of Denmark
and the Subversions of Masquing, in Id., Writing Women in Jacobean England, Cambridge, Harvard
University Press, 1993, pp. 15-43, e cfr. i pi recenti C. McManus, Women on the Renaissance
Stage. Anna of Denmark and Female Masquing in the Stuart Court (1590-1619), Manchester,
Manchester University Press, 2002; C. Thomas, Politics and Culture The Role of Queen Anna
of Denmark at the Jacobean Court, https://www.academia.edu/1023265/Politics_and_Culture_
the_Role_of_Queen_Anna_of_Denmark_at_the_ Jacobean_Court (ultimo accesso: 15 luglio
2015); oltre a Curran, Marriage, Performance, and Politics at the Jacobean Court, cit., che, pur essen-
do un saggio scientifico di moderna concezione, non prende in considerazione la derivazione
fiorentina della cultura rinascimentale della corte di Giacomo, Anna e Enrico. Pi inquadrati sul
versante politico della corte giacobina e sul ruolo strategico giocato dalla consorte di Giacomo
I i saggi di D. Stevenson, Scotlands Last Royal Wedding: the Marriage of James VI and Anne of
Denmark, Edinburgh, Donald, 1996 e di L. Roper, Unmasking the Connections between Jacobean
Politics and Policy: the Circle of Anna of Denmark and the Beginning of the English Empire 1614-1618,
in High and Mighty Queens of Early Modern England, a cura di D. Barret-Graves, New York,
Macmillan, 2003, pp. 45-59. Fra gli studi non pubblicati degna di menzione, perch foca-
lizzata sullanalisi dei masques organizzati dalla regina Anna, la dissertazione dottorale di K.L.
Middaugh, The Golden Tree: The Court Masques of Queen Anna of Denmark, discussa nel 1994
alla Case Western Reserve University. Si veda inoltre Pagnini, Costantino de Servi, cit., passim.

73
CATERINA PAGNINI

Anna lived for pleasure, passing her time moving from one of the palaces as-
signed to her to the next []. She deliberately avoided politics, devoting her-
self instead to dancing, court entertainments, and the designs and decoration
of her houses and gardens.5
Il giudizio da imputarsi principalmente a due fattori; lerrata assunzio-
ne, nella maggior parte delle ricostruzioni storiche, del ruolo accentratore di
Giacomo I, emblema di un potere monarchico egemonico e di una corte cen-
tripeta e monolitica; la seconda e conseguente considerazione, che egli mo-
nopolizzasse tutti i settori dellattivit di corte e, da qui, che la regina Anna,
avendo uninfluenza irrilevante nella vita e nella gestione della household reale,
non fosse un soggetto interessante per gli studi. Lindifferenza critica nei con-
fronti della regina stata ulteriormente rafforzata dalla tendenza della maggior
parte delle biografie giacobine a concentrarsi prevalentemente sul periodo suc-
cessivo al 1614, ossia sugli ultimi anni di vita della reale consorte (morta nel
1619), quasi ignorando la prima decade del regno considerata esclusivamente
dal fuorviante punto di vista dellanticipazione degli avvenimenti cruciali e
delle crisi politiche degli anni successivi.

2. Firenze e Londra: i rapporti politici e culturali fra i Medici e gli Stuart

Dallanalisi delle fonti documentarie e bibliografiche di matrice anglosas-


sone finora reperite,6 viene invece a delinearsi un personaggio esemplare e po-
liedrico, molto distante dalla figura distaccata, passiva e frivola proposta da un
certo tipo di storiografia. In tal senso fondamentale, per la corretta restitu-
zione del ruolo strategico che la regina Anna ebbe nella prima fase del regno
degli Stuart, focalizzare lattenzione sul rapporto politico e culturale intercorso
fra la corte inglese di Giacomo I e la corte fiorentina dei Medici, prima quella
del granduca Ferdinando I (dal 1603, anno della citata incoronazione di Gia-
como I a re dInghilterra), poi quella di Cosimo II (dal 1609, morte del gran-
duca). La base di partenza per questo processo di riabilitazione storiografica
affonda le radici nella ricognizione dei fondi Mediceo del principato e Miscellanea
medicea dellArchivio di stato di Firenze, in particolare delle filze che raccol-
gono le corrispondenze dei residenti fiorentini alla corte di Giacomo I: tutte

5. R. Strong, Henry Prince of Wales and Englands Lost Renaissance, New York, Thames &
Hudson, 1986, p. 16. Anna visse esclusivamente per il divertimento, passando il tempo a spo-
starsi da un palazzo allaltro []. Evit deliberatamente gli affari politici, dedicandosi invece alla
danza, agli intrattenimenti di corte, alla ristrutturazione e alla decorazione delle sue residenze
e ai giardini (mia la traduzione).
6. Cfr. nota 1.

74
ANNA DI DANIMARCA E I QUEENS MASQUES

fonti primarie prevalentemente inedite e non valutate al giusto da quella sto-


riografia anglosassone che pur tende alla restituzione di questo personaggio
dimportanza non secondaria per la cultura e la storia europea del Seicento.7
Dalle lettere degli ambasciatori e dei residenti medicei alla corte londinese,
che cominciano a frequentare le sale dei palazzi reali fin dalla ascesa al trono
di Giacomo I, la regina Anna si delinea da subito come uno dei pi importan-
ti interlocutori dei visitatori stranieri, diplomatici o artisti; perfettamente ca-
lata nelle dinamiche politiche, molto attiva nella proposta spettacolare e nella
creazione di quel modello di corte rinascimentale tanto ambito dallo stesso re
ma soprattutto dalla regina stessa e dal primogenito Enrico.8
Lasse Londra-Firenze e viceversa decisivo per delineare un quadro di
interazioni strategiche a livello storico, culturale e spettacolare che vede co-
me protagonisti da una parte i granduchi medicei, Ferdinando I e Cosimo II
con le granduchesse Cristina e Maria Maddalena e dallaltra la casa reale de-
gli Stuart, nella quale possiamo attribuire un ruolo predominante ad Anna e a
Enrico, oltre che alla principessa Elisabetta, futura sovrana di Boemia in segui-
to al matrimonio con il principe palatino del Reno Federico V.9 La fitta rete
di relazioni pu essere circoscritta con profitto agli anni che vanno dal 1603
al 1614-1615, successivi alla morte del principe ereditario Enrico e che videro
la partenza di Elisabetta per la sua nuova patria; questo periodo non a caso in
parte coincide con la permanenza a Londra dellarchitetto mediceo Costantino

7. Per il regesto completo delle filze del fondo Mediceo del principato che contengono le
corrispondenze dei residenti fiorentini a Londra cfr. C. Pagnini, Begli Umori Capricciosi.
Fiorentini alla corte dInghilterra: lattivit del residente mediceo Ottaviano Lotti (1603-1614) e la vicenda
di Costantino de Servi, architetto, scenografo, pittore (1611-1615), tesi di laurea in Storia del teatro e
dello spettacolo, Universit degli studi di Firenze, Facolt di lettere e filosofia, a.a. 2001-2002
(relatore: prof. Sara Mamone), cui si rimanda anche per la trascrizione integrale delle lettere
(vol. ii).
8. Sulla numerosa presenza italiana a Londra si vedano i sempre attuali G.S. Gargano,
Scapigliatura italiana a Londra sotto Elisabetta e Giacomo, Firenze, Battistelli, 1923 e Relazioni di
ambasciatori veneti al Senato. Tratte dalle migliori edizioni disponibili e ordinate cronologicamente, i.
Inghilterra, a cura di L. Firpo, rist. anast. Torino, Bottega dErasmo, 1965 (registrate anche
in Calendar of State Papers and Manuscripts, relating to English Affairs, existing in the Archives and
Collections of Venice [], a cura di R. Brown et al., London, Longman-Roberts-Green, 1864-
1947, voll. x-xv, 1603-1619). Per la migrazione di residenti, ambasciatori e artisti fiorentini nelle
pi importanti corti dEuropa si veda anche S. Bardazzi, Sguardi fiorentini sullImpero. Notizie
dei residenti fiorentini presso la corte cesarea a Praga e Vienna da Massimiliano II a Ferdinando II, tesi di
laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, Universit degli studi di Firenze, Facolt di lettere
e filosofia, a.a. 2003-2004 (relatore: prof. Sara Mamone).
9. Sul matrimonio fra Elisabetta e Federico: Strong, Henry Prince of Wales, cit., pp. 73-79.
Sui festeggiamenti per le nozze cfr. Pagnini, Costantino de Servi, cit., pp. 239-263.

75
CATERINA PAGNINI

de Servi, al servizio di Anna e di Enrico dal 1611 al 1615.10 Di tale complessa


macchina di relazioni politico-culturali furono principali artefici i residen-
ti, gli ambasciatori e gli artisti medicei che interagirono direttamente con la
regina Anna, con il principe Enrico, con la principessa Elisabetta e con i pi
importanti funzionari della corte, fra cui Robert Cecil, I conte di Salisbury,
segretario di stato sia di Elisabetta I che di Giacomo I, e sir Thomas Chalo-
ner, tutore di Enrico; fra questi solerti funzionari granducali vanno messi in
valore Alfonso Montecuccoli, primo dei residenti medicei alla corte Stuart in
missione diplomatica per conto di Ferdinando I in occasione dellincorona-
zione del nuovo re; Andrea Cioli, una delle figure pi importanti della segre-
teria medicea; e, fra i pi politicamente risolutivi, Ottaviano Lotti inviato da
Cosimo II alla corte inglese per curare le negoziazioni in vista di un possibile
matrimonio fra il principe erede Enrico Stuart e la principessa Caterina de
Medici, sorella del granduca.11
Non un caso che uno dei primi ritratti storici di Anna, appena arrivata
in Inghilterra come regina consorte, venga delineato dalle fonti archivistiche
fiorentine, in un lungo dispaccio di Montecuccoli alla segreteria granducale
scritto da Winchester e datato 29 ottobre 1603; un documento che mostra la
regina in una luce diversa da quella tradizionale e che svela uno spirito curio-
so ed eclettico, una personalit desiderosa di contatti culturali, gi proiettata
attivamente nella politica dello scambio dei doni, fondamentale per i rapporti
diplomatici dellEuropa delle corti:

Hoggi il giorno 29 ho havuto Udienza privata dalla Maest della Regina e perch le
havevano gi fatta condurre la cassa, venuta di Parigi segretamente [] ho trovata Sua
Maest di tutto molto soddisfatta, e in particulare di alcune Immagini di Santi che
dice Sua Maest che vi erano. ben vero che alcune figurine si sono trovate rotte,
ma Sua Maest mi dice che le far accomodare facilmente; e con loccasione di queste
santissime immagini ha liberamente Sua Maest proceduto a dirmi e a confessarmi di
essere Cattolica e di non desiderare altro che lesaltazione della Santa madre Chiesa
e che sia pregato Iddio che la conservi in questo buon proposito, e che non resta ne i
propositi che occorrono fare grandi offizi con il Re sopra di questo, ma che bisogna

10. Per lesperienza londinese dellarchitetto fiorentino: ivi, passim, in partic. pp. 153-310.
11. Per Ottaviano Lotti: ivi, in partic. pp. 103-152 e Id., Ottaviano Lotti residente mediceo
a Londra (1603-1614), Medioevo e Rinascimento, xvii/n.s. xiv, 2003, pp. 323-408. Sulle
trattative per il matrimonio fra Enrico e Caterina: J.D. Mackie, Negotiations between King James
VI and I and Ferdinand I [], London-New York, Milford for St. Andrew University-Oxford
University Press, 1927; R. Strong, England and Italy: the Marriage of Henry Prince of Wales, in
For Veronica Wedgwood These: Studies in Seventeenth-Century History, a cura di R. Ollard e P.
Tudor-Craig, London, Collins, 1986, pp. 59-87; Id., Henry Prince of Wales, cit., pp. 42-80;
Pagnini, Costantino de Servi, cit., pp. 130-152.

76
ANNA DI DANIMARCA E I QUEENS MASQUES

che vadia molto circospetta. Io in questo, pigliando cuore di essortarla e confermar-


la in questi buoni pensieri, le donai le scatoline delle Immagini in nome di Madama
Serenissima con la scrittura che havevano fatta tradurre in Franzese e soggiunsi che
Sua Maest non cessasse mai di raccomandarsi alla Beatissima Vergine, che si avve-
drebbe che i suoi pensieri haverebbono felicissima fine e Sua Maest disse di farlo
continuamente e il Presente le fu estremamente accetto []. Soggiunse Sua Maest
che desiderava che Madama le mandasse da Firenze una Dama che fusse buona per
acconciarle la testa e io le dissi che ne havrei avvisata lAltezza Vostra.12

Sette anni pi tardi il residente Lotti si intrattiene nella Galleria dei ritrat-
ti con la regina, ormai ambientatasi nelle sue residenze e con la household ben
organizzata, perfettamente a suo agio nelle questioni politiche e diplomatiche
pi delicate (le trattative con le corti dEuropa per il matrimonio di Enrico),
verso le quali non esita ad assumere apertamente posizioni perentorie e in con-
trasto con la volont del consorte:

Nel passeggiare Sua Maest nella sua solita Galleria piena di ritratti, e fra i quali ella
metter hora quelli dei Serenissimi Patroni, ella dando docchio al ritratto di Madama
Arabella parl compassionevolmente della miseria di lei; e voltatasi poi a quello della
Regina di Spagna, me lo mostr, e mostr ancho quello della piccola Infanta. Onde io,
che vivo con ansiet di rendere humilissimo servitio presi arditamente occasione e dissi:
Io vedo quella Piccola Principessa Regina dInghilterra, se la poca et non limpedi-
sca; rispose Sua Maest: Non so quello che sar, ma let non pu gi guastare, perch
molto pi tempo ha il Re mio marito di me che il Principe dInghilterra dellInfanta
di Spagna. Non ha dubbio che Sua Maest piega a quella banda, ma nel ragionare mo-
stra pi desiderio che speranza della conclusione. Io soggiunsi: Si dice per cosa certa
che il Marescial Lavardino viene anchegli per trattare di dare Madama di Francia al
Principe dInghilterra; risentitamente rispose Sua Maest: Perdio che ci non sar mai
e ne maledirei mio figliolo in eterno. Perch Madama, domandai io: Perch non mi
piace, risposella, e perch io non voglio Figliole duno che ha haver quattro moglie.
Noi, soggiunse ella, tratteremo pi facilmente con il Granduca vostro Signore, e io
che mi feci lontano dal quel pensiero, mostrai di cadere allimprovviso in una estre-
ma allegrezza e dissi: Se ci seguir mai, faccio voto di visitare il Sepolcro Santissimo,
e seguitai: Veda Vostra Maest quanto benedetta da Iddio quella Serenissima Casa,
che gli Imperatori, tutti i Gran Re di Christianit, ogni Principe supremo brama di
congiungersi seco, veda per esempio il Governo delle due Regine di Francia di Casa
Medici, e quello della presente particolarmente, se vuole conoscere con perfetto amore

12. Alfonso Montecuccoli alla segreteria granducale, Winchester, 29 ottobre 1603, ASF,
Mediceo del principato, f. 4186, cc. n.n. Per la trascrizione integrale del doc. si veda Pagnini, Begli
Umori Capricciosi, cit., vol. ii, doc. 11. Riguardo alla fede cattolica della regina, che Giacomo I
le permise di praticare a corte e di cui molto veniamo a sapere dalle corrispondenze dei residenti
medicei, cfr. lappendice documentaria in Barroll, Anna of Denmark, cit., pp. 162-172.

77
CATERINA PAGNINI

di madre e di moglie, e questa bont si deve cercare e lasciare ognaltra cosa oltre che
si sa quanto quella felicissima Casa sia feconda di prole, e Vostra Maestr potr guada-
gnare una nuora e una servitrice, se mai si unisse a questa, di che io voglio ogni giorno
pregare Sua Maest (e Vostra Maest, soggiunsi io, pu bene honorar me povero humi-
lissimo servo per amore de miei Serenissimi Padroni, e per laffetione che le Altezze
le portano pu accennarmi qualcosa). Allhora che si comincer a ragionare di dare
moglie al Serenissimo Principe e la Maest Sua che accett in buonissima parte tutto
quel che io dicevo, mi promesse di farlo, e io lo spero e godo estremamente per i miei
disegni desser arrivato a questo punto, perch Sua Maest liberissima nel parlare bi-
sogna pertanto che io vada sempre procacciando occasione di rivedere la Maest Sua.13

3. Gli Stuart sovrani di Inghilterra: una corte policentrica

Per comprendere la complessa realt in cui Anna si inserisce al suo arrivo


in Inghilterra e che le permetter di ritagliarsi un ruolo di primo piano nelle
vicende del regno, si consideri che la corte giacobina, specialmente quella del
primo decennio, non si fonda sulla sola personalit del sovrano, ma sulle diver-
se componenti sociali e politiche che ne definiscono il polimorfismo: i nobili
della corte, laristocrazia terriera, i mercanti delle pi importanti citt del regno,
le corporazioni di stampo tardo-medievale ma ancora influenti nella politica
londinese: tutti elementi interattivi e competitivi che, a dispetto della retorica
sullautorit assoluta e accentrante del sovrano, sono alla base della societ strut-
turandola come un organismo policentrico, multiforme e centrifugo (fig. 3).
Lo stato giacobino, noto, rappresentato da tre corti fisiche cui si riferi-
scono diverse residenze: quella del re, Whitehall Palace a Londra (figg. 4-5)14

13. Ottaviano Lotti a Belisario Vinta, Londra, inserto del 26 gennaio 1610 [ma 1611], ASF,
Mediceo del principato, f. 4189, cc. n.n. Le trattative per il matrimonio di Enrico Stuart si leggono
in Pagnini, Costantino de Servi, cit., pp. 130-152.
14. Whitehall Palace, in origine York Place, di propriet del cardinale Wolsey, fu acquisito
nel 1530 da Enrico VIII che lo fece ampliare. Giacomo I, al suo arrivo a Londra come nuovo
monarca, lo ristruttur commissionando a Inigo Jones, fra il 1619 e il 1622, la realizzazione della
Banqueting House; e si sa che Carlo I affid a Rubens la decorazione della volta del salone, cul-
minante nellApoteosi di Giacomo I (cfr. R. Strong, Britannia Triumphans: Inigo Jones, Rubens and
Whitehall Palace, London, Thames & Hudson, 1980). Prima dellincendio del 1698, che port
alla sua quasi totale distruzione, Whitehall era il pi grande palazzo reale europeo, quasi una
cittadella dentro la citt di Londra, con pi di millecinquecento stanze e una struttura piuttosto
irregolare dovuta ai numerosi interventi di ampliamento susseguitisi per volont dei diversi
monarchi. Cfr. G.S. Dugdale, Whitehall through the Centuries, London, Phoenix House, 1950;
S. Thurley, Whitehall Palace. An Architectural History of the Royal Apartments, 1240-1698, New
Haven, Yale University Press, 1999; E. Sheppard, The Old Royal Palace of Whitehall (1902), rist.
anast. Charleston, Nabu Press, 2010.

78
ANNA DI DANIMARCA E I QUEENS MASQUES

oltre alle residenze di campagna di Royston e Theobalds; quella della regina,


prima Somerset House (fig. 6) (denominata successivamente Denmark House)15
e poi Greenwich Palace (fig. 7);16 infine quelle dellerede al trono, a St. James,
Richmond e Woodstock.17 Con lavvento della casa Stuart per la prima volta
dai tempi di Enrico VIII prevista una residenza dedicata alla corte della re-
gina, con ruoli e cariche espressamente creati per cortigiani maschi e femmine
e soprattutto, per quanto qui interessa, con una gestione separata della produ-
zione spettacolare. La recente storiografia anglosassone di gender propende a
vedere in Anna e nella sua corte una sorta di fronte femminista avverso, sia
politicamente che culturalmente, alla corte patriarcale di Giacomo I;18 senza
addentrarsi in tali problematiche, a nostro avviso storicamente estranee e de-
contestualizzate, proficuo analizzare linfluenza di Anna sulla spettacolarit
giacobina e sulla codificazione del masque. suo senzaltro il maggior impulso
dato alla struttura definitiva del masque come spettacolo rappresentativo della
corte giacobina e carolina: suoi sono i pi importanti masques della prima de-
cade del regno di Giacomo I, anni fondamentali per la genesi e il definitivo
sviluppo del genere.

15. Somerset House, sul lato sud dello Strand lungo il corso del Tamigi, era stata la re-
sidenza privata della principessa Elisabetta Tudor nei mesi precedenti alla sua incoronazione
(1558). Con la ascesa al trono di Giacomo la residenza fu assegnata alla regina consorte Anna
che la fece ampliare da Inigo Jones. Cfr. N. Webster, Somerset House: Past and Present, London,
Unwin, 1905; J. Newmann-A. Hornak, Somerset House: Splendour and Order, London, Scala
Books, 1990.
16. Greenwich Palace, nel Kent, a sud della Torre di Londra lungo il Tamigi, vide la nascita
di Enrico VIII e delle figlie Maria ed Elisabetta, future regine dInghilterra, che la elessero a
residenza privata anche durante gli anni dei rispettivi regni. Sotto Giacomo I il palazzo e il suo
parco furono assegnati alla consorte Anna. Tra il 1614 e il 1617 la regina commission a Inigo
Jones la completa ristrutturazione del palazzo e la costruzione, a sud, di un nuovo edificio; lar-
chitetto, appena rientrato dal suo grand tour italiano e quindi ben consapevole dei principi archi-
tettonici del classicismo filtrati dai modelli romani, rinascimentali e palladiani, costru quello
che oggi lunico edificio rimasto del complesso di Greenwich, la Queens House, ispirata alla
villa medicea di Poggio a Caiano; il nuovo pavillon venne portato a termine, dopo linterruzione
dei lavori nel 1618 per la malattia e la morte della regina Anna (1619), solo dopo il 1629, quando
Carlo I assegn la residenza alla consorte Henrietta Maria. Cfr. P. van der Merwe, The Queens
House: Greenwich, London, Scala, 2012.
17. Sulle residenze reali inglesi, in partic. su quelle della dinastia Stuart: N. Williams,
Royal Homes of Great Britain from Medieval to Modern Times, London, Lutteworth Press, 1971 e
J.E. Adair, The Royal Palaces of Britain, New York, Potter, 1981.
18. Cfr. McManus, Women on the Renaissance, cit.

79
CATERINA PAGNINI

4. Una regina in scena: i Queens Masques (1604-1611)

Anna la principale figura di riferimento per la spettacolarit della corte


giacobina, fondamentale mediatrice fra lo spettacolo dei dilettanti, i nobili che
agiscono in scena nei masques, e quello del teatro dei professionisti, a partire
dagli attori, coinvolti nelle parti recitate e danzate (specialmente nellantima-
sque), dai poeti di corte, Samuel Daniel o Ben Jonson, con i quali la regina in-
teragisce attivamente per lo sviluppo della trama del masque, e dallo scenografo,
Inigo Jones, cui la regina dispensa volentieri consigli e direttive sui costumi e
anche sulle entrate in scena.19 Fondamentale per lo sviluppo dellinterazione
fra il teatro dei professionisti e quello dei dilettanti proprio lintroduzione
dellantimasque presentato per la prima volta da Ben Jonson il 2 febbraio 1609
in occasione dellallestimento di The Masque of Queens: una delle pi fertili col-
laborazioni con Jones e unevoluzione importantissima nella storia della spet-
tacolarit inglese (figg. 8-9). Qui Jonson segue lesplicita richiesta della regina
Anna che dimostra ancora una volta la sua vocazione teatrale, ben sapendo
che il successo di una forma spettacolare reiterata affidato alla variet della
forma stessa: Her Majesty (best knowing, that a principal part of life, in these
Spectacles, lay in their variety) had commanded me to think on some Dance, or
Shew, that might precede hers, and have the place of a foil or false Masque.20
Ampliando lo schema base della rappresentazione con il prologo dellantimasque,
Jonson trasforma lo spettacolo tradizionale in un doppio masque impiegando
due diverse compagnie di masquers, con prevalenza, nella prima, di esecuto-
ri professionisti; per il debutto della sua innovazione drammaturgica Jonson
sceglie di presentare in scena lentrata danzante di un gruppo di streghe, per-
sonaggi grotteschi che hanno il compito di introdurre, per contrasto, con il
loro aspetto bizzarro, la gestualit enfatizzata e labbigliamento stravagante, la
magnificenza e il tono aulico del vero e proprio masque (lepisodio della Hou-
se of Fame) che segue subito dopo: Twelve Women, in the habit of Hags, or
Witches, sustaining the Persons of Ignorance, Suspicion, Credulity [] the Op-
posites to good Fame, should fill that part; not as a Masque, but a Spectacle of
strangeness, producing multiplicity of Gesture.21

19. Queste pratiche consuete sono documentate dai libretti di Daniel e di Jonson. Si veda-
no le introduzioni autoriali ai masques di Samuel Daniel e Ben Jonson in Court Masques: Jacobean
and Caroline Entertainments 1605-1640, a cura di D. Lindley, Oxford, Oxford University Press,
1995.
20. Ivi, p. 35. Sua Maest (ben sapendo che il successo di questi spettacoli sta nella varie-
t) mi comand di pensare a qualche danza, o spettacolo, che potesse precedere il suo masque e
avesse la funzione di antagonista o falso-masque (mia la traduzione).
21. Ibid. Dodici donne, in costume da streghe, introducendo le personificazioni della

80
ANNA DI DANIMARCA E I QUEENS MASQUES

Non c dubbio che sotto legida della reale consorte vengano prodotti i
masques dellera giacobina che codificano definitivamente il genere, confer-
mando lindipendenza delle scelte della regina e la sua attivit spettacolare
ben identificata e volutamente distinta da quella del re; come il figlio Enrico
ella ama le commedie che si rappresentano nei teatri pubblici, protettrice di
compagnie di attori e si dedica alla danza che pratica con particolare talento
sia negli intrattenimenti privati che sulla scena di corte. Lufficio dei Queens
Revels testimonia il ruolo attivo di una sovrana rinascimentale che produce
spettacoli per se stessa e per le sue dame (Queens and Ladiess masques). Per-
ci pu essere affiancata allesempio, di non molto precedente, di Margherita
Gonzaga, figlia di Guglielmo Gonzaga duca di Mantova e di Eleonora dAu-
stria e terza moglie di Alfonso II dEste, duca di Ferrara. Margherita, dal suo
arrivo nella capitale estense, propone alla corte per pi di un ventennio, dal
1571 al 1597, la tipologia del ballo delle dame o ballo della Duchessa, un
appuntamento spettacolare di grande rilievo e risonanza, con vasto impiego
di mezzi allestitori.22
Dopo gli intensi anni trascorsi alla corte scozzese, durante i quali Anna
ebbe modo di farsi notare per il suo impegno politico e per le sue frequenti e
poco gradite incursioni nelle decisioni del consorte reale,23 in Inghilterra
che Anna pu dedicarsi a soddisfare il suo interesse per lo spettacolo, inteso
come tramite metaforico-politico autocelebrativo, creando un polo di attra-
zione, se non opposto, diverso dalla corte del re e seme forte della sua ideo-
logia volutamente alternativa al potere del sovrano.
Fin dal suo arrivo a Londra la regina imposta il calendario spettacolare in-
glese in modo che lallestimento dei suoi spettacoli, i citati Queens Masques,
coincida con lappuntamento pi importante delle feste annuali: la notte
dellEpifania (Twelfth Night) che dal 1604, anno della prima rappresentazione
di un masque di Anna, diventa levento rappresentativo pi dispendioso.24 Da

Ignoranza, del Sospetto e della Credulit [], opposte alla buona Fama, eseguono il Prologo,
non come un masque, ma uno spettacolo bizzarro, con molteplicit di gesti (traduzione mia). Su
The Masque of Queens: Pagnini, Costantino de Servi, cit., pp. 168-198.
22. Si vedano, ad esempio, il Gran ballo del carnevale del 1582, a soggetto pastorale, per otto
dame in ruoli di ninfe e pastori e il Ballo armato del 1594, per dodici dame, di cui sei in effigie di
guerriere. Cfr. M. Padovan, Il Ballo della Duchessa. Margherita Gonzaga coreografa e ballerina (1579-
1597), in Le lombarde in musica, Roma, Colombo, 2008, pp. 41-53 e Id., Il Cinquecento, in Storia
della danza italiana dalle origini ai nostri giorni, a cura di J. Sasportes, Torino, edt, 2011, pp. 48-52.
23. Il periodo di Anna come regina di Scozia uno dei pi significativi dal punto di vista
politico. La sua ricostruzione storiografica servita non poco alla rivalutazione del personag-
gio storico per quanto riguarda la fase inglese. Cfr. Williams, Anne of Denmark, cit., pp. 1-68;
Barroll, Anna of Denmark, cit., pp. 14-35.
24. Cfr. Pagnini, Costantino de Servi, cit., pp. 168-198.

81
CATERINA PAGNINI

questa data, per sette anni, la regina mette in scena lapoteosi della dinastia,
unificatrice dei tre regni e portatrice di pace e armonia; una strategia auto-
celebrativa alla quale prende attivamente parte in qualit di masquer: in sce-
na come protagonista e valente esecutrice delle danze teatrali di corte, tra le
quinte come ispiratrice dellallestimento, dei costumi e della drammatur-
gia. Gli eventi in programma sono i pi attesi dalla corte e dai visitatori stra-
nieri che si contendono la possibilit di essere ammessi agli spettacoli: The
Vision of the Twelve Goddesses, rappresentato nel palazzo di Hampton Court,
l8 gennaio 1604, su libretto di Daniel e con scene di Jones;25 The Masque of
Blackness, messo in scena il 6 gennaio 1605 a Whitehall Palace, che sancisce
la prima delle successive e numerose collaborazioni fra Jonson, autore del li-
bretto, e Jones per le scene e i costumi (figg. 10-11); The Masque of Beautie, il
10 gennaio 1608 allestito a Whitehall Palace, dove i due autori, per volont
della regina, portano a termine il disegno drammaturgico e il messaggio po-
litico del masque precedente (fig. 12); The Masque of Queens, rappresentato il
2 febbraio 1609 sempre a Whitehall, uno degli intrattenimenti di corte pi
complessi ed elaborati, di cui Anna cura personalmente i dettagli dellallesti-
mento (figg. 8-9);26 Thetys Festival, portato in scena a Whitehall nel giugno
del 1610, su libretto di Daniel e scenografie di Jones, offerto dalla regina per
la Creazione del primogenito a principe di Galles (fig. 13); lultimo Queens
Masque, Love Freed from Ignorance and Folly, allestito ancora a Whitehall il 3
febbraio del 1611, di nuovo con la collaudata collaborazione di Jonson e Jo-
nes, di ispirazione neoplatonica.27
Dopo la morte del principe Enrico, scomparso nel 1612 allet di diciotto
anni molto probabilmente per una febbre tifoide,28 Anna smette di produrre
spettacoli e si ritira nelle sue residenze private con le dame pi fidate del suo
seguito (fig. 14); intanto alla corte di Giacomo, scomparso lerede al trono,

25. Gi dalla sua prima esperienza sulla scena regale Anna svel la propria ideologia
spettacolare indicando a Inigo Jones la fonte dei costumi di scena nel guardaroba della defunta
regina Elisabetta. Cfr. S. Daniel, The Vision of the Twelve Goddesses, con una introd. di E. Law,
London, Quaritch, 1880, p. 13 (ora in https://archive.org/details/visiontwelvegod00danigoog,
ultimo accesso: 15 luglio 2015).
26. Abbiamo gi visto (cfr. supra) come per questo masque Ben Jonson inserisca per la prima
volta lantimasque.
27. Per lanno 1611 la data dellEpifania fu riservata alla rappresentazione del masque
Oberon The Fairy Prince, uno spettacolo programmatico voluto da Giacomo I per celebrare il
primogenito, nuovo principe di Galles.
28. La morte del principe ereditario, sul quale la nazione aveva riposto le pi fervide
speranze di un regno illuminato, getta lInghilterra e la corte di Giacomo I nel pi grande
sconforto, che viene puntualmente riferito dai residenti medicei alla segreteria granducale. Cfr.
Strong, Henry Prince of Wales, cit., pp. 220-226; Pagnini, Costantino de Servi, cit., pp. 149-151.

82
ANNA DI DANIMARCA E I QUEENS MASQUES

cominciano a prendere campo i favoriti del re, prima Robert Carr e poi Ge-
orge Villiers.29
Negli anni seguenti, tuttavia, vengono ancora allestiti diversi intratteni-
menti nei palazzi della sovrana, non pi partecipante allo spettacolo ma piut-
tosto attiva in un ruolo di mediazione e di patrocinio: fra le produzioni a
Greenwich House si ricorda Cupids Banishment (4 maggio 1617), attribuito
a Robert White, interpretato dalle giovani allieve, pupille della regina, della
scuola di Deptford. Il prologo dedicatorio indirizzato alla contessa di Bedford
sancisce la definitiva uscita della regina dalle scene dellorganizzazione spet-
tacolare, anche a causa delle sempre pi gravi condizioni di salute. Mor a soli
quarantaquattro anni, Anna. Era il 2 marzo del 1619.30

29. Su questa fase politica successiva alla morte del principe Enrico si vedano: Williams,
Anne of Denmark, cit., pp. 133-142, 166-176; Akrigg, Jacobean Pageant, cit., pp. 190-226; S.J.
Houston, James I, New York, Longman, 1995, pp. 42-55; Pagnini, Costantino de Servi, cit.,
pp. 264-310.
30. Sugli ultimi anni di vita della regina Anna cfr. Williams, Anne of Denmark, cit., pp.
192-205.

83
CATERINA PAGNINI

Fig. 1. John de Critz il Vecchio, Anne of Den-


mark, 1605, dipinto (London, National Portrait
Gallery, NPG 6918).

Fig. 2. Anonimo, King James I of England and


VI of Scotland and Anne of Denmark, s.d., in-
cisione (London, National Portrait Gallery,
NPG D25686).

84
ANNA DI DANIMARCA E I QUEENS MASQUES

Fig. 3.Willem van de Passe, King James I and His Royal Progeny, 1625-1630, incisione (Lon-
don, National Portrait Gallery, NPG 9808).

Fig. 4. Wenceslaus Hollar, Palatium Regis prope Londinum vulgo White-hall, 1647 ca., inci-
sione (London, Metropolitan Archives).

Fig. 5. Pianta del Palazzo di Whitehall nel 1680, 1807, stampa (London, British Library,
Cartographic, Port. 11 65).

85
CATERINA PAGNINI

Fig. 6. Wenceslaus Hollar (da), Old Somerset House, 1670 ca., stampa (da The Mirror of
Literature, Amusement, and Instruction, xiii, 1829, 365, p. 241).

Fig. 7. Inigo Jones, Progetto per la Queens House a Greenwich, 1615 ca., disegno (Lon-
don, RIBA 30693).

86
ANNA DI DANIMARCA E I QUEENS MASQUES

Fig. 8. Inigo Jones, Queen Anne as Bel-Anna Fig. 9. Inigo Jones, Headdress for Queen
Queen of the Sea for The Masque of Queens, Anne for The Masque of Queens, 1609,
1609, disegno (Devonshire, Chatsworth disegno (Devonshire, Chatsworth House
House Collection). Collection).

Fig. 10. Inigo Jones, Queen Anne as the Fig. 11. Inigo Jones, Costume of a Torch-
Daughter of Niger for The Masque of bearer for The Masque of Blackness, 1605,
Blackness, 1605, disegno (Devonshire, disegno (Devonshire, Chatsworth House
Chatsworth House Collection). Collection).

87
CATERINA PAGNINI

Fig. 12. Inigo Jones, Lady Masquer Fig. 13. Inigo Jones, Queen Anne as Thetys for
for The Masque of Beautie, 1608, Thetys Festival, 1610, disegno (Devonshire,
disegno (Devonshire, Chatsworth Chatsworth House Collection).
House Collection).

Fig. 14. Marcus Gheeraerts il Giovane, Anne


of Denmark, 1612, dipinto (London, The
National Portrait Gallery, NPG 4656).

88
Franoise Siguret

LA LUMIRE ET LE TEMPS SUR LA SCNE BAROQUE :


POETIQUE & PRATIQUE*1

I. Le Temps

Voil des annes que je mintresse au problme de larticulation de la lu-


mire et du temps au thtre, sur la scne renaissante et baroque.
Il faut revenir ce point de dpart qui est la redcouverte dAristote par les
humanistes; la Potique va ouvrir de longs dbats chez les doctrinaires au su-
jet de la recommandation dAristote qui suggre dinscrire la tragdie, pour
autant que cela soit possible, dans une rvolution de soleil (i.e. pour nous une rvo-
lution de la terre autour du soleil). Ce concept deviendra en France, au XVIIe
sicle, la rgle sacro-sainte des vingt-quatre heures. De l, deux remarques :
Premire remarque: Aristote exprimait la dure en termes de lumire, se-
lon la vision cyclique dun temps qui nappartenait quaux dieux, offrant aux
hommes pour repre le lever du soleil ; leffacement des mythes et lentre des
hommes dans lHistoire, ouvrira un temps linaire qui se fera par dcompte
et dfilement dheures dans la division abstraite du jour et de la nuit. Or le
thtre antique se jouait ciel ouvert; cest dire que toute laction se droulait
de jour et la tragdie (ou plutt les trois tragdies et la pice satyrique propo-
ses au concours dramatique) commenaient laube pour sachever au cou-
chant, soit 8 10 heures de spectacle : tout ce qui stait pass de nuit dans la
fable, tait assum par le langage des acteurs ou lintervention dun messager
ou dun personnage qui narrait les faits que les autres navaient pas vus et dont
il disaient avoir t tmoins. Dans le cadre dun temps oblig, contraint, lelocutio
ou traduction de la pense par des mots qui porte le discours dramatique, doit
rvler au spectateur, de faon directe ou mtaphorique, les noncs relatifs

*
Comunicazione fatta a Firenze (teatro della Pergola) il 3 aprile 2014 nel quadro del
Convegno internazionale di studi del Dottorato di ricerca interuniversitario Pegaso in Storia
delle arti e in Storia dello spettacolo. Ringrazio Siro Ferrone, Renzo Guardenti, Sara Mamone
e Marzia Pieri che mi hanno invitato.

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 89-96


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18362
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
FRANOISE SIGURET

tout le temps (et donc le lieu) qui chappent au prsent de la reprsentation.


Seconde remarque: tout ce qui appartient au mlodrame, la pastorale et aux
arts de cour ( feste teatrali) : ballets, opras, tournois, et autres dfils de chars
qui empruntent des sujets mythologiques, tout cela se trouve vou au temps
cyclique, plus ou moins divis en ges infinis, emprunts Hsiode dans sa
Thogonie: Or/ Argent / Bronze et Fer qui ne disent rien dune dure relle
et ne sont que des images suggrant les tapes dcadentes de lhumanit dans
le temps. ces ges infinis du macrocosme correspondent les quatre ges in-
dtermins de la vie humaine: enfance, jeunesse, maturit, vieillesse, rappor-
ts au retour des saisons,du printemps de lenfance lhiver de la vieillesse.
Contenue entre deux levers de soleil, cette rvolution apparente du soleil
semblait, aux yeux dAristote, emprisonner une action dont les bornes suffi-
saient lattention du public pour le temps o il se trouvait assis au thtre. Il
insiste sur les limites de la perception : de mme que lil ne peut saisir dans son
champ de vision quune certaine ntendue qui fasse sens, de mme la fable doit
recevoir une tendue telle que la mmoire la puisse saisir (Chap. 7, 1450-51).
Aristote prcise bien que cette limite donne une ide raisonnable de la mesure.
Arrive lge de Descartes lexpression dans une rvolution du soleil est
sans doute une ide raisonnable mais qui doit snoncer rationnellement: la
rgle dite des vingt-quatre heures sera aux yeux des thoriciens franais, au d-
but du XVIIe sicle, une rgle dor oblige parce quelle forait une certaine
vraisemblance de laction qui interdisait que lon vt au thtre un roi nourris-
son au premier acte devenu un vieillard barbu au cinquime. Ingegneri (1608)
avait aussi clairement soutenu cette argumentation. Mais nous sommes passs
dun temps-lumire un temps-chrono, celui de la clepsydre du tribunal dont
Aristote se moquait.
Au dbut du XVIIe sicle franais, une gnration de jeunes potes drama-
tiques, dsirant un thtre ouvert comme ltaient ceux dItalie, dEspagne et
dAngleterre, ne voulaient rien entendre cela et prirent pour arbitre Chape-
lain, expert en la matire ; dans une clbre et longue lettre de 1630, Chape-
lain chercha convaincre ces jeunes libertaires en leur montrant que lil
fini ne pouvait embrasser quun nombre restreint de choses dans un temps
donn pour les conduire lesprit, cest--dire au jugement. Les limites aris-
totliciennes constituaient donc une sorte de parcours parfait et symbolique
du processus dramatique, emprisonnant laction humaine, ne et chue
laube, dans le cercle exemplaire parcouru par la lumire-temps; laventure
du berger Endymion en constitue une image canonique. Et lon comprend
que la pastorale sen soit empare. La tragdie moderne qui souvre in medias
res et sachve par une mort violente, est centre au contraire sur un moment
de crise, cest--dire de rupture de lHistoire, et ds lors vingt-quatre heures
suffisent laction.

90
LA LUMIRE ET LE TEMPS SUR LA SCNE BAROQUE

Rappelons pourtant que jusqu la fin du XVIIe sicle le temps nest pour-
tant pas compt, dans les spectacles baroques (le feste teatrali), selon le drou-
lement de lhorloge qui rgle la tragdie, mais plutt lantique, selon les
quatre temps(un temps qui est aussi un rythme) qui prsidaient aux quatre ges
du monde, aux quatre ges de lhomme, aux quatre saisons de lunivers et de
lanne. Dans lanne liturgique qui ordonnait la vie de tous, le retour des
quatre temps et leurs vigiles (Nol, Pques) marquaient de fait lentre dans les
quatre saisons. Les 24 heures du jour taient, elles aussi, divises en quatrepar-
ties : de 6 heures du matin midi, de midi 6 heures du soir, pour le jour, de
6 heures du soir minuit et de minuit 6 heures du matin, pour la nuit, et
dailleurs les mots nous en ont laiss la trace: mezzo/giorno, mezza/notte, mi/di,
mi/nuit. Par exemple, quand le narrateur de La Calandria rapporte son cor-
respondant que la reprsentation a commenc a un hora de notte il est pour
nous, 7 heures du soir.
Cest sur ce dcoupage archaque, mais familier, de quatre temps et donc
de quatre vigiles que fut compos, en 1608, le divertissement allgorique de
Francesco Cini intitul Notte damore, pour les noces de Cme de Mdicis et
Marie-Madeleine dAutriche ; autrement dit, chaque tableau dsign comme
vigile donc comme avant-coureur du suivant, est entran par la Ncessit, du
dbut de la nuit laube, dans la poursuite inluctable dun temps cosmique,
acclr pour les besoins du spectacle. Ce mot de vigile appartient donc la re-
prsentation cosmique de la scne. Les spectateurs, appels veglianti1 parce quils
participent la veille festive de la suppose nuit damour des poux princiers,
sont entrans eux aussi par le retour rythmique des ballets suivant chaque acte
de la fable cosmique.
Prenons pour exemple la seconde vigile de notre Endymion, qui se droule de
9 heures du soir minuit. Le dcor est un beau jardin. Arrive la Lune avec
son cortge dtoiles blondes , puis Endymion. Le narrateur de la fte les
dcrit rapidement: La Lune chasseresse, toute argente, avec le croissant sur la tte.
Endymion, vtu en berger, avec un habit riche et bizarre, et sur la tte, un astrolabe.
(Ne pas oublier cet trange dtail, encore quau cours des mmes ftes, le qua-
trime intermde du Jugement de Paris soit intitul Le Navire dAmerigo Vespucci,
rfrant aux mmes navigations).
Puis descend un cortge dtoiles blondes et autres cratures clestes. Cette
scne de lEndymion est le clou du spectacle, au sommet de la nuit. Aprs quelques

1. Le mot franais veilleur est rserv maintenant aux veilleurs de nuit, chargs de surveillance
de btiments et dusines ; il ne correspond plus cet aspect festif des veilles anciennes des cam-
pagnes, runions de voisins isols o lon chantait et dansait : de l est demeur longtemps dans
les parlers locaux le mot de veilleux.

91
FRANOISE SIGURET

vers, les divinits descendent de la scne pour danser dans le thtre avec les
veglianti. Se fondent alors le temps cosmique et le temps humain. Linstant de
passage de la terre au ciel, aprs le bal, est toujours signal par la chute du ri-
deau et la vue phmre dune perspective.
Ce divertissement quanimaient de nombreuses figures allgoriques: la Nuit,
les toiles, les Heures, les Songes, les Cupidons, le Silence, lOubli et pro-
bablement quelques machines qui marquaient une lumire/temps comme le
char de la Lune ou de lAurore, ce divertissement aurait pu sombrer lui-mme
dans loubli, net t Benserade promu pote des Ballets de la cour de France,
qui en fit le fameux Ballet de la Nuit, dans pour le Carnaval, dans la salle du
Petit-Bourbon le 23 fvrier 1653, dans une scnographie de Torelli. Ce spec-
tacle rest clbre par son immense dploiement partir du modle florentin,
avec sa trentaine dEntres, raffines ou grotesques, ses dizaines de danseurs, la
beaut des lumires et des costumes, les imbrications de thtre dans le thtre,
comprenait, entre autres, lpisode dEndymion louverture de la troisime
partie de minuit jusques 3 heures avant le jour. Mais la suprme merveille de
la soire fut lEntre du Roi, la fin du Ballet, aprs le passage de lAurore.
Le jeune Louis, Apollon de quinze ans, reprsentant le soleil levant, portait
un blouissant costume dor et de pierreries; un soleil tait peint ou brod sur
son juste au corps et saffichait comme sa figure emblmatique. Ses escarpins,
ses genoux, taient orns de soleils; les poignets, les paulires, le colletin de
cette armure apollinienne ntaient que flamboiements de rayons; sa tte enfin,
couronne de rayons sur ses cheveux blonds, semblait porter majestueusement
le dernier plumet de la Nuit. Lair grave du visage royal laissait entendre que
cette magnifique soire fut bien comme la dernire veille darmes du cheva-
lier. Le roi, en septembre, avait atteint sa majorit et, aprs les dsordres de la
Fronde et le retour de Mazarin le 3 fvrier, cette apothose intronisait le jeune
souverain et le discours du livret qui devait tre lu en son nom, prsentait dj
lAstre des Rois comme Matre de lUnivers.

II. La Lumire

la Renaissance, en Italie, le thtre, loin dtre offert ciel ouvert, va se


trouver enferm au fond dune grande salle de palais, ce qui impose la rsolu-
tion pratique dun problme potique: il faut clairer lespace de la scne qui
nest en somme quune caverne. La scne et la salle ne font quune, sous un
mme ciel de plafond, parfois toil, qui rappelle encore lamphithtre antique.
Sont alors installes des ranges de lustres montes sur poulies afin quon puisse
les descendre pour les allumer, les moucher, les recharger, avec les problmes
connus dblouissements, de gne, de coulures brlantes, de fume noire et

92
LA LUMIRE ET LE TEMPS SUR LA SCNE BAROQUE

de mauvaises odeurs si les bougies sont de suif On ajoute cela, derrire la


rampe du bord de scne, une range de lampions avec ou sans rflecteur; ceux-
ci clairent sans tre vus et sans gner. Il y a donc une condition ncessaire mais
pas forcment suffisante de cette combinaison de lustres et lampions quvoque
le Corago en termes de lumiere et lume(i), quand il parle dalluminare ou dillu-
minare la scne. Priv de cela, le thtre tout entier nest quun chaos bruissant
de voix confuses, faute dtre rapportes des corps distincts, un chaos vou
aux instincts animaux dun public qui ne profite que trop de la confusion !
Tenons pour preuve les prcautions de Serliodans la disposition des hommes
et des femmes, jeunes et vieilles, sur les gradins de la salle, pour ne rien dire
des anecdotes salaces du populaire Htel de Bourgogne, seul et trs mdiocre
thtre de Paris o les spectateurs taient debout au parterre. Ainsi la lumire
jaillissant du Chaos comme au premier jour de la Cration, affine les tres (en
rapportant corps et voix des tres distincts), les murs (la civilit lemporte
sur la grossiret) et les mes (la grce du spectacle et son urbanitas font obsta-
cle aux tnbres de lesprit et les redressent mme par effet de catharsis). Cette
lumire-l est donc primordiale et comme lternelle lumire de Dieu ou des
dieux, qui offre un public les conditions mmes de la reprsentation. Elle est
la luce de ce microcosme thtral. Caldern disait dans son Gran teatro del mu-
ndo : Senza luce, non c festa .
Serlio ajoutera cette lumire essentielle toutes sortes de lampions accrochs
partout, dans les rues du dcor, derrire des bassins colors, ou sur le toit des
palais, doubles ou non de miroirs. Ces lumires-l qui sont des lumi, peuvent
avoir toute sorte de noms dans les premiers crits ou traits qui sintressent
au problme que pose la lumire dans ce qui est appel la posie reprsenta-
tive : fiaccole, frugnoli, fuochi, torze, lampade et toute la famille des chandelles
(candelle), variations dictes par le support portant ces clairages (du flambeau
au lampion), la matire qui les composent (cire, huile, rsine) et lusage quon
en fait. Quand il a t possible de circuler librement dans le dcor sur le plan
inclin continu de la scne, la lumire fut dispose derrire les priactes ou le
long des portants, tout autour des nues, et des chars clestes.
Avec Buontalenti et les ftes de 1589, lillumination sera devenue une tech-
nique parfaitement au point, capable mme de produire des variations de lin-
tensit lumineuse. Mais au fil du temps, le public exigeant toujours davantage,
ce furent les effets spciaux des clairs, de larc-en-ciel, et des gloires finales, et
lintrusion des machines-lumire (chars du soleil et de la lune). Qui plus est, les
dcors eux-mmes, stucchs de faux marbres pouvaient aussi tre peints voire
entirement dors, comme le palais du fondale dAtys, et bien dautres palais
dApollon; enfin des perles de verroterie colore limitation des pierres pr-
cieuses, et de petits miroirs, fixs sur les costumes ou dans les coiffures, accro-
chaient et refltaient la lumirepar clats phmres : toutes ces lumires-l,

93
FRANOISE SIGURET

secondaires, appartiennent aux merveilles du dcor, et pour tout dire la ma-


gnificence du prince, mais nont pas dabsolue ncessit. Et pourtant, si lclai-
rage primordial soumet le spectateur lvidence du visible sans laquelle il
nest point de fte, cest bien cet clairage secondaire qui provoquera, en ce
mme spectateur, leffet de stupor quachvera lhypotypose parfaite du tableau
final de la gloire du prince, tant de fois rapporte dans les relations de spec-
tacles. Cet effet de suprme delectatio et admiratio, au-del desquelles lil re-
laie ncessairement la parole interdite, conduit le public lternel ravissement
des ftes princires.
Ainsi comme on parle en linguistique de la double articulation du langage
en termes de signifiant et signifi, je parlerai dune double articulation de la lu-
mire. Lune durable, oblige, fixe et visible, englobe la scne et la salle : ce sont
les lumiere dont de nombreuses gravures nous ont laiss limage; elles consti-
tuent un ornement de larchitecture et vont de pair avec elle. Lautre lumire,
celle des lumi, est au contraire, phmre et alatoire, dailleurs toujours cache
derrire les lments des dcors et des machines, ou se voit reflte et dmul-
tiplie dans les clats des chevelures et les soies, taffetas et satins des costumes;
elle appartient au dcor.
Cette double articulation dont le spectateur na pas conscience mais qui va
justement le piger, permet de saisir la fois le rel (ce que lon voit) et la re-
prsentation du rel (ce qui fait sens comme chose vue) de faon dautant plus
troublante que le support dramatique scnique est complexe.
Quen est-il en France ? il y eut, ici et l, ds le seizime sicle, dans les mi-
lieux humanistes et/ou italianisants, un thtre u chateau mais dont on sait
peu de chose quant aux reprsentations thtrales ; celles des collges, mieux
connues, firent bientt la rputation des Jsuites. Mais il ny eut longtemps,
dans toutes les villes du royaume, pour runir un public tant royal que popu-
laire, que les grands Mystres mdivaux, raliss ciel ouvert dans un thtre
en rond, et rcits dans ou devant des mansions ou sortes de loges amnages
sommairement, selon les scnes quelles acceuillaient. Paris, les Confrres de
la Passion, responsables de lorganisation de ces jeux, souvent dots de mises
en scnes spectaculaires, durent se transporter sur la scne plate de lHtel de
Bourgogne aprs linterdiction lgale des mystres en 1548. Par indigence, ils
nont rien fait pour que le thtre en salle samliort : ils installrent le dcor
compartiments, hrit des mansions, et ne connurent jamais, en matire de
lumire, que des lampions fumeux.
Il nous a donc fallu importer deux reines florentines puis un cardi-
nal-nonce-ministre pour que cet art de la scne prenne son splendide essor.
Cest en effet, avec lEntre de Catherine de Mdicis et Henri II Lyon, le
27 septembre 1548, quun public franais dcouvrit la scne litalienne avec
La Calandria de Bibbiena qui avait t joue Urbino en 1513, Rome en

94
LA LUMIRE ET LE TEMPS SUR LA SCNE BAROQUE

1514 et 1515, avec une scnographie de Peruzzi et le dcor de lUrbs romaine,


Mantoue en 1521, avec une salle lantique dcore des Triomphes de Csar
de Giulio Romano. Lyon, le magnifique cardinal de Ferrare, primat des
Gaules et archevque de Lyon (Brantme), Hyppolite dEste, avait fait am-
nager une salle grand frais et invita une troupe florentine et son dcorateur
pour la reprsentation de cette uvre clbre. Le dcor perspectif, tel que lon
nen avait jamais vu, reprsentait Florence pour flatter la reine, et cela mer-
veilla le public franais qui se crut Florence, tant assis Lyon. Mais ce qui
lmerveilla plus encore fut la traverse de la scne par lAurore sur un char
tir par deux coqs de carton superbement emplums et qui chantaient en se
rpondant, tandis que le char slevait. Puis arrivaient Apollon et les Quatre
ges de lhumanit pour introduire quatre intermdes, et la comdie sachevait
par lentre de la Nuit sur son char tir par deux hiboux. Pittoresques et spec-
taculaires, ces chars de lAurore et de la Nuit taient importants dramatique-
ment puisquils marquaient avec la naissance et la tombe du jour, le dbut et
la fin de la comdie, une poque o, comme je le disais au commencement,
les humanistes commentaient la Potique dAristote.
Enfin, presque un sicle aprs La Calandria, en 1635, souvrit Paris un
thtre public nouveau, pas encore vraiment litalienne, appel le Marais ; il
comportait deux scnes, une grande dessous, avec un plancher inclin, et une
autre scne, plus petite, au-dessus. Pour la reprsentation de la Mde de Cor-
neille, le dcor utilisait des coulisses perspectives, peignant un palais lan-
tique, et au dnouement de la tragdie, surgissait, sur la petite scne masque
de nues, le char de Mde tire dans le ciel par deux dragons. Toutefois, aprs
cette tentative baroque, le thtre tragique, hroque, de Corneille fut un thtre
de la virt romaine, rapport en vers sonores et martels : la tragdie franaise
tait un thtre de la parole, avec des effets locutoires que renforait une d-
clamation pompeuse et cadence. Pourtant, la demande de Mazarin, Cor-
neille retourna la tragdie machines et composa une Andromde joue en
1650, avec une mise en scne de Torelli. Si dordinaire laction spectaculaire
conduisait aux machines, ici ce furent les machines dispendieuses de lOrfeo de
Rossi, chant, trois ans plus tt, dans le thtre du Palais-Cardinal, qui dic-
trent linvention ; le pote crivait dans lArgument de luvre que ctait un
drame fait pour les yeux.
Le thtre de son rival, Racine, dans la seconde moiti du XVIIe sicle, fut
au contraire, un thtre dont seules la rhtorique et la posie suggrent toutes
les nuances des passions humaines et de leurs fantasmes, un thtre de lhy-
potypose qui exaspre la vision de lesprit, les yeux du dedans, non ceux du
dehors fascins par les machines de la scnographie. Par exemple, quand le
jeune Nron, dans Britannicus, voque lenlvement nocturne de Junie la lu-
mire des flambeaux, cela est sans doute infiniment plus efficace pour toucher

95
FRANOISE SIGURET

lme du spectateur que la vision de Zeus descendant des cintres dans une ma-
chine clatante conduite par un aigle, pour ravir une nymphe qui danse dans
un pr avec ses compagnes ! Dans la tragdie classique, le support discursif
doit compenser le spectacle constitu par les lments du dcorqui trompent
lilcaptif et surpris : toute la construction de la scne et limplantation des
chssis par lartifice illusoire de la perspective, la peinture desdits chssis, et les
effets des machines ne sont bien que des trompe-lil. Dans les deux cas, la
lumire primordiale demeure comme condition imprieuse dune mimesis, mais
ce qui change cest la reprsentation de la lumire comme condition circons-
tantielle, particulire, dune smiosis, le donn voir tant finalement un donn
entendre. Chez Racine lil coute, comme disait Claudel et limage se creuse
dans le texte, au rythme rgulier, envotant de la dclamation de lalexandrin;
dans le spectacle des machines, lil est sidr et limage se fige dans un clat;
cest un thtre de la merveille. Seul le mouvement, le changement fera sens,
ficel par un livret assez mince et une musique expressive. Chez Racine, cest
le sens qui nous laisse mditer sur les passions de lhomme dans lHistoire:
cela la pitre ordonnance de la luce suffit.
Enfin, ajoutons que dans la fable mythologique du spectacle baroque, nous
sommes instruits du sens par lAllgorie, cet autre discours adress au public, port
par des figures et la multiplicit imprvue, dsordonne des lumi, dans une sorte
de mouvement perptuel des cratures et des choses entre le Ciel et la Terre,
o finalement le temps humain nest rien, ni lHistoire. Si le cycle des jours et
des nuits, des mois, des saisons, des annes, si les Heures et les minutes mmes
envahissent la scne, de faon invraisemblable, ce nest pas pour contraindre
une action qui ne se raconte que par les forces mouvantes des dieux, et des Al-
lgories, mais cest, dune part, pour montrer la grandeur et limmortalit du
prince (Cosimo/cosmo est le mme mot), et dautre part, pour faire tourner
et montrer la machine du monde dans sa moindre prcision et sassurer de son
mouvement perptuel. Ainsi lon voit au muse des sciences de Florence de
formidables machines rondes manivelles, entre les astrolabes et les lunettes,
de Vespucci Galile, offertes comme des thtres prts sbranler.
Les deux gloires mdicennes retournent alors de lHistoire au mythe,
entre les songes dEndymion de Cini et ceux du Guerchin : au XVIIe sicle,
la science, la posie, la peinture, le spectacle sont autant de machines rver
et explorer le monde et la nuit, comme pour se rassurer: Eppur si muove !
lpoque o lon redcouvrira lhliocentrisme, la rationalisation de la pen-
se ramnera le soleil, premier moteur de la fable du monde, dans lespace de
la fable thtrale. Dans le microcosme humain, lHistoire naura de sens qu
partir de ce soleil souverain et le mouvement perptuel de la terre autour de
lui. Le temps nest quun accident de la lumire.

96
Paologiovanni Maione

IL POSSESSO DELLA SCENA:


GENTE DI TEATRO IN MUSICA TRA SEI E SETTECENTO

Il parnaso degli artisti dediti allarte canora affollato da sedicenti creature


prive di magistero e professionalit, secondo una disparata documentazione sei-
settecentesca i virtuosi di voce sono sprovvedute creature che proditoriamente
calcano le sacre tavole.1 Sbandate e smarrite sembrano aggirarsi in uno spazio
che violentano, con la loro vituperosa presenza, con il solo fine di raggirare
un pubblico distratto. Al centro dellignominiosa accusa sono, naturalmen-
te, le esponenti del gentil sesso che fomentano uninarrestabile immaginazio-
ne tesa a screditare lArte a vantaggio di interessi tuttaltro che leciti messi in
pratica dalle belle sirene dal discutibile canto.2 Al di l dellidolatria per un

1. Sulla figura del cantate si vedano, tra laltro, gli scritti di S. Durante, Il cantante, in Storia
dellopera italiana, a cura di L. Bianconi e G. Pestelli, iv. Il sistema produttivo e le sue competenze,
Torino, EDT, 1987, pp. 347-415 e J. Rosselli, Il cantante dopera. Storia di una professione (1600-
1990) (1988-1989), trad. it. a cura di P. Russo, Bologna, il Mulino, 1993, corredati di ricca e
utile bibliografia. Le donne dedite allo spettacolo erano assiduamente oggetto di fiere critiche
come pu evincersi dalla ricca documentazione presente in F. Taviani, La Commedia dellArte e
la societ barocca. La fascinazione del teatro, Roma, Bulzoni, 1969 (rist. anast. ivi, 1991).
2. Una disamina sui costumi e la professionalit delle cantanti in et moderna, in area na-
poletana, si delinea attraverso le pagine di B. Croce, I teatri di Napoli. Secolo XV-XVIII, Napoli,
Luigi Pierro, 1891, passim (lopera stata pi volte ristampata, con aggiunte e modifiche, presso
la casa editrice Laterza di Bari; della quarta ediz. si avuta una ristampa a cura di G. Galasso
presso Milano, Adelphi, 1992); U. Prota-Giurleo, Breve storia del teatro di corte e della musica a
Napoli nei secoli XVII-XVIII, in F. De Filippis e U. P.-G., Il teatro di corte del palazzo reale di Napoli,
Napoli, Larte tipografica, 1952, pp. 17-146; F. Cotticelli e P. Maione, Onesto divertimento,
ed allegria de popoli. Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Milano,
Ricordi, 1996, pp. 179-192; P. Maione, Giulia de Caro seu Ciulla da commediante a cantarina.
Osservazioni sulla condizione degli Armonici nella seconda met del Seicento, Rivista italiana di
musicologia, xxxii, 1997, 1, pp. 61-80; Id. e F. Seller, Vita teatrale a Napoli tra Sette e Ottocento
attraverso le fonti giuridiche, in Salfi librettista, a cura di F.P. Russo, Vibo Valentia, Monteleone,
2001, pp. 83-95; P. Maione e F. Seller, I virtuosi sulle scene giuridiche a Napoli nella seconda met del
Settecento, in Fonti darchivio per la storia della musica e dello spettacolo a Napoli tra XVI e XVIII secolo,
a cura di P. M., Napoli, Editoriale Scientifica, 2001, pp. 477-486; Id., Mena vita onestissima: le

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 97-108


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18363
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
PAOLOGIOVANNI MAIONE

esclusivo gruppo di ammirate cantatrici dallinarrivabile perfezione belcanti-


stica un olimpo serialmente abitato da adamantine muse non sempre dalle
specchiate virt morali 3 il mondo della scena armonica popolato da orec-
chianti alla ricerca di favori e agiatezze da ottenere con poco sudore. La lunga
ombra del meretricio le investe inesorabilmente e la leggerezza dei costumi
il marchio che suggella questo esercito di inadeguate canterine: sono questi i
requisiti che comunque rendono sorelle tutte coloro che intraprendono lin-
sidioso percorso della scena.4 Le virt luciferine sembrano trionfare su quelle
artistiche e la stessa letteratura per la scena si ostina ad accreditare un mon-
do affollato da vacillanti artiste, il noviziato delle commedianti si esaurisce in
pochi precetti tra cui quello musicale sembra arrestarsi dinanzi a una generica
propensione allarte canora.
La librettistica settecentesca racchiude preziose istruzioni per quelleserci-
to di fanciulle abbagliate dagli agi teatrali, le qualit performative hanno po-
co valore al cospetto di un personale vivace e spiritoso. Eppure la fanciulla
disegnata da Trinchera ne La simpatia del sangue mostra una crepa nellabusata
visione se con modestia ostenta una certa preparazione destinata pi che al-
la scena teatrale a quella del mondo; Nina alle osservazioni di Checchino sui
costumi del tempo risponde con grande sapienza:

Checchino [] oggi per le femine


il ballo uno elemento necessario,
per far cascare al vischio
cotesti mattarelli Ganimedi,
che stimano virt torcere i piedi.
Nina Checchino mio, chest la dota nosta,
e mperz da che nasce ogne ciantella,
vo lo Masto dabballo, e de Cappella.
Checchino E che saprai tu ancora solfeggiare?
Nina Saccio, quanto me vasta, pe no spasso.5

cantarine alla conquista della scena, in Dibattito sul teatro. Voci, opinioni, interpretazioni, a cura di C.
Dente, Pisa, ETS, 2006, pp. 123-134; P. Maione, Giulia de Caro: from whore to impresario. On
cantarine and Theatre in Naples in the second half of the Seventeenth Century, in Online-Tagungsbericht
zum Symposium: Das Eigene und das Fremde - Beziehungen zwischen verschiedenen Musikkulturen,
Universitt Innsbruck, sterreich, a cura di K. Drexel e R. Lepuschitz, 2013 (http://www.uibk.
ac.at/musikwissenschaft/forschung/publikationen/daseigene/maione.pdf. Ultimo accesso: 20
dicembre 2015); P. Maione, Gli impieghi delle virtuose tra alcova e palcoscenico, in corso di stampa.
3. Si veda ad esempio B. Croce, Un prelato e una cantante del secolo decimottavo. Enea Silvio
Piccolomini e Vittoria Tesi. Lettere damore, Bari, G. Laterza & F., 1946.
4. Cfr. S. Di Giacomo, La prostituzione in Napoli nei secoli XV, XVI e XVII, s.l., Del Delfino,
1968.
5. P. Trinchera e L. Leo, La simpatia del sangue, Napoli, A spese di Nicola di Biase, 1737, iii 7.

98
GENTE DI TEATRO IN MUSICA TRA SEI E SETTECENTO

Le doti esibite da Nina in unarietta esemplificativa del suo modesto talento


inducono Checchino ad avviare un altro dialogo esemplare in materia di av-
viamento al palcoscenico:

Checchino Perch tu non tadatti a recitare?


Nina Recet? arrassosia!
Lo rrecet arredutto a na meserea
Pecch na Cantarinola
Ave da sta soggetta a ccierte ffuorfece,
Che non sanno la storta, e la deritta,
E metteno lo piecco a ttutte quante.
Io recetare? leva, passa nnante.
Checchino Alle chiacchiare badi?
[]
Chil cantar sul Teatro gran fortuna.
Nina Pecch?
Checchino Perch cos fra glAscoltanti
Le femine ragunano glAmanti;
Vedi quante tapine
Si sono poste in salto, e in signoria
Solo per dire unaria in su la Scena,
Vedi quante figliole, uscite appena,
Pelano Cicisbei oh fossi io donna,
Che averei labilt,
Di spogliar tutta intiera una Citt.
Nina Taggio creddeto a chesto, e se io avesse
No po de scola toja, potria fa assaje,
Ma io songo na locca.
Checchino Non importa,
Nina mia, il Teatro una gran scuola:
Tu sei bella figliola,
Non mancheranno chi portarti avanti,
Chi sbatterti le mani,
Chi dirti viva, e bravo,
Bravo tre volte, bravo cento volte,
Oh cara oh figlia, e allora
Affacciar ti potrai dentro le Scene,
Per vedere lapplauso da chi viene.
Nina Gi mme ne faje venire lo golio.
Checchino Recita, che sar la tua fortuna,
Innamorar farai mille merlotti.6

6. Ibid.

99
PAOLOGIOVANNI MAIONE

La sorte del cavalcar la scena per raccogliere privilegi da cavalieri in pre-


da a tempeste ormonali occulta il magistero di molte che probabilmente dis-
simulano larte per pudore o per assecondare la visione dei pi. Tra le stelle
del firmamento canoro a subire infamie sullinadeguatezza tecnica spicca nella
seconda met del Seicento lintraprendente Commediante Cantarinola Ar-
monica, Puttana Giulia de Caro che solo grazie alle pagine musicali destina-
tele trova il giusto riscatto.7 La riabilitazione della bistrattata artista possibile
grazie a quel repertorio dichiaratamente affrontato sulle scene, luogo in cui
era impossibile millantare o mentire. Ciulla dalla formazione assai complessa
che si consuma tra il Largo di Castello, in un clima coloratamente oleografico
e foscamente inquietante, e la citt eterna, in un misterioso tirocinio, dedita
sia alla pratica di attrice che a quella di canterina. Lesperienza da commediante
da ascriversi a un ruolo marginale allinterno di una gerarchia professiona-
le: la de Caro esercita il lavoro di commediante al Largo di Castello, attiran-
do con la sua arte avventori per i medici ciarlatani. Dunque il suo ruolo di
commediante sembra esaurirsi in unesperienza irrilevante, non comparendo,
almeno per il momento, al seguito di compagnie di professionisti. poi la ri-
cerca di unufficialit professionale che la spinge a compiere il salto di qualit
nel mondo del belcanto. I lunghi viaggi intrapresi per Roma portano a for-
mulare lipotesi di un pellegrinaggio verso un addottrinamento nellarte del
canto; lUrbe santa la fucina di una schiera di cantanti provette e la de Caro
compie il suo percorso di virtuosa presso questo laboratorio canoro. Lesibita
competenza tra scene dissimili comporta unesperienza performativa decisa-
mente variegata e non del tutto eccezionale.8
La tecnica vocale di molti forgiata nel corso di un apprendimento ancora
dai risvolti misteriosi ma segnato, da quanto si sa, da un itinerario formativo
scrupoloso; un ruolo non secondario, ha negli ambienti settecenteschi della
commedia per musica, il maestro di cappella Giovanni dellAnno che lega a
s diversi interpreti con contratti che prevedono una sua partecipazione negli
utili dei propri discenti anche se non da escludere un suo coinvolgimento

7. Per Giulia de Caro si rinvia a A. Broccoli, Del Fuidoro e del Muscettola, La Lega del
Bene i, 1886, 10 (pp. 4-7), 11 (pp. 7-8), 12 (pp. 6-8), 13 (pp. 5-6), 14 (p. 8), 15 (pp. 5-6);
Croce, I teatri di Napoli, cit., pp. 167-180; U. Prota-Giurleo, I teatri di Napoli nel 600. La
commedia e le maschere, Napoli, Fiorentino, 1962, pp. 293-303; Di Giacomo, La prostituzione in
Napoli, cit., pp. 147-153; Maione, Giulia de Caro seu Ciulla, cit.; Id., Giulia de Caro: from whore
to impresario, cit.; Id., Giulia de Caro Famosissima Armonica e Il bordello sostenuto del signor don
Antonio Muscettola, Napoli, Luciano, 1997.
8. A tal proposito si veda F. Cotticelli e P. Maione, Abilitarsi negli impieghi maggio-
ri: il viaggio dei comici fra repertori e piazze, in Europische Musiker in Venedig, Rom und Neapel
(1650-1750), a cura di A.-M. Goulet e G. zur Nieden, Analecta Musicologica, 2015, 52, pp.
326-346.

100
GENTE DI TEATRO IN MUSICA TRA SEI E SETTECENTO

attivo nellarruolamento degli allievi presso le sale cittadine.9 La bottega cano-


ra di dellAnno mostra sempre pi le sue ingerenze con le imprese teatrali che
vanno dallassumersi in prima persona le responsabilit dei suoi protetti il
caso di Andrea Masn per il quale si obbliga a restituire lonorario in caso di
mancanza 10 sino alla preparazione dei ruoli che interpreteranno imparten-
do loro lezioni questo il caso, ampiamente documentato, di Teresa Palma
dalla quale percepisce il cinquanta per cento dei suoi proventi.11
La convenzione intercorsa tra il virtuoso Nicola de Simone e ladepta Maria
Antonia da Ponte, che usufruisce gratuitamente di lezioni per quattro anni,
prevede per la cantante lobbligo di devolvere al maestro gli eventuali onora-
ri che percepir nel lasso del quadriennio dalle pubbliche rappresentazioni.12
Allo stesso criterio remunerativo si ispira il patto a cui pervengono Rosa Ro-
gas e Paula Fernandez per Giuseppa Fernandez sempre con dellAnno: al fine

9. Informazioni su dellAnno si desumono da Cotticelli e Maione, Onesto divertimento,


ed allegria de popoli, cit., p. 188; Id., Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della
Napoli di primo Settecento: 1732-1733, Studi pergolesiani. Pergolesi Studies, 2006, 5, p. 50, con
cd-rom allegato (Spoglio delle polizze bancarie di interesse teatrale e musicale reperite nei giornali di cassa
dellArchivio del Banco di Napoli per gli anni 1732-1734), passim.
10. Cfr. Cotticelli e Maione, Onesto divertimento, ed allegria de popoli, cit., p. 188.
11. Si veda Spoglio delle polizze bancarie di interesse teatrale e musicale reperite nei giornali di
cassa dellArchivio del Banco di Napoli per gli anni 1726-1737, progetto e cura di F. Cotticelli e P.
Maione, Studi pergolesiani. Pergolesi Studies, 2015, 9, cd-rom: Archivio storico del Banco di
Napoli, Banco di San Giacomo, giornale copiapolizze, matricola 779, partita estinta il 28 febbraio
1731 (A Francesco Fischetti duc. venti.1.5; E per esso a Carlo, e Teresa Palma Padre, e Figlia, et
essi sono compimento de duc. Cento, che laltri per detto complimento lave ricevuti in pi, e
diverse volte, et essi duc. Cento sono met delli duc. 200= li spettano per aver favorito in reci-
tare nel Teatro nuovo nelle passate quattro opere fatte in detto Teatro dal mese dAprile 1730=
per tutto lultimo del passato Carnevale del Corrente anno 1731=, che laltri duc. 100= per
detto compimento spettano pagarsi a Giovanni dellAnno, come appare dallistromento rogato
per mano di Notar Francesco Antonio dAtri di Napoli, benche detto dellAnno ne h ricevuti
dessi duc. 11.25= per mano di Carmine Perillo, con dichiarazione che detta Teresa resta intie-
ramente sodisfatta si per detta Causa, come anche per labiti, scarpe, calzette, ed altro occorso
in detta recita di dette quattro opere; [] E detto pagamento lo f in nome, e parte di Giovanni
Fischetti Impressario di detto Teatro) e ivi, matricola 1031, partita estinta il 27 marzo 1732
(A Pietro Antonio Torres d. diecisette 2.10 e per esso allappaldatore del Teatro Nuovo sopra
Montecalvario a complimento di d. 120 [] e [per esso] a Carlo e Teresa di Palma e sono a conto
dellonorario che [] si deve a detta Teresa per la quarta recita delle quattro opere dalla medema
appresentate [sic] nel Teatro Nuovo di questa citt terminata nel scorso Carnevale corrente anno
1732 [] e per essi a Giovanni dellAnno maestro di Cappella e sono a complimento del terzo
che a lui spetta delonorario di essa sudetta Teresa della quarta opera da essa rappresentata nel
Teatro Nuovo nel Carnevale del corrente anno 1732 intitolata lo Castello Saccheiato [] e con
detto pagamento resta detto Giovanni intieramente sodisfatto cos di detta quarta opera come
del altre tre rappresentate da essa in detto Teatro).
12. Cfr. Cotticelli e Maione, Onesto divertimento, ed allegria de popoli, cit., p. 188.

101
PAOLOGIOVANNI MAIONE

di proseguire le lezioni per darsi poi alle recite de Teatri tanto in questa citt
di Napoli quanto fuori,13 si promette la mett di tutto il lucro [] di quello
pervenir da venti opere diverse, che dover detta Giuseppa recitare, con una
particolare assistenza alla prima recita.14 Comunque coloro che decidevano di
votarsi alla commedia sapevano che

Nce vuolautre che mutrea, e bona voce.


[]
Nce vo talento, pratica,
Grazia ne gesti, portamento proprio
Nel maneggiar gli affetti: ove bisogna
Usar caricatura, ed isfugirla
Ove raffredda; e finalmente agire
Coi movimenti degli occhi, e del volto.15

La girandola di competenze elencata ne La commediante rivela la sopraffina co-


noscenza detenuta dai cantanti del tempo, talvolta provenienti da esperienze
acquisite in altre botteghe. Al teatro della Pace di Napoli nella stagione 1745-
1746 compare nel ruolo di prima donna Anna Cavalluccio che nella stagio-
ne successiva sar in forze al Fiorentini nella Compagnia de Comici diretta
dal capocomico Domenico Antonio di Fiore che allimprovvisa alterna alcuni
Componimenti Drammatici per Musica; la prima donna si esibisce con una
troupe in cui gli altri comici si cimentano nel genere musicale mostrando cos
la labile linea di demarcazione tra i due ambiti spettacolari.16 Probabilmente
anche Laura Monti dalle eclettiche competenze come segnalato dal contrat-
to stilato nel 1727 con limpresario del teatro dei Fiorentini in cui si richiede
allartista di Recitare in musica, e fare la parte da servetta [], e [] fare tut-
ti quelli stravestimenti, che respettivamente necessiteranno [], et ognaltro,
cos dhuomo, come da donna, e cos di scherma, come di ballo, e sonare 17

13. Ibid.
14. Ibid.
15. Anonimo e N. Conforto, La commediante, Napoli, Carlo Cirillo, 1754, i 3.
16. Per la presenza della cantante nella compagnia cfr. il sito http://www.operabuffa.tur-
chini.it dove sono riportati i libretti in cui compare tra le interpreti: http://www.operabuffa.
turchini.it/operabuffa/libretti/Giancocozza-0.jsp e http://www.operabuffa.turchini.it/opera-
buffa/libretti/FraLoSdegno-0.jsp (ultimo accesso: 15 dicembre 2015). Su di Fiore si veda: F.
Cotticelli, Neapolitan Theatres and Artists of the Early 18th Century: Domenico Antonio Di Fiore, in
Theater am Hof und fr das Volk. Beitrge zur vergleichenden Theater-und Kulturgeschichte. Festschrift
fr Otto G. Schindler, a cura di B. Marschall, Vienna, Bhlau, 2002 (Maske und Kothurn,
48. Jahrgang, Heft 1-4), pp. 391-397.
17. La testimonianza si legge nellincartamento conservato allArchivio di stato di Napoli,
Affari diversi della Segreteria dei Vicer, fascio 1778, executado 16 ottobre 1727.

102
GENTE DI TEATRO IN MUSICA TRA SEI E SETTECENTO

poi passata da questa giovanile specializzazione nei ruoli di servetta carrie-


ra coronata dallincursione sulle tavole regie nellindelebile figura della Ser-
pina pergolesiana de La serva padrona di Gennaro Antonio Federico a quella
di primo uomo 18 che sicuramente richiese una rimodulazione della propria
vocalit e una riformulazione delle proprie attitudini sceniche , propone uni-
gnota nascita al mestiere: nel 27 dichiarava di avere una lunga consuetudine
con la pratica teatrale e dai repertori risulta presente in appena tre produzioni
tra il 22, in cui apparve come Schiavottella ne Li zite ngalera, e lanno della
sua dichiarazione sulla militanza scenica,19 per cui bisogna ipotizzare la com-
parsa non documentata sia in compagnie armoniche ma a tuttoggi non tra-
pela un simile coinvolgimento che in quel misterioso mondo dellArte assai
avaro di testimonianze palesi. Di maestranze duttili e conversioni alle dissi-
mili pratiche teatrali costellato questo primo scorcio del Settecento, balle-
rine rivelatesi cantanti si rammentano almeno Antonia Novara che appare
inizialmente sotto legida di Tersicore (di sicuro nel 1734)20 per poi votarsi a
Euterpe come si deduce dai libretti del 38 quando al Nuovo appare ne Lo se-
cretista e ne La Rosa e poi al Fiorentini nel 42-43,21 e Girolama Lori anches-
sa danzatrice conclamata nel 173522 ma prima sirena al Fiorentini dal 1731 al
1733 e nel 32 al Nuovo 23 e commedianti in bilico tra canto e prosa mostra-
no uno spaccato alquanto insolito.
Esemplare, in questo panorama di contaminazioni e migrazioni, appare la
compaa de Trufaldines organizzata a Venezia dallambasciatore spagnolo
Pedro Cebrin y Agustn conte di Fuenclara per volont di Carlo di Borbo-
ne da poco insediatosi sul trono delle due Sicilie:24 nellagosto del 1735 inizia
unarticolata trattativa tra il ministro Montealegre e il diplomatico in stanza
nella Serenissima per provvedere ai desiderata del giovane monarca per il quale
in tempi strettissimi viene allestita una musicalissima Com.a de Histriones

18. Cfr. A. Palomba e L. Leo, La fedelt odiata, Napoli, a spese di Domenico Langiano,
1744, in cui compare nei panni di Rinaldo.
19. Cfr. C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Cuneo, Bertola & Locatelli,
1990-1992, 5 voll., nn. 25412, 5480, 6713.
20. Cfr. Cotticelli e Maione, Onesto divertimento, ed allegria de popoli, cit., pp. 182 e
222 nota 122.
21. Si veda Croce, I teatri di Napoli, cit., p. 365, nonch Sartori, I libretti, cit., nn. 21417,
20134, 2784, 19791.
22. Cfr. Cotticelli e Maione, Onesto divertimento, ed allegria de popoli, cit., p. 222 nota
122.
23. Si veda ivi, pp. 379-381 e 388.
24. Larticolata trattativa documentata allinterno del fondo Ministero degli affari esteri cu-
stodito presso lArchivio di stato di Napoli, fascio 2215, il primo incartamento datato Napoli,
16 agosto 1735.

103
PAOLOGIOVANNI MAIONE

diretta dal grande Arlecchino Gabriele Costantini che nella vorticosa contrat-
tazione reclama che il Rey [] les ha de dar la iluminaz.n y musica. Dal-
tronde gi si concordava sulla presenza enla Comp.a delos Comicos [] otras
personas que hazen su parte en los entremeses de Musica per cui lorchestra
avrebbe soddisfatto non solo le esigenze sceniche delle comedie e opera ma
anche quelle degli artisti destinati a esibirsi negli intermezzi.25 La troupe, co-
me si apprende da una prima lista, cos composta:

La compagnia, che Esebisce Gabriele Constantini per Servizio di S. M. Re delle


Sicilie si come Segue.
P.ma Donna la Sig.a Cattarina Cattoli
2.a Donna la Sig.a Madalena Vidini
3.a Donna la Sig.a _ _ _
P.mo Amoroso il Sig.r Zorlini
2. Amoroso il Sig.r Gandini
3. Amoroso Il Sig.r _ _ _
P.mo Vecchio Il Sig.r Antonio Fioretti
P.mo Zanne Il Sig. Andrea Neleca
2. Vecchio Il Sig.r Giuseppe Monti
2. Zanne Il Sig.r Gabriele Constantini
Per Intermezzi
La Consorte del Sud.to Sig.r Gandini
Il Sig.r Andrea Nelva
Ballarino
Il Sig.r Antonio Constantini.26

Nel 1732 a Livorno coinvolti ne Il trionfo di Galba o Il Nerone detronato,27


divertimento teatrale per musica, sono la primadonna Cattoli come Poppea,
Antonio Fioretti nel ruolo di Nerone, Giuseppe Monti in quello dellOmbra
e Andrea Nelva nella parte di Tiridate; questultimo appare anche impiegato,
lanno precedente, a Lodi come Astolfo ne Il Coralbo (Drama per musica di
Francesco Span detto Silvio su musica di anonimo)28 e nel 35 a Milano ne
Il Porsignacco.29 Sorprendente invece la vita scenica di Teresa Gandini30 an-
notata come Consorte del Sud.to Sig.r Gandini la quale risulta scritturata

25. Cfr. ivi, incartamento 169, Napoli, 20 settembre 1735.


26. Cfr. ivi, incartamento 174, Napoli, 4 ottobre 1735.
27. Cfr. Sartori, I libretti, cit., n. 23988.
28. Cfr. ivi, n. 6646.
29. Cfr. ivi, n. 15910.
30. Sullartista si veda la scheda contenuta nellaggiornatissimo portale dellArchivio
Multimediale degli Attori Italiani allindirizzo amati.fupress.net - http://amati.fupress.net/
S100?idattore=1896 (ultimo accesso: 15 agosto 2015).

104
GENTE DI TEATRO IN MUSICA TRA SEI E SETTECENTO

nel 33 a Livorno dove veste i panni di Pollastrella negli Intermezzi musicali tra
Pollastrella e Parpagnacco,31 nel 1734-1735 a Milano in quelli di Dulcinea in un
anonimo Intermezzo musicale32 e di Grilletta ne Il Porsignacco,33 per poi vestire
nel 1738, a Napoli, come primo uomo, le vesti di Riccardo nellInganno per
inganno (Commedia per musica di Gennaro Antonio Federico e musica di
Nicola Logroscino)34 e di Lelio ne LOdoardo (Commedia per musica tratta
da La finta sorella di Bernardo Saddumene intonata da Niccol Jommelli)35 e
ancora di Ortensio nel 39 ne LOrtensio (Commedia per musica di Federi-
co musicata da Giovan Gualberto Brunetti),36 e nel 44 di Leandro ne Il Lean-
dro (Commedia per musica di Antonio Villani composta da Logroscino).37
Leclettica artista si voter poi definitivamente alla scena della commedia in-
contrando sulla sua strada anche Goldoni prima di partire, forse proprio in
polemica con lavvocato veneziano, per la corte di Dresda.38
La padronanza scenica enunciata dal proscenio del Fiorentini ne La comedian-
te fa tesoro di unantica pratica attoriale che aveva trovato gi in Perrucci il suo
maggiore cantore, le regole dellArte rappresentativa non sfuggono ad unattenta
disamina di tutti quei requisiti corporei destinati al magistero rappresentativo
in cui lindividuo doveva avere la consapevolezza e il controllo del suo agire.39
La professione dei commedianti retta da una ferrea tecnica per soddisfare
alle richieste dellesigente mercato dello spettacolo, la domanda esige persona-
le altamente specializzato munito di doti disparate: gestualit, mimica, voca-
lit, fisicit concorrono alla realizzazione di personaggi compositi dove canto
danza musica, associati ai requisiti performativi, contraddistinguono un pro-
dotto eclettico e raffinato.
Gli artisti assecondano le temperie performative disegnate da Perrucci al
tramonto del XVII secolo con vigile attenzione osservando le regole dellarte

31. Cfr. Sartori, I libretti, cit., n. 13435.


32. Cfr. ivi, n. 13462.
33. Cfr. ivi, n. 15910.
34. Cfr. ivi, n. 13182.
35. Cfr. ivi, n. 16896.
36. Cfr. ivi, n. 17567.
37. Cfr. ivi, n. 14166.
38. Cfr. S. Ferrone, La Commedia dellArte. Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII
secolo), Torino, Einaudi, 2014, pp. 220, 345.
39. Per il trattato si veda A. Perrucci, Dellarte rappresentativa premeditata, ed allimprovviso.
Giovevole non solo a chi si diletta di rappresentare, ma a predicatori, oratori, accademici e curiosi. Parti
due [], Napoli, M.L. Mutio, 1699, ma si veda ora Id., A Treatise on Acting, From Memory and
by Improvisation - Dellarte rappresentativa premeditata, ed allimprovviso (Napoli 1699), edizione bi-
lingue a cura di F. Cotticelli, T. F. Heck e A. Goodrich Heck, Lanham, Md. & London,
Scarecrow Press Inc., 2008.

105
PAOLOGIOVANNI MAIONE

nei minimi dettagli, nulla sfugge ai poeti pratici pronti a secondare le effi-
caci norme dettate dallautorevole abate la cui vita trascorsa tra tutte le sce-
ne possibili in un viaggio che si conclude con la summa teorica;40 dissimulano
una conoscenza raffinata tutta racchiusa in unesperienza che si manifesta nel-
le pieghe testuali, la mimica e la gestualit suggerite dal succedersi dei versi
rivela implicite didascalie per corpi eloquenti finalizzate a un diletto onni-
comprensivo che con la pronuncia, gesti, ed azzioni41 esprima i sentimenti
dellanimo a chi ascolta, con modo, e garbo, avendo gran forza di persuadere
lespressione al vivo.42
La pronunciazione una eloquenza del corpo [] divisa in due parti, che
sono la voce ed il gesto, delle quali una per lorecchio, laltra per locchio mo-
vono gli affetti dellanimo, e vi penetrano43 raccomanda il dottor Andrea
che con sicuro piglio aggiunge che il gestire accompagnando la voce, come
proprio delloratore, cos anche del rappresentante, che poco in ci dallo-
ratore differisce, ed essendo il gestire un muto parlare, alle volte pi esprime
un atto muto ed un gesto che la parola istessa.44
Le occorrenze, per coloro che calcano il teatro del mondo ma soprattutto
per quelli che approntano il loro apparire, devono tener conto di quei principi
impliciti che rendono efficace il mostrarsi con sprezzatura per cui il volto
si muta con gli affetti, a cui obbediranno gli occhi, le palpebre, le guance, le
ciglia, e la bocca; la maggior espressione per la faranno gli occhi. Le ciglia
sono viziose allora che stanno sempre immobili, e viziose quando troppo si
muovono, sicch la mediocrit l necessaria; incurvarle ed increspar la fronte
si fa negli atti di meraviglia, ma con modo che non ecceda i termini, perch
allora o cosa da stolto, o da buffone; ristrette significano mestizia, dilatate
allegrezza, rimesse vergogna, ed il sopraciglio del decemviro Capuano dimo-
strava la sua severit e superbia45 mentre i gesti con tutte due le mani si fanno,
o quando sinalzano al Cielo per adorarlo, o quando sabbassano per supplica-

40. Su Andrea Perrucci si veda F.C. Greco, Teatro napoletano del 700. Intellettuali e citt
tra scrittura e pratica della scena, Napoli, Pironti, 1981; Id., Ideologia e pratica della scena nel primo
Settecento napoletano, Studi pergolesiani. Pergolesi Studies, 1986, 1, pp. 33-72 (cfr. anche Id.,
La scrittura teatrale: dalla letteratura alla scena, Critica letteraria, xiv, 1986, 51, fasc. ii, pp. 225-
274). Di grande suggestione anche Id., Drammaturgia e scena a Napoli da Belvedere a Federico,
Studi pergolesiani. Pergolesi Studies, 1999, 3, pp. 117-155. Si veda inoltre lIntroduzione di F.
Cotticelli a Perrucci, A Treatise on Acting, cit., pp. xii-xx e la bibliografia alle pp. 205-209.
41. Ivi, Parte i, Al lettore, p. 3.
42. Ibid.
43. Ivi, Parte i, Regola ix, p. 51.
44. Ivi, Parte i, Regola xi, p. 57.
45. Ivi, p. 58.

106
GENTE DI TEATRO IN MUSICA TRA SEI E SETTECENTO

re; quando si gestisce nel mezo si dimostra, e quando si distendono sinvoca46


e saccompagni il gestire col verisimile, e nelle dimostrazioni, volendo dire
questi occhi, questa testa, etc. laccenni, e non laffetti toccandoli, ma con un
semplice moto di dita. Volendo dire son ligato, son stretto, son cieco,
medesimamente procuri daccennarlo come di passaggio, perch laffettazio-
ne deve come il fistolo e la rabbia sfuggirsi. Cos dimostrando cielo, inferno,
mare, terra, alberi, e che so io, gli dia il gesto proporzionato.47
Lattenzione al dato performativo non sfugge neanche a colui che sar mes-
so, con malevolenza, allindice da una genia di riformatori della scena musi-
cale; Metastasio con disappunto assiste alla degenerazione della scena di cui
accusato! quando osserva con disprezzo le maestranze canore ormai poco
aduse allarte attoriale:

I nostri eccellenti cantori vergognandosi dassomigliarsi agli uomini, de quali pren-


dono il nome, anelano unicamente di gareggiar con le calandre, coi zufoli e coi vio-
lini: e quando riesce loro di aver conseguito un s grande oggetto, solleticano per
pochi momenti pi con la meraviglia che col piacere lorecchio e non il core degli
spettatori, obbligati poi ad evitare la noia di tutto il resto dello spettacolo con la di-
sattenzione, coi cicalecci e con lingiurioso strepito meritato.48

Deh non perdete, caro fratello, il calor naturale nel deplorar la decadenza de
nostri teatri. Gi tale che o debbono finire o correggersi. Attori che suona-
no, invece di rappresentar cantando, non possono lungamente sussistere sul-
la scena. I buffi ed i ballerini che singegnano oggid di recitare ridurranno
in polvere cotesti rosignuoli inanimati, come gi visibilmente succede.49 E
nellelogiare una compagnia di comici, che incanta, pregusta il piacere pec-
caminoso della vendetta contro i nostri rosignoli eroici che, vergognandosi di
recitare, sono spolverizzati dai buffi e da ballerini.50
In effetti negli anni in cui fioriva il magistero metastasiano cera un nugo-
lo di cantanti che fondava la propria perizia anche sulle doti performative; un
caso assai vicino a Metastasio quello della Marianna Benti Bulgarelli la sua
maniacalit sulluso dello spazio scenico si deduce dallepistolario del poeta ce-

46. Ivi, p. 60.


47. Ivi, p. 61.
48. In Tutte le opere di Pietro Metastasio, a cura di B. Brunelli, Milano, Mondadori, 1943-
1954, 5 voll., lettera n. 1375, missiva inviata a Napoli a Giuseppe Santoro, Vienna, 26 marzo
1764.
49. Ivi, lettera n. 1360, missiva inviata a Roma a Leopoldo Trapassi, Vienna, 30 gennaio
1764.
50. Ivi, lettera n. 1387, missiva inviata a Roma a Leopoldo Trapassi, Vienna, 28 maggio
1764.

107
PAOLOGIOVANNI MAIONE

sareo.51 Ma esemplificativo di tale urgenza scenica appare il ritratto fornito da


Arteaga della primadonna Vittoria Tesi annoverata tra i pi celebrati cantori:52

La prima fu Vittoria Tesi Fiorentina discepola del Redi, e del Campeggi, la quale ad
una inflessione di voce sommamente patetica, ad una intonazion perfettissima, ad
una pronunzia chiara, netta, e vivacemente sonora, ad un portamento di persona si-
mile a quello della Giunone dOmero seppe unire possesso grande della scena, azio-
ne mirabile, espressione sorprendente de diversi caratteri doti, che la resero la prima
Attrice del secolo.53

La scrittura vocale si plasma alle esigenze della scena e diviene gesto sono-
ro per una genia di artisti dalle molteplici potenzialit rette da una disciplina
solida e rigorosa in cui la scrittura poetico-musicale fa tesoro delle predispo-
sizioni dei singoli per allestire pagine efficaci. Gli spettatori riconoscono gli
svariati codici usati con fantasmagorica abilit e entrano nel gioco ordito dagli
uomini della scena partecipando e godendo, cos, dellonesto divertimento.

51. Per la Benti Bulgarelli si rinvia a R. Candiani, Pietro Metastasio da poeta di teatro a vir-
tuoso di poesia, Roma, Aracne, 1998, ad indicem e Id., La cantante e il librettista: il sodalizio artistico
del Metastasio con Marianna Benti Bulgarelli, in Il canto di Metastasio, a cura di M.G. Miggiani,
Bologna, Forni, 2004, 2 to., to. ii, pp. 671-699.
52. Per la Tesi oltre Croce, Un prelato e una cantante del secolo decimottavo, cit., si rinvia ad A.
Ademollo, Le cantanti italiane celebri del secolo decimottavo: Vittoria Tesi, Nuova antologia, xii,
1889, 3, pp. 308-327.
53. S. Arteaga, Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente,
Venezia, Carlo Palese, 1785, to. ii, p. 43.

108
Anna Scannapieco

I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO.


PRIMI APPUNTI

Alla Signora Angela Cicuzzi Comica, Ballerina,


e che si diletta ancora del Canto

Bene a te si conven dAngelo il nome,


Sanco dAngelo hai tu forme, e virtudi.
E se per belle vie fatiche, e sudi,
Merti cinte dalloro aver le chiome.
[]
Tu nellarte di Roscio hai chiaro il vanto;
Tu leggiadretto il pi movi nel ballo:
Tu canora la voce isciogli al canto.

1. Correva il 1782, quando Francesco Bartoli, con questi versi sgangherati,


adempiva il suo ufficio plutarcheo anche nei riguardi di Angela Cicuzzi, no-
me a noi altrimenti oscuro, fra i moltissimi, altrettanto oscuri, che animarono
laffollata fauna spettacolare settecentesca. Lafflato poetico suggellava, nel caso
specifico, la compilazione di una voce in cui il Plutarco dei comici italiani1
aveva gi rimarcato in prosa come il nuovo Angelo delle scene veniva ri-
scuotendo lentusiastico plauso delle platee per la sua molta inclinazione allo
studio dellArte Comica ed anche a quello del Ballo, e [] Canto.2 Al trittico

1. Cos nella definizione di A. DAncona, Viaggiatori e avventurieri, Firenze, Sansoni, 1911,


rist. con prefaz. di E. Bonora, ivi, 1974, p. 109.
2. F. Bartoli, Notizie istoriche de comici italiani che fiorirono intorno allanno MDL. fino a
giorni presenti, Padova, Conzatti, 1782, to. i, p. 171 (rist. anast. Bologna, Forni, 1978). Angela era
figlia di Regina Cicuzzi (poi Mantovani e poi Marchesini) che, sempre a detta del Bartoli (ivi,
to. ii, p. 25), si form nella celebre compagnia di Gabriello Costantini, su cui cfr. da ultimo F.
Domnech Rico, La Compaa de los Trufaldines y el primer teatro de los Caos del Peral, Madrid,
Universidad Complutense de Madrid, 2005, pp. 184-204 e passim; e in questa stessa sede edito-
riale v. lo scritto di P. Maione, Il possesso della scena: gente di teatro in musica tra Sei e Settecento.

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 109-128


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18364
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
ANNA SCANNAPIECO

di mescidate virt performative, peraltro, doveva probabilmente aggiungersi


lulteriore risorsa di un trasformismo acrobatico, come suggerisce una fortui-
ta scheggia documentaria rimasta racchiusa nelle memorie del Galeati, che in
data 20 gennaio 1790 veniva descrivendo lofferta spettacolare della compagnia
allora attiva nel bolognese teatro Marsigli-Rossi. Qui, la primadonna la no-
stra Angela vi faceva nove personaggi differenti, cantava, ballava, parlava in
spagnuolo, francese, tedesco, veneziano, latino e bolognese.3
Dunque, psaltria, musica e perita ludi scaenici: Angela Cicuzzi avrebbe ben
potuto rappresentare quel prototipo di faemina scaenica fomentatrice di insana
libidine, scortum per eccellenza, il cui ritratto, nei primi decenni del Seicento,
era stato disegnato dallo sguardo acuto di un gesuita spagnolo.4 Eppure no: co-
mediante, canterinola, armonica, ma non puttana,5 la Cicuzzi. Siamo pur sempre
al traguardar del secolo dei lumi, e unattrice cos versatile, un buon ingegno
che secondo laccorto elogium del Bartoli si applica volentieri alla lettura
de libri onesti, poteva sorprendere gli spettatori del tempo soprattutto con la
bont dei suoi costumi che concludeva il biografo possono servir di mo-

3. Biblioteca comunale dellArchiginnasio di Bologna, D.M. Galeati, Diario e memorie


varie di Bologna dallanno 1550 al 1796, ms., B. 91, vol. xii, cc. 22-31 (il passo in questione cit.
in G. Cosentino, Il teatro Marsigli-Rossi, Bologna, Tipografia A. Garagnani e figli, 1900, pp.
180-182). Il Galeati qui descrive le recite tenute, a partire dal 6 gennaio 1790, dalla compa-
gnia di Giovanni Marchesini e Gregorio Cicuzzi, in cui Angela agiva come prima donna. La
rappresentazione di cui si discorre a testo era Il centauro dabisso, protettore di Adelaide principessa
di Belpoggio, condannata a morte dal fratello, assistito da Proserpina, e avvocato in propria causa con
Arlecchino condannato alla galera per spia. Analogo trasformismo performativo la Cicuzzi doveva
esercitare in unaltra rappresentazione, La principessa Amalia figlia del gran re Zoroastro, tradita
da Pantalone scellerato regicida, precipitato nel mare da Brighella sicario crudele, e pescata semiviva da
Arlecchino pescator fortunato e poi lacch.
4. Si tratta, com noto, di Pedro Hurtado de Mendoza e del suo De Comdiis quando
sint scandalum (sez. xxviii.3 delle Scolasticae et morales disputationes, 1631). Questo il passo di
riferimento: Accedit faeminis periculum aliud minime levius, saepe illae sunt apprime pul-
chrae, elegantes corporis habitu et vestium, dicaces, salaces, psaltriae, musicae: peritae ludi
sceanici, quae omnia ita in libidinem abripiunt spectatores, ut a multis adamentur in sane,
qui eas auro et argento oppugnant, qui in earum victum, vestes et supellectiles profusus fa-
ciunt sumptus; la sezione iniziava richiamando la definizione di scorta (sgualdrine) che gi san
Giovanni Grisostomo aveva dato delle donne di teatro ( faeminae scaenicae). Traggo le citazioni
da F. Taviani, La Commedia dellArte e la societ barocca. La fascinazione del teatro, Roma, Bulzoni,
1969, pp. 86-87 (rist. anast. ivi 1991).
5. Comediante Canterinola Armonica Puttana la definizione elargita nei suoi Giornali
di Napoli da Vincenzo DOnofrio (alias Innocenzo Fuidoro) alla straordinaria personalit di
Giulia de Caro, su cui, dopo il capitolo dedicatole da Croce nei Teatri di Napoli (con particolare
riferimento alla prima ediz: Napoli, Luigi Pierro, 1891), si veda ora il fondamentale contributo
di P. Maione, Giulia de Caro Famosissima Armonica e Il bordello sostenuto del signor don Antonio
Muscettola, Napoli, Luciano, 1997.

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I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO

dello allonesto contegno delle fanciulle sue pari, che hanno per la via del Te-
atro incamminati i loro passi.
Se lasciava cader le spoglie meretricie, come quelle di una griffe ormai fuori
mercato, Angela Cicuzzi tuttavia continuava a interpretare la cifra stilistica pi
distintiva della tradizione attorica dellArte: quellimpasto di diversi linguag-
gi performativi in cui, dal miliare contributo di Nino Pirrotta (1955) alla re-
centissima summa di Siro Ferrone (2014), stato riconosciuto uno dei fattori
genetici della Commedia dellArte.6
Uno dei fattori genetici e si pu aggiungere subito uno dei connotati pi
duraturi, anche se reso alquanto indistinto, segnatamente nella sua fenomeno-
logia settecentesca, da quello che fu il progredire settoriale delle competenze
professionali nella realt dei processi in atto;7 e reso pressoch irriconoscibile
dalla lunga egemonia, nella successiva ricognizione storico-critica, di una pro-
spettiva troppo incline ad assolutizzare gli elementi di discontinuit e, di con-
seguenza, ad annichilire quelli di continuit. Solo il rinnovarsi dellapproccio
ermeneutico e un uso pi consapevole delle fonti stanno inducendo a ricono-
scere come in realt, anche nel Settecento, la labilit dei confini professionali
aveva facilitato leclettismo di cantanti-attori o attori-cantanti capaci di passare
da un genere allaltro, assecondando una memoria per cos dire genetica del
mestiere; o a documentare come, proprio nel Settecento, avesse avuto rinno-
vato luogo una straordinaria convivenza di generi pronti ad aiutarsi vicende-
volmente, in un processo di contaminazioni gravido di futuro.8
In tale prospettiva, prestare ascolto alla testimonianza offerta dallexemplum
di unAngela Cicuzzi, e cercare di sondare la versatilit professionale delle co-
miche sulla scena italiana settecentesca, potrebbe riservare qualche sorpresa.

6. Cfr. N. Pirrotta, Commedia dellarte e opera (1955), in Id., Scelte poetiche di musicisti.
Teatro, poesia e musica da Willaert a Malipiero, Venezia, Marsilio, 1987, pp. 147-171; S. Ferrone,
La Commedia dellArte. Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII secolo), Torino, Einaudi, 2014
(in partic. pp. 110-126). Per quanto riguarda larco temporale intermedio, mi limito a segnalare
il progetto, promosso da Gerardo Guccini e dal gruppo di lavoro del centro teatrale la Soffitta
su Larte dei Comici. Invenzioni e pratiche di un teatro multimediale (Bologna, 26 gennaio-16 maggio
2004), i cui riscontri editoriali si leggono nel numero 10 di Culture teatrali (primavera 2004).
7. Sul tema, dobbligo il riferimento a S. Durante, Il cantante, in Storia dellopera italiana,
a cura di L. Bianconi e G. Pestelli, iv. Il sistema produttivo e le sue competenze, Torino, EDT,
1987, pp. 347-415.
8. Cfr. P. Fabbri, I comici allopera: le competenze musicali dellattore, Culture teatrali, 2004,
10, pp. 47-54; F. Cotticelli-P. Maione, Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale
della Napoli di primo Settecento: 1732-1733, Studi pergolesiani. Pergolesi Studies, 2006, 5, pp.
21-54 (dei medesimi autori si veda anche Onesto divertimento, ed allegria de popoli. Materiali per
una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Milano, Ricordi, 1996, in partic. il cap. iv).

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ANNA SCANNAPIECO

2. Ma quali sono i numeri reali delle comiche nel Settecento italiano?


Davvero innumeri, davvero acrobate, ballerine, cantanti, impresarie, oltre che na-
turalmente attrici, le comiche del Settecento italiano? Non tutte, a va sans dire;
ma un pi che significativo drappello s. La recensione che qui propongo e
che intende essere solo preambolo e stimolo a pi sistematiche indagini con-
sente di affermarlo con un buon grado di fondatezza.
Cominciamo ad allineare qualche dato puramente quantitativo (numeri let-
terali, se non proprio veri), enucleato a partire dalla prima e per tanti versi
ancora unica anagrafe dei comici settecenteschi, le Notizie istoriche di Fran-
cesco Bartoli, e perfezionato in base al riscontro di altre fonti.9

a. Del novero complessivo degli attori, la componente femminile ricopre circa


il 35%: un dato significativo di per s, se volessimo divertirci a rapportarlo
alla sedicente evoluzione dei tempi moderni e alle scene pi significative
dellItalia doggi (per esempio quella dellattuale Parlamento, dove la rap-
presentanza femminile risulta lievitata al 30%, ma appena il 16% vi riveste
le cosiddette key positions). Il dato naturalmente ancora pi significativo se
rapportato al mercato teatrale dellepoca, in cui lorganico delle compagnie
sostanzialmente per lintero arco del secolo era strutturalmente sbilan-
ciato sulla componente maschile in forza della presenza delle maschere, se-
condo una relazione che si attestava almeno sul raddoppiamento numerico
degli attori rispetto alle attrici.
b. Di questo 35%, per oltre un terzo (42 su 134)10 possibile appurare lespres-
sione di una professionalit multipla: si tratta cio di comiche che nel corso

9. Per la demografia attorica settecentesca, le Notizie di Bartoli costituiscono una fonte


eccezionale, dato che proprio ad attori/attrici di quel secolo dedicata la grande maggioranza
delle voci: senza peraltro dimenticare la necessit di esercitare una doverosa critica delle fonti
anche nei confronti di questo pilastro della storiografia teatrale, per cui mi sia permesso rin-
viare a A. Scannapieco, Noterelle gozziane (in margine al teatro di Antonio Sacco e di Carlo Gozzi).
Aggiuntavi qualche schermaglia, Studi goldoniani, xi n.s. 3, 2014, pp. 101-123; non sempre, ol-
tretutto, il Bartoli d notizia, per le singole attrici registrate, della variet delle loro prestazioni
performative. Impossibile enumerare tutti gli strumenti integrativi: a titolo desempio, oltre ai
classici repertori di Colomberti e Rasi, o alla formidabile enciclopedia in progress dellArchivio
Multimediale degli Attori Italiani (http://amati.fupress.net), si considerino la storiografia tea-
trale di singoli centri cittadini (dal Croce dei teatri napoletani al Ricci di quelli bolognesi al
Brunelli di quelli padovani), o di singoli teatri (come quella del teatro Regio di Torino, coordi-
nata da Alberto Basso, o sul San Benedetto di Venezia, ad opera di Francesco Passadore e Franco
Rossi), gli scritti autobiografici e i carteggi di eminenti protagonisti della civilt teatrale (e non)
settecentesca (da Goldoni a Gozzi a Casanova), i diari privati (dal bolognese Galeati al padovano
Gennari) e i repertori musicali come quello sui libretti di Claudio Sartori.
10. Le attrici lemmatizzate da Bartoli sono in realt centoventitr (escludendo le due figlie
di Carlo Veronesi, Anna e Camilla, perch entrambe attive solo in Francia); sulla base di altre

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I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO

della loro carriera intrecciarono alla prestazione attorica anche quella cano-
ra e/o quella coreutica, quando non addirittura assunsero funzioni capoco-
micali, circostanza questultima che come vedremo assume un rilevo
storico-critico eccezionale, travalicando i pur estesi confini della storia del
teatro e dello spettacolo e sollecitando, per dirla in breve, nuovi interro-
gativi sullidentit giuridica e leffettivo potere contrattuale delle donne in
epoca di Ancien rgime.
c. A quantificare in uno schema di massima la varia fenomenologia di tale
versatilit professionale muliebre, si possono enucleare le seguenti catego-
rie e la relativa incidenza demografica:
i. Comiche tersicoree. 15, di cui 5 anche canterinole (segnalate con asterisco),
e tra questultime una anche impresaria (indicata con doppio asterisco):
*
Gaetana Bassi, *Marianna Bassi, *Angela Cicuzzi, **Elisabetta DAfflisio
Moreri, Maria Donati, *Luigia Lapy Belloni,11 Maddalena Raffi Mar-
liani, Teodora Raffi Medebach,12 Teodora Ricci Bartoli, Angiola Ricci
Cesari, Marianna Ricci Rotti, Adriana Sacco Lombardi Zanoni, Chiara
Benedetti Simonetti, Teresa Zanoni, Marianna Zanotti Barilli.
ii. Comiche canterinole. 24, di cui 6 anche tersicoree e 4 anche impresarie:
Agnese Amurat,13 Anna Barbieri Colombini, Antonia Bianchi Zanarini,
Rosa Brunelli Zanarini Baccelli, Chiara Cardosi,14 Rosa Costa, Antonia
DArbes Grandi, Marta Davia, Giovanna Farussi Casanova,15 Giusep-
pa Fineschi, Rosa Foggi,16 Teresa Gandini,17 Giulia Gritti Pizzamiglio,

fonti ho aggiunto gli undici nomi di Agnese Amurat, Anna Baccherini, Marta Colleoni, Teresa
Consoli, Antonia Ferramonti, Rosa Lombardi, Matilde Maiani, Rosa Pontremoli, Angiola
Ricci, Caterina Ricci e Marianna Ricci.
11. Le poche attestazioni canore di questa attrice-ballerina sono documentate dal solo
Sartori (C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Cuneo, Bertola & Locatelli,
1990-1992, 5 voll., n. 8489 e n. 22996).
12. Non da Bartoli, ma da fonte goldoniana ci son note le virt tersicoree della Medebach.
13. nome, non registrato dal Bartoli, ma di fonte goldoniana (Mmoires e Memorie italia-
ne), da accogliere con pi di una riserva, dal momento che nulla sappiamo della sua professione
propriamente attorica, e pochissimo di quella canora.
14. Delle prestazioni canore della Cardosi, attrice molto affermata sulle scene del secondo
Settecento, abbiamo solo un fuggevole cenno in Bartoli, Notizie istoriche, cit., to. i, p. 154.
15. Bartoli non menziona le sue prestazioni canore, limitandosi a segnalare che recit da
prima Donna con molta intelligenza (ivi, p. 160).
16. Servetta fiorentina formatasi nella compagnia Roffi, di cui documentata una presenza
anche al Fiorentini di Napoli (1788, comp. Giovanni Grassi: cfr. Croce, I teatri di Napoli, cit.,
pp. 630-631); il suo impegno musicale, non menzionato da Bartoli, pu essere molto vagamente
desunto solo in base a documentazione Sartori (n. 18576).
17. Anche in questo caso, ben pi significativo, Bartoli non d alcuna notizia dellattivit
musicale dellattrice. Si veda di sguito a testo.

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ANNA SCANNAPIECO

Anna Lampredi, Caterina Manzoni, Margherita Valentini. Si vedano


inoltre, nel gruppo i., Gaetana Bassi, Marianna Bassi, Angela Cicuzzi,
Elisabetta DAfflisio Moreri, Luigia Lapy Belloni; e nel gruppo iii., Eli-
sabetta DAfflisio Moreri, Maria Grandi, Anna Moretti, Faustina Tesi.
iii. Comiche impresar ie. 12, di cui 8 solo tali: Antonia A lba-
ni, Maddalena Battaglia, Caterina Berti, Rosa Camerani, Giusti-
na Campioni Cavalieri, Marta Colleoni, Teresa Consoli, Regina
Cicuzzi Mantovani Marchesini,18 Maria Grandi; 3 anche canterino-
le: Maria Grandi, Anna Moretti, Faustina Tesi; una infine impresa-
ria canterinola e tersicorea: Elisabetta DAfflisio Moreri.

Ancorch forse superfluo, sar preliminarmente da sottolineare la relativit


dei dati e delle percentuali, nonch linevitabile margine di arbitrariet im-
plicito nel costringere in comparti nettamente perimetrati quella che dovette
essere una fluidit performativa solo occasionalmente documentata; a tacere
della disomogeneit delle testimonianze superstiti, che lasciano trapelare il di-
verso ordine di grandezza o di continuit con cui concretamente si espresse la
versatilit professionale delle nostre comiche.
Siamo probabilmente di fronte alla punta di un iceberg che resta irrimedia-
bilmente sommerso, e dunque imperscrutabile. Tuttavia, pur con ogni cautela,
si possono interrogare i dati affluiti alla superficie, lasciare che dialoghino o
forse litighino con il gi noto.
Propongo dunque alcune considerazioni di massima per ciascuna delle ca-
tegorie enucleate in precedenza.

3. Il consistente manipolo delle comiche tersicoree lascia innanzitutto in-


travedere le radici delladdestramento professionale di alcune delle massime
protagoniste della scena attorica poi riformata, e cio Teodora Raffi Mede-
bach e Maddalena Raffi Marliani, entrambe formatesi e a lungo attive come
ballerine di corda nella stimata compagnia del rispettivamente padre e fra-
tello Gasparo, entrambe non solo dotate di virt acrobatiche ma capaci anche
di danzare a terra con somma grazia, come riconoscer lo stesso Goldoni;19

18. Bartoli segnala la sua attivit capocomicale solo allinterno della voce dedicata alla
figlia, Angela Cicuzzi.
19. C. Goldoni, Memorie italiane. Prefazioni e polemiche III, a cura di R. Turchi, Venezia,
Marsilio, 2008, p. 288; lespressione in realt riferita alla sola Teodora, ma lo stesso Goldoni
dice di Maddalena che era una copia fedele della Teodora (ibid.). Allapprendistato della Raffi
Marliani come ballerina di corda dedica molte pagine la stilizzazione romanzesca che dellattri-
ce realizz Pietro Chiari nella sua Commediante in fortuna (1755; se ne veda la moderna ediz. per
le cure di V.G.A. Tavazzi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2012).

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I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO

radici che per certo saranno state metabolizzate e messe a frutto nello stile
rappresentativo delle due attrici, e probabilmente anche nella drammaturgia
dei due principali poeti di compagnia che scrissero per loro, Carlo Goldoni e
Pietro Chiari.20
In secondo luogo, facile riconoscere un tratto distintivo della formazio-
ne presumibilmente abituale, e il relativo itinerario professionale, previsti per
le donne attive nelle grandi compagnie della tradizione dellArte: cio lavvio
precoce dellattivit lavorativa, nella forma che doveva essere pi congrua al-
la prima et puberale, quella appunto della danza. Non a caso come balleri-
ne esordiscono, ancora ragazzine, molte delle attrici della compagnia Sacco.
La precoce messa a frutto della forza lavoro femminile pu essere osserva-
bile anche in contesti diversi, come dimostra il caso di quattro figlie di Emilia
Gambacciani Ricci, attrice di solida formazione ed esperienza:21 Angiola, Ma-
rianna, Teodora e Caterina erano figlie darte, ma non esordirono nella pro-
fessione della madre perch esercit maggior peso quella del padre Antonio,
ballerino che le addestr nel proprio mestiere, rendendole immediatamente
spendibili sul mercato: appena quattordicenne, ad esempio, figura nel cor-
po di ballo del San Benedetto il pi prestigioso teatro musicale veneziano
dellepoca la futura musa di Carlo Gozzi, Teodora Ricci Bartoli, e vi rima-

20. Tanto per rimanere a un livello di superficie, basti considerare come sul profilo della
Marliani Goldoni ide il personaggio della ballerina Olivetta nella Figlia obbediente (1752), o
come alla Medebach protagonista eponima della Pastorella fedele (1754) Chiari riservasse, nella
scena 4 dellatto ii, un salto acrobatico dalla montagna nel fiume (su cui, a quasi trentanni di
distanza, ancora si intrattiene compiaciuta la memoria di Bartoli).
21. Fu infatti attiva nella compagnia Sacco e poi in quella Medebach. Di origine pisana, e
appartenente come da testimonianza del Bartoli ad una civilissima Famiglia, venne fatta
oggetto di un ritratto infamante da Carlo Gozzi, in un brogliaccio che documenta la preistoria
testuale delle Memorie inutili, e che merita in parte citare: LEmilia fu bella femmina, e cattiva
Comica. [] fece ammaestrare le sue cinque figlie. Quattre furono Ballerine, e una Cantatrice
[Maddalena, che non cito a testo perch la sua professione esclusiva fu appunto quella della
cantante]. Soprattutto ha fatto loro capire il mestiere di spogliare delle sostanze glappassionati,
larte di non curar la vergogna; la massima filosofica di non avere amicizia per nessuno mo-
strando daverne moltissima per tutti, e la fortezza di considerare i tradimenti gloriose imprese
da donne di spirito. I ricordi della vecchia Ava Clarice [madre di Emilia], e lesempio materno
furono scola efficace, e il sangue viziato a puttanesimi delle Madri, passa assolutamente per ere-
dit nelle vene delle figliuole (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Gozzi, 11.1/6, c. 62r.,
cit. in F. Soldini, Rapporti tra Carlo Gozzi e gli attori nella corrispondenza e nelle carte autobiografiche.
Un episodio significativo: Teodora Ricci nelle pagine inedite delle Memorie inutili, in Carlo Gozzi entre
dramaturgie de lauteur et dramaturgie de lacteur: un carrefour artistique europen. Atti del convegno
(Parigi, 23-25 novembre 2006), a cura di A. Fabiano, Problemi di critica goldoniana, xiii,
2006 [ma 2007], p. 61). Bartoli invece, che di Teodora Ricci com noto fu marito, rifer
che ella fu onestamente educata, e sotto glinsegnamenti dellAva sua materna impar a leggere,
ed a scrivere.

115
ANNA SCANNAPIECO

ne per tre anni consecutivi, prima di scoprire e di temprare le proprie incli-


nazioni attoriche.22
Non per tre anni, ma per oltre un decennio, sulle scene del medesimo no-
bilissimo teatro, esercita la sua ormai consolidata professione di ballerina Ma-
ria Donati,23 figlia di gente del mestiere pi che figlia darte (il padre era un
apparatore), e la esercita agendo in coreografie di artisti di grido (da Char-
les Lepicq a Gasparo Angiolini, da Jean Favier a Giuseppe Canziani). Nel suo
caso, la trasformazione in commediante sollecitata dalle virt maieutiche di
un mattatore delle scene del secondo Settecento, il Comico impareggiabile
Giuseppe Maiani24 avviene solo al dischiudersi degli anni Ottanta, suscitan-
do grandi aspettative, e si incardina per circa un quindicennio nellattivit di
primarie compagnie (Lapy e Pellandi).25

22. Le prestazioni propriamente attoriche della primogenita (Angiola) furono in real-


t limitate allet pi giovane, allorch, come riferisce il Bartoli recit da fanciulletta molti
Prologhi, e piccole parti nelle Commedie del Chiari, per poi abbracciare esclusivamente la
professione coreutica; Caterina, di molta abilit nellarte del Ballo, mor ad appena ventanni;
Marianna invece, dopo essersi formata giovanetta, come Angiola, nella compagnia Medebach,
figura in vari corpi di ballo di opere rappresentate a Venezia negli anni Sessanta, ma probabile
che agisse, soprattutto a sguito dellingaggio della sorella Teodora (1771), anche nella compa-
gnia Sacco, dato che nel 1779 spos Giovanni Battista Rotti, il Pantalone, dal 69, della troupe.
Per quanto riguarda Teodora, terzogenita, classe 1749, il marito ricorda solo che cresciuta in
et, fece vedersi nelle Danze dellOpere Musicali in compagnia della sua sorella Caterina [classe
1753], e custodita dalla predetta sua Ava [Clarice: cfr. n. 21] ne viaggi intrapresi per varie Citt
di Lombardia, e della Toscana. Dal repertorio del veneziano teatro di san Benedetto, sappiamo
invece che figur anche nel corpo di ballo di questo teatro, e nelle seguenti stagioni: carnevale
1763-1764, carnevale 1764-1765, ascensione 1765, carnevale 1765-1766 (cfr. F. Passadore-F.
Rossi, Il teatro San Benedetto di Venezia. Cronologia degli spettacoli 1755-1810, Venezia, Fondazione
Levi, 2003). Sarebbero passati altri tre anni prima che Teodora intraprendesse la professione
attorica ottenendo un ingaggio presso la compagnia di Pietro Rossi (1769), dove fu istruita
nellarte e presa in sposa da Francesco Bartoli.
23. In base al repertorio di Passadore-Rossi, Il teatro San Benedetto di Venezia, cit., sappia-
mo che la Donati figura nel corpo di ballo del San Benedetto nelle seguenti stagioni (quando
rilevante, segue tra parentesi il nome del coreografo): ascensione 1767, carnevale 1767-1768, au-
tunno 1768, carnevale 1768-1769, ascensione 1769, estate 1769 (Lepicq), ascensione 1771 (idem),
autunno 1771, carnevale 1771-1772, carnevale 1772-1773 (Angiolini), carnevale 1774-1775
(Favier), estate 1776 (Canziani), carnevale 1777-1778 (Canziani), carnevale 1778-1779 (Favier).
24. Figlio di Francesco, uno dei pilastri della compagnia del San Luca ai tempi di Goldoni,
in cui venne formandosi Giuseppe stesso, insieme alla sorella Matilde: oltre al vivo ritratto che
ce ne ha lasciato Bartoli, mi sia permesso rinviare alle osservazioni dedicategli nel Commento a
C. Goldoni, La buona madre, a cura di A. Scannapieco, Venezia, Marsilio, 2001, p. 279; ma si
vedano soprattutto quelle elaborate da Marzia Pieri nellediz. di C. Goldoni, Artemisia, a cura
di M. Pieri, Venezia, Marsilio, 2015, in partic. pp. 51-56.
25. Merita stralciare qualcuna delle pi significative note dalla voce dedicatale dal
Bartoli: Oggi [1782] si veduta comparire sulle Comiche Scene con inaspettata, e pro-

116
I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO

I casi delle sorelle Ricci e di Maria Donati sembrano suggerire come, an-
che in anni di ascendente fortuna dellarte coreutica, lapprodo alla professione
attorica potesse per le donne rappresentare una tappa pi alta, o comunque
a vario titolo pi gratificante, della loro realizzazione artistica (e in tal senso
esse sembrano raccontare il recto della caricaturale parabola di Felicita, lallieva
della goldoniana Scuola di ballo [1759] che appena pu getta alle ortiche ogni
ambizione tersicorea e si fa commediante);26 ma, in tutti i casi, propongono
con evidenza credo il dato di una professionalit attorica che si nutre di
altre abilit performative: pregresse s, ma evidentemente non obliterabili nel
successivo evolvere della carriera.
Daltronde, di attrici che portavano in scena le loro risorse coreutiche, e le
accompagnavano altres con quelle canore, ci racconta non solo Angela Ci-
cuzzi, lexemplum da cui abbiamo preso le mosse: infatti, tra le sue consorel-
le, merita una menzione almeno Marianna Bassi, esperta di recitazione ballo
e canto, tre pregi [che] adoperati tutti anche in una sola sera sopra il Teatro,
destavano la meraviglia, e gli applausi negli Uditori. La quale Marianna, ap-
pena ventenne, quando [] incominciarono i suoi meriti ad essere portati
dalla Fama per ogni dove, mor (1769). Non era bellissima ricorda ancora
Bartoli , ma aveva grazie non poche, e potevasi dir di lei: Nobil daspetto,
e di belt modesta, / Modi, e maniere, avea soavi, e piane.27 Fort jolie la-
veva invece giudicata Giacomo Casanova, che avec plaisir laveva vista dan-
zare in un teatro di Augusta, ancora tredicenne, e che nei giorni successivi era
facilmente trapassato dal tenerla sur ses genoux [] en innocente al farne

digiosa comparsa, effetto dalcune utili instruzioni avute da Giuseppe Majani. [] assai
ben vista dal Pubblico per il suo bel modo desprimere le parti appassionate, e per la grazia
con cui ella rappresenta altri caratteri, e sostenuti, e piacevoli ancora. [] Se a cos rapidi,
e felici principj devono corrispondere in egual modo gli avanzamenti, noi potremo in que-
sta giovane Attrice sperar di veder risorta la fama delle Comiche valorose, o mancate alla
Professione, o vicine alla lor decadenza. Lo studio indefesso della Donati, la sua instancabile
volont daffaticarsi, e le varie doti dalla Natura impartitele, ci fanno un certo pronostico,
che non siano per riuscir vane le nostre, e le sue ben collocate speranze (Bartoli, Notizie
istoriche, cit., to. i, p. 198). Dal punto di vista della sua effettiva carriera, sappiamo che fu in-
gaggiata dalla compagnia Lapy (in cui appunto agiva ancora il Maianino, il maieuta della
Donati) a partire dallanno comico 1780-1781, e milit poi in quella Pellandi dal 1786-1787
al 1792-1793 (cfr. O. Giardi, I comici dellarte perduta. Le compagnie comiche italiane alla fine
del secolo XVIII, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 175, 225, 227); le grandi aspettative degli esordi
dovettero peraltro andare deluse, dato che nel 1790 figurava ancora come seconda donna
(cfr. B. Brunelli, I teatri di Padova. Dalle origini fino alla fine del secolo XIX, Padova, Angelo
Draghi, 1921, p. 252).
26. Si vedano in particolare la scena 1 dellatto iii e la scena 6 dellatto v (C. Goldoni, La
scuola di ballo, a cura di A. Nari, Venezia, Marsilio, 2014, pp. 105-109 e 142).
27. Bartoli, Notizie istoriche, cit., to. i, p. 112.

117
ANNA SCANNAPIECO

conoscenza biblica, in uno spettacolo-bacchanale che non manc di eccitare gli


stessi genitori della petite.28

4. Quella delle comiche canterinole , forse non a caso, la categoria pi rap-


presentata, e anche pi facilmente oggetto di fraintendimenti quando non di
rimozioni storico-critiche.
A tal proposito, non si pu non considerare come la resistenza inerziale
di alcuni clichs storiografici (pur dovuti a emeriti maestri, da Croce e Della
Corte sino a Folena) abbia trasformato alcune notevoli occasioni di riconside-
razione documentaria e critica in occasioni sostanzialmente mancate. Penso
in particolare alla produzione goldoniana per i comici del San Samuele, di re-
cente riproposta nellambito dellEdizione nazionale con volumi di indubbio
pregio, e al cui riguardo abbiamo tuttavia sentito ancora evocare come cifra
genetica e limite strutturale il ricorso non a cantanti professionisti, bens ad
attori abituati a esibirsi quasi esclusivamente nella commedia allimprovviso,
[] privi di spiccate doti canore, o a professionisti dello spettacolo, capaci di sta-
re in scena con disinvoltura, dotati di spiccate doti comunicative, abili nellaf-
frontare spavaldamente i repertori pi vari ma privi di unistruzione musicale.29
Come se a nulla ancora valessero alcune fondamentali acquisizioni di me-
rito e di metodo: a cominciare dai contributi di Franco Piperno, inflessibile
nel contrastare la vulgata dei buffi come esecutori raccogliticci e privi di
scuola,30 o dalla maturata consapevolezza che la grandezza artistica dei can-
tanti poteva accompagnarsi a una mediocre alfabetizzazione musicale31 (o an-
che a un completo analfabetismo, tuttoggi non privo di clamorosi riscontri:
si pensi a un Pavarotti, che non leggeva la musica, e imparava le parti solo con
laiuto di un maestro che gliele infilava nella memoria).32
O come se a nulla potessero valere talune ricognizioni documentarie che,
pur ineludibili, sono state affatto trascurate, con tutte le conseguenze interpre-

28. Cfr. J. Casanova de Seingalt, Histoire de ma vie. Texte intgral du manuscrit original suivi
de textes indits, dition prsente et tablie par F. Lacassin, Paris, R. Laffont, 2009, vol. ii, pp.
721-727 (le citazioni a testo alle pp. 721-722, 723, 727).
29. Le citazioni sono tratte rispettivamente da G.G. Stiffoni, Introduzione a C. Goldoni,
Intermezzi e farsette per musica, a cura di A. Vencato, Venezia, Marsilio, 2008, p. 20 e A. Vencato,
Introduzione a C. Goldoni, Drammi musicali per i comici del San Samuele, a cura di A. V., Venezia,
Marsilio, 2009, pp. 59-60 (i corsivi sono miei).
30. Cfr. in partic. F. Piperno, Buffe e buffi (considerazioni sulla professionalit degli interpreti di
scene buffe ed intermezzi), Rivista italiana di musicologia, xviii, 1982, 2, pp. 240-284 (la cita-
zione a p. 241).
31. Cfr. Durante, Il cantante, cit., p. 369 n.
32. Sono debitrice allamico e maestro Eduardo Rescigno di questa suggestione (come di
molte altre).

118
I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO

tative del caso. Si consideri, per limitarsi allesempio pi macroscopico, che una
delle interpreti degli intermezzi goldoniani per il San Samuele (citata peraltro
dallo stesso autore, e in termini non di sprezzante sufficienza, come dordi-
nario in casi consimili)33 era stata Rosa Costa, unattrice, come ci informa il
Bartoli, che possedeva ancora labilit di cantare e che aveva fatto il suo ap-
prendistato con lo strepitoso Argante (cos nella definizione di Goldoni), e
cio Antonio Franceschini, direttore della compagnia comica pi accreditata
nella Venezia degli anni Trenta.34 Ebbene, la Rosa Costa che viene ingaggia-
ta dalla compagnia Imer per subentrare alla Passalacqua (su cui torneremo a
breve) probabilmente la medesima artista che a partire dallanno successivo
avrebbe avviato a Napoli una fortunata carriera di soprano: nel 1737, gi di-
venuta virtuosa di camera del duca di Montemari, interpreta al Fiorentini il
protagonista eponimo del Flaminio di Federico-Pergolesi; e lanno successivo,
nel Grande Real Teatro di San Carlo, Partenope nel bellissimo prologo
ideato dal Carasale in occasione dei festeggiamenti per le nozze e il complean-
no di Carlo di Borbone, a corredare lallestimento dellArtaserse di Metastasio-
Vinci (del prologo, e non dellopera, diede ammirata descrizione la Gazzetta
di Napoli).35 Nel giro di un lustro (1737-1742), bilanciandosi tra repertorio

33. Presero [i comici del San Samuele, nel 1736] la Rosina Costa, giovane, non bella, ma
spiritosa, che sapeva un poco di musica, ed aveva una voce angelica e unabilit sorprendente
(Goldoni, Memorie italiane, cit., p. 256).
34. Cfr. ivi, p. 234. Il Franceschini fu celebre innamorato e direttore della compagnia del
San Luca; Bartoli indica in termini molto generici lappartenenza della Costa alla sua compa-
gnia, e sembra basarla sostanzialmente su ununica fonte (espressamente citata), e cio la cele-
bre stampa padovana della tragicommedia (con vari inserti musicali) La clemenza nella vendetta
(1736), nel cui elenco di personaggi-interpreti, la Costa figura nella triplice veste di Cingara
Indovina, che canta, Madama della Sol Re Virtuosa di Camera della Reg.[ina] ed Eurilla
Figlia del mag. Sacerdote, secondo le mansioni di una terza donna (a sguito di Vittoria Miti
e Marta Bastona Focari; la servetta era Felice Bonomi) che giostrava in ruoli minori le sue virt
soprattutto canore. Anche in considerazione dei sommovimenti che si sarebbero prodotti di l a
poco nella compagnia del San Luca, con la partenza di Franceschini per Dresda, ragionevole
ipotizzare che la Costa abbia accettato, nellautunno di quello stesso anno, lingaggio presso il
San Samuele. Le considerazioni che fanno sguito a testo, e che conservano un carattere ine-
vitabilmente ipotetico, sono basate sullidentificazione operata da Claudio Sartori tra la Rosa
Costa interprete della Clemenza nella vendetta e quella interprete di tutte le altre opere cui si far
riferimento (cfr. Sartori, I libretti, cit., vi. Indici, to. ii, pp. 210-211).
35. [21 gennaio 1738] Ieri, [...], degnossi la maest sua allimbrunir dellaria di passare
al R. teatro per ascoltarvi il nuovo dramma LArtaserse, [], nella qual congiuntura il direttore
capitano D. Angelo Caresale, per contrassegno della sua venerazione, sul bel cominciamen-
to dellopera fece rappresentare un bellissimo prologo da cinque personaggi, che, figurando
la Notte, Venere, Amore, Partenope e il Sebeto, cantavan le laudi del re e della sposa reale.
Compariva intanto un bosco con campagna e colline e a destra miravasi Partenope vestita in R.
foggia, assisa sopra unaureo seggio sopra scalini in atto di dormire e intorno ad essa varie ninfe

119
ANNA SCANNAPIECO

serio e repertorio buffo, la Costa sar presente in ben diciotto allestimenti da


Napoli a Venezia (passando per alcuni centri toscani), e in svariati anni suc-
cessivi continuer la sua carriera in paesi di area germanica.36
Un caso, insomma, che sembra acclarare, nel Settecento inoltrato, il profilo
esemplare del cantante modello quale era stato delineato, nei primi decenni del
secolo precedente, dal Corago: Sopra tutto per esser buon recitante cantando
bisognerebbe esser anche buono recitante parlando, onde aviamo veduto che
alcuni che hanno avuto particolar grazia in recitare hanno fatto meraviglie
quando insieme hanno saputo cantare.37 Esempio macroscopico e tuttavia
mai, a quanto mi consta, rilevato quello della Rosa Costa, e che non deve
per questo indurre a facili quanto inutili generalizzazioni; ma che senzaltro
pu legittimamente invitare a riconoscere come, anche in pieno Settecento,
avesse vigore la pluralit performativa dei comici e come, in taluni casi, desse

anche dormendo agiate sopra vari sassi. A sinistra osservavasi il Sebeto che, ancor dormendo,
appoggiato era alla sua urna da cui chiare e limpide acque scorrevano e, intorno a lui, anche
sorpresi da sonno, vari pastori faceanli corona. In aria a sinistra vedevasi la notte in un carro a
quattro ruote tirato da due neri cavalli, vestita ella di azzurro sparso di stelle doro, coronata di
fiori di papavero; a destra scorgeasi un altro carro da due colombe tirato, entro cui locata era
Venere, coronata di rose e di mirto, e sulla cui testa splendea una lucidissima stella. Fra tutti
per ammiravasi il carro damore, tirato da quattro cavalli bianchi, in cui era esso Amore con
ali bianche, turcasso ed arco e con facella accesa in mano e nel tempo stesso scorgevasi spuntare
nellorizzonte la lucente Luna, il di cui globo scorgevasi ingombrato dalleffigie della maest di
Maria Amalia, sposa reale del nostro sovrano; il tutto per festeggiare il fortunatissimo e feste-
vol giorno del compleanno di sua maest ed alludere al real maritaggio contratto dalla maest
sua con la R. sposa Maria Amalia Walburga nostra signora. Nel fine del qual prologo tra li
viva del coro e strepitoso sparo di mortaretti e cannoni, furono da sopra il cielo del teatro da
volanti amorini sparsi per tutta ludienza copiosi sonetti allusivi ad un giorno cotanto felice
(A. Magaudda-D. Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della
Gazzetta [1675-1768], Roma, ISMEZ, 2009, pp. 162-163 e 186; a p. 538 dellAppendice in pdf
contenuta nellallegato cd-rom si legge il passo citato della Gazzetta di Napoli. Cfr. anche
Croce, I teatri di Napoli, cit., pp. 338-339).
36. Tuttti i dati sono desunti dal repertorio di Sartori. Pur avendo, verosimilmente, inter-
pretato i tre intermezzi goldoniani del 1736 (Monsieur Petiton, La bottega da caff, Lamanate cabala),
la Costa non degna neanche di una menzione nel citato contributo di Gian Giacomo Stiffoni
(cfr. supra, nota 29).
37. Il corago, o vero alcune osservazioni per mettere bene in scena le composizioni drammatiche (ini-
zio sec. XVII), a cura di P. Fabbri e A. Pompilio, Firenze, Olschki, 1983, p. 91. Merita citare
anche la considerazione immediatamente successiva: Intorno a che alcuni muovono questione
se si deve eleggere un musico non cattivo che sia perfetto recitante o pure un musico eccellente
ma di poco o nessun talento di recitare, nel che si toccato con mano che s come ad alcuni
pochi molto intendenti di musica sono pi piaciuti leccellenti cantatori quantunque freddi nel
recitamento, cos al co[mun]e del teatro sodisfazione maggiore hanno dato i perfetti istrioni con
mediocre voce e perizia musicale (ibid.).

120
I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO

luogo alla specializzazione di una competenza tra le altre, resa possibile pro-
prio dalla genetica versatilit della formazione attorica.38
Daltronde, lampia estensione della categoria delle comiche canterine con-
sente di individuare molteplici fenomenologie della loro carriera. Si possono,
ad esempio, riscontrare tragitti professionali esattamente inversi a quello di una
Rosa Costa. Al riguardo, i due casi pi significativi chiamano in causa attrici
rimaste a vario titolo celebri solo per i loro trascorsi goldoniani: Elisabetta
DAfflisio Moreri e Teresa Gandini.
Il prolungato esercizio di questultima sulla scena musicale (tra il 1733 e il
1744) rimosso dal Bartoli e per sommi capi riesumato dal Rasi stato pun-
tualmente richiamato di recente da Paologiovanni Maione, e quindi si offre
alle nostre valutazioni senza il bisogno di ulteriori indugi documentari;39 pa-
re tuttavia utile affiancare la notizia che quando la Gandini approda a Napoli
e, a partire dal 38, si esibisce en travesti negli spettacoli musicali dei Fiorenti-
ni (duettando peraltro con la prima donna Rosa Costa),40 risulta anche attiva
nel teatrino di corte, animato dalla celebre compaa de los Trufaldines diretta
dallArlecchino di Spagna Gabriello Costantini.41 E forse non un caso che il
medesimo 1744, in cui Carlo di Borbone decreta que se despida la compagnia
de Trufaldines,42 sar anche lultimo anno in cui la Gandini risulta impegnata
sulla scena musicale, e non solo di Napoli. Da questo momento in poi, infatti,
la carriera della comica probabilmente sovrastata dagli interessi del suo le-
gittimo procuratore,43 cio il collerico e violento marito Francesco (che non

38. Un altro caso singolare, in direzione inversa, sembra costituito da Marta Davia che, for-
matasi nella celebre compagnia del ciarlatano Bonafede Vitali (detto lAnonimo), si distinse poi
a lungo, in qualit di prima donna a vicenda con Marta Bastona Focari, nella compagnia del San
Luca; poco prima di ritirarsi dalla carriera, fu interprete di spicco nelle prime veneziane, 1751 e
1752, di due drammi giocosi goldoniani, Il conte Caramella e Le pescatrici, affiancando una star del
calibro di Serafina Penni (anche in questo caso, il relativo volume dellEdizione nazionale non
ha fornito nuove indicazioni, se non la designazione erronea di Francesca in luogo di Marta:
cfr. M. Bizzarini, Introduzione a C. Goldoni, Drammi comici per musica, ii. 1751-1753, a cura di
A. Vencato, Venezia, Marsilio, 2011, p. 18).
39. Cfr. qui il saggio di Maione, pp. 97-108.
40. Al Fiorentini le due artiste calcano assieme la scena sia nellOdoardo (inverno 1738: la
Costa nel ruolo di Lavinia e la Gandini in quello di Lelio), sia nellOrtensio (carnevale 1739: la
Gandini nel ruolo del protagonista eponimo, la Costa in quello di Lavia).
41. Cfr. Croce, I teatri di Napoli, cit., p. 405. Il dato, di grandissimo rilievo, sinora sfug-
gito agli studiosi, probabilmente perch nel documento citato da Croce si parla di una Teresa
Gantini (e non Gandini) e soprattutto del suo marito Francesco (e non come si sempre
pensato Pietro: per cui cfr. infra a testo e note 42-43). Su Costantini e la compaa de los
Trufaldines, si veda la n. 2.
42. Cfr. Croce, I teatri di Napoli, cit., p. 412.
43. Si rinviene ad esempio la sottoscrizione Francesco Gandini come legittimo procura-
tore di Teresa mia moglie in un documento del 28 novembre 1750, relativo alla compagnia

121
ANNA SCANNAPIECO

ha niente a che fare con Pietro, il celebrato Brighella trasformista con cui vie-
ne sempre confuso)44 risulter incanalata nella professione attorica, e specie
dopo lapprodo a Venezia: qui infatti viene ingaggiata al San Luca, tempio del
teatro comico cittadino, e vi consegue presto il titolo di prima donna. Ha come
partner una star del calibro di Antonio Vitalba, ed tenuta a concertarsi con
altri gloriosi esponenti della tradizione dellArte, dal Pantalone Rubini allAr-
lecchino Cattoli: lo fa, come ricorda il Bartoli, con immensa bravura [] in
tutto ci che allArte Comica per dovere si aspetta, una bravura ovviamente
memore del duraturo e versatile esercizio sulle scene napoletane. Una cogni-
zione cos matura e sperimentata dei segreti dellArte (in cui a detta sempre
del Bartoli si distingueva anche la brillante energia infinitamente lodevo-
le dispiegata nellinterpretazione delle cose studiate),45 che sarebbe stata per
certo messa a frutto da un Carlo Goldoni, se tra i due non si fosse interposta
la brutalit dispotica del legittimo procuratore della Gandini, troppo pre-
occupato che la visibilit della moglie e il capitale che recava in seno po-
tesse essere scalfito dalla rivoluzione delle convenzioni rappresentative avviata
dal nuovo poeta di compagnia. Sicch il capitale in questione fu dirottato a
Dresda e la compagnia del San Luca si trov privata della miglior femmina
di questo mondo.46
Per tanti versi, ancora pi istruttivo il caso di Elisabetta DAfflisio More-
ri. Per riuscire oggi a scorgere il suo profilo artistico dovremmo impegnarci
a scoperchiare la pietra tombale sotto cui la seppell il risentimento di un suo
amante corbellato, Carlo Goldoni. Stizzito ancora in tarda et, ne immortal
il fisico rinsecchito, lincarnato ple et jauntre, malamente coperto dal bel-
letto, la phisionomie grimaciere e, naturalmente, la mediocrit artistica.47
Il romanzetto teatrale della Passalacqua, che adesca il poeta di compagnia per

del San Luca: cfr. Venezia, Biblioteca di Casa Goldoni, Archivio Vendramin, 42.f.8/1, Scritture
e Lettere dallanno 1733 sino 1764 attinenti alli accordi con li Sig.ri Comici per dover recitare nel Teatro di
San Salvador, c. 26.
44. Avevo gi segnalato il dato in Noterelle gozziane, cit., p. 102 n., ma devo rinviare ancora
ad altra sede la sua distesa documentazione.
45. Bartoli, Notizie istoriche, cit., to. i, p. 252.
46. Come mai la prima donna, chera la miglior femmina di questo mondo ha avuto
cuore di abbandonarci cos?, chiede il Florindo Francesco Falchi nellIntroduzione per la prima
sera dellautunno dellanno 1755, volendo acclimatare il pubblico alla difficile situazione in cui
versa la compagnia allindomani della fuga dei Gandini; e Celio gli risponde: Che potea fare
la poverina? Ella ha dovuto accondiscendere al marito suo (C. Goldoni, Introduzioni, Prologhi,
Ringraziamenti. Prefazioni e polemiche II, a cura di R. Turchi, Venezia, Marsilio, 2011, p. 125).
47. C. Goldoni, Mmoires, p. i, chap. 38, in Id., Tutte le opere, a cura di G. Ortolani,
Milano, Mondadori, 1935, vol. i, p. 172 (dove si rimarca anche la voix fausse e la maniere
monotonne).

122
I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO

goderne i favori, e nel frattempo si sollazza con il primo uomo della troupe
(il ben pi seducente Antonio Vitalba), continua comprensibilmente a in-
cantare tutti (lo stesso Luigi Rasi ne trasse materia per uno dei suoi pi sapidi
monologhi);48 un po meno quel Don Giovanni Tenorio in cui il poeta corbel-
lato volle fare le sue vendette, lasciandoci di fatto una delle sue prove pi in-
felici. Se tuttavia si prova a leggere lo stesso Goldoni in controluce, si riesce a
ravvisare qualche elemento di pi attendibile storicizzazione. Circa un decen-
nio prima dei Mmoires, dalla prefazione al tomo xiv delledizione Pasquali, a
proposito della nostra Elisabetta aveva potuto infatti scrivere:

faceva di tutto passabilmente, e niente perfettamente. Cantava, ballava, recitava in serio


e in giocoso, tirava di spada, giocava la bandiera, parlava vari linguaggi, era passabile
nella parte di Servetta, e suppliva passabilmente neglIntermezzi.49

Facendo la debita tara alla stilizzazione rancorosa (che risuona sensibil-


mente nella marca iterativa e nel trasparente fonosimbolismo della sibilante
doppia), si intravede il profilo compiuto di quella multimedialit chera ci-
fra distintiva della drammaturgia dellArte.50 Figlia, anche professionalmen-
te, del napoletano Alessandro DAfflisio, innamorato di merito, prima di
essere ingaggiata dalla compagnia Imer per la duplice mansione di servetta
e interprete degli intermezzi, Elisabetta aveva maturato una non irrilevante
esperienza sui teatri musicali, e non solo su quelli meticciati della comme-
dia pe mmuseca, ma anche su quelli blasonati dei drammi seri, figurando in
compagnia di illustri virtuosi (da Giacoma Ferrari a Pietro Baratti).51 E se per
il bonheur del poeta di compagnia (pas de rancune, beninteso)52 la Passa-

48. Cfr. L. Rasi, Il libro dei monologhi, Milano, Hoepli, 1891, pp. 113-128.
49. Goldoni, Memorie italiane, cit., p. 246 (il corsivo mio); per la datazione (1776-1777)
del to. xiv dellediz. Pasquali cfr. A. Scannapieco, Scrittoio, scena, torchio: per una mappa della
produzione goldoniana, Problemi di critica goldoniana, vii, 2000, pp. 216-217.
50. Profilo non a caso trascritto in chiaro nella voce dedicata da Bartoli allattrice, deriva-
ta sicuramente dalla pagina goldoniana: Esercitavasi nel Ballo con molta grazia; aveva qualche
intelligenza della Musica, e fece talvolta spiccare in essa la sua abilit, cantando in Musicali
Operette, ed Intermezzi. Giocava assai bene la Bandiera, e sapeva colla spada schermire a mera-
viglia (Bartoli, Notizie istoriche, cit., to. i, p. 1).
51. Dal repertorio di Sartori si evince che la DAfflisio aveva fatto parte del cast de La
forza dammore, commedia pe museca, al teatro Nuovo di Napoli nel 1732 (n. 10829); lanno
successivo registrata la sua presenza a Corf, nellallestimento del Geronte tiranno di Siracusa (n.
11576); per altri due drammi seri Eurene (n. 9394a) e Semiramide riconosciuta (n. 21542) la ri-
troviamo a Brescia nel carnevale 1735. E nellautunno di questo stesso anno esordir sulle scene
del San Samuele, come nuovo ingaggio della compagnia Imer.
52. Pour mon bonheur, la Passalacqua avoit t renvoye: je navois pas de rancune; mais
je me portois mieux quand je ne la voyois pas (Goldoni, Mmoires, cit., p. i, chap. 40, p. 184).

123
ANNA SCANNAPIECO

lacqua era stata poi renvoye dal San Samuele, in compenso, gi nel 1741,
sarebbe stata assunta dal ben pi prestigioso San Luca, come parte fissa e non
semplicemente stipendiata, con un contratto della durata di otto anni.53 Qui
si sarebbe fatta apprezzare anche nellinterpretazione di ruoli tragici,54 e per
certo la sua reputazione dovette rendersi ascendente e ben consolidata, dato
che venne poi proposta alla corte di Napoli come prima donna in una com-
pagnia di Comici Lombardi, compagnia senza paragone, a sostituire quella del
celebre Arlecchino Costantini. Il progetto non and in porto per il maturato
disinteresse della corte verso tale tipo di intrattenimento,55 e della presenza
dellattrice sulle scene meridionali c rimasto solo il ricordo di una spetta-
colare quanto drammatica caduta nellesecuzione di un volo al Santa Ceci-
lia di Palermo; evento che se a noi oggi rimarca unaltra risorsa abituale della
multimedialit dellArte quella del virtuosismo acrobatico , stato per
solito assunto solo a simbolico, tragico suggello della carriera dellattrice. In
realt, lultimo documento archivistico a noi noto della sua vicenda artistica,
ce la restituisce in unaltra veste ancora, quella del tutto inattesa di direttrice
di compagnia in area lombarda.56
Come servetta acrobata e ugualmente vittima di una precipitosa caduta,
al San Samuele, per un guasto nellattrezzeria aveva daltronde esordito uno
dei pi rilevanti capocomici del secondo Settecento, Faustina Tesi, la Ristori
dellepoca, nella definizione tuttaltro che demenziale di un Luigi Rasi. Del
marito, a cui doveva quei rudimenti nellarte comica che con perspicace ta-
lento e instancabile applicazione57 aveva messo presto a massimo frutto, si
era rapidamente disfatta: mal tollerava lincuria di un compagno che si ridu-

53. Cfr. Venezia, Biblioteca di Casa Goldoni, Archivio Vendramin, 42.f.8/1, Scritture e
Lettere, cit., cc. 5-6: il contratto sottoscritto in data 8 ottobre 1741 e prevede la durata di otto
anni (dal 1742 al 1749). Per la differenza tra parti fisse e stipendiati, cfr. A. Scannapieco, Carlo
Goldoni direttore e salariato dei suoi comici, Studi goldoniani, ix n.s. 1, 2012, pp. 27-37.
54. Valga in tal senso una testimonianza del Bartoli: Essendo lanno 1744. in Venezia a
recitare nel Teatro S. Luca al servizio de Nobili Uomini Signori Fratelli Vendramini ebbe da
Bartolommeo Vitturi Cittadino Veneziano una Tragedia intitolata: Berenice Regina dArmenia, la
quale fu posta in Scena; ed Elisabetta vi sostenne egregiamente il carattere eroico di quella gran
Donna (Bartoli, Notizie istoriche, cit., to. i, pp. 1-2).
55. Cfr. Croce, I teatri di Napoli, cit., p. 422 (da cui anche la citazione a testo).
56. Si tratta di una supplica presentata da Elisabetta da Flisio detta la Passalacqua, in data
10 dicembre 1748, per avere in gestione il teatro di Parma nel carnevale successivo; nella rela-
tiva autorizzazione si fa espresso riferimento alla compagnia di detta Donna (il documento,
conservato presso lArchivio di stato di Milano e senzaltro bisognoso di ulteriori verifiche,
citato in L. Rasi, I Comici italiani. Biografia, Bibliografia, Iconografia, Firenze, Fratelli Bocca, 1897,
vol. i, p. 10).
57. Bartoli, Notizie istoriche, cit., to. ii, p. 247.

124
I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO

ceva a guitto di provincia. Gi prima donna, aveva deciso di studiare musi-


ca, e per oltre un lustro tra 1764 e 1771 era riuscita a spendersi in questa
nuova veste, giungendo finanche a fregiarsi del titolo di virtuosa del duca di
Brunswich [Brunswick-Wolfenbttel].58 Era poi tornata al teatro di parola, su-
bito accolta dalle primarie compagnie: ma n la Medebach, n la Paganini, n
la Rossi riuscirono a contenere il suo inquieto spirito intollerante, e focoso.59
La Megera cos nel sintetico epiteto di Antonio Piazza, gentiluomo come
sempre sapea conciliarsi s bene lodio di tutti, che veniva universalmente
chiamata la Furia del teatro comico, ma, a detta del medesimo, era solo una
donna di merito, che avea la disgrazia di farsi odiare da tutto il mondo.60
Merito e inflessibile rigore, nellesercizio e nella concezione stessa della pro-
fessione, che la costrinsero cos, significativamente, il Bartoli a formare
una compagnia propria che, dal 1776 e sino alla morte (1781), condusse con
decoro, avendo occupate buonissime Piazze, come Bologna, Parma, Trieste,
Milano, Brescia e Mantova, con altre di minor conto.61 Per salvare le conve-
nienze di vario tipo si era messa a fianco un giovane amante (Cristoforo
Merli, modesto primo innamorato), ma si guard bene dal vincolo coniugale,
e mantenne sempre, chiara e inequivocabile, la direzione della compagnia:62

58. Tale figura negli allestimenti cremonesi della Sposa fedele e degli Uccellatori (entrambi del
1769: n. 22446 e n. 24190 del Sartori, cui si rinvia anche per tutti gli altri elementi richiamati
sinteticamente a testo).
59. Bartoli, Notizie istoriche, cit., to. ii, p. 248.
60. A. Piazza, Lattrice (Il teatro, ovvero fatti di una veneziana che lo fanno conoscere, 1777-1778),
a cura di R. Turchi, Napoli, Guida, 1984 (le citazioni, rispettivamente, alle pp. 56, 51 e 54).
61. Bartoli, Notizie istoriche, cit., to. ii, pp. 248-249.
62. Direzione esercitata ricordava sempre Bartoli con quellalterezza subitanea, ed
improvvisa, che la faceva essere fastidiosa co compagni, e poco rispettosa con il pubblico istes-
so. Una preziosa tessera documentaria dellinflessibilit nella conduzione della troupe stato
rintracciata nellarchivio parmense da Paola Cirani: dopo che la sua compagnia era stata in-
gaggiata per i teatri di Parma e Colorno (dovera la residenza estiva della corte) per la stagione
autunnale del 1776, la Tesi licenzia su due piedi il secondo amoroso, Luigi Delicati, e giunge a
fare istanza presso il sovrano affinch lattore abbia proibito laccesso nel territorio parmense per
tutto il periodo di soggiorno della compagnia, istanza che Don Ferdinando accoglie senzaltro
(P. Cirani, Musica e spettacolo a Colorno tra XVI e XIX secolo, Parma, Zara, 1995, pp. 72-73). Sulle
ragioni profonde che animavano i collerici trasporti della Tesi, sempre Bartoli ha tracciato
considerazioni non facilmente liquidabili come effetti della retorica dellelogium: questi suoi
collerici trasporti hanno per lorigine da un buonissimo sentimento, e da quel zelo, per cui
vorrebbe che ognuno operasse con estrema cura nellesecuzione de proprj doveri, se si parla
de Compagni suoi, o de personaggi che ella stipendia; e se del Pubblico si ragiona, un eguale
amore della sua professione la fa trascendere in orgogliose dimostrazioni, a motivo di qualche
non curanza chella veda trovarsi negli uditori per lei, sentendosi alzar la voce in tempo chella
recita, e distraerle cos quella lode che fervidamente ambisce di poter guadagnarsi (Bartoli,
Notizie istoriche, cit., to. ii, pp. 249-250).

125
ANNA SCANNAPIECO

sicch lo stesso Bartoli, nel piano editoriale del suo opus, la qualifica unica
insieme a Maddalena Battaglia Direttrice della sua Compagnia.
Siamo gi insensibilmente, e non a caso trapassati nella categoria delle
comiche impresarie, ma varr la pena ricordare almeno unaltra tipologia riscon-
trabile nellaffollata schiera delle comiche canterinole: quella ben testimoniata dal
caso (non unico) di Antonia DArbes Grandi, in cui arte attorica e arte canora
andarono intrecciate lungo tutta la carriera artistica. Figlia darte per eccellen-
za, Antonia era tuttavia stata avviata dal padre, il celeberrimo Pantalone Cesa-
re DArbes, alleducazione musicale e canora, e il matrimonio con Tommaso
Grandi un eccellente primattore, con pronunciate risorse multimediali (era
o sarebbe stato anche ballerino, cantante e autore drammatico) aveva spinto
la sua formazione ad ampliarsi sul versante recitativo, per poi presumibilmente
lasciarla a sua volta influire su quella del marito: sicch per entrambi pu essere
tenuto nel conto di traguardo, almeno simbolico, lallestimento del Pygmalion,
il rivoluzionario melologo di Rousseau, dapprima a Milano nelloriginale fran-
cese (1775) e poi a Venezia nella traduzione dellabate Perini (1777).63

5. Per quanto sia, forse, il capitolo pi fruttuoso, alle comiche impresarie


non potremo che dedicare i ristretti margini di una conclusione, la pi prov-
visoria possibile un finale aperto per destino e convenienza.
Valga innanzitutto la considerazione di un dato meramente numerico e
nominale: solo due come si gi accennato sono le comiche a cui Bartoli,
nellelenco delle voci allegato al manifesto promozionale dellopera, attribui-
sce il titolo di Direttrice della sua Compagnia; le controparti maschili, inve-
ce, sono trentuno, distinte in antichi (otto), moderni (dieci), viventi (undici),
viventi ma alienati dallarte (due); agli uomini, inoltre, la qualifica associata
sempre e solo quella di Capo Comico. Il dato numerico viene in realt corretto
nella redazione concreta delle singole voci, dal momento che, come s visto, le
Notizie istoriche consentono, per via diretta o meno,64 di individuare mansioni

63. Cfr. i n. 18680 e n. 18701 del repertorio del Sartori. Com noto, con la scne lyrique
del Pygmalion (composto nel 1762, andato per la prima volta in scena a Lione nel 1770, poi nel
1772, con prodigiosa affluenza di pubblico, allOpra di Parigi, e infine, 1775, alla Comdie
Franaise), Rousseau aveva inaugurato un nuovo genere rappresentativo, il melologo, cio un
testo poetico declamato da uno o pi attori sulla base di un accompagnamento musicale cui si
alternano brani orchestrali; sulla sua fortuna italiana, cfr. G. Morelli-E. Surian, Pigmalione
a Venezia, in Venezia e il melodramma nel Settecento. Atti del convegno internazionale di studio
(Venezia, 24-26 settembre 1973), a cura di M.T. Muraro, Firenze, Olschki, 1981, vol. ii, pp.
147-167. Per molti versi analogo a quello di Antonia DArbes Grandi il caso di Giulia Gritti
Pizzamiglio.
64. Nel repertorio di Bartoli non c riferimento allattivit impresariale di Regina
Cicuzzi ed Elisabetta DAfflisio Moreri; non sono proprio menzionate, inoltre, le comiche-

126
I NUMERI DELLE COMICHE ITALIANE DEL SETTECENTO

capocomicali in ben dodici attrici settecentesche, di cui solo una non vivente:
il che ci porterebbe al paradosso non beninteso mia intenzione accreditar-
lo di un numero di capocomiche coeve a Bartoli maggiore del corrispettivo
maschile. evidente che, in molti casi, si tratta di entit non comparabili: al-
cune attrici possono assumere funzioni capocomicali in brevi segmenti della
loro carriera, o in mercati periferici, o perch subentrano alla morte del tito-
lare della ditta in quanto mogli divenute vedove: ma, per quanto ridimen-
sionato e ridotto alle sue reali proporzioni, il dato non pu continuare a essere
eloquente se rapportato a un contesto storico-giuridico in cui aveva pieno vi-
gore di legge il deficit di capacit, radicato nellidentit di genere, che esclu-
deva le donne dalla sfera pubblica e dallesercizio di officia e munera, e in cui
lo statuto di proprietario entrava in collisione con quello di minus habens.65 E
forse lacribia storiografica di Bartoli, al di l delle sue stesse intenzioni, regi-
stra i connotati di un fenomeno emergente,66 che si rispecchia gi nella scel-
ta lessicale e sia pur usata con estrema parsimonia del titolo di direttrici, in
luogo di quello di capocomiche: la differente denominazione rendeva omaggio
al principio della distinzione della gerarchia dei generi e dei ruoli, ma anche
allaffermarsi di nuove identit, giuridiche (di fatto) non meno che artistiche.67

impresarie Marta Colleoni e Teresa Consoli, su cui si intrattiene invece a lungo Colomberti
(e, di riflesso, Rasi).
65. Valga per tutte la testimonianza del repertorio giuridico tardosettecentesco dellav-
vocato padovano Marco Ferro: Gli uomini, per la prerogativa del loro sesso, e per la forza del
loro temperamento, sono naturalmente capaci di ogni sorte dimpieghi e di obbligazioni; al
contrario le femine, a motivo della debolezza del loro sesso, e della loro naturale delicatezza,
sono escluse da molti ufficii, e dichiarate incapaci di certe obbligazioni (M. Ferro, Dizionario
del diritto comune, e veneto, che contiene le leggi civili, canoniche e criminali, Venezia, Fenzo, 1778-1781,
10 to.; la citazione tratta dal to. v [1779], s.v. femmina). Sulla problematica in oggetto, anche per
ulteriori indicazioni bibliografiche, cfr. S. Feci, Pesci fuor dacqua. Donne a Roma in et moderna:
diritti e patrimoni, Roma, Viella, 2004.
66. Fenomeno che peraltro non aveva mancato di avere anticipazioni nel secolo prece-
dente, come attesta almeno il caso di una Giulia de Caro (1646-1697), al cui riguardo ha per
osservato Siro Ferrone: Non da escludere che la fama di teatrante malavitosa le derivasse non
solo dalle azioni commesse ma anche dalla pratica manageriale: donne cantanti e attrici si erano
viste oramai da tempo, ma non cos sfrontate da pretendere di occupare addirittura il ruolo di
impresarie e non solo in Napoli ma anche tra Napoli e Venezia. Fu uneccezione, Giulia De
Caro (Ferrone, La Commedia dellArte, cit., p. 59).
67. Lidentit giuridica, almeno sotto il profilo formale, avrebbe notoriamente dovuto at-
tendere tempi molto lunghi; ma tutta da meditare la circostanza per cui la trattatistica italiana
di fine Ottocento riconoscesse, proprio in materia teatrale, una virtuosa legislazione di fatto
che avrebbe dovuto incidere sulla ridefinizione normativa della giurisprudenza in materia: Il
principio della libert nelle industrie e nei commerci, che vedemmo applicarsi indistintamen-
te anche nelle materie teatrali, doveva eliminare dalle nostre leggi una disposizione che vieti
daffidare alle donne la direzione di compagnie teatrali; ed abbiamo anzi in pratica lesempio di

127
ANNA SCANNAPIECO

distinte attrici, quali la signora Ristori, la signora Sadowschi, la Duse ed altre, che diressero per
molto tempo le loro compagnie drammatiche, mostrando col fatto come sieno poco fondate le
pretese ragioni di convenienza e le apprensioni di pericoli che determinarono altre legislazioni
a contrarie misure (E. Rosmini, Legislazione e giurisprudenza dei teatri, terza ediz. riveduta e
corretta dallautore, Milano, Hoepli, 1893, p. 32, corsivo originale; si veda anche la sez. ii del
cap. v, p. ii, dedicata alle Scritture delle donne maritate, dove lautore, obtorto collo, costretto a rico-
noscere il vincolo dellautorizzazione maritale nella misura in cui limpegno professionale della
donna confligga con i suoi, assolutamente prioritari, doveri di moglie e di madre; mentre
riconosciuta piena capacit e libert di obbligarsi alle nubili e alle vedove [ivi, rispettivamente
alle pp. 395 e 393]).

128
Franco Perrelli

IL MULO DI LESSING

1. Ed ora, per questa volta, basta con la Mrope!. Cos conclude Lessing il
capitolo l del primo volume della Drammaturgia dAmburgo (1767-1769), ren-
dendosi ben conto che lanalisi serrata e incrociata della Merope di Scipione
Maffei (1713) e della Mrope di Voltaire (1736-1738) aveva occupato decine di
pagine delle sue cronache (a partire dal capitolo xxxvi): un settimo sta-
to calcolato dal Robertson 1 di unopera che, non senza ironia, lautore aveva
immaginato che i suoi lettori potessero desiderare varia, divertente e allegra
come pu essere soltanto una rivista di teatro.2
Lessing si era soffermato tanto su due indubbi e discussi successi teatrali del
XVIII secolo: la Merope italiana era stata rappresentata a Modena nel giugno
del 1713 da Elena Balletti e Luigi Riccoboni, con precisi intenti di riforma e
regolarizzazione scenica, non estranei a certi ideali dellArcadia; quella fran-
cese, nel febbraio del 1743 da les Comdiens du Roi, protagonista Mlle Du-
mesnil. Il confronto fra i due testi, la contrapposizione fra stile italiano e stile
francese, se non addirittura fra Verona e Parigi, avevano sollevato sonore po-
lemiche e, per di pi, sul lavoro di Voltaire sera posato il sospetto del plagio
in relazione alla Merope del Maffei (unipotesi cui Lessing avrebbe dato peral-
tro ampio credito). Tuttavia, ci che interessava prioritariamente lautore del-
la Drammaturgia dAmburgo era sciogliere nodi teorici strategici sia relativi alla
tragedia di Euripide sia alla Poetica di Aristotele.
Maffei, dopo tutto, si era impegnato, con Merope, a restare nellambito di
un aristotelismo che non fosse soffocato, alla francese, da regole vincolanti,
bens sostenuto dai principi di verit e di natura, con un accento particola-
re sul diletto e il piacere che accompagnano la rappresentazione scenica del-

1. J.G. Robertson, Lessing, Maffei and Calepio, The Modern Language Review, xiii,
1918, 4, pp. 482-483.
2. G.E. Lessing, Drammaturgia dAmburgo, a cura di P. Chiarini, Roma, Bulzoni, 1975, pp.
234, 231 (rip. facsimile dellediz. Bari, Laterza, 1956).

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 129-139


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18365
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
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FRANCO PERRELLI

la tragedia. Era qualcosa che, in parte, confliggeva con lintento riformatore


lessinghiano s di dilettare il proprio pubblico, ma [] innanzitutto [] di
spronarlo ad esercitare le proprie capacit di critica nei confronti di quanto
rappresentato sulla scena.3
Lattenzione lessinghiana per la Merope finiva per essere quindi tuttaltro che
circoscritta e celava nientemeno che lobiettivo dindividuare propriamente ci
che dovrebbe e non dovrebbe esserci in una tragedia.4 Dopo tutto, se la Merope
di Maffei costituiva, per generale riconoscimento ed effervescenza polemica,
un modello di rinascita del tragico nel XVIII secolo (tanto da essere copiata
da Voltaire), la questione da trattare superava ogni proposito di mera erudi-
zione e aveva anche a che fare con lessenza e il destino del dramma moderno.

2. Lanalisi di Lessing prendeva spunto, in prima battuta, dalla rappresenta-


zione amburghese della tragedia di Voltaire, il 7 luglio 1767, e metteva subito
in evidenza che il testo di Mrope, in Francia, aveva riscosso un successo cos
fanatico da avere imposto lartificio in luogo della naturalezza5 ed elogi tan-
to esagerati da aver fatto ritenere addirittura sopportabile la perdita di un an-
tico Cresfonte, tragedia greca di analogo argomento, della quale si possiedono
solo frammenti: meglio, esso non pi perduto: Voltaire ce lo ha restituito,
ironizza il critico tedesco.6
Nel capitolo xxxvii, Lessing, soffermandosi per lappunto sulle fonti dichia-
rate (sulla scorta della non sempre impeccabile erudizione del tempo) dallo stes-
so Maffei, per la sua tragedia nella Lettera dedicatoria del 10 giugno 1713 al duca
Rinaldo I di Modena dopo aver menzionato Pausania, Apollodoro e Igino
, sottolinea che anche Aristotele, nella sua Poetica, ricorda un Cresfonte in cui
Merope riconosce il proprio figlio [Egisto o anche Telefonte] nel momento in
cui sta per ucciderlo, credendolo lassassino del figlio medesimo. [] vero
aggiunge Lessing che Aristotele nomina questo Cresfonte senza citare lautore,
ma poich troviamo ricordato un Cresfonte di Euripide in Cicerone e in molti
altri scrittori antichi, egli non poteva che riferirsi allopera di questo poeta.7
Stabilito ci e data la circostanza che Aristotele (come Lessing ricorder
anche in seguito) definisce, nonostante qualche riserva, Euripide tragicissi-

3. P. Scotton, La poetica della Merope nella Drammaturgia amburghese di Lessing. Pubblico e


catarsi, in Mai non mi diero i Dei senza un egual disastro una ventura: la Merope di Scipione Maffei
nel terzo centenario (1713-2013), a cura di E. Zucchi, Milano-Udine, Mimesis, 2015, pp. 152 ss.,
158-159.
4. Lessing, Drammaturgia dAmburgo, cit., p. 231.
5. Ivi, p. 177.
6. Ivi, p. 175.
7. Ivi, pp. 178-179.

130
IL MULO DI LESSING

mo fra tutti i poeti tragici,8 il passo relativo al Cresfonte a detta anche di vari
commentatori avrebbe attribuito a questo tipo di tragedia a lieto fine (ap-
punto come la Merope di Maffei) la peculiarit di porsi come un vero e proprio
modello poich la stessa Poetica sancisce che, in una tragedia, meglio se chi
agisce non fa e viene a sapere dopo aver agito; la situazione non ripugnante e
il riconoscimento ha un effetto di sorpresa. La situazione migliore per []
come quando nel Cresfonte Merope sta per uccidere suo figlio, e non lo uccide
perch lo riconosce, o come nellIfigenia la sorella sta per uccidere il fratello, o
nellElle il figlio riconosce la madre quando sta per consegnarla.9
Il passo aristotelico scatena in Lessing una puntuta discussione che si dira-
ma dallapparente contraddizione che la Poetica, oltre alla peripezia a lieto fine,
sancisce pure che una buona trama tragica non deve avere uno scioglimento
lieto, ma funesto.10 In questo caso e di norma, Lessing simpegna a risolvere
le difficolt teoriche, interpretando Aristotele in una chiave laica e invitando,
nello specifico, critici e drammaturghi a considerare flessibilmente le sfaccet-
tature di una fabula scenica: se essa non vi concede altro che o la migliore
peripezia, o la migliore trattazione della catastrofe, cercate quale elemento
dellalternativa vi offra vantaggi maggiori, e scegliete.11
un fatto per che il Cresfonte di Euripide intriga non poco Lessing,
tanto da spingerlo a una sorta dipotetica ricostruzione di questa tragedia
perduta, fermo che il tema di Merope, a suo avviso, in base alla relativiz-
zazione del citato passo della Poetica, non pu essere considerato senzaltro
una perfetta favola tragica (quantomeno con la benedizione dellautorit
di Aristotele), perch le lodi del filosofo non si riferiscono allintera favo-
la, ma solo a una singola parte della stessa.12 Era quindi uniperbole inso-
stenibile quanto scritto da Voltaire, nella Lettre M. Maffei, nella quale in
cortocircuito con un riferimento plutarcheo si sosteneva che Aristotele,
nella Poetica, aveva esaltato il coup de thtre euripideo del riconoscimento di
Merope e di suo figlio come il momento pi interessante di tutta la scena
greca, smentita peraltro da altri mirabili (e sempre relativi) casi di ricono-
scimento in un autore come Euripide, che ha fatto uso frequentissimo della
peripezia a finale tragico.13

8. Ivi, p. 188. E cfr. Aristotele, Poetica, a cura di G. Paduano, Roma-Bari, Laterza, 20119,
1453a 29-30.
9. Ivi, 1454a 4-9.
10. Lessing, Drammaturgia dAmburgo, cit., p. 180.
11. Ivi, pp. 185-186.
12. Ivi, p. 186.
13. Ivi, pp. 187-188.

131
FRANCO PERRELLI

3. I pochi frammenti del Cresfonte euripideo non cilluminano sulla strut-


tura di questo dramma e, per Lessing, un ulteriore problema sorge addirittura
con il titolo, che rimanda a un protagonista che dovrebbe essere defunto da
tempo quando il figlio (Epito o Telefonte, a seconda dellattribuzione del no-
me) rientra in possesso del suo regno: Ora, si mai sentito che una tragedia
sintitoli dal nome di un personaggio che non vi compare affatto?.14 Tuttavia,
se Maffei ha tratto la sua materia come afferma dalla Favola 184 ovvero
dalla miniera o repertorio di argomenti tragici di Igino, non escluso che
si possa tentare di farci unidea della tragedia perduta di Euripide, sebbene quel
ricco materiale vada trattato con cautela, presentandosi piuttosto indifferente-
mente sia derivato dalla tradizione sia dalla materia tragica.15
Per quanto riguarda Maffei, Lessing gli d atto che non intendesse ricostruire
il Cresfonte, anzi, allontanandosi dal preteso impianto euripideo, che puntasse
su ununica situazione particolarmente commovente, affrontando il tema della
madre che amava il proprio figlio tanto da volerne vendicare lassassinio con
le proprie mani. Cos aveva messo in assoluto rilievo nella tragedia lamore
materno in generale ovvero una passione piena di purezza e virt, escluden-
do ogni altro affetto.16 Per Lessing comunque assai verosimile che Euripide
si rivelasse superiore nel trattamento della leggenda di Merope sia rispetto a
Maffei sia rispetto a Voltaire. Infatti, sullipotetica traccia di Igino, il servo cui
il figlio di Merope era stato affidato, le avrebbe annunciato la sua scomparsa:

poco prima ella aveva udito, appunto, che era arrivato uno straniero, il quale si van-
tava di averlo ucciso, e che questo straniero riposava placidamente sotto il suo tetto.
Ella afferra la prima cosa che le capita fra le mani, corre piena dira verso la stanza di
lui, il vecchio le si precipita appresso: e il riconoscimento avviene proprio nellistante
in cui il delitto avrebbe dovuto compiersi. Tutto ci era molto semplice e naturale,
molto umano e commovente!

Insomma, con logica e tecnica drammatica pi serrata, Euripide sarebbe stato


certo in grado di far fremere gli ateniesi

per Egisto, senza poter provare un sentimento dorrore per Merope. Essi tremavano
per lei stessa, che una scusabile precipitazione minacciava di trasformare nellassassi-
na del proprio figlio. Al contrario, Maffei e Voltaire mi fanno tremare soltanto per
la sorte di Egisto, giacch io sono cos indignato con la loro Merope, che quasi vor-
rei concederle di portar a compimento il suo gesto. E cos fosse! Se ella pu prender

14. Ivi, pp. 187 ss. (189 per la citazione).


15. Ivi, pp. 189-190.
16. Ivi, p. 192.

132
IL MULO DI LESSING

tempo per la vendetta, avrebbe potuto prenderlo anche per condurre delle indagini.
[] Non vorrei sbagliarmi di grosso, ma ad Atene lavrebbero fischiata.17

Lessing sempre appoggiandosi a Igino ha motivo di ritenere che, in Eu-


ripide, Egisto, pur cauto a svelarsi alla madre per i pi imponderabili motivi
drammatici, a differenza di quello moderno (che capita a Messene sconosciuto
a s stesso e per caso), fosse perfettamente consapevole della propria identit e
nutrisse un preciso intento di vendetta. Gli elementi di oscurit e di casualit
con cui Maffei ha trattato lazione del personaggio hanno conferito a tutta la
sua tragedia un carattere confuso, ambiguo e romanzesco. Lessing ipotizza
invece che, nel testo di Euripide, lo spettatore apprendesse

da Egisto stesso la sua vera identit; e pi egli era certo che Merope si apprestava a uc-
cidere il proprio figlio, tanto pi grande doveva essere il terrore che lo afferrava, tanto
pi dolorosa la piet alla quale egli si preparava, nel caso che il proposito di Merope
non venisse frustrato a tempo. In Maffei e Voltaire, al contrario, noi congetturiamo
soltanto che il presunto assassino sia il figlio stesso, e il nostro terrore si raccoglie tut-
to nel preciso istante in cui destinato a dissolversi.18

Secondo Lessing, Euripide, quindi con una tecnica superiore e aliena


dalleffimero coup de thtre dellagnizione patetica allacme delle opere di Maf-
fei e di Voltaire , avrebbe trattato in chiaro lidentit di Egisto, traendo da ci
un effetto di terrore e soprattutto di piet pi protratto e assai pi intenso at-
torno al personaggio di Merope.

4. Lessing approda cos ai cruciali capitoli xlviii e xlix, nei quali simpe-
gna in una definizione pi puntuale delleccellenza di quello che Aristotele
aveva incoronato come il pi tragico di tutti i poeti tragici.19
Preliminarmente, Lessing ci offre unampia citazione del migliore dei cri-
tici francesi, Denis Diderot, tratta da Sulla poesia drammatica del 1758.20 Nel
capitolo xi di questopera, relativo a cosa sostiene e rafforza lInteresse in
teatro, Diderot fissa un piccolo (e dichiarato) paradosso sul dramma: tutto de-
ve essere chiaro per lo spettatore. Confidente di ogni personaggio, informa-
to di ci che avvenuto e di ci che avviene, ci sono cento momenti in cui
non si ha niente di meglio da fare che informarlo con precisione di ci che
accadr. Pertanto:

17. Ivi, pp. 220-221.


18. Ivi, pp. 222-223.
19. Ivi, pp. 226, 229.
20. Cfr. ivi, pp. 224-225.

133
FRANCO PERRELLI

Sono cos lontano dal pensare con la maggior parte di coloro che hanno scritto di
arte drammatica, che si debba nascondere allo spettatore lo scioglimento, che non
penserei di accollarmi unimpresa molto al di sopra delle mie forze, se mi mettessi a
scrivere un dramma in cui lo scioglimento fosse annunciato dalla prima scena, e do-
ve attingessi linteresse pi vivo proprio da questa circostanza.

Di conseguenza, per una occasione in cui opportuno nascondere al-


lo spettatore un avvenimento importante prima che accada, ce ne sono mol-
ti altri in cui linteresse chiede il contrario. [] Non pianger che un istante
colui che sar colpito e abbattuto in un momento. Ma si domanda Dide-
rot come mi sento, se il colpo si fa attendere, se vedo il temporale formar-
si sulla testa mia o di un altro, e restarvi a lungo sospeso?. Insomma, tutti i
personaggi si ignorino, se volete, ma lo spettatore li deve conoscere tutti. Un
dramma in cui tutto ci che concerne i personaggi noto pu porsi allo-
rigine delle emozioni pi vive e il modello geniale di tale dramma sta in
Euripide, il poeta greco, che rimand fino allultima scena il riconoscimento
di Oreste e di Ifigenia.
A questo punto, Diderot chiede: Perch certi monologhi hanno cos gran-
de effetto? Perch mi informano dei segreti disegni dun personaggio, e questa
confidenza mi coglie in un istante di timore o di speranza. Per Diderot, tutto
deve essere chiaro sin dal principio per lo spettatore e vanno evitati i colpi di
scena: Che lo spettatore sia al corrente di tutto, e i personaggi si ignorino se
possibile; che, soddisfatto di ci che presente, io possa augurarmi vivamente
ci che seguir; che un personaggio me ne faccia desiderare un altro; un epi-
sodio mi affretti verso il seguente; che le scene siano rapide; non contengano
che cose essenziali allazione, e io sar interessato. Concludendo: Lignoran-
za e la perplessit eccitano la curiosit dello spettatore, e la mantengono viva;
ma sono le cose note e sempre attese che lo turbano e lo agitano. Questo un
espediente sicuro per tener sempre presente la catastrofe.21
Anche per Lessing la sorpresa resta affidata alle reazioni degli interpreti sulla
scena, non a quella degli spettatori, il cui interesse va orientato non su cosa, ma
su come la tragedia si sviluppi. Questi spettatori devono vivere nellillusione
scenica perch possano attingere una vera catarsi. Infatti, scopo essenziale del
poeta tragico, che ha per mira di suscitare piet, essenzialmente quello di
non distruggere il principio dellillusione scenica.22 Per Lessing, la posizio-
ne di Diderot, che presuppone alla base dellautentica dinamica drammatica
una forte componente diegetica, elettivamente affidata alla forma narrativa

21. D. Diderot, Teatro e scritti sul teatro, a cura di M. Grilli, Firenze, La Nuova Italia, 1980,
pp. 268 ss.
22. Lessing, Drammaturgia dAmburgo, cit., p. 201.

134
IL MULO DI LESSING

del monologo, d effettiva sostanza alleccellenza di Euripide su Maffei e su


Voltaire, autori nei quali Egisto un enigma per s e per il pubblico. In
Euripide, per contro, gli spettatori avrebbero conosciuto Egisto sin dal prin-
cipio e si sarebbe cos creata una giusta tensione drammatica, dove Maffei e
Voltaire non sono in grado di realizzare altro che una tragedia fatta di una
serie di piccoli artifici, i quali riescono a provocare soltanto una sorpresa
di breve durata.23
Del resto, Euripide era cos sicuro del fatto suo, che quasi sempre indi-
cava in precedenza al pubblico la meta a cui voleva condurlo. Anzi ag-
giunge Lessing , sarei molto incline a prendere, da questo punto di vista,
le difese dei suoi prologhi, che oggi dispiacciono tanto ai moderni critici, 24
e qui viene richiamato un famoso trattato classicista del 1657, la Pratique
du thtre dellAbb dAubignac, 25 che, nel primo capitolo della parte iii, si
esprime duramente contro luso del prologo fatto da Euripide (a differenza
di Eschilo e Sofocle, che hanno sempre trattato benissimo il loro sogget-
to nel corso dello sviluppo drammatico), specie quando mette in gioco un
dio onnisciente che

spiega non solo il passato, ma anche il futuro, non accontentandosi distruire lo spet-
tatore dellantefatto, necessario allintelligenza del dramma, ma mettendo al corrente
dello scioglimento e della catastrofe completa, di modo che tutti gli avvenimenti siano
previsti: si tratta di una pecca assai rilevante assolutamente opposta a questa attesa o
sospensione [attente ou suspension] che deve sempre regnare in teatro, distruggendo tutte
le attrattive di un dramma, che consistono quasi sempre nella sorpresa e nella novit.

Per Lessing, allopposto, non solo andavano benissimo i prologhi, ma persino


le rivelatrici liste dei personaggi con il doppio nome, che era proprio quanto
Maffei (assieme agli argomenti riassuntivi), per parte sua, riteneva distruttivo
della sorpresa drammatica.26 Lautore tragico, per il critico tedesco, non deve
inseguire effetti effimeri ed epidermici, ma avere di mira una catarsi che incida
profondamente e non casualmente sullo spettatore in quanto educazione alla
compassione e alla trasformazione delle passioni in disposizioni virtuose.27
Per Lessing, la tragedia essenzialmente socratica e, in unaccezione euripi-
dea, si esprime nel conoscere luomo e noi stessi; essere attenti ai nostri sen-

23. Ivi, p. 225.


24. Ivi, pp. 225-226.
25. Abb dAubignac, La pratique du thtre, Amsterdam, Bernard, 17152, pp. 146-147. Mia
la traduzione.
26. Cfr. P. Trivero, Tragiche donne: tipologie femminili nel teatro italiano del Settecento,
Alessandria, Edizioni dellOrso, 2000, pp. 14-15.
27. In F. Perrelli, Poetiche e teorie del teatro, Roma, Carocci, 2015, p. 135.

135
FRANCO PERRELLI

timenti; indagare e amare la natura per le vie pi piane e pi brevi; giudicare


ogni cosa secondo la sua destinazione.28

5. Luso spregiudicato dellelemento diegetico, considerato da critici pre-


stigiosi una vera e propria minaccia per lefficacia drammatica, diventava per
Lessing una qualit: Euripide sapeva che, con questo espediente, poteva rag-
giungere una perfezione molto pi alta. Infatti, si riprometteva di ottenere
la commozione, che desiderava suscitare, non tanto da quello che sarebbe ac-
caduto, quanto dal modo [in cui] lavvenimento si sarebbe verificato.
Un dio onnisciente, che neanche partecipa allazione, ma si rivolge al pub-
blico mescolando in tal modo il genere drammatico con quello narrativo
poi davvero nei termini di una rappresentazione teatrale cos inconcepibile?

E finalmente chiede Lessing , che significa la mescolanza dei generi? I trattati di


precettistica letteraria li distinguano pure con la maggior esattezza possibile; ma se
un genio, per raggiungere pi alti scopi, mescola in una sola opera alcuni di essi, di-
mentichiamo il trattato e indaghiamo, piuttosto, se questi pi alti scopi sono stati rag-
giunti. Cosa mi importa se un lavoro di Euripide non n tutto racconto n tutto
azione drammatica? Chiamiamolo un ibrido: a me basta che questo ibrido mi diletti
e istruisca pi di tutte le regolarissime produzioni dei vostri impeccabili Racine, o
come altrimenti si chiamano. Il mulo, pur essendo un incrocio fra il cavallo e lasino,
non forse uno dei pi utili animali da soma?29

Quella di Euripide per Lessing non (come credono i suoi detratto-


ri) unarte drammatica ancora nella culla, bens qualcosa di maturo e ne-
anche troppo eccentrico rispetto a certe norme: chiaro, infatti, che tutte
le tragedie, dei cui prologhi [i critici] tanto si scandalizzano Jone, Ecuba
sarebbero perfette e perfettamente comprensibili anche senza di essi; il
punto che Euripide non affatto interessato allincertezza e allaspettati-
va del pubblico e, quando Aristotele definisce Euripide il pi tragico dei
poeti tragici, non ha in mente il fatto che la maggior parte delle sue opere
si conclude con una catastrofe. Aristotele non pensava, infatti, a tragedie
piene dorrori e a Euripide riconosceva la qualit dindicare in precedenza
agli spettatori linfelicit che si stava per abbattere sui suoi personaggi, per
ispirare agli spettatori stessi piet anche quando i personaggi meno pensa-
vano di meritarla.30

28. Lessing, Drammaturgia dAmburgo, cit., p. 229.


29. Ivi, pp. 226-227.
30. Ivi, pp. 227 ss.

136
IL MULO DI LESSING

6. Non si creda che la lunga discussione sulla Merope e soprattutto il serrato


confronto di Lessing con Euripide e un Aristotele liberato dai ceppi del regoli-
smo classicista,31 con unesplicita apertura alla diegesi nel dramma, si limitino in
prospettiva a creare solo pi o meno fantasmatiche rifrazioni in Alfieri,32 restan-
do circoscritti al pur cruciale ambito estetico del XVIII secolo. Lirradiazione
prospettica anzi, pur non apparendo cos immediata, assai ampia e rilevante.
Dopo la corposa (e commerciale) fase del teatro ottocentesco di matrice
scribiana, che, nel 1909, Adolphe Thalasso descriveva come la stagione in cui,
superando il movimento dalla vita, simpone una superficiale vita dal movi-
mento, vale a dire una transizione imponente, fra il 1815 e il 1880, dalla com-
media di carattere a quella dintreccio, integrata da vezzi melodrammatici,33
giunti nellarea della crisi del dramma moderno tracciata da Peter Szondi, po-
tremmo schematizzare che si diramano due strade. Una sofoclea, essenzialmente
riconducibile a Ibsen, ma unaltra fangosa, una mulattiera (se ci si consente di
riprendere i termini di Walter Benjamin) in direzione del dramma dellultimo
Strindberg e della drammaturgia non-aristotelica di Brecht,34 che si configu-
ra nella sostanza euripidea, proprio in forza dellanalisi di Lessing.
La linea ibseniana della tragedia moderna, fondata sul riaffiorare del passato
in vista della catastrofe, stata assai presto riconosciuta come sofoclea (e si pu
ipotizzare con lavallo dello stesso autore). Infatti, gi Henrik Jger, nel 1888,
in unimportante monografia sul drammaturgo norvegese (scritta a stretto con-
tatto con lui), aveva individuato la formula del suo dramma in un metodo
analitico, che presentava analogie con la tragedia di Sofocle, rielaborata mo-
dernamente da Schiller, venendo a costituire unopera che

si avvia da quello che sarebbe il punto conclusivo di un dramma comune. Tutte le


ultime opere di Ibsen non sono altro che delle grandi catastrofi finali. La situazione
pienamente definita prima che il dramma cominci; tutti i momenti critici sono alle
spalle e scopo del dramma solo illuminare la situazione data fino alle conseguen-
ze pi remote. [] [Ibsen] ha scoperto il potere del dramma analitico di rendere un
quadro naturalista in una forma drammatica.

Il drammaturgo norvegese aveva in tal modo surclassato le potenzialit della


peculiare forma artistica dellepoca moderna, il grande romanzo ottocente-

31. Cfr. ivi, p. 412.


32. Cfr. Trivero, Tragiche donne, cit., p. 35; G.P. Marchi, Voltaire, Lessing e Alfieri di fronte
alla Merope di Scipione Maffei, Studi italo-tedeschi, xxiii, 2002, p. 145.
33. Cfr. A. Thalasso, Il Teatro libero di Antoine, a cura di G. Liotta, Bologna, Press-
Coper Service, 1989, pp. 6 ss.
34. Cfr. W. Benjamin, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica (1955), Torino,
Einaudi, 19725, pp. 129-130.

137
FRANCO PERRELLI

sco: Mentre il dramma ordinario osserva Jger non pu che offrire un


cenno delle condizioni psicologiche, il dramma analitico in grado di rendere
un ricco e dettagliato ritratto dellanima; pu anche consentire ai personaggi
di divulgare i loro pensieri pi segreti, e questo senza ricorrere al monologo
o ad altri improbabili stratagemmi.35
La competizione fra romanzo e dramma, per un autore (a differenza di Ibsen)
impegnato sui pi vari fronti della scrittura (e non solo) come Strindberg, viene
consumata nella contaminazione pressoch genetica dei generi. In una lettera del
6 maggio 1907, indirizzata al suo traduttore tedesco Emil Schering, nel segno
creativo dei suoi sperimentali drammi da camera, Strindberg affermava infatti:

il segreto di tutti i miei racconti, novelle, favole che sono dei drammi. Infatti,
quando i teatri mi furono interdetti per lunghi periodi, pensai di scrivere i miei
drammi in forma epica a uso futuro. [] Ora sono convinto che con una conce-
zione pi libera e pi nuova del dramma si possono anche prendere in considera-
zione i racconti esattamente come sono! Sarebbe una novit! Le scene mutano, ma
non altro che lubiquit di Shakespeare, le riflessioni dellautore diventano mono-
loghi. Ma si potrebbe anche inserire un nuovo personaggio (corrispondente al coro
dei greci) e potrebbe essere il Suggeritore, semivisibile, che legge le descrizioni
(paesaggi, ecc.) e racconta o riflette, mentre la scena cambia. [] Tutte le forme
non sono oggi consentite?36

storicamente assodato che August Strindberg fu un assiduo lettore sia di


Euripide sia di Lessing37 e, sebbene non si possano definire nel caso specifico del
documento riportato dei nessi immediati, non ci sentiremmo di negare chesso
sia il frutto teorico, oltre che dei fermenti avanguardistici del principio del XX
secolo, anche dello sdoganamento lessinghiano della mescolanza dei generi.
Chi ha invece recepito, ai fini dellelaborazione della sua teoria del teatro
epico, diretti impulsi sia da Diderot sia da Lessing (per non menzionare lo
stesso Strindberg) Bertolt Brecht.38 Walter Benjamin ha sottolineato come
nel teatro brechtiano la posizione rilassata e critica del pubblico combaci con
quella del lettore di un romanzo, del tutto opposta a quella che abbiamo con-
suetamente di uno spettatore di teatro ovvero un uomo che segue un succe-
dersi di eventi, profondamente teso in tutte le sue fibre.

35. H. Jger, Henrik Ibsen 1828-1888. A Critical Biography (1888), New York, Blom, 19722,
pp. 267 ss. Traduzione mia.
36. A. Strindberg, Vita attraverso le lettere, a cura di F. Perrelli, Ancona-Milano, Costa &
Nolan, 1999, pp. 358-359.
37. Cfr. F. Perrelli, Strindberg: la scrittura e la scena, Firenze, Le Lettere, 2009, pp. 45-46, 87.
38. Cfr. R. Critchfield, The Mixing of Old and New Wisdom: On Lessings Nathan der Weise
and Brechts Der kaukasische Kreidekreis, Lessing Yearbook, xiv, 1982, pp. 161-162.

138
IL MULO DI LESSING

Un principio essenziale che dovr poi strutturare il teatro epico sar


lestrema trasparenza del congegno artistico; daltra parte, Brecht mira a
privare i contenuti drammatici del loro carattere di sorpresa ad effetto, com-
portandosi nei confronti della trama come il maestro di ballo nei confron-
ti dellallieva; la prima cosa da fare snodarle le articolazioni fino al limite
estremo, con una fondamentale sostituzione dello stupore allimmedesimazione.39
Insomma, mutatis mutandis, quello che dAubignac rimproverava a Euripide.
Del resto, Paolo Chiarini ha definito il teatro epico (con espressione lessin-
ghiana) un ibrido, un innaturale connubio di elementi eterogenei, sotto-
lineando come Brecht rigetti la classica distinzione fra narrazione e dramma
elaborata da Goethe e Schiller nel loro carteggio del 1797 (ed ereditata, tra
laltro, da Lukcs), appoggiandosi esattamente al Lessing che difende Euripide
nei passi della Drammaturgia dAmburgo su cui ci siamo soffermati.
Una parte consistente della rivoluzione copernicana rappresentata dalla
teoria di Brecht sta cos in quel passaggio del Breviario di estetica teatrale del 1948,
nel quale il drammaturgo contesta proprio la distinzione fatta da Schiller fra
il rapsodo, che ha da trattare il suo soggetto del tutto passato, e il mimo che
deve trattarlo come del tutto presente; linterprete deve sapere sin dal prin-
cipio quale sar il fine della rappresentazione, serbando una serena libert e
dimostrando di saperne molto di pi del suo stesso personaggio, straniando
quindi e facendo saltare ogni presupposto di finzione illusiva, privilegiando
soprattutto la connessione degli avvenimenti.40
vero che Lessing e Brecht condividono il principio che il dramma non
debba avere solo una componente di diletto, ma individuarsi in special modo
per il suo valore conoscitivo e la conseguente necessit che [] istruisca lo
spettatore,41 tuttavia il paradosso critico che affiora a conclusione del nostro
discorso che lapertura in senso illuministico della Poetica e, segnatamente,
la lettura lessinghiana di Euripide, che attinge il rimescolamento del genere
drammatico con quello narrativo o come scrive Chiarini42 secondo Brecht
il ripudio delle zone di rispetto che la retorica ha assegnato ai diversi li-
velli di stile, finisce con il dare sostanza a esiti intenzionalmente antiaristote-
lici. E, in fondo, il grande sovvertitore, dietro le quinte, si rivela, una volta di
pi, Euripide, di fronte al quale aveva a suo modo ragione Nietzsche bi-
sogna sempre stare in guardia.

39. Benjamin, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, cit., pp. 127 ss.
40. P. Chiarini, Brecht, Lukcs e il realismo, Roma-Bari, Laterza, 1970, pp. 89 ss.; B. Brecht,
Scritti teatrali, Torino, Einaudi, 19743, p. 135.
41. Scotton, La poetica della Merope nella Drammaturgia amburghese di Lessing, cit., p. 162.
42. Chiarini, Brecht, Lukcs e il realismo, cit., p. 91.

139
Alessandro Tinterri

SILVIO DAMICO E LA NASCITA DEL BURCARDO

Di padre in figlio era il titolo originariamente pensato per questa nota sulle
origini del Burcardo, anche se qui si tratta pi del padre che del figlio. Padre
e figlio, Silvio e Alessandro dAmico, condividevano la grande passione per il
teatro e un interesse non erudito per la sua storia. La passione in Silvio dA-
mico era alimentata da una frequentazione dei teatri, che travalicava il dovere
professionale, in suo figlio Sandro si traduceva in un piacere non meno intenso
e gratuito, affrancato dallobbligo professionale. Entrambi si adoperarono per
il teatro e la sua storia, al fine di dotare di strumenti adeguati la storiografia
teatrale, una disciplina tardivamente accolta nellUniversit italiana.
Sicuramente agli occhi di Silvio dAmico doveva apparire un curioso pa-
radosso, non meno inaccettabile del ritardo nellintroduzione della regia nel
nostro teatro, il fatto che proprio lItalia, culla, con la Grecia antica, del tea-
tro occidentale, non potesse vantare unadeguata considerazione del teatro in
ambito accademico e storiografico. E a colmare questa lacuna si adoper con
energia non inferiore a quella impiegata nella battaglia per laffermazione anche
in Italia di un teatro di regia. Se a questo scopo fu da lui concepita lAccademia
nazionale darte drammatica e, adatto alla bisogna, quello strumento didattico
che la sua Storia del teatro drammatico,1 ripetutamente aggiornata dal figlio San-
dro, per un pi vasto progetto storiografico fond lEnciclopedia dello spettacolo.2
Entrambi poi, padre e figlio, furono allorigine di due istituzioni preposte
alla conservazione e allo studio del nostro passato teatrale: il Burcardo di Ro-
ma e il Museo biblioteca dellattore di Genova. Se pi nota la parte avuta

1. Cfr. S. dAmico, Storia del teatro drammatico, Milano-Roma, Rizzoli & C., 1939-1940,
4 voll.
2. Roma, Le Maschere, 1954-1968, 11 voll. (rist. Roma, Unedi-Unione editoriale, 1975).
Alessandro dAmico fu redattore capo dellEdS dal 1954 (vol. i) al 1957 (vol. iv). Si vedano da
ultimo, anche per la bibliografia, le pagine di Stefano Mazzoni (Ludovico Zorzi. Profilo di uno
studioso inquieto) e di Francesca Simoncini (Il sistema AMAtI fra tradizione e multimedialit), in
Drammaturgia, xi / n.s. 1, 2014, rispettivamente pp. 74-75 e nota 376, 317-318.

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 141-150


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18366
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
ALESSANDRO TINTERRI

da Alessandro dAmico nella creazione dellente genovese,3 meno risaputo, e


perci meritevole di approfondimento, il ruolo di Silvio dAmico nella nascita
della Raccolta teatrale della S.I.A.E.
Ma, prima di inoltrarci a esaminare lapporto di Silvio dAmico, occorre
soffermarci, sia pur brevemente, su unaltra figura fondamentale di studioso
amante del teatro: Luigi Rasi.
La Biblioteca e raccolta teatrale della S.I.A.E., comunemente denominata
per brevit il Burcardo, prendeva il nome dallantico palazzetto in via del Su-
dario, a due passi dal teatro Argentina a Roma, una suggestiva costruzione, un
ibrido architettonico, misto di tardo gotico tedesco e motivi rinascimentali,
fatto erigere nella seconda met del Quattrocento dal prelato alsaziano Johan-
nes Burckardt, impiegato presso la corte pontificia.
Significativa per molti aspetti la storia della formazione di questa impor-
tante raccolta teatrale, il cui nucleo costitutivo rappresentato dalla collezio-
ne di Luigi Rasi, figura chiave nella storia del collezionismo teatrale. Attore
di origini e cultura borghesi, Rasi era nato a Ravenna il 20 giugno 1852. Do-
po il liceo, le difficolt economiche della famiglia lo costrinsero a rinunciare
alluniversit per cercarsi un impiego, presto abbandonato per entrare in arte
nel 1872, con il ruolo di secondo amoroso e secondo brillante, nella compa-
gnia di Fanny Sadowsky, diretta da Cesare Rossi. Ma gi sul finire del 1873
doveva lasciare il teatro per il servizio militare, che fece a Lecce sino al 1877.
Durante tutti questi anni e anche in seguito, parallelamente allattivit artisti-
ca, che pot riprendere nel 1878, continu a coltivare gli studi classici (simile
in questo a unaltra singolare figura di attore, Cesare Dondini). Tuttavia, nel
1881, incaricato della direzione della R. scuola di recitazione a Firenze, ab-
bandon le scene per dedicarsi allinsegnamento e tornare a recitare solo sal-
tuariamente, affiancando, tra gli altri, Tommaso Salvini nel Saul di Alfieri e
nellOtello di Shakespeare, e per un certo periodo Eleonora Duse, alla quale
dedic un suo studio.4
Oltre a ci, Rasi si fece appassionato collezionista di stampe, libri e docu-
menti, tutti concernenti il teatro e la sua storia, conducendo per anni ricerche

3. Su Alessandro dAmico, con il quale ho avuto la ventura e il privilegio di lavorare per ol-
tre venticinque anni, mi sia consentito rinviare a un mio precedente contributo, Alessandro dA-
mico o dellascolto, http://drammaturgia.fupress.net/recensioni/recensione1.php?id=4490 (data di
pubblicazione sul web: 13 aprile 2010); sul ruolo da lui avuto nella creazione del Museo biblio-
teca dellattore di Genova rimando al mio intervento La sua parte di storia, Ariel, n.s., i, 2011,
1, pp. 59-64 (numero monografico dedicato a Alessandro dAmico e Luigi Squarzina due maestri).
4. Cfr. L. Rasi, La Duse, Firenze, Bemporad & figlio, 1901 (ed. mod., con una postfazione
di M. Schino, Roma, Bulzoni, 1986). Per le altre notizie si veda il numero monografico della
rivista Ariel, vi, 1991, 1, dedicato a Luigi Rasi e la Scuola di recitazione di Firenze.

142
SILVIO DAMICO E LA NASCITA DEL BURCARDO

negli archivi, compulsando cataloghi antiquari, intrattenendo carteggi. Due


furono i frutti di tale passione e di tanta mole di lavoro: I Comici italiani5 e la
collezione teatrale allorigine del Burcardo.
Se si considerano la genesi di questa collezione e la sue motivazioni, colpisce
la lucidit del progetto culturale illustrato da Rasi in una conferenza dal tito-
lo Della costituzione di un museo dellarte drammatica.6 Insoddisfatto dellesistente
e volendo por mano a un catalogo il pi possibile esaustivo dei comici italiani
dal tempo della Commedia dellArte, si diede alacremente da fare e, mentre da
un lato nella scuola di via Laura formava nuove generazioni di attori, dallaltro
si adoperava per ricostruire la memoria di quelli passati:

E allora per tutto un decennio fu uno scorrere inquieto, vertiginoso di cataloghi di


ogni specie e di ogni paese, un accumularsi di litografie, di incisioni, di disegni ori-
ginali, di tele, di opere a stampa: una ridda gaia e fantastica di Arlecchini e Pantaloni,
e Brighelli e Dottori, che mi rafforzavano nella mia fede, e mi erano pungolo sem-
pre nuovo e gradito a continuare nella vita aspra, per poter finalmente attingere la
vetta sperata e sospirata.7

Lagognata vetta era ai suoi occhi il contributo al risveglio degli stu-


di storici sul teatro di prosa italiano, attraverso la revisione e laggiornamento
delle Notizie istoriche de comici italiani, storico dizionario di Francesco Bartoli,
stampato a Padova nel 1781-1782. Nel rinnovato interesse degli studiosi, so-
prattutto intorno alla Commedia dellArte, Rasi aveva visto, infatti, una con-
ferma di quelleccellenza dei comici italiani che costituiscono il filo rosso della
nostra tradizione teatrale, il cui primato si pu idealmente estendere fino al
giorno in cui la grande trinit Adelaide Ristori, Tommaso Salvini, Ernesto
Rossi, imper sovrana in tutto il mondo, alla quale dopo trenta e pi anni di
gloria succeduta nel trono Eleonora Duse.8
La consapevolezza di una tradizione storica e insieme la coscienza della
natura effimera dellarte dellattore convinsero Rasi ad accarezzare lidea del
Museo dellarte drammatica italiana,9 alla quale, nel 1903, cio nel momento
in cui pronunciava la conferenza, diceva di pensare ormai da ventanni:

5. Cfr. L. Rasi, I Comici italiani. Biografia, Bibliografia, Iconografia, Firenze, Bocca-Lumachi,


1897-1905, 2 voll.
6. Della costituzione di un museo dellarte drammatica. Conferenza del prof. Luigi Rasi, in Atti
del congresso internazionale di scienze storiche (Roma, 1-9 aprile 1903), viii. Atti della sezione IV:
Storia dellarte musicale e drammatica, Roma, Tipografia della R. accademia dei Lincei, 1905, pp.
139-155.
7. Ivi, p. 140.
8. Ivi, p. 141.
9. Ivi, p. 139.

143
ALESSANDRO TINTERRI

Se dellarte del comico, che fra le pi nobili e le pi grandi di tutte le arti, come
quella che in un attimo d le sensazioni pi profonde a una moltitudine pendente
estatica dalle labbra o dal gesto di un uomo o di una donna, non rimane pi traccia,
fuorch nella fredda, pallida notizia tramandataci oralmente da contemporanei, che
va poi attenuandosi, alterandosi, trasformandosi nel suo passar di bocca in bocca, di
generazione in generazione, perch non serberem noi raccolte in un tempio sacrato
alla storia di quellarte le memorie di coloro, davanti a quali e noi e i nostri avi pal-
pitammo, e palpiteranno i nostri nipoti tornando a vivere con essi, rievocando nella
nostra mente le grandi ore godute per virt del loro genio, o ricostruendo nella no-
stra fantasia quelle godute da nostri antichi? Se la indifferenza di essi trascin con
lala inesorabile del tempo gran parte di quelle memorie nelloblio, moltissime ancor
ne rimangono ad attestar la grandezza nostra nel regno del teatro.10

Orgoglioso del patrimonio che era riuscito a raccogliere e consapevole


del suo valore, nel 1912 Rasi diede alla stampe il Catalogo generale della raccolta
drammatica italiana di Luigi Rasi, un volume di 630 pagine, stampato a Firenze
in centocinquanta esemplari.11 In mancanza di maggiori garanzie materiali, il
suo intento era di conservare a futura memoria almeno la traccia dellimpre-
sa di un uomo solo che nutriva qualche legittima preoccupazione sulla sorte
della sua collezione:

Sia la Raccolta teatrale, che son venuto formando con tanto amore e in cos lungo
tempo, collocata in Italia o allEstero; o sia, com accaduto pur troppo a quasi tut-
te le raccolte di chi non ebbe intento di speculazione (Taylor, Filippi, Sapin, Vitu,
Sarcey informino, e primo di tutti il Soleinne), venduta alla spicciolata, ho creduto
opportuno per la storia del nostro teatro comico e un po anche per mia soddisfazio-
ne darne fuori un catalogo relativamente completo in un esiguo numero di esemplari
(150), che fosse per gli studiosi, per le biblioteche e i professionisti librai un indispen-
sabile ferro del mestiere.12

Seguiva il catalogo ragionato dellintera raccolta, catalogata per tipologie e


suddivisa in due grandi sezioni: luna comprendente liconografia, laltra de-
dicata a biografia e bibliografia. Liconografia era a sua volta suddivisa in due
gruppi: riproduzioni (ritratti; maschere, buffoni, scene; manifesti illustrati;
fotografie; plastica) e originali (ritratti; maschere, buffoni, scene; plastica). La
seconda sezione, biografia e bibliografia, era articolata in tre gruppi: opere a
stampa (libri, opuscoli; programmi, elenchi; poesie, epigrafi; fogli volanti in

10. Ivi, pp. 148-149.


11. Cfr. Catalogo generale della raccolta drammatica italiana di Luigi Rasi, Firenze, Larte della
stampa-Successori Landi, 1912.
12. Ivi, p. ix.

144
SILVIO DAMICO E LA NASCITA DEL BURCARDO

seta), opere manoscritte (lettere; scritture; autografi diversi; manoscritti) e og-


getti vari.
Nel 1911 Aldo Rav, che a Venezia si stava adoperando alla creazione di
un museo teatrale presso la casa di Goldoni, aveva incontrato Rasi a Firenze e
ne aveva ottenuto ladesione al progetto veneziano, ma la morte colse Rasi a
Milano il 9 novembre 1918, prima del concretizzarsi dellimpresa.
Gi nel dare lannuncio della morte Silvio dAmico sinterrogava sul desti-
no della collezione Rasi, dal momento che il neocostituito Museo teatrale alla
Scala non aveva potuto, per mancanza di fondi, assicurarsene lacquisizione. Da
allora il critico romano prese a seguirne passo dopo passo le vicende, a partire
dalla notizia dellavvio della trattativa per il suo acquisto da parte della Socie-
t degli autori, allepoca avente sede ancora a Milano,13 sino alla sua definitiva
collocazione nel palazzetto romano. Nella sua impresa Rasi era stato mosso
dalla volont di innalzare gli statuti professionali della categoria degli attori, nel
momento in cui gli autori, spesso a loro contrapposti nella difesa dei rispettivi
interessi di categoria, si riunivano e si rafforzavano, anche grazie alla tenace
azione di Marco Praga, sotto legida di una propria societ di rappresentanza.
Per un curioso caso della storia, la sorte avrebbe affidato proprio alla Societ
degli autori le cure della collezione che intendeva celebrare larte dellattore.
Il destino della collezione Rasi sintrecciava con la battaglia di DAmico
per la riforma del teatro italiano e il dibattito prese talvolta i toni della con-
trapposizione fra Milano e Roma. DAmico si fece via via sostenitore di di-
verse soluzioni e in primo luogo espresse la speranza di una collezione Rasi
annessa a una Scuola di recitazione di santa Cecilia riformata e appoggiata a
sua volta a un teatro Argentina, che costituisse il cuore pulsante dellattivit
drammatica della capitale.
Pass qualche altro anno e la S.I.A.E., che nel frattempo aveva acquisito la
collezione Rasi dietro pagamento della somma concordata di 100.000 lire, si
era trasferita da Milano a Roma, mentre le casse del materiale continuavano
a sostare in un magazzino. Nel 1928, poco prima di morire, la vedova Teresa
Sormanni Rasi incaric Renato Simoni di far pervenire alla S.I.A.E. la som-
ma di 50.000 lire perch nellerigendo museo venisse allestita una sala inti-

13. S. dAmico, Per il museo teatrale di Luigi Rasi, Lidea nazionale, 20 marzo 1919: Dal
momento che, nonostante le ciarle strombazzate su tutti i giornali circa il prossimo interessa-
mento dello Stato al Teatro darte in Roma, alla riforma della Scuola di Recitazione in Roma,
alla creazione dun Teatro in Musica in Roma, ecc. ecc., il competente Ministero non si
nemmeno sognato di assicurare a Roma questo Museo, non resta che fare il possibile perch
almeno esso rimanga a disposizione degli studiosi a Milano. Che almeno i mecenati e i ricchi di
buon gusto siano meno sordi del Governo e corrispondano allappello per la creazione di questo
nuovo e necessario istituto nazionale: il Museo del Teatro Italiano.

145
ALESSANDRO TINTERRI

tolata al marito. Iniziava allora a profilarsi la soluzione del Burcardo e Silvio


dAmico non manc di manifestare le proprie perplessit: Per ora, il Museo
modesto, e non offre grandi attrattive se non a unesigua minoranza di stu-
diosi: i quali accorreranno soprattutto alla sua biblioteca []. Ma il palazzetto
del Burcardo, gioiello darchitettura, quanto di pi disadatto possa pensarsi
per una biblioteca.14 Lobiezione di DAmico non era priva di fondamento e
mirava a rilanciare la proposta di una collocazione del museo nellattiguo tea-
tro Argentina. Si trattava di una soluzione lungimirante che puntava a istitu-
ire uno stretto legame tra il teatro operante e la sua storia.
A favorire questa crescita Silvio dAmico si adoper in prima persona, di-
mostrando un reale interesse alla sostanza del progetto e non una visione pu-
ramente strumentale, destinata a venir meno con laffievolirsi delle prospettive
da lui caldeggiate. Quando nel 1932 si arriv finalmente allinaugurazione,
negli articoli con cui salut levento Silvio dAmico dimostr di avervi riflet-
tuto a lungo, sino ad avere ben ponderate e precise idee, comera suo costume,
sullargomento in questione: una Biblioteca teatrale laspettano tutti: storici
e critici, autori e buongustai, registi e scenografi. Ma una biblioteca fornita
a dovere; ossia inizialmente provvista di tutto lessenziale, dai sussidi archeo-
logici ai manuali di messinscena futurista; e metodicamente aggiornata, dalla
passione di qualcuno, magari di uno solo, ma che ami queste cose.15 Quanto
al Museo, il critico sosteneva essere un lusso la sterile esposizione di cimeli de-
stinati a suscitare lammirazione, pi o meno feticistica, del visitatore, mentre
si diceva convinto della bont di un progetto dai contenuti didattici e, dun-
que, ben provvisto di autografi e contratti, manifesti e locandine, maschere e
costumi, ma, soprattutto materiali iconografici, cio, stampe, bozzetti, figu-
rini, fotografie:

Limportante si che il Museo non venga costituito a caso, raccogliendo cio quel-
lo che cpita dalla buona ventura, dalle offerte di questo o di quello, dallamicizia di
X o dalla benevolenza di Y. Il Museo va costituito seguendo un piano preordinato;
col proposito di documentare, in tutti suoi aspetti, quello che fu la scena italiana nel
passato, e insieme di trasmettere ai posteri i documenti di quello ch oggi. Soltanto

14. S. dAmico, Il dono della vedova Rasi agli Autori. La sede del Museo Rasi, La tribuna,
14 ottobre 1928, ora in Id., Cronache 1914/1955, a cura di A. dAmico e L. Vito, introd. di G.
Pedull, Palermo, Novecento, 2001-2005, vol. iii (1928-1933), to. i (1928-1929), p. 165.
15. Due gli articoli apparsi nel 1932 a firma Silvio dAmico sotto lo stesso titolo Per un
Museo del teatro italiano, il primo sulla Tribuna del 14 luglio, il secondo, pi ampio e illustra-
to, dal quale citiamo, nel numero di luglio della rivista Scenario (i, 1932, 6, pp. 1-8: 1), da
lui fondata e diretta, insieme con Nicola De Pirro. Sui primi anni di vita di Scenario v. ora
M. Schino, La parola regia, in Studi di storia dello spettacolo. Omaggio a Siro Ferrone, a cura di S.
Mazzoni, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 491-527.

146
SILVIO DAMICO E LA NASCITA DEL BURCARDO

cos il singolo pezzo, anche in s mediocre, acquista il suo valore dal posto che oc-
cupa: come anello duna catena, come momento dunevoluzione.16

E qui DAmico avanzava la sua proposta di un Museo in cui prevalesse la parte vi-
siva, intonata al gusto del tempo, cio consacrata specialmente alla messinscena:

Ma per questo, secondo noi, bisognerebbe non contentarsi delle belle stampe, vec-
chie o nuove, riproducenti le fastose o raffinate composizioni con cui, dal Seicento
al Settecento fino a ieri, i nostri scenografi hanno fatto quello che tutti sanno.
Occorrerebbe di pi: mettere cio per la prima volta in atto, sotto gli occhi del vi-
sitatore, con una serie di plastici (per lAntichit e Medioevo) e di teatrini (per lEt
moderna), tutta la storia dellarchitettura teatrale, della scenotecnica, della scenografia,
della messinscena. Cominciare con la riproduzione dun teatro della Magna Grecia
(che, se non sbagliamo, era Italia), e duna sua messinscena tragica; poi quella dun te-
atro romano, con una commedia; poi due o tre sacre rappresentazioni del Medioevo
di vario tipo (in chiesa, allaperto, ecc.); poi spettacoli del Rinascimento (commedia
erudita, drammi pastorali); e teatri del Sei e Settecento; e scene di Commedie dellAr-
te, e di Melodrammi; e teatro ottocentesco, dal Romanticismo al Naturalismo; e saggi
del secolo nostro. Per il quale ultimo si potr certo largamente ricorrere al legittimo
orgoglio degli scenografi e registi doggid.17

DAmico pensava, dunque, a unistituzione destinata a crescere e durare nel


tempo, in grado dincrementare metodicamente il proprio patrimonio: sac-
crescer con gli anni limportanza dei manifesti teatrali: la cui collezione, pur-
troppo non rigorosamente sistematica, vorremmo che fosse sistematicamente
continuata, giorno per giorno, almeno dora in poi, a uso di quelli che studie-
ranno domani il Teatro della nostra et.18
Del resto, gi al momento in cui il Burcardo venne inaugurato dal presi-
dente della S.I.A.E. Roberto Forges Davanzati, il 12 luglio 1932, la biblioteca
aveva registrato un primo significativo arricchimento con lacquisizione dei
libri del critico Cesare Levi, cui, di l a poco, grazie ai buoni uffici di Silvio
dAmico, venne ad aggiungersi il fondo Edoardo Boutet.
Le trattative tra la S.I.A.E. e la vedova, Anita Wiel Boutet, durarono dalla-
gosto 1930 (data in cui il ministro Emilio Bodrero scrisse a Forges Davanzati
per caldeggiare lacquisto dellarchivio da parte della S.I.A.E.)19 alla fine del

16. DAmico, Per un Museo, cit., pp. 2-3.


17. Ivi, p. 8.
18. Ivi, p. 7.
19. La lettera (allegata a una missiva di Anita Wiel Boutet del 25 dicembre 1930) conser-
vata presso il Museo biblioteca dellattore di Genova, Fondo Silvio dAmico, Corrispondenza con
Enti, S.I.A.E., Collezione Boutet, faldone 70, fasc. 18, ed datata 1 agosto 1930.

147
ALESSANDRO TINTERRI

1933, quando, per il tramite di Silvio dAmico, larchivio Boutet venne acqui-
stato dalla S.I.A.E. per la somma di 12.000 lire.
Lacquisizione era carica di significato, data la personalit di Boutet,20 critico
drammatico animato da una volont moralizzatrice della scena italiana, testi-
moniata in Quidam,21 romanzo didascalico sulla missione dellattrice, e da uno
spirito riformatore che nel 1905 cerc di tradurre nellesperienza pratica della di-
rezione della Stabile romana allArgentina. Nel 1908 confid la delusione segui-
ta a quellesperienza in una conferenza dal titolo trasparente, La mia follia.22 Una
figura, la sua, per certi versi affine a Rasi e cara a Silvio dAmico, che si trov a
occupare la cattedra di letteratura drammatica al conservatorio di Santa Cecilia,
gi ricoperta da Boutet, sicch non stupisce la sua parte attiva nelloperazione.
Porta la data 10 maggio 1928 la perizia dattiloscritta, redatta da DAmico
per conto del Ministero della Pubblica istruzione sullarchivio Boutet, su cui
vale la pena soffermarsi non solo per una ricostruzione indiziaria del fondo, ma
anche per linterpretazione che ne d DAmico, prima valutazione sul piano
storiografico delle carte di Boutet e della realt che vi riflessa:

Si tratta avverte DAmico dun copioso epistolario, doltre tremila fra lettere (che
sono la massima parte), cartoline, biglietti e anche telegrammi: tutta la corrispondenza
che Edoardo Boutet ebbe, come amico, critico, consigliere, incitatore, e (parte im-
portante) come direttore del primo tentativo dun teatro moderno in Italia, la Stabile
Romana, con tutti si pu dire gli scrittori e attori del tempo suo.23

A questa premessa segue un elenco dettagliato dei corrispondenti, tra i quali


spiccano, anche per la consistenza dellepistolario, i nomi di Camillo e Gian-
nino Antona-Traversi (rispettivamente 44 e 69 fra lettere e cartoline), Rober-
to Bracco (106), DAnnunzio (31), Sabatino Lopez (21), Marco Praga (41); fra
gli attori: Cesare Dondini (27), la Duse (46), Tina Di Lorenzo (53), Ermete
Novelli (21), Giacinta Pezzana (26), Adelaide Ristori (58). Tra le cose note-
voli lestensore segnala i documenti di uninchiesta fatta da L.[eone] Fortis,
A.[lberto?] Franchetti ed E. Boutet nella Scuola di Recitazione di Firenze: in-
teressante la lunga relazione del Rossi [Cesare?] e la vibrante difesa della scuola
stesa dal suo direttore Luigi Rasi.24

20. Cfr. A. Barbina, Edoardo Boutet. Il romanzo della scena, Roma, Bulzoni, 2005.
21. Torino-Roma, Casa editrice nazionale Roux e Viarengo, 1904.
22. Roma, M. Carra e C., 1908.
23. S. dAmico, Relazione a S.E. il sottosegretario di stato per lIstruzione sulla collezione dauto-
grafi teatrali di propriet della vedova di Edoardo Boutet, Roma, 10 maggio 1928, Museo biblioteca
dellattore di Genova, Fondo Silvio dAmico, Corrispondenza Anita Wiel Boutet, faldone 63, fasc.
7, 10 cc. dattiloscritte, c. 1.
24. Ivi, c. 3.

148
SILVIO DAMICO E LA NASCITA DEL BURCARDO

Alla domanda centrale sul valore documentario dellintera collezione il


critico rispondeva non contenere elementi tali da sovvertire le acquisizioni
storiografiche correnti, per evidenziava potersene ricavare tutta una serie di
notizie minori, esprimendo in tal modo unintuizione sul significato e il va-
lore del documento, cui la storiografia moderna, dalle Annales in poi, ci ha
abituati. Vediamo, dunque, le valutazioni di DAmico, almeno le pi signifi-
cative. Dalle lettere di DAnnunzio

si rivela che, per il suo Aligi, il poeta prima che a Ruggeri aveva pensato a Tumiati,
vi si leggono apprezzamenti che stupiranno qualcuno sullo stile erroneamente usa-
to nella prima interpretazione della Figlia di Jorio diretta da Talli, quella che sia-
mo usi a considerare come linterpretazione autentica; si segue il nascere della Citt
morta e della Nave.25

Nelle lettere del conte di San Martino, invece,

si intravede qualche retroscena della Stabile, e dei suoi dirigenti; e anche Falena
svela qual cosetta circa la cosiddetta camorra romana allArgentina. Gallina annun-
cia una sua novit, che Serenissima; ne espone, ne chiarisce e ne commenta lidea
informativa, senza che sia alcuna traccia di quel Nobiluomo Vidal, poi creato e in-
trodottovi, in sei ore, da Benini. Di Gandolin, c lautografo del famoso monologo
La macchina per volare []. E.[rcole] L.[uigi] Morselli ringrazia Boutet del premio,
conferito allOrione dalla Commissione permanente del Ministero dellIstruzione,
per merito principale di Boutet contro lopposizione di vecchie talpe []. Nel 1911
Pirandello invia a Boutet il suo primo drammetto [Il dovere del medico], spiegandone la
situazione e la forma []. Nelle lettere di Rovetta assistiamo alla nascita e alle vicende,
di varie sue commedie (Romanticismo, Pap eccellenza, La moglie di Molire),
e si ascolta anche qualche suo giudizio (contro Fortis, Praga, la Duse). Nelle let-
tere di Caramba (L.[uigi] Sapelli) si trovan notizie curiose sui prezzi delle messe in
scena dellanteguerra, cento costumi per un sontuoso Cyrano a cento lire luno!26

Liquidata in poche righe la corrispondenza con gli autori stranieri la rasse-


gna prosegue, varia e dettagliata, con lesame delle lettere degli attori, dotate
di una particolare attrattiva per lautore del Tramonto del grande attore:27

Tutta la mentalit del vecchio comico italiano in quella con cui Luigi Biagi, con-
futando lopuscolo La mia follia di Boutet, spiega al suo autore le ragioni perch
lui, letterato, non poteva avere successo nella direzione dun teatro. [] Le lettere

25. Ivi, c. 4.
26. Ivi, cc. 5-6.
27. Milano, Mondadori, 1929.

149
ALESSANDRO TINTERRI

della Duse contengono sue impressioni varie; un giudizio su Dumas figlio e uno su
Ibsen; una affermazione sulla inferiorit del teatro di fronte alla letteratura pura;
ecc. Una volta ella chiede informazioni sulle qualit dun giovane attore di nome
Ruggero Ruggeri. Le lettere di Garavaglia documentano gli iniziali entusiasmi
dellattore per il sogno di quella Stabile Romana, del cui crollo egli fu poi, forse, una
delle cause principali. [] Piene di vivace colore certe lettere di [Ermete] Novelli,
di ritorno da giri artistici e finanziari; in unaltra egli risponde a una critica di Gino
Monaldi; importante, perch tipica, quella dove fa la sua recisa professione di fede
nel teatro a mattatore; e preziosi due manoscritti contenenti ricordi e giudizi sulla
Ristori, e una autobiografia, scritta a lapis, in sette pagine. [] Ma forse la parte di
maggior valore di tutta la raccolta costituita dalle 58 fra lettere, biglietti e autogra-
fi vari di Adelaide Ristori: sono note autobiografiche, ricordi dinfanzia, aneddoti
sui suoi costumi teatrali e cimeli; un giudizio sulla Duse; uno su Scarpetta; consigli
a novizi e a dilettanti; aforismi e detti sullarte drammatica in genere, dichiarazioni
sullarte propria, ecc. ecc.28

Riconosciamo nella minuziosa perizia un aspetto della personalit di Silvio


dAmico, la passione del critico, intrecciata con la vocazione di storico, che
prefigura lautore della Storia del teatro drammatico e il fondatore dellEnciclope-
dia dello spettacolo. Una figura dintellettuale dai tratti peculiari nel panorama
della societ teatrale italiana del Novecento.
La partecipazione di Silvio dAmico alle sorti della neonata raccolta teatrale
non si esaur nellopera di ricupero dellarchivio Boutet. Lo attesta il prome-
moria che egli fece pervenire a Dino Alfieri, allepoca presidente della S.I.A.E.,
per larricchimento delle collezioni destinate al Burcardo.29 Vi si menzionano,
tra gli altri, i fondi Ristori, Rossi e Salvini e, riguardo a questultimo, vi si
dice che parte della preziosa raccolta and distrutta in un incendio (le perdite
maggiori dovettero riguardare il settore della corrispondenza).30
Molti anni pi tardi Alessandro dAmico riannoder il filo interrotto, par-
tendo dai fondi Salvini e Ristori per creare a Genova il Museo biblioteca
dellattore:31 di padre in figlio.

28. Museo biblioteca dellattore di Genova, Fondo Silvio dAmico, Corrispondenza Anita
Wiel Boutet, faldone 63, fasc. 7, cc. 6-8.
29. Il promemoria, intitolato Continuazione delle raccolte, si compone di 7 cc. dattiloscritte
ed allegato alla lettera di Dino Alfieri a Silvio dAmico, Roma, datata 9 marzo 1935 (Museo
biblioteca dellattore di Genova, Fondo Silvio dAmico, Corrispondenza con Enti, S.I.A.E., fal-
done 70, fasc. 16).
30. A giudicare dallesiguit di quella presente nel fondo pervenuto in seguito al Museo
biblioteca dellattore di Genova.
31. Si riveda nota 3.

150
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE

Teresa Megale

ELEONORA DUSE.
NUOVI FRAMMENTI AUTOGRAFI DI UN LUNGO
PERCORSO TEATRALE

Diciotto autografi di Eleonora Duse, di cui uno mutilo, sono altrettante


scintille documentarie che illuminano la presenza della divina nella strari-
pante collezione di manoscritti della sezione Lucchesi Palli della Biblioteca
nazionale di Napoli. Pulsano questi scritti di intelligenza scenica, di tenacia e
di risolutezza, di ritmi vitali e di trasparenze improvvise, e mandano non po-
chi bagliori della febbrile attivit teatrale che occupava integralmente la vita
dellinsuperata interprete e capocomica, su cui a lungo si esercitata la mo-
derna teatrologia, al punto da costituirne quasi una sua specifica diramazione.1
In tempi e in luoghi diversi, di non sempre facile identificazione, lattri-
ce affida alle lettere, con lo stile inconfondibile di una solida scrittrice che
lascia spazio alle pause, ai silenzi espressivi [] secondo una chiara poetica

1. Dopo gli studi di Gerardo Guerrieri, confluiti nel volume postumo Eleonora Duse. Nove
saggi, a cura di L. Vito, Roma, Bulzoni, 1993, il mondo dusiano stato fin qui largamen-
te sondato, con dovizia di prospettive e di angolazioni critiche. A prescindere dai contributi
singoli, a dar conto della ricchezza dellargomento bastino qui C. Molinari, Lattrice divina.
Eleonora Duse nel teatro italiano fra i due secoli (1985), Roma, Bulzoni, 19872; M. Schino, Il teatro
di Eleonora Duse, Bologna, il Mulino, 1992 e Roma, Bulzoni, 2008 (ediz. riveduta e amplia-
ta); P. Bertolone, I copioni di Eleonora Duse. Adriana Lecouvreur, Francesca da Rimini, Monna
Vanna, Spettri, Pisa, Giardini, 2001; F. Perrelli, Echi nordici di grandi attori italiani, Firenze, Le
Lettere, 2004; M. Schino, Racconti del Grande Attore. Tra la Rachel e la Duse, Citt di Castello,
Edimond, 2004; F. Simoncini, Rosmersholm di Ibsen per Eleonora Duse, Pisa, ETS, 2005; D.
Orecchia, La prima Duse. Nascita di unattrice moderna (1879-1886), Roma, Artemide, 2007; F.
Simoncini, Eleonora Duse capocomica, Firenze, Le Lettere, 2011. A questi studi monografici si ag-
giungano almeno i saggi confluiti nel numero di Ariel, vi, 1989, 1-2, negli Atti del convegno
internazionale Voci e anime, corpi e scritture (Venezia, 1-4 ottobre 2008), a cura di M.I. Biggi e P.
Puppa, Roma, Bulzoni, 2009 e nei cataloghi delle mostre Divina Eleonora. Eleonora Duse nella
vita e nellarte, a cura di F. Bandini e P. Bertolone, coordinamento di M.I. Biggi (Venezia, 30
settembre 2001-6 gennaio 2002), Venezia, Fondazione Giorgio Cini-Marsilio, 2001; Eleonora
Duse. Viaggio intorno al mondo, a cura di M.I. Biggi (Firenze, 14 marzo-17 aprile 2011), Milano,
Skira, 2010.

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 151-167


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18368
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
TERESA MEGALE

decadentista,2 uno svariare di argomenti, di desideri e di promesse, misti a


profferte di calda amicizia e a richieste assertive, in un intreccio di progettua-
lit teatrale perseguita ma mai pienamente soddisfatta.
Gli inediti trattengono, imbrigliati nella carta, impliciti fili argomentati-
vi di difficile ricostruzione a una prima lettura, da dragare pazientemente per
coglierne i nessi e valorizzarne i significati. Destinatari sono il drammaturgo
Achille Torelli, cui appartiene la parte pi cospicua del mannello che impe-
gna un arco cronologico compreso fra il 1883 e il 1921; il critico e autore di
drammi Domenico Lanza, al quale lattrice indirizza nel novembre del 1908
due telegrammi dalla Germania intorno a un progetto di messinscena tori-
nese di Ibsen; il direttore della Rivista teatrale italiana darte lirica e dram-
matica, prima in Italia di tale genere, Gaspare di Martino, che nel 1910 le
raccomanda unattrice anziana, Maria Rosa Guidantoni, e con il quale, qual-
che anno dopo, nel 1914, interloquisce intorno alla possibilit di avviare la ro-
mana Casa-libreria delle attrici; il conte Enrico di San Martino Valperga e la
fidata cameriera, Nina, ai quali la Duse si rivolge una sola volta in momenti e
per scopi diversi. Ciascun documento manoscritto con il personalissimo in-
chiostro viola, marchio dello scrittoio dusiano, eccezion fatta per uno dei due
diretti a Di Martino e per lunico diretto a Nina, vergati a lapis. Quello indi-
rizzato alla sua complice di faccende teatrali oltre che solutrice di quotidiane
incombenze, diretto riflesso dellintimit consuetudinaria tra le due donne,
scritto con una grafia larga e frettolosa e contiene disposizioni ordinarie, per-
ch destinato, in realt, a durare il tempo della loro esecuzione.
Un indice ideale delle menzionate lettere e biglietti e telegrammi compren-
derebbe un numero ridotto, ma pur sempre vario e significativo, di nomi tra
quelli noti e quelli ignoti, tra quelli di primo e di secondo piano rispetto alla
biografia artistica della Duse (oltre ai gi citati, la sarta Bossi, gli agguerriti im-
presari Achille e Giovannino Chiarella, Tina di Lorenzo, Giuseppe Giacosa,
la filantropa duchessa Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri, Adelaide Risto-
ri, lantiquario Rondi, Cesare Rossi, Ermete Zacconi) e un altrettanto ridot-
to numero di titoli (Borkman di Ibsen, Fedora di Sardou, Fragilit, La duchessa
don Giovanni, La moglie, La madre e Scrollina di Torelli), ma sufficienti ad apri-
re uno squarcio sul variabile repertorio dellattrice inquieta, a caccia costante
di personaggi dalla vibratile, moderna sensibilit. Ogni documento, tuttavia,
permette un affondo nel suo mondo teatrale e contribuisce a ricostruirne un
frammento. A partire dalla prima lettera spedita a Torelli, giornalista, com-

2. V. Branca, Vocazione letteraria di Eleonora Duse, in Divina Eleonora. Eleonora Duse nella vita
e nellarte, cit., pp. 111-122: 112.

152
ELEONORA DUSE. NUOVI FRAMMENTI AUTOGRAFI

mediografo e primo bibliotecario della Lucchesi Palli,3 il 1 ottobre 1883, che


lascia presagire una relazione pi antica, risalente al suo giovanile periodo na-
poletano4 e consolidata dal debutto nel 1881 di Scrollina5 con linterprete pro-
mossa finalmente a prima donna, lattrice chiede al drammaturgo, consacrato
tale nel 1867 dal precoce successo de I mariti, di poter recitare Fragilit e i suoi
lavori italiani, al posto dellopprimente (doc. 1) principessa Fedora Roma-
nov. Uno sfogo calcolato da parte dellinterprete, apertamente insoddisfatta
del repertorio ottocentesco francese, che suona come richiesta di uno sforzo
creativo da parte dellautore. Pochi giorni dopo, lattrice che non aveva fatto
mistero al suo corrispondente dei suoi bisogni drammaturgici, itera la richie-
sta del testo, mentre prende una saggia distanza da La madre, messa pure in
prova da Cesare Rossi, nella quale scorge, con il fiuto selettivo che solo il pal-
coscenico d, scene potenti di pensiero e di passione e pregio (o torto mag-
giore) non di teatralit (doc. 2). Dopo qualche anno, agli inizi del 1889, la
confidenza con Torelli tale da farle confessare di aver nutrito qualche timore
nei confronti della Duchessa don Giovanni, personaggio metateatrale dello-
monimo atto unico, che il drammaturgo partenopeo costruisce attribuendo
alla protagonista i tratti del maggior carattere dello pseudo Tirso. Oggi non
pi. Le vado incontro poich credo dintenderla (doc. 5), confessa una Duse
che sfoggia volontariamente una disinibita dose di maturit scenica e perso-
nale proprio verso quel personaggio. Le prove per allestire il lavoro non sa-

3. Torelli aveva tutti i doni che una natura prodiga pu elargire a un suo protetto. Bel
giovane, dai capelli corvini, dagli occhi intelligenti, mobili e scintillanti, a volte velati di malin-
conia, la figura prestante, il tratto disinvolto e signorile, un temperamento animoso, dinamico,
nervoso (S. Gaetani, Napoli ieri e oggi. Passeggiate e ricordi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1965, p.
116). Sul prolifico autore, nonch direttore della Biblioteca teatrale e archivio musicale Lucchesi
Palli alla sua apertura pubblica, dal 1897 fino al 1902, v. il catalogo della mostra bio-bibliogra-
fica Achille Torelli nei documenti della Biblioteca nazionale, Roma, Istituto poligrafico e zecca dello
Stato, 1995.
4. Sulle relazioni di tale periodo, che incisero sensibilmente sulla formazione della sua
personalit e sulla sua espressivit artistica, cfr. T. Megale, Passioni napoletane di Eleonora Duse,
in Voci e anime, corpi e scritture, cit., pp. 49-63.
5. Fu Pierina Giagnoni Ajudi la prima interprete di Scrollina, da lei tenuta a battesimo
allArena del Sole di Bologna il 14 luglio 1881 nel ruolo del titolo con la compagnia di Luigi
Monti. Subito dopo, il 19 agosto dello stesso anno, la interpret e la rilanci la Duse allArena
nazionale di Firenze con la Drammatica compagnia della citt di Torino e in seguito, il 15 di-
cembre 1929, Marta Abba (gi Scrollina un anno prima, nella compagnia diretta da Pirandello,
al teatro Manzoni di Milano, il 25 aprile; cfr. A. dAmico-A. Tinterri, Pirandello capocomico.
La compagnia del Teatro dArte di Roma, 1925-1928, Palermo, Sellerio, 1987, pp. 290-292) con la
propria formazione. Il successo del testo, in una carriera drammaturgica diseguale, fatta di ful-
minee affermazioni e di ripetuti arresti, fu tale da spingere Torelli a monumentalizzarlo al punto
da chiamare Scrollina la villa che si fece costruire a Capodimonte.

153
TERESA MEGALE

ranno poi preventivamente tante, se afferma, risoluta, con la consueta lucidit


scenica che la contraddistingue, che lallestimento in otto o 10 giorni andr
(doc. 6). In realt, si interporr la richiesta di uno spettacolo di beneficienza
richiestole dallattivissima duchessa Filangieri Fieschi Ravaschieri (doc. 9), no-
ta per una monumentale Storia della carit napoletana in quattro volumi,6 per la
quale, ripetendosi ladagio tassiano del nulla si niega, si acconcia a rinverdi-
re unopera in versi di Giacosa (con molta probabilit La sirena, da lei recitata
al teatro Valle di Roma il 22 ottobre 1883 con Arturo Diotti e Flavio And);
poi altri, successivi, imprevisti avrebbero impedito, a quanto sembra, la messa
in scena. Che nellaristocratico salotto della filantropa partenopea la Duse in-
tendesse davvero recitare La sirena deducibile da quanto scrive nellinedito
e dalla circostanza di dover ottemperare a nuove prove per me e per due at-
tori della compagnia che reciteranno con me allo scopo di riaffiatare il pic-
colo poema. Ma, nonostante le molte attese deluse, gli intoppi, i rimandi,7 il
legame amicale con il drammaturgo partenopeo sincero e duraturo, tanto
che lattrice vi ricorre spesso e volentieri, mandandogli richieste di incontri,
inviandogli saluti e auguri, raccomandandogli con franchezza di essere disini-
bito con gli affari teatrali e di guadagnarne quattrini (docc. 6, 8), aprendosi
talvolta a considerazioni improvvise sulla vita, rinnovandogli, tramite linvio
di una foto di Scrollina (doc. 12), probabilmente uno scatto di Ugo Bettini,8 il
suo affetto nellanno, delicatissimo, del ritorno sulle scene. La missiva, conte-
nente il ricordo dellantico personaggio torelliano tenuto da lei in repertorio
dal 1881 al 1886,9 precede di poco la morte dellautore, avvenuta il 31 genna-
io 1922, che sul suo capezzale avrebbe avuto un ennesimo, affettuoso scritto
dellattrice: Sono con voi presente, e sempre memore, sempre amica, seppure
lontana.10 E la vicinanza confidenziale fra la Duse e Torelli bene affiora nel

6. Lopera della nobile filantropa, che spesso finanziava la sua attivit benefica tramite il
teatro, fu pubblicata a Napoli, presso lo stabilimento tipografico di Francesco Giannini, senza
alcuna data e successivamente presso lo stabilimento tipografico di Antonio Morano della stessa
citt, negli anni 1875-1879.
7. Saranno forse questi impedimenti a spingere Achille Torelli a inviare il manoscritto della
Duchessa don Giovanni anche a Virginia Reiter. Il 6 agosto 1896 lattrice gli scrive da Modena di
averlo ricevuto e di volerlo leggere. Cfr. Biblioteca nazionale di Napoli (dora in poi BNN), ms.
L[ucchesi] P[alli] [dora in poi L.P.] vii, 22.
8. V. la foto della Duse nel ritratto della contessa Teresa (Scrollina) conservata presso la
Fondazione Giorgio Cini di Venezia e riprodotta in Divina Eleonora. Eleonora Duse nella vita e
nellarte, cit., p. 32, fig. 9.
9. Per la puntuale ricostruzione del repertorio della Duse si rimanda alla voce curata da
Francesca Simoncini per lArchivio Multimediale degli Attori Italiani (AMAtI) allindirizzo:
http://amati.fupress.net.
10. Trascrive questo appunto Rosaria Savio in una nota del suo Indice bio-bibliografico, in
Achille Torelli nei documenti della Biblioteca nazionale, cit., p. 42 e n.

154
ELEONORA DUSE. NUOVI FRAMMENTI AUTOGRAFI

lessico scelto dallattrice in ognuna delle sue lettere: lesortazione aizzate in


collo (doc. 2), di chiara marca partenopea, assunta come propria, il ripetuto
statevi bene (docc. 6, 9) sono spie di una speciale intesa fra i due, di unami-
cizia teatrale profonda, al pari delle prove per le quali lattrice in linea con
la consuetudine del tempo richiede la presenza dellautore.
La duchessa don Giovanni di Torelli prevedeva un ruolo di prima donna
tendente alla seconda, che pi di tutti si addiceva alla Duse.11 Pubblicato nel
1888 presso leditore Carlo Barbini di Milano, latto unico con il titolo mu-
tato in La vittima fu poi portato in scena nella citt meneghina da Flavio An-
d, il primo attore, antico compagno darte della Duse, cui forse lei stessa lo
aveva fatto leggere, il 18 gennaio 1897, riportando un clamoroso insuccesso,
al punto tale che linterprete ironizz con il suo autore: La tua Vittima ieri
sera quasi caduta.12
I superstiti telegrammi inviati a Lanza (docc. 14-15) si riferiscono, invece,
alle trattative per linaugurazione nel dicembre 1908 del politeama Chiarella
di Torino, la vasta sala teatrale situata dietro la sinagoga nel quartiere di San
Salvario, ora distrutta, nella quale la Duse avrebbe dovuto dare il John Gabriel
Borkman di Ibsen. Affiorano le esitazioni e i dubbi fondati dellattrice-capoco-
mica circa la riuscita dello spettacolo ibseniano in un teatro da duemila posti,
e la sua capacit manageriale di vagliare i rischi della proposta prontamente,
nonostante sia impegnata in una delle sue molteplici tournes allestero,13 e di
esprimerli lucidamente al giornalista intermediario dei Chiarella.
Mentre rimane enigmatica, perch priva di dati storicamente circostanzia-
bili, la lettera inviata da Eleonora Duse al conte di San Martino, residente a

11. La protagonista del titolo, Debora Di Lara, figlia di una cantante e di un conte, rifiutata
dalla madre, divenuta cantante per vivere. Ammaliatrice e seduttrice, riuscita a inserirsi nella
famiglia altolocata del padre come dama di compagnia della zia, la contessa Editta, di cui ama
il figlio, Mario. Ma quando costui viene obbligato dalla madre a sposare la principessa Tecla,
Debora accetta le nozze con il duca Livio, costruite anche queste su misura dalla potente zia. Si
tratta di un matrimonio senzamore, che spinger Debora a mutare il suo nome in Duchessa don
Giovanni, per ritornare una volta tanto sulle scene a provar lebbrezza dellarte e degli applausi
e per sedurre quanti uomini le capitino a tiro. A lei Torelli fa dire il peggio in amore sempre
il vecchio Una bellezza non posseduta come una strofa non iscritta; il poeta segue cupida-
mente unidea che gli sfugge; ma quando lafferra, lincanto rotto (A. Torelli, La duchessa
don Giovanni. Dramma in un atto, Milano, C. Barbini, 1888). Mario, che ha lasciato Tecla, vive
passando da un amore a un altro ed proprio Debora a spiegare alla zia che suo figlio un don
Giovanni impenitente, che potrebbe fermarsi solo dinanzi a una Cleopatra, e che lei lo lascia al
suo destino. Quando Livio scopre che Debora attende un figlio da Mario, si suicida. Latto unico
dedicato alla contessa Teresa Statella Guevara.
12. Lettera di Flavio And ad Achille Torelli, Milano, 19 gennaio 1897, BNN, ms. L.P. 84.
13. Sulle tournes dellattrice cfr. il catalogo della mostra Eleonora Duse. Viaggio intorno al
mondo, cit.

155
TERESA MEGALE

Parigi (doc. 18), tuttaltro tenore ha quella vergata per la sua cameriera-trova-
robe (doc. 13). Qui, ordinativi alla sarta di camicie di seta bianche e di cravat-
te dello stesso colore, richieste di biancheria intima (camicie da notte e calze,
sempre bianche), acquisti di sculture raffiguranti madonne rinascimentali e di
mensole, risuonano della frenesia implacabile della messa in scena (La signora
dalle camelie, probabilmente, per linsistito ricorso al bianco dei costumi e Gio-
conda per limpiego di un calco scultoreo dal Verrocchio o forsanche Francesca
da Rimini, per la presenza di una madonna almeno nella scena del v atto)14 e
della ricerca affannosa di elementi congruenti con una precisa scrittura sceni-
ca, che governa e assilla la mente dellattrice. Come gli altri, o forse pi degli
altri, il documento, fresco e vivace, introduce nel pieno della fabbrile offici-
na dusiana e apre uno squarcio sulla meticolosa cura necessaria per ogni fase
della scrittura scenica.
Altrettanto interessanti per la progettualit che le sottende le due missive a
Di Martino (docc. 16-17). In una risponde in modo franco al corrispondente
che, si accennato, sollecita il suo aiuto per Maria Rosa Guidantoni,15 nellal-
tra, che riguarda certamente il disegno ambizioso della creazione della Libreria
delle attrici a Roma, lo sollecita ad appoggiare il suo disegno, non nasconden-
dogli le incertezze e le difficolt del suo varo, sul quale lei comunque proietta
molte attese (questo inizio si tramuter, si esprimer da s e per s, evolven-
dosi sempre, ingrandendo se stesso, diventando una cosa esistente fra le fugaci
cose di nostra vita, assumendo nuova forma, nuova espressione). Inaugurata il
27 maggio 1914, a breve distanza temporale dalle parole inviate a Di Martino
da una Duse che si giustifica per usare la matita (Scusi questo scrivere a mati-
ta. Ma scrivere mi di fatica grande, e a matita m pi facile farlo), la Casa-
libreria sorta in via Pietralata, sulla Nomentana e dotata di unampia bibliote-

14. Per un riscontro figurativo delle scene v. Molinari, Lattrice divina, cit., figg. 49-50
(Gioconda, v). In particolare, mentre la fig. 50 fotografa la Duse accanto alla celebre Dama
col mazzolino, capolavoro dellartista fiorentino, la fig. 49 riproduce unimmagine, tratta da
Lillustrazione italiana, in cui lambiente scenico sovraccaricato di busti, statue, rilievi, su
piedistalli, tavoli e pareti. Per Francesca da Rimini cfr. ivi, fig. 87.
15. Tali le sintetiche, efficaci notizie di Alberto Manzi a riguardo di Maria Rosa Guidantoni
pubblicate nella corrispondente voce apparsa nellEnciclopedia italiana, edita a Roma dallIstitu-
to dellenciclopedia italiana Treccani, vol. xviii, 1933, p. 250: Attrice, nata a Rimini verso il
1840, morta nei primi anni del Novecento. Da bimba recit coi filodrammatici; studi ballo e
canto, e come cantante ebbe veri successi. Nel 1860 si scrittur con G. Peracchi; nel 1863-64 fu
con Ernesto Rossi; mediocrissima amorosa, fu ottima nella tragedia, specie in Oreste e nellAm-
leto: grande prima attrice madre e caratterista. Compose una rivista e in essa cant e danz;
scrisse commediole, monologhi; commemor Guerrazzi, tenne conferenze; raccolse in qualche
opuscolo alcune delle sue molte poesie. Dalla lettera della Duse si comprende che lattrice era
ancora viva nel giugno del 1910.

156
ELEONORA DUSE. NUOVI FRAMMENTI AUTOGRAFI

ca16 per la formazione delle interpreti, chiuse appena un anno dopo, nel 1915,
dinanzi ai fragori della prima guerra mondiale. La missiva allamico la coglie
mentre tesse i suoi rapporti, come sempre consapevole e prospettica, generosa
e determinata. Unistantanea di grande efficacia, pur nel suo impianto rapso-
dico, quasi il sigillo di una vita interamente dedicata al teatro.

Appendice

Gli autografi sono trascritti con criteri conservativi, in ordine cronologico, nel pie-
no rispetto della punteggiatura, fedele al ritmo, in taluni casi quasi recitato, impresso
dallautrice alle parole, e dellimpostazione, anche grafica, degli originali. Tra paren-
tesi quadre le proposte di datazione per alcuni documenti. Ad eccezione del docu-
mento 5, per il quale stato possibile risalire alle circostanze temporali della stesura,
resta del tutto arbitraria, per quanti sforzi si siano fatti, la collocazione affidata agli
inediti privi di data e di luogo. Si riproducono prima le dodici lettere ad Achille
Torelli (docc. 1-12), a seguire quella alla cameriera Nina (doc. 13), i due telegrammi
a Domenico Lanza (docc. 14-15), le due missive a Gaspare di Martino (docc. 16-17)
e, infine, quella al conte Enrico di San Martino Valperga (doc. 18).
Nel licenziare gli inediti ringrazio Gennaro Alifuoco e Patrizia Mottolese della se-
zione Lucchesi Palli della Biblioteca nazionale di Napoli insieme con Maria Beatrice
Cozzi Scarpetta.

Doc. 1
Eleonora Duse ad Achille Torelli
Roma, 1 ottobre 1883

BNN, ms. L.P. Ba xiv (120


mm. 175 x 110, 2 cc.

16. Sullambizioso progetto culturale della Libreria delle attrici si rimanda alle acute rifles-
sioni di L. Mariani, Il femminismo di Eleonora Duse, in Id., Il tempo delle attrici. Emancipazionismo
e teatro in Italia fra Ottocento e Novecento, Bologna, Mongolfiera, 1991, pp. 135-163, in partic. pp.
154-159; Id., Amicizie e possesso di s nel teatro, la Duse e le giovani attrici, in Voci e anime, corpi e
scritture, cit., pp. 355-372. Sullargomento si veda M.I. Biggi, La Libreria delle attrici, in Donne e
teatro. Atti del convegno (Venezia, 6 ottobre 2003), a cura di D. Perocco, Venezia, Universit Ca
Foscari-Cartotecnica veneziana, 2004, pp. 105-124. Tra il 1918 e il 1919 la Duse si preoccup di
tutelare il suo patrimonio librario, altamente rappresentativo del patrimonio artistico, e invi a
Cambridge i volumi, ritrovati nel 2007 da Anna Sica. Su questo ritrovamento cfr. A. Sica, The
Eleonora Duse Collection in Cambridge, Arco-Journal, 12 luglio 2008, pp. 1-15 e il volume, scritto
a quattro mani, Id.-A. Wilson, The Murray Edwards Duse Collection, Milano, Mimesis, 2012.

157
TERESA MEGALE

Grazie della lettera e del manoscritto. Lho ricevuto stamane. Sono ansiosa di legger-
lo e lo legger mercoled notte dopo Fedora.
Ho bisogno di occupare e bene del vostro lavoro e non leggerlo fra una prova e lal-
tra di questa opprimente Fedora. / Lasciate dunque che la reciti e dopo tutta per voi.
Mi permettete di rappresentare Fragilit? Sono stanca di parti pazze ho bisogno dun
ambiente buono, nostro, italiano, ho bisogno di molti vostri lavori.
Vi scriver presto.
Intanto una stretta affettuosa e saluti

E. Duse Checchi

Doc. 2
Eleonora Duse ad Achille Torelli
Roma, 8 ottobre 1883

BNN, ms. L.P. Ba xiv (118


mm. 177 x 114, 2 cc.

Roma 8 ottobre 1883

Dunque ho letto Madre e ho dato a Rossi il copione per averne le parti. La met-
teremo subito in prova. Vi sono scene potenti di pensiero e di passione e pregio (o
torto maggiore) non di teatralit. Voglio vederla in /scena e studiarla prima di pro-
mettervi di riuscire nella mia parte.
Se tardate mandarmi Fragilit non faro [sic] pi tempo perch a Roma e me ne
dispiacerebbe.
Credete a me non correggete i vostri lavori. non /togliete nulla ad essi, non farete
limandoli che limare la loro bellezza.
Come va la vostra salute? Io benone. Il successo un ricostituente.
Dunque per le prove di Madre sarebbe bene che ci foste aizzate in collo e veni-
tevene a Roma.
Eccovi una mano buona e affettuosa di voi devotamente

E. Duse Checchi

Doc. 3
Eleonora Duse ad Achille Torelli
Roma, 28 ottobre 1883
Lettera mutila

BNN, ms. L.P. Ba xiv (121


mm. 177 x 114, 1 c.

158
ELEONORA DUSE. NUOVI FRAMMENTI AUTOGRAFI

Roma 28 ottobre 83

Ho promesso a me stessa di rimettere in scena tutto il vostro repertorio quello alme-


no che riguarda la parte femminina si capisce!
Ora voi pure dovete aiutarmi e anche sapere attendere e dare tempo al tempo.
La Moglie mi va []

Doc. 4
Eleonora Duse ad Achille Torelli
s.l., s.d.

BNN, ms. L.P. Ba xiv (117


mm. 170 x 220, 1 c.

Caro Torelli
molte e molte grazie del cortese saluto. Vi ricambio affettuosamente saluto e augu-
ri. Spero nulla di grave vi tormenta, e sarete presto ristabilito. Spero vedervi prima
della mia partenza.
Molte buone cose

E. Duse

Doc. 5
Eleonora Duse ad Achille Torelli
[Napoli, 18 gennaio 1889]
Carta intestata: un cartiglio con la scritta: Beati qui lugent quoniam ipsi consolabuntur

BNN, ms. L.P. Ba xiv (119


mm. 212 x 130, 2 cc.

Venerd
Egregio e carissimo amico. Non vi si visto pi al Sannazaro.
Perch
Avete diffidato di me?
Un tempo, ebbi paura della vostra Duchessa Don Giovanni, oggi non pi. Le vado
incontro poich credo dintenderla.
Le parti sono quasi copiate e lo [sic] metteremo in prova ai primi di Febbraio.
Per esecuzione, e concerto, eseguiremo la vostra volont. Voi dirigerete le prove.
Vi va? Passate da casa mia, avr piacere, tanto, di vedervi e parlarvi.
Saluti

E. Duse

159
TERESA MEGALE

Doc. 6
Eleonora Duse ad Achille Torelli
[Napoli], 19 gennaio 1889

BNN, ms. L.P. Ba iii (38


mm. 202 x 130, 2 cc.

Amico buono. Se ieri vi ho detto che prendo in braccio la vostra Duchessa, non c
nessuna ragione perch oggi io dovessi cambiare idea.
Per conciliare per un possibile contratto con Rossi, ditemi voi, come volete fare?
Volete dare a Rossi la precedenza?
Fatelo, se vi conviene. Vi assicuro non mi duole che lo facciate. Limportante che la
comedia [sic] vada bene e che vi frutti anche dei quattrini. Sono oggetti conside-
revoli i quattrini. Calcolate che fino al 1 febbraio, io non posso, proprio non posso,
incominciare le prove ma una volta avviate in otto o 10 giorni andr.
Combinate con Rossi come pi vi conviene.
Ecco tutto.
Vi ringrazio della vostra buona lettera.
Avete ragione. Chi resiste a vivere solo riesce a vivere buono. Non siete il solo che
stanco e stonato della vita durtoni che si vive ogni giorno, / ma ogni giorno passa
un giorno, e qualunque sia la via, e la vita vissuta, la strada che se ne fa ogni giorno
conduce alla quiete. C chi sa meritarsela.
Ave!
Statevi bene.

Eleonora

Doc. 7
Eleonora Duse ad Achille Torelli
[Napoli], s.d.

BNN, ms. L.P. Ba iii (37


mm. 155 x 115, 1 c. e una busta

Caro Torelli.
Ho salito le scale per trovarvi niente,
pas de chance
Fate una corsa allHtel Vesuve.
Parto domani
e vorrei tanto vedervi.

Eleonora Duse

160
ELEONORA DUSE. NUOVI FRAMMENTI AUTOGRAFI

Doc. 8
Eleonora Duse ad Achille Torelli
s.l., s.d.

BNN, ms. L.P. Ba xiv (123


mm. 90 x 112, 1 c.

Carissimo Torelli e gentilissimo amico.


Ho ricevuto e vho scritto grazie, di cuore per il piano del vostro bello e forte dramma.
Ma voi mi pressate di porlo in scena in un momento in cui proprio non posso occu-
parmene, per tante varie ragioni, che sarebbe / troppo lungo spiegarvi.
Restiamo dunque cos: 1 che io vi sono riconoscente e devota. 2 che vi ringrazio e che
quando potr metter in scena. 3 che se lattesa vi nuoce io vi prego di fare linteresse
vostro, affidandolo se credete, ad altri artisti. Fra voi e me sono inutili i complimenti.
Vogliatemi bene

E. Duse

Doc. 9
Eleonora Duse ad Achille Torelli
[Napoli], 1 febbraio 1889

BNN, ms. L.P. Ba xiv (122


mm. 203 x 130, 2 cc.

1 Febbraio 89.

Carissimo Torelli
La Duchessa Ravaschieri ha cortesemente ed insistentemente domandato chio pren-
da parte a una recita di beneficenza che ella stessa organizia [sic].
Ora per far questo stato scelto una commedia in un atto, e in versi, di G. Giacosa,
che io ho recitato solo una sera, 4 anni or sono [sic].
Ci dunque necessario / per me e per due attori della compagnia che reciteranno
con me di riaffiatare il piccolo poema.
Rimangono, dunque, necessariamente rimandate le prove della Duchessa vostra.
Perdonatemene il ritardo, ma per beneficenza, e alla Duchessa Ravaschieri, a tante
intercessioni nulla si niega.
Se per, / credete intanto di affrettarne lesecuzione nella Compagnia ove il Zaccone
che ve lha chiesta, non danneggiatevi, e provvedete, con giudizio, in modo che ne
abbia utile Zaccone, e lautore, da lui pregato!
- abbiate pazienza, pel ritardo, e vogliatemi bene!
e statevi bene!

E. Duse

161
TERESA MEGALE

Doc. 10
Eleonora Duse ad Achille Torelli
s.l., s.d.

BNN, ms. L.P. Ba viiibis (12


mm. 85 x 113, 1 c.

Caro Torelli
Mandatemi il copione. Se la comedia [sic] la trovo adatta alla Compagnia, e al mio
piccolo io, allora continueremo.
Saluti tanti!

E. Duse

Doc. 11
Eleonora Duse ad Achille Torelli
[Roma], 23 marzo 1899

Carta intestata: Rome-Grand Hotel. Il logo in alto a sinistra reca la scritta: Tout
chemin mene a Rome.
Destinatario: Egr. Achille Torelli Ministero dellIstruzione (Piazza Minerva?) Roma.

BNN, ms. L.P. 132


mm. 210 x 134, 2 cc. e una busta

Due giorni di ritardo a rispondere alla vostra lettera, ma caro Torelli, ho avuto una
leggera influenza che mi tiene ancora a letto, e non ho potuto scrivere. Per oggi sto
meglio, ma ogni mio progetto di lavoro in ritardo, e non so se ora trover uno-
ra libera.
E al mio ritorno da Sicilia / si potrebbe?
Sapete attendere?
Dite per me, vi prego, tutta la mia devozione ad Adelaide Ristori.
A voi affettuosamente

E. Duse

23 marzo 1899

Doc. 12
Eleonora Duse ad Achille Torelli
s.l., dicembre 1921

162
ELEONORA DUSE. NUOVI FRAMMENTI AUTOGRAFI

BNN, ms. L.P. 131


mm. 215 x 130, 2 cc.

Decembre [sic] 21

Prima di ripartire, amo ripetervi Grazie per ogni parola che ho riudita da voi.
Ho ritrovato, per caso, questo ritratto di Scrollina e pregovi accoglierlo.
Esso vi ricordi la parola della mia immutata devozione sempre.

Eleonora Duse

Natale 21

Doc. 13
Eleonora Duse a Nina
s.l., s.d.

BNN, ms. L.P. 322


mm. 315 x 210, 1 c.

Cara Nina,
va subito dalla Bossi, portale questo camice di seta e dille di farmene con la pi gran-
de sollecitudine, per domani sera uno eguale in seta bianca.
Dille che scelga la migliore qualit di seta bianca che ha.
Poi va dal Rondi, quello dei gessi di ieri.
Digli che ti dia subito quella Madonna grande del Verrocchio / che contrattai ieri.
una madonna grande e si chiama ricordati : Madonna del Verrocchio.
La fai incartare bene, te la metti in vettura con te e la consegni alluomo.
Gli dirai anche (al Rondi) che ieri scelsi anche / una piccola mensola di gesso con due
griffoni, del prezzo di cinque lire, e non la trovai nei pacchi.
Raccomanda alla Signora Bossi la massima sollecitudine.
Mandami una camicia bianca da notte, dellultimo atto della Comedia [sic].
Ne ho due, una fine, e una di qualit inferiore, mandale tutte due.
Se hai biancheria, dovresti avere una camicia da notte, mandala.
Se hai delle calze leggere bianche mandale.
Ordina alla Bossi altre due cravatte bianche da uomo uguali a quelle che son andate
perse per non averle appuntate e lasciate nella carta velina.
Spicciati.

E.D.

163
TERESA MEGALE

Doc. 14
Eleonora Duse a Domenico Lanza
Frankfurt, 28 novembre 1908
Telegramma destinato a Domenico Lanza Stampa Torino

BNN, ms. L.P. 386


mm. 225 x 245, 1 c.

Ricevo lettera ringrazio infinitamente sono incerta e inquieta per Politeama ambien-
te forse troppo vasto per Ibsen. Per tale lavoro lambiente cosa molto importante
pregovi calcolare bene e ripetermi con ponderazione vostra opinione in ogni modo
preferisco rimanere strettamente al programma Ibsen e preferisco dare una sola recita
con Borkmann [sic] tanto pi che non potr andare oltre il 21 prego farmi telegrafa-
re dai Chiarella risposta conforme a questa proposta sar domani Wiesbaden Nassau
Hotel sono tanto felice potere ancora una volta esservi grata e dirvi grazie e au revoir.

Eleonora Duse.

Doc. 15
Eleonora Duse a Domenico Lanza
Wiesbaden, 30 novembre 1908
Telegramma destinato a Domenico Lanza Torino Stampa

BNN, ms. L.P. 387


mm. 225 x 240, 1 c.

Rinnovo ringraziamenti telegrafo io stessa Chiarella che prender decisione dopo


aver visto teatro lavorare per Ibsen mi sta a cuore e temo arrischiarlo per una sola se-
ra en [sic] ambiente non adatto riconoscente a voi decider con voi cosa fare al mio
arrivo Torino buon saluto e buon augurio.

Eleonora Duse

Doc. 16
Eleonora Duse a Gaspare di Martino
Firenze, 12 giugno 1910 [data del timbro postale]
Destinatario: Gaspare di Martino, Via Corrieri a S[an]ta Brigida, 14, Napoli

BNN, ms. L.P. 801


mm. 214 x 153, 1 c. e una busta

164
ELEONORA DUSE. NUOVI FRAMMENTI AUTOGRAFI

Egregio Signore,
molto in ritardo arriva la sua raccomandazione a me diretta, in lettera aperta in favo-
re di M[aria] R[osa] Guidantoni.
La Signora M[aria] R[osa] Guidantoni fu ed , da anni soccorsa da me ahim,
nei limiti del possibile.
Non so dirle dunque quanto la sua iniziativa mi abbia sorpreso.
Non posso dare nessunaltra / risposta alla sua lettera aperta, poich veramente credo
che a certi dolori e a certi conforti meglio conviene il silenzio.
La prego dunque non rendere questa mia di pubblica ragione.
Coi migliori saluti.

E. Duse

Doc. 17
Eleonora Duse a Gaspare di Martino
Roma, aprile 1914
Lettera scritta fronte retro, a matita, su fogli sciolti.

BNN, ms. L.P. 802


mm. 215 x 130, 4 cc.

Roma. Aprile 914

Certo; difficolt,
errore,
e incertezza di tutto.
Cos questo cominciamento,
cos per ogni cosa di vita; ma niente immutabile.
Ogni giorno gi apporta nuove correnti, nuove esperienze, qualche forza amica che
ieri era ignota, oggi per noi, e qualche resistenza, sar, forse, col tempo, tramuta-
ta, o lontana.
Questo iniziare, ora, non sar n un sistema, n un programma da seguire fissato e
inamovibile, ma sar solo preparare un domani, un ambiente, unattivit ben diret-
ta, unenergia non dispersa infine, un riconoscere la necessit di / fare noi stessi
per noi stessi.
Certo, bisogner pazientare, attendere molto, riunirci se pur a poco a poco, ma non
per vagar fra nuvole e sogni, n per avere catene al piede.
Abbiamo degli amici, e dei nemici; giusto, bello che sia cos, abbiamo il tempo
per noi, per vagliare gli uni e gli altri, e noi stessi prima di tutti.
Cominciamo come si pu
e
dove si pu, e
andiamo oltre.

165
TERESA MEGALE

Le dissi che speravo in uno stato danimo e questo Ella ha gi creato con la sua parola
nobile e bella, il resto muter, si completer, come sempre succede, strada facendo.
A poco a poco, / questo inizio si tramuter, si esprimer da s e per s, evolvendosi
sempre, ingrandendo se stesso, diventando una cosa esistente fra le fugaci cose di no-
stra vita, assumendo nuova forma, nuova espressione.
Questo ridico a Lei, con tutta fede, quasi che io senta necessit di ridirle questa fede,
dopo aver ricevuto la sua lettera che [] copiai tristamente.
Spero che lincomprensione non sar turbata n da rifiuti n da malintesi, penosi
entrambi.
Esiste solo, per ora, una circostanza che renderebbe forse propizio il ritardo di qual-
che giorno, cio aspettare la prima settimana di Giugno per avere a Roma Tina di
Lorenzo, che fu fra le prime adesioni, e preziosa. /
Infine! Si vedr!
Per ora, eccole la mia preghiera e il mio augurio: che niente turbi la fusione dei pri-
mi mezzi, e dei primi elementi indispensabili.
Sono certa che, per ora, qualsiasi eliminazione sarebbe gi creare un disaccordo.
Se ella dunque acconsente di avere la sua calda parola di Luce, la prego sia alcuna an-
che parola di bont verso gli eventi, senza guardare intorno, senza illudersi, Ella pu-
re a sua volta, che io possa, io, che pur intravedo un libero mare per tutti noi, che io
possa per, ora, / nelle condizioni attuali, navigare contro corrente.
Gli ambienti esistono, le forze contrarie esistono, non le ho create io, per certo, ma
le ho trovate organizzate e viventi, e come bene viventi, da anni e anni, fra noi, con
noi, per noi, in favore e contro di noi.
Io, non posso dunque che andare pi oltre senza assumermi di fare, io, dellordine,
fra le cose discordi.
Dicemmo, parlando, qui a Roma, / che per preparare lambiente a questo inizio, oc-
corre carta ed inchiostro e poich in questo momento, la mia buona sorte me lo
consente, nei mezzi che mi sono possibili, ecco, che di cuore offro la carta e lin-
chiostro ma la parola lanima della cosa, e questa la doni Lei!
Le dico grazie, con tutta confiance.

Eleonora Duse

Saluti
alla gentile Signora Di Martino. /

P.S. Scusi questo scrivere a matita. Ma scrivere mi di fatica grande, e a matita m


pi facile farlo.

Doc. 18
Eleonora Duse al Conte di San Martino
Parigi, s.d. [dopo il 1915]
Destinatario: Paris, Conte di San Martino Rue Copernic 39

166
ELEONORA DUSE. NUOVI FRAMMENTI AUTOGRAFI

Intestazione e monogramma: Hotel Continental Paris

BNN, ms. L.P. 539


mm. 205 x 135, 2 cc. e una busta

Stasera, alle 4.

Le scrivo grazie per ogni cortese parola.


Vorrei poterle fissare un giorno ma avrei dovuto partire ieri.
Stasera, / e veramente propizio sarebbe per me poter partire domani.
Per ci, la prego, attendere fino a domani una mia risposta che sar la decisione, se
potr rimanere, / e parlarle, o partire, e pregarla farmi sapere a Firenze il movente
della sua lettera.
Con tutta stima

E. Duse

167
CO2. INTERVISTA A GIORGIO BATTISTELLI

A cura di Anna Menichetti

Il teatro alla Scala di Milano ha inaugurato le manifestazioni di EXPO 2015,


dopo la Turandot di Puccini e il bellissimo finale scritto da Luciano Berio in
apertura il 1 maggio, con lopera in prima esecuzione di Giorgio Battistelli1

1. Nato ad Albano Laziale nel 1953, Giorgio Battistelli ha studiato composizione al conser-
vatorio dellAquila dove si diplomato nel 1978, frequentando contemporaneamente i seminari
di Karlheinz Stockhausen e Mauricio Kagel a Colonia. Tra il 1978 e il 1979 ha seguito i corsi
sul teatro musicale contemporaneo di Jean Pierre Drouet e Gaston Sylvestre. Dal 1981, anno
di Experimentum Mundi, ha inizio unintensa attivit di scrittura di opere per il teatro musicale.
Le sue composizioni sono state rappresentate presso il Festival dAutomne al Centre Pompidou
di Parigi, i festival di Salisburgo e di Lucerna, la Biennale e la Gasteig di Monaco, la Biennale
di Berlino, laccademia nazionale di Santa Cecilia, in teatri quali La Scala di Milano, lOpera
di Roma, il teatro Comunale di Firenze, nei teatri dellopera di Anversa, Strasburgo, Ginevra,
Brema, Mannheim, Almeida di Londra, e inoltre a Hong Kong, Adelaide, Brisbane, Melbourne,
Sydney, Wellington, Taipei, Tokyo, New York, Washington, Singapore, La Paz, Pechino. La
sua musica stata eseguita da direttori come Riccardo Muti, Antonio Pappano, Lorin Maazel,
Daniele Gatti, Daniel Harding, dm Fischer, Jukka-Pekka Saraste, Myung-Whun Chung,
Susanna Mlkki, Zoltn Pesk. Ha collaborato con i registi Robert Carsen, Luca Ronconi,
Georges Lavaudant, Mario Martone, Michael Londsdale, David Pountney, Daniele Abbado,
con Fura dels Baus e Studio Azzurro, e con interpreti come Toni Servillo, Bruno Ganz, Ian Mc
Diarmid, Philippe Leroy, Moni Ovadia, Vladimir Luxuria. Insignito del titolo di Chevalier de
lOrdre des Arts et des Lettres dal Ministero della cultura francese e di commendatore dellOr-
dine al merito della Repubblica italiana, stato compositore in residenza allOpera di Anversa,
alla Deutsche Opera am Rhein di Dsseldorf e al teatro San Carlo di Napoli. Ha unampia espe-
rienza di direzione artistica maturata presso lOrchestra della Toscana (dove tornato dal 2011),
la Biennale di Venezia, la Societ aquilana dei concerti, laccademia Filarmonica romana, la fon-
dazione Arena di Verona, il Cantiere darte di Montepulciano; attualmente direttore artistico
per lopera contemporanea e la musica sinfonica al teatro dellOpera di Roma. Nellultimo anno
si segnalano le prime dei lavori sinfonici commissionati dallOrchestra sinfonica nazionale della
Rai (Tail Up, diretto da Susanna Mlkki), dallOrchestra sinfonica di Mnster (Pacha Mama),
dalla Saint Paul Chamber Orchestra (Mystery Play), dallOrchestra Haydn di Trento e Bolzano
(Sciliar). In campo teatrale il 2012 ha visto la prima de Il Duca dAlba per il teatro dellOpera di
Anversa, completamento di un lavoro incompiuto di Gaetano Donizetti, e delloratorio per il

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 169-184


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18369
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
ANNA MENICHETTI

dal titolo CO2 che prende spunto dal libro di Al Gore, Una scomoda verit. Il
30 marzo 2015 abbiamo incontrato il Maestro nella sua casa di Roma per co-
noscere da vicino il nuovo lavoro e avere alcune anticipazioni. Battistelli di
recente nomina alla direzione artistica per lopera contemporanea e la musica
sinfonica al teatro dellOpera di Roma (in codirezione con Alessio Vlad) ci
ha illustrato in dettaglio i complessi meccanismi, la nascita, la progettazione
e lallestimento dellattesissima prima di CO2 , parlando anche di s: delle sue
attivit e del suo modo di vivere la propria arte.

Maestro, quali sono le origini di questa sua nuova opera, come nasce lidea?

Il progetto nasce nel 2007, quando lallora sovrintendente del teatro alla
Scala, Stphane Lissner, mi telefon dicendo che aveva piacere di parlarmi di
una commissione data dal teatro. Decidemmo di vederci la settimana seguente,
lui venne a Roma e ci incontrammo. Io da un po di tempo avevo in mente di
scrivere un soggetto che non fosse di consueto tipo narrativo, ma che avesse il
carattere di una narrazione pi comparativa, o legata a simboli che non fossero
troppo vincolanti, troppo ristretti a un ambito ideologico di storia familiare o
di storie psicologiche; una narrativit diciamo non circoscritta a una cultura
precisa e che non fosse legata alla cultura europea n orientale, n americana,
ma davvero globale. Un soggetto che doveva toccare ed essere presente nel-
la cultura di tutto il pianeta: dallAustralia alla Svezia. Stavo leggendo in quel
periodo un testo particolarissimo, che non un testo narrativo ma un testo
parascientifico: Una scomoda verit di Al Gore. un libro in cui sono riportate
ricerche, riflessioni, intuizioni, preoccupazioni temi che Al Gore ha appro-
fondito e perseguito continuamente in questi anni sullo scioglimento dei
ghiacciai, il surriscaldamento del globo e tutte le varie e drammatiche con-
seguenze. Al Gore ha dato vita a una fondazione importante rivolta a queste
problematiche con la collaborazione di giovani scienziati che fanno un serio
lavoro di monitoraggio in diversi punti del pianeta. Ne ha fatto una ragione
di vita. E quindi parlai a Lissner di questo progetto e gli chiesi cosa ne pensas-
se. Non mi fece neanche finire: quando vide il libro e il soggetto, a met della
mia presentazione e della mia proposta, si entusiasm moltissimo, dicendo: ho

San Carlo di Napoli Napucalisse. Ha insegnato alla Aldeburgh Music e nellestate 2012 ha tenuto
il corso Progetto opera presso laccademia Chigiana di Siena. Nel 2013 Battistelli ha intrapreso
la lavorazione di Lot, la sua opera su soggetto biblico commissionata dallHannover Staatsoper.
Per ulteriori informazioni si rinvia a Il punto di vista di Giorgio Battistelli, a cura di S. Ferrone e
P. Carbone, Drammaturgia. Quaderno, 1999, pp. 7-13.

170
CO2 . INTERVISTA A GIORGIO BATTISTELLI

capito tutto, ho capito quale il senso di questopera, mi piace. , in effetti,


unopera veramente innovativa per la tematica. Mi conferm quindi la com-
missione per il 2007 e iniziammo a lavorare. Scelse lui il librettista e il regista.
Il regista, William Friedkin, regista hollywoodiano (Il braccio violento della leg-
ge, Lesorcista) che da qualche anno si occupa anche di regie dopera; il libret-
tista, J.D. McClatchy, americano, docente a Boston di Drammaturgia, che ha
scritto il libretto dellopera di Lorin Maazel, 1984. Abbiamo lavorato insieme
un anno e mezzo, e ovviamente avevo cominciato gi a scrivere. Poi c sta-
to uno strappo, un confronto durissimo fra librettista e regista sulla struttura
dellopera, soprattutto sulla struttura della messa in scena. E quindi si comprese
che i due non potevano pi lavorare insieme. Lissner chiese a me chi scegliere
fra i due, ma erano stati chiamati dal teatro e io avevo gi iniziato a utilizza-
re il testo di McClatchy; inoltre limpostazione scenica di Friedkin era molto
imponente, molto cinematografica per cui si decise di cambiare il regista. La
seconda proposta che fece Lissner fu Robert Lepage, un grande regista di te-
atro con esperienza operistica, uno dei pi grandi registi del mondo. Con lui
ho lavorato circa due anni. Ma poi si ripetuta un po la stessa cosa: cio Le-
page un regista che lavora in maniera molto maniacale, nel dettaglio e ave-
va gi cominciato a costruire degli spazi simulati per lallestimento dellopera.
Lui lavora in Canada, ha a disposizione un immenso capannone dove mette
in piedi e realizza le sue idee: Lepage collabora costantemente con il Cirque
du Soleil, quindi con idee di grande spettacolarit. Fece un impianto scenico
bellissimo. Ho avuto con lui numerosi incontri, a Parigi e a Londra: abbia-
mo fatto delle sessioni di studio molto affascinanti e impegnative. Purtroppo
per, dopo due anni e mezzo, limpianto scenico che ne venne fuori risult
proibitivo dal punto di vista economico. Era una realizzazione enorme, con
degli ologrammi in scena, estremamente complessa e quindi con costi troppo
alti. Nel frattempo erano passati altri anni e si decise di cambiare regista per la
terza volta. Allora proposi, sempre a Lissner erano gli ultimi mesi della sua
sovrintendenza alla Scala di chiamare Robert Carsen, con cui avevo gi la-
vorato nel Riccardo III, una mia opera a cui tengo infinitamente, e che mi ave-
va molto colpito per il suo modo di lavorare. Fu una delle poche volte in cui
vidi un regista in azione col coro e con i cantanti sempre con la partitura sot-
to il braccio; tutti gli spostamenti in scena avvenivano con la musica davanti,
non solo visivamente belli, ma soprattutto con una pertinente ragione musi-
cale. Cos, ci siamo incontrati con Robert Carsen e Ian Burton, il suo dram-
maturgo e librettista. Ho proposto il soggetto e naturalmente avvenuta una
nuova invenzione e, a quel punto, anche un allontanamento dal testo di Al
Gore. Il tema rimasto lo stesso, cio quello del clima, ma stato reinventato
in modo diverso. Reinventare quel soggetto attraverso una struttura narrativa
simbolica, riguardante i forti problemi che oggi hanno tutti i paesi del mon-

171
ANNA MENICHETTI

do, e affrontare questo attraverso unopera, credo sia la particolarit principa-


le delloperazione. Senza cadere nellenfasi, la ritengo una forma di impegno
come poteva essere per un compositore degli anni Sessanta di impegno
politico su soggetti fortemente ideologici. Trovo che far riflettere le persone,
oggi, attraverso unopera in musica, su una problematica cos complessa e de-
licata, possa essere una forma di dovere etico e sociale; inoltre ci consente uno
sguardo da unangolatura di tipo pi estetico, artistico: unottima occasione
e un ottimo metodo di riflessione. Per cui con Carsen siamo andati avanti per
pi di un anno e mezzo e ho lavorato benissimo perch, appunto, conosco il
suo modo di fare regia. Siamo andati molto veloci, infatti. Alla fine per mi
sono trovato quasi tre opere scritte! S perch avevo tutte le scene precedenti
che non ho potuto riutilizzare, giacch erano su testi diversi e con dinamiche
drammaturgiche diverse: con Ian Burton, con il quale lesperienza di Riccardo
III stata straordinaria sia umanamente che artisticamente, ci siamo trovati
daccordo su tutto, per cui siamo andati rapidissimi e in un anno e mezzo ho
terminato lopera il percorso stato comunque molto lungo dal 2007!
soprattutto rispetto ai miei tempi di scrittura. Io ho un metabolismo veloce
nello scrivere e ho bisogno di esprimerlo subito: unincubazione troppo lunga
di un soggetto mi toglie energia. un fatto anche caratteriale: c chi ha bi-
sogno di cinque anni di riflessione e chi dopo cinque mesi inizia.

La concomitanza con lEXPO 2015 stata casuale?

S. Lopera era stata commissionata nel 2007 e prevista nel 2011. Poi dal
2011 si deciso di portarla al 2013. Nel 2013 la struttura era gi abbastanza
avanzata e forse ce lavremmo anche fatta. Ma Lissner, in accordo con il sin-
daco di Milano, mi propose di posticiparla al 2015 perch il tema dellEXPO
sullalimentazione e le problematiche dellacqua e della globalizzazione era
molto pertinente con CO2 .

Il titolo suo, Maestro?

Lo abbiamo concordato con Ian Burton. Avevamo diversi titoli a disposizio-


ne. A me piaceva anche molto il titolo di Al Gore, Una scomoda verit, che per
era fortemente politico, di denuncia. Quindi con Ian Burton abbiamo deciso di
trovare qualcosa che desse la sensazione di unespressione pi tossica e allo stes-
so tempo sintetica. E allora, lui che vive e insegna vicino a Londra, ha fatto un
esperimento con degli studenti universitari proponendo tre titoli e chiedendo
loro quale fosse quello per il quale sentivano maggiore empatia, sollecitazione
immaginifica e CO2 ha vinto, la sua tossicit ha vinto, e ci siamo decisi a uti-
lizzarlo. una formula: la prima opera che viene presentata come una formula.

172
CO2 . INTERVISTA A GIORGIO BATTISTELLI

anche interessante che il titolo sia stato scelto dai ragazzi delluniversit: un pro-
blema che li riguarda da vicino. molto bello questo. Vogliamo parlare pi strettamente
dellopera: lorganico, le voci, i personaggi?

unopera che ha una struttura molto chiara: formata da un Prologo, una


vera e propria scena introduttiva dellopera; nove scene con soggetti e riferi-
menti precisi al percorso drammaturgico, e un Epilogo. E viene rappresentata
in un atto unico di circa unora e quaranta. I passaggi da una scena allaltra so-
no molto serrati. Il personaggio principale un climatologo: Adamson (figlio
di Adamo) e si presenta al pubblico come un oratore che tiene una conferenza
sul clima: si apre il sipario ed dietro un podio, saluta il pubblico e comincia
a parlare. Naturalmente c un riferimento anche ad Al Gore: sappiamo che Al
Gore da anni gira il mondo facendo conferenze su questo problema, aprendo
discussioni sulle varie minacce e i rischi che stiamo correndo e che sta corren-
do la terra a causa del surriscaldamento globale. Adamson parla, dunque, della
necessit di una creazione. La parola creazione d inizio alla prima scena nella
quale appare la divinit Shiva, e una danza illustra il concetto della creazione
della terra. Con il movimento, attraverso latto della creazione e i momenti di
energia, si creano il globo e la convivenza di elementi anche molto distanti fra
di loro: da un punto di vista chimico, scientifico, culturale. Subito dopo ab-
biamo lapparizione di quattro scienziati, per lesattezza due ecologisti e due
climatologi, che dialogano fra di loro con posizioni anche molto diverse sulla
questione del clima nel mondo. Mentre discutono, arrivano dallalto quattro
Arcangeli che cominciano a conversare con loro. Ha inizio una riflessione sul-
le origini delluniverso, sulle stelle, sui misteri della creazione, con riferimenti
alla cultura giudaico-cristiana. Un dialogo su due livelli, quindi: uno pi me-
tafisico, religioso e uno invece di tipo pi scientifico, portato avanti dai quat-
tro scienziati. Subito dopo abbiamo una scena completamente contrapposta:
siamo in un aeroporto. Troviamo il dott. Adamson, seduto su una valigia, che
si perso perch c stato lannullamento, per ragioni meteorologiche, di una
serie di voli. Assistiamo a un momento di grande caos nellaeroporto: annun-
ci in tante lingue, tante persone che passano, tanta gente che non riesce pi a
partire. Un momento caotico ma anche molto realistico, purtroppo! Adamson
in partenza per il Giappone, per la conferenza a Kyoto, il primo importantis-
simo convegno di Kyoto del 1997, dove si cercato di realizzare un protocollo
sul clima. Rimane invece bloccato senza sapere come raggiungere la destina-
zione. Il passaggio alla scena successiva e questa la prima volta che faccio
una scena di musica completamente in stile a cappella lentrata nellam-
biente di Kyoto, il palazzo dove si svolge il convegno. Ci sono tutte le rappre-
sentanze del mondo: cinese, giapponese, russa, indiana e cos via, insomma le
varie posizioni, anche contrastanti, sul tema. E su questo ho deciso di ferma-

173
ANNA MENICHETTI

re lorchestra. I cinque cori sulla scena cantano a cappella. Tutto dialogato


e tutto affidato alla voce. La voce delluomo: fra loro parlano, dialogano, si
sovrappongono, si contrappongono. una scena molto articolata, anche molto
performativa perch questi cinque cori si rincorrono fra di loro, si scontrano,
per idee contrarie: quella americana che era contro il protocollo e non voleva
vincoli, come quella russa e cinese, oppure quella araba e giapponese; e questi
cinque cori con i loro delegati cantano in cinque lingue diverse.

Quindi con uno scontro di vocali, di consonanti, di sillabe di potente effetto fonico
e verbale?

S. E di culture, ovviamente. Il significato del testo sempre lo stesso, per


cantato in cinque lingue diverse. Chi a favore e chi contro. Quindi una scrit-
tura molto polifonica e performativa, con suoni onomatopeici: le contestazio-
ni, le proteste, gli umori. Il convegno si presenta molto duro, molto animato.
Tutta lopera CO2 cantata in inglese, il libretto in inglese, ma ci sono mo-
menti diversissimi: qui cinque cori plurilingue, un momento in sanscrito, un
coro greco che canta in greco antico. Si tratta delle varie espressioni e del va-
riegato percorso dellumanit, delle tante culture che si sono venute a creare:
una scena che vuole essere globale. E allo stesso tempo lunificazione che
viene dalla lingua inglese, che la lingua predominante del libretto, parlata
oggi in tutto il mondo.

Questa la parte centrale dellopera?

No, non proprio. Io considero la parte centrale dellopera, il punctum direb-


be Roland Barthes, lapparizione di Gaia, della Terra. La Terra che parla agli
uomini. Quello il momento del monito agli uomini. Comunque, andando
per ordine, dopo questa scena del protocollo di Kyoto sulla progressiva elimi-
nazione degli elementi inquinanti nellatmosfera anche se poi questo trattato
fu quasi un fallimento, come noto, per le posizioni estremamente contrastanti
, segue un momento di vuoto orchestrale fatto di ben undici minuti di voci
sole che si contrappongono; poi improvvisamente si sente lorchestra che via via
cresce. Entriamo nella scena degli uragani: la risposta della Terra alle questioni
che si stanno trattando. Ed un momento anche coreografico perch si trat-
ta di un balletto con grande orchestra e un coro fuori scena che canta i nomi
degli ultimi venticinque uragani dello scorso secolo: nomi di scienziati, spesso
di donne! Venticinque danzatori rappresentano gli uragani. Un momento
molto dinamico da un punto di vista anche scenico e musicale. Timbri, ritmi,
colori molto mossi. Alla fine, questi uragani si allontanano a poco a poco, con
evidente impatto sonoro determinato dal contrasto delle due scene affiancate

174
CO2 . INTERVISTA A GIORGIO BATTISTELLI

prima sole voci, poi grande orchestra ed entriamo in unaltra scena di as-
soluta poesia. Siamo immersi nel verde ed lEden. Abbiamo tre personaggi:
due bellissimi Adamo ed Eva, tenore e soprano, nudi e persi nella natura, che
cantano fra di loro con estrema dolcezza e dialogano sullecosistema; e un altro
personaggio che appare improvvisamente: il serpente, un controtenore, con il
quale si avvia il terzetto e si sviluppa fino al momento in cui riesce a donare
una mela. Il morso della mela entra in orchestra. Noi ascoltiamo quel morso:
un suono campionato, durissimo aspro forte, che chiude la scena dellEden.

Un suono campionato e con strumenti?

S con strumenti e un suono campionato elettronico. Sentiamo questo ter-


ribile morso della mela e l abbiamo il cambio repentino alla scena successiva:
ci troviamo in un supermarket, dove si continua a sentire il suono di mastica-
zione e di morsi, con unorchestra che cresce: un suono concreto, un rumore
se vogliamo, inserito dentro lorchestra e poi sommerso dallorchestra. Ci tro-
viamo nel passaggio dallEden al momento grottesco del grande supermercato
di generi alimentari, dove abbiamo una cinquantina di donne, o uomini trave-
stiti, che si muovono tra questi scaffali. E lo fanno su un ritmo quasi danzante:
c un infinito elenco di cibi che noi mangiamo e che provengono da tutto il
mondo dal Messico, da Cuba, dalla Nuova Zelanda, dalla Norvegia, fagio-
li che vengono da chiss dove, pane Un elenco ossessivo e perpetuo di una
cascata di cibi cantata dalle donne Alla fine di questa scena c lapparizione
di Gaia, che avverte che in tutto questo scambio di cibi c una contraddizio-
ne tragica perch, proprio per tutti questi trasporti di alimenti da tutto il mon-
do, si emette veleno continuo: voli, inquinamento dellaria per un cibo che
viene poi globalizzato. Tutti siamo omologati. Tutti mangiano tutto con gli
effetti positivi e negativi della globalizzazione. Sullapparizione e sul monito
di Gaia, Adamson riprende la conferenza: una scena in cui viene presentata la
teoria dello scienziato James Lovelock che nel 1979 sorprese un po il mondo
scientifico sostenendo che la terra ha un sistema di autoregolamentazione natu-
rale, nel senso che essa stessa in grado di rigenerarsi. Se viene ferita, recupera
il proprio stato di benessere; che poi lo scudo che molti scienziati sfruttano:
non preoccuparsi troppo perch poi tanto laria si rigenera. Alla fine di questa
esposizione di Adamson appare dalle viscere del teatro Gaia, che un mezzo-
soprano con tinte gravi, che parla direttamente agli uomini. Lancia un avver-
timento molto, molto forte, aggressivo e anche accorato: mi avete lacerato,
uomini, mi distruggete dallinterno, ma se uccidete me ucciderete anche voi
stessi. Attenzione per: io non mi lascer distruggere. A questa affermazione
ci troviamo in un paesaggio post-tsunami in Thailandia. Una spiaggia, una si-
gnora inglese che ha perso un familiare (una storia vera) ha una corona di fio-

175
ANNA MENICHETTI

ri in mano; accanto a lei un signore thailandese, il direttore dellhotel dove lei


alloggiava durante lo tsunami, e viene lanciata in acqua una corona di fiori.
Una scena molto bella, suggestiva, con le foto dello tsunami e le immagini di
documenti veri della sciagura. Una scena molto toccante. Da l si passa alla sce-
na dellapocalisse. Immagini apocalittiche della terra che suggeriscono in parte
quella che sar la conclusione della conferenza di Adamson, dove per la prima
volta dichiara quali sono i pericoli veri che stiamo correndo noi uomini. I pe-
ricoli della stessa sopravvivenza delluomo. Auspica un maggior rispetto eco-
logico della natura ma anche una manifestazione di amore verso la Terra. In
questa scena, mentre parla, entrano i quattro scienziati che cercano di trovare
un accordo. Latteggiamento nei confronti del convegno di Kyoto cambiato:
i quattro scienziati sentono la necessit, lurgenza di trovare una soluzione. E
mentre stanno dialogando ritornano i quattro Arcangeli che avvertono e lan-
ciano un ultimo monito: siamo alla fine, sta a voi trovare una soluzione, noi
non possiamo fare nulla. Soltanto luomo pu salvare s stesso. Scena parti-
colarmente potente, con gli effetti devastanti della rivolta della Terra. Riappa-
re Shiva che attraverso il fuoco, attraverso la distruzione, vuole e offre ancora
unopportunit di ricreare la Terra. Questo il tragitto dellopera, che deve in-
tendersi come un percorso narrativo di natura simbolica, fortemente biblico, che
richiama diverse culture, di carattere trans-culturale. Tutta lopera costruita
su tinte contrastanti, contrapposte: chiaro-scuro, forte-piano, vuoto-pieno

Secondo un criterio drammaturgico della teoria degli affetti di tradizione barocca?

S. E anche molto densa di elementi, di significati, di sentimenti. Lorgani-


co per grande orchestra: legni a tre, quattro corni, quattro trombe, quattro
tromboni, due tube, due tastiere di suoni campionati, due arpe. Grande orche-
stra con coro di bambini che stanno a indicare la possibilit della rigenerazio-
ne, di un futuro, di un mondo nuovo. E un grande coro di cento cantanti che
si frantuma in tanti diversi altri cori: donne, uomini, coro greco, coro fuori
scena. Infine le voci dei personaggi: Adamson baritono, Adamo ed Eva tenore
e soprano, il Serpente controtenore, quattro Arcangeli tre bassi e un soprano
soltanto Gabriele soprano e gli scienziati che sono tre bassi e un tenore,
un doppio quartetto quindi che si confronta. Shiva un mezzosoprano che
canta in orchestra, rimane in buca. Il concetto quello della spazializzazione
di suoni e voci. Anche Gaia un mezzosoprano. Insomma sedici personaggi
in tutto, compresi Mrs Mason e il direttore dellhotel tailandese: tanti, e natu-
ralmente alcuni hanno doppi ruoli. Inoltre devo dire che la prima volta che
lavoro su una struttura cos strettamente simbolica e con forti contrasti. No-
nostante questo non ho avuto timore o difficolt ad affrontarla, non ho prova-
to disagio ad allontanarmi da un mio sistema narrativo, di cui solitamente ho

176
CO2 . INTERVISTA A GIORGIO BATTISTELLI

sempre bisogno. stato naturalmente consequenziale mettere in relazione il


prima e il dopo e una volta messa a fuoco la struttura dellopera tutto ha pre-
so a scorrere fluidamente.

La scrittura complessa? Anche per gli interpreti?

La complessit della scrittura, come spesso nella mia musica, pi una com-
plessit di concertazione, di come fare emergere le varie voci: sia le voci dellor-
chestra, dei singoli strumenti, che le voci dei personaggi. E quindi un lavoro
sempre, spero, divertente ma pi impegnativo per i direttori dorchestra. La mia
scrittura in genere densa e proprio per questa densit c bisogno di fare un
lavoro di concertazione molto attento per tutte le voci. Diriger lopera Cor-
nelius Meister, un giovane direttore tedesco che sta facendo una carriera, direi,
folgorante in questi ultimi anni. Labbiamo visto a Salisburgo con opere impe-
gnative; venuto lanno scorso qui a Roma allaccademia di Santa Cecilia, do-
ve ha ottenuto molto successo. Da questo punto di vista mi sento molto sicuro
di avere interpreti di rilievo. Anche i cantanti sono molto bravi. Curiosamente
sono cantanti che provengono soprattutto da frequentazioni ed esperienze del
grande repertorio: Strauss, Wagner. molto interessante verificare come san-
no accostarsi con disinvoltura a una partitura di oggi, del nostro tempo. In me
c stato un cambiamento, in questi ultimi dieci anni, perch in passato cerca-
vo sempre la specializzazione, come se un cantante, un interprete, un direttore
formatosi nella musica contemporanea e del Novecento mi desse la garanzia di
possedere una sensibilit, unattenzione di maggior perizia su un tipo di scrit-
tura; devo dire, invece, che in questi ultimi dieci anni ho cominciato a fidar-
mi, non dico di pi, ma allo stesso modo: mi capitato di incontrare direttori
dorchestra che non hanno mai diretto opere moderne e che hanno realizzato
risultati strabilianti. Il primo, mi ricordo, fu Adam Fischer tredici anni fa. Un
direttore che ha sempre diretto un certo tipo di repertorio, da Haydn e Mo-
zart a Wagner, ma che non andava oltre. Quando fu chiamato in Germania, a
Mannheim, a dirigere una mia opera ero molto preoccupato e nei primi gior-
ni di prove avevo un certo timore. Poi invece ha fatto un lavoro molto serio
e accurato. Entrare dentro una partitura, che sia di Battistelli, di Wagner o di
chi altro significa sempre tirar fuori dei contenuti e con la stessa attenzione.

Non sar anche, Maestro, che la sua scrittura ha un carattere molto fluido, un gran-
de e articolato flusso sonoro e che quindi chi si occupa, diciamo, di opera tradizionale ci
si ritrova molto bene?

Questo, francamente, non posso dirlo io. Vedo che oggi la complessit della
scrittura dovuta anche al fatto che abbiamo una grande libert degli elemen-

177
ANNA MENICHETTI

ti. Carl Dahlhaus scriveva che intuizione assolutamente folgorante, precisa


loperista per sua natura impuro. E deve essere impuro perch deve poter
contemplare, deve mettere in connessione tra di loro elementi eterogenei dal
punto di vista linguistico.

C anche uno strato profondo, direi, di meccanismi di conoscenza dellopera che si


sente nella sua scrittura. Probabilmente anche la sua frequentazione assidua e professio-
nale dellopera in qualit di direttore artistico di pochi giorni fa la sua nomina alla
direzione artistica del teatro dellOpera di Roma per la musica sinfonica e per lopera
contemporanea, e questo oltre alle attivit che ha svolto e svolge in diversi teatri la tiene
sempre a contatto con una vitalit teatrale, musicale, operistica, che comporta certo proble-
matiche, decisioni ma anche risultati e visioni oggettive dello specifico comparto musicale:
non trova che tutto questo possa indirizzarla verso un linguaggio molto pratico e attuale?

Io lo sento naturalmente come un linguaggio del mio tempo, del nostro tempo,
che deve essere per sua natura un linguaggio sferico, tridimensionale. Soprattut-
to sento la diversit fra gli autori dellOttocento, ma anche da Monteverdi, fino
agli autori del primo Novecento e ai compositori di oggi. che noi, attraverso
il grande sviluppo e levoluzione della tecnologia, abbiamo in questo momento
storico la possibilit di metterci in contatto, di ascoltare visto che ci occupiamo
di ascolto tutto: dal canto gregoriano alla musica techno, alla musica elettro-
nica. Nessun altro orecchio ha ascoltato quello che noi possiamo ascoltare oggi,
quindi la tecnologia ha modificato il nostro attuale sistema percettivo. Il com-
positore dopera deve tener presente tutti questi elementi e avere il coraggio, io
lo definisco coraggio, di seguire il senso drammaturgico della scrittura piuttosto
che quello razionale, di coerenza, di un determinato sviluppo musicale. Que-
sto fondamentale. Oggi pi innovativo o pu essere molto pi innovativo
linserimento di una triade allinterno di un contesto armonico, se appare come
qualcosa di inaspettato e dirompente. Pu essere molto pi dirompente di un
cluster: la sorpresa, un qualcosa di inatteso che crea una tensione di ascolto.

Molto haydniano il legame!

E certo! Perch non si pu scrivere niente nel nome della coerenza: no,
questo io non posso farlo. Il non poterlo fare, si fa rispetto a dei canoni, dei
modelli convenzionali. E invece linteressante di oggi, per ritornare a Dahlhaus,
che, in particolare, il compositore dopera deve essere pronto a tollerare: pu
tollerare tutto, tutto nella scrittura, anche il kitsch che fondamentale. Ma non
pu tollerare la purezza, cio lessere puro. unaltra dimensione di ascolto ri-
spetto allopera, rispetto al teatro. Ma anche i grandi del passato erano impuri,
lo stesso Monteverdi lo era nello scrivere lopera. E pensiamo a Puccini. Per

178
CO2 . INTERVISTA A GIORGIO BATTISTELLI

non parlare dellOttocento italiano: Donizetti, Verdi! Verdi un compositore


straordinario, geniale ma un compositore per certi aspetti anche un po grez-
zo, anche un po sporco nel senso di non rifinito, non raffinato; ma quella
sua non raffinatezza talmente pertinente nelle cose che scrive che lo rende
uno dei pi grandi compositori che abbiamo avuto!

Indubbiamente. Tornando a CO2, Maestro, lei andr alle prove della sua opera, le
seguir?

Seguir le prove quando verr invitato perch linizio delle prove sem-
pre un momento delicatissimo, occorrer quindi andare al momento giusto. Il
7 aprile inizieranno le prove con i cantanti. Io credo che sar necessario fare
un incontro con loro per dare qualche suggerimento, e poi naturalmente con
lorchestra; anche se tendo sempre ma questo anche per mio carattere, per-
ch a me piace tendo sempre a essere sorpreso. Il mio lavoro termina davve-
ro quando consegno la partitura. E rispetto le interpretazioni del regista, del
direttore dorchestra anche quando sono molto distanti dalle mie. Mi incu-
riosisce molto vedere come un interprete pu leggere, guardare, ascoltare lo
stesso oggetto da angolature diverse. Mi permette di vedere in un altro mo-
do Mi sempre capitato, con ogni direttore dorchestra che ha diretto mie
partiture e anche lavori sinfonici o anche registi, di pensare: ma guarda come
viene!. curioso. Ricordo uninterpretazione bellissima di Luca Ronco-
ni quando fece la regia della mia parabola in musica, Teorema, da Pasolini: ne
fece uninterpretazione talmente particolare, talmente piena di poesia che ha
arricchito il mio rapporto con questopera.

E poi per un compositore, sentirla finalmente tutta, lopera composta, forse sempre
qualcosa di straordinario, anche se oggi ci sono mille modi tecnologici per potere senti-
re gli effetti, certe scelte timbriche piuttosto che armoniche Schubert docet. Sentire le
proprie opere importante

S. Certamente questo un altro grande vantaggio di oggi. Anche se io


scrivo a matita

A matita?

S, s sono ancora uno dei [ride divertito]. Devo dire che a volte ho
persino difficolt a reperire la carta. Io me la faccio stampare, perch non si
trova pi carta a 32, a 36 righi, non la fanno pi. Ma ho proprio bisogno di
questo. Poi consegno il manoscritto e Ricordi, il mio editore, laffida a copisti
che la trascrivono con un sistema computerizzato.

179
ANNA MENICHETTI

Come sono le sue abitudini di scrittura?

Io inizio a lavorare molto presto al mattino, cinque e mezzo-sei della mat-


tina. Dipende in parte dalla pressione del lavoro. Per, in genere, mi sveglio
presto: la fascia dorario fino alluna e mezza per me il momento pi forte
per la scrittura. Poi faccio una pausa di unora e riprendo a lavorare fino al-
le sette di sera. Questo quando ho impegni e scadenze. Altrimenti possono
cambiare gli orari Per io lavoro tutti i giorni: anche quando vesto i pan-
ni del direttore artistico, quando vado a Firenze, o quando lavoro nei teatri,
ho comunque bisogno di lavorare, di scrivere ogni giorno. Mi alzo la mattina
magari un po prima e alle nove e mezzo sono in ufficio o in teatro e la sera
continuo a scrivere.

Quindi la scrittura sempre?

La scrittura sempre. C stato un periodo della mia vita in cui ero molto
tormentato dal rapporto con la scrittura. Tormentato perch ero ossessiona-
to dalla paura che potesse esaurirsi, lidea che il mio pozzo creativo potesse

Un po leopardiana come idea

S, s pensavo: ma com possibile, che succeder ed stato anche


un motivo per non perch ne avessi bisogno, ma per confrontarmi e stabi-
lire un dialogo da un punto di vista psicoanalitico. Cosa che ho fatto per un
periodo con un grande psicanalista junghiano che si occupava proprio di tali
questioni, con un forte interesse per la creativit. Mi confrontavo quindi su
questi temi della creativit e della paura del suo esaurirsi Questo per dire
come la scrittura fosse vissuta da me come un perno centrale della mia esi-
stenza: io mediavo il mondo, e medio tuttora il mondo, attraverso la scrittura.
Poi lui mi rassicur molto dicendo che il dmone della creativit o si ha o non
si ha. Si pu anche far finta di averlo ma, quando si ha ed autentico, non ti
abbandona. Non lo devi maltrattare, questo no, ma lo avrai per tutta la vita.

Per un Maestro come lei che ci svela che scrive a matita, cosa che trovo meraviglio-
sa, quanto la scrittura musicale, la grafica cio il segno, sono esaustive di un pensiero?

anche questo un motivo molto inquietante, e non voglio essere di nuo-


vo leopardiano, ma un problema di perdita: perch il passaggio tra il pensiero
e la scrittura significa dover convivere con una perdita; ci che noi scriviamo
un qualcosa che si allontanato da ci che abbiamo pensato. Abbiamo per-
so qualcosa nel momento in cui viene messo su carta e certamente accettare

180
CO2 . INTERVISTA A GIORGIO BATTISTELLI

quella perdita non facile. una sofferenza per me perch vorrei naturalmente
mettere tutto, ma so che, quando traduco in segno un pensiero, avviene au-
tomaticamente una privazione. La questione poi che c una successiva sot-
trazione che si effettua tra il segno e ci che noi ascoltiamo: quando lo diamo
in mano allinterprete. L mi accorgo che c unulteriore perdita, che negli
ultimi anni per accetto molto di pi perch la vivo, come dicevo prima, co-
me un arricchimento: un modo diverso di guardare la stessa cosa; e anzi mi
piace vedere come il signor X o il direttore Y o il cantante Z interpretano il
mio suggerimento, la mia proposta.

Comunque lei sente che il segno grafico non esaustivo, non fedele a un pensie-
ro: limitato?

Ma limitato anche quando si usa una scrittura iperdeterminata. La mia


scrittura una scrittura precisa, ma sempre una sintesi rispetto a ci che
ho pensato. Curiosa, se la ricordiamo, lintuizione di Adorno quando parla-
va delliperdeterminismo del suono sostenendo che una iperrazionalizzazione
del materiale porta a una indeterminazione della struttura. Si pu razionaliz-
zare, determinare, controllare nei particolari un serialismo integrale, esaspe-
rato: se noi andiamo sul serialismo integrale, se lavoriamo su tutti i parametri
del suono, tutto sotto controllo lesecuzione di quello equivale quasi a un
pezzo aleatorio quindi liperdeterminazione ti porta allindeterminato!
un circolo inevitabile!

Lei comunque non fa ricorso a scritture particolari?

No. No, no. Utilizzo la scrittura convenzionale. Ho un mio sistema armo-


nico a cui faccio riferimento e che negli anni ho messo a fuoco, composto di
rapporti armonici fra i suoni: il mio libro dei suoni che ho l che mi serve
per creare i miei percorsi Ma come scrittura una scrittura molto tradizio-
nale e non c la tendenza al grafismo musicale. Pu capitare, come nella scena
di Kyoto dove ci sono cinque cori, che quando uso delle parole che sono dei
suoni onomatopeici del coro, devo scriverli in un certo modo, ma comunque
una scrittura sempre di sintesi e che fa riferimento al nostro sistema occiden-
tale, europeo. Non una musica aleatoria, ma non perch questa non mi inte-
ressi: dico solo che occorre sempre utilizzare ci di cui si ha bisogno, perch
quel tipo di necessit che ti porta a scrivere. Per esempio, in CO2 c un mo-
mento particolare: quando, durante il dialogo tra i quattro Arcangeli e i quattro
scienziati, entrano le due arpe con suoni eolici e circolari. Ecco, se vogliamo,
possiamo definirla scrittura aleatoria; ma in fondo non lo perch io stabilisco
un ambito, un range specifico dove devono essere prodotti questi suoni eolici

181
ANNA MENICHETTI

e chiarisco un andamento allinterno delle altezze. Ma quella una sintesi: in


quel momento serve una formula specifica. Linserimento ha un senso, proprio
l, ed in quel senso che si stabilisce la necessit di quella determinata scrittura.

Ho detto leopardiano ma in effetti dovevo dire, soprattutto in questo caso, hoffmanniano!

S, certo!

Maestro parliamo anche della missione userei questo termine nel campo della
direzione artistica e quindi dei suoi rapporti con la Toscana, con Firenze, con lOrchestra?

Con Firenze e con la Toscana ormai un rapporto pi che decennale: il


primo incarico lho avuto quindici anni fa e ho lavorato per sei anni alla di-
rezione artistica dellOrchestra; poi sono tornato e questo il mio quarto an-
no: quindi sono dieci anni! un ambiente straordinario. Considero lORT la
migliore orchestra da camera italiana. unorchestra che ha delle peculiarit
uniche per le formazioni con questa morfologia, con questo organico, perch
composta da tutte prime parti. I fiati sono tutti primi, e sempre un doppio
primo, e questo determina una qualit altissima despressione. C un siste-
ma di rotazione sugli archi, per cui non ci sono mai delle sacche statiche da
un punto di vista interpretativo, cosa importantissima anche questa. Inoltre
abbiamo fatto un lavoro straordinario sul repertorio perch abbiamo iniziato
dal periodo classico per arrivare via via al Romanticismo, al tardo Romanti-
cismo e alla musica del Novecento. E adesso e questo stato determinante
per lampliamento del repertorio stiamo portando avanti un progetto molto
interessante sulle Sinfonie di Mahler che sar pubblicato dalla Universal: pro-
porremo un ciclo di queste sinfonie trascritte per un organico che va benissimo
per noi; il che anche molto impegnativo perch ci mette a confronto con il
grande repertorio e impone, da un punto di vista tecnico-interpretativo, una
attenzione particolare. Lampliamento di un repertorio, per unorchestra, si-
gnifica sempre confrontarsi: lallargamento della letteratura corrisponde allal-
largamento della problematica tecnica.

Maestro, ora che ha terminato la scrittura di CO2, quali sono i progetti futuri?

S, finita. Infatti mi sembra di averla scritta quindici anni fa! Si talmen-


te allontanata Ora sono concentrato sulla nuova opera, che far per il teatro
dellOpera di Hannover, in Germania, su un tema biblico. Il titolo Le figlie
di Lot. Le due figlie che fanno ubriacare il padre e che poi hanno un rapporto
sessuale con lui per poter ripopolare la terra. una cosa molto forte, intensa
come tematica e molto diversa da CO2 .

182
CO2 . INTERVISTA A GIORGIO BATTISTELLI

Forse, diciamo, che ci potrebbe essere un collegamento

S, certo, la rinascita della Terra.

Un collegamento anche un po mistico?

Questo? non so. Pi che mistico forse spirituale. In questo momento un


po cos per me Prima si parlava della perdita che si determina tra il pensiero
e la scrittura e tra la scrittura e lesecuzione: proprio in quella fase problematica
ci sono dei collegamenti, per esempio, con tutta la questione che riguarda la
fede per me. curioso il percorso che ho fatto. Diciamo che il mio rappor-
to con la fede stato sempre un rapporto non risolto. Pasolini diceva: quando
entro in una chiesa, quellacustica quello spazio quellarchitettura, mi ricorda-
no che non ho risolto il mio problema con la fede [sorride]. curioso, ma
un po quello che per me avvenuto con la scrittura, perch ponendomi quei
problemi sulla perdita di dove va a finire quello che ho pensato e che non
stato messo o non rientrato nel segno, o quello che ho ascoltato o quello che
ho segnato vi ho trovato qualcosa che ha a che fare un po con le questioni
di fede e poi forse anche con il dubbio ecco. Il dubbio una questione
molto particolare. Il festival che dirigo a Firenze, Play it!, dedicato alla mu-
sica italiana, ogni anno ha una tematica pi di natura filosofica che musicale
anche se poi i compositori scrivono quello che vogliono e di dibattito, di
confronto. Ogni mattina c un incontro fra tutti i partecipanti e cos il tema
del prossimo festival sar Il dubbio. Quindi il dubbio sulla scrittura, il dubbio
del creare, quali sono i dubbi che hanno i compositori o gli interpreti. Dubbi
di natura diversa ovviamente. Perch il dubbio non solo incertezza, fragili-
t, ma anche dinamica. Il dubbio dinamico, non depressivo, cos come il
dubbio amletico, lacerante Anche nella fede importante ritorna spesso
in tante parti della Bibbia, sicuramente il momento pi intenso della fede, no?

In ogni caso ricerca, approfondimento. Terrorizzante, a mio avviso, chi ha solo


certezze

Esatto: mi fanno sempre paura coloro che hanno sempre certezze

La parola credo esemplare. In molte lingue, ma soprattutto in italiano, significa cre-


dere, sinonimo di certezza: credo, affermativo; ma anche credo il dubbio costruttivo.

S: inteso come forse, chi lo sa Certo. Una volta parlai proprio con un
cardinale di questi argomenti Mi proposero di scrivere una Via Crucis, di-
versi anni fa. Pranzando con questo prelato ho affrontato il tema della fede. E

183
ANNA MENICHETTI

lui mi fece una precisazione molto importante. Gli dissi: ma sa, io sono av-
volto nel dubbio, un dubbio che mi fa male, che mi distrugge, che mi lacera;
non ho usato il termine dubbioso perch mi pareva estremamente riduttivo.
E lui mi disse: ma pi che un dubbio, lei dubitante. Quindi non dubbioso.
Mi sembrata unespressione pi delicata.

Come il passo, che pu essere dubitante.

S. Adopero il dubbio, ma per andare avanti, non per restare fermo

184
RICERCHE IN CORSO

Teresa Ferrer Valls

IL PUNTO SUL MONDO DEGLI ATTORI


DEL SIGLO DE ORO*

Le prime compagnie che iniziarono a organizzarsi in Spagna a partire dagli


anni Quaranta del Cinquecento recitavano, noto, in spazi non pensati spe-
cificamente per ospitare spettacoli teatrali: nei cortili delle locande e in edifi-
ci pubblici, in case private, nei saloni e nei cortili aristocratici, nelle strade e
nelle piazze delle citt e anche nelle chiese in occasione di alcune celebrazioni
religiose. Negli anni Ottanta del XVI secolo si aprirono gradualmente i primi
spazi teatrali commerciali detti corrales, cortili o case di comedias a seconda delle
zone geografiche. Nella penisola iberica lesistenza di questi edifici, utilizza-
ti in maniera stabile e regolare come spazi per lattivit drammatica, diede un
impulso decisivo al consolidamento delle compagnie professionali e rafforz
il commercio del teatro.
La popolarit di tale fenomeno culturale e commerciale suscit ben presto
linteresse delle autorit che stabilirono tempestivamente regolamenti sia per gli
edifici pubblici e il loro uso teatrale sia per lorganizzazione delle formazioni.
Si ricordi, ad esempio, che dopo un primo periodo di divieto, nel 1587 il Con-
sejo Real decise che le donne potessero far parte legalmente delle compagnie.
Negli anni seguenti, tuttavia, non mancarono polemiche generate da quella
ostilit verso il teatro, capitanata da alcuni severi moralisti, che attravers pi
o meno sotterraneamente tutto il XVII secolo. Malgrado il loro successo, gli
attori non furono riconosciuti come corporazione finch, nel 1634, non ven-
ne sancita ufficialmente la fondazione della Cofrada de Nuestra Seora de la
Novena. Listituzione di questa confraternita era stata portata a compimento
da alcuni dei pi prestigiosi capocomici dellepoca. Fu un passo avanti nellor-
ganizzazione e nella difesa degli interessi degli attori e fu soprattutto, da parte
di costoro, un tentativo di offrire una immagine socialmente accettabile della
loro professione. Non si dimentichi che la confraternita nacque sotto la prote-
zione della Madonna e che stabil la propria sede nella madrilena chiesa di san
Sebastin. In quel 1634 lattivit dei comici professionisti era ormai radicata
nella societ e nella cultura spagnole. Gli attori avevano contribuito in modo

*
Si pubblicano qui, con ritocchi, aggiornamenti e in traduzione italiana, le pagine gi ap-
parse su nsula, 2013, 802, pp. 7-9.

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 185-196


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18370
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
TERESA FERRER VALLS

fondamentale alla trasformazione del teatro in un fenomeno aperto a un pub-


blico amplio ed eterogeneo e, con i loro itinerari e i loro viaggi, consolidarono
i circuiti teatrali della penisola, circuiti che si sarebbero protratti nel tempo.
In Spagna esiste un ricco patrimonio documentale che permette di rico-
struire una buona parte dellattivit dei professionisti della scena dagli inizi a
tutto il XVII secolo, un giro di tempo coincidente con il periodo di splendo-
re noto come teatro classico spagnolo. Un periodo nel quale gli attori fecero
vivere sulle scene i personaggi di Lope de Vega, Caldern de la Barca, Luis
Vlez de Guevara, Juan Ruiz de Alarcn, Francisco de Rojas Zorrilla, Agu-
stn Moreto e altri drammaturghi. Rispetto ad altri paesi europei limitrofi,
che ebbero una attivit teatrale simile, in Spagna, si detto, particolarmente
abbondante la documentazione prodotta, su diversi versanti, da tale attivit;
e non soltanto in rapporto ai teatri commerciali, ma anche in relazione alla
festa del Corpus e alla messa in scena degli autos sacramentales; per non dire dei
processi di produzione, realizzazione e fruizione degli spettacoli di palazzo
e delle grandi feste cortigiane. Numerosi sono i contratti a noi pervenuti tra
attori e capocomici, al pari di quelli con i corrales de comedias e con le autorit
ecclesiastiche o con i comuni, in occasione di festeggiamenti religiosi e per la
celebrazione del Corpus Domini. Unaltra fonte importante sono gli ordini di
pagamento per lorganizzazione delle grandi feste di corte, cos come per le
rappresentazioni di particulares che avevano luogo in privato dinanzi ai membri
della famiglia reale. I libri contabili, sia dei corrales sia di palazzo, o le querele
tra gli affittuari dei corrales e i comuni, ai quali costoro dovevano rendicontare
le rappresentazioni, sono tra i documenti pi rilevanti. Ancora. A volte si pos-
sono trovare inventari di robbe e di commedie nascosti tra le carte dei banchi
di pegno o possiamo meglio conoscere le biografie di alcuni attori grazie ai
loro testamenti oppure alle querele di diversa natura nelle quali essi potevano
essere implicati a vario titolo: ad esempio, per un divorzio o per una accusa di
bigamia o di concubinato.
Dal punto di vista biografico, il primo tentativo di raccogliere le notizie
sui professionisti della scena in Spagna risale al 1723, data della probabile con-
clusione della Genealoga, origen y noticias de los comediantes de Espaa, un mano-
scritto che fu pubblicato nel 1985 da Shergold e Varey nellimportante collana
Fuentes para la historia del teatro en Espaa edita da Tamesis Books e a cui
ha dato impulso Varey al quale dobbiamo il ricupero di basilari documenti del
nostro patrimonio teatrale. Fin dagli inizi del XX secolo Rennert, in appen-
dice al proprio studio The Spanish Stage in the time of Lope de Vega (1909), inser
una List of Spanish actors and actresses. 1560-1680 basandosi sulla principa-
le documentazione pubblicata sino ad allora, specialmente nei lavori di Prez
Pastor, Snchez Arjona e altri. Nel secolo scorso tale studio fu imprescindibile
per ogni studioso in cerca di notizie sugli spettacoli e gli attori di professio-

186
GLI ATTORI DEL SIGLO DE ORO

ne. Proprio dal 1909 aumentarono costantemente le pubblicazioni che svela-


vano nuovi documenti o sviluppavano studi sullattivit teatrale di citt come
Valncia, Crdoba, Sevilla, Valladolid, ecc., oppure che raggruppavano fonti
al servizio delle biografie di alcuni attori, come quelle di Cotarelo su Mara de
Crdoba e Andrs de la Vega. Una mole di lavori che poi crebbe notevolmen-
te grazie alla gi citata collana Fuentes para la historia del teatro en Espaa.
La pubblicazione nel 2008 del database Diccionario biogrfico de actores del tea-
tro clsico espaol (DICAT), un progetto che ho diretto fin dal 1995, ha raccolto
per la prima volta le notizie fondamentali pubblicate in lavori importanti per
il loro apporto documentario: dai classici di Mrime, Prez Pastor, Alonso
Corts sino ai pi recenti contributi di Varey e Shergold, Sentaurens, Haley,
Sarri, De la Granja, De los Reyes Pea, Bolaos, Sanz o Garca, fra i tanti;
dando vita cos a un elenco di quasi trecento referenze. DICAT comprende un
archivio bibliografico con tali referenze, al quale rinvio per brevit. E giova
consultare anche il sito La casa di Lope che, dal 2001, registra la bibliografia
fondamentale sul teatro spagnolo del Secolo dOro (http://www.casadilope.it).
Il nostro database propone un elenco di circa cinquemila attori, autores (ca-
pocomici) e musicisti di compagnie professionali dai tempi di Lope de Rueda
sino alla fine del XVII secolo. DICAT registra tutte le informazioni che pro-
vengono da tali fonti. I dati sono stati vagliati, collazionati e organizzati criti-
camente in un formato digitale che consente allutente di stabilire molteplici
relazioni tra i documenti. Si possono effettuare ricerche mirate su determinati
attori e studiare i differenti aspetti della professione comica: la struttura del-
le compagnie, i loro itinerari e i loro repertori, le loro condizioni di lavoro e
i loro guadagni o la condizione professionale della donna nelle formazioni.
Dal 2005, data limite della bibliografia inserita in DICAT, proseguita
la pubblicazione di documenti inediti. Ricordo soprattutto i libri di Garca
Gmez (2008) sulla vita teatrale a Crdoba, o di Snchez Martnez sul teatro
a Murcia (2009). Ricordo anche, per il loro apporto documentale, alcuni ar-
ticoli di De los Reyes Pea e Bolaos Donoso, studiose attive in archivio da
molti anni (Reyes Pea, 2007, 2009; Bolaos, 2006, 2007a, 2007b, 2009); o,
ancora, Sanz Ayn (2009). Questultima ha recentemente raccolto una scelta
dei suoi lavori in Hacer escena. Captulos de historia de la empresa teatral en el Si-
glo de Oro (2013).
Grazie al formato del database DICAT tutta questa nuova documentazione
e quella a venire potranno, in un futuro non lontano, essere immesse nella ban-
ca dati, completando cos le biografie di attori, attrici, musicisti o ampliando
lelenco dei professionisti della scena finora noti. Il dvd di DICAT compren-
de anche la trascrizione digitalizzata del manoscritto, conservato nellarchivio
del Museo nacional del teatro (segnatura 4115-doc), che riunisce i documenti
legali e i regolamenti riguardanti la fondazione della gi citata corporazione

187
TERESA FERRER VALLS

di attori della Cofrada de la Novena, nonch un ampio archivio dimmagi-


ni che aiutano il lettore a richiamare alla memoria gli spazi principali (corrales,
Corpus, palazzo) in cui lavorarono questi comici professionisti.
Insomma, DICAT incrementa le pubblicazioni che migliorano la cono-
scenza del patrimonio teatrale dambito europeo. Per citare solo alcune refe-
renze imprescindibili ricordo che sia per il teatro inglese sia per quello francese
disponiamo da tempo di strumenti biografici dedicati allattivit dei professio-
nisti del teatro. Si pensi, ad esempio, a Nungezer (1929), a Highfill, Burnim e
Langhans (1973-1993) o a Mongrdien (1961; 19712). Quanto al teatro italia-
no, Siro Ferrone dellUniversit di Firenze dirige dal 2001 il progetto AMAtI
(Archivio Multimediale degli Attori Italiani) consultabile in rete (http://amati.
fupress.net) e che raccoglie dati sugli attori dal Cinquecento a oggi.
In Spagna, tra la gran quantit di documenti contenenti notizie sullattivit
dei professionisti del teatro, si trovano spesso titoli di commedie. Ci permet-
te di schedare un considerevole numero di messe in scena del Secolo dOro.
Il gruppo di ricerca teatrale DICAT (http://www.uv.es/dicat), sempre da me
diretto, lavora in questo periodo al progetto CATCOM (Las comedias y sus re-
presentantes: base de datos de comedias mencionadas en la documentacin teatral 1540-
1700) che ha lobiettivo di redigere un calendario elettronico di spettacoli. Un
progetto i cui primi risultati possono essere consultati in rete (http://catcom.
uv.es). Fino a oggi sono stati immessi seicento records frutto del trattamento di
pi di mille titoli fra quelli principali e secondari o alternativi acclusi in ognu-
no di tali records. Le informazioni, riepilogate in ogni titolo di voce, offrono
non solo la data o le date di rappresentazione di unopera, ma illustrano anche
il contesto di produzione e realizzazione (la compagnia che la mise in scena,
il luogo, lo spazio pubblico o privato). Il database dispiega una rete di relazio-
ni tra titoli e secondi titoli e rifacimenti drammaturgici facendo il punto sulla
questione della autorialit, a partire dal confronto e dallo studio dei dati for-
niti dai cataloghi e dalla bibliografia specializzata.
Negli ultimi due decenni, noto, lo sviluppo delle nuove tecnologie e la-
pertura di un nuovo settore, le Scienze umanistiche digitali, sono stati stra-
tegici per la realizzazione di strumenti che forniscono agli studiosi del teatro
classico spagnolo una notevole quantit di informazioni e la possibilit di sta-
bilire molteplici collegamenti tra i dati. E vanno ricordati altri progetti che
offrono notizie sulla pratica scenica di attori e compagnie. il caso di Manos
teatrales diretto da Margaret R. Greer: un database con notizie attinenti alla-
nalisi della grafia dei manoscritti teatrali e che ha lobiettivo di dare vita a un
catalogo di copisti in rapporto al materiale analizzato. Alcuni di questi ma-
noscritti furono strumenti di lavoro per le compagnie e contengono nomi di
attori, di attrici, di capocomici e, talvolta, tracce delle date di messa in scena
di alcune opere drammatiche (http://manosteatrales.org).

188
GLI ATTORI DEL SIGLO DE ORO

Bisogna inoltre menzionare, sullo stesso versante, il progetto diretto da


Hctor Urziz, CLEMIT (Censuras y licencias en manuscritos e impresos teatrales),
un database in cui possono essere rintracciati permessi di recite anche per sta-
bilire nessi tra le diverse compagnie teatrali (http://www.clemit.es).
Dunque, la comparazione dei dati favorita da questi strumenti digitali pu
produrre esiti interessanti anche circa le date di composizione o di rappresen-
tazione dei testi, nonch sulla paternit di alcune opere drammatiche, come
ho segnalato recentemente (2014). Ricordo, tra i lavori di questo tipo, quelli
di Ferrer Valls (2003a, 2003b), De Salvo (2003) o Garca Reidy (2009, 2011) e
penso specialmente alla recente scoperta della perduta opera di Lope de Vega
Mujeres y criados, rintracciata da Garca Reidy e resa possibile dalla collazione
dei dati di CATCOM e Manos teatrales, come ha spiegato il medesimo studio-
so (2013) membro dei teams di entrambi i progetti.
Contestualmente alla linea di ricerca centrata sul recupero di fonti su-
gli attori e sulla pratica scenica, negli ultimi anni sono stati compiuti studi
che, prendendo le mosse dai documenti noti, affrontano particolari aspetti
della professione teatrale completando o aggiungendo sfumature al pano-
rama generale che fu tracciato da Oehrlein (1993 [1986]) o, da un punto di
vista pi sociologico, da Dez Borque in molti dei suoi lavori, specialmente
in Sociedad y teatro en la Espaa de Lope de Vega (1978). Per quanto riguar-
da il ruolo dei musicisti nelle compagnie va citato il recente libro di Flrez
Asensio (2014).
Della posizione della donna nella professione teatrale e dei meccanismi del-
la sua inclusione nelle compagnie spagnole, sia come attrice che come capo-
comica, si sono occupati invece Sanz Ayn (2001), Ferrer Valls (2002, 2009)
e De Salvo (2005). Questultima ha studiato anche la funzione dei sopranno-
mi, vale a dire della trasmissione dei nomi dArte: un fenomeno assai comune
nella professione attoriale (2002). Mentre Sanz (2002) ha preso in considera-
zione, dal punto di vista patrimoniale ed economico, i corredi o i vestiti di
scena di alcune attrici.
Da un altro punto di vista Davis, nella sua introduzione al libro scritto in
collaborazione con Varey (2003), ha ampliato lorizzonte di un fenomeno sul
quale gi Salomon aveva posto laccento (1960) e che ha a che fare con lattivit
professionale extraurbana di compagnie, attori, musicisti e soprattutto attrici
che recitavano nelle feste dei paesi e dei villaggi, spesso in collaborazione con
attori dilettanti. Altri progressi storiografici, dopo il fondante lavoro di Rozas
(1980), riguardano lo studio della tecnica dellattore. Rodrguez Cuadros ha
dedicato al tema un ponderoso volume (1998), completando poi il quadro con
altre pubblicazioni (2008, 2009, 2012a). La studiosa ha anche indagato il nostro
teatro classico nelle memorie di attori di epoche successive (2005). Ora si pos-
sono leggere alcuni dei suoi lavori raccolti in El libro vivo que es el teatro (2012b).

189
TERESA FERRER VALLS

Daltronde, lanalisi dei manoscritti teatrali utilizzati dalle compagnie, che


talvolta registrano le modifiche apportate ai testi in funzione di rappresenta-
zioni specifiche, un altro vettore di ricerca che ha recuperato informazioni
non secondarie sul modo di lavorare delle formazioni. Si ricordino i lavori di
Presotto (1997) e di Ferrer Valls (2004).
Fra i documenti che aiutano a illustrare i diversi aspetti del mestiere tea-
trale non possiamo non ricordare i papeles de actor cio le parti scannate. A
questarea di lavoro, finora disattesa, Vaccari ha dedicato un dettagliato studio
(2006). E non sar inutile ricordare lattivit degli attori professionisti italiani
nella Spagna del Cinquecento (Ojeda Calvo 2007).
Riassumendo, la pubblicazione di documenti inediti stata abbinata in
questi ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie, alla creazione di strumenti
digitali che hanno consentito e consentono di meglio valorizzare le informa-
zioni in nostro possesso. Al tempo stesso ci ha reso possibile lavanzamento
degli studi sul lavoro dei professionisti della scena spagnola da diversi e pro-
ficui punti di vista.

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196
Francesca Simoncini

LE PRIME ATTRICI DELLA COMPAGNIA REALE SARDA


NEL DATABASE AMAtI

Dedichiamo la sezione AMAtI (Archivio Multimediale degli Attori Italiani)


di questo numero di Drammaturgia a tre profili di attrici: Carlotta Marchion-
ni (1796-1861), Amalia Bettini (1809-1894), Antonietta Robotti (1817-1864).
Si tratta delle pi importanti interpreti della prima met del XIX secolo, con-
sacrate dalla comune seppur cronologicamente sfalsata militanza nella pi
prestigiosa compagnia dellepoca: la Reale Sarda, protetta e finanziata dalla
dinastia di casa Savoia. Artiste dotate di una non comune personalit artistica,
di un maturo e consapevole carisma scenico, mostrarono nel tempo capacit
interpretative indirizzate verso concreti criteri di rinnovamento e furono le
indiscusse prime donne assolute della pi importante compagnia del proprio
tempo. Dallalto di questa loro privilegiata e meritata posizione, che alle-
poca equivaleva a un marchio di origine protetta e controllata, riuscirono a
traghettare lancora multiforme e indefinita realt teatrale settecentesca di prosa
verso pi solide e moderne pratiche recitative. Agirono allinterno di un sistema
teatrale di scarso respiro europeo, ma con il loro esempio, il loro differenziato
talento, il loro rigore professionale maturati individualmente ben prima di
approdare nella formazione del re di Sardegna contribuirono a creare i pre-
supposti per la genesi di quel fenomeno di natura autoctona, ma di riconosciu-
ta rilevanza internazionale, che va sotto il nome di teatro del Grande Attore.
Se ne avvantaggi in seguito Adelaide Ristori (1822-1906) che, saggiamente,
non manc di riconoscere in Carlotta Marchionni (fig. 1) la sua maestra, ma
che dovette attendere il ritiro dalle scene di Amalia Bettini (fig. 2) e il decli-
no della rivale Antonietta Robotti (fig. 3), pi anziana di lei di soli cinque
anni ma precocemente invecchiata, per poter raggiungere lambita scrittu-
ra di prima attrice assoluta della Reale Sarda. Ci arriv appena in tempo per
accompagnare lutopia della Stabile torinese verso il suo definitivo tramonto.
Nessuna di loro fu attrice di scuola. Tutte, anzi, affondarono le radici, lap-
prendistato teatrale, gli esordi e la prima maturit artistica, allinterno di quel
sistema di famiglie dArte che costituiva, e che ancora per molto tempo con-

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 197-200


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18372
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
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FRANCESCA SIMONCINI

tinu a formare, lossatura portante del teatro italiano di tradizione. Colse-


ro il meglio di quanto quella pratica, ormai secolare, poteva consegnare loro.
Ne mantennero intatti i peculiari tratti di autonomia artistica e di intelligente
creativit e seppero, con coscienza e pazienza, perfezionarla. Pur senza scon-
fessare i gesti forti, talvolta marcatamente esibiti, propri della recitazione di
mestiere, gradualmente li ripulirono dalle pi pesanti scorie che il tempo vi
aveva depositato e riuscirono ad arricchirli, impreziosendoli di sottili e indi-
viduali sfumature.
Sia la Marchionni, indubbiamente la pi famosa delle tre, sia la Bettini, at-
trice di talento probabilmente eccezionale e ingiustamente dimenticata dalla
storiografia, riuscirono a intrecciare rapporti duraturi con importanti lette-
rati. Se per la Marchionni sono spendibili i nomi di Silvio Pellico, Ludovico
di Breme e Alberto Nota, per la Bettini doveroso fare quello di Giuseppe
Gioachino Belli, poeta con cui lattrice intrattenne una lunga consuetudine
testimoniata da un nutrito carteggio, alloggi solo parzialmente pubblicato. I
personali rapporti tra attori e letterati dellepoca, anche quando furono buoni
e fertili di scambi, come noto, non ebbero mai la forza di tradursi in una pro-
duzione drammatica continuativa degna di tale nome. Gli attori e gli autori
della prima met del secolo XIX si mossero su strade lontane e parallele denun-
ciando una sostanziale incompatibilit e siglando limpossibilit di un incon-
tro, impedito anche da presupposti ideologici da un lato, economici dallaltro.
Lincarnazione pi sintomatica di questo fallimento la visse la Robotti, prima
interprete di Ermengarda, leroina dellAdelchi di Alessandro Manzoni (Tori-
no, teatro Carignano, 13 maggio 1843). La sua interpretazione, pur apprezza-
ta, non riusc infatti a salvare la tragedia che irrit il pubblico, dispiacque alla
critica e fu presto eliminata dal repertorio della Reale Sarda.
Un altro aspetto accomun Carlotta Marchionni e Amalia Bettini, una ca-
ratteristica tutta interna al mestiere dellArte che fu loro trasmessa, in modo
preferenziale, per via matrilineare. Entrambe si avvantaggiarono dellabilit e
dellesperienza delle madri, attrici di qualche pregio, ma soprattutto, e insospet-
tabilmente (per lepoca) anche scaltre capocomiche. Contro una indimostrata
vulgata che vuole le madri delle prime attrici, se possibile, ancora pi capric-
ciose delle figlie, Elisabetta Baldesi-Marchionni e Lucrezia Morra-Bettini
seppero, dietro le quinte e con lungimiranza, costruire il futuro professionale
delle figlie, formando intorno a loro compagnie pi che dignitose che con-
tribuirono a instradarle artisticamente e a lanciarle verso pi alte e ambiziose
mete. Un particolare che getta nuove possibili interpretazioni sul sistema tea-
trale dellepoca e che non lunico ad emergere da queste storie di vite dando
legittimit a un metodo, quello della scuola fiorentina creata da Siro Ferrone,
che ritiene possibile, e forse anche doveroso, costruire o ri-costruire la storia
del teatro italiano anche attraverso lattento studio delle biografie degli attori.

198
LE PRIME ATTRICI DELLA COMPAGNIA REALE SARDA

Venendo a queste ultime non sar inutile ricordare che la veste editoriale
cartacea, per le sue insite caratteristiche, penalizza lesaustivit delle voci con-
tenute in AMAtI pensate per una pi flessibile e ampia navigazione on line.
Poco del corollario di dati, di fonti e di materiale iconografico, raccolto nel-
la banca dati sulla carriera e sulle interpretazioni delle attrici, stato qui, per
ovvie ragioni di spazio, riprodotto (e si registrano, daltronde, inevitabili ripe-
tizioni di notizie). Si invitano quindi i lettori e gli studiosi desiderosi di appro-
fondimenti a non accontentarsi della punta delliceberg e a non rinunciare n
alla puntuale illustrazione del sistema AMAtI apparsa nel precedente numero
di Drammaturgia,1 n, soprattutto, alla consultazione del sito (http://amati.
fupress.net) per ottenere di queste attrici, e di altri loro compagni dArte, un
ritratto pi completo e capillarmente documentato. Resta, tuttavia, lesempla-
rit dello specimen qui presentato.

1. Cfr. F. Simoncini, Il sistema AMAtI fra tradizione e multimedialit, Drammaturgia, xi /


n.s. 1, 2014, pp. 313-328.

199
FRANCESCA SIMONCINI

Fig. 1. Ritratto di Carlotta Marchionni, particolare, 1840, incisione (da Sanguinetti 1963).

Fig. 2. Ritratto di Amalia Bettini, particolare, Fig. 3. Ritratto di Antonietta Robot-


prima met sec. XIX, incisione (da Sanguinetti ti, prima met sec. XIX, incisione (da
1963). Sanguinetti 1963).

200
Francesca Simoncini-Antonio Tacchi

CARLOTTA MARCHIONNI
(Pescia, 14 giugno 1796-Torino, 1 febbraio 1861)

Sintesi

Figlia dArte, tra le pi famose attrici italiane della prima met dellOtto-
cento, muove i primi passi recitando in compagnie di giro toscane. Appro-
da al ruolo di prima donna nel 1811 nella Sociale della madre Elisabetta e di
Antonio Belloni, Carlo Calamari e Ferdinando Meraviglia. Nel 1823 diviene
acclamata prima attrice della compagnia Reale Sarda. La capacit di armo-
nizzare gradatamente mestiere, impresariato e nuove teorie sulla recitazione
costituisce la qualit che la porta a ottenere una posizione preminente nella
Reale Sarda e nella storia del teatro italiano.

Biografia

Figlia del fiorentino Angelo Marchionni (attore comico nel ruolo di carat-
terista e interprete delle maschere di Brighella e di Arlecchino) e della buona
attrice tragica senese, Elisabetta Baldesi, nasce il 14 giugno 1796 a Pescia, piaz-
za toccata dalla compagnia di Giovan Battista Mancini dove i genitori recita-
vano. Fin da piccola, emula della madre, dimostra inclinazione per il teatro.
Tale propensione non labbandona neppure durante gli anni, dal 1800 al 1806,
trascorsi nel collegio delle Orsoline di Verona dove acquisisce un misticismo
tanto intenso da farle guadagnare lappellativo di estatica di Verona. Dellin-
segnamento religioso impartitole in questi anni, modellato sullesempio della
fondatrice dellordine, Angela Merici, mantiene per tutta la vita la devozione
fervente e la vocazione al nubilato cui sembra abdicare solo per il compagno
dArte Ferdinando Meraviglia con il quale lavora negli anni giovanili. Lanno
successivo allabbandono del collegio da parte di Carlotta la Merici viene san-
tificata, nel 1810 lordine delle Orsoline abolito: Carlotta sembra metterne

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 201-222


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FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

in pratica linsegnamento incarnando la condizione della nubile volontaria


vissuta senza clausura e segni esteriori.1
Dopo aver abbandonato il collegio inizia a calcare il palcoscenico rivesten-
do prima parti di paggetto e poi, presumibilmente, di seconda amorosa. Dal
1807 milita, insieme alla madre e al fratello Luigi, nella formazione diretta da
Lorenzo Pani in cui figura quasi continuativamente fino alla stagione di car-
nevale del 1814 se si esclude la breve parentesi dellanno comico 1808-1809
che la vede, insieme alla madre e al fratello, tra gli attori della compagnia Ve-
nier. In quello stesso anno compare per, con Elisabetta, anche in un elenco
manoscritto in calce a una lettera del capocomico Giacomo Dorati che avvia
con il teatro dei Costanti di Pisa una trattativa, poi non conclusa, per la stagio-
ne di quaresima del 1810. Nellanno comico 1807-1808 segue gli spostamenti
della compagnia Pani nelle piazze toscane di Lucca (teatro Pubblico), di Pisa
e di Firenze (teatro di via del Cocomero). Scritturata come seconda amoro-
sa, recita al teatro dei Costanti di Pisa nella quaresima e nella primavera del
1809. Al 1810 risale la prima notizia della sua attivit fuori dei confini tosca-
ni: lavora al teatro Santa Radegonda di Milano, dove probabilmente Madame
de Stal la vede interpretare Mirra di Vittorio Alfieri. Nel 1811 , ancora in-
sieme alla madre, nella medesima formazione, denominata anche compagnia
de Lombardi, della quale ormai divenuta prima attrice. Gli attori recitano al
teatro della Piazza Vecchia di Firenze nella stagione del carnevale 1811-1812.
dunque da rettificare la notizia, trasmessa dalla maggior parte dei repertori
biografici che, in tale data, la collocano nella Sociale della madre Elisabetta e
di Antonio Belloni.
In questo periodo, durante un ciclo di rappresentazioni al teatro Santa Ra-
degonda di Milano, Carlotta riporta grandi successi e conosce, fra gli altri,
Silvio Pellico. Lincontro tra lautore e lattrice risulta fertile: Pellico compone
infatti, appositamente per lei, le tragedie Laodicea, poi distrutta, e Francesca da
Rimini, destinata a divenire uno dei suoi cavalli di battaglia. Durante il sog-
giorno milanese lattrice, pur militando in una compagnia considerata secon-
daria, riesce, per le sue qualit artistiche, a guadagnarsi la fama di migliore
attrice italiana per le parti da giovane e a destare lattenzione del capocomico
della Vicereale milanese Salvatore Fabbrichesi che, nellottobre 1814, manife-
sta la volont di scritturarla per la formazione che stava costituendo: la com-
pagnia del teatro dei Fiorentini di Napoli.
Il carnevale 1813-1814 la vede per lultima volta con la compagnia Pani,
nelle cui file Carlotta si distingue nelle parti ingenue, riscuotendo generale
approvazione sul palcoscenico fiorentino del teatro di via del Cocomero. Qui,

1. S. Geraci, Carlotta Marchionni in effige, Teatro e storia, xviii, 2004, 25, pp. 368-369.

202
CARLOTTA MARCHIONNI

alla fine del gennaio 1814, si segnala per la sua interpretazione del personaggio
di Isabella nel Filippo di Vittorio Alfieri sostenendo la difficile arte di proce-
dere riguardata nei colloqui con Carlo.2
Alla fine dellanno comico 1813-1814 Carlotta, abbandonata la compagnia
Pani, diviene prima donna della pi modesta Sociale Marchionni-Belloni (di
cui sono soci anche Carlo Calamari e Ferdinando Meraviglia) e dove figura
anche Luigi Domeniconi. La formazione, inizialmente dotata di scarsi mezzi,
sa avvantaggiarsi nel tempo della presenza di Carlotta, guadagnando il favo-
re del pubblico e divenendo un complesso di buon livello. Gli attori, secondo
Luigi Rasi, reciterebbero al teatro della Piazza Vecchia di Firenze con la Pa-
mela nubile di Carlo Goldoni. In questa formazione, condotta nominalmente
da Elisabetta Marchionni che ricopre anche i ruoli di prima donna e di madre,
Carlotta assume di fatto sempre pi importanza fino a divenire la vera capo-
comica. Nella primavera del 1814, al teatro Castiglioncelli di Lucca, in com-
pagnia recita anche il padre Angelo come secondo caratterista. Nel giugno del
1815 gli attori si spostano a Milano per tenere un corso di rappresentazioni al
teatro Lentasio e a quello diurno dello Stadera, quindi passano al teatro Re
dove Carlotta interpreta per la prima volta la Francesca da Rimini di Silvio Pel-
lico con grande successo di critica e di pubblico cui contribuisce anche lin-
terpretazione di Luigi Domeniconi nella parte di Paolo. Questultimo sar,
nellanno successivo, lindiretto responsabile di un grave lutto per la famiglia
Marchionni: la morte accidentale della sorella minore di Carlotta, Giuseppi-
na, dovuta al morso del suo cane.
Fra il 1815 e il 1820 Carlotta frequenta oltre a Pellico, Pietro Maroncelli, e
labate Ludovico di Breme che sembra assumere per lei la funzione di ideolo-
go e di dramaturg. Lattrice, grazie al suo carisma scenico, ispira e incoraggia la
vena teatrale del gruppo di intellettuali del Conciliatore che considerano le
sue interpretazioni come il modello cui anche le altre attrici devono confor-
marsi. Nel 1818 lattrice recita al teatro del Corso di Bologna.
Al 1820 da ascrivere la stesura del dramma Bianca e Fernando che lautore
teatrale e attore Carlo Roti scrive appositamente per lei. Del settembre del-
lo stesso anno anche il primo contatto con il conte Lodovico Piossasco con
cui lattrice entra in trattative per una scrittura, come prima donna, nella co-
stituenda compagnia Reale Sarda. Il Piossasco si reca personalmente a Cre-
ma per incontrare lattrice e garantirsi la sua disponibilit nel timore che ella
possa accettare le offerte di Salvatore Fabbrichesi, divenuto nel frattempo ca-
pocomico della compagnia al servizio di Ferdinando IV di Borbone di stanza
al teatro dei Fiorentini di Napoli. La Marchionni, tentata dallofferta del con-

2. Giornale del dipartimento dellArno, 22 gennaio 1814, 10, p. 4.

203
FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

te Piossasco, non manca di dettare le sue condizioni pretendendo la completa


indipendenza dal capocomico e riconoscendo la sola autorit della direzione.
Tale richiesta mette in luce la riluttanza dellattrice ad abdicare al raggiunto
rango di capocomica, la ferma volont di non rinunciare a essere lunica re-
sponsabile delle proprie creazioni artistiche nella piena libert di concezione
e di esecuzione della parte e il desiderio di rimuovere ogni tipo di filtro fra
interprete e copione.
La compagnia Marchionni-Belloni-Calamari-Meraviglia recita nel car-
nevale 1820-1821 al teatro dAngennes di Torino. Nella quaresima del 1823,
troviamo gli attori a Firenze, al teatro di via del Cocomero, dove Carlotta in-
terpreta uno dei suoi cavalli di battaglia: Francesca da Rimini. Alla fine dellanno
comico, libera dallimpegno con la troupe sociale e considerata ormai unani-
memente la migliore attrice italiana entra, con la madre e con il caratterista
Carlo Calamari, nella Reale Sarda, debuttando al teatro Carignano di Torino
la sera dell8 aprile 1823 con La bella fattora, riduzione dal francese curata da
Lodovico Piossasco. Ben tre incisioni, datate 1822, la ritraggono con probabile
intento pubblicitario per il suo ingresso nella compagnia piemontese. France-
sco Righetti, con lei in compagnia, nel suo Teatro italiano la descrive di figura
snella, di portamento leggiadro, vivace despressione, insinuante nella voce,
dotata di perfetta dizione e di pronta intelligenza.
Carlotta lascer la compagnia sabauda nel 1840. A differenza di tutti i suoi
colleghi, scritturati sempre a vicenda, ricopre costantemente il ruolo di pri-
ma attrice assoluta, una vera e propria eccezione per la compagnia. Lattrice,
unica stipendiata direttamente dalla Tesoreria dello Stato e non dal capocomi-
co Gaetano Bazzi, percepisce una paga di undicimila lire che, se confrontate
con la dote complessiva della formazione che fu prima di cinquanta e poi di
trentamila lire,3 appare una cifra considerevole. Dal 1836 al 1839, Carlotta
affiancata da Antonietta Rocchi-Robotti. Grazie agli insegnamenti della Mar-
chionni lallieva assume presto il ruolo di prima attrice giovane che dovr poi
cedere a Adelaide Ristori.
Durante la militanza nella troupe torinese Carlotta ottiene la considera-
zione e la stima dellalta societ e degli intellettuali di tutte le citt toccate
nelle sue tournes. Stringe amicizia con Alberto Nota che, ispirato dalla sua
recitazione, modella i suoi testi seguendone levoluzione artistica e anagrafica.
Cos postilla lautore in una lettera del 1834 indirizzata a Gaetano Bazzi: chi
vuole scrivere per la compagnia Reale dee, da dieci anni a questa parte, pen-
sare che alla Signora Marchionni non convengono pi parti da giovinetta; e

3. G. Michelotti, La compagnia Reale Sarda, Il dramma, xxiv, 15 aprile 1948, 57-58-59,


p. 159.

204
CARLOTTA MARCHIONNI

bisogna stillarsi il cervello per trovar vedove o maritate per tenerla sempre in
buona vista del pubblico.4 Per lei scrivono anche Carlo Marenco (Pia de To-
lomei, 1836), Giacinto Battaglia e Angelo Brofferio. Alcuni testi di questulti-
mo vengono declamati da Carlotta e Francesco Righetti nei circoli letterari.
Poco pi che quarantenne, allacme della carriera artistica, di ritorno da
una tourne milanese, il 3 marzo 1840 abbandona le scene recitando, al teatro
dAngennes di Torino, ne La fiera di Alberto Nota: impossibil descrivere il
fanatismo, lentusiasmo dimostrato a lei dai torinesi. Vi fu teatro illuminato.
Alla fine della commedia scese una bambina vestita damorino a porle in capo
una corona di lauro in oro ed argento ed a presentarle un volume delle poe-
sie stampate per tale circostanza. [Luigi] Gandolfi e Oggero [sic!] [A. Auge-
ro] fecero due composizioni litografiche magnifiche che vennero distribuite;
e lAccademia Filodrammatica parimenti dispens copia litografica del busto
della Marchionni.5 Con tale gesto i filodrammatici intendevano nominar-
la reggitrice e maestra dellaccademia. Allalbergo Universo di Torino si era
tenuto pochi giorni prima un banchetto daddio durante il quale la giovane
Adelaide Ristori, quasi a simboleggiare un avvenuto passaggio di testimone,
aveva declamato versi in onore della prima donna uscente, tra i quali spicca-
no i seguenti: Tu dellarte maestra amorosa, / Tu allerrante mio piede se-
gnavi / Infallibile traccia. // [] Se or mi lasci, se a me pi compagna / Non
verrai nellarena onorata, / A me resta grandorma segnata: / Possa io quella
costante calcar. // E se a pien non tradiscemi speme / A te, invece di pove-
ri fiori, / Fia chio renda cresciuti gli allori / Che tue mani pietose educar.6
Durante la serata allattrice era stata inoltre donata una preziosa corona pro-
babilmente quella stessa con cui, alla fine del suo ultimo spettacolo, era stata
incoronata e con la quale eternata nella litografia distribuita al pubblico in
quella occasione.
Torna a calcare sporadicamente le scene a scopo di beneficenza per lacca-
demia Filodrammatica di Torino di cui successivamente nominata direttri-
ce. Nellaula Brofferio dellaccademia viene posta una lapide commemorativa
dedicata allattrice. Il re di Sardegna le concede una pensione.
Carlotta, oltre a divenire soggetto di numerosi componimenti poetici (rac-
colti in volume in occasione del suo addio alle scene) e incisioni a lei dedicate
stata la prima attrice italiana, dopo Isabella Andreini, per la quale sono sta-
te coniate due medaglie. La prima a Milano nel 1821, la seconda a Bologna

4. La citazione riportata in A. Camaldo, Alberto Nota, drammaturgo (con il testo di otto


commedie inedite), Roma, Bulzoni, 2001, p. 222.
5. G.B. Gottardi, Diario inedito, in G. Deabate, I comici di Sua Maest, Torino, Tipografia
della Gazzetta del popolo, 1905, pp. 13-14.
6. In L. Sanguinetti, La compagnia Reale Sarda (1820-1855), Bologna, Cappelli, 1963, p. 63.

205
FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

nel 1822. Di lei sono stati scolpiti due busti marmorei, a Bologna dal profes-
sor Francesco Rosaspina, a Torino, come ornamento del vestibolo del teatro
dAngennes, dallo scultore Giuseppe Bogliani.
Il 1 febbraio 1861 muore a Torino dove sepolta insieme alla madre.

Famiglia

Le prime notizie accertate sulla famiglia dArte Marchionni risalgono ai


genitori di Carlotta, il fiorentino Angelo e la senese Elisabetta Baldesi che ne
sarebbero quindi i capostipiti. Sebbene nessuna notizia sia stata tramandata in
tal senso non da trascurare la possibilit che anche i nonni materni, dei quali
noto solo il nome del nonno (Pompeo), fossero attori. Lipotesi avvalorata
dal fatto che anche la sorella di Elisabetta, Anna Baldesi Tafani, intraprende
la stessa carriera ed a sua volta madre dellattrice Carolina Tafani Internari.
Il padre Angelo, giovane di sicura abilit nelle parti da Innamorato,7 do-
po aver debuttato come dilettante in non meglio identificate accademie rico-
pre parti di maschera in compagnie minori fiorentine. Si reca quindi a Napoli
per un breve periodo riscuotendo discreto successo. Dopo essere tornato a
Firenze milita in formazioni toscane interpretando parti di innamorato e le
maschere di Arlecchino e Brighella. Nel 1790 sposa la compagna dArte Eli-
sabetta Baldesi con la quale nellanno comico successivo scritturato, insieme
alla cognata Anna Baldesi-Tafani, nella compagnia di Carlo Battaglia attiva
esclusivamente nellItalia del Nord.
In tale periodo si colloca la nascita, a Venezia, del primogenito Luigi che
segue le orme dei genitori alternando per il mestiere comico a quello di tra-
duttore e di drammaturgo. In tale veste si impegna anche per promuovere il
successo della sorella scrivendo per lei le pices Chiara di Rosemberg calunniata,
Chiara innocente e Lorfanella svizzera e numerose traduzioni-adattamenti da te-
sti francesi. Prima del 1813 sposa lattrice Teresa Villani.
Litineranza dei coniugi Marchionni al di fuori dei confini granducali di
corto respiro: riprendono a lavorare nel sistema teatrale toscano a partire dal
1793. In questo periodo nasce, il 14 giugno 1796, a Pescia, piazza teatrale toc-
cata dai comici, la figlia Carlotta. Nel 1806 la famiglia si allargher con la na-
scita della terzogenita Giuseppina, a sua volta attrice.
Con linizio del nuovo secolo Angelo passa a ricoprire ruoli di caratterista
pur conservando la specializzazione nelle parti in maschera. La sua carriera

7. F. Bartoli, Notizie istoriche de comici italiani che fiorirono intorno allanno MDL. fino a giorni
presenti, Padova, Conzatti, 1781-1782, vol. ii, p. 27.

206
CARLOTTA MARCHIONNI

sembra subire una battuta darresto mentre quella della moglie, prima donna
in varie compagnie tra la fine del Settecento e gli inizi dellOttocento, co-
nosce nuovi sviluppi. Ella, dopo aver alternato il suo impegno tra formazio-
ni toscane e di giro nazionale approda infatti, nel 1814, a ruoli di madre e al
capocomicato in societ con Antonio Belloni, Ferdinando Meraviglia e Car-
lo Calamari. In questa compagnia figurano Angelo, secondo caratterista, la
giovane Carlotta e, in parti da ragazza, la piccola Giuseppina, morta precoce-
mente due anni pi tardi.
Elisabetta, prima attrice e capocomica, svolge un ruolo fondamentale per gli
esordi e per la definitiva consacrazione della figlia Carlotta come prima don-
na. Tutti gli anni di apprendistato di questultima, nella Lorenzo Pani (1807-
1814) e nella Marchionni-Belloni (1814-1823) si svolgono infatti sotto legida
e la supervisione di Elisabetta che segue la figlia anche nel suo debutto nella
Reale Sarda ricoprendo ruoli di madre nobile e caratteristica dal 1824 al 1828.

Formazione

Figlia dArte, nel 1807 esordisce come seconda amorosa nella compagnia
diretta da Lorenzo Pani indicato da Luigi Rasi come uno dei maggiori capoco-
mici attivi tra il 1785 e il 1815. Nella troupe, insieme a Carlotta figurano anche
la madre e il fratello Luigi. Con questi esce dallangusto circuito teatrale tosca-
no e calca i palcoscenici milanesi dove comincia a essere notata e apprezzata.
Avvertendo lincompletezza della propria formazione e, nel 1814, dovendo
riprendere linterpretazione di Mirra di Vittorio Alfieri che gi aveva in reper-
torio dal 1810, vuole andare oltre lesempio fornitole dalla madre (apprezzata
interprete del personaggio) e frequenta per due mesi, a Firenze, la Scuola di
declamazione di Antonio Morrocchesi, vecchio compagno dArte del padre,
per approfondire e perfezionare lo studio della parte. Il processo intrapreso
dallattrice per nobilitare una genesi chiusa nella tradizione di un mestiere at-
torico ereditato per filiazione prosegue attraverso lincontro con alcuni intel-
lettuali romantici (Silvio Pellico, Ludovico di Breme, Pietro Giordani e Pietro
Maroncelli) che la portano a concepire significativi cambiamenti nella con-
sueta prassi recitativa e con cui istaura un proficuo rapporto di collaborazione
rafforzandone linteresse verso il teatro.
Gli anni 1814-1823, trascorsi nella compagnia della madre, diretta da An-
tonio Belloni (che le fu prodigo di preziosi consigli) sono fondamentali per
la sua maturazione. Allinterno di un repertorio che alterna messinscene di
drammi storici, commedie e tragedie Carlotta decreta la sua definitiva consa-
crazione con la Francesca da Rimini che Silvio Pellico scrive secondando le sue
caratteristiche di giovane prima attrice.

207
FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

Allinsegnamento della tradizione comica e allesempio pratico-organiz-


zativo dellesercizio del capocomicato materno (da cui trae la sicurezza di una
consuetudine e la forza della capacit direttiva) la giovane attrice aggiunge,
grazie alla frequentazione dei circoli intellettuali milanesi, la personale volon-
t di superare i vizi del mestiere e di giungere a una equilibrata consapevo-
lezza intellettuale.
La capacit di armonizzare gradatamente mestiere, impresariato e nuove
teorie sulla recitazione, che Carlotta seppe sapientemente valorizzare, costitu-
isce la qualit che porta lattrice a diventare la prima donna assoluta della com-
pagnia Reale Sarda, allinterno della quale rivendica e ottiene unautonomia
artistica non riconosciuta a nessun altro scritturato.

Interpretazioni/Stile

Carlotta interpreta allesordio parti di paggio e di amorosa, ma gi nel 1811,


allet di quindici anni, la troviamo prima attrice nella compagnia di Lorenzo
Pani, ruolo che ricopre anche nella Marchionni-Belloni-Calamari-Meraviglia
e, successivamente, nella Reale Sarda. Subito riscuote i positivi consensi della
critica che non risparmia invece la compagnia nel suo complesso: La giovi-
netta Marchionni per altro si disimpegna con dignit la parte di prima don-
na; genio, buona volont, ed intelligenza pare che non le manchino, ma []
trovasi con dei compagni che non secondano la di lei bravura comica;8 e an-
cora: Negli Americani in Londra la signora Marchionni prima attrice della
Piazza Vecchia sostenne la sera di Luned scorso molto plausibilmente la par-
te di Gurly. Somma intelligenza, bellissima Toscana dicitura, azione scenica,
nobilt di gesto, tutto riuniva in se stessa quella giovine donna []. In questa
rappresentazione come in tantaltre, la signora Marchionni fece troppo cono-
scere, quanto non lungi la sia da divenire una delle migliori Attrici Italiane.9
Nel 1815 trionfa nella parte di Francesca in Francesca da Rimini scritta per
lei da Silvio Pellico. Il personaggio far parte del repertorio dellattrice fi-
no al 1840, anno del suo ritiro dalle scene. Lautore in una lettera al fratello
Luigi, datata 30 agosto 1815, ne loda linterpretazione: La Carlotta Marchion-
ni rispose perfettamente alle mie speranze; io la stimo attrice capace di ogni
eccellenza.10 Non dello stesso tenore il giudizio che aveva riservato agli altri

8. Giornale del dipartimento dellArno, gennaio 1812, 3, p. 4.


9. Ivi, gennaio 1812, 11, p. 4.
10. S. Pellico, Lettere milanesi (1815-21), a cura di M. Scotti, Torino, Loescher, 1963,
pp. 20-21.

208
CARLOTTA MARCHIONNI

attori in una lettera del 21 agosto: una compagnia povera venuta al Lentasio
e passata per caso al Re, e tuttora recitante alla luce del sole nello Stadera, non
pu darmi quel che vale la tragedia. Io dunque non gliene cedo la propriet.
Gliela lascer recitare per qualche tempo, perch, sul dubbio ancora della riu-
scita, hanno fatto delle spese per un vestiario apposta e magnifico.11
Stendhal, viaggiatore consapevole, la ricorda nel suo diario in una notazio-
ne dellanno 1817: Lingenuit in Italia cosa rarissima []. Quel poco di in-
genuit che ho incontrato, lho trovato tutto nella signorina Marchioni [sic!],
giovane divorata da passioni, la quale recita ogni giorno, spesso due volte: ver-
so le quattro, al teatro allaperto, per il popolo; la sera, alla luce delle lampade,
per la buona societ. Mi ha commosso fino allestasi, alle quattro, nella Gazza
ladra, e alle otto in Francesca da Rimini.12
Versatile nella scelta del repertorio, interpreta testi tragici e comici (soprat-
tutto di Alfieri e Goldoni) insieme a drammi lacrimosi e sentimentali (alcuni
dei quali scritti o tradotti per lei dal fratello Luigi), eccelle nelle parti ingenue
suscitando generale ammirazione: La naturale sensibilit, il nobile gestire,
lespressione del volto, e pi di tutto il suono armonioso della voce donavano
alla Carlotta un fascino che domin per quasi trentanni tutti i pubblici dIta-
lia. Chi la vide rappresentare LAlexina, La Fiera, La Lusinghiera e La Vedova in
solitudine del Nota; la Sposa sagace, le due Pamele, GlInnamorati, le tre Zelin-
de del Goldoni; La bella Fattora, traduzione del conte Piossasco; le due Chiare
di Rosemberg, La figlia della terra desilio, LOrfanella svizzera, drammi scritti a
posta per lei dal fratello Luigi, non pot a meno di riconoscere e di applaudire
in lei quei tratti di grande attrice, che caratterizzano il vero genio. Un altro
genere da lei insuperabilmente rappresentato era quello delle parti ingenue.
La Giurl o La famiglia indiana, la Lauretta di Gonzales, e varie altre erano da lei
con tale innocenza rappresentate, e nel tempo stesso con una variet s grande
da far supporre che larte non vi aggiungesse nulla del proprio, quando invece
era la sublimit di questa che le faceva raggiungere il vero; e se questa somma
attrice fu a tante superiore nella commedia e nel dramma, con non minore
maestria seppe innalzarsi nella tragedia, poich la Francesca da Rimini che ella
cre, la Pia de Tolomei, la Mirra, lOttavia, e tante altre le procuraron sempre
nuovi trionfi.13
Quella della Mirra di Alfieri considerata la sua migliore interpretazione.
Con questa Carlotta super la celebre attrice alfieriana Anna Fiorilli Pellandi

11. Ibid.
12. Stendhal, Roma, Napoli, Firenze. Viaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria, Roma-
Bari, Laterza, 1990, p. 224.
13. Antonio Colomberti, ora in L. Rasi, I Comici italiani. Biografia, Bibliografia, Iconografia,
Firenze, Bocca-Lumachi, 1897-1905, vol. ii, p. 78.

209
FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

sia per le mosse degli occhi, che pel muto parlare degli atti e della fisionomia.14
Il personaggio, svelato in tutta la sua prorompente peccaminosit nellultimo
atto della tragedia, recitato, per i primi quattro, soltanto con lievi, ma con-
tinue allusioni alla sua passione incestuosa. Linquietudine interiore di Mirra
viene sapientemente dosata e lasciata intuire soltanto attraverso nascoste sot-
tolineature che esaltano la capacit dellattrice nel controllare registri inter-
pretativi tra loro antitetici.
Sulla stessa linea si colloca la scrittura scenica utilizzata per la parte di Giu-
lia in La lusinghiera di Alberto Nota. La protagonista della commedia incarna
una donna dal comportamento spregiudicato nelladulare contemporaneamente
molti corteggiatori con audaci civetterie giocate su menzogne, sorrisi, sguardi
languidi e sensuali elargiti indistintamente a tutti gli spasimanti. Linterpre-
tazione della Marchionni fu in un primo momento criticata dallautore che,
in una lettera a Vincenzo Monti del 1 aprile 1818, la taccia di essere nemica
di tal commedia perch portatrice di una recitazione romantica inadeguata
al personaggio. Tale accusa decisamente respinta dalla Marchionni che, l8
aprile 1818, in risposta allautore, replica sostenendo di gradire la parte e di
averla interpretata se non magistralmente quantomeno in maniera da non dan-
neggiare la fortuna della pice. In effetti linterpretazione dellattrice assicura
un costante successo alla commedia al punto che lo stesso Nota, abbandonato
ogni scetticismo, cos ne parla nella sua Prefazione: Poche altre attrici potranno
per avventura agguagliare, nonch superare la signora Carlotta Marchionni, a
cui fu le prime volte affidata la parte di donna Giulia, parte che richiede assai
maestria, giacch le arti e le lusinghe per trarre altrui nella rete, e per conser-
vare ed accrescere il numero degli adoratori, vogliono esser custodite da un
contegno nobile, disinvolto, ben educato e gentile.15
A testimonianza della qualit dellesecuzione, piena di vitalit, Giuseppe
Costetti aggiunge: Donna Giulia un carattere scabroso, la cui licenziosit
di tanto insinuante quanto meno aperta: una bella donna che collo sguardo,
co sorrisi, e con la parola indiretta soffre ad ogni momento, non conceden-
dosi mai. Saggiunga che il pi degli effetti scenici di questo ruolo di coquette
nellartifizio della controscena muta, nelle occhiate, nei sorrisi, nel provo-
cante abbigliamento, nella procace scollatura delle vesti dissimulata in guisa
da riuscire pi stimolante. [] Carlotta Marchionni, la estatica di Verona, la
immancabile alle Messe meridiane della Consolata o di San Filippo, che prima

14. Epilogo di notizie teatrali, Il Corriere delle Dame, 4 maggio 1816, 18, p. 139, ora in G.
Ciotti Cavalletto, Attrici e societ nellOttocento italiano. Miti e condizionamenti, Milano, Mursia,
1978, p. 124.
15. A. Nota, Teatro comico di Alberto Nota, Torino, Pomba, 18422, vol. iv, p. 321.

210
CARLOTTA MARCHIONNI

di uscir sulla scena ogni sera si faceva senza ostentazione, n sotterfugio, il suo
bravo segno di croce rappresent alla perfezione Donna Giulia e le sue spinte
civetterie, come gi aveva reso le fiamme incestuose di Mirra.16
Non esente da alcuni vizi propri dei figli dArte le vengono rimproverati
difetti dovuti a mancanza di scuola sia nel gesto, sia nelle intonazioni. Parti-
colarmente criticata la sua consuetudine di incrociare le mani al petto e di
stringere i gomiti alla testa muovendo in modo scomposto gli avambracci. A
tali appunti tenta di rimediare frequentando nel 1814 a Firenze, per breve pe-
riodo, la Scuola di declamazione di Antonio Morrocchesi. universalmente
apprezzata, invece, per la nobilt dellincedere sulla scena, per la semplicit e
la versatilit della sua recitazione che sa esprimersi naturalmente, sia nella di-
zione sia nella riproduzione di particolari minuti a cui viene restituita appa-
renza di realt, e per la capacit di modulare con variet di inflessioni la voce.
La sua presenza scenica si avvantaggia di un fisico scultoreo e giunonico,
di braccia ben modellate e di una fisionomia, non bella n regolare, ma dota-
ta di comunicativa e fascino. Alla biasimata abitudine dei comici, accusati di
una eccesiva gesticolazione, sostituisce nel tempo, la grande mobilit del vol-
to e la particolare espressivit dello sguardo che le permettono una recitazio-
ne eloquente, ma priva di gesti esasperati. Le doti di naturalezza evidenziate
nella conduzione dei dialoghi, unite ad una eleganza non affettata, fanno di
lei una caposcuola: Ma io sfido tutti i delicati conoscitori dellarte comica a
dirmi in chi, dove e quando si veduto nella commedia italiana una donna,
che con tanta grazia, con tanta decenza, e con tanta nobilt passeggi la scena?
Io mappello a tutte le dame di tutte le corti pi galanti, se si pu con miglior
dignit ed amabilit in una nobile e gentile conversazione, dir sedete come lo
dice la nostra Marchionni; con quale vivacit di colorito sa ella moltiplicare e
compartire le tinte in una scena di gelosia! Chi sa comporre quello sguardo,
accomodar quel labbro, emettere quel suono di voce in una scena dironia al
pari di lei? Della felicit sorprendente nelle transazioni, e nel passaggio dun af-
fetto allaltro, della dizione semplicissima e naturale, dellartifizio che par tutto
natura, ne abbiamo un esempio parlante nella Lusinghiera dellavvocato Nota.17
Vere e proprie innovazioni volute dallattrice sono da considerare labolizio-
ne del suggeritore e la concertazione degli attori durante le prove, che arriva a
prolungare fino ad un mese, dirigendole personalmente. Capace di compiere
scarti che le permettono di eccellere nel tragico, nel comico, nelle parti inge-
nue e nellinterpretazione delle passioni contrastate, considerata la migliore

16. G. Costetti, La compagnia Reale Sarda e il teatro italiano dal 1821 al 1855, Milano,
Kantorowicz, 1893, pp. 36-37.
17. Francesco Righetti, ora in Rasi, I Comici italiani, cit., vol. ii, p. 78.

211
FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

attrice italiana dellepoca ancora prima di approdare, come prima donna, alla
Reale Sarda: Il Vestri e la Marchionni personificarono [] quella variet di
attitudini che degli attori italiani soltanto, e che permette a ciascuno di lo-
ro, che sia veramente nato allarte, di suscitare le commozioni pi disparate e
diverse; di passare con stupenda volubilit e occorrendo in una sera medesi-
ma dal tragico al comico, dallAlfieri al Goldoni: dessere come la Marchion-
ni ora Mirra o Clitennestra, pi tardi Mirandolina o Rosaura: come il Vestri oggi
Don Marzio, domani Il povero Giacomo.18 Le sue interpretazioni sono il frutto
della scrittura scenica di unattrice noncurante di intervenire decisamente sui
copioni con tagli e interpolazioni. A tale proposito aggiunge Francesco Regli
la Marchionni erasi formata unalta e vera idea dellarte sua. Ragguardavala
essa come un aiuto e un supplimento allinvenzione del poeta e allopera dello
scrittore; epper, o le parti che doveva sostenere erano con maestria colorite,
ed ella, nel concetto dellautore internandosi, vi dava lultima mano; o dista-
vano troppo da quella verit, da quel calore, da quel moto che si richiede nelle
situazioni drammatiche, ed ella tanto vi lavorava sopra dingegno e di cuore,
tanto vi metteva del proprio, che diventava, come Talma col Bruto, come De
Marini col Benefattore e lOrfana, come Vestri col Povero Giacomo o Gustavo
Modena col Saul, creatrice.19
Altra importante testimonianza della convergenza tra il suo stile recitativo
e la drammaturgia a lei contemporanea la fornisce nel dicembre del 1839, sul-
le colonne del Figaro, il recensore dellultima sua apparizione milanese: La
Marchionni compendia in se stessa i tratti speciali al dramma moderno. Per-
ch essa pinge ogni maniera di posato o concitato, gaio o malinconico affet-
to e principalmente il dolore che si stende nellopere moderne al modo stesso
che sincarna nella vita della societ. Essa percorre con naturale andamento
tutte le gradazioni della poesia; dalle note gravi alle dolci, dalle elevate alle
volgari, dalle fantastiche alle appassionate. La Marchionni veramente larti-
sta estetica voluta dal maturato sviluppo delle idee artistiche e dalle esigenze
psicologico-letterarie dellepoca. Creata da natura e da lunghi studi esercitata
a trovare e produrre ogni perfezione di bello, essa imita con giustezza este-
tica let del romanzo e let del disinganno; esprime il sospiro del povero, la
preghiera dellinerme, il lamento del prigioniero, la maest della sventura e il
ruggito della disperazione. Talvolta calda, energica, fremente; talvolta langui-
da, gemente, spiritante. La sua anima come invasa da un soffio di fuoco che

18. Ferdinando Martini, ora ivi, p. 77.


19. F. Regli, Dizionario biografico dei pi celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici,
maestri, concertisti, coreografi, mimi, ballerini, scenografi, giornalisti, impresari, ecc. ecc. che fiorirono in
Italia dal 1800 al 1860, Torino, Dalmazzo, 1860, p. 302.

212
CARLOTTA MARCHIONNI

spinge fuori limpressione animata, ardente; e lo prova il mutar continuo di


quel suo volto, rispondentissimo agli interni sentimenti.20
Durante la militanza a Torino, in linea con i principi della compagnia sa-
bauda, accentua i caratteri di purezza, eleganza, nobilt e perfezione espositi-
va della sua arte contribuendo alla creazione del mito dellattrice moralmente
integra e vocata allarte nobile. Ladesione alletica del sociale, del civile e del
religioso che caratterizza la poetica pedagogico-artistica della Reale Sarda la
costringe a abbandonare il repertorio romantico e passionale, che laveva impo-
sta nel periodo degli anni milanesi, obbligandola a conciliare la rappresentazio-
ne di forti passioni e sentimenti con la sua nuova immagine di vergine-attrice.
Non da escludere per che molta della fascinazione esercitata sul pubblico
dalla prima donna fosse costruita proprio sullo scarto, consapevolmente gesti-
to, tra passioni intuibili, trattenute nella vita reale, e liberamente sfogate nella
finzione scenica, dove si manifestavano attraverso brevi, improvvise, ma po-
tenti esplosioni, tanto pi efficaci quanto pi calate in un linguaggio scenico
elegante, educato e misurato: Chi rese potentemente lamore incestuoso di
Mirra, ladultero di Francesca, il casto della Vestale Giunia, non poteva avere
gelidi n il cuore n i sensi. E quando si rifletta che la verginit di Carlotta
Marchionni non fu una maschera astuta per gabellare irresponsabilmente non
dir la scostumatezza ma nemmeno le facili mondanit della vita del teatro,
ma fu invece una castit immacolata e tersa, non appannata mai neppure dal
soffio della maldicenza che, fra le quinte, vipereo; da pensare piuttosto che
quellanima forte e quella vigorosa fantasia si piacessero del contrasto fra la
severit del costume che sera imposta, e le sfrenate amorose passioni che do-
veva rappresentare.21

Fonti, recensioni e studi critici

Manoscritti:

Atto di battesimo di Carlotta Marchionni, Archivio storico delle parrocchie di Pescia,


Battesimi vol. 23 (1792-1808), c. 50v., atto n. 924.
A. Colomberti, Notizie su attori italiani, Roma, Biblioteca e raccolta teatrale del
Burcardo, ms. 3-15-3-19/A (ora ms. 9).
A. Morrocchesi, Memorie, Biblioteca marucelliana di Firenze, ms. D19, i-iii.

20. Ora in Sanguinetti, La compagnia Reale Sarda, cit., pp. 59-60.


21. Costetti, La compagnia Reale Sarda, cit., p. 38.

213
FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

Affare di polizia n. 1480: nota della compagnia Lorenzo Pani, Archivio di stato di Fi-
renze, Presidenza del Buon Governo 1784-1808, f. 449, affare 1480, a. 1807.

A stampa:

F. Bartoli, Notizie istoriche de comici italiani che fiorirono intorno allanno MDL. fino a
giorni presenti, Padova, Conzatti, 1781-1782, 2 voll. (rist. anast. Bologna, Forni, 1978.
Riediz. a cura di G. Sparacello, introd. di F. Vazzoler, trascrizione di M. Melai,
IRPMF-CNRS, 2010, Le savoir des acteurs italiens, consultabile on line allin-
dirizzo http://www.iremus.cnrs.fr/fr/publications/les-savoirs-des-acteurs-italiens).
Giornale del dipartimento dellArno, gennaio 1812, 3 (p. 4) e 11 (p. 4).
Giornale del dipartimento dellArno, dicembre 1813, 156.
Giornale del dipartimento dellArno, gennaio 1814, 8 e 10 (p. 4).
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Repertorio

1810
Mirra di Vittorio Alfieri

1811
Oreste di Vittorio Alfieri

1814
Filippo di Vittorio Alfieri

216
CARLOTTA MARCHIONNI

1815
Francesca da Rimini di Silvio Pellico
Pamela nubile di Carlo Goldoni

1816
Bianca e Fernando, o La tomba di Carlo IV duca dAgrigento di Carlo Roti
Caterina Neuport di Luigi Marchionni
Francesca da Rimini di Silvio Pellico
Mirra di Vittorio Alfieri

1818
I due carlini di autore non precisato
La figlia maledetta di autore non precisato
La lusinghiera di Alberto Nota

1820
Bianca e Fernando, o La tomba di Carlo IV duca dAgrigento di Carlo Roti
Gli amori di Zelinda e Lindoro di Carlo Goldoni
Glinnamorati di Carlo Goldoni
Labboccamento notturno di Carlo Goldoni
La locandiera di Carlo Goldoni
Le donne curiose di Carlo Goldoni
Le gelosie di Zelinda e Lindoro di Carlo Goldoni
Pamela nubile di Carlo Goldoni
Un curioso accidente di Carlo Goldoni

1822
Adele e Fontanges di Alberto Nota
Chiara di Rosembergh di Hubert [pseudonimo di Philippe-Jacques Laroche]

1823
Agamennone di Vittorio Alfieri
Alexina ossia Costanza rara di Alberto Nota
Amore ed equivoco di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
Amori dantica data di Philippe Nricault Destouches
Antigone di Vittorio Alfieri
Aristodemo di Vincenzo Monti
Clementina e Dorvign di Monvel [pseudonimo di Jacques-Marie Boutet]
Cuore darte di Francesco Augusto Bon
Didone abbandonata di Pietro Metastasio
Due amici di Lione di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais

217
FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

Due famiglie in una casa di Louis-Benot Picard, Alexis-Jacques-Marie Vafflard e


Fulgence-Joseph-Dsir de Bury
Edoardo in Iscozia di Alexandre-Vincent Pineux Duval
Francesca da Rimini di Silvio Pellico
Ginevra di Scozia di Giovanni Pindemonte
Gli amori di un filosofo di Filippo Casari
Gli amori di Zelinda e Lindoro di Carlo Goldoni
Gli eredi di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
Glinnamorati di Carlo Goldoni
Gurl di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
I contrapposti di Speciosa Zanardi Bottioni
I contrapposti di Benot Pelletier de Volmeranges
I due granatieri di Joseph Patrat
I due inglesi di Mlesville [pseudonimo di Anne-Honor-Joseph Duveyrier]
I litiganti senza lite di Charles-Guillaume tienne
I pazzi per progetto di Giovan Carlo Cosenza
Il barbiere maldicente di Gheldria di Francesco Antonio Avelloni
Il benefattore e lorfana di Alberto Nota
Il bibliomane di Alberto Nota
Il burbero benefico di Carlo Goldoni
Il capitano Belronde di Louis-Benot Picard
Il cavaliere dindustria di Alexandre-Vincent Pineux Duval
Il cavaliere e la dama di Carlo Goldoni
Il celibe e lammogliato di Alexis-Jacques-Marie Vafflard e Fulgence-Joseph-Dsir de
Bury
Il cugino da Lisbona di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
Il disperato per eccesso di buon core di Giovanni Giraud
Il filosofo celibe di Alberto Nota
Il giudice di se stesso di Benot Pelletier de Volmeranges
Il landerman di Solm di Francesco Antonio Avelloni
Il matrimonio per generosit di Speciosa Zanardi Bottioni
Il misantropo di Molire [pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin]
Il nuovo ricco di Alberto Nota
Il padre e il tutore di Louis-Armand-Thodore e Louis-Charles-Achille dArtois de
Bournonville
Il pittor per amore di Benot Pelletier de Volmeranges
Il poeta fanatico di Carlo Goldoni
Il portafoglio di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
Il riconoscente e lignoto di Francesco Antonio Avelloni
Il saccente di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
Il tartufo dei costumi di Luigi Claudio Chron

218
CARLOTTA MARCHIONNI

Il tiranno domestico di Alexandre-Vincent Pineux Duval


Il vanaglorioso di Philippe Nricault Destouches
Il ventaglio di Carlo Goldoni
Labate de lEpe di Jean-Nicolas Bouilly
Lajo nellimbarazzo di Giovanni Giraud
Lambiziosa di Alberto Nota
Lammalato immaginario di Alberto Nota
Lantiveggente di Marc-Antoine-Madeleine Dsaugiers
Latrabiliare di Alberto Nota
Lautorit paterna di August Wilhelm Iffland
Lavaro di Molire [pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin]
Lavventuriere notturno di Camillo Federici [pseudonimo di Giovan Battista Viassolo]
Lepigramma di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
Lincontro fortunato di Franois-Antoine-Eugne de Planard
Lintollerante di Gaetano Fiorio
Lozioso di Francesco Augusto Bon
La bella fattora di Amlie-Julie Candeille
La bizzarra di Carlo Goldoni
La bottega del caff di Carlo Goldoni
La festa della rosa di Antonio Simeone Sografi
La locandiera di Carlo Goldoni
La lusinghiera di Alberto Nota
La moglie finta moglie di Gaetano Barbieri
La pretesa e i pretendenti di Francesco Antonio Avelloni
La promessa imprudente di Franois-Antoine-Eugne de Planard
La romanzesca di Francesco Augusto Bon
La sorella rivale del fratello di Dumaniant [pseudonimo di Jean-Andr Bourlain]
La sposa persiana di Carlo Goldoni
La sposa sagace di Carlo Goldoni
La stravagante di Pietro Andolfati
La suocera e la nuora di Carlo Goldoni
La supposta nipote di Franois-Antoine-Eugne de Planard
Lauretta Gonsalez di Antonio Simeone Sografi
La vedova scaltra di Carlo Goldoni
La vedova spiritosa di Carlo Goldoni
Le donne di buon umore di Carlo Goldoni
Le gelosie di Lindoro di Carlo Goldoni
Le parentele di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
Le risoluzioni in amore di Alberto Nota
Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni
Lo spirito di contraddizione di Carlo Goldoni

219
FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

Maometto di Voltaire [pseudonimo di Franois-Marie Arouet]


Matilde di Monvel [pseudonimo di Jacques-Marie Boutet]
Matrimonio di Goldoni di Gaetano Fiorio
Merope di Scipione Maffei
Merope di Vittorio Alfieri
Misantropia e sentimento di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
Moglie pazza per gelosia di Giacomo Bonfio
Molire di Carlo Goldoni
Molire, marito geloso di Pietro Chiari
Non contar gli anni alle donne di Camillo Federici [pseudonimo di Giovan Battista
Viassolo]
Ogni male non vien per nuocere di autore non precisato
Olivo e Pasquale di Antonio Simeone Sografi
Ospizio degli orfani di August Wilhelm Iffland
Ottavia di Vittorio Alfieri
Pace figlia damore di Filippo Casari
Pamela maritata di Benot Pelletier de Volmeranges e Michel de Cubires-Palmzeaux
Pamela nubile di Carlo Goldoni
Primi passi al mal costume di Alberto Nota
Rosmunda di Vittorio Alfieri
Saul di Vittorio Alfieri
Sofia e Langer di [?] Belloni
Temistocle di Pietro Metastasio
Teresa e Claudio ovvero Lamor irritato dalle difficolt di Giovanni Greppi
Teresa vedova di Giovanni Greppi
Torquato Tasso di Carlo Goldoni
Un curioso accidente di Carlo Goldoni
Un giorno a Parigi di Charles-Guillaume tienne
Uno spende e gli altri godono di [?] Fabris
Valeria cieca di Augustin-Eugne Scribe e Mlesville [pseudonimo di Anne-Honor-
Joseph Duveyrier]
Verter di Antonio Simeone Sografi
Zaira di Voltaire [pseudonimo di Franois-Marie Arouet]

1824
Medea di Cesare della Valle
Mirra di Vittorio Alfieri
Sofonisba di Vittorio Alfieri

1825
Eudosia di Angelo Brofferio

220
CARLOTTA MARCHIONNI

1826
Francesca da Rimini di Silvio Pellico
Ines di Castro di Davide Bertolotti
La fiera di Alberto Nota

1827
La novella sposa di Alberto Nota

1828
Loppressore e loppresso di Alberto Nota

1830
Ludovico Ariosto di Alberto Nota

1831
Alceste di Vittorio Alfieri

1832
Ester dEngaddi di Silvio Pellico
Gismonda da Mendrisio di Silvio Pellico
Petrarca e Laura di Alberto Nota

1833
La donna irrequieta di Alberto Nota

1834
Gismonda da Mendrisio di Silvio Pellico
Il progettista di Alberto Nota
La donna irrequieta di Alberto Nota
La famiglia di Riquebourg di Augustin-Eugne Scribe
Lo sposo di provincia di Alberto Nota

1835
Il duello fra due donne di Giovan Carlo Cosenza
Lo sposo di provincia di Alberto Nota
Parisina di Antonio Somma

1836
Il prigioniero e lincognita di Alberto Nota
Le conseguenze di una festa da ballo di Jean-Franois-Alfred Bayard
Pia de Tolomei di Carlo Marenco

221
FRANCESCA SIMONCINI-ANTONIO TACCHI

1837
Giovanna I di Carlo Marenco
Giovanna I regina di Napoli di Giacinto Battaglia
Il prigioniero e lincognita di Alberto Nota
Torquato Tasso di Alberto Nota
Vittorina ossia Le conseguenze di una scommessa di Giacinto Battaglia

1838
Giovanna I regina di Napoli di Giacinto Battaglia
Natalina ovvero Il liceo dHeisperg di Alberto Nota

1839
Filippo Maria Visconti di Giacinto Battaglia
Gismonda da Mendrisio di Silvio Pellico

1840
La fiera di Alberto Nota

1854
La giovent di Cimarosa di Raffaele Colucci

222
Daniela Sar

AMALIA BETTINI
(Milano, 15 agosto 1809-Roma, 6 maggio 1894)

Sintesi

Amorosa, poi prima attrice, la pi apprezzata e ricercata interprete fem-


minile italiana degli anni Trenta del XIX secolo. Attiva, negli ultimi anni di
carriera, nella compagnia Reale Sarda.

Biografia

Amalia Bettini nasce a Milano il 15 agosto 1809 da Giovanni e Lucrezia


Morra, attori allepoca ingaggiati da Salvatore Fabbrichesi nella compagnia
Reale Italiana; nel 1814, con la caduta di Napoleone, la formazione si scioglie
e il capocomico si trasferisce a Napoli dove costituisce una nuova compagnia
Reale, protetta dai Borbone, conducendo con s anche i Bettini. Dal 1815 al
1822 Amalia vive in un istituto francese della citt e in seguito alla morte del
padre, deceduto nel 1822 a trentatr anni, inizia lattivit artistica: ingaggiata
da Fabbrichesi nella compagnia Reale come amorosa, si esibisce con Luigi Ve-
stri e Giuseppe De Marini che la affiancano anche come insegnanti di recita-
zione. Allinizio del 1824 segue con la madre il capocomico che si trasferisce
con la formazione nellItalia centrale; nel dicembre 1826 la troupe esegue un
ciclo di recite al teatro del Corso di Bologna.
Dopo la scomparsa di Fabbrichesi, avvenuta a Verona nellautunno del 1827,
la Bettini conclude la scrittura esibendosi al teatro Re di Milano nel carneva-
le 1828. Nel 1829 si stabilisce con la madre a Vicenza dove recita come prima
attrice in una compagnia filodrammatica. Lo stesso anno, in societ con Vin-
cenzo Caprara e Orazio Cerini, Lucreziacostituisce una propria compagine
nella quale riserva ancora alla figlia il ruolo primario; la formazione attiva a
Parma nellagosto 1829, al teatro Comunale di Ferrara nellautunno successi-

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 223-239


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18374
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
DANIELA SAR

vo, nuovamente a Parma nel giugno 1830 e al teatro Goldoni di Firenze nel
carnevale 1830-1831, ma subito dopo si scioglie per problemi economici.
Nel 1831 la Bettini passa nella compagine del caratterista veronese Gaetano
Nardelli, allepoca associato con Luigi Ghirlanda, come prima attrice assolu-
ta; nellottobre 1831 si esibisce al teatro del Corso di Bologna e nellautunno
1833 al teatro Comunale di Ferrara. Nel 1835 Amalia entra con lo stesso ruolo
nella formazione Ducale di Parma, condotta da Romualdo Mascherpa, attiva
nei principali centri del nord e centro Italia, nella quale recitano Luigi Gatti-
nelli, Giacomo Landozzi e alcuni esponenti della famiglia Dondini. Ha ini-
zio la fase pi brillante della carriera dellattrice che in breve si afferma tra le
maggiori interpreti contemporanee. Nel 1835 la compagnia recita a Livorno,
Bologna, Ravenna, Perugia, Cesena e Roma, dividendosi tra il teatro Valle e
il teatro Alibert (settembre 1835-febbraio 1836); nel 1836 a Livorno (febbraio-
maggio), Trieste, Venezia, Padova, Milano, Pavia e Genova.
Nel 1837 Amalia torna nella formazione di Nardelli ora in societ con Car-
lo Re, proprietario dellomonimo teatro milanese che per nel 1840 si ritira
dalle scene. Nel luglio 1837 la compagnia attiva a Bologna, tra i successivi mesi
di settembre e dicembre al Re, nel marzo 1838 a Venezia, nel carnevale 1839
a Livorno, in aprile ancora a Bologna, tra giugno e luglio al teatro Comunale
di Faenza e a Ravenna e in settembre al teatro del Cocomero di Firenze. Tra il
1838 e il 1839, allo scadere della scrittura, la Bettini riceve numerose proposte
dingaggio che rifiuta perch non soddisfatta delle condizioni economiche:
contattata da Pietro Monti per la formazione del teatro dei Fiorentini di Na-
poli, da Giovan Battista Gottardi, che intende costituire una compagnia in so-
ciet con Luigi Domeniconi, poi non realizzata, e dal milanese Camillo Ferri.
Nel 1840 entra nella compagnia Reale Sarda, diretta da Gaetano Bazzi, con
sede stabile al teatro Carignano di Torino, subentrando a Carlotta Marchion-
ni che si ritira dalle scene; si trova cos a recitare al fianco di Adelaide Risto-
ri, prima attrice giovane, nella formazione dal 1837-1838; tra le due interpreti
si instaura un rapporto di rivalit che nel 1841 induce la Ristori a lasciare la
formazione, per ritornarvi solo nel 1853. L8 marzo 1840 Amalia debutta al
teatro Re di Milano; nellautunno 1840 la compagnia compie una tourne
fiorentina e nel marzo 1841 ripropone un ciclo milanese di rappresentazioni.
Sparsasi la voce di una conclusione anticipata della collaborazione con Bazzi
allo scadere del primo anno comico, anche dopo linizio del nuovo ingaggio
Amalia continua a ricevere proposte da altre formazioni e capocomici: il tea-
tro dei Fiorentini, Mascherpa, Lorenzo Da Rizzo, Angelo Lipparini, Corra-
do Vergnano e Camillo Ferri; contattata anche per un eventuale ingresso in
compagnie di prossima costituzione, come quelle di Francesco Paladini, che
intende associarsi con Luigi Domeniconi, di Gaetano Coltellini e dello stesso
Domeniconi; le sono infine proposte collaborazioni artistiche da appaltatori

224
AMALIA BETTINI

di teatri come Vincenzo Jacovacci che la contatta per recitare al teatro Valle di
Roma. Tutti vedono nella Bettini uninterprete di livello eccellente, capace,
per lazione di richiamo esercitata sul pubblico, di ribaltare le sorti economi-
che delle loro imprese. Lattrice per decide di prolungare la scrittura con la
Reale Sarda e in breve diventa la beniamina del pubblico torinese.
Al culmine del successo, l8 febbraio 1842 recita per lultima volta al teatro
Carignano. Il successivo 2 giugno, a Bologna, dove stabilisce la sua residenza,
sposa il dottore Raffaele Minardi e, a soli trentatr anni, si ritira dalle scene,
nonostante le insistenze di alcuni capocomici tra cui Coltellini, Vergnano,
Ferri, Mascherpa, Paladini, Domeniconi e Gaetano Gattinelli per farla re-
cedere dalla decisione; lo stesso Bazzi le scrive per scongiurare un suo abban-
dono della compagnia Reale Sarda concedendole maggiore agio nella scelta
del repertorio. Amalia per non torna sui suoi passi e lascia definitivamente
il teatro professionale per concedersi saltuariamente la partecipazione a spet-
tacoli di beneficenza, come tra lottobre e il dicembre 1843, al fianco di alcu-
ni membri dellaccademia bolognese dei Concordi diretti da Giovan Battista
Zoppetti. Nel 1847 d alla luce un figlio, Pasquale Giuseppe Gioacchino; alla
met di maggio del 1848 esegue altre recite al teatro Comunale di Bologna
con laccademia dei Solerti e nellottobre 1880 si esibisce nuovamente per be-
neficenza al teatro Aliprandi di Modena. Scompare a Roma il 6 maggio 1894.

Famiglia

Amalia Bettini appartiene ad una famiglia dedita da almeno una generazione


al professionismo attorico. Il padre Giovanni (Venezia o Verona, 1789-Venezia,
1822) milita dal 1807, come primo amoroso, nella compagnia Reale Italiana di
Salvatore Fabbrichesi. Qui affina le doti performative fino a diventare una delle
promesse pi significative del teatro italiano, ma muore di tisi a trentatr anni.
La madre Lucrezia Morra, inizialmente prima attrice, poi regredita a ruoli
di seconda donna, madre e caratterista, recita nella formazione di Fabbrichesi e,
dopo la scomparsa del marito, segue la figlia esercitando temporaneamente an-
che il capocomicato, fino al 1837, anno in cui si ritira dallattivit professionale.
Nellanno comico 1841-1842 Fanny, sorella di Amalia, compare tra i mem-
bri dellorganico della compagnia Reale Sarda.

Formazione

In tenera et Amalia Bettini frequenta un prestigioso istituto francese a Na-


poli, dove entra per intercessione dei Borbone, protettori del padre Giovanni,

225
DANIELA SAR

e dove riceve unistruzione di alto livello, destinata ai figli delle famiglie no-
biliari, comprendente disegno, musica e lingue straniere. Negli anni lattrice
continuer a coltivare la sua formazione culturale, come testimonia il suo car-
teggio col poeta Giuseppe Gioachino Belli (si veda Interpretazioni/Stile), ricco
di riferimenti aulici al mondo letterario e di scambi di composizioni poetiche;
di particolare interesse sono le lettere in cui la Bettini si sofferma in maniera
lucida e competente sulla situazione teatrale contemporanea e sullattivit dei
tragediografi dellepoca. Nel 1822 linterprete lombarda esordisce in teatro,
ingaggiata come amorosa da Salvatore Fabbrichesi nella compagnia Reale di
Napoli; i colleghi Luigi Vestri e Giuseppe De Marini, tra i migliori attori in
circolazione, le insegnano le basi della recitazione.

Interpretazioni/Stile

Nel 1822, a tredici anni, Amalia Bettini esordisce dunque come amorosa
nella compagnia Reale di Napoli, diretta dal Fabbrichesi, nella quale rimane
fino al 1828; dopo soli due anni di militanza suscita linteresse delle crona-
che teatrali che ne elogiano le doti artistiche, prevedendo per lei una fortuna-
ta carriera: Bettini figlia giovinetta di 15 anni, di leggiadra figura, di volto
avvenente, di bei modi, non iscarsa di grazie, [] ella supera s medesima, e
porge altissime speranze di pareggiare ben presto le decantate prime attrici,
che lhan preceduta. Nulla le manca ad essere nel numero delle valenti, fuor-
ch un esercizio pi lungo, mancanza a cui il tempo porr quanto prima il
compenso; ma intanto dolce il vederla con merito vero rappresentare i suoi
caratteri, e troppo bello e giocondo il difetto, che alcun rigido osservatore in
qualche parte le addossa, dessere cio troppo giovine. Oh! quanto meglio ci
conta che il vedere provetta attrice con tre dozzine danni alle spalle affibbiati
rappresentarci talora lingenua ragazza, o la spiritosa sposina! Si calmi adun-
que di talun liraconda impazienza, e mentre da un lato trova in questa com-
pagnia chi per assoluta perizia pu soddisfarlo, si appaghi dallaltro della tenera
capacit e delle belle speranze, onde a buon diritto lItala scena pu attendere
in questa ragazza una novella esimia attrice.1 Da una recensione risalente al-
la fine dellesperienza con Fabbrichesi, nella quale la Bettini descritta come
nata per fare le parti di giovane modesta, affezionata e ingenua,2 si desume
la sua specializzazione nel repertorio patetico-sentimentale.

1. La testimonianza apparsa su Variet teatrali del 1824 qui trascritta da L. Rasi, I Comici
italiani. Biografia, Bibliografia, Iconografia, Firenze, Bocca-Lumachi, 1897-1905, vol. i, p. 388.
2. Cenni teatrali, Il Corriere delle Dame, 19 gennaio 1828, 3, p. 18, ora in G. Ciotti
Cavalletto, Attrici e societ nellOttocento italiano. Miti e condizionamenti, Milano, Mursia, 1978, p. 45.

226
AMALIA BETTINI

Dal 1831 al 1835 Amalia prima attrice nella compagnia di Gaetano Nar-
delli; si tratta di una fase di transizione e sperimentazione, che la vede a volte
soggetta a critiche: avrebbe duopo talvolta di non far troppo, bens di stare
un po pi ne confini prescritti da natura e dalla verit;3 si esprimerebbe con
una voce modulata talvolta a cadenza;4 si lascerebbe andare, in alcuni casi,
a innaturali moti convulsi.5 Tra i principali detrattori del periodo si segnala
Giacinto Battaglia dalle pagine del Figaro.
Nella seconda met degli anni Trenta, trascorsi come prima attrice nelle
formazioni di Mascherpa (1835-1837) e di Nardelli (1837-1840) Amalia vive
la fase pi fortunata della carriera, confermandosi come una delle esponenti
pi significative del ruolo primario. Riguardo a questo periodo resta la pre-
ziosa testimonianza di Antonio Colomberti, suo compagno di lavoro sia nella
compagnia di Mascherpa che in quella di Nardelli; oltre a delinearne un ri-
tratto fisico, lattore si sofferma sulle doti artistiche di Amalia caratterizzate
da unalta capacit di immedesimazione, da una voce particolarmente dutti-
le e in grado di esprimere una vasta gamma di gradazioni umorali e da una
memoria eccezionale che le consente di assimilare le parti senza la minima
sbavatura: era di capello castagno e di carnagione bianchissima. La sua voce
corrispondeva a tutte le vibrazioni della sua anima. Di natura estremamen-
te sensibile e nervosa, simmedesimava tanto perfettamente nel personaggio
da lei rappresentato, fosse esso comico, drammatico o tragico, da far provare
allascoltatore le stesse impressioni da lei esuberantemente sentite. Dotata di
memoria ferrea, poteva fare a meno del rammentatore ed in 5 anni chebbi il
piacere di esserle al fianco come direttore e primo attore, non lho mai veduta
ricorrere al soggetto per saper la parola per entrare in scena. Abituata fin dalla
sua pi tenera giovent a non considerare la sua parte dal numero dei foglietti
ma dallinteresse che poteva avere nellintiera produzione, poneva in tutte lo
stesso impegno, non escluse le farse.6
Negli anni trascorsi nella troupe di Mascherpa, la Bettini acclamata ovun-
que come catalizzatrice degli interessi del pubblico. Tra le attestazioni di sti-
ma dei contemporanei nei suoi confronti si ricorda la medaglia doro coniata a
Perugia in occasione di una tourne compiuta entro il settembre 1835. Amalia
entra anche in contatto con numerosi esponenti della cultura contemporanea;
una particolare attenzione merita la sua relazione con Giuseppe Gioachino Belli
che, incaricato dallo Spigolatore di recensire alcune sue recite eseguite al te-

3. Ivi, p. 49.
4. Ibid.
5. Ivi, p. 50.
6. A. Colomberti, Memorie di un artista drammatico, testo, introd., cronologia e note a cura
di A. Bentoglio, Roma, Bulzoni, 2004, p. 491 n.

227
DANIELA SAR

atro Valle di Roma, presso il quale lattrice lombarda si esibisce tra settembre
1835 e febbraio 1836, scrive alcuni sonetti in romanesco soffermandosi sul-
le eccezionali doti artistiche dellinterprete; rimasto affascinato, Belli stringe
con Amalia una amicizia, che si protrae per molti anni, testimoniata dal pro-
lungato scambio epistolare intercorso tra i due, particolarmente intenso fino
al 1842, anno del matrimonio dellattrice con Raffaele Minardi (il carteggio
conservato nellarchivio Piancastelli di Forl e nella Biblioteca nazionale di
Roma; stato parzialmente edito da Alfredo Mezio nel 1942, da Pietro Paolo
Trompeo nel 1948 e da Giacinta Spagnoletti nel 1961).
Anche Stendhal conosce la Bettini durante il soggiorno romano del 1835-
1836: rimastone profondamente colpito e coinvolto sentimentalmente, scri-
ve di lei nel romanzo autobiografico La vie de Henry Brulard, menzionando in
particolare un incontro con lattrice allaccademia Filarmonica di Roma il 19
dicembre 1835 in occasione di unesecuzione del Guglielmo Tell di Gioacchino
Rossini. Le attestazioni di stima nei suoi confronti si protraggono lungo lin-
tero corso della carriera: in data imprecisata Giovanni Prati le dedica versi di
elogio, mentre documenti epistolari a lei indirizzati testimoniano lammira-
zione coltivata nei suoi confronti da Rossini e Giovan Battista Niccolini. Nel
suo Diario, il 20 dicembre 1839, anche Niccol Tommaseo esprime il deside-
rio di conoscere lattrice.
Riguardo al ciclo di recite che vede impegnata la Bettini al Valle tra il 1835
e il 1836, una testimonianza giornalistica sottolinea la versatilit dellinterpre-
te, presentata come una protagonista della scena italiana contemporanea: in
Amalia Bettini ci sembrato riconoscere un raro e straordinario talento per
larte chella professa, e che abbia sviluppato nel modo il pi vittorioso quan-
to pu avere attinto alla scuola la pi finita. Infatti i sentimenti che risvegli,
leffetto grandioso che produsse nel dramma Sedici anni or sono; lespressione del
pi intenso dolore, le angosce, la mortale ansiet che cos bene dipinse nella
sublime scena collirato padre nella Malvina; le grazie e le sottigliezze comi-
che, non iscompagnate da decentissimo contegno, di cui fece sfoggio neglIn-
namorati, nel Casino di Campagna, nella Fedelt alla Prova; il suo atteggiarsi [],
la sua energia sempre analoga al sentimento dellazione, la sua maniera deli-
cata di esporre, tutti questi pregi, valutati con entusiasmo dal pubblico, ci ad-
dimostrano come questattrice meriti di essere annoverata fra le altre prime
drammatiche viventi.7
Lo scrittore e critico francese Arnould Frmy, che assiste ad una recita di cui
Amalia protagonista nel 1836 a Venezia, dedica allattrice un lungo profilo

7. Z.Z., Lettera del Signor Z.Z. ai compilatori della Rivista, Rivista teatrale. Giornale dram-
matico, musicale e coreografico, vol. ii, 2 novembre 1835,11, p. 5.

228
AMALIA BETTINI

biografico, soffermandosi, riguardo al periodo di militanza nella compagnia


Mascherpa, sullintesa particolare instauratasi con il primo attore Luigi Do-
meniconi e sullintensa capacit di immedesimazione di entrambi sulla scena:
Domeniconi et Amalia Bettini jouant ensemble certaines pices du Gymnase,
riant aux clats l o les acteurs de Paris se contentent de sourire, pleurant, se
tordant l o les autres indiquent seulement lmotion, font briller dans leur
jeu un accord, un ensemble de talens, quon aurait peine rencontrer peut-
tre sur toute autre scne dEurope.8
Frmy sottolinea leccellenza della Bettini nella commedia in particolare
nel repertorio goldoniano , loda lo slancio con cui interpreta i personaggi pa-
tetici e la sua finezza di recitazione, reputandola allaltezza delle pi significati-
ve esponenti della scena internazionale, come Fanny Kemble e Mademoiselle
Mars (pseudonimo di Anne-Franoise-Hippolyte Boutet); le fond de sa natu-
re est [] une sorte de grace et de douce tristesse []. Sans tre prcisment
jolie, sa figure est de celles qui sembellissent sur la scne []. Un des grands
mrites de son jeu est de navoiraucun apprt. Elle entre en scne et elle mar-
che, elle pleure, elle exprime la joie, la jalousie, le bonheur, la tristesse avec le
mme simplicit, le mme naturel que si elle tait rellement jalouse, offense,
aime et trahie.9 Secondo il critico il suo maggior pregio nel parlato natu-
rale, ricco di sfumature in grado di esprimere le sensazioni pi lievi, conside-
rato dai contemporanei una delle sue caratteristiche pi pregevoli.
Lo stesso giudizio ripreso, qualche decennio dopo, da Giuseppe Costet-
ti, che afferma: quando appunto le attrici migliori recitavano a singulti, e i
pi rinomati attori predicavano enfaticamente, e gridavano come lultimo dei
ciurmadori, Amalia Bettini parlava; sin anche, per quanto il consentisse la
sostenutezza del verso, nella tragedia che recitava non meno bene della com-
media e del dramma. Era in lei tanto di naturalezza e di spontaneit che, fa-
cendo due sere la medesima parte, traeva effetti straordinari con mezzi sempre
diversi, a lei suggeriti l per l dalla forza molteplice e protea del suo genio.10
Sulla seconda fase di permanenza nella compagnia Nardelli (1837-1840),
sono da registrare alcune testimonianze di Francesco Regli che, dalle colon-
ne della rivista Il pirata, di cui direttore, recensisce spesso le performances
dellattrice, da lui ammirata sia professionalmente che umanamente, presen-
tata come un caso straordinario di interprete istruita e dai sani principi mora-
li. Relativamente ad una delle ultime esecuzioni realizzate dalla Bettini con

8. A. Frmy, Artistes trangers. Amalia Bettini, Revue de Paris, n.s., to. xxxv, 1836, p. 209.
9. Ivi, p. 207.
10. G. Costetti, I dimenticati vivi della scena italiana, Roma, Stabilimento tipografico della
Tribuna, 1886, p. 21.

229
DANIELA SAR

la formazione Nardelli nel ruolo protagonista del dramma Beatrice di Tenda di


Felice Turotti, messo in scena nel febbraio del 1840, il critico si sofferma su
quella che, nonostante la versatilit dimostrata nel padroneggiare i vari generi
spettacolari, emerge alla lunga come dote principale dellinterprete, la capa-
cit di commuovere profondamente lo spettatore: fu grande, somma sotto le
spoglie della bella infelice. E di vero chi non rap ella e non commosse alle la-
grime? Chi non sarebbesi alzato a difendere la sua innocenza allorquando, da
fatali e mendaci apparenze attorniata, invocava una voce, una sola voce che
sorgesse a smentirle? [] Oh noi piangemmo e in questo dirottissimo pianto,
in questo pianto spontaneo, tutto figlio del cuore stava la prova che la Bettini
raggiunse nellarte sua il grado delleccellenza!.11
Nel 1860, in un profilo biografico della Bettini dopo il ritiro dalle scene, Re-
gli ribadisce il suo giudizio conferendo allattrice lombarda il primato nel genere
patetico-sentimentale: Amalia era stata unabilissima tragica, eccellente comica,
non aveva rivali nel genere drammatico chera proprio il suo arringo predilet-
to, ove ci commoveva alle lagrime, e tutto ci faceva sentire lentusiasmo delle
passioni, il fuoco deglaffetti, le lunghe miserie e le brevi felicit della vita.12
Negli ultimi due anni di carriera (1840-1842), trascorsi nella compagnia
Reale Sarda, lattrice dimostra altrettanta abilit nellaffrontare il genere tra-
gico. Amalia entra nella formazione, diretta da Gaetano Bazzi, come prima
attrice in sostituzione di Carlotta Marchionni che lascia la carriera artistica
dopo diciassette anni durante i quali aveva conquistato il pubblico del teatro
Carignano di Torino, sede della troupe. Leredit difficile da sostenere e nel
primo anno comico la Bettini non riesce a farsi accettare pienamente, come
attestano le voci sulla sua esitazione a proseguire la collaborazione profes-
sionale con Bazzi e sul suo desiderio di abbandonare la compagine. Nel suo
diario, il primo attore Giovan Battista Gottardi parla di un esordio positivo
della Bettini nel marzo 1840, confermato da Regli che nelle pagine del Pira-
ta continua ad elogiare la sua beniamina, ancora impegnata in un ruolo pa-
tetico nel Vagabondo e la sua famiglia di Francesco Augusto Bon: nulla eravi in
essa di esagerato, di troppo sentito, di inutile: piangeva e palpitava quando ne
avea necessit [] insomma la Bettini ritraeva a perfezione la virtuosa sposa e
lamorosissima madre.13

11. [F. Regli], Gazzetta teatrale-teatro Valle, Il pirata, v, 28 febbraio 1840, 70, p. 288, ora
in Ciotti Cavalletto, Attrici e societ nellOttocento italiano, cit., p. 46.
12. F. Regli, Dizionario biografico dei pi celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici,
maestri, concertisti, coreografi, mimi, ballerini, scenografi, giornalisti, impresari, ecc. ecc. che fiorirono in
Italia dal 1800 al 1860, Torino, Dalmazzo, 1860, p. 59.
13. Id., Gazzetta teatrale-teatro Re, Il pirata, v, 13 marzo 1840, 74, p. 303, ora in Ciotti
Cavalletto, Attrici e societ nellOttocento italiano, cit., pp. 45-46.

230
AMALIA BETTINI

In estate la Bettini riceve per alcuni segnali di ostilit da parte degli spet-
tatori: il 6 agosto, in occasione della messinscena al Carignano della comme-
dia I pazzi per progetto di Giovan Carlo Cosenza, in mezzo ad un applauso
dato dal pubblico alla Bettini vi fu qualche pst pst ed un sonorissimo fi-
schio assordante; la Bettini divent una furia, si rivolse con atti di minaccia
al pubblico, ed azzard di dire ad alta voce: Incivili! . Quindi terminata la
commedia inve contro Bazzi.14 Lepisodio testimonia forse una divergenza
tra lattrice e il capocomico relativamente alla scelta dellopera messa in scena.
La vera affermazione della Bettini al Carignano avviene un anno dopo, tra la
fine di maggio e i primi di giugno del 1841, con la messinscena della tragedia
Iginia dAsti di Silvio Pellico, vero e proprio exploit che finalmente le fa meri-
tare un pieno riconoscimento da parte del pubblico, oltre che le vive congra-
tulazioni per via epistolare dellautore, assente al debutto.
Dalla critica allo spettacolo di Giorgio Briano emerge leffetto travolgen-
te esercitato da Amalia sugli spettatori, un effetto amplificatore delle inten-
zioni del drammaturgo: Che diremo della signora Amalia Bettini? Ella fu
dal grido universale salutata grandissima attrice; una di quelle pochissime
donne capaci di farsi interprete di un Pellico, di trascinare un intero pubbli-
co agli applausi, di reggere alla pi acuta e profonda critica. Dal primo suo
apparire sulla scena, sino alla fine, fu il vero, il reale personaggio con tanto
amore, con tanta forza descritto dal Pellico; anzi si pu dire, che lo stesso
autore avrebbe provato una nuova compiacenza per la sua creazione ove la-
vesse veduta rivivere per opera della egregia attrice. Lautore ha colorito il
carattere, la Bettini lo ha scolpito; ella ebbe dellautore una parola che pas-
sata sulle sue labbra conduceva al fremito, allapplauso, al delirio. Pareva che
lattrice volesse col vigore della sua anima, collespressione degli atti, collar-
dore del desiderio rientrare nellentusiasmo che dest quellalto lavoro; pa-
reva che un altro sentimento, non meno nobile e generoso, la infiammasse,
ed era di recare un conforto, una gioia allanima, su cui in pochi anni tan-
ti e s fieri dolori si erano accumulati. Ella fu interprete dellautore al pub-
blico, dal pubblico allautore. Descrivere a parte gli altri pregi di questa sua
rappresentazione, seguirla in que suoi atteggiamenti varj, in quei rapidi tra-
passi che leccesso di una passione immensa, combattuta, rendeva in lei pro-
fondi, subitamente veraci, cosa che non si pu significare in brevi parole.
Quando unattrice ha tocco quella eccellenza a cui giunse la signora Bettini,
il darle una lode comune sarebbe un oltraggio allarte stessa, per cui tanto si
affatica, per cui si pu dire che viva. Abbiasi per ora la nostra ammirazione,

14. G.B. Gottardi, Il diario di un primo attore della compagnia Reale Sarda, a cura di G.
Deabate, Torino, Archivio tipografico, 1899, p. 17.

231
DANIELA SAR

che riputiamo il pi bellelogio al suo merito, quando questammirazione


divenuta sentimento universale.15
Riguardo agli ultimi mesi di permanenza nella compagnia Reale Sarda
disponiamo della dettagliata testimonianza del critico Edoardo Soffietti, col-
laboratore della rivista Il piccolo Faust, in un resoconto edito nel 1841 in
difesa dellattivit della formazione. Dal documento risulta come il successo
riscosso dalla Bettini nellIginia dAsti condizioni la scelta del repertorio che,
nei mesi successivi, vedr prevalere la messinscena di tragedie con la Bettini
nel ruolo protagonista.
Poco dopo, Amalia impegnata in unaltra interpretazione di una tragedia
di Pellico, Gismonda da Mendrisio, di cui rende in maniera magistrale il perso-
naggio eponimo, particolarmente complesso per lintreccio di sentimenti che
lo caratterizza: La parte [] veramente disastrosa della tragedia quella di
Gismonda, parte tutta di lotta interna, di tumulto di affetti contrari, pugnan-
ti in anima ardente, minaccianti ad ognora dirrompere, ed irrompenti alfine
in larghissima vena quando vien meno la forza di contenerli, parte che in chi
deve rappresentarla, richiede un cumulo di tante e s diverse doti, da lasciare
molto in sospetto sulla possibilit della cosa. Eppure sgombrate i sospetti che
la Bettini quella, la Gismonda tale quale ve lho disegnata in poche paro-
le, e vedendola agire con quella verit, con quella forza, con quellaltezza che
tutta sua propria, vi parr che ad essere cos grande, essa non vi ponga stu-
dio veruno.16
Segue poco dopo la messinscena di Medea di Cesare della Valle, in cui la
duttilissima voce si conferma il principale strumento espressivo della Bettini:
poi bello e forse non inutile notare, come in questa tragedia, in cui la si-
gnora Bettini pu convenientemente dar sfogo ed abbandonarsi intieramente
a tutto limpeto del suo forte sentire, ella sia appunto pi grande, pi sublime,
pi maravigliosa in un punto in cui tutto quellimpeto fortemente compres-
so, vale a dire nella scena dellatto 4, quando ella manda in dono il fatal cinto
alla rivale. Nelle pi tenui, nelle pi sfumate vibrazioni della sua voce si colo-
risce allora cos mirabilmente la successione dei pensieri e degli affetti da cui
dominata quella donna terribile, vi si legge cos chiaramente la gioia feroce
della pregustata vicina vendetta, avvicendata col timore che il menomo suo
atto od accento troppo risentito possa in quellistante tradirla e porre inciam-
po al suo disegno, che tanta verit, a tanta perfezione di esecuzione forza

15. G. Briano, Iginia dAsti, tragedia di Silvio Pellico, Eridano, i, 15 giugno 1841, 10, pp.
394-397, ora in Rasi, I Comici italiani, cit., vol. i, p. 400.
16. E. Soffietti, Dramaturgia: ragionamento critico, semi-serio e semi-allegorico a proposito della
compagnia Reale, del suo repertorio e del presunto suo decadimento, Torino, Ferrero, 1841, p. 23.

232
AMALIA BETTINI

sclamare pieni di meraviglia: Dov, dov lattrice pari a questa? O quando


mai larte saliva tantalto! .17
Non altrettanto riuscita linterpretazione del personaggio eponimo in Fran-
cesca da Rimini di Pellico, tragedia allestita immediatamente dopo, in cui la
Bettini non riesce ad interiorizzare perfettamente i sentimenti della protagoni-
sta ed costretta a renderli evidenti in maniera grossolana e poco convincen-
te: Essa, diciamolo pure, non rese che in parte quel tenue velo di malinconia
sparso sulla dolce figura di Francesca []. Essa, nella tema forse di non essere
abbastanza compresa dal pubblico, non si diede troppo studio di comprimere
in presenza di Lanciotto lamorosa cura che la divora, di tal maniera, che se
lamante marito potesse allora vedere altrimenti di quello che gli fa vedere il
poeta, non tarderebbe [] a scoprire la fonte di quel misterioso dolore che la
consuma. Essa finalmente nella gran scena del suo incontro con Paolo, dellat-
to 3, non si mostr forse abbastanza compresa di quella mestizia e infrenabi-
le turbamento che vien dallamore e dalla presenza della persona amata; e la
crescente sua agitazione, colorita forse con moti troppo rapidi e spezzati, e tal
atto, tal gesto violento della mano, accompagnato da un subito troppo spiccato
cambiamento di voce nel punto chella vuol correggere la sfuggitale fatal parola
io tamo, e un contegno poi nellinsieme alcun che troppo sfogato, e risoluto,
danno a conoscere come siale passato inosservato il tratto pi caratteristico di
quella situazione, come cio Francesca in quel supremo momento che contro
ogni sua aspettazione sente di essere riamata dal suo Paolo, dalluomo che ha
tanto adorato in suo segreto, deve sentirsi lanima innondata di cos grande
dolcezza, e questo sentimento deve a tutta forza rimanere per quellora cos
fattamente dominante in cuor suo, e da esso devono cos fattamente colorirsi
ogni pensiero, ogni atto, ogni interiezione anche contraria in quellistante, da
esserle impossibile di dare al suo volto, alla sua azione, alle sue parole anche
le pi ritrose (che non ve ne sono) una espressione meno che profondamente
commossa ed affettuosa. Unultima pecca poi in cui parmi sia incorsa la signora
Bettini nella rappresentazione di questa tragedia sono le troppo sfoggiate ve-
sti, e ricercato abbigliamento da lei usato, sfoggio e ricercatezza, non al certo
gran fatto convenienti allabituale stato di dolore e di tristezza della sventurata
Francesca: e questa pecca ci stupisce tanto pi in lei che su questo punto abbia-
mo sempre trovata dotata di tatto finissimo e della pi scrupolosa diligenza.18
Anche nella commedia La donna irrequieta di Alberto Nota, allestita succes-
sivamente, Amalia non si mostra allaltezza delle sue potenzialit e non supe-
ra il confronto a distanza con la Marchionni, specie nella scena del terzo atto

17. Ivi, p. 25.


18. Ivi, pp. 26-27.

233
DANIELA SAR

caratterizzata dallincontro della protagonista con il medico: quella una


scena tutta di civettismo e di galanteria, in cui la rabbiosa signorina deve co-
me cambiare natura, e farsi cos morbida e manosa come la pi artifiziata pet-
tegola; scena che fummo gi avvezzi a vedere eseguita con troppa perfezione
dalla Marchionni per rimanerci ora contenti alla mediocrit appena raggiunta
dalla Bettini, cui siffatte situazioni, per unevidente ripugnanza di carattere,
rimarranno sempre le meno accessibili.19
Interpretazione magistrale invece quella offerta nella Maria Stuarda di
Friedrich Schiller, allestita al Carignano dal primo agosto 1841: Io non posso
trovare adeguate parole per esprimere la meraviglia e tutta la serie delle suc-
cedentisi commozioni diverse fortissime in me destate da quella grande, pa-
tetica e sventurata Stuarda cos mirabilmente rediviva nellazione dignitosa,
commossa, agitata, sublime, di quella sorprendente Bettini! La scena dellatto
primo in cui con pacato calore, e con tutta la dignit di unanima conscia di
sua innocenza ribatte largomentare maligno del crudele Cecilio; quella divi-
na dellatto terzo in cui mortalmente provocata, mortalmente si vendica, git-
tando nel fango in presenza del suo drudo e della sua corte, lambiziosa rivale;
e finalmente la commoventissima dellatto quinto, in cui si prepara cristiana-
mente a morire, e move nobilmente rassegnata al supplizio, furono situazioni
scolpite con tale e tanta verit, squisitezza e profondit di sentimento, che dif-
ficilmente la grande Attrice vi potr essere agguagliata; superata non mai.20
Ritiratasi prematuramente dalla carriera professionale dopo il matrimo-
nio con Raffaele Minardi (1842), Amalia continua ad esibirsi per beneficenza
a Bologna, sua citt di residenza, destando ancora lentusiasmo del pubblico,
come attesta una cronaca relativa ad una recita effettuata con gli accademici
Concordi i primi di ottobre del 1843: Lentusiasmo che fece la Bettini in quel-
la sera non descrivibile; basti dire che il teatro sembrava un giardino di pri-
mavera; corone, fiori volavano da tutte le parti: e viva e chiamate alla grande
artista e a i suoi bravi compagni, che tutti, facendole bella corona, corrispose-
ro egregiamente coi loro rispettivi talenti, in modo che col recare un sollievo
allindigenza, veniva il Pubblico deliziato di una serata, che rester mai sempre
scolpita nei cuori come memoria della patria carit Bolognese.21

19. Ivi, pp. 28-29.


20. Ivi, p. 46.
21. G. Fiori, Teatri, Teatri, arti e letteratura, xxi, 7 dicembre 1843, 1035, p. 112.

234
AMALIA BETTINI

Scritti/Opere

Nel 1835 esce a Milano, presso lo stampatore Visai, ledizione di una traduzione
di Amalia Bettini del Quacquero e la ballerina, commedia in due atti di Eugne Scribe.

Fonti, recensioni e studi critici

Manoscritti:

Richiesta e comunicazioni relative alla scrittura della compagnia drammatica Lucrezia Bet-
tini, 1 agosto 1829, Archivio storico del teatro Regio di Parma, Serie carteggi, 1829,
fasc. iv, Rappresentazioni, c. n.n.
Richiesta e comunicazioni relative alla scrittura della compagnia drammatica Lucrezia Bet-
tini, giugno 1830, Archivio storico del teatro Regio di Parma, Serie carteggi, 1830,
fasc. iv, Rappresentazioni, c. n.n.

A stampa:

[Senza autore], Cenni teatrali, Il Corriere delle Dame, 19 gennaio 1828, 3, p. 18.
[Senza autore], Notizie epilogate, Teatri, arti e letteratura, v, 31 gennaio 1828,
195, pp. 187-188.
[Senza autore], Teatri comici, Teatri, arti e letteratura, vi, 27 marzo 1828, 203,
pp. 34-35.
[Senza autore], Destinazione delle compagnie comiche nei diversi teatri dItalia pel car-
nevale del 1830 al 31, Teatri, arti e letteratura, viii, 2 dicembre 1830, 350, p. 108.
E. Scribe, Il quacquero e la ballerina, trad. di A. Bettini, Milano, Visai, 1835.
Z.Z., Lettera del Signor Z.Z. ai compilatori della Rivista, Rivista teatrale. Giornale
drammatico, musicale e coreografico, vol. ii, 2 novembre 1835, 11, pp. 4-6.
A. Frmy, Artistes trangers. Amalia Bettini, Revue de Paris, n.s., to. xxxv, 1836,
pp. 204-211.
[Senza autore], Biografia teatrale. Amalia Bettini, Teatri, arti e letteratura, xiv, 19
gennaio 1837, 675, pp. 153-154.
[Senza autore], Tributo di ammirazione e di affetto del pubblico cesenate alla signora Ama-
lia Bettini che lagosto MDCCCXXXIX agiva rappresentazioni sceniche nel teatro comunale
di Cesena, Cesena, Tip. Costantino Bisazia, 1839.
[F. Regli], Gazzetta teatrale-teatro Valle, Il pirata, v, 28 febbraio 1840, 70, p. 288.
F. Regli, Gazzetta teatrale-teatro Re, Il pirata, v, 13 marzo 1840, 74, p. 303.
A., Teatri, Il felsineo, i, 24 agosto 1840, 13, p. 108.
G. Briano, Iginia dAsti, tragedia di Silvio Pellico, Eridano, i, 15 giugno 1841,
10, pp. 394-397.
E. Soffietti, Dramaturgia: ragionamento critico, semi-serio e semi-allegorico a proposito del-
la compagnia Reale, del suo repertorio e del presunto suo decadimento, Torino, Ferrero, 1841.

235
DANIELA SAR

[Senza autore], Amalia Bettini, Teatri, arti e letteratura, xx, 17 marzo 1842, 943,
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[Senza autore], Omaggio poetico offerto alla signora Amalia Bettini esimia attrice nella
Reale drammatica compagnia piemontese la sera del 8 febbraio 1842 in che prendeva commiato
dai torinesi, Torino, Castellazzo, [1842].
G. Fiori, Teatri, Teatri, arti e letteratura, xxi, 7 dicembre 1843, 1035, pp. 109-112.
[Senza autore], O Amalia Bettini-Minardi o prima gloria della drammatica italiana que-
ste poche pagine che i filodrammatici di Bologna [] ti offrono facendoti augurio di lunghi anni
[], Bologna, Volpe, [1843].
[Senza autore], Nota delle offerte fatte al municipio di Bologna dal d 12 aprile al 30 giu-
gno 1848, Bologna, Sassi, 1848.
F. Regli, Dizionario biografico dei pi celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e co-
mici, maestri, concertisti, coreografi, mimi, ballerini, scenografi, giornalisti, impresari, ecc. ecc.
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a cura di A. Bentoglio, Roma, Bulzoni, 2004.
In scena a Bologna. Il fondo Teatri e spettacoli nella Biblioteca dellArchiginnasio di Bo-
logna (1761-1864, 1882), a cura di M. Calore e P. Busi, Bologna, Comune, 2004.
C. Bettinelli, Bettini, Amalia, in Prime attrici e primi attori. Storie di attori lombardi
fra Settecento e Ottocento, a cura di A.M. Testaverde, ricerche di C. B. e M. Gorla,
Bergamo, Bergamo University Press-Sestante, 2007, pp. 78-83.
A. Colomberti, Dizionario biografico degli attori italiani. Cenni artistici dei comici ita-
liani dal 1550 al 1780, compilati dallartista comico Francesco Bartoli e dallattore Antonio
Colomberti continuati fino al 1880, testo, introd. e note a cura di A. Bentoglio, Ro-
ma, Bulzoni, 2009, 2 voll.

Repertorio

1827
Federico II re di Prussia in Slesia di autore non precisato
Gli eredi di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
I contrapposti di Benot Pelletier de Volmeranges
I due sergenti di Thodore Baudouin DAubigny e Auguste Maillard
Il delirante per la speranza di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
Il ministro donore di August Wilhelm Iffland
Il portafoglio di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue

237
DANIELA SAR

Il solitario e lincognito di autore non precisato


Lastrologo per ghiottoneria di Giovanni Regli
Lautorit paterna di August Wilhelm Iffland
La bottega del caff di Carlo Goldoni
La scuola dei vecchi di Casimir-Jean-Franois Delavigne
Le avventure della villeggiatura di Carlo Goldoni
Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni
Pamela maritata di Carlo Goldoni
Pamela nubile di Carlo Goldoni
Saul Warington di Camillo Federici [pseudonimo di Giovan Battista Viassolo]
Una lettera da Cadice di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue

1833
I pericoli della lontananza di Augustin Eugne Scribe

1835
Agnese di autore non precisato
pazza di Mlesville [pseudonimo di Anne-Honor-Joseph Duveyrier]
Estella, ovvero Il padre e la figlia di Augustin Eugne Scribe
Glinnamorati di Carlo Goldoni
I tristi effetti di un tardo ravvedimento di Jean-Franois-Alfred Bayard
Il casino di campagna di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue
La fedelt alla prova di August Heinrich Julius Lafontaine
La lettrice di Jean-Franois-Alfred Bayard
Malvina overo Il matrimonio dinclinazione di Augustin Eugne Scribe
Sedici anni or sono di Victor-Henri-Joseph-Brahain Ducange

1840
Alexina ossia Costanza rara di Alberto Nota
Beatrice di Tenda di Felice Turotti
I pazzi per progetto di Giovan Carlo Cosenza
Un duello ai tempi di Richelieu di Edmond Badon e Lockroy [pseudonimo di Joseph-
Philippe Simon]
Un vagabondo e la sua famiglia di Francesco Augusto Bon
Ventinove anni di Louis-Armand-Thodore e Louis-Charles-Achille DArtois de
Bournonville

1841
Alexina ossia Costanza rara di Alberto Nota
Francesca da Rimini di Silvio Pellico
Gismonda da Mendrisio di Silvio Pellico
Iginia di Asti di Silvio Pellico
Il viaggio di una donna di spirito di Giacomo Bonfio

238
AMALIA BETTINI

La donna irrequieta di Alberto Nota


La famiglia di Riquebourg di Augustin Eugne Scribe
Lazzaro il mandriano di Joseph Bouchardy
Malvina overo Il matrimonio dinclinazione di Augustin Eugne Scribe
Maria Stuarda di Friedrich Schiller
Medea di Cesare della Valle
Oreste di Vittorio Alfieri
Ottavia di Vittorio Alfieri
Pia de Tolomei di Carlo Marenco
Un vagabondo e la sua famiglia di Francesco Augusto Bon

239
Emanuela Agostini

ANTONIETTA ROBOTTI
(Como, novembre 1817-Bologna, 29 agosto 1864)

Sintesi

Tra le maggiori prime attrici del XIX secolo, recita per un biennio nella
compagnia Ducale di Parma (1839-1842) e per un intero decennio (1842-1853)
nella Reale Sarda. Dal 1853, con il marito Luigi, fonda e dirige formazioni
proprie.

Biografia

Antonietta Rocchi nasce a Como da Giuseppe e Giuseppina Cesartelli nel


1817. Questa data, riportata da Luigi Rasi, contrasta con quella indicata nel-
le memorie di Antonio Colomberti (1812), ma invece confermata dal per-
messo di sepoltura dellattrice1 in cui si legge che al momento del decesso, nel
1864, aveva quarantasette anni. I coniugi Rocchi sono definiti da Colomberti
poverissimi; analoga considerazione formulata anche da Baldassarre Lam-
bertenghi nel suo articolo su Antonietta Robotti apparso in Strenna teatrale
europea:2 forse proprio a causa delle loro difficolt economiche affidano la fi-
glia Antonietta, quasi ancor bambina,3 alle cure di una famiglia di comici, i
Torondelli,4 che la avviano alla professione teatrale.
nella loro compagnia che Antonietta svolge il suo apprendistato, con-
frontandosi presumibilmente con un repertorio che alterna rappresentazioni

1. Archivio storico comunale di Bologna, Comune, Permesso di seppellimento, lettera S,


n. 512, 1864.
2. vii, 1844, p. 63.
3. Ivi, p. 64.
4. Torandelli secondo lEnciclopedia dello spettacolo, Tarandelli secondo quanto riportato da
G.Cauda, A velario aperto e chiuso. Figure, tipi, impressioni, confronti, aneddoti, indiscretezze, liete
promesse, Chieri, Astesano, 1920, p. 36.

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 241-262


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18375
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
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EMANUELA AGOSTINI

drammatiche, farse in musica e balletti giocosi. Grazie al suo talento si mette


ben presto in luce e, identificata dal pubblico come la Giovane Torondelli,
considerata uno degli elementi pi validi della compagnia. Tra i suoi pri-
mi successi i repertori ricordano le farseIl pitocchettoeGiovannina dai bei ca-
valli(ovveroLeredit o Giovannina dai bei cavalli e dalla bella carrozzadi August
von Kotzebue).
A imprimere una svolta alla sua vita e alla sua carriera giunge nel 1836 il
matrimonio con lattore Luigi Robotti con cui ottiene una scrittura, nel ruo-
lo di prima attrice giovane, nella prestigiosa compagnia Reale Sarda. La cri-
tica saluta con entusiasmo il suo debutto augurandole di emulare lesempio
della principale attrazione dellatroupe, Carlotta Marchionni: Di una novella
attrice fece intanto acquisto la compagnia Reale. Essa la signora Antoniet-
ta Robotti, che si produsse la prima volta, con fortunatissimo successo, nella
commedia di Ancelot intitolata:Un anno. Io offro ben volentieri un tributo
di lode a questa giovane attrice che per molti riguardi fa ben presagire di se
[sic!]; e quando il suo metodo sar del tutto conforme a quello dei suoi com-
pagni, e quando, alla scuola della Marchionni, avr imparato che tanto larte
pi perfetta quanto pi saccosta alla natura, avr sempre maggior diritto di
suffragio dalla platea.5
Nei mesi successivi lattrice non delude le aspettative del pubblico. Nello
stesso anno comico si segnala in particolare nellaPiade Tolomeidi Carlo Ma-
renco in cui recita nella parte della contadina della Maremma suscitando al
quintatto [] applausi e ammirazione.6 Lattrice viene pertanto confermata
prima attrice giovane al fianco di Carlotta Marchionni anche per la stagio-
ne successiva, mentre per il 1838-1839 potrebbe essere stata addirittura pro-
mossa al ruolo di prima attrice a vicenda con la Marchionni, come si deduce
dallelenco della compagnia risalente al novembre 1838 del diario del teatro
Ducale di Parma.7
Al termine di questa seconda stagione la militanza nella Reale Sarda si
conclude. Secondo quanto riportato da Costetti la fuoriuscita della Robotti e
del marito dalle fila della compagnia sarebbe dovuta alle incomprensioni nate
tra lattrice e Adelaide Ristori che, scritturata nel 1837-1838 come amorosa
ingenua, aveva finito per erodere il repertorio della prima attrice giovane:

5. Larticolo a firma di Angelo Brofferio, apparso su Il messaggiere del 9 aprile 1836, ora
in Cauda, A velario aperto e chiuso, cit., p. 39.
6. G. Costetti, La compagnia Reale Sarda e il teatro italiano dal 1821 al 1855, Milano,
Kantorowicz, 1893, p. 111.
7. Cfr. lelenco della compagnia del novembre 1838, in A. Stocchi, Diario del teatro Ducale
di Parma dal 1829 a tutto il 1840 compilato dal portiere al palco scenico Alessandro Stocchi, Parma, Rossi
Ubaldi, 1841.

242
ANTONIETTA ROBOTTI

La Robotti e la Ristori non potevano a lungo, giovani, belle, e valorose,


rimanere insieme nello stesso ruolo. La Ristori vinse, e la Robotti usc col
marito il quale fu surrogato, nelle parti amorose di seconda fila, da Giam-
paolo Calloud.8 La interpretazione del Costetti, fondata sulla documentata
certezza della rivalit tra le due attrici, rilegge anacronisticamente gli epi-
sodi in questione alla luce di un primato ristoriano che si sarebbe manife-
stato solo in seguito. Luscita della Robotti dalla compagnia potrebbe essere
infatti pi esattamente spiegata dalla prospettiva di divenire prima attrice di
unaltra importante formazione, la Ducale di Parma al servizio dellarcidu-
chessa di Modena Maria Luisa e diretta da Romualdo Mascherpa. Ulterio-
re indizio a conferma di questa interpretazione dei fatti la permanenza di
Adelaide Ristori nella Reale Sarda in un ruolo subordinato a quello di pri-
ma attrice anche quando, dopo il ritiro della Marchionni nel 1840, le viene
preferita Amalia Bettini.
Grazie al passaggio alla Ducale di Parma, nel 1839 Antonietta Rocchi
Robotti raggiunge lapice della gerarchia dei ruoli femminili. Reciter nel-
latroupeguidata da Mascherpa fino al 1842 confermando le sue ottime qualit:
La signora Antonietta Robotti, prima attrice, ed il signor Giacomo Landozzi
da Siena, primo attore, sono meritatamente acclamati eccellenti nellarte che
professano con tanto amore; imperciocch ogni parte, sia di passione, di ge-
losia, o di furore viene da essi sostenuta con somma verit e bravura.9 An-
che Antonio Colomberti, primo attore della Ducale dal 1840, esterna la sua
approvazione verso il capocomico Mascherpa per la fiducia riposta nella Ro-
botti: non poteva far scelta migliore dellAntonietta Robotti, allora nel fiore
dellet, bella e di merito assai distinto.10
La stessa fonte riferisce invece che Luigi Robotti, che aveva seguito la mo-
glie scritturato come primo amoroso, nonostante lintelligenza, per il suo non
gradevole aspetto costretto a ripiegare verso parti da generico: la ricchezza
dei coniugi Robotti tutta nel talento di Antonietta che il marito si prende
cura di amministrare. Il 4 luglio 1840, ad esempio, mentre a Verona, Luigi
Robotti scrive soddisfatto a Gaetano Bazzi direttore della Reale Sarda: Ma-
scherpa fa bene i suoi interessi in Verona come in Vicenza; la Compagnia gar-
ba assai e lAntonietta ogni giorno pi viene ammirata da questo pubblico.11

8. Ivi, p. 119.
9. G. Romani, Cronaca teatrale-Lucca, Glissons, nappuyons pas, vi, 15 maggio 1839, 39,
pp. 155-156, che riporta una lettera del 5 maggio.
10. A. Colomberti, Memorie di un artista drammatico, testo, introd., cronologia e note a cura
di A. Bentoglio, Roma, Bulzoni, 2004, p. 521.
11. Il brano della lettera, conservata presso la Biblioteca del Burcardo di Roma, si legge
ora ivi, p. 523 n.

243
EMANUELA AGOSTINI

Proprio Gaetano Bazzi, nel 1842, richiama i coniugi Robotti nella compa-
gnia Reale Sarda, dove Antonietta sostituisce Amalia Bettini. Questultima,
convolata a nozze, abbandona infatti la professione. Primo attore del gruppo
ancora Giovanni Battista Gottardi, mentre tra gli elementi femminili sto-
rici la Reale Sarda continua ad annoverare la servetta Rosina Romagnoli da
molti considerata lunica celebrit rimasta a questa drammatica truppa.12A
questa altezza cronologica Antonietta Robotti non dunque considerata una
celebrit, ma senza dubbio una prima attrice nel pieno delle sue forze che
sa raccogliere consensi ovunque la compagnia si presenti. Tra gli aneddo-
ti tramandati dalle fonti favorevoli allattrice per testimoniare il suo carisma
emerge quello relativo allinvaghimento da lei suscitato in Giuseppe Peracchi
durante il passaggio della Reale Sarda da Parma intorno al 1843. Lingresso
in Arte di Peracchi, al tempo giovane laureato in medicina e attore dilettante
in una filodrammatica, viene infatti attribuito al fascino della prima attrice,
per la quale avrebbe abbandonato una pi certa carriera proponendosi come
amoroso senza paga. Nel 1849, alla morte del primo attore Gottardi, sarebbe
stato proprio Peracchi a sostituirlo divenendo uno deipartnerdi scena predi-
letti dalla Robotti.
Pi chiara prova dellapprezzamento di Antonietta Robotti nella Reale Sarda
la durata della sua militanza nella compagnia. Lattrice, confermata nel ruolo
primario anche quando nel 1843 Domenico Righetti si avvicenda a Gaetano
Bazzi, mantiene questa posizione per un intero decennio, fino al 1853, anno
in cui sarebbe stata infine scalzata da Adelaide Ristori.
Tra i numerosi spettacoli allestiti dalla Robotti durante il lungo periodo
di attivit con la Reale Sarda svetta, per rinomanza dellautore molto pi che
per lefficacia scenica del testo, la prima rappresentazione dellAdelchidi Ales-
sandro Manzoni nel 1843. In questa occasione la Robotti esprime i dolori
di Ermengarda col pi profondo sentimento di una pia che muore e perdo-
na, ma la sua interpretazione non riesce comunque a salvare una scena che,
per quante bellezze di stile [vi] si trovino, considerata talmente disgiunta
dal dramma da compromettere irrimediabilmente lunit di azione, e pro-
voca pertanto il malcontento della platea: ad onta di quanto fece la Robot-
ti, a cui non manc qualche applauso, questa scena irrit tanto il pubblico.13
A causa dellesito infausto della rappresentazione la tragedia manzoniana non
rimane nel repertorio n della Reale Sarda n dellattrice. Una vasta eco ha

12. Teatro Re, Strenna teatrale europea, vi, 1843, p. 191.


13. A. Brofferio, Adelchi, tragedia di A. Manzoni, Il messaggiere torinese, 20 maggio
1843, ora inA. Manzoni, Le tragedie, a cura di G. Tellini, Roma, Salerno editrice, 1996, pp.
1015 e 1017.

244
ANTONIETTA ROBOTTI

invece, nel 1846, ilFornarettodi Francesco DellOngaro. Il testo, che pone al


centro della vicenda il tema della pena di morte, portato al successo dagli
attori della compagnia Reale Sarda, tra cui, nella parte di Clemenza, uneffi-
cace Antonietta Robotti.
Sul fronte interno della compagnia laffermazione della Robotti ha co-
me contropartita la progressiva emarginazione della pi anziana collega Rosa
Romagnoli, servetta che, come gi ricordato, al momento dellingresso della
Robotti nella formazione ne era tra i principali elementi di pregio. Il declino
della servetta, certo dovuto a ovvie considerazioni anagrafiche, probabil-
mente alimentato dalla concorrenza della prima attrice. Si veda ad esempio la
tensione scaturita attorno alla commedia tradotta dal franceseLa contessa della
botte: La parte di protagonista di questo lavoro era sempre stata eseguita con
molto successo dalla signora Rosa Romagnoli, servetta, alla quale spettava per
diritto. Un bel giorno la Robotti, per la quale gli applausi tributati alla Roma-
gnoli erano altrettante pugnalate, insorse e pretese che quella parte spettava a
lei e per conseguenza intendeva assumerla. Righetti non seppe fare di meglio,
che rivolgersi alla Direzione e chiederle la facolt di togliere dal repertorio la
produzione.14 Quando la direzione della compagnia, con il parere di Massimo
dAzeglio, assegna la parte alla Romagnoli, la commedia di fatto espunta dal
repertorio dellatroupe. La Romagnoli poi fin per essere lasciata del tutto in
disparte e a non fare pi che rade apparizioni sulla scena.15
Anno dopo anno, Antonietta Robotti diviene una delle beniamine del
pubblico. Trentenne ormai indicata quale modello alle pi giovani artiste:
La Sado[w]ski deve tendere alla celebrit della Ristori, della Robotti, del-
la [Carolina] Santoni, e merc dello studio innalzarsi a pareggio della triade
invitta.16 Il primato della Robotti sulla scena italiana, gi condiviso con altre
interpreti, per destinato a bruciarsi nel giro di pochi anni, anche in rela-
zione alla prepotente ascesa delle attrici della generazione successiva, tra cui la
stessa Fanny Sadowsky e soprattutto Adelaide Ristori.
Il primo segno della supremazia di questultima il suo avvicendamento
alla Robotti nel ruolo di prima donna della Reale Sarda nel 1853, avvenuto,
tra laltro, con un contratto a lei estremamente favorevole. Secondo quanto
raccontato da Ernesto Rossi nella sua autobiografia, Francesco Righetti, di-
rettore della compagnia, era stato costretto a prendere questa decisione per-
ch Antonietta Robotti non era pi adatta alle parti giovanili e si era rifiutata

14. S. Cordero di Pamparato,Teatri e censura in Piemonte nel Risorgimento italiano (1849-


1861), Il Risorgimento italiano, vol. xiv, gennaio-giugno 1941, 26-27, p. 137.
15. Ivi, p. 138.
16. Relazione sulla compagnia Lombarda allApollo di Venezia nella primavera 1846, Il caff
Pedrocchi, i, 21 giugno 1846, p. 200.

245
EMANUELA AGOSTINI

di farsi affiancare da unaltra interprete: Nellanno 52 la Robotti non era pi


giovane, e gi si tentava dal direttore della compagnia di metterle al fianco
unaltra prima attrice, desiderando, che ella passasse a fare le parti di donna
matura, lasciando ad unaltra pi giovane di lei quelle di amorosa giovane.17
Stando sempre al racconto di Rossi (forse incline a enfatizzare il buon carattere
della Robotti anche per contrapporlo a quello di Adelaide Ristori) nella deci-
sione ultima avrebbe avuto un non piccolo ruolo lopinione di Luigi Robot-
ti: La Robotti, poco superba, e forse conscia dello stato suo, stava per cedere:
ma sorse il marito, attore nullo, uomo alquanto istruito, ma cocciuto quanto
orgoglioso, rispose di no: non valsero istanze, ragioni e preghiere damici: il
suo no fu pi ostinato di quello dun mulo.18
Ancora alla penna di Ernesto Rossi si deve la descrizione della recita con
cui, al teatro Carignano di Torino, Antonietta Robotti, insieme a Cesare
Dondini, a Giuseppe Peracchi e ai rispettivi nuclei familiari, si congeda dalla
compagnia di cui aveva fatto parte tanto a lungo: Fu una scena commuoven-
tissima! pareva un distacco di amico da amico, un abbandono di padre dal fi-
glio, di fratello dal fratello. Non una esagerazione, se io ti dico, che le lagrime
scorrevano in copia, non solo dagli occhi delle belle signore e signorine, ma
anche da quelli meno sensibili degli uomini e dei giovinotti. [] laddio alla
Robotti fu commuovente: commovente fu quello pure al Dondini: dignitoso
e cortese al Peracchi. Se comuovente e sensibile fu per il pubblico, non meno
sentito lo ebbero dalla compagnia. Non erano soltanto artisti che si allonta-
navano: ma amici e fratelli, i quali avevano vissuto insieme tanti anni, diviso
glorie e onori, vittorie e disfatte, piaceri, gioie e disgusti: infine erano due fa-
miglie che si distaccavano; e in mezzo agli abbracci, ai baci, alle lagrime, agli
auguri di prosperit, ogni tanto usciva la parola proprioad hocead hominem:
asinaccio! cocciuto! presuntuoso! ignorante! la quale andava diritto diritto
a qualificare il marito della signora Robotti. I mariti delle prime donne non
sono niente migliori dei padri e delle madri. La lorolegittimit, pi o menole-
gittima, adoperata sempre nel senso di un esagerato e falso amor proprio.19
La fermezza di Luigi Robotti si nutre della speranza di ricavare un mag-
giore introito da una compagnia propria costruita su base familiare: una volta
archiviata lesperienza della Reale Sarda Robotti si associa infatti al gene-
ro Gaetano Vestri, marito della figlia Luigia dal 1851.20 Pare dunque inesat-

17. E. Rossi, Quarantanni di vita artistica, con proemio di A. De Gubernatis, Firenze,


Niccolai, 1887-1889, vol. i, p. 66.
18. Ivi, p. 67.
19. Ivi, pp. 77-78.
20. Cfr. T. Assennato, Vestri, Luigi, in amati.fupress.net/S100?idattore=605 (data di pub-
blicazione su web: 12 gennaio 2009).

246
ANTONIETTA ROBOTTI

to quanto riportato da Colomberti secondo il quale Robotti avrebbe fondato


una compagnia propria, per poi associarsi con Vestri dal 1854. Antonietta il
principale ornamento della formazione,21 Luigia recita come prima attrice
giovane, ma proprio Gaetano Vestri, figlio del celebre Luigi, che negli anni
di collaborazione con i Robotti raggiunge i massimi livelli della sua carriera.
Allo stato attuale le informazioni sullattivit della Robotti-Vestri sono
troppo esigue per poterne tracciare un bilancio complessivo. Meritevole di
un approfondimento sarebbe anche il contributo della Robotti alla direzione
del complesso. Dagli scambi epistolari con i drammaturghi (ad esempio Gio-
van Battista Niccolini) si presume che sul versante della produzione artisti-
ca la Robotti avesse una funzione primaria. Alcune fonti secondarie (come
i profili biografici di Nardo Leonelli e Luigi Possenti) ricordano inoltre che
Antonietta Robotti ebbe sviluppato lo spirito affaristico che ne fece unotti-
ma capocomica.22
Al 1856 risale una serie di episodi che mette nuovamente faccia a faccia
Antonietta Robotti e Adelaide Ristori. Alla fine di maggio, infatti, la Robot-
ti allestisce per prima a Torino laMedeadi Ernest Legouv pur sapendo che
Adelaide Ristori ne aveva acquistato i diritti di rappresentazione. Lo spettacolo
raccoglie applausi, sebbene Cesare Ricci, in una lettera del 25 maggio indiriz-
zata a Giuliano Capranica, giudichi la Robotti incapace di portarsi allaltezza
di quelle terribili passioni e definisca i suoi compagni di scena dei cani.23
Il contenzioso finisce in tribunale, sede nella quale i Robotti sono difesi dal
figlio di Angelo Brofferio, e si conclude con la loro condanna al pagamento
di unindennit. Le prospettive di guadagno dagli incassi degli spettacoli non
li fanno per desistere da continuare a mettere in scena il testo. Anche una
successiva rappresentazione a Bologna si conclude con una citazione a com-
parire in giudizio, ma stavolta il verdetto sfavorevole ad Adelaide Ristori.
Piazza teatrale dopo piazza teatrale la tattica adottata dalla Robotti finisce
per costringere la Ristori ad astenersi dal riproporreMedeain diverse citt. A
Verona, ad esempio, la Ristori non rappresenta questo testo. In una lettera al
traduttore Giuseppe Montanelli, motiva la sua scelta spiegando che le era sta-
to sconsigliato di farlo per la pessima impressione che quella rapacissima Ro-
botti vi aveva prodotto.24

21. F. Regli, Dizionario biografico dei pi celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici,
maestri, concertisti, coreografi, mimi, ballerini, scenografi, giornalisti, impresari, ecc. ecc. che fiorirono in
Italia dal 1800 al 1860, Torino, Dalmazzo, 1860, p. 451.
22. N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, Roma, Tosi, 1940-1944, vol. ii, p. 282.
23. Cfr. T. Viziano, Il palcoscenico di Adelaide Ristori. Repertorio, scenario e costumi di una
compagnia drammatica dellOttocento, presentazione di A. dAmico, Roma, Bulzoni, 2000, p. 143.
24. Ibid.: Adelaide Ristori a Giuseppe Montanelli, Verona, 24 settembre 1858.

247
EMANUELA AGOSTINI

Secondo i principali repertori, in conseguenza delluscita dalla compagnia


di Gaetano Vestri e sua moglie Luigia, nel 1859 la Robotti riform [] la
propria compagnia25 fondando la compagnia Nazionale Subalpina. Uno spo-
glio analitico delle fonti documentarie (tuttora in corso) porta a pensare che
il titolo di compagnia Nazionale Subalbina fosse gi attribuito allatroupedei
Robotti almeno fin dal 1857. Il 1859 in ogni caso un anno decisivo perch
lallontanamento di Gaetano Vestri impone ai Robotti un notevole sforzo di
riorganizzazione del loroensemble. Lesito di questa operazione infausto. Se-
condo Ernesto Rossi concorrono a determinarlo le responsabilit del capoco-
mico: cattiva direzione, cattiva amministrazione mandarono tutto a rotoli.26
Ma a questa altezza cronologica la stessa stella di Antonietta Robotti ad es-
sere ormai in definitivo declino, anche a causa di gravi problemi di salute.
Nel 1862 un attacco di artrite costringe lattrice a letto per tre mesi co-
me si evince da una lettera del marito inviata da Ferrara, in aprile, allamico
Francesco Righetti: Antonietta sempre stata in condizione da non poterle
parlare daffari; oggi [] grazie a Dio, dopo 107 giorni dinfermitva meglio.27
Lattrice non si riprender mai del tutto e due anni dopo, nel 1864, muore a
Bologna. Ernesto Rossi ricorda cos il suo decesso: la povera Robotti fin la
sua esistenza in Bologna nella miseria e nel dolore per labbandono di tutti co-
loro che un d la salutarono e la corteggiarono quale principessa della scena.28
Viene sepolta nel cimitero della Certosa di Bologna dove il marito avrebbe
poi fatto affiggere una lapide in sua memoria (poi trascritta da Rasi): Antonietta
Rocchi, moglie a L. Robotti / salutata nellarte di Roscio maestra / non superba
/ nei trionfi, / nelle dovizie nei plausi / non pavida / in casi avversi e malattie
dolorose / pronta / a soccorrere i miseri, a giovare i congiunti / in Dio fidata
/ lo invocando spir La sola amicizia fedele / in vita ed in morte / mur il
sepolcro a custodire le ceneri / di / Antonietta / ed il suo nome il marmo in-
cideva. N. in Como A. MDCCC XVII M. in Bologna A. MDCCC LXIV.

Famiglia

Le informazioni sulla famiglia dorigine di Antonietta Robotti sono esigue:


cos come si evince dal permesso di sepoltura29 lattrice nacque nel 1817 a Co-

25. Leonelli, Attori tragici, attori comici, cit., vol. ii, p. 281.
26. Rossi, Quarantanni di vita artistica, cit., vol. i, p. 67.
27. In L. Rasi, I Comici italiani. Biografia, Bibliografia, Iconografia, Firenze, Bocca-Lumachi,
1897-1905, vol. ii, p. 385.
28. Rossi, Quarantanni di vita artistica, cit., vol. i, p. 67.
29. Rivedi n. 1.

248
ANTONIETTA ROBOTTI

mo da Giuseppe Rocchi e Giuseppina Cesartelli che Baldassarre Lambertenghi


definisce onesti e civili parenti, ma non favoriti dal sorriso della fortuna.30
Ugualmente misteriosa , ad oggi, lidentit dei comici Torandelli31 a cui
Antonietta viene affidata quasi ancor bambina32 e che per primi la avviano
alla professione teatrale. Non chiarita neanche leventuale relazione tra questi
comici, lattore Giuseppe Torandelli (o Torondelli) scritturato nella compagnia
Battaglia per il 1788-1789 e come generico nella compagnia Moncalvo nellau-
tunno 1823 e Luigia Torandelli, prima attrice nel 1820-1821 e madre nobile
nel 1821-1823 nella formazione diretta da Giuseppe Moncalvo.
Figura decisiva tanto per la vita quanto per il percorso professionale di An-
tonietta Robotti il marito Luigi che nel 1836, quando la coppia scritturata
nella compagnia Reale Sarda, ha gi alle spalle alcuni anni di attivit profes-
sionale, avendo militato nel 1829-1830 nella compagnia di Lucrezia Bettini,
nel dicembre 1831 nella compagnia di Ciarli-Fiaschetti, e dal 1832 proprio
nella compagnia di Moncalvo in cui erano presenti anche alcuni membri del-
la famiglia Torandelli.
La coppia ha almeno due figli: Luigia e Federico. La prima destinata dai
genitori al teatro: recita infatti al loro fianco con continuit fin dalla pi te-
nera et interpretando inizialmente parti ingenue, per poi passare al ruolo di
amorosa e quindi a quello di prima attrice giovane. Sposata intorno al 1851
con lattore Gaetano Vestri (1825-1862), primogenito del celeberrimo Luigi
(1781-1841), Luigia Robotti a sua volta madre di Laura, ottima madre e ca-
ratteristica del secondo Ottocento, morta nel 1905.
Pi incerte le notizie riguardanti Federico Robotti: nel 1841-1842 scrit-
turato nella Ducale di Parma per le parti ingenue (come la sorella) e nel 1842-
1843 come generico nella Reale Sarda. Per quanto la ricerca documentaria sia
ancora lacunosa, lassenza del suo nominativo negli elenchi delle compagnie
in cui i suoi familiari sono scritturati successivamente potrebbe essere il se-
gno di una sua diversa destinazione. Il legame con lattivit familiare per
saltuariamente testimoniato anche in seguito: nel 1854 Federico autore di
unapicemessa in scena dalla compagnia Robotti-Vestri. Le speranze per il
suo avvenire si infrangono per tragicamente a causa della morte che lo coglie
prematuramente proprio intorno a quellanno.
Una nipote di Antonietta Robotti, Giuseppina Rocchi, sposa nel 1856 Ce-
sare Rossi (1829-1898), notevole caratterista, promiscuo e capocomico.

30. Lambertenghi, Antonietta Robotti, cit., p. 63.


31. O Torondelli, o ancora Tarandelli secondo quanto riportato da Cauda, A velario aperto
e chiuso, cit., p. 36.
32. Lambertenghi, Antonietta Robotti, cit., p. 64.

249
EMANUELA AGOSTINI

Formazione

Secondo i repertori Antonietta Robotti sarebbe entrata in Arte grazie ai


comici Torondelli a cui viene affidata da ragazzina. Il suo apprendistato si sa-
rebbe dunque consumato sul campo, allinterno di una compagnia di infimo
ordine contraddistinta da un repertorio composito (rappresentazioni dramma-
tiche, farse in musica e balletti giocosi). I suoi primi successi sarebbero stati le
farseIl pitocchettoeGiovannina dai bei cavalli(ovveroLeredit o Giovannina dai
bei cavalli e dalla bella carrozzadi August von Kotzebue).
Una funzione formativa ha anche la sua prima permanenza nella com-
pagnia Reale Sarda. Per un intero triennio comico (1836-1839) Antonietta
Robotti lavora infatti al fianco della celebrata prima attrice Carlotta Mar-
chionni di cui ha modo di studiare metodi e tecniche. Le ricadute di questa
esperienza sulla qualit della sua recitazione richiedono per ancora una si-
stematica valutazione.

Interpretazione/Stile

Antonietta Robotti, oggi pressoch sconosciuta, intorno agli anni Quaranta


dellOttocento era una delle beniamine del pubblico teatrale italiano. Resti-
tuisce la misura del consenso da lei ricevuto la sua permanenza nel massimo
ruolo femminile in compagnie di eccezionale prestigio come la compagnia
Ducale di Parma (dal 1839 al 1842) e la Reale Sarda (dal 1842 al 1853). Le ra-
gioni dellattuale noncuranza verso la sua personalit, condivisa anche da una
parte dei repertori e della bibliografia dedicata alle attrici ottocentesche, sta
nella collocazione della sua esperienza artistica in una posizione mediana tra
lastro di Carlotta Marchionni, ritiratasi dalle scene nel 1840, e lincontenibile
ascesa di Adelaide Ristori alla met del secolo. Schiacciata tra questi due mo-
delli attorici Antonietta Robotti non riesce a consolidare nel tempo la premi-
nenza sulla scena teatrale guadagnata al momento del ritiro della Marchionni
e, pur inizialmente contrastando una Ristori ancora emergente, presto de-
stinata a essere superata.
Le fonti di pi immediato reperimento, i repertori e lesigua bibliografia
inerente la Robotti non sono molto generosi nel descrivere le qualit su cui
si fondava il suo fascino, mentre sono inclini a soffermarsi sulla parabola di-
scendente della sua carriera artistica. La causa della sua decadenza identi-
ficata nel prematuro invecchiamento che avrebbe presto reso preferibile per
lei la scelta di parti di donne mature: Come daltra parte non avvertire la
signora Robotti che ormai la scuola nella quale essa stata uno dei lumina-
ri decaduta: come non avvertirla, brutta verit per tutti e specialmente per

250
ANTONIETTA ROBOTTI

una donna, che vi sono delle parti che non possono sostenersi che nel fiore
della giovent?.33
Linadeguatezza della Robotti non era solo fisica: ad essere datata era soprat-
tutto la qualit della sua recitazione. Molto interessante , a questo proposito,
la testimonianza di Ernesto Rossi che con lei aveva recitato nella Reale Sar-
da. Nella sua autobiografia lattore rileva la profondit del rapporto costruito
dallinterprete con il suo pubblico, tanto da ritenere rischiosa la sua sostituzio-
ne nella compagnia, ma non si esime dal notare che la sua recitazione non si
accordava al gusto pi aggiornato: Losso duro, il chiodo, che bisognava cac-
ciare dentro, era la Robotti. Troppe cose si erano unite insieme per stabilire
una corrente simpatica fra il pubblico e lei, per poterla rompereex abrupto; la
sua bont come donna, la sua condiscendenza, la sua onest, e sia pur detto ad
onore del vero, la sua non comune abilit artistica. Il pubblico, in generale,
abituato, non vedeva pi i difetti, o, se li vedeva, li copriva con tutte le altre
qualit. Per da molti era riconosciuto, che la Robotti non era pi giovine,
che a lei pi non si attanagliavano le parti giovanili, tenere ed amorose, che il
suo metodo era alquanto antiquato. Di questi difetti il pubblico si era accorto,
dopo aver veduto altre compagnie quali, per esempio: quella della Battaglia
diretta da F[rancesco] A[ugusto] Bon, ove le prime donne erano la Sadowsky
e lArrivabene, allieve entrambe di Gustavo Modena: e le compagnie france-
si, che gi da qualche tempo si alternavano al teatro DAngennes. Quella del
Dubigny prima, poi quelle di Adler-Perrichon e Meynadier: nelle quali era
sempre una prima donna di qualche merito. Anche la Rachel era scesa in Ita-
lia nel 1851.34
Anche la drammaturgia pi congeniale allattrice indicativa della distan-
za di Antonietta Robotti dalle attrici pi giovani tra le quali svetta, oltre ad
Adelaide Ristori, Fanny Sadowsky. Mentre queste ultime si distinguono nel
dramma romantico, Antonietta Robotti continua ad eccellere in un reperto-
rio uniformato ai canoni estetici e interpretativi della precedente generazione:
Piacque pi nel classico che nel romantico o drammatico []. Ed era giusto:
Pel genere classico il pubblico pi non ricordava la Internari, la Pelzet, la
Pellandi, la Marchionni per il romantico e il drammatico, vivevano per la
Ristori e la Sadowski che erano somme entrambe, la prima nellaMaria Stuar-
da, la seconda nellaAdriana.35
Lelenco dei cavalli di battaglia della Robotti in verit eterogeneo e ben
evidenzia come Antonietta Robotti sia stata linterprete della transizione del

33. Leopoldo Br., Teatro del Cocomero, Lo Scaramuccia, i, 16 dicembre 1853, 14, pp. n.n.
34. Rossi, Quarantanni di vita artistica, cit., vol. i, p. 80.
35. Ibid.

251
EMANUELA AGOSTINI

teatro dalla stagione classicista verso il romanticismo: da una parte lattrice


eredita il repertorio di Carlotta Marchionni e lo aggiorna con titoli nuovi ma
affini per gusto, dallaltro si dirige verso novit che condivide con la Ristori e
la Sadowsky. Fanno cos parte del suo repertorio le tragedieMaria Stuardadi
Friedrich Schiller,Francesca da Riminidi Silvio Pellico,Pia de Tolomeidi Car-
lo Marenco,Parisinadi Antonio Somma,Mirradi Vittorio Alfieri,Antonio Fo-
scarinidi Giovanni Battista Niccolini, Giulietta e Romeodi Cesare Della Valle,
i drammiDopo sedici annieIl testamento di una povera donnadi Victor Ducan-
ge,La madamigella di Belle-Isledi Alexandre Dumas eCuore ed artedi Leone
Fortis, le commedieLe gelosie di ZelindaeLindoro,GlinnamoratieLa vedova
scaltradi Carlo Goldoni,La suonatrice darpadi David Chiossone,La calunniadi
Eugne Scribe,Un vagabondo e la sua famigliaeLaddio alle scenedi Francesco
Augusto Bon,Lodio ereditariodi Giovanni Carlo Cosenza,La marchesa di Sen-
neterredi Mlesville e Charles Duveyrier e infineGoldoni e le sue sedici comme-
die nuovedi Paolo Ferrari.
Secondo la prassi corrente per le prime attrici dellepoca, anche Antoniet-
ta Robotti si cimenta in tutti i generi. Per Ernesto Rossi nella commedia era
mediocre, mentre nel dramma e nella tragedia interpretava bene, ma eseguiva
un poco esageratamente.36 Un pensiero contrastante sembra essere espresso da
almeno unaltra testimonianza risalente al 1854: La Robotti un nome ormai
popolare in Piemonte, un nome ormai sinonimo di attrice eccellente. ella
migliore della Ristori? [] Solo diremo schiettamente che nelle tragedie ame-
remmo meglio udir la Ristori, nelle commedie la Robotti.37 Lassegnazione di
un primato della Robotti nella commedia potrebbe per spiegarsi in questo caso
con il ricorso da parte dellautore dellarticolo ad una formula giornalistica che
limava la disparit tra le due artiste in un momento in cui la supremazia risto-
riana nel genere prediletto, quello tragico, doveva essere ormai evidente. Solo
una decina di anni prima, nel 1843, la questione era affrontata in questi termi-
ni: a coloro che mi domandano quale la migliore artista attuale italiana per
la commedia alla Scribe e pel dramma alla Dumas, risponder: la Robotti e la
Ristori: lattrice sentimento, se si pu dire, lattrice soavit. E per la commedia
alla Goldoni ed alla Bon? La Romagnoli e la Landozzi comica colta e brillante.
Che se fossi richiesto della miglior interprete della tragedia di Schiller e dAlfie-
ri, direi ancora la Robotti e la Santoni.38 Anche secondo questa fonte, dunque,
la Robotti avrebbe dato il meglio di s sopratutto nel dramma e nella tragedia.

36. Ivi, p. 65.


37. E. Liveriero,Rivista teatrale, Rivista contemporanea, ii, 1854, vol. ii, p. 642.
38. G.S.A., Dellarte comica in Italia e di Gustavo Modena, Rivista europea, n.s., i, secondo
trimestre 1843, pp. 111-112.

252
ANTONIETTA ROBOTTI

Per quanto riguarda la qualit della sua recitazione si pu immaginare che,


cos come il repertorio, si collocasse in una posizione intermedia tra la purez-
za della Marchionni e la passionale monumentalit ristoriana. Questa lettu-
ra potrebbe forse spiegare la parziale contraddittoriet delle fonti in merito.
Al momento dellesordio Carlotta Marchionni sicuramente per Antonietta
Robotti un ideale di perfezione professionale a cui aspirare. In linea con lar-
chetipo dellattrice morale che nella Marchionni aveva trovato perfetta incar-
nazione, anche la Robotti rafforza il suo legame con il pubblico facendo parlare
di s per le qualit personali, come lumana simpatia e laffetto rivolto verso il
marito, ancor prima che per quelle strettamente professionali. Per Ernesto Rossi
ad esempio la signora Robotti non era una grande attrice, ma le sue belle qua-
lit fisiche e intellettuali la rendevano simpatica a tutti i pubblici, cara ai suoi
compagni.39 Rimanda sempre alla scuola della Marchionni labitudine della
Robotti di imparare le parti interamente a memoria, assistita in questo da una
memoria di ferro (il suggeritore per lei era un semplice rammentatore: e bada
bene, che il tempo concessole per lo studio di una parte nuova non era lungo,
tutto al pi una settimana).40Potrebbe essere invece il segno di una distanza
dal modello-Marchionni, originale ma fallimentare, della Lusinghieradi Alber-
to Nota che era stato un cavallo di battaglia della Marchionni.41
La protagonista della commedia, Giulia, una donna dal comportamen-
to disinvolto, che illude i quattro innamorati che lhanno seguita da Perugia
a Roma, e scrive lettere di conforto a quelli lontani, arrivando a compiere al-
cuni gesti di civetteria giudicati troppo audaci dal pubblico di quei tempi. Il
Nota rende volutamente sgradevole il personaggio di Giulia soffermandosi
eccessivamente sulle menzogne, sui sorrisi, sugli sguardi languidi della donna
distribuiti a tutti, su atteggiamenti troppo spregiudicati, per esempio compra
trecce da donare agli spasimanti fingendo di averle fatte coi suoi capelli, riceve
i pretendenti tutti insieme e mentre fa cenno col piede a uno, stringe la ma-
no dellaltro.42 Il finale punisce la protagonista, la cui immoralit era in parte
mitigata dallo scopo con cui giustificava la sua libert, la scelta del marito mi-
gliore, con la condanna alla solitudine.
Carlotta Marchionni fu la sola a riuscire a imporre quella che era considerata
una parte di donna senza scrupoli probabilmente grazie a uninterpretazione
elegante e nobile che ne attenuava i tratti dissonanti in conformit allideale
di perfezione morale da lei personificato: Ci voleva Carlotta Marchionni, che

39. Rossi, Quarantanni di vita artistica, cit., vol. i, p. 65.


40. Ibid.
41. Cfr. qui pp. 210-211.
42. A. Camaldo, Alberto Nota, drammaturgo (con il testo di otto commedie inedite), Roma,
Bulzoni, 2001, p. 117.

253
EMANUELA AGOSTINI

fu salamandra di castit in mezzo al fuoco della scena, per cavarsela con ono-
re da una parte nella quale il pi degli effetti scenici nellartifizio della con-
troscena muta, nelle occhiate, nei sorrisi e persino nella procace scollatura del
busto, vieppi stimolante quanto pi dissimulata sotto la trasparenza dei veli e
delle trine.43 Al contrario la Robotti, evidenziando gli aspetti piccanti del-
la parte, suscit la disapprovazione degli spettatori: che il successo di quella
commedia fosse presso che esclusivamente dovuto alla Marchionni, apparve
chiaro pi tardi, quando altre valentissime attrici vi si provarono dopo di lei.
O ne accentuassero la simulazione, come Amalia Bettini, o la procacit come
la Robotti bellissima, non approdarono che ad annoiare il pubblico, come la
prima; o, come la seconda, a farlo rumoreggiare.44
Mancanza di decoro per eccesso di fisicit pare esserle attribuita anche in oc-
casione di uno spettacolo al teatro Gallo di Venezia nel 1840: La signora Anto-
nietta Robottiprima attriceavrebbe buoni elementi per la recitazione del dramma,
ove con pi parsimonia e maggior dignit usasse delle movenze di sua avvenente
persona e non modulasse ad incessante cantilena una voce fresca, insinuante e
robusta.45Addirittura impeto grossolano quello menzionato da Vittorio Ber-
sezio (che per, nato nel 1828, non avr forse potuto apprezzare pienamente le
prove migliori della Robotti nel fiore degli anni): Antonietta Robotti bellissi-
ma, procace, ardente, aveva dalla caldezza della propria indole pregi e difetti, che
concorrevano in parte uguale ad acquistarle lentusiasmo dei pubblici: trascu-
rata, ma appassionata, un po volgare, ma impetuosa, con poco studio, ma con
una gran felicit di ispirazione e dindovinamento, esagerata, ma affascinante.46
Lavvenenza della persona e la tendenza ad esagerare sono confermate da
molte testimonianze. Alla prima qualit fa riferimento Francesco Regli che
ricorda anche lentusiasmo che la Robotti riusciva a suscitare negli spettatori:
Bellissima nella persona, con due occhi che ti cercavano il cuore, con unani-
ma che vivamente sentiva, non senza intelligenza, non senza istruzione, nata e
fatta per le scene, eccitava continui clamori in tutti i teatri in cui si presentava,
ed era la delizia e la simpatia dei pubblici i pi capricciosi e severi.47
Per quanto riguarda leccessiva enfasi, gli articoli dellepoca la segnalano
frequentemente, ma diversamente da quanto affermato da Bersezio non sem-

43. G. Costetti, Il teatro italiano nel 1800. Indagini e ricordi, Rocca San Casciano, Cappelli,
1901, pp. 74-75.
44. Ivi, p. 75.
45. G. Podest, Cronaca teatrale-Venezia [30 settembre 1840], Glissons, nappuyons pas, vii,
5 ottobre 1840, 80, p. 320.
46. V. Bersezio,Il regno di Vittorio Emanuele II. Trentanni di vita italiana, Roma-Torino-
Napoli, Roux e C., 18892, vol. i, p. 206.
47. In Cauda, A velario aperto e chiuso, cit., pp. 40-41.

254
ANTONIETTA ROBOTTI

pre in associazione con lirruenza. Al contrario la Robotti di norma criticata


per le maniere troppo studiate: in altri termini: [] non rado ha bisogno di
far meno. [] alla Robotti, giacch ad onta de suoi difetti incontrastabil-
mente un distinto talento, la consiglio non contraffare le artifiziate maniere,
i trovati meccanici che una celebre donna nellultimo stadio della sua carriera
[Carlotta Marchionni] sostituiva al semplice e ingenuo linguaggio del vero. E
se ancor persiste nello studio della grande artista, il meglio non il peggio ne
imiti; e adoperi a rinnovare in parte su la scena la prima vita artistica di essa,
lepoca dellaMirrae dellaGurl, quando recitava per impeto daffetto, e pec-
cava piuttosto per troppa verit e per manco darte, che di soverchia manie-
ra, di soverchia affettazione.48 Lo stesso articolo sembrerebbe indicare che, in
continuit con la compostezza dellultima Marchionni, la Robotti propones-
se una recitazione controllata e estraniata: La Robotti va presso ai migliori
dellarte. La sua tristezza mite, il suo pianto soave, e l sorriso raccolto. Per
essa non lampi fuggitivi dentusiasmo, n bellezza a sbalzi: ma s un tutto ag-
graziato dove la ispirazione balena e domina la ragione. Direte che la sua voce
povera dintonazioni, e non abbastanza pieghevole: ma la non accanita,
n stridente. Direte chessa talvolta lenta, monotona, declamatrice, e talora
soverchiamente ansante, affannosa []; ma non si mostra mai affatto disordi-
nata, convulsa e quasi frenetica. [] E possiede a ritroso una decisa tendenza a
ogni maniera damabilit, sia poi da istinto, da proprio giudizio o da educazio-
ne; sebbene lontana di buon tratto da quella che noi chiamiam aria distinta.49
Misurata e composta, priva di slanci e di eccessi, sembra anche la suaMaria
Stuarda: Vedetela nellaStuarda.Cosa strana ma vera! lincompleta, la difetti-
va Robotti cos nellaStuarda, come nellaFamiglia Riquebourgh, nellAnello del-
la Nonna, nelTardo Ravvedimento, nelLione innamorato riesce egregiamente.
Con che ha mostrato, che essa potrebbe fare assai pi nellarte sua. La Robotti
e per la persona, e per la maniera, e per laffetto, la Stuarda di Schiller, la
Stuarda della storia, la Stuarda della poesia. Grande in tutta la tragedia, meno
forse qualche momento dellatto terzo dove trascorre un po, nel quinto atto ,
quasi dissi, incomparabile. L giustezza, riserbo, decoro; l correzione, misura,
finezza. Eh oh! lingenuo dolore, il vero abbattimento, la naturale maest. La
Robotti nella scena in cui lanima si ferma esitante tra i dolori patiti e le gio-
ie promesse, tra gli affetti terreni e linfinito amore, tra la vita e la morte, il
cielo e la terra; in quella scena meravigliosa, nella quale succede il misterioso
colloquio tra il creatore e la creatura, che la sola divina mente dello Schiller
poteva comprendere e rivelare; la Robotti, dico, sammanta duna tal quiete e

48. G.S.A.,Dellarte comica in Italia e di Gustavo Modena, cit., p. 110.


49. Ivi, pp. 110-111.

255
EMANUELA AGOSTINI

pia rassegnazione, duna fiducia cotanto mesta e solenne, ch vera poesia. La


Robotti nella Stuarda tocca [l]a sublimit!.50
A conferire una sensazione di artificio e di mancanza di naturalezza do-
veva essere soprattutto la voce, che veniva impiegata, secondo quella che era
una vera e propria cifra stilistica della Robotti, in modo cantilenante e de-
clamatorio. In aggiunta la gestualit era forse fondata su pose riconoscibili. In
un articolo del 1846, ad esempio, in cui si critica il metodo di recitazione
dei membri della Reale Sarda perch nessuno parla sulla scena [] ma tutti
qual pi qual meno con affettazione, con troppa misura declamano, nemme-
no Antonietta Robotti risparmiata. Allattrice pur ritenuta allapogeo dello
splendore drammatico e lodata per lintuizione estetica e la forma rappre-
sentativa, per cui comprende e veste ogni pi scabro carattere, viene richie-
sto, per raggiungere la perfezione, un po meno di manierismo, un po pi di
mutabilit nella fisionomia.51
A distanza di otto anni, nel 1854, una recensione evidenzia nuovamente
lenfasi declamatoria, ma rileva anche, come tratto positivo, latteggiamento
fisico dellinterprete: La signora Antonietta Robotti pecca di canto nel decla-
mare il verso della tragedia. Il suo gesto per molto eloquente; da suoi occhi
scintilla la passione animata, e lincesso sulla scena veramente da quellarti-
sta, che tiene posto elevato nellarte.52
Sulla voce della Robotti si pronunciano infine anche Regli e Ernesto Ros-
si. Per il primo qualcuno trovava troppo maschia la sua voce, ma se questa in
qualche produzione disdiceva in altre aggiungeva maest.53 Doveva dunque
trattarsi di una voce possente che ben si accompagnava a un atteggiamento
regale. Secondo Rossi invece la voce sua era forte, limpida come un campa-
nello Ne abusava e si compiaceva di udirsi: pi che nel naturale e nel vero,
stava nel barocco; ma era un barocco, che qualche volta toccava il sublime; la
sua massima era di sorprendere, anzich quella di convincere. Non si pu di-
re che fosse artifiziosa, ma rasentava lartifizio: quando ella si abbandonava al-
la sua natura, che era bella e sincera, era assai pi felice di quando cercava di
guidarla colla sua artistica esperienza.54

50. Ivi, p. 112 n.


51. Venezia-Reale compagnia Sarda. Teatro San Benedetto, Il caff Pedrocchi, i, 19 aprile
1846, p. 129.
52. A.Bonafini, Rivista teatrale, Rivista contemporanea, ii, 1854, vol. ii, pp. 439-448.
53. In Cauda, A velario aperto e chiuso, cit., p. 41.
54. Rossi,Quarantanni di vita artistica, cit., vol. i, p. 65.

256
ANTONIETTA ROBOTTI

Fonti, recensioni e studi critici

Manoscritti:

Permesso di sepoltura dellattrice Antonietta Robotti, 22 novembre 1864, Archivio storico


comunale di Bologna, Comune, Permesso di seppellimento, lettera S, n. 512, 1864.

A stampa:

G. Romani, Cronaca teatrale-Lucca, Glissons, nappuyons pas, vi, 15 maggio 1839,


39, pp. 155-156.
G. Podest, Cronaca teatrale-Venezia [30 settembre 1840], Glissons, nappuyons pas,
vii, 5 ottobre 1840, 80, p. 320.
A. Stocchi [pseudonimo di L. Molossi], Diario del teatro Ducale di Parma dal 1829
a tutto il 1840 compilato dal portiere al palco scenico Alessandro Stocchi, Parma, Rossi Ubal-
di, 1841.
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[Senza autore], Venezia-Reale compagnia Sarda. Teatro San Benedetto, Il caff Pe-
drocchi, i, 19 aprile 1846, p. 129.
[Senza autore], Relazione sulla compagnia lombarda allApollo di Venezia nella primavera
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C.Bettinelli, RobottiRocchi, Antonietta, inPrime attrici e primi attori. Storie di attori
lombardi fra Settecento e Ottocento, a cura di A.M. Testaverde, ricerche di C. Betti-
nelli e M. Gorla, Bergamo, Bergamo University Press-Sestante, 2007, pp. 146-147.
A. Colomberti, Dizionario biografico degli attori italiani. Cenni artistici dei comici ita-
liani dal 1550 al 1780, compilati dallartista comico Francesco Bartoli e dallattore Antonio
Colomberti continuati fino al 1880, testo, introd. e note a cura di A. Bentoglio, Ro-
ma, Bulzoni, 2009, 2 voll.
S. Sollazzi, Profilo biografico-artistico di una Prima attrice dellOttocento, tesi di lau-
rea in Storia del teatro e dello spettacolo, Universit degli studi di Firenze, Corso di
laurea in Progettazione e gestione di eventi e imprese dellarte e dello spettacolo, a.a.
2013-2014 (relatrice: prof. Francesca Simoncini).

258
ANTONIETTA ROBOTTI

Repertorio

1836
Pia de Tolomei di Carlo Marenco
Un anno di [ Jacques-Arsne-Franois-Polycarpe?] Ancelot

1837
Vittorina ossia Le conseguenze di una scommessa di Giacinto Battaglia

1838
Alexina ossia Costanza rara di Alberto Nota
Estella, ovvero Il padre e la figlia di Augustin Eugne Scribe
Fratello e sorella di Augustin Eugne Scribe
Giovanna I regina di Napoli di Giacinto Battaglia
Glinnamorati di Carlo Goldoni
I due metodi di autore non precisato
Il budjet dei giovani sposi di Augustin Eugne Scribe
Il furfantello di Parigi di Jean-Franois-Alfred Bayard e Emile-Louis Vanderburch
Il povero Giacomo di Hippolyte e Charles-Thodore Cogniard
Il romanzetto dunora di Lodovico Piossasco
La croce doro di Mlesville [pseudonimo di Anne-Honor-Joseph Duveyrier]
La giovane al momento di maritarsi di autore non precisato
Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni
Madame di Saint Agns di Augustin Eugne Scribe
Niente di male di Francesco Augusto Bon
Pap Goriot, ovvero Una lezione ai padri di Marie-Emmanuel-Guillaume-Marguerite
Thaulon de Lambert, Alexis-Barbe-Benot Decomberousse e Jean-Franois-Er-
nest Jaime
Rosina e il suo tutore di autore non precisato
Un capolavoro sconosciuto di Charles Lafont
Un curioso accidente di Carlo Goldoni

1839
Eulalia Granger ovvero Ancora un matrimonio disuguale di Michel-Nicolas Balisson de
Rougemont
I due matrimoni ovvero La rassegnata di Jean-Franois-Alfred Bayard
Il casino venduto e ricomperato ossia Lappuntamento di Jacques-Arsne-Franois-Polycar-
pe Ancelot
Il domino nero di Augustin Eugne Scribe
Il furfantello di Parigi di Jean-Franois-Alfred Bayard e Emile-Louis Vanderburch
Labate de lEpe di Jean-Nicolas Bouilly
Malvina overo Il matrimonio dinclinazione di Augustin Eugne Scribe
Parisina di Antonio Somma

259
EMANUELA AGOSTINI

Pia de Tolomei di Carlo Marenco


Sedici anni or sono di Victor-Henri-Joseph-Brahain Ducange
Un vagabondo e la sua famiglia di Francesco Augusto Bon

1840
Marino Faliero di Giulio Pull

1841
Caterina Haward di Alexandre Dumas pre
Cesare e Augusto di Augustin Eugne Scribe
Chiara ossia Dovere e generosit di Marguerite-Louise-Virginie Ancelot
Di sospetto in sospetto o Tutti compromessi di autore non precisato
Due case in una casa di Louis-Benot Picard, Alexis-Jacques-Marie Vafflard e Fulgen-
ce-Joseph-Dsir de Bury
Felice come una principessa di Mlesville [pseudonimo di Anne-Honor-Joseph
Duveyrier]
Galeotto Manfredi di autore non precisato
Il birichino di Parigi di Jean-Franois-Alfred Bayard e mile-Louis Vanderburch
Il cavaliere di San Germano di autore non precisato
Il genio della notte di Jean-Franois-Alfred Bayard e tienne Arago
Il marito della cieca di autore non precisato
Il matrimonio di Luigi di Jean-Franois-Alfred Bayard
Il proscritto di Frdric Souli e Timothe Dehay
La calunnia di Augustin Eugne Scribe
La cognata di Mlesville [pseudonimo di Anne-Honor-Joseph Duveyrier]
La fedelt alla prova di August Heinrich Julius Lafontaine
Le donne avvocate di Simeone Antonio Sografi
Luisa moglie e fidanzata di Frdric Souli
Madamigella di Belle-Isle di Alexandre Dumas pre
Maria Stuarda di Friedrich Schiller
Pamela nubile di Carlo Goldoni
Paolina ovvero Il testamento di una povera donna di Victor-Henri-Joseph-Brahain Ducange
Paolo James il corsaro generoso, ossia Il figlio della vittima di Alexandre Dumas pre
Pia de Tolomei di Carlo Marenco
Un vagabondo e la sua famiglia di Francesco Augusto Bon

1842
Amore o morte di autore non precisato
Carlo Goldoni a Parigi di Domenico Righetti
Cristoforo Colombo ovvero La scoperta del nuovo mondo di Giorgio Briano
Edoardo e Clementina di Laurencin [pseudonimo di Paul-Adolphe Chapelle]
Enrico Hamlin di Charles-Emile Souvestre
I Correggeschi di Parma di Pietro Corelli

260
ANTONIETTA ROBOTTI

Il burbero benefico di Carlo Goldoni


Il chirurgo e il vicer di Alberto Nota
Il lione innamorato di Augustin Eugne Scribe
Il lupo di mare di Thomas-Marie-Franois Sauvage
Laddio alle scene di Francesco Augusto Bon
Lanello della marchesa di Laurencin [pseudonimo di Paul-Adolphe Chapelle] e Eugne
Cormon
Lanello della nonna di Francesco Augusto Bon
La bottega del caff di Carlo Goldoni
La calunnia di Augustin Eugne Scribe
La catena di Augustin Eugne Scribe
La catena elettrica di [?] Gabriel
La cognata di Mlesville [pseudonimo di Anne-Honor-Joseph Duveyrier]
La croce doro di Mlesville [pseudonimo di Anne-Honor-Joseph Duveyrier]
La dote di Cecilia di autore non precisato
La finta ammalata di Carlo Goldoni
La forza dellamore materno di Jean-Franois-Alfred Bayard
La lusinghiera di Alberto Nota
La moglie dellartista di autore non precisato
Le prime armi di Richelieu di Jean-Franois-Alfred Bayard e Philippe-Franois-Pinel
Dumanoir
Malvina overo Il matrimonio dinclinazione di Augustin Eugne Scribe
Oscar, ossia, Il marito che inganna la propria moglie di Augustin Eugne Scribe
Rosmunda di Pietro Corelli
Un fallo di Augustin Eugne Scribe
Un segreto di autore non precisato
Un vagabondo e la sua famiglia di Francesco Augusto Bon
Van Bruch lincognito di [?] Fournier

1843
Adelchi di Alessandro Manzoni

1844
Genio dei vagabondi di Vittorio Alfieri
Mirra di autore non precisato

1846
Adalberto allassedio della Rocella di Achille Montignani
Il fornaretto di Francesco DallOngaro
Il proscritto di Frdric Souli e Timothe Dehay
La zingara, o LAmerica nel 1775 di Augustin Eugne Scribe e Mlesville [pseudonimo
di Anne-Honor-Joseph Duveyrier]

261
EMANUELA AGOSTINI

1847
Educazione e natura ovvero La figlia in adozione di Alberto Nota

1852
Il cuore di una madre di autore non precisato
La signora dalle camelie di Alexandre Dumas fils

1853
Il vetturale del Monte Cenisio di Joseph Bouchardy
La donna in seconde nozze di Paolo Giacometti
Sior Todero Brontolon di Carlo Goldoni

1854
Camoens di Leone Fortis
Cuore ed arte di Leone Fortis
Goldoni e le sue sedici commedie nuove di Paolo Ferrari
La notte di Venerd Santo di Paolo Giacometti

1857
Clelia o la Plutomania di Gaetano Gattinelli
Edmondo Dants il marinajo di Alexandre Dumas pre e Auguste Jules Maquet
Elisabetta regina dInghilterra di Paolo Giacometti
Filippo Maria Visconti ultimo duca di Milano di autore non precisato
I due sergenti di Thodore Baudouin DAubygny e Auguste Maillard
Medea di Ernest Legouv
Merope di Vittorio Alfieri
Sior Todero Brontolon di Carlo Goldoni

1858
Elisabetta regina dInghilterra di Paolo Giacometti
I giornali di Giuseppe Vollo

262
INDIZI DI PERCORSO E PROGETTI

Gianluca Stefani

SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO IN ANGUSTIE A VENEZIA:


I GUAI DELLA STAGIONE 1718-1719 AL SANTANGELO

Artista in moto perpetuo fu Sebastiano Ricci quondam Livio (1659-1734).1


Pi celebre come pittore di figura,2 Rizzi (come allora era chiamato, per via
del suono sibilante che la consonante c assume con le vocali e e i nel dialetto
veneto)3 fu anche disegnatore, restauratore, caricaturista, consulente e mercan-
te di opere darte.4 Tra le sue passioni ci fu il teatro, o meglio il teatro musi-

1. Propongo qui una essenziale bibliografia: J. von Derschau, Sebastiano Ricci: ein Beitrag zu
den Anfngen der venezianischen Rokokomalerei, Heidelberg, K. Winters Universittsbuchhandlung,
1922; R. Pallucchini, Studi ricceschi (I). Contributo a Sebastiano, Arte veneta, vi, 1952, pp. 63-
84; Atti del congresso internazionale di studi su Sebastiano Ricci e il suo tempo (Udine, 26-28 maggio
1975), a cura di A. Serra, Milano, Electa, 1976; J. Daniels, Sebastiano Ricci, Hove, Wayland
Publishers, 1976; Lopera completa di Sebastiano Ricci, a cura di Id., Milano, Rizzoli, 1976; L.
Moretti, Documenti e appunti su Sebastiano Ricci (con qualche cenno su altri pittori del Settecento),
Saggi e memorie di storia dellarte, 1978, 11, pp. 95-125; Sebastiano Ricci, catalogo della mostra
a cura di A. Rizzi, presentazione di G. Bergamini (Udine, 25 giugno-31 ottobre 1989), Milano,
Electa, 1989; F. Montecuccoli degli Erri, Sebastiano Ricci e la sua famiglia. Nuove pagine di vita
privata, Atti dellIstituto veneto di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed
arti, clvii, 1994-1995, 1, to. 153, pp. 105-154; A. Scarpa, Sebastiano Ricci, Milano, Alfieri, 2006;
L. Moretti, Miscellanea riccesca, in Sebastiano Ricci 1659-1734. Atti del convegno internazionale di
studi (Venezia, 14-15 dicembre 2009), a cura di G. Pavanello, Verona, Scripta, 2012, pp. 71-136.
2. Nella gerarchia dei pittori di Antico regime, quelli di figura occupavano il gradino
pi alto.
3. Cfr. Moretti, Miscellanea riccesca, cit., p. 71. Scrive Luigi Lanzi: Sebastiano Ricci, che
i Veneti scrivon Rizzi (Storia pittorica della Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso al fine del
XVIII secolo [1795-1796], a cura di M. Capucci, Firenze, Sansoni, 1968-1974, vol. ii [1970], p.
170). Moretti sostiene che il vero cognome di Sebastiano fosse Rizzi, e non Ricci, ipercorret-
tismo toscano di un cognome tuttora diffuso nellItalia del centro-nord (cfr. Miscellanea riccesca,
cit., p. 71). Sulle varianti del cognome cfr. O. Ceiner, Sulle origini della famiglia di Sebastiano Ricci,
in Sebastiano Ricci tra le sue Dolomiti, catalogo della mostra a cura di M. Mazza e G. Galasso
(Belluno e Feltre, 30 aprile-29 agosto 2010), Belluno, Provincia di Belluno Editore, 2010, p. 17.
4. Sebastiano Ricci fu consulente e procacciatore di opere darte per Ferdinando de Medici
(cfr. Lettere artistiche del Settecento veneziano. i, a cura di A. Bettagno e M. Magrini, Vicenza, Neri

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 263-289


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18380
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
GIANLUCA STEFANI

cale. Il bellunese Ricci fu impresario dopera nel circuito delle sale pubbliche
della Serenissima, sia pure non a tempo pieno, compatibilmente con lattivit
principale di depentore.5
Fin dagli studi di Luigi Ferrari, si sa che il settantenne pittore aveva assun-
to la conduzione del teatro di san Cassiano nella stagione 1728-1729, insieme
al soprano Faustina Bordoni.6 In un contributo apparso nel 1978 nella rivista
Saggi e memorie di storia dellarte, Lino Moretti pubblicava un documento
notarile che accertava il suo impresariato al teatro di santAngelo un decen-
nio prima, nel 1719.7 Recentemente, grazie alle ricerche archivistiche di Mi-
cky White e Beth L. Glixon, si sono allargati ulteriormente gli orizzonti di
una militanza teatrale che si riteneva pi circoscritta, anticipandola al biennio
1705-1706, sempre al SantAngelo.8
Rimandando a una specifica monografia la pubblicazione integrale delle inedite
carte sullattivit impresariale di Ricci da me rintracciate allArchivio di stato di

Pozza, 2002, pp. 14-22 e 25-27, lettere 1-12 e 15; sul mecenatismo del Gran Principe v. soprattutto
L. Spinelli, Il principe in fuga e la principessa straniera. Vita e teatro alla corte di Ferdinando de Medici e di
Violante di Baviera [1657-1731], Firenze, Le Lettere, 2010). Va detto che non solo Sebastiano Ricci,
ma molti artisti coevi operavano come agenti darte. Una condizione di meticciato che inizier a
declinare poco a poco con lemergere della figura del conoscitore di professione (cfr. F. Del Torre,
Sebastiano Ricci, Ferdinando di Toscana e altri corrispondenti, in Lettere artistiche, cit., pp. 8-9).
5. Sul mestiere di impresario cfr. almeno J. Rosselli, Limpresario dopera (1984), Torino,
EDT, 1985; F. Piperno, Il sistema produttivo, fino al 1780, in Storia dellopera italiana, a cura di L.
Bianconi e G. Pestelli, iv. Il sistema produttivo e le sue competenze, Torino, EDT, 1987, pp. 1-75.
6. Cfr. L. Ferrari, Labate Antonio Conti e Madame De Caylus, Atti del reale Istituto veneto
di scienze, lettere ed arti, xciv, 1934-1935, 2, p. 18, n. 1.
7. Cfr. Venezia, Archivio di stato (di qui in avanti ASV), Notarile. Atti, b. 12249, c. 251r.
(antica numerazione), Venezia, 24 febbraio 1718 more veneto (dora in poi m.v.), atti del notaio
Giorgio Maria Stefani, in Moretti, Documenti e appunti, cit., p. 111. In queste pagine utilizzer
il calendario corrente, specificando in nota le date secondo il more veneto.
8. Cfr. B.L. Glixon-M. White, Creso tolto a le fiamme: Girolamo Polani, Antonio Vivaldi
and Opera Production at the Teatro S. Angelo, 1705-1706, Studi vivaldiani, viii, 2008, pp. 3-19.
Sul famoso teatro veneziano, ubicato in corte dellAlbero, cfr. almeno: C. Ivanovich, Memorie
teatrali di Venezia (1681), a cura di N. Dubowy, Lucca, LIM, 1993, pp. 400-401 e 412; N.
Tessin the Younger, Travel Notes 1673-77 and 1687-88, a cura di M. Laine e B. Magnusson,
Stockholm, Nationalmuseum, 2002, pp. 363-364; I teatri pubblici di Venezia (secoli XVII-XVIII),
mostra documentaria e catalogo a cura di L. Zorzi et al. (Venezia, 22 settembre-11 ottobre
1971), Venezia, La Biennale, 1971, passim; N. Mangini, I teatri di Venezia, Milano, Mursia,
1974, pp. 73-76, 132-137; F. Mancini-M.T. Muraro-E. Povoledo, I teatri del Veneto, i. to.
ii. Venezia e il suo territorio. Imprese private e teatri sociali, Venezia, Regione del Veneto, Giunta
regionale-Corbo e Fiore, 1996, pp. 3-62; M. Talbot, A Venetian Operatic Contract of 1714, in
The Business of Music, a cura di M. T., Liverpool, Liverpool University Press, 2002, pp. 10-61; E.
Selfridge-Field, A New Chronology of Venetian Opera and Related Genres, 1660-1760, Stanford,
Stanford University Press, 2007, passim.

264
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

Venezia,9 presento qui i documenti riguardanti loperato riccesco al SantAngelo


nella stagione 1718-1719, ossia due stagioni prima che Il teatro alla moda di Benedet-
to Marcello mettesse alla berlina quel teatro sul suo frontespizio (dicembre 1720).
In quel periodo, Sebastiano Ricci, allapice della carriera, era da poco rientra-
to dallInghilterra, dove aveva soggiornato fino allestate 1715 insieme al nipote
Marco, apprezzato paesaggista e scenografo.10 Una volta a Venezia, Ricci senior,
carico di onori e notevolmente arricchito dalle generose commissioni britanni-
che, aveva acquistato al pubblico incanto un bellappartamento al secondo piano
delle Procuratie Vecchie, dove si era stabilito con quel suo nipote prediletto.11
Mentre i due Ricci erano impegnati, dal principio del 1718, nella decora-
zione di un ciclo di affreschi nella villa Belvedere, residenza estiva di Giovan-
ni Francesco Bembo, vescovo di Belluno,12 il Ricci jr era stato contattato dal
nuovo impresario del SantAngelo come scenografo. Il nome di Marco com-
pare in tutti e tre i libretti delle opere prodotte in quel teatro nellautunno e
carnevale 1718-1719, dove gli attribuita linvenzione delle scene.13
Come Sebastiano si sia riavvicinato al teatro per il quale aveva lavorato ol-
tre un decennio prima14 facile intuirlo, bench sconosciute siano, nel detta-

9. Questo articolo tratto dalla mia tesi dottorale Sebastiano Ricci impresario dopera (1694-
1729), Universit degli studi di Firenze, Dottorato di ricerca in Storia dellarte e Storia dello
spettacolo, xxvi ciclo, 2014, tutor prof. Stefano Mazzoni, in corso di stampa (Firenze University
Press). Colgo loccasione per rivolgere al mio tutor e maestro i pi affettuosi ringraziamenti.
10. Sul pittore, disegnatore, caricaturista e scenografo Marco Ricci cfr. almeno: A.
Blunt-E. Croft-Murray, Venetian Drawings of the Seventeenth and Eighteenth Centuries in the
Collection of Her Majesty the Queen at Windsor Castle, London, Phaidon, 1957; Marco Ricci, catalo-
go della mostra a cura di G.M. Pilo, con un saggio di R. Pallucchini (Bassano del Grappa, 1
settembre-10 novembre 1963), Venezia, Alfieri, 1963; A. Scarpa Sonino, Marco Ricci, Milano,
Berenice, 1991; Marco Ricci e il paesaggio veneto del Settecento, catalogo della mostra a cura di D.
Succi e A. Delneri (Belluno, 15 maggio-22 agosto 1993), Milano, Electa, 1993.
11. Cfr. Moretti, Documenti e appunti, cit., p. 111.
12. Cfr. Daniels, Sebastiano Ricci, cit., p. xv; Scarpa, Sebastiano Ricci, cit., pp. 151-153; G.
Galasso, Gli affreschi della villa Belvedere, in Sebastiano Ricci tra le sue Dolomiti, cit., pp. 45-49; E.
Lucchese, Belluno. Villa vescovile detta di Belvedere, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Settecento, a
cura di G. Pavanello, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 105-109, scheda 18.
13. I libretti in questione, pubblicati dalleditore veneziano Marino Rossetti, sono: Lamor di
figlia di Giovanni Andrea Moniglia, musica di Giovanni Porta; Amalasunta di Giacomo Gabrieli,
musica di Fortunato Chelleri; Il pentimento generoso di Domenico Lalli, musica di Andrea Stefano
Fior. la prima volta che Marco Ricci accreditato a Venezia come scenografo. Dopo aver
lavorato a Londra al Queens Theatre, a Haymarket, come pittore di scena (1709-1710), ritro-
veremo il Ricci jr ancora attivo in questo ruolo a Venezia al San Giovanni Grisostomo, nel
carnevale 1726, affiancato da Romualdo Mauro. Per i libretti citati v. qui anche note 25, 27, 61.
14. Cfr. Glixon-White, Creso tolto a le fiamme, cit. Per una relazione pi approfondita
sullattivit di Ricci al SantAngelo in quella stagione rinvio al mio libro di prossima pubblica-
zione (rivedi n. 9).

265
GIANLUCA STEFANI

glio, le circostanze di questo nuovo coinvolgimento. Si supposto, sulla base


dellunico documento finora noto,15 che egli fosse limpresario di quella sta-
gione. In realt, come rivelano i documenti, le cose furono pi complesse.
Secondo gli accordi iniziali, il conduttore del SantAngelo per lanno tea-
trale 1718-1719 non doveva essere Ricci, ma il Modotto. Fino a ora costui era
nientaltro che un nome, anzi un soprannome Modotto, appunto anno-
tato su una copia della prima edizione del Teatro alla moda rinvenuta da Gian
Francesco Malipiero.16 Qui un anonimo postillatore settecentesco aveva sciol-
to i nomi dei personaggi criptati negli anagrammi del frontespizio del libello
marcelliano, tra i quali:

Il signor Modotto una volta Padron di Peate voga a due remi fuor del costume. Questo
Impressario in SantAngelo e gettato il feraiolo favorisce il Signor Orsatto condu-
cendolo a casa con le provigioni sudette.17

Un medaglione iterato dalla critica fino a oggi. Grazie a nuove ricerche


darchivio,18 quel nomignolo, abbinato alla figura di uno snello vogatore a poppa
della peata nel frontespizio del Teatro alla moda (fig. 1), acquista spessore bio-
grafico. Se ne apprende il nome di battesimo e il cognome, Antonio Moretti,
fatti seguire dal soprannome sempre specificato perch come tale, eviden-
temente, egli era conosciuto ai pi. Si viene a sapere che suo padre si chiama-
va Bernardo. Si hanno le prove che egli fu conduttore del SantAngelo nella
stagione 1720-1721 (quella irrisa sul frontespizio del pamphlet marcelliano).19
Quanto alla stagione di nostro interesse, una serie di carte notarili e giudiziarie
attesta che, entro la fine di aprile 1718, Modotto aveva sottoscritto con i compa-
troni il contratto di locazione per prendere in gestione il SantAngelo. Nei teatri
della Serenissima, si sa, era norma per ogni impresario (o chi per lui) nominare un
proprio agente (il cosiddetto procuratore) per riscuotere gli affitti stagionali dei

15. Cfr. qui n. 7.


16. Cfr. G.F. Malipiero, Un frontespizio enigmatico, Bollettino bibliografico-musicale, v,
1930, pp. 16-19. Come noto, il frontespizio del libello marcelliano riproduce in incisione un
gustoso disegno caricaturale, con tre figurine su una barca in mare aperto. Sotto alla caricatura,
si legge una bizzarra indicazione tipografica diventata ormai celebre: Stampato ne BORGHI
di BELISANIA per ALDIVIVA LICANTE, allInsegna dellORSO in PEATA. Si vende nella
STRADA del CORALLO alla PORTA del Palazzo dORLANDO.
17. Ivi, p. 18. Il Signor Orsatto il vicentino Giovanni Orsatto quondam Domenico, atti-
vissimo impresario del tempo, allora di ruolo al San Mois.
18. Nuovi documenti al riguardo saranno pubblicati nella monografia in corso di stampa
segnalata a n. 9.
19. Cfr. n. 16.

266
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

palchi.20 A questo incaricato veniva arrogato il diritto di muovere azione legale


in caso di morosit e renitenza ai pagamenti. Non sappiamo se Modotto cono-
scesse gi Sebastiano Ricci, o se questultimo gli fosse stato presentato dal nipo-
te scenografo, o da qualcuno dei nobili proprietari del teatro. Fatto sta che, con
un inedito atto legale del 16 dicembre 1718 (doc. 1), ratificato dal notaio Gior-
gio Maria Stefani, limpresario nominava suo procuratore il pittore bellunese:

Il Sig[no]r Antonio Modotto, spontaneamente costituisce suo Proc[urato]r irrevoca-


bile, il Sig[no]r Sebastian Rizzi Pittor in questa citt benche absente etc. poter
nome suo riscuotter, ricever, e conseguir da tutti, e cadauni Affituali de Palchi del
Teatro di S. Angelo lAffitto dogni, e cadaun Palco, che sattrova Affittato in det-
to Teatro per lopera del presente Autuno e venturo Carnevale 1718 m[or]e v[enet]o
che saranno maturati li primi giorni della Quadragesima prossima; e tutto quello, e
quanto riscuotter di esso Affitto trattenersi nelle di lui mani d[ett]o Sig[no]r Sebastian
Rizzi per spese per occasione di d[ett]a Opera da lui fatte; essercitando perci qua-
lunque essecutione con chi fossero renitenti per la consecutione di essi Affitti, nella
forma e modo, et in tutto, e per tutto, come far potrebbe d[ett]o Sig[no]r Modotto
Costituente, se presente fosse; et in suo luoco sostituire un, pi Procuratori con
simile overo limitate auttorit, et quelli revocare.21

Iniziava cos lavventura di Ricci al SantAngelo nella stagione 1718-1719.


Lincarico di procuratore fu solo temporaneo. Ben presto il pittore divenne
impresario del teatro, come conferma un documento del 24 febbraio 1719 (la
carta morettiana gi citata).22 Per qualche ragione Modotto aveva rinunciato
al proprio mandato; quindi aveva fatto un atto di cessione a favore del suo so-
stituto Ricci. Sappiamo del resto, da un altro contratto similare del 1714 per
lo stesso teatro, che in caso di difficolt lincarico di conduttore era cedibile
a terzi, previo il consenso dei compatroni (non possa sotto qual si sia pretesto
sublocar ad altri il Teatro stesso senza il previo assenso, e permissione in scrit-
to de detti N[obili] H[omini] Comp[ad]roni).23

20. Quella del procuratore incaricato di riscuotere gli affitti dei palchi era una figura codi-
ficata del sistema teatrale veneziano (cfr. R. Giazotto, La guerra dei palchi [prima serie], Nuova
rivista musicale italiana, i, 1967, 2, p. 286; B.L. Glixon-J.E. Glixon, Inventing the Business of
Opera. The Impresario and His World in Seventeenth-Century Venice, Oxford, Oxford University
Press, 2006, pp. 30-33). Pare che, almeno negli anni Settanta del Seicento, certi procuratori non
fossero retribuiti direttamente dallimpresario o dai proprietari dei teatri, ma contassero sulle
mance degli affittuari dei palchi (cfr. ivi, pp. 30-31).
21. ASV, Notarile. Atti, b. 12249, cc. 175r.-v. (antica numerazione), Venezia, 16 dicembre
1718 (protocolli del notaio Giorgio Maria Stefani).
22. Cfr. n. 7.
23. Cfr. ASV, Inquisitori di Stato, b. 914, fasc. Case di gioco e teatri, sottofasc. S. Angelo,
c. 1v., Venezia, 11 dicembre 1714. Il lungo contratto, stipulato tra i compatroni del teatro di

267
GIANLUCA STEFANI

Ricci si trovava al timone di unimpresa gi avviata, con alle spalle la sta-


gione di autunno, pronto ad affrontare il periodo teatrale pi delicato: quello
di carnevale.24 Il corso delle recite invernali era iniziato il 27 dicembre 1718,
con la prima dellopera Amalasunta, su musica di Fortunato Chelleri e libretto
attribuito a Giacomo Gabrieli,25 e si concluse il 21 febbraio (con la ricorrenza
del marted grasso),26 nel segno dellultima performance de Il pentimento generoso,
su intonazione di Andrea Stefano Fior, poesia di Domenico Lalli.27
Una volta terminata la stagione, Sebastiano avvi un giro di vite per ri-
scuotere gli affitti dei palchi in arretrato.28 Per tale mansione il pittore delegava
il veterano Domenico Viola con un atto notarile del 24 febbraio 1719, rogato
dallo stesso Stefani (doc. 2):

santAngelo e limpresario Pietro Denzio, integralmente pubblicato in Talbot, A Venetian


Operatic Contract of 1714, cit., pp. 44-49: 45.
24. Il numero degli spettatori era di gran lunga maggiore in carnevale, dato lapporto
massivo dei visitatori che confluivano a Venezia in quella stagione. Spesso lopera dautunno era
un banco di prova per testare il cast stagionale (cfr. M. Talbot, Tomaso Albinoni: The Venetian
Composer and His World, Oxford, Clarendon Press, 1990, p. 199).
25. Il libretto di Amalasunta (Venezia, Rossetti, 1719, 60 pp.) stato consultato nella
copia conservata presso la Biblioteca marucelliana di Firenze (Melodrammi, 2311.17). Per una
scheda dellopera cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., pp. 343-344. Il titolo ori-
ginale era Amalasunta, regina de goti. documentato che la produzione di questo dramma
per musica era prevista per linverno del 1716 al SantAngelo. Sappiamo che la partitura fu
ultimata entro il 2 dicembre 1715. Tuttavia una disputa tra il compositore Fortunato Chelleri
e limpresario Stefano Lodovici ne sospese la messa in produzione, rinviandola di due anni
(cfr. ivi, p. 344). Nella stagione riccesca allAmalasunta furono abbinati gli intermezzi Serpilla
e Bacocco e Madama Dulcinea e il cuoco (ovvero La preziosa ridicola), interpretati dalla famosa
coppia di buffi Antonio Ristorini e Rosa Ongarelli (cfr. T. Wiel, I teatri musicali veneziani
del Settecento. Catalogo delle opere in musica rappresentate nel secolo XVIII in Venezia [1701-1800],
Venezia, Visentini, 1897 [rist. anast. Bologna, Forni, 1978], p. 55; Selfridge-Field, A New
Chronology, cit., p. 343 e n. 319; G.M. Orlandini, Serpilla e Bacocco, ovvero Il marito giocatore e
la moglie bacchettona, tre intermezzi di A. Salvi, ediz. critica a cura di G. Giusta e A. Mattio,
Bologna, Orpheus, 2003).
26. Cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 655.
27. Il libretto de Il pentimento generoso (Venezia, Rossetti, 1719, 60 pp.) stato consultato
presso la Biblioteca marucelliana di Firenze (Melodrammi, 2308.11). E v. Selfridge-Field, A
New Chronology, cit., p. 346.
28. Il tempo massimo previsto per il pagamento degli affitti era il carnevale; ci spiega
perch molti procuratori venivano nominati al termine della stagione teatrale. Per far fronte alla
recalcitranza degli affittuari, i procuratori procedevano, in prima battuta, a inoltrare avvisi di
sollecito; in seguito ricorrevano a scritture estragiudiziali registrate negli atti dei notai. Infine,
passavano agli ultimatum: se laffitto non fosse stato corrisposto entro un certo termine, il palco
sarebbe stato sciolto dai vincoli e messo a disposizione di altri aspiranti affittuari (cfr. Glixon-
Glixon, Inventing the Business of Opera, cit., p. 32).

268
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

Il Sig[no]r Sebastian Rizzi Pittor in questa Citt, facendo come Conduttore, sive
Patrone del Teatro di S. Angelo, spontaneam[en]te costituisce suo Proc[urato]re, e
Commesso legitimo il Sig[no]r Domenico Viola Agente delli N.N. H.H. Tron ben-
ch absente etc. poter nome suo riscuotter, ricever, e conseguir da tutti, e cadau-
ni Affittuali de Palchi di d[ett]o Teatro di S. Angelo tutti li Affitti corsi, e maturati,
facendo di quanto riscuotter le debite ricevute e cautioni; et in caso di renitenza al
pagamento giudiciariamente astringer, facendo perci qualunque comparsa, essecu-
tione, et Atti che ricercasse il bisogno.29

Come si evince dal documento, Domenico Viola quondam Tomio o To-


maso era lAgente delli N.N. H.H. Tron. Il suo nome circolava da anni
nellambiente teatrale della Serenissima. Uomo di fiducia dei proprietari del
San Cassiano almeno dal 1697,30 Viola collabor in pi occasioni anche con il
SantAngelo, a riprova dei cordiali rapporti che intercorrevano tra le due sale.31
Egli fu cassiere del teatro nel 1716-1717 sotto limpresario Pietro Ramponi,32
irriso, questultimo, da un anonimo, coevo poema burlesco per via del sono-
ro fiasco della Penelope la casta di Chelleri su libretto di Matteo Noris, secon-
da opera della stagione:

Il soprano turrinese
ha Domenico Viola
in cui spera al fin del mese
che sia uomo di parola.33

Come vedremo, Viola fu cassiere del SantAngelo anche nella stagione ricce-
sca: a lui i professionisti dello spettacolo si rivolgevano per ottenere la sospirata
paga (al pari della star torinese della satira).34 Pi che uomo di riferimento di

29. ASV, Notarile. Atti, b. 12249, c. 251r. (antica numerazione), Venezia, 24 febbraio 1718
m.v. (protocolli del notaio Giorgio Maria Stefani); cit. in Moretti, Documenti e appunti, cit., p.
111 (e rivedi n. 7). Sgombrando il campo da possibili fraintendimenti (cfr. Scarpa, Sebastiano
Ricci, cit., p. 57, n. 218), precisiamo che nel gergo notarile del tempo la formula bench absen-
te stava a indicare che il soggetto interessato era assente al momento della rogazione dellatto.
Nel nostro caso, con tale formula si specificava che Viola, pur non presente, dava il suo assenso.
30. Fu nominato procuratore dai Tron il 24 febbraio 1696 m.v., come si legge in un do-
cumento seriore inedito: ASV, Notarile. Atti, b. 1742, cc. 115v.-117v., Venezia, 19 aprile 1709
(protocolli del notaio Pietro Paolo Bonis).
31. Su Domenico Viola cfr. G. Vio, Una satira sul teatro veneziano di SantAngelo datata febbraio
1717, Informazioni e studi vivaldiani, x, 1989, p. 110.
32. Cfr. ibid.
33. Racolta di satire in lingua venetiana fatte da soggeto diversi. Tomo VII, ms., Venezia, Biblioteca
del museo Correr, Codice Cicogna, n. 1178, c. 175v. (cit. ivi, p. 104).
34. Si veda quanto si dir pi avanti.

269
GIANLUCA STEFANI

Ricci, Viola era, dunque, un fedelissimo dei Marcello, dei Capello e degli altri
compatroni del teatro. Da costoro fu probabilmente caldeggiato il suo nome
a Ricci per lingrata incombenza di estorcere gli affitti dalle tasche dei ritar-
datari. Inseguire i palchettisti insolventi non era compito facile, n esente da
rischi: documentato che, nel gennaio del 1662, un certo Stefano Galinazza,
agente al San Luca, fu pugnalato vicino a casa da uomini mascherati.35 E po-
tremmo citare altri esempi.36 Ci voleva una certa tempra per far da procuratore,
e Viola doveva averne, al pari di altri colleghi patentati. Si guardi, ad esem-
pio, alla faccia da sgherro di Piero Balbi detto Franzifava in una caricatura
di Anton Maria Zanetti (fig. 2).37 Lidentificazione del disegno col Balbi qui
avanzata per la prima volta: la galleria delle caricature zanettiane si arricchisce
di un altro professionista orbitante nel sistema dei teatri veneziani. Franzifa-
va era colui che affittava li palchi e scagni nel Teatro di opera che si fa in S.
Moise:38 il minaccioso cipiglio del ritratto zanettiano, certamente identificabile
con il solerte agente di Almor Giustinian,39 riporta allattenzione della critica
un personaggio altrimenti condannato al dimenticatoio, destinato tuttal pi
a venire a galla in qualche registro di cassa o in qualche notifica giudiziaria.
Che Domenico Viola avesse effettivamente agito per conto di Sebastia-
no Ricci nella riscossione degli affitti stagionali dei palchi lo prova un altro
inedito in data 4 aprile 1719: Cassa detta ducati 10 = Contadi a Dom[eni]co
Viola Proc[urato]re di Sebastian Rizzi per affitto del Palco pepian n. 26 nel
Teatro di SantAngelo per il Carnevale pass[a]to.40 Lestratto desunto da uno
dei capitoli delle spese diverse estraordinarie annotate nei registri di cassa
del nobiluomo Girolamo Ascanio Giustinian.41 Tali registri sono solo parzial-

35. Cfr. ASV, Consiglio di dieci, Criminal, b. 94, n. 1661, Venezia, [datazione non specifi-
cata], doc. cit. in Glixon-Glixon, Inventing the Business of Opera, cit., p. 33.
36. Cfr. ibid.
37. Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Album
Zanetti, f. 39, inv. 36615 (cfr. Caricature di Anton Maria Zanetti, catalogo della mostra a cura di
A. Bettagno [Venezia, 1969], presentazione di G. Fiocco, Vicenza, Neri Pozza, 1969, p. 81,
scheda 215; e segnalo limminente pubblicazione per lineadacqua del catalogo delle caricature
dellalbum Cini a cura di E. Lucchese). Sul lato destro della caricatura si legge la scritta auto-
grafa di Zanetti: Franzifava.
38. ASV, Capi del Consiglio di dieci, Notatorio, Filze, f. 44, fasc. a. 1728, c. n.n., 11 febbra-
io 1728 m.v. (il documento inedito).
39. Piero Franzifava era lagente di Almor Giustinian e della sua famiglia, allora proprie-
tari del teatro di san Mois.
40. ASV, Ospedali e luoghi pii, Registri, b. 1002, c. 232b, alla data.
41. Patrizio veneziano, amante delle lettere, dilettante di violino, Girolamo Ascanio
Giustinian (1697-1749) studi musica con Giuseppe Tartini. Il nobiluomo pass alla storia so-
prattutto per la sua collaborazione allEstro armonico-poetico di Benedetto Marcello (1724-1726):
sua la parafrasi in italiano dei primi cinquanta salmi. Lo stesso Giustinian fu anche dedicatario

270
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

mente noti.42 Il merito della loro scoperta si deve a Gastone Vio, il quale, in
un articolo di qualche decennio fa, segnalava lesistenza dei registri contabi-
li (e dei corrispettivi giornali di cassa), appartenuti ai Giustinian del ramo di
Calle delle Acque, conservati nel fondo degli Ospedali e luoghi pii allArchivio
di stato di Venezia.43 Lestinzione del ramo della famiglia con la morte di due
discendenti femmine aveva legittimato alla successione delleredit lospeda-
le degli Incurabili e quello della Piet, secondo le disposizioni testamentarie
dellultimo rampollo di quella casata.44
I registri in questione, compilati da Giovanni Andrea Cornello, segreta-
rio amministrativo di Girolamo Ascanio, sono una fonte preziosa per la sto-
ria dei teatri veneziani a questaltezza cronologica. Vi si trovano annotati,
tra le spese sostenute dal nobiluomo, anche pagamenti relativi a maschere e
bollettini teatrali,45 nonch le somme versate per laffitto dei palchi acquisiti
dai Giustinian per via ereditaria o noleggiati per la stagione. Notevoli anche
le notizie sui costi dei palchi (e dei bollettini) e sui nomi dei destinatari dei
pagamenti. Se, in questultimo caso, sono ripetitivi i dati rispetto ai teatri
canonici, dove si sa in linea di massima chi riscuoteva gli affitti (Domenico
Viola confermato uomo di fiducia dei Tron, mentre Pietro Balbi e il conte
Antonio Frigimelica sono i rispettivi incaricati per il San Mois e il San Sa-
muele), pi interessanti sono le informazioni circa il SantAngelo. Scorren-
do i registri possibile ricomporre la sequenza di chi, di volta in volta, ebbe
il compito di riscuotere dal Giustinian (o da chi per lui) la somma dovuta
per il palco numero ventisei, a pepiano, posseduto da quella nobile famiglia.
Certe stagioni a batter cassa erano i compatroni, certe altre nei casi per
noi pi fortunati gli impresari o i loro procuratori. Una documentazione

di Cassandra, cantata composta dallo stesso Marcello su testo poetico di Antonio Conti (sul
Giustinian cfr. in partic. G. Vio, Note biografiche su Girolamo Ascanio Giustinian, in Benedetto
Marcello: la sua opera e il suo tempo. Atti del convegno internazionale [Venezia, 15-17 dicembre
1986], a cura di C. Madricardo e F. Rossi, Firenze, Olschki, 1988, pp. 61-74; M. Talbot, The
Vivaldi Compendium, Woodbridge, The Boydell Press, 2011, pp. 89-90, s.v.).
42. Cfr. per tutti ibid. Molti studi di settore ignorano lesistenza di questa preziosa fonte, o
perlomeno non la tengono in debito conto.
43. Cfr. Vio, Note biografiche, cit.
44. Cfr. ASV, Notarile. Testamenti, b. 233, cedole 116 e 117, Venezia, rispettivamente alle
date 9 agosto e 28 settembre 1790 (testamenti del notaio Giovanni Battista Capellis); cit. ivi,
pp. 72-74.
45. In data 14 ottobre 1727, ossia prima dellinizio della stagione, Giustinian acquistava
dallallora impresario del SantAngelo Gerolamo Gentillini un pacchetto di cinquantadue bi-
glietti per tutte le sere (ASV, Ospedali e luoghi pii, Registri, b. 1004, c. 240b, alla data). Il che
indurrebbe a pensare che il numero totale delle recite fosse solitamente fissato in anticipo (cfr.
Talbot, Tomaso Albinoni, cit., p. 197). Vedi anche quanto si dir pi avanti.

271
GIANLUCA STEFANI

ricca, che pu aiutare a sciogliere alcuni nodi sullingarbugliato turnover di


impresari al SantAngelo.
Lindagine ha gi dato i suoi frutti per gli unici due registri finora conosciuti
e studiati,46 corrispondenti alle buste 1004 e 1011 del citato fondo archivistico,
e relativi alle uscite di quasi un ventennio, dal 1722 al 1740. Il recupero di una
terza busta (la numero 1002)47 consente ora di allargare lo spettro dinchiesta
agli anni cruciali 1716-1721.
Dalla citata voce di pagamento al Viola si apprende che la somma versata
dal Giustinian per un mezzo palco a pepiano era di dieci ducati.48 Il nobiluo-
mo ademp al suo dovere soltanto il 4 aprile 1719, a stagione ampiamente sca-
duta. Ricci e Viola potevano comunque stimarsi fortunati: lanno successivo,
quando era impresario il dottor Francesco Rossi, il Giustinian vers il denaro
soltanto il 21 agosto, direttamente presso il tribunale del Forestier (presumi-
bilmente per linsorgenza di beghe legali).49 Del resto, come noto, i ritardi nel
pagamento degli affitti dei palchi erano diffusi tra i nobili veneziani. I registri
di cassa dei Giustinian non fanno che confermare tale prassi.
La stagione teatrale 1718-1719 al SantAngelo si concluse senza intoppi, fatte
salve le magagne di routine. Lunico impedimento alla regolare messa in scena
delle recite fu, per quanto ne sappiamo, la scossa di terremoto del 14 gennaio
1719, di cui si dava conto tre giorni dopo nella corrispondenza del Bologna:

Verso le 3 ore e mezza di sabbato sera si sent [] una terribil scossa di terremoto,
che dur lo spazio dun Credo [] e pi dogni altro luogo si sent alli teatri dello-
pere, e comedie, da quali fuggirono le persone, li comici bassarono subito il telone.50

Nel carnevale di quellanno le opere allestite al SantAngelo furono puntual-


mente annunciate dagli Avvisi di Venezia.51 In questi bollettini manoscritti

46. Cfr. ivi, p. 195 e n. 8.; Id., The Vivaldi Compendium, cit., pp. 89-90, s.v. Giustiniani,
Girolamo Ascanio.
47. Segnalata nel menzionato articolo di Vio (Note biografiche, cit., p. 62, n. 5).
48. Cfr. ASV, Ospedali e luoghi pii, Registri, b. 1002, c. 232b, alla data. A venti ducati
ammontava laffitto intero di un palco a pepiano nel teatro di santAngelo.
49. Cfr. ASV, Ospedali e luoghi pii, Registri, b. 1002, c. 295a, 21 agosto 1720 (documento inedito).
50. Il Bologna era un notiziario a stampa, uscito dai torchi felsinei fin dal 1645 e poi edi-
to, con continuit, dal 1678 al 1796 (cfr. E. Selfridge-Field, Song and Season: Science, Culture,
and Theatrical Time in Early Modern Venice, Stanford, Stanford University Press, 2007, p. 318 e n.
33). Lestratto qui proposto trascritto in Id., A New Chronology, cit., p. 344, n. 322. Analogo
resoconto sullevento sismico si legge nei dispacci del nunzio pontificio a Venezia (cfr. Citt del
Vaticano, Biblioteca Apostolica, Archivio segreto, Nunziatura di Venezia, n. 169, c. 23, Venezia,
14 gennaio 1719).
51. Gran parte delle copie degli Avvisi di Venezia conservata presso la Biblioteca del
museo Correr (Codice Cicogna, n. 1995) e alla Marciana di Venezia (Cod. It. vi, 74 [=5837]).

272
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

di taglio pubblicitario, redatti ogni sabato52 e depositati presso la Cancelleria


degli inquisitori di Stato,53 ricorrevano frequentemente notizie sui teatri e su-
gli spettacoli della Serenissima. Nei loro resoconti gli estensori54 registravano
la messa in scena delle produzioni pi importanti, aggiungendo qualche vol-
ta dettagli di contorno (per lo pi notifiche di imprevisti o incidenti), oppu-
re lapidari giudizi di merito, in genere stilati meccanicamente utilizzando un
vocabolario codificato.55
Con queste parole, il 31 dicembre 1718 si metteva a verbale linizio della
stagione di carnevale:

e nella stessa sera [santo Stefano] si riaprirono tutti li ridotti, e Teatri delle Comedie
et opere, et in quello S. Gio: Grisostomo and in scena il nuovo Drama intitolato Il
Lamano, e nella sera seguente and pure in scena allaltro S. Angelo lAmalasunta.56

Il medesimo estensore, in data 4 febbraio 1719, annunciava la prima del gi


ricordato Pentimento generoso:

Allepoca, i foglietti con le notizie erano esposti nelle farmacie, nelle distillerie, nei negozi di
barbiere e, a partire circa dal 1720, nelle botteghe di caff dove ci si riuniva per discutere le
notizie del giorno (cfr. Selfridge-Field, Song and Season, cit., pp. 312-314).
52. Si sa che i dispacci partivano su una chiatta da Rialto ogni sabato, dopo le due ore
venete (ossia dopo il tramonto). I bollettini erano distribuiti in Terraferma per mezzo di una
serie di corrieri. Viste le incombenti difficolt sui tragitti di comunicazione, la sopravvivenza
degli Avvisi risulta per lo pi irregolare e lacunosa (cfr. Selfridge-Field, A New Chronology,
cit., p. 41).
53. Poich necessitavano dellapprovazione degli inquisitori di Stato, gli Avvisi sono con-
servati allASV nel fondo dedicato a questa speciale magistratura. Gli inquisitori, istituiti nel
1539, erano tre: due membri erano scelti nei ranghi del consiglio dei Dieci (i cosiddetti neri)
mentre un componente veniva dal corpo dei consiglieri personali del doge (il rosso). Tale
magistratura si occupava, tra le altre cose, della difesa dellordine pubblico ed ebbe perci voce
in capitolo anche in materia di spettacoli (cfr. G. Comisso, Agenti segreti veneziani nel Settecento
[1705-1797], Milano, Bompiani, 1941, pp. 5-13; E. Selfridge-Field, Pallade Veneta. Writings
on Music in Venetian Society 1650-1750, Venezia, Fondazione Levi, 1985, pp. 24-25; Mancini-
Muraro-Povoledo, I teatri del Veneto, cit., to. ii, p. 24, n. 80).
54. I resoconti pi citati erano quelli di Pietro Donado. Costui, attivo dal 1689 al 1746
circa, aveva unagenzia davanti alla chiesa di san Mois. Tra gli estensori accreditati quelli pi
prolifici furono Giovanni Battista Feriozzi (attivo negli anni Dieci del Settecento), Francesco
Alvisi (tra gli anni Dieci e Venti), Girolamo Alvisi (negli anni Trenta) e Carlo Origoni Perab
(tra gli anni Dieci e gli anni Cinquanta); cfr. Selfridge-Field, Song and Season, cit., p. 314.
55. Cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 72. Questa forma acerba di critica
non era propria solo degli Avvisi, ma era comune a tutti i resoconti coevi di spettacolo, a
Venezia e in altre parti della penisola (cfr. L. Bianconi-T. Walker, Production, Consumption and
Political Function of Seventeenth-Century Opera, Early Music History, iv, 1984, p. 213).
56. ASV, Inquisitori di Stato, b. 707, fasc. a. 1718, c. n.n., Venezia, 31 dicembre 1718.

273
GIANLUCA STEFANI

Intanto arrivano del continuo Cav[alie]ri Forastieri d tutte le parti per godere del-
lo stesso [carnevale] essendo ultimam[en]te nel Teatro di S. Gio. Grisostomo anda-
to in Scena il 3 Drama intitolato lIfigenia in Tauride, e q[ue]sta sera in q[ue]llo di
S. Angelo vi ander il 3: Drama intitolato il Portamento [sic!] Generoso, sia il
Tiranno raveduto.57

per poi registrare, la settimana successiva, il gran successo di pubblico riscosso


dallopera firmata da Lalli e Fior:

Sabb[a]to sera d[e]lla passata and in scena nel Teatro SantAngelo il terzo Dramma
intitolato Il Pentimento Generoso, che h un straordinario concorso.58

Parole che lasciano supporre il buon esito della stagione teatrale di Seba-
stiano Ricci. Si apprende, peraltro, da carte inedite, che le recite quellanno
furono in tutto sessantacinque:59 numeri da record, visto che, per fare un solo
confronto, la brillante stagione del 1729-1730 al San Giovanni Grisostomo,
lanciata nel nome di Farinelli, avrebbe totalizzato appena cinquanta perfor-
mances.60 Daltronde, si tenga conto che, in quel 1718, la stagione autunnale era
partita presto, con il debutto dellAmor di figlia di Lalli e Giovanni Porta il 29
ottobre.61 Il numero delle recite veniva probabilmente stabilito in anticipo:62
nei citati registri Giustinian, in data 14 ottobre 1728, annotato il pagamen-
to di un pacchetto di cinquantadue bollettini per limminente stagione tea-
trale al SantAngelo63 (cinquanta dovevano essere in media le recite stagionali
in Laguna). Cifre per altro non esenti da variazioni: la programmazione degli
spettacoli era generalmente flessibile, tenendo conto della risposta del pubbli-

57. Ivi, Venezia, 4 febbraio 1718 m.v.


58. Ivi, Venezia, 11 febbraio 1718 m.v.
59. Cfr. ASV, Giudici del Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31,
n. 22, Venezia, 21 marzo 1719.
60. Cfr. Talbot, Tomaso Albinoni, cit., p. 197. Ancora, lOrlando furioso di Grazio Braccioli
(libretto) e Antonio Vivaldi (musica), andato in scena per la prima volta al SantAngelo il 9 no-
vembre 1713 (impresario lo stesso Vivaldi), totalizz quasi cinquanta recite, tanto che fu replica-
to lanno successivo nello stesso teatro (cfr. R. Strohm, The Operas of Antonio Vivaldi, Firenze,
Olschki, 2008, vol. i, pp. 60 e 122-123).
61. Il libretto de Lamor di figlia (Venezia, Rossetti, 1718, 60 pp.) stato consultato presso la
Marucelliana di Firenze (Melodrammi, 2310.12). Per una scheda dellopera cfr. Selfridge-Field,
A New Chronology, cit., p. 342. Al San Giovanni Grisostomo, lAriodante di Antonio Salvi (li-
bretto) e Carlo Francesco Pollarolo (musica) debutt quasi un mese dopo, il 20 novembre 1718
(cfr. ivi, p. 342).
62. Cfr. Talbot, Tomaso Albinoni, cit., p. 197.
63. Rivedi n. 45.

274
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

co.64 Se gli spettatori gradivano, si incrementavano le repliche, sia pure entro


i termini del calendario stabilito.
Sotto la gestione riccesca si recit quasi ogni sera, con lauti incassi. Il buon
andamento al botteghino di cui riferiscono gli Avvisi, nonch le ottime con-
dizioni economiche di cui godeva Ricci contribuirono ad agevolare il corso
degli spettacoli, limitando le consuete polemiche e gli incidenti. I verbali dei
Capi del consiglio dei Dieci non registrano nessun disordine: una felice ecce-
zione, dato che nelle stagioni passate (e in quella successiva) molteplici furo-
no gli interventi e i provvedimenti presi da costoro a fronte dei gravi episodi
verificatisi al SantAngelo.65
Tuttavia non tutto and liscio. Dalle carte dei giudici del Forestier venia-
mo a sapere di un contenzioso che vide protagonisti Sebastiano Ricci impre-
sario e due membri della famiglia darte Madonis, i violinisti Giovan Battista
e Lodovico. Documenti significativi, non tanto per il merito della controver-
sia, quanto, soprattutto, per le informazioni indirette sulla gestione di quella
stagione teatrale e, pi in generale, sul sistema delle sale dopera veneziane nel
primo Settecento.
Dei Madonis, il nome pi noto quello di Luigi, anchegli violinista.66 Pre-
sunto allievo di Antonio Vivaldi, nel 1729 costui si stabil a Parigi, al servizio
dellambasciata di Venezia; e nel 1733, come violino di spalla, fece parte della
compagnia di Gaetano, Gennaro e Antonio Sacco in viaggio sulla rotta di San
Pietroburgo, presso la corte della zarina Anna Ioannovna.67
Si sa che Luigi era fratellastro di Antonio Madonis,68 impresario al SantAn-
gelo nella stagione 1724-1725 e poi violinista in Russia con la compagnia Sacco

64. Le opere con un buon riscontro di pubblico potevano andare in scena ogni giorno,
mentre quelle con risultati alterni solo qualche volta alla settimana (Selfridge-Field, Song and
Season, cit., p. 105; mia la traduzione). Si sa, viceversa, che nel caso in cui unopera fosse andata
male si poteva decidere di interromperla e di sostituirla il prima possibile con una produzione
di scorta.
65. Lintervento dei Capi al SantAngelo si registra nelle stagioni 1716-1717 (cfr. ASV, Capi
del Consiglio di dieci, Notatorio, Filze, f. 42, fasc. a. 1716, cc. n.n., alle date 31 dicembre 1716;
5, 12, 30 gennaio e 25 febbraio 1716 m.v.); 1717-1718 (cfr. ivi, fasc. a. 1717, cc. n.n., alla data 22
gennaio 1717 m.v.) e 1719-1720 (cfr. ivi, f. 43, fasc. a. 1719, c. n.n., alla data 30 gennaio 1719
m.v.).
66. Cfr. G. Fornari, Madonis, Luigi, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
della enciclopedia italiana, 2006, vol. 62, pp. 164-166 (ora anche on line).
67. Cfr. ivi, p. 165; e, soprattutto, S. Ferrone, La Commedia dellArte. Attrici e attori italiani
in Europa (XVI-XVIII secolo), Torino, Einaudi, 2014, pp. 218 e n., 342.
68. Cfr. Fornari, Madonis, cit., p. 164. Lo stesso Antonio Madonis fu violinista al
SantAngelo nella stagione 1717-1718; cfr. ASV, Capi del Consiglio di dieci, Notatorio, Filze, f.
42, fasc. a. 1717, c. n.n., Venezia, 22 gennaio 1717 m.v.

275
GIANLUCA STEFANI

nella citata tourne del 1733.69 Sua e del fratello Giovan Battista la firma alla
dedica del Seleuco, prima opera di carnevale di quellanno.70 Dai documenti
inediti sulla citata controversia, si ricava che Giovan Battista era il padre di Lo-
dovico e che entrambi suonarono in quel teatro nellautunno e nel carnevale
1718-1719, sotto la gestione del Ricci. Non era la prima volta che Lodovico
Madonis si esibiva nellorchestra del SantAngelo: in un verbale dei Capi del
consiglio dei Dieci del 25 febbraio 1717 si legge che egli son in d[ett]o Tea-
tro il Violino Capo de Secondi.71 In quella stessa stagione 1716-1717 (guidata
dallimpresario Pietro Ramponi), Lodovico fu anche carattadore, finanzian-
do in proprio le produzioni operistiche.72
I Madonis furono legati al SantAngelo a doppio filo: in base alle tracce do-
cumentarie rinvenute, si pu ipotizzare che la loro collaborazione in quel te-
atro fosse continuativa (non un caso che Antonio ne divenisse impresario).73
Purtroppo, si sa, i nomi dei sonadori74 non erano registrati nei libretti, n
sono sopravvissuti registri di cassa o altri documenti che possano aiutare a ri-

69. Si legge nei citati registri Giustinian: Contadi Domen[i]co Viola Proc[urator]e di
D[omin]o Gio[vanni] Carestini Cess[iona]rio del S[igno]r Ant[oni]o Madonis Impresario del
Teatro di S. Angelo per affitto del Palco Pepian n. 20 (ASV, Ospedali e luoghi pii, Registri, b.
1004, c. 181b, alla data 24 febbraio 1724 m.v.). La notizia dellimpresariato di Antonio Madonis,
data a suo tempo da Vio (cfr. Note biografiche, cit., p. 69), stata trascurata dalla critica successiva.
Quanto alla tourne in Russia v. n. 67.
70. Seleuco, Venezia, Rossetti, 1725 (copia consultata: Milano, Biblioteca nazionale brai-
dense, Racc. Dramm. Corniani Algarotti, 1067). Dopo limpresariato al SantAngelo, i due fratelli
violinisti furono legati alla troupe di Antonio Denzio, divisi tra il San Mois e il teatro del conte
boemo Fantiek Antonn von Spork a Kuks (Praga). probabile che si riferisca a Antonio la
seguente testimonianza inedita di Apostolo Zeno: Diman laltro partir di qui per Venezia il sig.
Madonnis, sonatore di violino, amicissimo del sig. Filippo Recanati: che stato qualche tempo
in Praga per lopere di quel Teatro (lettera di Apostolo a Pier Caterino Zeno, Vienna, 31 ago-
sto 1726, in Lettere inedite del signor Apostolo Zeno istorico e poeta cesareo, raccolte e trascritte da Giulio
Bernardino Tomitano opitergino, membro del collegio elettorale dei dotti (1808), ms., Firenze, Biblioteca
medicea laurenziana, Codice Ashburnham, 1788, c. 238r., lettera 514).
71. ASV, Capi del Consiglio di dieci, Notatorio, Filze, f. 42, fasc. a. 1716, c. n.n., Venezia,
25 febbraio 1716 m.v.
72. Cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 332.
73. Cfr. n. 69.
74. Come noto, gli artigiani veneziani erano uniti in corporazioni, dette arti, che ne
regolavano lattivit commerciale. Tra queste corporazioni ve ne era una che rappresentava i
musicisti, lArte de Sonadori (cfr. E. Selfridge-Field, Annotated Membership Lists of the Venetian
Instrumentalists Guild, 1672-1727, R.M.A. Research Chronicle, 1971, 9, pp. 1-52). Gli elenchi
dei membri forniti periodicamente [dalla corporazione] alle autorit governative sono unutile
fonte di informazioni per let anagrafica (malgrado questa sia spesso riportata in maniera ine-
satta) e perfino sulla relativa ricchezza di ciascun membro (Talbot, The Vivaldi Compendium,
cit., p. 27, s.v.; mia la traduzione).

276
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

costruire sistematicamente lorganico dei professionisti di quella sala dopera.


Solo grazie al menzionato contenzioso possibile collegare il nome dei Ma-
donis alla stagione di nostro interesse. In quellanno teatrale Ricci aveva ac-
cusato Giovan Battista e il figlio Lodovico di aver riscosso da Domenico Viola
denaro in eccesso rispetto allonorario pattuito. I due violinisti non avevano
voluto sentire ragioni e il pittore decise di far ricorso alla giustizia. Il 21 mar-
zo 1719, a pi di un mese dalla conclusione delle recite, Ricci presentava al
tribunale del Forestier75 la sua dimanda contro Giovan Battista Madonis, re-
datta da Agostino Rosa, interveniente del teatro (doc. 3):

Con la sc[rittu]ra 29 Aprile 1718 foste accordato, et vobligaste Voi d[omino] Gio[van]
Batt[ist]a Madonis con d[omino] Antonio Moreti d[ett]o Modotto Impresario del
Teatro di S. Angelo a suonare il Violino Voi et v[ost]ro figli[ol]o nelle opere in d[ett]o
Teatro dellauttuno, e Carnevale prossimi passati in tutte le prove, e recite per lesbor-
so da farvisi de ducati cento, e quaranta da lire 6:4 luno tra tutti due lire quinde-
ci ogne recita in difalco sino al saldo dei sud[dett]i ducati 140. Et essendo stato cesso
et renonciato il sud[dett]o Teatro a condure il med[esim]o dal sud[dett]o Moretti
m Sebastian Ricci con tutti globleghi, et accordi da lui fatti, vh anco ricevuti
in bellessercitio, ed impiego, et vh fatto prontam[en]te contribuire ogne recita da
d[omino] Dom[eni]co Viola da m declinato alla dispensa de Bolettini, et al paga-
mento delle spese ord[inari]e dellopere le sudette lire quendeci da Voi conseguite per
mano di Franc[esc]o Dominesso, ch f da tutta lorchestra scelto per scoddere per
il corso intiero di sessantacinque recite che il sud[dett]o Viola le esbors senza haver
cognitione sin a qual suma ci dovevasi continuare, allhor ch venuto in cognitione
tralasci per vedervi non solo da Voi conseguito lintiero delli ducati 140 stabiliti, ma
ancora lire cento, e sette di pi, e se ve n recercata la restitutione che da Voi recu-
sata con patente ingiustitia f ch citato nel presente Ecc[ellent]e Mag[istrat]o insto,
et addimando che restiate sententiato alla restitutione delle sud[dett]e lire 107 di pi
del vostro accordo conseguite, et che indebitamente vi ritenete.76

Da questa dimanda si ricava che, il 29 aprile 1718, i due Madonis avevano


firmato il loro contratto di ingaggio (la scrittura)77 con Antonio Modotto, al-

75. I giudici del Forestier erano una corte speciale destinata alle cause nelle quali almeno
una delle due parti implicate era forestiera. Lo spoglio sistematico del fondo (anni 1696-1730)
ha portato a galla un discreto numero di carte concernenti beghe teatrali, per lo pi riguardanti
la propriet dei palchi. Il contenzioso in questione in tal senso uneccezione: al centro della
battaglia giudiziaria non ci sono palchi, ma questioni pecuniarie relative a professionisti del
mondo dellopera.
76. ASV, Giudici del Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31, n. 22,
Venezia, 21 marzo 1719 (documento inedito); e v. doc. 3.
77. Nellambiente teatrale dellepoca, il termine scrittura indicava un atto specifico vol-
to a ratificare gli accordi tra due o pi soggetti. Nel suo classico studio sui teatri veneziani,

277
GIANLUCA STEFANI

lora unico impresario del teatro. La cifra pattuita per lintero corso delle recite
ammontava a centoquaranta ducati.78 Come specificato nel documento, ogni
loro performance era compensata con quindici lire:79 lequivalente di quanto fu
pagato al secondo e al terzo violino nella stagione 1717-1718 al SantAngelo.80
I conti di questultima annata sono noti perch passati al setaccio dei Capi
del consiglio dei Dieci, i quali avevano commissariato la conduzione dellal-
lora impresario Giovanni Orsatto, finito sullorlo del fallimento.81 Dal listino
delle paghe giornaliere dovute ai singoli professionisti, si apprende, appun-
to, che al secondo violino Antonio Madonis dovevano essere corrisposte otto
lire a recita, mentre al terzo violino Marco Madonis (un consanguineo non
meglio identificato) furono accordate sette lire e dieci soldi.82 Se non chia-
ro quanto percep al netto di ogni esibizione il primo violino Paulo Sabadin
(nelle venti lire al giorno registrate sono incluse le spese di alloggio), i restanti
cinque violinisti furono equamente retribuiti con sei lire e quattro soldi.83 Pa-
ghe non certo elevate se prese singolarmente, ma che dovevano incidere non
poco sulla spesa complessiva.84
Sulla base del citato listino inoltre possibile ricostruire la composizione
dellorchestra al SantAngelo in questi anni. Oltre agli otto violinisti menzio-

Ludovico Zorzi dichiarava di non essere riuscito a rintracciare un solo contratto o unaltra
qualsiasi menzione ufficiale relativa ai componenti dellorchestra, evidentemente persone rac-
cogliticce e di poche pretese (Venezia: la Repubblica a teatro [1971], in Id., Il teatro e la citt. Saggi
sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, p. 263 [ora anche in versione e-book, con un saggio di
S. Mazzoni, Bologna, CUE Press, in corso di stampa]). Beth e Jonathan Glixon, confermando
lassenza di notizie relative a contratti con orchestrali, ne ricavano che i musicisti in linea di
massima non sottoscrivevano accordi ufficiali (cfr. Inventing the Business of Opera, cit., p. 223).
Linedito documento in questione prova, al contrario, che i musicisti erano ingaggiati sulla base
di specifiche scritture, al pari degli altri professionisti dopera.
78. Si tratta di ducati correnti, il cui valore allepoca ammontava appunto a sei lire e quat-
tro soldi (in lire di piccoli).
79. Cfr. ASV, Giudici del Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31,
n. 22, Venezia, 21 marzo 1719; e v. doc. 3.
80. Cfr. ASV, Capi del Consiglio di dieci, Notatorio, Filze, fasc. a. 1717, f. 42, c. n.n.,
Venezia, 22 gennaio 1717 m.v.
81. Cfr. ibid. Il documento citato registra lautorizzazione emessa dal consiglio dei Dieci
per la recita di Cleomene, su musica di Tomaso Albinoni e libretto di Vincenzo Cassani, al de-
butto al SantAngelo la sera stessa del nulla osta. Su questo doc. vedi anche Selfridge-Field, A
New Chronology, cit., pp. 338-339.
82. Cfr. ASV, Capi del Consiglio di dieci, Notatorio, Filze, fasc. a. 1717, f. 42, c. n.n.,
Venezia, 22 gennaio 1717 m.v.
83. Cfr. ibid.
84. Si calcolato che, negli anni Cinquanta del Seicento, le paghe degli orchestrali am-
montassero a circa un sei per cento della spesa totale (cfr. Glixon-Glixon, Inventing the Business
of Opera, cit., p. 223).

278
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

nati, si devono annoverare due cembali, un violone, un violoncello, due vio-


lette e un oboe.85 Quindici elementi in tutto: un ensemble ben pi articolato
di quanto calcolato dalla critica fino a oggi (si era parlato di sei o sette stru-
mentisti al massimo).86
Si sa che i musicisti erano pagati di sera in sera, al pari di illuminatori, sarti,
suggeritori, comparse, pittori di scena, maschere.87 I loro emolumenti, esclusi
dai bilanci stagionali, erano conteggiati a parte,88 insieme alle spese ord[inari]e
dellopere, compresa la messa per le aneme del Purgatorio.89 Nella sua de-
nuncia Sebastiano Ricci precisava di aver assegnato a Domenico Viola il com-
pito di contribuire ogne recita.90 Il fido cassiere, alloggiato presso il buso
de boletini91 (il botteghino), avrebbe pensato ogni sera a radunare i soldi per
lorchestra per poi consegnarli nelle mani di Francesco Dominesso, incarica-
to di distribuire le paghe ai singoli musicisti. Stando alla testimonianza ricce-
sca, sulla paga dei Madonis cera stato un malinteso tra la direzione e Viola.
Questultimo, senza haver cognitione, aveva dato ai due violinisti centosette
lire oltre il dovuto. Dal canto loro, padre e figlio avevano incassato il denaro,
senza batter ciglio.92
Un altro nome di musicista si aggiunge, dunque, allelenco degli orchestrali
al SantAngelo nella stagione 1718-1719: quello di Francesco Dominesso. Do-
minesso era un parrucchiere con lhobby del violino, al pari di Giovanni Bat-

85. Cfr. ASV, Capi del Consiglio di dieci, Notatorio, Filze, fasc. a. 1717, f. 42, c. n.n.,
Venezia, 22 gennaio 1717 m.v.
86. Cfr. Mancini-Muraro-Povoledo, I teatri del Veneto, cit., to. ii, p. 25. Siamo comun-
que ben lontani dai numeri e dalle caratteristiche dellorchestra come la intendiamo oggi. Cos
Strohm: Le dimensioni complessive dellorchestra dopera variavano da istituzione a istituzio-
ne; ma un corpo di base composto da dodici suonatori darchi, due/quattro suonatori di legni e
due suonatori di ottoni, pi uno o due arpicordi e forse una tiorba e un contrabbasso era nor-
malmente sufficiente per unopera italiana dellepoca (Strohm, The Operas of Antonio Vivaldi,
cit., p. 93; mia la traduzione). Nel Seicento lorganico orchestrale era ancora pi ridotto: negli
anni Cinquanta si parla di cinque strumenti a corda, due o tre arpicordi, una o due tiorbe (cfr.
Glixon-Glixon, Inventing the Business of Opera, cit., p. 222).
87. Cfr. L. Bianconi, Condizione sociale e intellettuale del musicista di teatro ai tempi di Vivaldi,
in Antonio Vivaldi: teatro musicale, cultura e societ. Atti del convegno internazionale di studio
(Venezia, 10-12 settembre 1981), a cura di L. B. e G. Morelli, Firenze, Olschki, 1982, vol. ii,
p. 377; Glixon-Glixon, Inventing the Business of Opera, cit., pp. 15 e 223.
88. Cfr. Bianconi-Walker, Production, Consumption, cit., p. 225.
89. ASV, Capi del Consiglio di dieci, Notatorio, Filze, fasc. a. 1717, f. 42, c. n.n., Venezia,
22 gennaio 1717 m.v.
90. ASV, Giudici del Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31, n. 22,
Venezia, 21 marzo 1719; e v. doc. 3.
91. Ivi, n. 108, Venezia, 31 maggio 1719.
92. Ivi, n. 22, Venezia, 21 marzo 1719.

279
GIANLUCA STEFANI

tista Ganasette, di Angelo Galuppi, di Salvador Appoloni, Francesco Bottion


e del pi famoso Giovanni Battista Vivaldi.93 Visto lincarico di responsabilit
ottenuto sotto la gestione del Ricci (su votazione degli orchestrali),94 lecito
ipotizzare che il barbiere-musicista fosse un veterano del SantAngelo. Torna-
no alla mente, a questo proposito, le paradossali (ma non menzognere) paro-
le usate da Benedetto Marcello per descrivere il sonadore dopera: Dovr il
Virtuoso di Violino in primo luogo far ben la Barba, tagliar Calli, pettinar Perucche
e compor di Musica.95 Si ricordato come il frontespizio del Teatro alla moda
irridesse proprio il SantAngelo: negli ironici consigli elargiti ai professionisti
dellopera, Marcello mescolava critiche generali con frecciate ad personam.96
Tanti, dunque, gli spunti che potremmo ricavare dal trascritto documento.
Tornando al contenzioso, i Madonis non rimasero inermi di fronte alla querela
del pittore. Il 1 aprile seguente, con altrettanta pervicacia, Giovan Battista espo-

93. Cfr. G. Vio, Musici veneziani nella cerchia di Giovanni Battista Vivaldi, in Nuovi studi vival-
diani: edizione e cronologia critica delle opere, a cura di A. Fanna e G. Morelli, Firenze, Olschki,
1988, vol. ii, pp. 696-699; F.M. Sardelli, Vivaldis Music for Flute and Recorder, trad. ingl. di M.
Talbot, Aldershot, Ashgate, 2007, p. 154, n. 29; Talbot, The Vivaldi Compendium, cit., p. 30,
s.v. Barbers and Barber-Musicians, Venetian. Dominesso risulta iscritto allArte de Sonadori nei
registri degli anni 1711 e 1727 (cfr. Selfridge-Field, Annotated Membership Lists, cit., p. 19).
94. Cfr. ASV, Giudici del Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31,
n. 22, Venezia, 21 marzo 1719; e v. doc. 3.
95. [B. Marcello], Il teatro alla moda, Venezia, [Pinelli], [1720], cit. nellediz. a cura di R.
Manica, Roma, Quiritta, 2001, p. 41. Talvolta le botteghe di barbitonsore funzionavano come
vere e proprie scuole dove si impartiva agli allievi una formazione musicale. tuttaltro raro il
caso di Capi Maestri Barbieri come venivano qualificati i proprietari e conduttori di negozi
da barbiere che si impegnavano, per contratto, ad insegnare ai loro apprendisti non solo la
loro vera e propria arte, ma anche la musica e lapprendimento di qualche strumento (G. Vio,
I luoghi di Vivaldi a Venezia, Informazioni e studi vivaldiani, v, 1984, p. 103, n. 9). Nelle sue
ricerche, Vio avverte di aver raccolto una ricca messe di contratti di garzonaggio nei quali si
tratta di apprendimento dellarte musicale. Per lo pi i maestri sono barbieri. C da credere che
nelle botteghe da barbier, a Venezia, si tenessero trattenimenti musicali, forse nei momenti di
stanca, quando la clientela era meno numerosa, ma si deve tenere presente che erano i barbieri
che si recavano nelle case dei nobili (e non viceversa) e nei palazzi veneziani potremmo dire che
la musica era davvero di casa (Vio, Musici veneziani, cit., p. 696, n. 28). Che a Venezia si facesse
musica e ci si formasse musicalmente nelle botteghe dei barbieri indizio della mancanza di
istituti di formazione professionale (eccezion fatta per i conservatori, che allevavano fanciulle
destinate, per lo pi, a rimanere confinate entro il perimetro dei conservatori stessi) e dunque
indice di una formazione informale, mimetica (cfr. Bianconi, Condizione sociale, cit., p. 379).
Professionisti siffatti, senza precisa formazione, che imparavano larte in qualche bottega di bar-
biere di fortuna, sono appunto loggetto della satira di Marcello, che non manca di sottolineare
questa consuetudine irridendo a quei musicisti che anzich maneggiare i principi della compo-
sizione (nella tradizione cinquecentesca) maneggiavano pennelli e rasoi.
96. Cfr. E. Selfridge-Field, Marcello, SantAngelo and Il Teatro alla moda, in Antonio Vivaldi:
teatro musicale, cultura e societ, cit., vol. ii, pp. 533-546.

280
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

neva per iscritto le proprie ragioni (doc. 4).97 Costui puntualizzava essere ben
altri gli accordi presi con d[omi]no Ant[oni]o Moretti d[et]to Modotto, al qua-
le esso Rizzi succeduto per Impressario del Teatro di S. Angelo per lAutuno,
e Carnevale pross[i]mo passato. Poich tali accordi erano stati violati, Mado-
nis si sentiva legittimato a tratenersi tutto il conseguito, ossia le centosette li-
re incriminate. In che cosa consistessero le alterationi dellaccordo praticate
d esso Rizzi cessionario, non detto apertamente. Madonis parla di insolito
impiego non mai concertato, anzi fuori del convenuto praticato, in ragione del
quale limpresario doverebbe con honesto, e raggionevole sentimento riddursi
supplire suoi ulteriori doveri.98 Non improbabile che il musicista alludesse al
servizio prestato per recite extra, programmate sulla scia del successo di pubblico.
Ma Giovan Battista Madonis non si limit a replicare alle accuse di Ricci.
Il 22 maggio il violinista passava al contrattacco, presentando ai giudici del Fo-
restier una dimanda di converso (doc. 5), con la quale chiedeva il pagamen-
to di centosessantacinque lire per le ultime undici sere di recita (per il solito
onorario delle lire 15 per ogni sera).99 Evidentemente, dopo aver scoperto
lillecito, Ricci non aveva finito di pagare i due violinisti, scalando dallono-
rario pattuito il saldo delle loro ultime prestazioni. Secondo Giovan Battista si
trattava di un mero pretesto studiato dallimpresario per esimersi dallintiero
adempim[ent]o de suoi doveri; daltronde, poco plausibili erano le

insistenze di d[omin]o Sebastian Rizzi nel pretender con aperta ingiustitia la restitut[io]ne
delle lire 107 fatte soministrare a d[omin]o Z[u]an B[attis]ta Madonis e Lod[ovi]co
suo figliolo per dovuta recognitione del loro impiego e serviggio prestato nel Teatro
di S. Angelo di sera in sera.100

Era troppo. Nove giorni dopo, il pittore ricapitolava, con maggiore conci-
sione, le proprie ragioni, rigettando la domanda di converso come un torbi-
do espediente usato per far cadere la causa deputata di volont per li 24 dello
stesso mese.101 Quindi tornava a chiedere giustizia contro il Madonis (doc. 6).
I giudici gli diedero ragione. Della causa possediamo la sentenza, anchessa
inedita, emessa in data 18 luglio 1719 da Giacomo Minoto, Mattio Ciceron
e Andrea Marcello Hon[orand]i Giud[ic]i di Forestier (doc. 7).102 Nel dop-

97. ASV, Giudici del Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31, n.
45, Venezia, 1 aprile 1719.
98. Ibid.
99. ASV, Giudici del Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31, n. 97,
Venezia, 22 maggio 1719.
100. Ibid.
101. Ivi, n. 108, Venezia, 31 maggio 1719.
102. ASV, Giudici del Forestier, Sentenze, b. 133, c. 264v., Venezia, 18 luglio 1719.

281
GIANLUCA STEFANI

pio spazzo (sentenza) la corte da un lato condannava Madonis al capo di im-


putazione prodotto nellaccusa del 21 marzo; dallaltro assolveva Ricci dalla
controaccusa presentata dal violinista presso quel tribunale in data 22 maggio.
Come era norma in questi casi tutte le spese processuali sarebbero state adde-
bitate al Madonis. Di seguito i verdetti:

Quanto al cappo di principal, tutti tre S.S. E.E. Unanimi et Concordi hanno
sent[enziat]o detto d[omi]no Gio[van] Batt[ist]a Madonis giusto in tutto e per tutto
alla Dima[nd]a del d[omin]o Rizzi cond[annand]o la parte Rea nelle spese.
Quanto al cappo di converso di d[omin]o Madonis parimenti tutti tre S.S. E.E.
Unanimi et Concordi hanno asolto d[omin]o Rizzi da d[ett]o Cappo e dalle cose in
esso cont[enu]te cond[annand]o il sud[dett]o Madonis nelle spese.
[Firma] Giacomo Minotto Giudice di Forestier.103

Si concludeva cos lincresciosa vicenda che aveva visto Ricci alle prese con
beghe contrattuali e aule di giustizia. Il ricordo amaro dei guai giudiziari del-
la stagione 1705-1706104 doveva essersi riacceso. Dieci anni pi tardi (1729), il
pittore ci sarebbe ricascato, ficcandosi nellimpresa di un altro teatro, il San
Cassiano di Francesco Tron. Neanche allora mancarono i dolori. In una cru-
dele caricatura (fig. 3), Zanetti ritraeva Bastian Ricci pensoroso; perche non
faceva assai Bollettini in S. Cassiano.105 Lamico ne aveva ben fiutato lumore:
nuove grane erano in arrivo, altri assilli. Alla soglia dei settantanni, limpre-
sario sarebbe tornato in angustie.

Appendice

La trascrizione dei documenti prevalentemente conservativa. Tra parentesi quadre


sono indicate le lettere omesse nelle abbreviazioni o nelle parole contratte. La parti-
colare accentazione in uso al tempo stata per lo pi mantenuta, tranne nei casi di
ambiguit e possibile fraintendimento. Gli a capo sono stati rispettati solo in parte, e,
quando necessario, stata introdotta o modificata la punteggiatura. Si distinto u da v.

103. Ibid.
104. Cfr. Glixon-White, Creso tolto a le fiamme, cit. e M. White, Antonio Vivaldi: A Life
in Documents, Firenze, Olschki, 2013, pp. 50-54.
105. Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Album
Zanetti, f. 56, inv. 36679 (cfr. Caricature di Anton Maria Zanetti, cit., p. 96, scheda 279; E.
Lucchese, Sebastiano Ricci pensoroso, in Sebastiano Ricci. Il trionfo dellinvenzione nel Settecento
veneziano, catalogo della mostra a cura di G. Pavanello [Venezia, 24 aprile-11 luglio 2010],
Venezia, Marsilio, 2010, p. 48, scheda 3).

282
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

Doc. 1

Antonio Moretti nomina suo procuratore Sebastiano Ricci, ASV, Notarile. Atti, b.
12249, cc. 175r.-v. (antica numerazione, protocolli del notaio Giorgio Maria Stefani).

Die Veneris 16 Mensis Decembris 1718. In Scriptoria mei Notarij super Platea Divi
Marci Venetiarum etc.

Il Sig[no]r Antonio Modotto, spontaneamente costituisce suo Proc[urato]r irrevoca-


bile, il Sig[no]r Sebastian Rizzi Pittor in questa citt benche absente etc.
poter nome suo riscuotter, ricever, e conseguir da tutti, e cadauni Affituali de
Palchi del Teatro di S. Angelo lAffitto dogni, e cadaun Palco, che sattrova Affittato
in detto Teatro per lopera del presente Autuno e venturo Carnevale 1718 m[or]e
v[enet]o che saranno maturati li primi giorni della Quadragesima106 prossima; e tut-
to quello, e quanto riscuotter di esso Affitto trattenersi nelle di lui mani d[ett]o
Sig[no]r Sebastian Rizzi per spese per occasione di d[ett]a Opera da lui fatte; esser-
citando perci qualunque essecutione con chi fossero renitenti per la consecutione
di essi Affitti, nella forma e modo, et in tutto, e per tutto, come far potrebbe d[ett]o
Sig[no]r Modotto Costituente, se presente fosse; et in suo luoco sostituire un, pi
Procuratori con simile overo limitate auttorit, et quelli revocare; et Generalmente
etc. Promettendo etc. sottobbligatione etc. Rogano etc.
Teste:
D[ominus] Sanctus Bortoli q[uondam] Camilli; et
D[ominus] Fran[ces]cus Anumano

Doc. 2

Sebastiano Ricci nomina suo procuratore Domenico Viola, ASV, Notarile. Atti, b.
12249, c. 251r. (antica numerazione, protocolli del notaio Giorgio Maria Stefani).

Die Veneris 24 Mensis Februarij 1718 M.V. In domo habitationis mei Notarij de
Confinio Sancti Salvatoris Veneti etc.

Il Sig[no]r Sebastian Rizzi Pittor in questa Citt, facendo come Conduttore, sive
Patrone del Teatro di S. Angelo, spontaneam[en]te costituisce suo Proc[urato]re, e
Commesso legitimo il Sig[no]r Domenico Viola Agente delli N.N. H.H. Tron ben-
ch absente etc.
poter nome suo riscuotter, ricever, e conseguir da tutti, e cadauni Affittuali de
Palchi di d[ett]o Teatro di S. Angelo tutti li Affitti corsi, e maturati, facendo di quan-
to riscuotter le debite ricevute e cautioni; et in caso di renitenza al pagamento giu-

106. Quaresima.

283
GIANLUCA STEFANI

diciariamente astringer, facendo perci qualunque comparsa, essecutione, et Atti che


ricercasse il bisogno; et Generalmente etc. Promettendo etc. sottobbligat[ion]e etc.
Teste:
D[ominus] Antonius Angeli q[uonda]m d[omi]ni Mathei et
D[ominus] Jo[annis] Dom[eni]cus Redolfi q[uondam] d[omi]no Jo[annis].

Doc. 3

Domanda di Sebastiano Ricci in causa con Giovan Battista Madonis, ASV, Giudici del
Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31, n. 22.

Ad 21 Marzo 1719
Dimanda di D[omin]o Sebastian Rizi in causa contro Do[mi]no G[iov]an Batt[ist]a
Madonis.107

Con la sc[rittu]ra 29 Aprile 1718 foste accordato, et vobligaste Voi d[omino] Gio[van]
Batt[ist]a Madonis con d[omino] Antonio Moreti d[ett]o Modotto Impresario del
Teatro di S. Angelo a suonare il Violino Voi et v[ost]ro figli[ol]o nelle opere in d[ett]o
Teatro dellauttuno, e Carnevale prossimi passati in tutte le prove, e recite per le-
sborso da farvisi de ducati cento, e quaranta da lire 6:4 luno tra tutti due lire
quindeci ogne recita in difalco108 sino al saldo dei sud[dett]i ducati 140. Et essendo
stato cesso et renonciato il sud[dett]o Teatro a condure il med[esim]o dal sud[dett]o
Moretti m Sebastian Ricci con tutti globleghi, et accordi da lui fatti, vh anco
ricevuti in bellessercitio, ed impiego, et vh fatto prontam[en]te contribuire ogne
recita da d[omino] Dom[eni]co Viola da m declinato alla dispensa de Bolettini, et
al pagamento delle spese ord[inari]e dellopere le sudette lire quendeci da Voi con-
seguite per mano di Franc[esc]o Dominesso, ch f da tutta lorchestra scelto per
scoddere per il corso intiero di sessantacinque recite che il sud[dett]o Viola le esbors
senza haver cognitione sin a qual suma ci dovevasi continuare, allhor ch venuto
in cognitione tralasci per vedervi non solo da Voi conseguito lintiero delli ducati
140 stabiliti, ma ancora lire cento, e sette di pi, e se ve n recercata la restitutio-
ne che da Voi recusata con patente ingiustitia f ch citato nel presente Ecc[ellent]e
Mag[istrat]o insto, et addimando che restiate sententiato alla restitutione delle
sud[dett]e lire 107 di pi del vostro accordo conseguite, et che indebitamente vi ri-
tenete. Salvis etc. et in expensis.

107. Come annotato a margine del testo, la scrittura fu illico intimata a un certo
Venturini.
108. Detrazione.

284
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

Doc. 4

Risposta di Giovan Battista Madonis in causa con Sebastiano Ricci, ASV, Giudici del
Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31, n. 45.

Ad p[ri]mo Ap[ri]le 1719


Risposta di Do[mi]no Z[u]an Batt[ist]a Madonis in causa con Domi[n]o Sebastian
Rizzi.109

Non pu darsi stravaganza maggiore n ingiustitia pi aperta di quella [che] v meditan-


do d[omi]no Sebbastian Rizzi contro d[omi]no Gio[van] Batt[ist]a Madonis nel preten-
der con pocca gratitudine, e meno raggione la restitution delle lire 107 dice haver il di
Lui Scodidore contribuito di pi dellaccordo [che] si pretende concluso con d[omi]no
Ant[oni]o Moretti d[et]to Modotto, al quale esso Rizzi succeduto per Impressario
del Teatro di S. Angelo per lAutuno, e Carnevale pross[i]mo passato. Se con matu-
ra ponderatione volesse riflettere alla stretta raggione dellaccordo sud[dett]o fatto col
pred[ett]o Modotto et allalterationi di quello praticate d esso Rizzi cessionario non
solo conoscerebbe lIngiustitia de suoi tentativi che la convenienza desso Madonis per
legalm[ent]e tratenersi tutto il conseguito, mentre anzi doverebbe con honesto, e rag-
gionevole sentimento riddursi supplire suoi ulteriori doveri, per debita retributione
dellinsolito impiego non mai concertato, anzi fuori del convenuto praticato. Sop[r]a
di che come dovran esser salve le raggioni desso Madonis, cos rispondendo per ho-
ra alla mal consigliata dimanda Avers[ari]a insta esso Madonis desser d quella assolto,
e liberato per le raggioni, e cause stesse tempo, e luoco considerate con quel di pi
[che] rissulta dal fatto; e ci senza pregiud[ici]o quomodo qualiter; et in exp[ens]is etc.

Doc. 5

Scrittura e domanda di converso di Giovan Battista Madonis in causa con Sebastiano


Ricci, ASV, Giudici del Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc.
31, n. 97.

Ad 22 maggio 1719
Scrittura e dimanda di converso di d[omi]no Z[u]an Batt[ist]a Madonis, in causa con
domino Sebastian Rizzi insieme con un processo seg[nat]o dal p[resent]e Giorno.
[A margine:] del p[resent]e Giorno

Dalle poco plausibili insistenze di d[omin]o Sebastian Rizzi nel pretender con aper-
ta ingiustitia la restitut[io]ne delle lire 107 fatte soministrare a d[omin]o Z[u]an

109. A margine del testo si legge che la scrittura fu illico intimata ad Agostino Rosa,
interveniente del teatro di santAngelo e dello stesso Sebastiano Ricci.

285
GIANLUCA STEFANI

B[attis]ta110 Madonis e Lod[ovi]co suo figliolo per dovuta recognitione del loro im-
piego e serviggio prestato nel Teatro di S. Angelo di sera in sera, come si rende pa-
tente il torto delle sue mal fondate pretese, cos sempre pi sacresce la raggione desso
Madonis per esser dalla Giustitia assolto e liberato dalla proposta dimanda avvers[ari]a.
Ma perch vorebbe con tal dannato pretesto esimersi dallintiero adempim[ent]o
de suoi doveri a quali tenuto per le recite dellultime sere a corisponder a d[ett]i
Padre e Figliolo Mad[oni]s il solito onorario delle lire 15 per ogni sera sar per Cappo
di Converso sentent[iat]o esso Rizzi in lire 165 importar di 11 sere ultime che a lire
15 per sera tanto rileva il pred[ett]o Madonis, come vuole la ragg[io]ne il fatto che
stante le cose come stanno non puo ne deve ricusarne di q[ue]ste il Pagam[ent]o dovu-
to, ci senza minimo pregiud[iti]o anzi con espressa riserva dogni e qualunque altra
attione e ragg[ion]e desso Madonis quomodo qualiter etc. Salvis et in expensis etc.

Doc. 6

Scrittura e risposta di Sebastiano Ricci in causa con Giovan Battista Madonis, ASV,
Giudici del Forestier, Domande, scritture, risposte delle parti, b. 79, fasc. 31, n. 108.

Ad 31 maggio 1719
Scrittura et risposta di do[mi]no Sebastian Rizi alla dimanda di converso di domino
Gio[van] Batt[ist]a Madonis insieme con un processo seg[na]to dal presente giorno

Bens con giustitia pu dirsi da d[omino] Sebastian Rizzi che non plausibili, ma delicta-
bili sono le diretioni et insistenze di d[omino] Gio[van] Batt[ist]a Madonis in non voler
restituire ad esso Rizzi le lire cento, e sette che di pi dellimportar del suo accordo per
suonar lui, et il figli[ol]o nellopere in S. Angelo h ricercato da d[omino] Dom[enic]o
Viola che al buso de boletini111 attendeva, e contribuiva di recita in recita le sume aglo-
peranti nelle med[esim]e destinategli in conto dei loro accordi, che tra lochio non
haveva,112 e che con non buona fede tutto che adempeto il di lui accordo s compia-
ciuto dalle sue mani ricercare; et maggiormente si rende censurabile la pretesa posta
campo con tal qual dimanda di converso presentata li 22 cor[ren]te per far cadere la
causa deputata di volont per li 24 dello stesso mese, alla quale dovendosi per capo dor-
dine rispondere insta lo stesso Rizzi desser dalla med[esim]a assolto, e liberato, come
sar per giustitia esaudita la sua giustissima dimanda di principale [del] 21 marzo ante-
cedente che non pu per verun reguardo esser combatuta, se non per lingiusto fine di
trattenersi se potesse lindebitam[en]te conseguito di pi di q[ua]nto per il suo accordo
lera dovuto; et f con la scrittura 29 Aprile 1718 stabilito salvis etc. et in expensis etc.

110. Il nome del Madonis senior compare nellinterlinea inferiore a correzione di Lod[ovi]co,
cancellato con pi freghi.
111. Botteghino.
112. Che non aveva sottocchio.

286
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

Doc. 7

Sentenza dei Giudici del Forestier sulla causa Ricci-Madonis, ASV, Giudici del Forestier,
Sentenze, b. 133, c. 264v.

[18 luglio 1719]

Onde gli Illustrissimi S[igno]ri Giacomo Minoto, Mattio Ciceron e Andrea Marcello
Hon[orand]i Giud[ic]i di Forestier. Visto un processo di carte 37, scritte e non, prencipia
L[aus] D[eo] 29 Aprile 1718 Ven[eti]a etc. et fenisce salvijs et sine preg[iuditi]o et etc.
Item altro Proceso di carte 7, scritte e non, prencip[ia]nte L[aus] D[eo] 1718 12 maggio
Venetia etc. et fenisce fui p[rese]nte testimonio, a quanto di sopra prodoti dalla parte
Attrice, et di poi, veduto un processo di carte 19, scritte e non, prencipia Ad 29 Aprile
1718 Vene[ti]a etc. et Fenisce intimato ad Agostin Rosa n[omine] q[uorum] i[nterest]
prodoto per la parte rea, con quanto che hanno voluto dire et dedurre a favor delle
loro rag[io]ni con il mezzo del N. H. S[ier] Alvise Priuli per la parte Attrice, e per la
parte rea dal N. H. S[ier] Costantin Belloto loro avocadi ord[ina]ri;113 e datto prima
il giuram[en]to alli Ill[ustrissi]mi S[igno]ri Giud[ic]i s[econ]do la forma della legge.
Cristi nomine invocato a quo etc.
Quanto al cappo di principal, tutti tre S.S. E.E. Unanimi et Concordi hanno
sent[enziat]o detto d[omi]no Gio[van] Batt[ist]a Madonis giusto in tutto e per tutto
alla Dima[nd]a del d[omin]o Rizzi cond[annand]o la parte Rea nelle spese.
Quanto al cappo di converso di d[omin]o Madonis parimenti tutti tre S.S. E.E.
Unanimi et Concordi hanno asolto d[omin]o Rizzi da d[ett]o Cappo e dalle cose in
esso cont[enu]te cond[annand]o il sud[dett]o Madonis nelle spese.
[Firma] Giacomo Minotto Giudice di Forestier.

113. Era consuetudine che i giovani patrizi veneziani, allinizio della propria carriera, si
cimentassero nella avvocatura.

287
GIANLUCA STEFANI

Fig. 1. Benedetto Marcello, Frontespizio della prima edizione de Il teatro alla moda, parti-
colare, 1720, incisione (collezione privata).

Fig. 2. Anton Maria Zanetti il vecchio, Piero Balbi detto Franzifava, s.d., penna e in-
chiostro bruno rinforzato con bistro su carta bianca (Venezia, Fondazione Giorgio Cini,
36615).
288
SEBASTIANO RICCI IMPRESARIO

Fig. 3. Anton Maria Zanetti il vecchio, Bastian Ricci pensoroso, 1729, penna con in-
chiostro bruno su carta bianca (Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 36679).

289
Adela Gjata

LE REGIE GOLDONIANE DI RENATO SIMONI (1936-1947)

Figura influente della cultura italiana del Novecento Renato Simoni si ci-
menta in unampia gamma di mestieri dello spettacolo. Nella polimorfia artistica
di costui (drammaturgo, critico, regista teatrale e cinematografico, librettista
per lopera seria e buffa, sceneggiatore, oratore, autore di riviste, balletti, elze-
viri, articoli di costume, epigrammi, anacreontiche e facezie rimate) la pratica
registica, concentrata negli anni 1936-1947, assume un grande rilievo. Autore
di spettacoli allestiti per manifestazioni quali la Biennale Teatro di Venezia e
il Maggio Musicale Fiorentino, Simoni appariva nellarticolato panorama tea-
trale del secondo dopoguerra come un fenomeno singolare, un caso a parte,1
sia per limpossibilit di inserirlo in tendenze poetiche o prassi sceniche cano-
niche sia per il singolarissimo esercizio di un autodidatta, gi autorevole cri-
tico teatrale, che firma la prima regia allet di sessantuno anni e che subito
celebrato come un capostipite. Lo aveva, del resto, gi dichiarato con energia
Silvio dAmico recensendo Il ventaglio e Le baruffe chiozzotte del 1936, le rap-
presentazioni goldoniane allaperto della xx Biennale di Venezia:

Chi ha dimenticato i nomi di Reinhardt e di Copeau? Ma questanno, a Venezia, ha


esordito in qualche stile un italiano, Renato Simoni. Non ci sembra il caso di fare, ai
lettori di una rivista di teatro, la presentazione di questo nome. Non ci sembra nem-
meno opportuno insistere sul fenomeno che altri ha rilevato con una punta dor-
goglio, del resto legittimo del critico che passa dalle parole ai fatti e cio diventa

1. La definizione di Giulio Cesare Castello che, in uno scritto sullo stato della regia
teatrale italiana nel secondo dopoguerra, inserisce Simoni nella categoria della vecchia guar-
dia, differenziando tuttavia la sua esperienza sia dallesercizio dei registi importanti quali
Gualtiero Tumiati, Sergio Tofano, Pietro Sharoff e Tatiana Pavlova, che dallattivit di Anton
Giulio Bragaglia, Guido Salvini e Enzo Ferrieri i maestri italiani , cos come dai cosiddetti
epigoni alla stregua di Giulio Pacuvio. Cfr. G.C. Castello, Ventanni di regia, Sipario, iv,
1949, 40-41, pp. 25-31. E v. C. Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano. La generazione dei registi,
Firenze, Sansoni, 1984, p. 270 (cui rimandiamo anche per il quadro di riferimento).

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 291-308


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18381
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
ADELA GJATA

regista. [] Nessuno ignora che Simoni oggi, in Italia, lunico critico a cui un di-
rettore di compagnia possa rivolgersi, per consigli anche tecnici, sulla regia di un la-
voro. [] Le recite goldoniane di Venezia hanno rivelato un regista italiano dalla
mano amorosa ma scaltra, sicura ma lieve.2

Il critico romano affianca dunque il debutto registico di Simoni ai nomi


di maestri europei quali Max Reinhardt e Jacques Copeau, che, noto, nel
triennio 1933-1935 avevano allestito per il Festival di Venezia e per il Maggio
Musicale Fiorentino spettacoli di notevole qualit per ricerca creativa, atten-
zione interpretativa e cura dellinsieme.3 Se come critico la tribuna di Simoni
fu quella moderata del Corriere della Sera, le sue regie non si distaccarono da
questo quadro di riferimento, realizzando nella pratica il principio damichia-
no dellinnovare conservando; e poich questa era la strada maestra percorsa
dalla regia italiana negli anni Trenta, Simoni divenne il punto di riferimento
della cultura teatrale nazionale che vedeva di buon occhio lavvicinarsi de-
gli autori alla scena in quanto garanzia di fedelt al testo e al teatro di parola.
Il Festival teatrale di Venezia inaugurato nel 1934 con Il mercante di Ve-
nezia per la regia di Reinhardt e La bottega del caff diretta da Gino Rocca si
costruisce sulla base di una linea programmatica ed estetica caratterizzata da
alcuni elementi fondamentali: la selezione, sul piano drammaturgico, di testi
classici con particolare riferimento allopera goldoniana, parte del processo
tendente a consacrare Goldoni poeta nazionale;4 la costruzione di messe in

2. S. dAmico, Le recite goldoniane a Venezia. Simoni regista, Scenario, v, 1936, 8, p. 369. Nel
1940 anche Nicola De Pirro rappresentante istituzionale del teatro italiano elegger Simoni
regista nazionale, autore di successi certamente pari e talvolta superiori a quelli ottenuti da
famosi registi stranieri. N. De Pirro, Nascita della regia in Italia, ivi, ix, 1940, 1, p. 7. Sui primi
anni di vita di Scenario v. M. Schino, La parola regia, in Studi di Storia dello spettacolo. Omaggio
a Siro Ferrone, a cura di S. Mazzoni, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 491-527. Per la fortuna no-
vecentesca di Goldoni rinviamo a P. Bosisio, Il teatro di Goldoni sulle scene italiane del Novecento,
ricerca iconografica e apparati a cura di A. Bentoglio, Milano, Electa, 1993 (pp. 46-53, per
Simoni).
3. Gli spettacoli shakespeariani di Max Reinhardt Sogno di una notte di mezza estate al
Giardino di Boboli (1933), Il mercante di Venezia in campo San Trovaso a Venezia (1934) , e
quelli di Jacques Copeau allestiti per il Maggio Musicale Fiorentino La rappresentazione di Santa
Uliva nel chiostro di Santa Croce (1933) e il Savonarola di Rino Alessi in piazza della Signoria
(1935) erano alcune delle migliori espressioni del nuovo teatro europeo, che i teatranti italiani
colsero e svilupparono solo parzialmente, guardandoli, non raramente, come bizzarrie dettate
da scelte estreme.
4. Nel 1907, in occasione della celebrazione del bicentenario di Goldoni, Simoni auspicava
una maggiore popolarit dello scrittore veneziano: bisogna che quel suo teatro cos trionfal-
mente e profondamente italiano sia noto tra noi per lo meno come noto Molire in Francia.
R. Simoni, Goldoni: 1707-1907, Il mondo artistico, 1 marzo 1907.

292
LE REGIE GOLDONIANE DI RENATO SIMONI

scena aderenti alla formula degli imponenti spettacoli allaperto, nonostante i


contenuti e i ristretti spazi delle rappresentazioni campielli, rii e cortili non
rispondessero alla formula del teatro di massa auspicata dal regime; la creazio-
ne di compagnie apposite con elementi di primo livello, dagli interpreti agli
scenografi, ai costumisti e ai registi; il carattere internazionale garantito dalla
presenza di maestri europei, principio potenziato ulteriormente nelle rassegne
del secondo dopoguerra. Gli spettacoli erano al centro di unintensa attivit
promozionale: dai manifesti che tappezzavano gran parte delle citt dellItalia
centro-settentrionale alle trasmissioni radiofoniche, allospitalit ai critici delle
maggiori testate.5 Il prestigio della manifestazione lagunare scaturiva, inoltre,
dagli spettatori illustri delle prime dalle autorit cittadine alle pi spiccate
personalit del mondo intellettuale italiano e straniero attraverso i quali il
pubblico del festival acquisiva agli occhi del comune cittadino una esemplare
valenza sociale.6
Nel 1936, lanno delle gi ricordate prime regie goldoniane di Simoni, la
Biennale consolida i rapporti con il Ministero per la stampa e la propaganda
diretto da Dino Alfieri e in particolare con lIspettorato del teatro nella perso-
na di Nicola De Pirro, in sintonia con il controllo della vita sociale e culturale
incentivato dal regime a partire dalla met degli anni Trenta. Oltre al patro-
cinio istituzionale, lo Stato fascista garantisce al Festival del Teatro il supporto
economico primario per la produzione di spettacoli darte,7 allestimenti dai
costi ingenti, relativi, oltre alla retribuzione delle maestranze, alla realizzazione
del luogo teatrale che prevedeva la costruzione di scene tridimensionali, tribu-
ne, impianti di illuminazione, affitti, indennizzi, assicurazioni e sorveglianza.8

5. In una lettera del 30 giugno 1937 del comitato direttivo della Biennale inviata a Roma al
capitano Agostino Sanna del Ministero della cultura popolare/Direzione generale della stampa
si ha notizia del forte impegno propagandistico delle manifestazioni teatrali nelle radio e nei
giornali nazionali ed esteri. In una seconda lettera del 2 luglio 1937, indirizzata sempre a Sanna,
si parla di manifesti affissi in ben settantadue citt dItalia. Cfr. Archivio storico delle Arti con-
temporanee - Biennale di Venezia (da ora in poi ASAC), Sezione teatro, a. 1937.
6. Sulla valenza autocelebrativa del teatro nellepoca fascista si rimanda allo studio di Q.
Galli, La scena dellImpero. Seguendo Renato Simoni regista, Roma, Ellemme, 1991.
7. Il Ministero destin per le recite goldoniane allaperto del 1936 la somma di duecen-
tomila lire, cui vanno aggiunte le centomila lire stanziate dal Comune di Venezia. Cfr. Verbale
delladunanza della Commissione della Biennale in data 29 maggio 1936, ASAC, Sezione teatro, a. 1936.
8. Per la realizzazione dei tre spettacoli diretti da Simoni e Salvini per la Biennale Teatro
1937 furono coinvolte settemilaottocento persone, come si legge nel Resoconto dellamministra-
zione della Biennale per le recite dellestate 1937. Una spesa non indifferente comportava, inoltre,
il restauro delle case danneggiate durante il lavoro di allestimento dello spazio scenico, come
dimostra una stima dei danni alla propriet del sig. Giovanni Scarpa in campo San Cosmo in se-
guito alle manomissioni causate dalla messa in scena de Le baruffe chiozzotte di Simoni nel luglio
1937; cfr. ASAC, Sezione teatro, a. 1937.

293
ADELA GJATA

Le recite goldoniane allaperto della Biennale 1936 vengono affidate a Si-


moni unico regista della manifestazione e a Guido Salvini addetto allalle-
stimento scenotecnico.9 Nello stesso anno il critico del Corriere nominato
responsabile della sezione Teatro nella Commissione per gli spettacoli della
Biennale,10 carica istituzionale poco rilevante sul piano pratico essendo le sue
proposte spesso vagliate dal presidente della Biennale, il conte Giuseppe Vol-
pi di Misurata, e filtrate dalle direttive ministeriali.11 Il sodalizio tra Simoni e
Salvini, rinnovato nel successivo festival, univa la tradizione di una direzione
allitaliana con le esigenze di una scenotecnica moderna; da un lato lespe-
rienza del drammaturgo e del critico, dallaltro la formazione europea di un
professionista della scena. Comune a entrambi lidea di un teatro finalizzato a
un esito spettacolare di sobria qualit. Per le recite allaperto si scelgono, an-
che su consiglio di Simoni, due testi del Goldoni maturo.
Il Ventaglio del 1936 e ancora di pi la ripresa del 1939, pi mossa, pi
agile, pi indiavolata 12 fu un successo apprezzato soprattutto per il ritmo
spumeggiante della messa in scena. Nellidea di Simoni il tempo dellallesti-
mento doveva essere dettato dalla complessa e movimentata architettura dei
tre atti, dallilarit delle peripezie, dal contrappunto dei sospiri e dal moltipli-

9. Scenografo e regista rinomato a livello europeo, artefice di una carriera in continua


ascesa dallesperienza del Teatro dArte di Pirandello negli anni 1925-1927 alla messa in scena
del Falstaff verdiano diretto da Toscanini al Festival di Salisburgo nel 1935, Guido Salvini stato
una figura chiave del Festival del Teatro di Venezia. In una lettera non firmata ma sicuramente
di un membro della Commissione della Biennale del 12 febbraio 1936 indirizzata a Salvini si
ha notizia che le rappresentazioni goldoniane erano inizialmente destinate alla regia di questul-
timo: Certo che se queste rappresentazioni verranno decise intendimento della Presidenza di
affidarne la regia a Lei (ASAC, Sezione teatro, a. 1936). Sul percorso registico di Guido Salvini
si veda M. De Luca-D. Vanni, Guido Salvini, o Della nascita della regia in Italia, Bari, Edizioni
dal sud, 2005.
10. La Commissione presieduta da Giuseppe Volpi di Misurata (presidente della Biennale)
vedeva tra i suoi componenti: Nicola De Pirro, Corrado Marchi (vice-presidente della
Corporazione dello spettacolo), Cornelio Di Marzio (Confederazione professionisti e artisti),
un rappresentante del Comune di Venezia, il conte Andrea di Valmarana (delegato del presi-
dente della Biennale), Adriano Lualdi (responsabile del Festival della Musica), Carlo Conestabile
della Staffa (segretario generale e direttore amministrativo delle manifestazioni per lEstate
Veneziana). Cfr. la lettera del 28 febbraio 1936 del segretario generale della Biennale Antonio
Maraini allispettore Nicola De Pirro (ASAC), ora in L. Trezzini, Una storia della Biennale
Teatro. 1934-1995, Venezia, Marsilio, 1999, p. 28.
11. NellArchivio storico della Biennale di Venezia custodita unimponente mole di do-
cumenti di ordine amministrativo e organizzativo, prove eloquenti della volont di controllo da
parte del regime; ogni minimo cambiamento di natura artistica e logistica doveva essere comu-
nicato ai rappresentanti istituzionali della Biennale ed effettuato dopo la dovuta approvazione
dallalto. Cfr. ASAC, Sezione teatro, a. 1937.
12. C. Giachetti, Il ventaglio in campo San Zaccaria, La Nazione, 18 luglio 1939.

294
LE REGIE GOLDONIANE DI RENATO SIMONI

carsi dei malintesi.13 Il regista si affida al virtuosismo degli attori: da Rossana


Masi che rese garbata e simpatica la figura un po fredda della zia Gertrude14
alla sempre giovane Maria Melato che sparse colori a dovizia sui tratti della
mercantessa pettegola,15 la Signora Susanna; dalla tenera Candida di Laura
Adani16 allarguta Giannina di Andreina Pagnani, forse lattrice pi goldoniana
che oggi abbiamo, trionfatrice della serata,17 scrive Silvio dAmico sulle pa-
gine della Nuova antologia. Nella presentazione dello spettacolo una sorta
di nota di regia focalizzata sullanalisi del testo goldoniano Simoni defini-
sce il personaggio di Giannina la figura pi vivace e lucente della comme-
dia, con pochissima rusticit vera, una contadinella da teatro, graziosamente
aspretta, deliziosamente impertinente, che immaginiamo pi fatta per portare
il gonnellino corto e il grembiulino di pizzo di Corallina, che i ruvidi panni
duna paesana.18 Altri mostri sacri della scena italiana recitano nel Ventaglio:
Memo Benassi un Coronato livido e scaltro,19 alquanto brighelleggian-
te nella mascheretta delloste;20 il fiorentino Renzo Ricci, uno stizzoso, ta-
gliente e innamorato21 calzolaio Crespino, raggiunge con sottili invenzioni gli
effetti di una comicit tanto avvincente quanto di signorile compostezza;22

13. Simoni considera Il ventaglio come unelaborazione moderna degli scenari della
Commedia dellArte: [Goldoni] prende la commedia dellarte cos com e si limita di popolar-
la di uomini; la immette nel suo tempo; fa correre per i meandri del suo canovaccio labirintico,
non pi i mascherotti, che sono convenzioni fuori del tempo, ma i suoi stessi contemporanei,
riprodotti con squisito senso della verit. E ha riformato una volta di pi. Dove cera la follia
stemperata, il lazzo pazzo, il gergo imputridito, fa entrare lumile, la semplice vita quotidiana.
E scrive un capolavoro. R. Simoni, Il ventaglio, Corriere della Sera, 10 novembre 1921, ora
in Id., Trentanni di cronaca drammatica: 1911-1923, a cura di L. Ridenti, Torino, Ilte, 1952, vol.
i, p. 507.
14. E. Zorzi, La prima del Ventaglio di Goldoni con la regia di Simoni a Venezia, Corriere
della Sera, 16 luglio 1936.
15. S. dAmico, Goldoni nei campielli: Il ventaglio, Le baruffe chiozzotte, Nuova antolo-
gia, 1 agosto 1936, ora in Id., Cronache del teatro: 1914/1955, a cura di A. dAmico e L. Vito,
Palermo, Novecento, vol. iv (1934-1944), to. i (1934-1936), pp. 257-265: 261. Sullattrice: P.D.
Giovanelli, Maria Melato. Voci darchivio, voce di scena, Firenze, Le Lettere, 2015.
16. O. Gibertini, Il ventaglio in campo San Zaccaria, La tribuna, 17 luglio 1936.
17. DAmico, Goldoni nei campielli, cit., pp. 260-261.
18. R. Simoni, Il Ventaglio, Corriere della Sera, 15 luglio 1936. Maria Damerini infor-
ma, inoltre, come durante le prove del Ventaglio Simoni suggerisse alla Pagnani di dare vita a una
Giannina dispettosetta ma gustosa, piccante ma garbata, furbetta e insieme ingenua e amorosa.
M. Damerini, Gli ultimi anni del Leone. Venezia 1929-1940, Padova, Il Poligrafo, 1988, p. 198.
19. G.O. Gallo, Il ventaglio di Goldoni a Venezia, Il Popolo di Roma, 19 luglio 1936.
20. DAmico, Le recite goldoniane a Venezia. Simoni regista, cit., p. 369.
21. DAmico, Goldoni nei campielli, cit., p. 261.
22. A. Zajotti, Il trionfale successo del Ventaglio in campo San Zaccaria, La gazzetta di
Venezia, 16 luglio 1936.

295
ADELA GJATA

lottantenne Ermete Zacconi un potente catalizzatore di comicit nella par-


te del declassato e scroccone conte di Roccamonte concreto, carnoso, co-
lorito, gagliardo ,23 personaggio cruciale dellintrigo della pice esemplato
sul marchese di Forlimpopoli della Locandiera. Nerio Bernardi, traboccante
di merletti e di smancerie,24 tocca la giusta nota nella coloritura melodram-
matica e lievemente caricaturale del sentimentale signor Evaristo;25 il barone
del Cedro, suo antagonista nellamore per Candida, trova linterprete ideale
nel chiaro, preciso, efficacissimo26 Augusto Marcacci. Tra i personaggi mi-
nori spiccano le macchiette di Limoncino, il garzone del caff tratteggiato con
garbo dal goldoniano di razza Emilio Baldanello, e quella di Timoteo lo spe-
ziale, interpretato da Ermanno Roveri.
Le baruffe chiozzotte vantavano invece i migliori interpreti della teatralit
veneta: Gianfranco Giachetti (Cogidor), Cesco Baseggio (Fortunato), Carlo
Micheluzzi (Toni), Giuseppe Zago (Vincenzo), Gino Cavalieri (Toffolo), Emi-
lio Baldanello (Comandador), Vittorio Cavalieri (Canochia), Pina Bertoncello
(Orseta), Margherita Seglin (Pasqua) e Giselda Gasparini (Donna Libera), af-
fiancati da altri noti interpreti del teatro italiano come Kiki Palmer (Checca),
Giulio Stival (Titta Nane), veneto di nascita, e Luigi Grossoli (Bepo).
Le regie veneziane testimoniano che Simoni pensava lo spettacolo come una
fucina di artisti specializzati, la cui armonica interazione doveva rispondere a
unidea estetica dellevento scenico. La selezione degli interpreti e la distribu-
zione dei personaggi erano azioni decisive nella costruzione della rappresen-
tazione. C, da una parte, la tendenza a raggruppare, per alcuni spettacoli, a
spese dello Stato, otto o dieci grossi calibri, senza badare se essi artisticamen-
te convivono bene, e se non tolgano le gradazioni allopera darte denuncia
il regista nel 1949 e c dallaltra parte labitudine di unire due o tre attori
buoni, circondandoli di generici o non scelti con fino esame per le parti che
devono interpretare, o scadenti.27 Simoni tocca qui una questione nevralgica
del teatro italiano, criticando una formula che assomiglia alla compagnia di
giro, riconoscibile per la presenza di un grande attore (o di una grande attrice)
circondato da un coro di attori pi o meno mediocri che stanno in palcosce-

23. DAmico, Goldoni nei campielli, cit., p. 260. Zacconi rappresentava per Simoni il sogno e
lo splendore del teatro, imbattibile nellacutezza e la precisione dellindagine fisico-psicologica
del personaggio. In questi termini Simoni ricordava il grande attore alla sua scomparsa. Cfr. R.
Simoni, Omaggio a Ermete Zacconi, Il dramma, xxiv, n.s., 1948, 57-59, pp. 195-196.
24. DAmico, Goldoni nei campielli, cit., p. 261.
25. Zorzi, La prima del Ventaglio di Goldoni con la regia di Simoni a Venezia, cit.
26. Zajotti, Il trionfale successo del Ventaglio, cit.
27. R. Simoni, I nostri attori, Sipario, iv, 1949, 40-41, p. 16.

296
LE REGIE GOLDONIANE DI RENATO SIMONI

nico per dare la battuta.28 Negli spettacoli veneziani e fiorentini29 il regista


frena il protagonismo dei primi attori, costringendo ognuno al suo posto sen-
za mortificare lindividualit,30 per dare voce a un unisono stupendo.31 Le
cronache coeve riconoscono il merito maggiore delle prime regie simoniane
nellorchestrazione armonica degli interpreti, impegno ancora pi arduo in
presenza di capocomici e mattatori. La novit era vedere i comici dialettali
delle Baruffe scrive DAmico , come glitaliani del Ventaglio, cos raggrup-
pati, intonati, armonizzati, svolgere le loro gaie sinfonie al tocco dellinvisibi-
le bacchetta che li aveva come magati, che aveva messo loro lali ai piedi, che
li faceva atteggiarsi, muoversi, inseguirsi, cicalare, sospirare, stridere, con una
verit fatta di leggiadria.32 Simoni costituiva agli occhi di DAmico un pun-
to di arrivo della sua battaglia accademica contro il guittismo e le caparbiet
performative del mattatore, ma anche la stabilizzazione della figura del regi-
sta-stratega garante di un maggiore rispetto del testo.
Nelle Baruffe Simoni intende veicolare la realt nel realismo del gesto e
dellambientazione scenica. Se nel Ventaglio si mira al virtuosismo degli inter-
preti, nella messa in scena della commedia chioggiotta si lavora soprattutto a
restituire le vicende dei personaggi. La stessa selezione degli attori risponde a
una poetica che vuole svelare il microcosmo drammaturgico goldoniano; da
qui la formazione di una compagnia drammatica in lingua per il Ventaglio e
dialettale per le Baruffe. Lapproccio del regista alla drammaturgia goldoniana
si sviluppa nella riflessione sul Goldoni attento osservatore del quotidiano. Le
commedie corali del popolo delle calli e dei campielli erano le sue preferite:
testi frizzanti e spiccatamente veneziani che riconducono la vita nel teatro,
vita che a parere del critico del Corriere rischiava di essere uccisa dal ma-
nierismo che affliggeva la scena italiana del primo dopoguerra.33 La vita che

28. L. Ridenti, Teatro italiano fra due guerre, 1915-1940, Genova, Dellacasa, 1968, p. 64.
29. Oltre alle messe in scene goldoniane, Renato Simoni divenne celebre negli anni
Trenta per tre storici spettacoli allaperto, allestiti al Giardino di Boboli per il Maggio Musicale
Fiorentino. Alla prima assoluta dei Giganti della montagna di Pirandello nel 1937, segu una me-
morabile edizione dellAminta di Tasso (1938), infine un meno fortunato allestimento dellAdelchi
manzoniano nel 1940.
30. DAmico, Goldoni nei campielli, cit., pp. 264-265.
31. Damerini, Gli ultimi anni del Leone. Venezia 1929-1940, cit., p. 200. Cfr. inoltre
DAmico, Le recite goldoniane a Venezia. Simoni regista, cit., p. 369; G. Patan, Parla Pirandello, Il
Popolo di Sicilia, 30 luglio 1936, ora in Interviste a Pirandello: parole da dire, uomo, agli altri uomini,
a cura di I. Pupo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, pp. 577-580.
32. DAmico, Le recite goldoniane a Venezia. Simoni regista, cit., p. 369.
33. Nella recensione al Ventaglio rappresentato dalla compagnia Niccodemi al teatro
Manzoni di Milano nel 1921, anno in cui imperversava la polemica pirandelliana su I sei perso-
naggi, Simoni si esprimeva in questi termini: Riformatori di tutti i tempi, il segreto questo: ed

297
ADELA GJATA

Simoni vuole restituire al teatro complice la drammaturgia goldoniana era


intesa nellaccezione aristotelica della mimesi, in quanto osservazione della re-
alt o specchio della natura; concetto che si oppone allartificio, senza per
questo omologarsi al naturalismo o al verismo. Il teatro non ha bisogno della
verit, ma, se mai, della finzione della verit ribadiva nel 1934.34 La nozione
dellinserimento della vita sulle scene si ricollega, del resto, al mito del Gol-
doni cronista poeta della Natura lo aveva definito Voltaire 35 che giro-
vagava per Venezia e annotava le battute e gli atteggiamenti dei concittadini.
Gli allestimenti del Ventaglio e delle Baruffe chiozzotte nel 1936 muovono
dal presupposto che lambiente in Goldoni ha una funzione drammaturgi-
ca: lo spazio scenico diventa cos parte integrante dellazione e compimento
della realt quotidiana dei personaggi. La scelta di luoghi quali piazze, calli e
giardini caposaldo degli spettacoli di prosa del festival veneziano inoltre
elemento decisivo per creare la dimensione realistica della messa in scena;36
realismo sostenuto, negli spettacoli di Simoni, dalla interpretazione attoriale
e dai costumi di Aldo Calvo. Nelle Baruffe, salvo due casette posticce piazza-
te in primo piano,37 lintera scena era vera: il campo, il rio che gli passa da-
vanti percorso da barche cariche dortaggi, il piccolo ponte di legno tipico di

facile! Nel teatro, di dove la vita uscita, riconducete la vita. Tutte le riforme, in tutti i tempi,
furono fatte cos; tutti i riformatori, da Lope de Vega a Molire, a Shakespeare, a Goldoni, han
fatto questo. Nessuno di questi pens di portare nel teatro che muore, al posto degli uomini che
non ci sono pi, le maschere, o goffe come quelle di una volta, o lugubri come quelle che usano
oggi. Simoni, Trentanni di cronaca drammatica: 1911-1923, cit., vol. i, p. 507.
34. Simoni, La bottega del caff, Corriere della Sera, 17 novembre 1934, ora ivi, vol. iv, p. 153.
35. Cfr. Simoni, Goldoni, Gozzi e il Campiello, Corriere della Sera, 18 luglio 1939.
36. Per Le baruffe chiozzotte fu effettuato un lungo e minuzioso sopralluogo che coinvolse
ventuno campi e rii della laguna, come segnala la relazione compilata dalla Biennale nel 1936.
San Cosmo della Giudecca si rivel, infine, molto adatto sia dal punto di vista scenografico
che logistico. Unico difetto, la relativa lontananza. Molto carattere. Da adottarsi per la sceno-
grafia fissa e non il cambiamento meccanico. Il campo San Zaccaria si dimostr invece il pi
adatto per lallestimento del Ventaglio, sia dal punto di vista scenografico per il grande albero
che darebbe il senso della campagna di fianco alla chiesa quattrocentesca di San Zaccaria, sia
per la strategica posizione centrale, di facile accesso, infine per la capienza, potendo ospitare
circa mille spettatori. Cfr. Relazione sulla visita compiuta nelle varie localit prese in esame per le recite
goldoniane dellanno XIV, ASAC, Sezione teatro, a. 1936.
37. Le uniche due costruzioni artificiali erano la casa di Paron Toni e quella di Paron
Fortunato dietro la quale era collocata la cancelleria criminale, luogo del secondo atto. Lo stu-
dio del Cogidor Isidoro si mostra grazie a un palcoscenico girevole il cui meccanismo svelato
da DAmico nella recensione allo spettacolo: Una delle due case posticce che fanno da quinta,
quella di sinistra gira su se stessa, e offre di colpo unaltra visione, la sala del cancelliere; un mu-
retto copre il canale chera al centro della scena, il lato destro grazie a un rapido gioco di luci
piomba nelloscurit. DAmico, Goldoni nei campielli, cit., p. 264. Cfr. anche M. Corsi, Il teatro
allaperto in Italia, prefaz. di R. Simoni, Milano-Roma, Rizzoli, 1939, pp. 231-234.

298
LE REGIE GOLDONIANE DI RENATO SIMONI

Chioggia che lattraversa, il canale affacciato al campo con i bragozzi carichi di


reti e di vele colorate. Lungo quel canale scende a met del primo atto la tar-
tana di Paron Toni, a vele spiegate. Un ambiente naturalmente scenografico,
suggestivo e crudelmente verista38 che restituisce la venezianit di Goldoni
mentre accosta grazie a un sapiente uso delle luci al luccichio dacque fra
il raso e largento, quelle grandi vele colorate, quel festoso viavai della piaz-
zetta marinara.39 Ci che la critica del tempo denominava come il trionfale
ingresso del verismo in teatro non era altro che la scoperta del teatro per mez-
zo della realt: lambientazione esterna rafforza la naturalezza della dramma-
turgia goldoniana, mentre lelaborato apparato scenico diviene un elemento
esclusivamente estetico.
La formula degli spettacoli goldoniani allaperto inaugurata due anni
prima da Gino Rocca con La bottega del caff allestita nel cortile del teatro San
Luca trovava ancora diverse resistenze.40 Le commedie goldoniane, concepite
per essere recitate in edifici teatrali di piccole o medie dimensioni, avrebbe-
ro finito per snaturarsi se allestite allaperto, osservavano i critici. Le messe
in scena di Simoni fecero superare parzialmente quella diffusa riluttanza: In
verit, allatto pratico, ci si accorge che questione dintendersi, e che anche
laperto pu sempre essere relativamente misurato e chiuso, si legge nella re-
censione di Osvaldo Gibertini al Ventaglio, che approva loperazione degli sce-
nografi Salvini e Calvo di ridurre campo San Zaccaria alle proporzioni di un
teatro di prosa a cielo aperto.41 Se nelle Baruffe lo spazio ritrovato di San Co-
smo rimase pressoch invariato, per Il ventaglio Salvini e Calvo trasformarono
lo scenario urbano di San Zaccaria il cui unico elemento riconoscibile rima-
neva il frondoso tiglio centrale. La facciata della chiesa rinascimentale era co-
perta dai sette edifici del borgo delle Case nuove che fungevano da fondale e
da quinte: al centro, dietro allalbero, si addossava la palazzina signorile con il
balcone delle signore e il caff di Limoncino, sulla destra la merceria di Su-
sanna e losteria di Coronato, mentre il lato sinistro della scena era occupato
dalla farmacia dello speziale Timoteo e dalla capanna di Giannina e Morac-
chio con tanto di fienile e orto. Una scenografia fissa, costruita ex novo, che
presenta al primo quadro gli abitanti del villaggio lombardo impegnati nella
propria attivit quotidiana. Il progetto scenografico fu completato da unar-
chitettura dambiente ritmata dai rapidi crescendo di luci e di movimenti,

38. C. Giachetti, Imitazione e fantasia nelBugiardo, La Nazione, 11-12 luglio 1937.


39. DAmico, Le recite goldoniane a Venezia. Simoni regista, cit., p. 368.
40. Goldoni non autore da pretesti per messinscene esteriori n per spettacoli allaperto,
scrive Eugenio Ferdinando Palmieri nella cronaca dello spettacolo di Rocca. E.F. Palmieri,
Goldoni allaperto, Il resto del carlino, 20 febbraio 1934.
41. Gibertini, Il ventaglio in campo San Zaccaria, cit.

299
ADELA GJATA

ora ondeggianti sotto le folate del caso, chiassoso brio popolaresco, ora alle-
gra, ora corrucciata.42
Lestetica degli spettacoli goldoniani di Renato Simoni individuabi-
le nellarmonia del complesso, nel fondere in un accordo dominante i gesti,
le mosse e gli atteggiamenti dei singoli personaggi. La valenza musicale del
Ventaglio si percepisce non solo nel ritmo dettato dalla movimentata trama che
scompone e ricompone in continuazione il quadro della messa in scena, ma
anche nei rumori degli arnesi da lavoro: il pestone dello speziale, il trincetto
del ciabattino, lacciottolio del taverniere43 e in altri suoni datmosfera quali
il canto lontano di un usignolo, oppure il nervoso gracchiare di rane che ac-
compagna il punzecchiarsi di Crispino e Coronato e le loro risate a crepapel-
le.44 Lo studio dellatmosfera sonora raggiunge livelli altissimi nella costruzione
di unaltra commedia di ambiente goldoniana, Il campiello, rappresentato nel
campiello del Piovan nellambito del Festival veneziano del 1939 (ci torneremo).
Nelle Baruffe Simoni realizza invece uno degli esempi pi alti del cosid-
detto Goldoni ritmico.45 Il tempo coreutico che scandisce la messa in scena
trova un corrispettivo linguistico negli aggettivi guizzanti come pesci nelle
reti appena tirate, con quei verbi sdruccioli che scorrono come rivoli musi-
cali (cos Simoni).46 Anche qui, come nel Ventaglio, gli spettatori apprezzano
la capacit di concertazione dei timbri e dei ritmi vocali degli interpreti, il
contrappunto dei dialoghi e la sonorit dei battibecchi, il tutto rinforzato dalla
musica orchestrale, le coreografie di Irene Del Bosco guidate dalla prima bal-
lerina della Scala Teresa Legnani e i canti della soprano Antonietta Meneghel
alias Toti dal Monte lattrice rivelazione delle Baruffe, al debutto nel teatro
di prosa che diede alla maliziosa e insieme festosa Lucietta una freschezza
e una spontaneit deliziose,47 sebbene a Eugenio Ferdinando Palmieri non
sfuggisse qualche gesto melodrammatico.48 Il Paron Fortunato di Baseggio,
cui lattore confer un colore farsesco e una tecnica impeccabile a met strada

42. Zajotti, Il trionfale successo del Ventaglio, cit. Cfr. anche Gallo, Il ventaglio di Goldoni
a Venezia, cit.
43. Cfr. M. Ramperti, Una mirabile rappresentazione del Ventaglio di Goldoni a Venezia in
campo San Zaccaria, Lillustrazione italiana, 19 luglio 1936.
44. Cfr. Zajotti, Il trionfale successo del Ventaglio, cit.
45. R. Radice, Ventanni di regia goldoniana. Dalla scuola al palcoscenico, in Studi goldoniani.
Atti del convegno internazionale di studi (Venezia, 28 settembre-1o ottobre 1957), a cura di V.
Branca e N. Mangini, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1960, vol. i,
p. 139.
46. R. Simoni, Le baruffe chiozzotte, Corriere della Sera, 17 luglio 1936.
47. E. Zorzi, Il successo delle Baruffe chiozzotte date a Venezia con regia di Simoni, Corriere
della Sera, 17 luglio 1936.
48. Cfr. n. 52.

300
LE REGIE GOLDONIANE DI RENATO SIMONI

tra i comici dellArte e il fool shakespeariano, parve a DAmico eccellente [],


impagabile di verve, ma anche di misura.49 Dai ricordi di Maria Damerini, as-
sidua spettatrice alle prove delle prime regie simoniane, emerge un Baseggio
tanto protagonista sulla scena quanto anonimo, quasi addormentato fuori
scena.50 Le Baruffe segnano linizio di una lunga collaborazione tra Simoni e
Baseggio, attore goldoniano legato a uno dei filoni pi robusti della tradizio-
ne interpretativa di matrice veneziana dei Benini e degli Zago per inten-
derci , che ricorreva a forti caratterizzazioni nella recitazione.51 Dalla scuola
di Benini provenivano anche i gi ricordati Giachetti, Cavalieri, Micheluzzi
(questultimo un Paron Toni dalla fragorosa baldanza)52 e la Seglin dal buon
gusto sensato e limpido appreso da Italia Benini Sambo.53 Bepi Zago (Paron
Vincenzo) e Giselda Gasparini (Donna Libera) erano invece eredi della scuola
goldoniana di Emilio Zago:

Ma accanto al Giachetti, il pi nitido e saggio cogidor che sia pensabile, abbiamo visto
il Cavalieri, spassosissimo e misuratissimo nelle vesti di Toffolo, e il Baseggio, il qua-
le ha fatto impazzire dalle risa il pubblico nella macchietta di quel padron Fortunato

49. DAmico, Goldoni nei campielli, cit., p. 265.


50. Damerini, Gli ultimi anni del Leone. Venezia 1929-1940, cit., p. 200.
51. Su Baseggio si veda la pregevole voce a lui dedicata da C. Longhi, in amati.fupress.net/
S100?idattore=11750 (data di pubblicazione su web: 7 novembre 2011), con ampia bibliografia.
Di alcuni personaggi di Paron Carlo era diventato il simbolo vivente scrisse di Baseggio
Gastone Geron , sicch quasi non si poteva immaginare un Sior Todero che non brontolasse
come lui, o un Paron Fortunato che non tartagliasse meglio fra le chiozzotte baruffanti, o un
rustego pi rustego. G. Geron, Chi fu di scena, Milano, Pan, 1982, p. 7. Al repertorio goldo-
niano Baseggio dedica ogni energia fin da quando, nel 1926, si fa capocomico, dando vita a
una serie di formazioni specificamente impegnate a diffondere la drammaturgia di area veneta,
associandosi di volta in volta con i migliori attori in dialetto del tempo fra cui Carlo Micheluzzi,
Margherita Seglin, Gino Cavalieri, Leony Leon Bert, e ancora Elsa Merlini, Cesarina Gherardi
e Elsa Vazzoler, con la partecipazione saltuaria del soprano Toni Dal Monte. Anchegli come
Ermete Novelli progetta la fondazione di una Casa del Goldoni, accontentandosi poi di im-
porre alla sua compagnia per un certo periodo il nome La Goldoniana. Si presta volentieri
a seguire Guglielmo Zorzi e Alberto Colantuoni nellambizioso tentativo di una compagnia
del Teatro di Venezia (1936-1939) e con entusiasmo analogo accetta lofferta di Paolo Grassi
che, presso il Piccolo di Milano, tenta di riunire nuovamente, ventanni dopo, un gruppo di
attori dialettali con il nome di Teatro di Venezia. I fallimenti di tali imprese non inibiscono
limpegno di Baseggio che, nel corso di cinquantanni di carriera, si fa responsabile promotore
di una capillare diffusione del teatro goldoniano, impegnandosi nelle vesti del protagonista e,
pi raramente, in quelle di regista in oltre una cinquantina di opere fra maggiori e minori del
commediografo veneziano.
52. E.F. Palmieri, Le baruffe chiozzotte rappresentate a Venezia fra gli orti, le vele, i canali, della
Giudecca, Il resto del carlino, 18 luglio 1936.
53. R. Simoni, La bona mare, Corriere della Sera, 2 marzo 1930.

301
ADELA GJATA

che parla imbrogliando le sillabe, ed il Micheluzzi nellonesta figura di padron Toni,


e il giovine Baldanello, eccellente nella caricatura del messo del Tribunale.54

Daniela Palmer, in arte Kiki, lunica milanese della compagnia, fu una


pepatissima e piacevolissima Checca55 che, a dire della critica, sostenne be-
nissimo il confronto con la Bresciani, lattrice goldoniana che rese celebre il
personaggio nel 176256. Alle venete Gasparini e Seglin, Simoni lascia cam-
po libero nella creazione dei personaggi di Libera e di Pasqua; Bertoncello
unottima Orsetta dalla lingua sciolta e dallocchio ardito; Stival un Titta
Nane dottima classe, ben equilibrato nelle sue agitazioni; bravissimo nelle
vesti di Paron Vincenzo Giuseppe Zago.57
Le recite goldoniane di Simoni e Salvini ebbero un buon successo anche
di pubblico una media di ottocento-novecento spettatori paganti a sera 58
tanto da registrare, nei mesi successivi, imitazioni da parte delle compagnie
venete di Gianfranco Giachetti e di Gino Cavalieri. Si trattava, come infor-
ma lo stesso Simoni in una lettera dell8 settembre 1936, di spettacoli medio-
crissimi che raccolsero al loro debutto molti spettatori speranzosi di vedere
una riproduzione degli spettacoli veneziani.59 Ancora. Tra gli spettatori il-
lustri delle Baruffe cera un Pirandello appassionato, pronto a battere le mani a
ogni scena della prova generale, pervaso da una gioia che pareva quella di un
bambino che per la prima volta si rechi al teatro dei piccoli.60 Se il Ventaglio

54. DAmico, Le recite goldoniane a Venezia. Simoni regista, cit., p. 369.


55. Ibid.
56. E v. A. Scannapieco, Caterina Bresciani, chi era costei?. Tragicommedia in tre atti con un
prologo e un epilogo, Drammaturgia, xi / n.s. 1, 2014, pp. 167-192.
57. Zorzi, Il successo delle Baruffe chiozzotte date a Venezia con regia di Simoni, cit.
58. Se nelle quattro recite del Ventaglio rappresentate tra il 15 e il 25 luglio si assiste a un
leggero calo degli spettatori paganti (dalle 22.335 lire del debutto si passa alle 20.130 lire dellul-
tima replica), le Baruffe registrano una costante crescita di spettatori e dellincasso complessivo.
Il debutto del 17 luglio incass 29.350 lire; quello del 21 ammont a 29.590; la replica del 24
registr invece 10.680 lire; infine quella del 26 luglio sal a 31.393 lire. I dati sono desunti da una
comunicazione ufficiale del 28 luglio 1936 della Biennale Teatro a Mario Pompei dellIspettora-
to del teatro relativa agli introiti delle rappresentazioni goldoniane. Nella relazione consuntiva
sugli spettacoli di prosa allaperto si segnala che i biglietti per la recita del 24 luglio delle Baruffe,
venduti a prezzi popolari di quindici lire per i primi posti e di dieci lire per i secondi, furono
esauriti in tre ore. Cfr. ASAC, Sezione teatro, a. 1936.
59. Gli allestimenti delle compagnie venete ricalcate sulle messe in scena simoniane furo-
no rappresentate nonostante i divieti dei dirigenti della Biennale. Cfr. la corrispondenza tra il
Conte Conestabile e Simoni nel settembre 1936 relativa allargomento, ASAC, Sezione teatro,
a. 1936.
60. Patan, Parla Pirandello, cit., p. 578.

302
LE REGIE GOLDONIANE DI RENATO SIMONI

lo deluse, come si evince da una lettera a Marta Abba,61 lo scrittore comment


entusiasta la messa in scena della commedia chioggiotta: E se fosse cos tutto
il teatro? Ma bisognerebbe che tutta la vita fosse sempre e fosse solo quella dei
buoni pescatori di Chioggia!.62
Simoni utilizz per gli spettacoli del 1936 un rigore filologico che spoglia-
va i testi delle linee farsesche e dei soggetti cucitigli addosso nel corso de-
gli anni. Nelle Baruffe egli dimostr che la pretesa monotonia delle liti era da
imputare ai comici che avevano perduto il ritmo originario: la commedia
molto pi viva, pi divertente quando sia sfrondata di tutte le sovrastrutture
che la bruttavano, osserv un critico.63 Il regista analizz ciascuna delle ba-
ruffe come una struttura musicale a s, cos che ognuna si distingueva per va-
riet di ritmo, tono e colore, con una tecnica simile alla variazione sul tema.
Tuttavia, questi spettacoli di Simoni non attuano una lettura drammaturgica
dialettica che scavi le psicologie dei personaggi goldoniani o le loro aspirazio-
ni. La sua regia non supera lo stereotipo del buon Paron Goldoni. I perso-
naggi goldoniani sono, in fondo, a dire dello stesso critico, gente dal cuore
eccellente, di bont spontanea e sonora; mentre le liti amorose non sono altro
che rusticamente tenere e quasi lagrimose, puntigli fino allultimo,64 finch
al ballo di una furlana si fa pace. A questa lettura pittoresca corrisponde unu-
dienza buona e mite, come quella che spunta dalle finestre di campo San Co-
smo, alla Giudecca, e che, in fondo, chiede solo di vivere in compagnia de Le
baruffe chiozzotte unora gioconda.65 Lo spettacolo inneggia, inoltre, allicona

61. La lettera del 16 luglio 1936 riportata in L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, a cura
di B. Ortolani, Milano, Mondadori, 1995, p. 1353.
62. Cfr. G. Patan, Renato Simoni e la Sicilia, La giara, iii, 1954, 2, p. 68. Alfredo Barbina,
invece, rileva come Pirandello, pur non misconoscendo il buon livello della rappresentazione,
liquidi la regia di Simoni con unironia tagliente. Lo stile del veronese doveva essere poco affine
alla ben pi tormentata estetica drammatica del Premio Nobel. Cfr. A. Barbina, E Pirandello:
quel bel mago veneziano del Goldoni, Ariel, viii, 1993, 2-3, pp. 221-227.
63. Zorzi, Il successo delle Baruffe chiozzotte date a Venezia con regia di Simoni, cit.
64. Simoni, Le baruffe chiozzotte, cit. A confermare questa visione populistica della comuni-
t chioggiotta sono le colorate canzoncine di Domenico Varagnolo interpretate dalla Lucietta
di Dal Monte. Nella prima la giovane guarda romantica e nostalgica il mare dalla finestra un
mare oggetto di contemplazione, piuttosto che luogo di lavoro faticoso e pericoloso : Titta-
Nane xe in tartana / che barufe col garbin / se lo ciape la matana / de sto tiempo berechin, / p
nol sente la campana, / el se perde fantolin. Nella seconda, Lucietta, appoggiata un po alla
balaustra del ponte, un po al petto del suo Titta-Nane (cos da Il gazzettino), canta: O Ciosa
del mio cuor, / ciosa mia bela / [] / Na vela che luntan / la toche el cielo / e svole via sul
mare / ciaro e lisso: / la sgionfe tuta el fi / dun venteselo / che spire su dal cuor / del mio no-
visso. Nota sulla fortuna, in C. Goldoni, Le baruffe chiozzotte, a cura di P. Vescovo, introd. di G.
Strehler, Venezia, Marsilio, 1993, p. 256 (Edizione nazionale delle Opere di Carlo Goldoni).
65. Palmieri, Le baruffe chiozzotte, cit.

303
ADELA GJATA

nazional-popolare di Goldoni: al culmine dei canti e della furlana finale, Isi-


doro si immobilizza sopra un piedistallo dietro il popolo festoso nellidentica
posa nella quale lo scultore Antonio Dal Zotto aveva immortalato in campo
San Bartolomeo lautore della riforma.66
Ritornano nei successivi spettacoli goldoniani di Simoni per la Biennale
Il bugiardo (campo San Trovaso, luglio 1937), Il campiello (campiello del Piovan,
luglio 1939) molti degli elementi stilistici riscontrati nel Ventaglio e nelle Ba-
ruffe: laccurata selezione di un complesso artistico di primordine, fondamen-
tale per la riuscita della messa in scena; la cura meticolosa dello spazio scenico
e della recitazione, entrambe dimpostazione realistica; la ricerca di un ritmo
che derivi dalla parola e dalle azioni sceniche; la valenza melodica rafforza-
ta dalle musiche e dai canti dal vivo. Gli allestimenti di Simoni vanno intesi
come un punto di intersezione tra la tradizione grandattoriale e le istanze di
cambiamento profondo della scena a livello artistico e produttivo verificatesi
dopo il secondo conflitto mondiale. Fondate su unidea testocentrica di stampo
damichiano, con una particolare attenzione alla ricerca filologica e allaccura-
tezza formale, quelle regie non giunsero a una rottura linguistica innovativa,
ma operarono la saldatura tra la parola e limmagine che sar uno dei capisaldi
della regia critica del dopoguerra.67
La parabola degli spettacoli veneziani di Simoni inizia a declinare attor-
no al 1940, anno della sua rottura con il Festival Internazionale del Teatro, a
causa di dissensi sul repertorio da mettere in scena. I mancati allestimenti di
Otello (1939) e Le nozze di Figaro (1940) indebolirono i rapporti del regista con
la Biennale.68 Si trattava di allestimenti dispendiosi che, in previsione di un
magro budget, il presidente della Biennale, Giuseppe Volpi di Misurata, pre-
fer sostituire con un programma autarchico,69 ossia goldoniano, costituito
da riprese degli spettacoli di Simoni.70 Il regista torn a Goldoni nel 1940 con

66. Si noti, a confronto, il finale delledizione di Strehler (1965) con la festa finale stra-
ziante e povera, con lo svolazzante Isidoro che si leva fuori dal quadro, al quale lui signorino
non appartiene. Cfr. E. Flaiano, Un Goldoni ripensato con la necessaria incertezza, Leuropeo,
24 gennaio 1965.
67. Sullargomento resta referenza primaria Meldolesi, Fondamenti, cit., passim.
68. Lo annuncia Guido Riva in una lettera a Giuseppe Volpi inviata da Roma il 24 genna-
io 1940: Caro Commendatore, comunicai a S.E. Simoni quanto mi avete detto sabato scorso
per telefono. Mi rispose che avrebbe atteso ancora qualche giorno le vostre decisioni. Non vi
nascondo per, in tutta confidenza, che se non si ottiene una risolvente nel pi breve tempo pos-
sibile ci troveremo di fronte a delle difficolt insormontabili, prima di tutte quella degli attori
che vanno a mano a mano impegnandosi, e lo stesso Simoni che sento disamorarsi di ora in ora
e che finir con il rifiutare la sua preziosissima collaborazione, ASAC, Sezione teatro, a. 1940.
69. Dattiloscritto di Giuseppe Volpi a Simoni (Venezia, 29 febbraio 1940), ivi.
70. In una lettera di Antonio Maraini al presidente Volpi del 22 marzo 1940 (Firenze) si

304
LE REGIE GOLDONIANE DI RENATO SIMONI

Le donne curiose: lo spettacolo debutt al teatro Alfieri di Torino il 3 novem-


bre. Fu poi replicato per il Festival del Teatro di Venezia il 14 dicembre 1946.
Siamo in presenza di un unicum nellesperienza registica goldoniana di Simo-
ni, non solo per lallestimento al chiuso, ma soprattutto perch per la prima
volta egli diresse un gruppo di interpreti alle prime armi (i giovani attori del-
la compagnia dellAccademia), prassi che recuperer in parte nel 1948 quando
sceglier come protagonisti per il suo ultimo spettacolo, Romeo e Giulietta, i
giovanissimi Giorgio De Lullo ed Edda Albertini.71
Ledizione del 1941 del Festival Internazionale del Teatro di Venezia perse la
vitalit e il respiro cosmopolita degli anni precedenti, conformandosi cultural-
mente al clima del patto dacciaio. La macchina festivaliera riprese le proprie
attivit nel 1947 con la direzione organizzativa di Guido Salvini e la consulenza
artistica di Simoni che ricopr nuovamente la carica di supervisore della pro-
grammazione nella Commissione teatro. Questa prima edizione del festival,
dopo la grande catastrofe, punt sul carattere internazionale delle opere, men-
tre gli spettacoli di Simoni I rusteghi e Limpresario delle Smirne rappresenta-
vano il ritorno alla tradizione goldoniana che aveva ancora tanti affezionati tra
il pubblico e gli operatori teatrali. Con I rusteghi Simoni abbandona i paesaggi
naturali dei campielli e dei rii veneziani, per entrare nelle abitazioni di que-
sti burberi per bene con le porte serae e i balconi inciodai (ii 5).72 Salvini
e Calvo avevano costruito ai Giardini della Biennale73 un vasto palcoscenico
smontabile, a piani scorrevoli e quindi a rapidi mutamenti di scena, mai visto
finora in Italia,74 che mostrava uno spazio tripartito con gli interni delle case
dei protagonisti e che veniva riproposto con pochi cambiamenti nellImpresario.
Simoni mantiene tuttavia lidentit di un regista-concertatore dei movimen-
ti, dei gesti e delle tecniche degli interpreti. Nei Rusteghi, oltre ai piacevolis-

legge: Subito mi sono occupato di quanto in questultima mi diceva circa lopportunit di pren-
dere contatto con Simoni. A tale scopo ho avuto una lunga conversazione con Baradel che trovai
oggi di passaggio da Firenze, poich volevo aver pi precise informazioni sullultimo colloquio.
Pare che in essa Simoni abbia riconfermato in maniera ancora pi viva che nella sua lettera a te il
proposito di non voler ripresentarsi con Il campiello e di non mettere in scena altre commedie
goldoniane. Ha anzi aggiunto che, se qualcuno di noi, il Presidente naturalmente eccettuato,
si recasse a Milano per vederlo in proposito, non accetterebbe nemmeno di discuterne (ivi).
71. Cfr., per esempio, G.C. Castello, Romeo e Giulietta, Sipario, iii, 1948, 27, pp. 4-5.
72. C. Goldoni, I rusteghi, a cura di G. Davico Bonino, Torino, Einaudi, 1970, p. 60.
73. Lidea di costruire una sala permanente al fine di contenere le spese degli allestimenti
allaperto era gi stata avanzata da Nicola De Pirro in una riunione della Commissione delle
Biennale del 21 luglio 1937. Cfr. ASAC, Sezione teatro, a. 1937.
74. E. Possenti, Festival del teatro a Venezia. Due commedie di Goldoni con la regia di Simoni, Il
nuovo Corriere della Sera, 13 agosto 1947, poi pubblicato con il titolo I rusteghi e Limpresario
delle Smirne, Il dramma, xxiii, n.s., 1947, 42-44, p. 60.

305
ADELA GJATA

simi Cesco Baseggio, Camillo Pilotto e Giulio Stival, in gara di bravura 75


rispettivamente nei panni dei mercanti Lunardo, Simon e Maurizio , partico-
larmente gradito fu il terzetto femminile: una furbesca, maliziosa e brillante-
mente petulante Elsa Merlini,76 Leony Leon Bert dalla comicit sapidamente
varia77 nella parte di Margarita e Wanda Baldanello, una briosa Marina mo-
glie di Simon. I personaggi si caratterizzarono per gesti e atteggiamenti quali
tic nervosi o comiche fissazioni, accompagnati da una dizione persuasiva che
inseriva la messa in scena nella prospettiva di un realismo psicologico tuttal-
tro che esasperato. Del lavoro di regia ne I rusteghi viene sottolineata lefficace
armonizzazione della componente visiva e sonora:

Simoni si posto ancora una volta di fronte ad un testo a lui caro come un orche-
stratore: un orchestratore vigile quantaltro mai al giuoco periglioso e cangiante dei
contrappunti, puntuale nel distendere e annodare il tessuto musicalmente complesso
e pur cristallino del dialogo, nel graduare lintrico fitto e vario delle voci. Ad una co-
s rigorosa strumentazione ha fatto riscontro unaltrettanta esatta armonizzazione del
mobile giuoco tecnico delle figure lungo larco della scena disegnata da Aldo Calvo.
Or pi larga e pacata, or pi stretta e concitata ed incalzante (si pensi al calcolatissi-
mo ed esemplare finale del secondatto) lorchestrazione visiva si fusa ed integrata
con quella vocale, a creare uno spettacolo lineare e vivido, dal quale I rusteghi sono
emersi in tutta la loro essenziale, intima, genuina teatralit.78

Anche in questo caso lapproccio testocentrico non concede a Simoni unin-


terpretazione diversa da quello che DAmico chiamava lo spirito intimo della
parola, che sul piano strutturale coincide con unaccurata ricostruzione dellam-
biente. La messa in scena predilige una chiave di lettura musicale79 fondata
sugli accenti, i toni, le pause, i respiri e gli accordi di basso, di contralto e di
soprano, linea stilistica che genera uno spettacolo il cui clima generale si ri-
conosce in aggettivi quali dilettoso, ironico, ilare, pittoresco, argutamente
vivo e allegramente vitale.80
La matrice musicale prevale anche nellImpresario delle Smirne nonostante
Simoni avesse preferito la versione in prosa del testo. Il regista conserva il lin-

75. Ibid.
76. Ibid.
77. G.C. Castello, Palcoscenici di Venezia. I rusteghi e Limpresario delle Smirne di Goldoni,
Sipario, ii, 1947, 16-17, p. 79.
78. Ibid.
79. Fautore di questa chiave di lettura in sede letteraria Attilio Momigliano che ritiene
i dialoghi de I rusteghi tramati, delicatissimamente, sopra una linea di opera buffa. Storia della
letteratura italiana (1934), Milano, Principato, 198020, p. 338.
80. Possenti, Festival del teatro a Venezia. Due commedie di Goldoni con la regia di Simoni, cit.

306
LE REGIE GOLDONIANE DI RENATO SIMONI

guaggio dialettale delle tre virtuose, seguendo probabilmente il suggerimen-


to di DAmico.81 Se la Tognina di Andreina Paul fu autenticamente veneziana
nelle battute riscritte per loccasione da Domenico Varagnolo, il lessico della
Annina (Rina Morelli) e quello di Lucrezia la furba e civettuola soprano di
Sarah Ferrati si caratterizzarono rispettivamente per pittoresche espressioni
bolognesi e per uno spiccato accento toscano.82 Cadenze napoletane ravviva-
no i personaggi del poeta Maccario (Luigi Almirante) e del soprano Carluccio,
detto il Cruscarello, interpretato da Vittorio De Sica; toni levantini colorirono
invece la vocalit dellimpresario turco di Paolo Stoppa.
Goldoni mai mi apparso cos splendidamente terso e cos miracolosa-
mente giovane, scriveva Castello nella recensione agli spettacoli, individuando
i meriti maggiori della regia nel fresco disegno dei personaggi e nella risco-
perta di un testo minore di Goldoni come Limpresario delle Smirne,83 confina-
to da molti nella categoria di una commedia onesta e tipica con personaggi
che non superano i limiti della macchietta.84 Il ridotto allestimento di Si-
moni del 1947 affrancato dalla tradizione spuria dei soggetti posticci, dalle
leziosit e ostentazioni verbali accumulatisi nel corso degli anni dunque la
prima rilevante riscoperta novecentesca della commedia che verr consacra-
ta dieci anni dopo nella celebre messa in scena di Luchino Visconti che scelse
come protagonisti due interpreti simoniani: Paolo Stoppa (Al) e Rina Mo-
relli (la virtuosa Annina).85 A Simoni va riconosciuto il merito di avere crea-
to i presupposti per una lettura diversa della drammaturgia goldoniana poi
portata ai massimi livelli da Strehler e Visconti in piena indipendenza dagli
stili e dalle maniere del passato anche prossimo. Pochi mesi dopo il successo
dellImpresario, Simoni aveva pensato di valorizzare ulteriormente il testo con
unampliata versione scenica destinata alle ribalte internazionali, progetto in-
terrotto dalla sua repentina scomparsa.86

81. Siccome poi il testo si presta, potresti inventar i dialetti per ciascun personaggio, limi-
tando i veneti al minimo possibile, scriveva Silvio dAmico a Simoni il 5 luglio 1947; Milano,
Museo teatrale alla Scala, Biblioteca Livia Simoni, CA 1756.
82. Programma di sala de Limpresario delle Smirne. ASAC, Sezione teatro, a. 1947. Cfr. anche
Possenti, I rusteghi e Limpresario delle Smirne, cit., p. 61.
83. Castello, Palcoscenici di Venezia, cit., pp. 78-80.
84. Cfr. il comunicato stampa della Biennale Teatro per lanno 1947. ASAC, Sezione teatro,
a. 1947.
85. Cfr. e.g. L. Zorzi, Una regia di Visconti (Limpresario delle Smirne) (1958), ora in Id.,
Lattore, la commedia, il drammaturgo, Torino, Einaudi, 1990, pp. 290-292; S. Mazzoni, Ludovico
Zorzi. Profilo di uno studioso inquieto, Drammaturgia, xi / n.s. 1, 2014, pp. 39-40.
86. Da una lettera manoscritta che Guido Salvini inviava a Elio Zorzi il 25 febbraio 1948
si apprende che Simoni sarebbe lietissimo di rimettere in scena LImpresario delle Smirne, ri-
veduto ampliato e corretto, qualora noi lo portassimo allestero, cosa che credo indispensabile

307
ADELA GJATA

Limpresario, sul quale Simoni oper un lavoro drammaturgico di adattamen-


to e di riscrittura i cinque atti del testo furono condensati in tre quadri della
durata di unora fu concepito come una sorta di saggio teatrale, che doveva
affiancare lo spettacolo principale I rusteghi, un divertimento scenico dai to-
ni accesi, ironico e divertente, grazie soprattutto al disegno caricaturale87
dei personaggi: le virtuose bizzose e impertinenti, il macchinoso e furbo sen-
sale Nibio interpretato da Antonio Crast, il pi veneto degli interpreti , il
nobile e onesto amante delle arti, il Conte Lasca (Camillo Pilotto), lesotico
mercante straniero sensibile pi alle grazie femminili che alla musica. Simoni
lesse il testo in chiave ironica mettendo in luce lequilibrio fra ritratto di co-
stume dellambiente e il gusto della comicit dei cantanti. Nessuna dispera-
zione o malinconia esistenziale caratterizza i personaggi:

Ed ecco la cafoneria fatua e meschina del Cruscarello di De Sica, ecco il variega-


to intrico delle rivalit femminili, dallestro esuberante della Ferrati a quello sotti-
le della Morelli a quello puntiglioso della Paul, ecco la brusca e divertita comicit
dello Stoppa che era il turco, ecco la precisa e succosa evidenza dei tipi dal Pilotto e
dallAlmirante, dal [Adolfo] Celi [Pasqualino, tenore amico di Tognina] e dal Crast.88

Il duetto Rusteghi-Impresario fu lultimo intervento di Simoni al Festival


veneziano. Una collaborazione a tratti travagliata a causa di unorganizzazio-
ne centralizzata e conservatrice che imped al regista di sperimentare repertori
diversi. In una lettera del febbraio 1948 a Elio Zorzi, capo ufficio stampa del
Festival, Salvini rivelava come il regista veronese non intendesse continuare la
cooperazione con la Biennale poich la critica a Venezia ha mostrato una to-
tale ignoranza sui problemi del teatro goldoniano.89 Gli spettacoli veneziani
del 1947 conclusero lesperienza goldoniana di Simoni; Romeo e Giulietta al-
lestito lanno dopo al teatro romano di Verona fu la sua ultima regia teatrale.

perch De Sica ha in Francia e in Inghilterra un grandissimo nome. ASAC, Sezione teatro, a.


1948.
87. Castello, Palcoscenici di Venezia, cit., p. 79.
88. Ivi, p. 80.
89. Lettera manoscritta di Guido Salvini a Elio Zorzi del 25 febbraio 1948. ASAC, Sezione
teatro, a. 1948.

308
SUMMARIES

SAGGI

Claudio Longhi
Per Luca Ronconi (1933-2015): quasi una leon de tnbres

The recent death of Luca Ronconi (February 21st, 2015) became the occasion to re-
trace his artistic path, of a forever restless adolescent, and to understand better his
typical traits. Among projects that will remain forever unfulfilled, titanic failures and
visionary shows, the keystone of the poetics of Ronconi turns out to be an inexhaust-
ible search of the infinite, in a dialectic between the exceeding of the limit and the
strenuous comparison with its inescapable necessity. The theatre of Ronconi, in its
giddy pursuit of what has no end, confesses its most genuine nature: an anatomi-
cal theatre of death.
Keywords: Luca Ronconi, Stage direction, Drama, Acting, Anatomical theatre.

Sara Mamone
Drammaturgia di macchine nel teatro granducale fiorentino. Il teatro degli Uffizi da
Buontalenti ai Parigi

The essay covers the great Florentine representations of XVIth and XVIIth century,
finding a common denominator (beyond the self-celebratory value) in the virtuos-
ity of the machinery, which soon exceeds the textual dramaturgy. This one, in fact,
serves a peculiar dramaturgy of the machines, which become mythopoetic, bend-
ing the poetic invention to their own needs. Through a precise and detailed series
of comparisons between the various episodes, here the history of the Medicis spec-
tacle is examined following a possible craft and engineering interpretation, precisely
showing how the reutilization of the technological heritage conditioned the entirety
of the spectacle.
Keywords: Dramaturgy, Machinery, Teatro degli Uffizi.

Anna Maria Testaverde


Lavventura del teatro granducale degli Uffizi (1586-1637)

The essay reconstructs the chronological details of the construction and disposal of
the Teatro degli Uffizi. An extensive unpublished documentation, and a newly dis-
covered plan of the theatre in the Archivio di Stato di Modena, bring to light hitherto

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 309-315


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18382
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
SUMMARIES

unknown persons and situations. The study anticipates reflections and proposals for a
structural solution that would modify the model proposed in 1975 by Ludovico Zorzi.
As a foundation of these new hypotheses, the essay offers a re-reading of the Vitruvi-
uss theories on which the florentine highly specialised technical skills were based on.
Keywords: Teatro degli Uffizi, Giorgio Vasari, Bernardo Buontalenti.

Caterina Pagnini
Anna di Danimarca e i Queens Masques (1604-1611)

This essay offers a preliminary portrait of Anna of Denmark, queen of Scotland from
1589 for her marriage with James VI and queen of England, Scotland and Ireland for
her husbands accession to the throne as James I in 1603. Unjustly described by the
anti-jacobean storiography as a vague character, changeable and superficial, extremely
frivolous because of her interest in the court revels, Anna was instead an emblem-
atic and eclectic personality, both in politics and cultural activity, expecially for her
patronage of arts, artists and spectacle. Patron of painters, musicians and actors, con-
noisseurs of the Italian Renaissance architecture, Anna was the effective promoter
of the english court spectacle, creating a series of yearly events which, from 1604 to
1611, signed the ultimate codification of the English masque.
Keywords: English court spectacle, Masque, Anna of Denmark, Inigo Jones.

Franoise Siguret
La lumire et le temps sur la scne baroque : Poetique & Pratique

Time: Aristotle, in the Poetics, recommends the playwright to confine his tragedy
within two revolutions of the sun; the concept refers to the light perception, to the
fact that greek drama is acted in the open air. The messengers and the chorus repre-
sented on the stage, in the present time, what happened outside of it. In the age of
the French classical theatre, the chronological sequence of the action had to conform
to the laws of the reason: the so-called rule of the twenty-four hours became an in-
disputable rule of the action. A time exactly measured, substituting the time of the
light, cyclical and mythical. In Italy, pastorals, mythological melodramas and all that
belonged to the court entertainments (ballets, operas, tournaments) conformed to
a cyclical time in which the four seasons constituted the scenery, linking life to the
four liturgical seasons and to the four parts of the day, from noon to midnight (cfr.
Endymion and the Ballet de la Nuit). Light: Need to light up the indoor playhouse for
practical and moral issues. Italian craftsmen implement the technical tools; a certain
difference between primary light (intended to light up the stage and the auditorium)
and the lumi (the supplementary lighting related to a specific performance). Buontal-
entis lighting devices (sun, moon), rainbows, divine and princely splendour will en-

310
SUMMARIES

chant the spectators. France will discover these stagecraft effects with the Calandria
(1548), without subsequent developments. Afterwards, Corneille will be fascinated
by the baroque charm (Mde, 1639 and Andromde, 1650). In the second half of the
XVIIth century, while machinery invades opera and tragedy in music, Racine refuses
anything intended to deceive the eye, though creates a lighting that may be listened
(Britannicus). The Allegories (the other discourse) convey meanings on the baroque
stage through the perpetual slow motion of the gods and Time, till the final glory
of the Prince: Cosimo = cosmos. Galileo and Vespucci, medicean glories, explorers of
the theatre of the world, knew that History finds its own sense only in the perpetual
motion of the earth around the sun. Time is nothing but a Lights accident.
Keywords: Light, Time, Poetics, Allegories, History.

Paologiovanni Maione
Il possesso della scena: gente di teatro in musica tra Sei e Settecento

The present article investigates the training of female stage practitioners and their
versatility in performing different genres. Through select case studies such as those
of Giulia de Caro and Teresa Gandini it aims to trace the careers of actresses seek-
ing to create an identity in the stage industry. Several sources describe their still
unknown professional development, focusing both on parts and roles and on their
performing skills (singing, dance, prose). As members of a society and a stage indus-
try which still defy a thorough illustration, they reveal complex personalities that go
far beyond brief and concise biographies. Needless to say, they interact with multi-
tasking colleagues, as can be seen in the troupes of Domenico Antonio Di Fiore and
Gabriele Costantini, whose actors were eager to work on different stages, showing
how varied and intriguing their specialization was.
Keywords: Italian Opera, Singers, Naples, Giulia de Caro, Teresa Gandini.

Anna Scannapieco
I numeri delle comiche italiane del Settecento. Primi appunti

Preamble and stimulus to more systematic investigations, the paper proposes an ini-
tial review of the actresses demography in Italy in the 18th century. Beyond its sig-
nificant quantitative impact, the female component is significant above all because
it attests the persistence of that mixture of different performative languages which is
the distinctive feature of the Commedia dellArte, and that not yet overwhelmed
by the sectoral progress of professional skills , is still visible in the 18th century.
From a preliminary anagraphic survey, and through the sieve of exemplary events
(like that of many actresses, as the Medebach and Marliani, Passalacqua and Rosina
Costa, Teresa Gandini; Maria Donati, Antonia DArbes, Teodora Ricci and her sis-

311
SUMMARIES

ters, Faustina Tesi), it emerges clearly the phenomenon of actresses who build their
professionalism even as acrobats, dancers, singers and even businesswomen: this phe-
nomenon is a particularly eloquent, when compared to a historical and legal context
in which the capacity deficit (that excluded women from the public sphere and from
holding officia and munera) had the full force of law and in which the status of owner
collided with that of minus habens. In short, new legal and artistic identities are as-
serting on the Italian scene of 18th century.
Keywords: Commedia dellArte, 18th century actresses and multimedia, Carlo Gold-
oni, Womens artistic and juridical identities in the 18th century.

Franco Perrelli
Il mulo di Lessing

In Hamburg Dramaturgy, the lengthy parallel analysis that Lessing devoted to the trag-
edies of Maffei and Voltaire about the figure of Merope, led him to an Enlighten-
ment re-reading of Aristotle and to an hypothetical reconstruction of Euripides
Cresphontes. In this way, the German critic was able to underline Euripides attitude
to a technique of preliminary revelation of the characters and the nodal points of the
plot: on one side, it can reduce the suspense; on the other, it avoids the most superfi-
cial coups de thtre, shifting the tragic effect from what to how it occurs. Contest-
ing the position of Abb dAubignac and supporting Diderot, Lessing realized that a
considerable part of this Euripidean technique is based on the remixing of diegesis
and dramatic mimesis: it is an uncommon hybrid of genres that appears efficacious
and extremely useful (just like the intersection from which is generated a mule). Less-
ings analysis had an important and documented influence on the modern theatre:
here, we can find a Sophoclean approach (Ibsen) and an Euripidean approach to the
drama. In particular, the Euripidean line is developed in Strindbergs epic dramatur-
gy and, in all its evidence, in Brecht.
Keywords: Drama, Mimesis, Diegesis.

Alessandro Tinterri
Silvio dAmico e la nascita del Burcardo

Silvio dAmico played a central role in the birth and development of the Theatrical
Collection of the Italian Society of Authors and Publishers (S.I.A.E.), named Bur-
cardo Library and Theatre Collection, and in the acquisition of Luigi Rasis Theat-
rical Collection.
Keywords: Silvio dAmico, Burcardo Library and Theatre Collection, Theatrical
heritage, Luigi Rasi.

312
SUMMARIES

DOCUMENTI E TESTIMONIANZE

Teresa Megale
Eleonora Duse. Nuovi frammenti autografi di un lungo percorso teatrale

This essay offers the reading of several Eleonora Duses unpublished works, written
during a period of time between 1883 and 1921. In these writings a variously as-
sorted network of correspondents (playwrighters, journalists, actors and antiquar-
ians) meets. The autographs (most of them addressed to Achille Torelli) enrich the
sources about the study of the actress. In each of them, the personal life of Eleonora
Duse intersects with the theatrical profession until her biography merges with her,
never satisfied, projects.
Keyword: Eleonora Duse, Primary Sources, History of actors, Dramaturgy, Biogra-
phy, History of the contemporary theatre.

Co2. Intervista a Giorgio Battistelli


a cura di Anna Menichetti

On the 16th of June 2015, the premiere of the opera CO2 by Giorgio Battistelli, based
on a libretto by Ian Burton and directed by Robert Carsen, opened at the Teatro al-
la Scala, meeting with great acclaim from the critics and public. After a long period
of preparatory work and many changes in the production, the opera coincided with
EXPO 2015, addressing, as it does, environmental issues and deliberately broaching
exceptionally topical issues in economic, social and political thinking. Highlighting
a subject as urgent as the pollution of the Earth in an operatic setting achieved a dou-
ble effect: it created an opera which functions as a means of reflection on contempo-
rary reality this is already evident in the title, a chemical formula repeated so often
nowadays that it even appears in the recent papal encyclical and produced sung
theatre with no frills which is able to express a universal truth. These elements are at
the heart of the operas originality: CO2 can rightly be considered the opera of the
New Millennium. During the conversation, which took place in Rome on the 30th
of March 2015, Giorgio Battistelli talked with great enthusiasm about how important
it is to make music theatre an expression of social commitment. When he speaks on
this subject, you can perceive his close attention for the theatrical word, for the mu-
sicality of his work and for its ethical and ideological content which, however, never
falls into the trap of rhetoric. The sincerity and character of the author shine through
the interview, as do his writing methods, and in the generous and forthcoming dia-
logue we get a faithful picture of his painstaking creative process.
Keywords: Giorgio Battistelli, CO2 , Teatro alla Scala.

313
SUMMARIES

RICERCHE IN CORSO

Teresa Ferrer Valls


Il punto sul mondo degli attori del Siglo de Oro

In Spain exists a rich documentary and bibliographic patrimony about the activities
of players and acting companies in the Golden Century. This essay offers an update
historiographic overview and highlights the progress allowed by the new technolo-
gies and by the publishing of databases containing relevant research tools concern-
ing the stage practice.
Keywords: Spanish theatre, Golden Century, Actors.

Francesca Simoncini
Le prime attrici della compagnia Reale Sarda nel database AMAtI

The section is dedicated to the profiles of three important actresses active in the first
half of the 19th century: Carlotta Marchionni (1796-1861), Amalia Bettini (1809-
1894), Antonietta Robotti (1817-1864).

Francesca Simoncini-Antonio Tacchi


Carlotta Marchionni

Born into an acting family, she began her career in companies in Tuscany. She gained
her first leading actress role in 1811 in the troupe run by her mother, Elisabetta, and by
Antonio Belloni, Carlo Calamari and Ferdinando Meraviglia. In 1823 she became the
leading actress of the Compagnia Reale Sarda (The Royal Sardinian Company). It is her
ability to harmonise her craft, her business sense and the new theories on acting which
creates the quality that leads her to achieve a prime position in the history of Italian theatre.
Keywords: Biography, Actresses, Repertory, Performances.

Daniela Sar
Amalia Bettini

Amorosa, then leading actress, the most appreciated and sought after actress of the
1830s. She had an intense and longstanding relationship with the poet Giuseppe Gio-
achino Belli. In the latter years of her career she performed in the Compagnia Reale
Sarda (The Royal Sardinian Company).
Keywords: Biography, Actresses, Repertory, Performances.

314
SUMMARIES

Emanuela Agostini
Antonietta Robotti

As one of the most important leading actresses of the 19th century, she performed in
the Ducale di Parma Company (1839-1842) and for a whole decade (1842-1853) in
the Compagnia Reale Sarda (The Royal Sardinian Company). After 1853 she found-
ed and directed with her husband Luigi their own companies.
Keywords: Biography, Actresses, Repertory, Performances.

INDIZI DI PERCORSO E PROGETTI

Gianluca Stefani
Sebastiano Ricci impresario in angustie a Venezia: i guai della stagione 1718-1719 al
SantAngelo

Sebastiano Ricci was not only one of the greatest painters of the 18th century, but an
active impresario in the Venetian opera houses at the beginning of the early 18th centu-
ry.Thanks to the rediscovery of some notarial and judicial documents in the Archivio di
Stato of Venice, we can reconstruct thecircumstances under which he becamemanager
of the Teatro di SantAngelo in the season 1718-1719, a season marked by his succession
to the previous impresario Antonio Moretti (known as Modotto) and by his legal dispute
with the violinists Giovan Battista and Ludovico Madonis at the tribunal del Forestier.
Keywords: Sebastiano Ricci, Venice, Teatro di santAngelo, Antonio Moretti detto
Modotto, Madonis (violinists).

Adela Gjata
Le regie goldoniane di Renato Simoni (1936-1947)

The study aims to reconstruct Renato Simonis stage directing investigated through
the analysis of the outdoor Goldonian performances set up for the Festival of Venice
in the years 1936-1947. These exceptional events employed top level dramatic artists.
Simoni was one of the first directors who responsibly exercises his professional func-
tion, a profession that struggled to settle in the national theater system. His directing,
built on an idea centred on the text, according to Silvio dAmicos teaching, is based
on a very accurate playwriting, that aims to revalue the Italian drama in its best act-
ing tradition. Simoni never reached a tradition-breaking linguistic innovation, but
achieved the connection between the word and the image, that will be a cornerstone
of the critical stage directing after World War II.
Keywords: Renato Simoni, Carlo Goldoni, Direction, Theater Festival, Biennale
of Venice.

315
GLI AUTORI

Emanuela Agostini dottore di ricerca tacolo del Seicento, sul teatro di Carlo
in Storia dello spettacolo presso lUniver- Goldoni, sulla drammaturgia dellOtto-
sit di Firenze (tutor: Siro Ferrone).Dal cento e sul teatro contemporaneo. Dirige
2006 fa parte della redazione dellArchi- lArchivio Multimediale degli Attori
vio Multimediale degli Attori Italiani. Italiani, la collana Storia dello spetta-
Tra i suoi ambiti di interesse si segnala- colo, nonch, con Stefano Mazzoni,
no la Commedia dellArte e le biografie la rivista annuale cartacea e digitale
di attrici e attori italiani dellOtto e del Drammaturgia e il portale telematico
Novecento. Ha pubblicato il volume Il dattualit drammaturgia.fupress.net. Tra
Bergamasco in commedia. La tradizione di i suoi volumi pi recenti: La Commedia
Zanni nel teatro dantico regime(2012). dellArte. Attrici e attori italiani in Europa
(XVI-XVIII secolo) (2014); La vita e il tea-
Teresa Ferrer Valls professore ordina- tro di Carlo Goldoni (2011); Attori mercanti
rio di Letteratura spagnola nellUniversi- corsari. La Commedia dellArte in Europa tra
t di Valencia. Si occupa principalmente Cinque e Seicento (20112, 1993); Arlecchino.
del teatro spagnolo dei Secoli dOro. Ha Vita e avventure di Tristano Martinelli attore
pubblicato saggi sul mecenatismo teatra- (2006; ed. francese 2008).
le, sui rapporti tra fasto e teatro di corte,
sugli attori e le compagnie teatrali dei Adela Gjata dottore di ricerca in Storia
secoli XVI e XVII, sulle drammaturghe dello spettacolo presso lUniversit di
barocche e su Lope de Vega, Luis Vlez Firenze (tutor: Renzo Guardenti). Ha
de Guevara, Antonio Mira de Amescua condotto studi sulle culture teatrali del
e Cristbal de Virus. Per quindici anni Novecento. In corso di pubblicazione il
ha diretto il progetto di ricerca che ha da- volume: Il grande eclettico. Renato Simoni nel
to origine al grande database Diccionario teatro italiano del primo Novecento, vincito-
biogrfico de actores del teatro clsico espaol. re del Premio Ricerca Citt di Firenze
DICAT (2008). Attualmente il grup- 2014.
po diretto da Teresa Ferrer impegna-
to nel progetto CATCOM. Las comedias Claudio Longhi, docente di Storia e
y sus representantes. Base de datos de come- istituzioni di regia presso lUniversit di
dias mencionadas en la documentacin teatral Bologna, ha pubblicato, tra laltro: Marisa
(1540-1700). Fabbri: lungo viaggio attraverso il teatro di re-
gia (2010); LOrlando furioso di Ariosto-
Siro Ferrone, professore ordinario di Sanguineti per Luca Ronconi (2006); La
Storia del teatro e dello spettacolo presso drammaturgia del Novecento tra romanzo e
lUniversit di Firenze, autore di libri montaggio (1999). Dal 2008 collabora al
sulla Commedia dellArte e sullo spet- progetto Archivio Multimediale degli

DRAMMATURGIA, ISSN 1122-9365, Anno XII / n.s. 2 - 2015, pp. 317-321


Web: www.fupress.net/index.php/drammaturgia DOI: 10.13128/Drammaturgia-18383
ISSN 1122-9365 (print), ISSN 2283-5644 (online), Firenze University Press
2015 Author(s). This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License
(CC-BY-4.0), which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original
author and source are credited.
GLI AUTORI

Attori Italiani. Al lavoro di ricerca affian- (2003); Il teatro nella Firenze medicea (19912,
ca limpegno teatrale attivo: dal 1995 al 1981); Firenze e Parigi, due capitali dello
2002 stato assistente di Luca Ronconi spettacolo per una regina: Maria de Medici
e dal 1999 ha iniziato a firmare in pro- (19882, ed. francese 1990).
prio la regia di spettacoli per i maggiori
teatri italiani. Stefano Mazzoni, docente di Storia del
teatro e dello spettacolo e Storia del tea-
Paologiovanni Maione docente di tro antico presso lUniversit di Firenze,
Storia della musica presso il Conservatorio specialista della drammaturgia e delli-
San Pietro a Majella di Napoli, ricercatore conologia degli spazi del teatro antico
dellIstituto italiano per gli Studi filoso- e moderno in occidente edi storiogra-
fici di Napoli, consulente per le attivi- fia teatrale. Dirige, con Siro Ferrone,
t musicologiche della Fondazione Piet la rivista annuale cartacea e digitale
de Turchini-Centro di musica antica di Drammaturgia e il portale telemati-
Napoli, membro del comitato scientifi- co dattualit drammaturgia.fupress.net.
co della Fondazione Pergolesi-Spontini responsabile della sezione Scena della
di Jesi e del Da Ponte Research Center rivista digitale Dionysus ex Machina.
di Vienna. Collabora con vari gruppi Tra le sue pubblicazioni: Ludovico Zorzi.
di musica barocca. Ha collaborato con Profilo di uno studioso inquieto (2014);
la Societ italiana di musicologia e at- LOlimpico di Vicenza: un teatro e la sua
tualmente nel comitato consultivo del perpetua memoria (20102, 1998); Pano-
settore convegni. Ha pubblicato diversi rama di Pompei: storia dello spettacolo e mon-
volumi e suoi saggi sono apparsi in pre- do antico (2008); Atlante iconografico. Spazi
stigiose riviste italiane e straniere e in li- e forme dello spettacolo in occidente dal mondo
bri miscellanei. antico a Wagner (20084, 2003); La fabbrica
del Goldoni. Architettura e cultura teatrale
Sara Mamone, professore ordinario di a Livorno (1658-1847) (1989); Il teatro di
Storia del teatro e dello spettacolo presso Sabbioneta (1985).
lUniversit di Firenze, si occupata in
particolare della civilt teatrale fiorentina Teresa Megale professore di Storia del
e dei rapporti tra questa e la Francia nei teatro e dello spettacolo presso lUniver-
secoli XVI-XVII. Tra i suoi altri campi sit di Firenze. Tra i campi privilegiati
dinteresse il rapporto fra arte figurativa delle sue ricerche: la Commedia dellAr-
e arti performative e quello tra mecenati te, la storia degli attori, la drammatur-
e performers. Tra i suoi lavori: Mattias de gia italiana tra Seicento e Novecento.
Medici serenissimo, vero mecenate dei virtuo- Suo interesse scientifico preminente la
si. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei. civilt teatrale napoletana studiata nelle
Carteggio di Mattias de Medici (1629-1667) manifestazioni di et moderna e contem-
(2013); Serenissimi fratelli principi impresa- poranea. Nel 2006 ha fondato Binario di
ri. Notizie di spettacolo nei carteggi medi- scambio, compagnia teatrale dellAteneo
cei. Carteggi di Giovan Carlo e di Desiderio di Firenze, che tuttora dirige. Fa parte
Montemagni suo segretario (1628-1664) di Drammaturgia sin dalla sua nasci-
(2003); Di, semidei, uomini. Lo spettacolo ta, nel 1994. Tra le sue pubblicazioni:
fiorentino fra neoplatonismo e realt borghese Mirandolina e le sue interpreti. Attrici italiane

318
GLI AUTORI

per La locandiera di Goldoni (2008) e le direttore della rivista Mimesis Journal


edizioni del Teatro di Manlio Santanelli e direttore delle collane Biblioteca del-
(2005) e de Il Tedeschino di Bernardino lo spettacolo nordico, Visioni teatrali e
Ricci (1995). Studio DAMS. Fra le sue pubblicazioni
pi recenti: Poetiche e teorie del teatro (2015);
Anna Menichetti si laureata in Strindberg litaliano (2015); Storia della sce-
Drammaturgia musicale e si diplo- nografia (20132, 2002); Ludvig Josephson e
mata in pianoforte. Ha conseguito una lEuropa teatrale (2012); Strindberg: la scrit-
Matrise in Etnomusicologia a Nanterre tura e la scena (2009); I maestri della ricerca
(Paris x) sul teatro del sud est asiatico teatrale. Il Living, Grotowski, Barba e Brook
(Malaysia) e il dottorato in Storia dello (2007); La seconda creazione. Fondamenti
spettacolo allUniversit di Firenze (tu- della regia teatrale (2005); Echi nordici di
tor: Maurizio Agamennone). Dal 1982 grandi attori italiani (2004); William Bloch.
cura programmi di musica, spettacolo e La regia e la musica della vita (2001).
arte per RAI Radio TRE e dal 1989 al
2005 ha condotto le dirette radiofoniche Daniela Sar dottore di ricerca in
dal teatro alla Scala di Milano. docente Storia dello spettacolo presso lUniversi-
di Musicologia sistematica presso il con- t di Firenze (tutor: Sara Mamone). Tra
servatorio Luigi Cherubini di Firenze. il 2006 e il 2014 ha collaborato con va-
rie biografie allArchivio Multimediale
Caterina Pagnini dottore di ricerca degli Attori Italiani. Tra i suoi ambiti di
in Storia dello spettacolo presso lUni- interesse si segnala il teatro cortigiano
versit di Firenze (tutor: Sara Mamone). e accademico del Seicento italiano. Ha
Attualmente docente di Storia della pubblicato saggi sul teatro mediceo.
danza e del mimo presso il medesimo in fase di elaborazione un volume dedi-
Ateneo. specializzata nella storia del cato al periodo seicentesco del teatro del
teatro e della danza di Antico regime. Cocomero di Firenze.
Fa parte del comitato direttivo della ri-
vista Drammaturgia. Tra le sue pubbli- Anna Scannapieco insegna Storia del-
cazioni: Il teatro del Cocomero dai Medici ai la drammaturgia e Filologia dei testi te-
Lorena (Firenze 1701-1748) (in corso di atrali presso lUniversit di Padova.
stampa); Costantino de Servi, architetto- membro del Comitato esecutivo dellE-
scenografo fiorentino alla corte dInghilterra dizione nazionale delle opere di Carlo
(1611-1615) (2006). Goldoni (1993-) e del comitato diretti-
vo delle riviste Studi goldoniani n.s. e
Franco Perrelli professore ordina- Drammaturgia n.s. Specializzata nella
rio di Discipline dello spettacolo pres- filologia dei testi teatrali, con particola-
so lUniversit di Torino. Specialista del re riferimento alla tradizione di quelli
teatro scandinavo e contemporaneo, dal settecenteschi, e nella ricostruzione dei
2002 nelleditorial board della rivista contesti storico-spettacolari di riferimen-
Ibsenian Studies e, dal 2004, ha co- to, annovera, tra le sue ultime pubblica-
diretto North West Passage, annuario zioni, ledizione critica delle prime due
del Centre for Northern Performing Arts Opere teatralidi Salvestro cartaio, detto Il
Studies dellUniversit di Torino. con- Fumoso (2016) e quelle delRagionamento

319
GLI AUTORI

ingenuoe di altri scritti teorici di Carlo di pubblicazione il volume: Sebastiano


Gozzi (2013). Ricci impresario dopera a Venezia nel primo
Settecento, vincitore del Premio Ricerca
Franoise Siguret stata una pioniera Citt di Firenze 2014.
dellinsegnamento di Storia dello spet-
tacolo, cos come degli studi sulla reto- Antonio Tacchi (1961-2014) ha stu-
rica dei linguaggi testuali e figurativi, al diato attrici e attori italiani tra Sette
Dpartement dtudes Franaises dellU- e Ottocento. Con le sue r icerche,
niversit de Montral (Canada). Tra le sue nellambito del dottorato in Storia del-
numerose opere si segnalano i volumi: Les lo spettacolo dellUniversit di Firenze
Fastes de la Renomme (2004); Lil sur- e allinterno della redazione dellArchi-
pris, perception et reprsentation dans la pre- vio Multimediale degli Attori Italiani,
mire moiti du XVIIe sicle (1993), nonch ha posto le basi per uno studio rigoroso
la cura del volume Andromde ou le hros e originale delle biografie di attori e del
lpreuve de la beaut (1996); sullo stesso teatro toscano in et lorenese.
tema, si deve alla sua direzione limpor-
tante convegno Andromde (Paris, Muse A n n a M a r i a Te stav e r de i n seg n a
du Louvre, 1993). Tra le sue traduzioni Discipline dello spettacolo presso lUni-
dallitaliano si veda quella del volume di versit di Bergamo. Ha indagato la spetta-
Siro Ferrone, Arlequin. Vie et Aventures de colarit dinastica in Italia e in Europa nei
Tristan Martinelli (2008). secoli XV-XVII. Attualmente si interessa
allo studio delle tecniche di composizione
Francesca Simoncini professore asso- del testo scenico, con particolare riguar-
ciato presso lUniversit degli studi di do alle affinit e alle differenze di produ-
Firenze dove insegna Storia del teatro e zione tra teatro dei dilettanti e teatro dei
dello spettacolo. caporedattrice del pro- professionisti. Dirige, con Siro Ferrone,
getto Archivio Multimediale degli Attori la rivista Commedia dellArte. Annuario
Italiani (AMAtI) e fa parte del comitato internazionale, fa parte del comitato di-
direttivo della rivista Drammaturgia. rettivo di Drammaturgia e del comita-
Ha pubblicato saggi sul teatro mediceo, to scientifico dellArchivio Multimediale
sul teatro italiano del secondo Ottocento, degli Attori Italiani. Tra i suoi lavori: I
sulla Commedia dellArte e le mono- canovacci della Commedia dellArte (2007);
grafie Eleonora Duse capocomica (2011); Lofficina delle nuvole. Il teatro mediceo nel
Rosmersholm di Ibsen per Eleonora Duse 1589 e gli Intermedi del Buontalenti nel
(2005). Memoriale di Girolamo Seriacopi (1991).

Gianluca Stefani dottore di ricerca in Alessandro Tinterri insegna Storia del


Storia dello spettacolo presso lUniversit teatro e dello spettacolo e Storia e critica
di Firenze (tutor: Stefano Mazzoni). ca- del cinema presso lUniversit di Perugia.
poredattore di drammaturgia.fupress.net Si occupato principalmente di teatro
ed stato borsista presso la Fondazione italiano dellOtto e Novecento, con par-
Giorgio Cini. Ha pubblicato saggi sul ticolare riguardo al teatro di Pirandello,
teatro italiano e sul teatro musicale del Bontempelli, Tofano e Savinio. Nel
primo Settecento veneziano. In corso 2006 ha creato la collana Morlacchi

320
GLI AUTORI

Spettacolo. Dal 2015 consigliere scien- atrali bolognesi tra Cinque e Seicento.
tifico di Fondazione Ansaldo. caporedattore della rivista annua-
le Drammaturgia. Tra i suoi lavori:
Lorena Vallieri dottore di ricerca in Accademie, cultura e spettacolo a Bologna nel
Storia dello spettacolo presso lUniver- Cinquecento (in preparazione); Prospero
sit di Firenze (tutor: Stefano Mazzoni). Fontana pittore-scenografo a Bologna (1543)
Ha condotto studi sulle accademie te- (2014).

321
SAGGI
Claudio Longhi, Per Luca Ronconi (1933-2015): quasi una leon de tenbres 7
Sara Mamone, Drammaturgia di macchine nel teatro granducale fiorentino. Il teatro
degli Uffizi da Buontalenti ai Parigi 17
Anna Maria Testaverde, Lavventura del teatro granducale degli Uffizi (1586-1637) 45
Caterina Pagnini, Anna di Danimarca e i Queens Masques (1604-1611) 71
Franoise Siguret, La lumire et le temps sur la scne baroque : Poetique & Pratique 89
Paologiovanni Maione, Il possesso della scena: gente di teatro in musica tra Sei e
Settecento 97
Anna Scannapieco, I numeri delle comiche italiane del Settecento. Primi appunti 109
Franco Perrelli, Il mulo di Lessing 129
Alessandro Tinterri, Silvio dAmico e la nascita del Burcardo 141

DOCUMENTI E TESTIMONIANZE
Teresa Megale, Eleonora Duse. Nuovi frammenti autografi di un lungo percorso teatrale 151
Co2. Intervista a Giorgio Battistelli, a cura di Anna Menichetti 169

RICERCHE IN CORSO
Teresa Ferrer Valls, Il punto sul mondo degli attori del Siglo de Oro 185
Francesca Simoncini, Le prime attrici della compagnia Reale Sarda nel database
AMAtI 197
Francesca Simoncini-Antonio Tacchi, Carlotta Marchionni 201
Daniela Sar, Amalia Bettini 223
Emanuela Agostini, Antonietta Robotti 241

INDIZI DI PERCORSO E PROGETTI


Gianluca Stefani, Sebastiano Ricci impresario in angustie a Venezia: i guai della stagione
1718-1719 al SantAngelo 263
Adela Gjata, Le regie goldoniane di Renato Simoni (1936-1947) 291

SUMMARIES 309

GLI AUTORI 317

20,00

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