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l Sansoni Scuola aperta - , g .:
sa Sansoni Scuola aperta
" Scuola aperta ,. mette a disposizione di ch i attende alla
formazione culturale propria e altrui un materiale di lavoro alternativo
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(!)

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o integrativo dei tradizionali strumenti manualistici. :J

L'i mpostazione monografica, lo spazio e il rilievo che vengono dati


alla documentazione d iretta e alle ind icazioni per la
ricerca autonoma, il rigore e l'agg iornamento dell'informazione,
il taglio interd iscipl inare consentono di attingere a questa collezione
per i pi vari pian i d i s!udio, individuali , d i gruppo, collettivi.

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Fichte e il primo idealismo


Fichte un pensatore di straordinaria forza analitica , ma nelle sue
opere di teoria della scienza " il suo pensiero esposto con un
gergo e con dei passaggi che lo rendono quasi incomprensibile. In
questo volume si cercato di sfuggire il tecnicismo, o le formulette,
, dell'io e del non-io, della tesi e dell'antitesi, per mettere l'accento
sui problemi. E ci si soffermati, anche, sulla seconda filosofia ,
quella successiva alla svolta religiosa del 1800 - un tema che in
Germania molto studiato, e da noi invece quasi ignorato. Oltre
a una scelta di testi fichtiani, si sono riportati giudizi e prese di
posizione di contemporanei (tra i quali Kant e Schelling, F. Schlegel
e Novalis). Uno sfondo che illumina la elaborazione e la sorte della
filosofia di Fichte.

L. 605200
Claudio Cesa

Fichte
e il primo idealismo

Sansoni
Mauritius_in_libris
Copyright 1975 by G. C. Sansoni S.p.A. - Firenze
FICHTE E IL PRIMO IDEALISMO

1. L'idealismo

Di idealismo, anzi, di idealismo trascendentale aveva, prima


di Fichte, parlato Kant; nella prima edizione della Critica
della ragion pura (tutto il capitolo relativo, nella seconda
edizione, sar invece soppresso) egli aveva seri tto: In-
tendo per idealismo trascendentale di tutti i fenomeni la
dottrina secondo la quale noi li consideriamo tutti come
semplici rappresentazioni, e non come cose in s, e per la
quale il tempo e lo spazio non sono se non forme sensi-
bili della nostra intuizione, ma non determinazioni per s
date, o condizioni degli oggetti come cose in s . E aggiun-
geva: L'idealista trascendentale pu essere realista em-
pirico [ ... ] cio concedere l'esistenza della materia senza
uscire dalla semplice coscienza di s, e ammettere qual-
cosa di pi della certezza delle rappresentazioni in me, e
cio del cogito ergo sum . Per questo idealismo trascen-
dentale noi ci siamo dichiarati fin dal principio . Appog-
giandosi su qqesto, e su passi analoghi, F. H. Jacobi,

Mauritius_in_libris
2 Fichte e il primo idealismo

pochi anni dopo, parl di una sorta di felice contraddizione


di Kant, quella di aver mantenuto il dualismo tra soggetto
e cosa, senza il quale - egli diceva - non possibile
introdursi nel criticismo, ma accettando il quale - egli
continuava - non possibile restarvi. Idealismo, in
questa prima discussione, indica una posizione gnoseolo-
gica, la negazione che l'oggetto della nostra esperienza sia
solo il calco (non importa come ottenuto) di una cosa
esistente fuori di noi. Di idea e di ideale Kant parla
ampiamente, anche in sede estetica e in sede morale, ma
senza che, in questi ambiti, venga applicata la definizione
di idealismo. proprio con Fichte, invece, che quest'ultimo
termine (almeno nella prima parte della sua riflessione,
l'unica che abbia avuto una efficacia storica tra i contem-
poranei) finisce per assumere un significato onnicompren-
sivo, per indicare non l'atteggiamento su un problema spe-
cifico, ma tutto un sistema filosofico, anzi, uno dei due fon-
damentali, possibili atteggiamenti mentali dell'uomo pen-
sante. Una delle sue frasi pi famose, contenuta in quella
sorta di manifesto che la Prima introduzione alla dottri-
na della scienza, suona: La scelta di una filosofia di-
pende da quel che si come uomo, perch un sistema filo-
sofico non una inerte suppellettile, che si pu prendere
o lasciare a piacere, ma animato dallo spirito dell'uomo
che lo ha fatto suo. Un carattere fiacco per natura, o infiac-
chito e piegato dalle frivolezze, dal lusso raffinato e dalla
servit spirituale, non potr mai elevarsi all'idealismo .
L'opposto dell'idealismo il dogmatismo: esso consiste non
soltanto nell'accettare, dal punto di vista gnoseologico o
ontologico, una cosa in s , un oggetto nei confronti del
quale la mente umana sia soltanto ricettiva, passiva, ma
anche nel rinunziare alla autonomia morale, sia ammettendo
un fato o una necessit, sia non ispirando la propria esi-
stenza a un ideale di ragione; quell'elemento aqtieudemo-
nistico (il primato della virt sulla felicit, del dovere sulla
inclinazione) che era gi presente nella Ragion pratica kan-
tiana, e che respingeva quasi tutta la filosofia morale set-
tecentesca, viene qui radicalizzato, diventa il vero e proprio
L'idealismo 3

segno distintivo di una scelta da farsi una volta per tutte,


di una scelta insieme teorica e morale.
L'ultimo decennio del XVIII secolo caratterizzato, in
tutta Europa, da una crisi che investe le strutture politi-
che (viene violentemente criticato il modello di stato co-
struito da Federico II di Prussia e da Giuseppe II d'Au-
stria, ma d'altra parte le convulsioni della repubblica mo-
strano che neanche in Francia si trovato il modo di far
convivere la libert dei singoli con la funzionalit dell'in-
tero) e quelle religiose {per limitarci alla Germania, il
conflitto sempre pi acuto tra la dogmatica e la pastorale
ufficiali, di netto taglio razionalistico, e la rinascita mistica,
a livello sia popolare che colto); per dare un senso ad avve-
nimenti che parevano giganteschi si inventavano dapper-
tutto mene sotterranee: i reazionari parlavano di una con-
giura massonica, che aveva provocato la rivoluzione in Fran-
cia e la stava esportando in tutta Europa, mentre i razio-
nalisti, in Germania, vedevano nel ritualismo esoterico,
nelle esperienze mistiche e magiche coltivate in tante con-
venticole, massoniche e no, il segno di una congiura crip-
to-cattolica , o gesuitica, volta a sopprimere le conquiste
dei Lumi, o addirittura della Riforma. Il precario equili-
brio, teorizzato, tra gli altri, da Kant, tra il pensare libe-
ramente e l'obbedire alle leggi dello stato cadeva ora che
era venuta meno la fiducia nella razionalit della condotta
degli affari politici da parte di coloro che ne avevano l'uffi-
cio. Non un caso che proprio in quegli anni sorga violenta
l'esigenza di una filosofia totale, che dia all'uomo quel fon-
damento stabile che le strutture tradizionali non erano pi
in grado di offrirgli. Fichte a questa esigenza si sforz di
dare una risposta; per lui, antico studente di teologia (de-
stinato, cio, alla carriera ecclesiastica), anche la lezione
universitaria doveva assolvere a compiti di educazione e
di edificazione morale; durante il periodo del suo insegna-
mento a Jena egli ebbe un serio incidente con le autorit
quando fiss l'orario del suo ciclo di conferenze di morale
per gli intellettuali ( Gelehrten) proprio in coincidenza
della funzione religiosa ufficiale della domenica. Anche a
2 Fichte e il primo idealismo

pochi anni dopo, parl di una sorta di felice contraddizione


di Kant, quella di aver mantenuto il dualismo tra soggetto
e cosa, senza il quale - egli diceva - non possibile
introdursi nel criticismo, ma accettando il quale - egli
continuava - non possibile restarvi. Idealismo , in
questa prima discussione, indica una posizione gnoseolo-
gica, la negazione che l'oggetto della nostra esperienza sia
solo il calco (non importa come ottenuto) di una cosa
esistente fuori di noi. Di idea e di ideale Kant parla
ampiamente, anche in sede estetica e in sede morale, ma
senza che, in questi ambiti, venga applicata la definizione
di idealismo. proprio con Fichte, invece, che quest'ultimo
termine (almeno nella prima parte della sua riflessione,
l'unica che abbia avuto una efficacia storica tra i contem-
poranei) finisce per assumere un significato onnicompren-
sivo, per indicare non l'atteggiamento su un problema spe-
cifico, ma tutto un sistema filosofico, anzi, uno dei due fon-
damentali, possibili atteggiamenti mentali dell'uomo pen-
sante. Una delle sue frasi pi famose, contenuta in quella
sorta di manifesto che la Prima introduzione alla dottri-
na della scienza, suona: La scelta di una filosofia di-
pende da quel che si come uomo, perch un sistema filo-
sofico non una inerte suppellettile, che si pu prendere
o lasciare a piacere, ma animato dallo spirito dell'uomo
che lo ha fatto suo. Un carattere fiacco per natura, o infiac-
chito e piegato dalle frivolezze, dal lusso raffinato e dalla
servit spirituale, non potr mai elevarsi all'idealismo .
L'opposto dell'idealismo il dogmatismo: esso consiste non
soltanto nell'accettare, dal punto di vista gnoseologico o
ontologico, una cosa in s , un oggetto nei confronti del
quale la mente umana sia soltanto ricettiva, passiva, ma
anche nel rinunziare alla autonomia morale, sia ammettendo
un fato o una necessit, sia non ispirando la propria esi-
stenza a un ideale di ragione; quell'elemento aqtieudemo-
nistico (il primato della virt sulla felicit, del dovere sulla
inclinazione) che era gi presente nella Ragion pratica kan-
tiana, e che respingeva quasi tutta la filosofia morale set-
tecentesca, viene qui radicalizzato, diventa il vero e proprio
L'idealismo 3

segno distintivo di una scelta da farsi una volta per tutte,


di una scelta insieme teorica e morale.
L'ultimo decennio del XVIII secolo caratterizzato, in
tutta Europa, da una crisi che investe le strutture politi-
che (viene violentemente criticato il modello di stato co-
struito da Federico II di Prussia e da Giuseppe II d'Au-
stria, ma d'altra parte le convulsioni della repubblica mo-
strano che neanche in Francia si trovato il modo di far
convivere la libert dei singoli con la funzionalit dell'in-
tero) e quelle religiose (per limitarci alla Germania, il
conflitto sempre pi acuto tra la dogmatica e la pastorale
ufficiali, di netto taglio razionalistico, e la rinascita mistica,
a livello sia popolare che colto); per dare un senso ad avve-
nimenti che parevano giganteschi si inventavano dapper-
tutto mene sotterranee: i reazionari parlavano di una con-
giura massonica, che aveva provocato la rivoluzione in Fran-
cia e la stava esportando in tutta Europa, mentre i razio-
nalisti, in Germania, vedevano nel ritualismo esoterico,
nelle esperienze mistiche e magiche coltivate in tante con-
venticole, massoniche e no, il segno di una congiura crip-
to-cattolica , o gesuitica, volta a sopprimere le conquiste
dei Lumi, o addirittura della Riforma. Il precario equili-
brio, teorizzato, tra gli altri, da Kant, tra il pensare libe-
ramente e l'obbedire alle leggi dello stato cadeva ora che
era venuta meno la fiducia nella razionalit della condotta
degli affari politici da parte di coloro che ne avevano l'uffi-
cio. Non un caso che proprio in quegli anni sorga violenta
l'esigenza di una filosofia totale, che dia all'uomo quel fon-
damento stabile che le strutture tradizionali non erano pi
in grado di offrirgli. Fichte a questa esigenza si sforz di
dare una risposta; per lui, antico studente di teologia (de-
stinato, cio, alla carriera ecclesiastica), anche la lezione
universitaria doveva assolvere a compiti di educazione e
di edificazione morale; durante il periodo del suo insegna-
mento a Jena egli ebbe un serio incidente con le autorit
quando fiss l'orario del suo ciclo di conferenze di morale
per gli intelleauali ( Gelehrten) proprio in coincidenza
della funzione religiosa ufficiale della domenica. Anche a
4 Fichte e Il primo Idealismo

voler prendere per buone le giustificazioni che egli addusse,


il fatto ha un valore simbolico, e cosi venne inteso dai
contemporanei: la nuova filosofia non cercava pi un ac-
cordo, o un compromesso (non importa di qual tipo), con
la religione, ma la voleva riassorbire in s. La cosiddetta
polemica sull'ateismo che si svolse nel 1798-1799, e
il cui esito furono le dimissioni forzate di Fichte dalla cat-
tedra di Jena, diffuse in tutta la Germania (malgrado le
veementi proteste del filosofo) l'impressione di una radi-
cale incompatibilit tra la filosofia trascendentale e il cri-
stianesimo: non c'era posto per la nozione di Dio come
sostanza o come essere l dove si poneva un'unica attivit,
quella dell'io, del soggetto. E lo stesso sembrava valere
per tutte le scienze , naturali e morali: la filosofia non
poteva accontentarsi d'. elaborare il proprio metodo ispi-
randosi ad alcuna di esse, n di rielaborare e collegare i
loro principi; doveva, piuttosto, dedurle tutte da s,
e dare cosi al sapere e al comportamento pratico una unit
rigorosa. Non un caso che proprio tra i primi discepoli
di Fichte (baster fare il nome di Novalis) venga formulata
con precisione l'idea di una nuova enciclopedia , co-
struita in ordine sistematico, e non alfabetico come la cele-
berrima opera dell'illuminismo francese. in questa idea,
originariamente fichtiana, la radice prossima delle costru-
zioni sistematico-enciclopediche di Schelling, Hegel e dei
loro discepoli e imitatori.
Queste istanze rappresentavano, nell'ultimo decennio del
Settecento, una grossa novit; e se molti dei giovani intel-
lettuali le facevano proprie, c'era anche chi le criticava e
satireggiava; per alcuni esse erano panteismo, o spinozismo
rovesciato, e cos le intendevano, del resto, taluni dei pi
bollenti tra i loro primi seguaci. Altri ne tentavano una
interpretazione che, con qualche anacronismo, si potrebbe
definire sociologica, e che ha, in taluni punti, una curiosa
analogia con le critiche che, nel nostro secolo, saranno ri-
volte contro le ultime filosofie idealistiche: la negazione
della realt di un mondo oggettivo veniva dipinta come
una stravaganza sofistica, o, nel migliore dei casi, come il
L'idealismo 5

capncc10 di intellettuali inesperti, convinti che le cose fos-


sero altrettanto malleabili che i concetti; come, alcuni de-
cenni prima, Voltaire, dopo aver descritto tutte le traver-
sie nelle quali Candido, per il suo inopportuno zelo filoso-
fico, si era trovato impigliato, gli faceva ritrovare la sag-
gezza nel non discutere pi di metafisica, e nel coltivare il
suo orto, cos adesso gli epigoni dell'illuminismo invitavano
i giovani idealisti a cercarsi un impiego, a costituire
una famiglia, a confrontarsi con le realt della vita quoti-
diana: sarebbe stato, questo, l'unico modo di guarire da
una follia tollerabile forse in un adolescente, non in un
uomo ,maturo, di assicurare la propria felicit, e di diven-
tare, insieme, utili membri del corpo sociale. L'insistenza
sugli invalicabili limiti della ragione, e insieme delle
possibilit e delle funzioni dell'uomo, la replica a quel
tendere infinito che Fichte aveva indicato, invece, come la
destinazione di esso.
Critiche di questo tipo irritavano Fichte; a farlo riflettere
erano invece le obiezioni di uomini del cui ingegno egli
aveva considerazione, come Jacobi e Jean Paul Richter. E
non un caso che dopo il conflitto dell'ateismo, che gli
aveva rivelato quanto profondo fosse il suo isolamento, e
quanto pericolose certe alleanze, egli si sia sforzato di limi-
tare e correggere il carattere idealistico del suo pensie-
ro, e di dimostrare che esso, comunque, non era in contra-
sto con l'esperienza comune. Nei suoi scritti del 1800-1801
egli sostiene che non c' alcun conflitto tra quest'ultima e
la dottrina della scienza , la quale, del resto, non si
fonda su elucubrazioni della mera ragione: Io dichiaro
pubblicamente che lo spirito pi intimo, e l'anima, della
mia filosofia questo: l'uomo non ha proprio nient'altro
che l'esperienza, e perviene a tutto ci cui perviene solo
attraverso l'esperienza, la vita stessa . E nel 1804 pren-
deva, come definizione della propria filosofia, il termine
realismo, e si levava contro un procedere meramente
logico; egli sosteneva, peraltro, che ci rappresentava
non un rinnegamento del suo precedente idealismo, ma
soltanto la ricerca di un fondamento ulteriore, pi sicuro,
6 Fichte e il primo idealismo

di esso: bisognava porre un essere a fondamento dell'esi-


stere. Questa sua nuova posizione teorica accompagnava
(pur senza esserne, forse, il presupposto ideale) le dottrine
morali, politiche e religiose del periodo berlinese, volte a
riconoscere un condizionamento linguistico, ambientale
- in una parola, storico - all'agire dell'uomo, e a rin-
tracciare i lineamenti di una storia del genere umano della
quale momento essenziale fosse non pi o non soltanto il
perfezionamento degli individui, ma l'incivilimento delle
naz10m.
Ma agli occhi dei contemporanei il sistema di Fichte aveva
ormai perduto quel carattere di totalit che aveva rappre-
sentato il suo fascino negli anni di Jena. A questo giudizio
contribu, senza dubbio, anche il fatto che il filosofo non
diede alle stampe le nuove elaborazioni della dottrina del-
la scienza , ma difficile credere che se anche questi testi
fossero venuti allora alla luce le cose sarebbero cambiate
di molto. A chi lo seguiva da lontano, egli dava l'impres-
sione di non aver saputo andare avanti lungo la strada che
pure aveva contribuito ad aprire, e di essersi rinchiuso in
una ostinata polemica contro la cultura contemporanea (in
una lettera a Hegel del 1807 Schelling disse che Fichte re-
spingeva ciecamente l'epoca in cui viveva ); ma anche chi,
essendo a Berlino, poteva essere meglio informato, riteneva
che il sistema di Fichte fosse ormai diviso in due parti; per
esempio nel 1810, in un colloquio col futuro teologo A.
Twesten, allora studente, Schleiermacher critic la dupli-
cit di Fichte, il quale nella vita si poneva sul piano della
coscienza comune, mentre faceva della scienza una at-
tivit solo intellettuale; e lo stesso Twesten, pur senza ac-
cettare le critiche di Schleiermacher, si dichiarava convinto
delle teorie etiche e religiose di Fichte, ma relegava quelle
teoretiche, cio la dottrina della scienza, a mera ipotesi .
Incomincia gi in questi anni quella che forse si potrebbe
chiamare la seconda fase della fortuna del pensiero fichtia-
no: il suo idealismo sembra ormai aver soltanto una
dimensione etica: l'agire , il tendere, il dover-esse-
re , che nella prima elaborazione della dottrina della scienza
L'idealismo 7

avevano avuw un preciso ruolo ontologico, vengono intesi,


adesso, in senso soprattutto morale. I giovani intellettuali
che, tra il 1815 e il 1848, sono all'opposizione contro la poli..
tica della Restaurazione, ammirano in Fichte soprattutto il
pensatore impegnatq; la ristampa, nel 1824, dei Discorsi alla
nazione tedesca (che quando furono pronunziati e stampati
per la prima volta, nel 1808, non avevano avuto grande eco
fuori dell'ambiente berlinese) ha un significato di protesta
contro le dinastie che mantengono divisa la Germania, e che
non danno libert politica; poco pi tardi, negli ambienti
della sinistra hegeliana, l' attivismo fichtiano viene con-
siderato come antidoto contro il quietismo di chi si accon-
tenta di contemplare il mondo, invece di cambiarlo: nella sua
Filosofia dell'azione (1843) M. Hess, un amico di Marx, disse
che, per quanto riguardava la prassi, Fichte era molto pi
avanti di tutta la filosofia contemporanea; e (sempre in alter-
nativa all'hegelismo inteso come filosofia della Restaurazio-
ne ) Fichte fu salutato come maestro anche da molti scrit-
tori nazional-liberali, da R. Haym a H. Treitschke.
Di un ritorno di interesse per la filosofia teoretica di Fichte,
e non solo per illustrarla da un punto di vista storico (in tutta
la seconda met dell'Ottocento si era cominciato a fare un
buon lavoro in questa direzione), ma per trovare in essa ele-
menti ancora validi di riflessione, si pu parlare solo all'inizio
del nostro secolo, con alcuni esponenti della scuola di Ri-
ckert, e con certi spunti nel pensiero di G. Gentile. Per
solo negli ultimi 15 anni si avuto il tentativo di una mas-
siccia rivalutazione del sistema fichtiano, per presentarlo
come alternativa sia nei confronti dell'hegelismo che delle
filosofie che in vario modo vi si sono ispirate. Questa ter1-
denza rappresentata dalla cosiddetta scuola di Monaco ,
cio dal gruppo di studiosi che, sotto la direzione di R
Lauth, ha posto mano alla grande impresa di una edizione
critica di tutti gli scritti di Fichte. Questa rivalutazione av-
viene ispirandosi agli scritti del tardo Fichte, interpretando
la sua filosofia trascendentale in chiave non idealisti-
ca ma realistica , e vedendo quale suo pi illustre pre-
decessore non Kant, ma Descartes.
8 Fichte e Il primo Idealismo

2. Il principio

Del periodo di formazione del pensiero di Fichte si sa molto


poco; anche se egli acquis, attraverso i corsi universitari
e le letture, una qualche conoscenza delle dottrina e del
metodo delle filosofie scolastiche dell'illuminismo tede-
sco, non fece certamente vaste letture filosofiche; il suo
punto di partenza fu lo studio intenso delle critiche kan-
tiane, iniziato nel 1790, cui segu l'attenta lettura, con la
penna in mano , di alcune delle opere (soprattutto quelle
di Schulze e di Reinhold) che portavano avanti la discus-
sione sull'autentico carattere del criticismo. Fu verso la fine
del 179 3, a Zurigo, che egli scopr il principio della sua
filosofia. Tra le testimonianze su questo evento baster ci-
tare quella di H. Steffens, che la colse dalla bocca stessa del
filosofo: Allora lo sorprese improvvisamente il pensiero
che l'azione con cui l'autocoscienza coglie e tiene ferma se
stessa sia evidentemente un conoscere. L'io si conosce come
generato da se stesso, e l'io pensante e l'io pensato, il cono-
scere e l'oggetto del conoscere sono la stessa cosa; ogni co-
noscere muove da questo punto di unit, e non da una di-
sordinata osservazione che si lasci dare spazio, tempo e
categorie , o, per sintetizzarlo nella formula famosa, io
io. Il modo intuitivo della scoperta, e anche il conte-
nuto, hanno spesso fatto stabilire una analogia tra la for-
mula fichtiana e il cogito ergo sum cartesiano; ma non sa-
rebbe giusto fermarsi alla analogia, senza cogliere ci che di
nuovo c' nella posizione di Fichte: come ha fatto notare
di recente D. Henrich, sia Cartesio che Kant, pur renden-
dosi conto della novit del tema, non fanno della autoco-
scienza un esplicito problema; anche Fichte mantiene che
ogni atto della mente sempre un rapporto tra soggetto ed
oggetto, e che si pu astrarre dal soggetto, o dal contenuto,
per cogliere la forma pura dell'atto: per egli ritiene che
non si sia fatto molto se questo io, pensante o intuente,
viene a sua volta considerato un oggetto - si ristabilirebbe
cosl la situazione precedente, di una riflessione nella quale
soggetto e oggetto rimangono distinti. Occorre, invece, co-
Il principio 9

gliere la spontaneit pura, quella nella quale i due termini


non sono gi dati come distinti, ma invece si distinguono.
La questione di tanta importanza che val la pena di fer-
marvisi ancora per un momento: Fichte non pensa affatto
che l'io, che egli ritiene il principio primo di ogni filosofia,
sia un Essere assoluto, che abbia magari in s, implicita-
mente ma non distintamente, tutta la realt; egli vuole piut-
tosto, correggendo e integrando Kant, che il principio sia
gi di per s una sintesi di intuizione e di pensiero, nella
quale i due termini siano distinti, e pure uniti: il pensiero
non immaginabile senza un rapporto di soggetto a oggetto
mentre l'intuizione, per suo carattere, non relazione ad
altro, anzi, non nemmeno relazione. La coscienza esige
la presenza di entrambi i termini. Cosa vuol dire coscien-
za? Quali sono le sue condizioni? Coscienza la spontaneit
della spontaneit, il pensare di una intuizione interiore. Sen-
za pensare non c' coscienza; non c' pensare senza sponta-
neit, n senza spontaneit c' intuizione; pensare una in-
tuizione pertanto spontaneit della spontaneit, e solo essa
cosc;ienza . Queste frasi sono prese dalle Eigne Medita-
tionen, pubblicate integralmente solo nel 1971, e che costi-
tuiscono un essenziale documento della prima sistemazione
del pensiero fichtiano. Nei mesi nei quali redigeva questo
testo, nel disordine di una stesura densa di .ripetizioni, e
nella quale gli importava pi di stabilire il principio che
di svolgerlo in un sistema , Fichte era talmente preso
dal problema di una legge che sia data come assoluta alla
coscienza da domandarsi: Che forse a questo pensare
non debba essere sottesa una intuizione, anche se meramen-
te intellettuale? - proprio quel tipo di intuizione, cio,
che Kant riconosceva possibile per Dio, ma del tutto incon-
cepibile per l'uomo. Fichte, peraltro, non riteneva di essere
infedele allo spirito del criticismo, in quanto per lui intui-
zione intellettuale non significava contemplazione di una
verit non verificabile con le leggi dell'intelletto, ma piut-
tosto un esperimentare interiore (H. Heimsoeth ha parlato
di Erleben) il quale, non avendo altro oggetto che se stesso,
cio l'io intuente, e non essendo determinato che da se
stesso, sia la prova della spontaneit come forma di ogni
10 Fichte e il primo idealismo

attivit della coscienza. E qui viene fuori (e Fichte se ne


accorse immediatamente) il problema forse pi grosso del
metodo speculativo : se questa scoperta della legge fon-
damentale della coscienza qualcosa di definitivo, o, come
Fichte anche sugger, un presupposto , non c' il rischio
che tutta la filosofia si riduca alla illustrazione della for-
mula io sono io? O, al contrario, che, acquisita questa
formula, tutto ci che vien dato dopo, cio~ il sistema ,
vada avanti servendosi di criteri attinti di volta in volta da-
gli oggetti di cui si occupa, e cio empirici? Ancora: se si
afferma che la formula fondamentale deve svolgersi attra-
verso almeno tutta la parte pura (nel senso di non appli-
cata) del sistema, cio la dottrina della scienza strictu sensu,
non si deve concludere che la verit si avr soltanto alla
fine, e che all'inizio, cio al punto di partenza, essa sol-
tanto una affermazione problematica , cio bisognevole
di dimostrazione? E se questo vero, non si rischia di fare
della spontaneit un mediato, cio di toglierle proprio ci
che le d certezza? Tutto il pensiero di Fichte dominato
dall'esig<:nza di risolvere questo problema; da una parte
egli dice espressamente che in filosofia il circolo inevita-
bile ; se la suprema azione dell'intelligenza quella di
porre se stessa, non per affatto necessario che questa
azione sia la prima nel tempo a venire a chiara coscienza .
Quello di cui ci si deve preoccupare il rigore scientifico
dei passaggi, per cui il punto di arrivo sia coerente con le
premesse da cui si partiti, e ne dimostri cos, anche, l'ido-
neit ad essere il fondamento di una dimostrazione che spie-
ghi le azioni e le leggi della riflessione. Ma, dall'altra parte,
sembra che la forma espositiva non sia unica: lo stesso
Fichte ci ha dato parecchie esposizioni della dottrina della
scienza, e disse, anche, che chiunque poteva tentarne un'al-
tra. In questo modo il principio acquista una posizione as-
sai pi alta della dimostrazione: non importa attraverso
quali vie si arrivi a pensarlo chiaramente , purch se ne
acquisisca la certezza - una certezza attestata anche dal
sentimento , il quale talvolta pu addirittura intervenire
a spezzare il filo di una dimostrazione coerente, ma rivolta
in direzione sbagliata. Il senso della verit, quella dell'io
Il metodo 11

fondamento di se stesso, deve accompagnare ogni processo


dimostrativo; il suo ruolo non mai esaurito, e non c'
mai un risultato definitivamente acquisito: quel cammino
ascendente, quel processo che la linea di sviluppo del ge-
nere umano, una norma anche per il singolo individuo:
contenuto nel concetto dell'uomo che la sua ultima meta
debba essere inaccessibile, e che il suo cammino verso di
quella debba essere infinito. Perci la destinazione dell'uo-
mo non di raggiungere quella meta. Egli pu e deve, tut-
tavia, avvicinarsi ser11pre di pi ad essa; e quindi la sua
destinazione come uomo, cio come essere razionale ma
finito, sensibile ma libero, di avvicinarsi indefinitamente
a tale meta .

3. Il metodo

Malgrado il carattere privilegiato del princ1p10, esso non


pensabile senza sistema; da Reinhold (e non da Spinoza)
Fichte aveva derivato l'esigenza di una filosofia tutta rica-
vata da un unico principio: e la parte pi delicata di una
tale costruzione appunto quella nella quale, dal principio
assoluto, si ricavano i principi generali delle singole scienze
- quella parte che Fichte chiam dottrina della scienza
o anche scienza della scienza . Nello scritto del 1794
Sul concetto della dottrina della scienza Fichte indic come
programma il dare una dimostrazione dei principi di tutte
le possibili scienze , di fondare la forma sistematica di
tutte le possibili scienze . Ma non che sia del tutto certo
che egli abbia poi assolto davvero a questo proposito: stu-
diosi molto autorevoli, dal Medicus al Lauth, non mettono
in dubbio che nella seconda parte della Dottrina della scien-
za 1794 Fichte abbia enunciato almeno i principi della ma-
tematica e della fisica, del diritto, dell'etica e della filosofia
della religione; ma c' stato anche chi, come il Kroner, ha
obiettato che quei principi si trovano solo a volerceli cer-
care a ogni costo.
La parte teoretica della dottrina della scienza una sorta
di nuova esposizione di ci che Kant aveva chiamato ana-
12 Fichte e il primo idealismo

litica trascendentale. Delle categorie Fichte vuol dare una


vera deduzione; quella di Kant per lui una enumera-
zione disordinata, in quanto non ci in essa la derivazione
da un unico principio: Io le subordino [le categorie] al
principio della soggettivit in generale , a quello della
attivit ; una volta accettato questo, basta dedurre me-
diante il pensiero . La forma della deduzione la stessa
che vale per la matematica, cio quella prescritta dalla lo-
gica generale; l'ultima frase di una lettera del 15.1.1794,
e pu far pensare che per Fichte la logica sia, come aveva
gi detto Kant, una scienza gi chiusa e compiuta, che si
tratti soltanto di applicare; senonch poco dopo Fichte af-
fermer che ogni proposizione logica e tutta la logica
debbono essere dimostrate a partire dalla dottrina della
scienza. Si deve mostrare che le forme stabilite nella logica
sono realmente forme di un certo contenuto della dottrina
della scienza. Quindi la logica trae la sua validit dalla dot-
trina della scienza, e non gi la dottrina della scienza la sua
dalla logica . per questo che, nella Dottrina della scienza
1794 ci sar, prima della parte dedicata alla filosofia teore-
tica, una parte nella quale sono dedotti i tre principi logici
di identit, di contraddizione e di ragione sufficiente ( ov-
vero del fondamento). Oltre che nella forma logica tradi-
zionale, Fichte d una propria enunciazione dei tre principi,
anzi, d di ciascuno di essi pi enunciazioni; qui si ripor-
tano quelle pi frequentemente citate: 1) l'io pone se stes-
so; 2) l'io oppone a s un non-io; 3) l'io oppone nell'io al-
l'io divisibile un non-io divisibile. Ancora: come egli dice
espressamente, questi tre principi corrispondono alle tre
categorie kantiane della qualit: realt, negazione, limi-
tazione.
Abbiamo cosl gli elementi essenziali per cercare di cogliere
il significato della celeberrima prima parte della Dottrina
della scienza 1794, la parte certamente pi analizzata e di-
scussa di tutto il corpo degli scritti fichtiani. Negli ultimi
anni si voluto, per la verit, ridurne l'importanza, osser-
vando che Fichte non ha pi ripreso, nelle successive espo-
sizioni, questo tipo di trattazione. Il che senza dubbio
esatto. Ma il Fichte storico , quello che influenz i pen-
Il metodo 13

satori contemporanei, o si scontr con e5s1, e pur quello


della prima Dottrina della scienza, e del metodo che in essa
egli volle applicare. Per quanto riguarda le influenze, baster
ricordare che il metodo antitetico stato usato anche in
certi scritti di Schelling e di Hegel, e che il prendere le
mosse dalla qualit (invece che dalla quantit, come aveva
fatto Kant) trova esatta corrispondenza ancora nella logica
hegeliana. Ma assai pi importante il problema di fondo,
quello cio del significato teorico del pensiero fichtiano.
Oggi, da parte di alcuni studiosi, si tende a negare, o a ri-
durre fortemente, il contenuto positivo della dottrina
della scienza del 1794: Fichte avrebbe voluto procedere
dialetticamente e i singoli momenti della trattazione non
sono risultati che restano, ma tappe che sono esposte solo
per essere superate (e corrispondenti magari, come ha sug-
gerito il Philonenko, a posizioni precedenti nella storia
del pensiero filosofico). Per suggestiva che sia, questa inter-
pretazione non convince del tutto, tanto pi che essa non
trova conferma nelle pur ampie discussioni contemporanee
(nelle quali intervenne ripetutamente lo stesso Fichte) sul
significato dei principi della dottrina della scienza. Sembra
pi esatto ritenere che Fichte abbia saldato il primo princi-
pio della logica (cio lo A = A) allo Io sono Io , in
quanto quest'ultimo esprime una attivit autofondantesi che
prende il posto dell'Essere della vecchia ontologia. Di que-
st'ultima egli parl spesso con disprezzo, e pose anzi la sua
filosofia come l'antitesi di essa; ma essere l'antitesi di un
sistema di pensiero non equivale, quasi sempre, a eredi-
tarne i problemi? Anche se Fichte sostiene che la sua la
esposizione pi corretta della appercezione trascendentale
O' io penso ) di Kant, egli si trova, di fatto, a proporre
una tematica che ha non pochi punti di contatto con quella
della filosofia scolastica dell'illuminismo tedesco. An-
che questa ritiene che, se la scienza deve essere un intero,
tutte le singole affermazioni di essa devono poter essere
derivate da principi universali, e questi, a loro volta, de-
vono avere il loro fondamento in un unico supremo princi-
pio. E anche i principi fichtiani sono quelli della tradi-
zione: il primo, venisse detto di contraddizione o di iden-
14 Fichte e il primo idealismo

tit (ma c'erano anche quelli che, come poi far Fichte, lo
articolavano in due diverse formulazioni, di identit e di
contraddizione), era in fondo un indimostrabile, derivato
dalla natura dell'intelletto , la quale non tollera che a
uno stesso soggetto si applichino predicati escludentisi a
vicenda. Sia Wolf che Crusius, notano alcuni recenti stu-
diosi della logica settecentesca, si appoggiavano a una espe-
rienza interiore (W. Rod), a un criterio interiore di
verit (W. Risse): e Fichte parla di un fatto di co-
scienza. Il principio di ragione sufficiente, poi, era il fon-
damento del mondo reale , esattamente quello che il
terzo principio fichtiano, dal quale, come il filosofo dice
espressamente, tutte le altre sintesi sono derivabili. A
scanso di equivoci: non si vuol dire che Fichte sia un epi-
gono della scolastica settecentesca. Si gi detto che la sua
vocazione per la filosofia teoretica, o, come egli la chiama,
speculativa , nata dal contatto col criticismo, e pi
ancora con le discussioni da esso sollevate. Ma sarebbe un
errore dimenticare che, nel suo tentativo di dare una espo-
sizione scientifica della medesima, egli scivolato verso
una architettonica che risente fortemente della tematica pre-
critica. Il che , probabilmente, una delle radici remote del
suo clamoroso recupero di una filosofia dell'Essere, dopo il
1800.
L'indagine filosofica ha per oggetto - dice Fichte nel
1797 - un che di vivente e di attivo, che genera cono-
scenza da e per se stesso, e che il filosofo si limita a osser-
vare [ ... ]. Affare del filosofo mettere l'oggetto dell'inda-
gine in condizione di rendere possibile l'osservazione che
ci si propone; affar suo attendere ai fenomeni, seguirli
e connetterli correttamente: non invece affar suo, bens
dell'oggetto stesso, il modo in cui l'oggetto si manifesta .
Certo, Fichte mantiene ben fermo che l'atto iniziale sem-
pre un atto di libert, e chi non lo compie non vede nulla
di quanto mostrato dalla dottrina della scienza ; ma il
modo di compierlo necessario in quanto fondato
sulla natura dell'intelligenza ; qualcosa di necessa-
rio, che tuttavia si presenta soltanto in e con un'azione
libera .
Il metodo 15

Il modo con cui questo processo necessario si svolge scan-


dito da due momenti, quello antitetico e quello sintetico.
Il porre e l'opporre, cio gli atti caratterizzanti i primi due
principi, si escludono reciprocamente: e pure la negazione
implica la posizione; il non-io, eia~, non pensabile senza
l'io. Occorre pertanto trovare un terzo termine, che per-
metta la sintesi delle due figure precedenti. Interessa qui
fermarsi non sul pur importantissimo terzo principil). quello
della limitazione, ma piuttosto sul metodo generale, quello
che trova applicazione in tutta la prima fase della dottriw1
della scienza: quando si ottenuta la sintesi, si provvede
ad analizzare la formula in cui essa stata espressa, e ci si
accorge allora che essa rimanda a qualcosa di non ancora
fondato, di contraddittorio rispetto a ci che si era gi enun-
ciato. La contraddizione richiede la ricerca di una nuova
sintesi, e cos via - non all'infinito, ma sino a quando si
sia interamente spiegato, per quanto possibile, ci che
si adduce inizialmente come principio . E bisogna aggiun-
gere un'altra cosa: per Fichte non pensabile una semplice
alterit: l'altro, il diverso, compare sempre come contrad-
dittorio, e solo in un secondo momento, ad analisi avviata,
ci si rende conto del carattere quantitativo della oppo-
sizione, ci si accorge, cio, che ogni termine limita e deter-
mina l'altro; dall'astratto rapporto dei contraddittori na-
scono cos - ed uno degli aspetti pi discutibili, e arbi-
trari, del procedere fchtiano - figure logiche e psicologi-
che ben determinate: le altre categorie (sono privilegiate
quelle di relazione: sostanza, causa e reciprocit) e le fun-
zioni della mente. In alcuni luoghi, e per taluni accenni,
si ha l'impressione che, in questo procedimento, Fichte si
sia per qualche cosa ispirato allo scritto kantiano s;.ille gran-
ezze negative; ma non c' alcun elemento che faccia di
questa qualche cosa di pi che una ipotesi. Quello che
certo che il metodo di procedere per antitesi di contrad-
dittori era stato espressamente criticato da Kant, nel capi-
tolo sull'ideale trascendentale della Ragion pura. Non
questo il luogo per tentare un commento di quelle dense
pagine kantiane: baster dire che, per il filosofo di Kinigs-
berg, quel metodo aveva senso solo a patto di presupporre
16 Fich1e e il primo idealismo

un essere supremo di cm tutti gli altri oggetti fossero


soltanto semplici limitazioni: Ma tutto questo non im-
porta l'oggettiva relazione di un oggetto reale con altre
cose, sebbene quella dell'idea con concetti, e ci lascia in
una perfetta ignoranza circa l'esistenza di un essere di cos
eccezionale preminenza . Si gi detto che, secondo Fichte,
l'autocoscienza nella forma dello io io un vero e
proprio fatto di coscienza; egli poteva perci reputare di
aver trovato quell'uhi consistam di ui Kant rilevava la
mancanza. Ma, senza star qui a discutere se il suo assunto
fosse o no fondato, rimane che egli si consapevolmente
servito di una tecnica dimostrativa che era quella della on-
tologia scolastica.
Ed ben pi che uno scambio di battute agrodolci quello
che si ebbe tra Kant e Fichte negli ultimi giorni del 1797.
Kant, confermando a Fichte di aver ricevuto un pacco di
sue pubblicazioni, si scusava di non avergli risposto prima,
e concludeva: Mi impegno, in futuro, a essere pi sol-
lecito, tanto pi che, nei Suoi scritti pi recenti, ho visto
che il Suo eccellente ingegno si manifesta con una esposi-
zione viva, e insieme accessibile a tutti - e ci perch Lei
ha ormai percorso tutto Io spinoso sentiero della scolastica,
e non trover necessario di tornare a volgervi ancora gli
occhi . Quello di Kant era un complimento ambiguo; egli,
malgrado ripetute sollecitazioni, si era sempre astenuto dal
dare un giudizio sulla filosofia teoretica di Fichte; e ora,
lodandone gli ultimi scritti (che, per mancanza di specifica-
zioni, si potrebbero individuare solo per ipotesi), lo invi-
tava indirettamente a non insistere sulla dialettica dei con-
traddittori, una dialettica che, tra l'altro, suscitava anche
le perplessit del giovane Herbart. La risposta di Fichte,
datata 1.1.1798, tradisce, pur nelle frasi ossequiose, una
certa irritazione, e conclude: E non ho ancora la minima
intenzione di dar congedo alla scolastica. La coltivo con
gusto, senza fatica, ed essa consolida e aumenta la mia for-
za . E poco dopo, nelle lezioni sulla Dottrina della scienza
nova methodo, Fichte avrebbe, dalla cattedra, accusato Kant
di avere, con la seconda edizione della Ragion pura, tra-
dito l'idealismo trascendentale . proprio sul metodo
La teoria trascendentale della conoscenza 17

della deduzione che avviene la frattura tra il maestro della


filosofia critica e colui che, per alcuni anni, si era conside-
rato il continuatore e il perfezionatore di essa; frattura
che divenne pubblica quando, nell'agosto 1799, Kant di-
chiar di considerare la dottrina della scienza un sistema
del tutto insostenibile .

4. La teoria trascendentale della conoscenza

Fichte, pur difendendo la sua propria scolastica, era ben


convinto (e lo si gi detto) che la sua fosse la vera e
propria filosofia trascendentale. E non era privo di argo-
menti. Il movimento che egli descriveva non era, per lui,
una deduzione da un Essere (Dio) presupposto, n una
ascesa ad esso attraverso una dialettica del finito, ma l'in-
treccio di due opposte direzioni dell'animo umano:
l'una, ispirata dalla riflessione , porta avanti tutte le
possibilit del rapporto contraddittorio io-non io; l'altra,
ispirata dalla immaginazione, ha senza che ce ne sia co-
scienza posto un sostrato ai termini contrapposti - ha
reso possibile, cio, un rapporto autentico di forze: Sen-
za l'azione reciproca di forze che si tengono reciproca-
mente in equilibrio non ci sarebbe alcuna figura stabile, ma
una eterna lotta dell'essere e del non-essere, che noi non
potremmo neppure pensare . Non si perdano di vista le
ultime parole: con esse Fichte ha voluto mettere in evi-
denza quale componente interviene a rendere pensabile
il processo logico-dimostrativo; , come si visto, l'imma-
ginazione, e, ad essa collegata, l'intuizione. Sotto la dialet-
tica io-non io, e a dare ad essa una direzione e un signi-
ficato, c' il problema di spiegare la rappresentazione ,
di mostrare, cio, come il non-io influisca sull'io, e insieme
come esso non sia che un prodotto necessario della attivit
dell'io. Il che da una parte un limitare il ruolo della ri-
flessione , ma dall'altra un assegnarle una funzione del
tutto determinante. Per dirla con linguaggio non fichtiano:
18 Fichte e i I primo idealismo

c' un largo settore di inconscio che viene portato alla


luce solo dal procedere della riflessione, l'attivit sepa-
rante e intellettualistica per eccellenza; anche ci che com-
pare come urto (Anstoss), come la resistenza che si
oppone alla attivit dell'io, e che fa sorgere la necessaria
illusione (ma una illusione necessaria una credenza, o
una fede) nell'oggetto, suscettibile di illustrazione me-
diante uno schema logico. E i momenti astratti della analisi
sono l'espressione delle leggi necessarie di un essere ra-
zionale - di un essere che tende a divenire Dio , che
per non potr mai diventarlo, e rester sempre finito
o intelligente , legato cio ai procedimenti del pensare
discorsivo, bisognoso sempre di un oggetto . Ed pro-
babilmente questo che spiega perch Fichte, soprattutto
nella I e II parte della Dottrina della scienza 1794, si sia
sforzato - complicando cos massicciamente la sua espo-
sizione - di collegare con il processo logico la dedu-
zione delle categorie, ciascuna delle quali sembra comparire
come l'espressione di un punto nodale dello svolgimento
logico stesso. Se contro Kant egli ritorce l'accusa di pro-
cedere rapsodico , difficile convenire che la sua pro-
pria deduzione sia davvero necessaria . Eppure egli non
poteva evitare questo tentativo, di mediare la generale pen-
sabilit logica con la descrizione della struttura pensante
dell'essere finito.
L'io intelligente, o rappresentante , viene distinto senza
equivoci da quello posto assolutamente per se stesso :
la natura e il modo del rappresentare in generale sono
certamente opera dell'io; ma che in generale l'io sia rap-
presentante non opera dell'io, bens determinato da
qualcosa al di fuori dell'io . Non ricompare, cos, quel dua-
lismo contro il quale Fichte cos polemico? E questo
sforzo di definire i limiti del soggetto non in con-
trasto con quella argomentazione di tipo apagogico che
permette, da un principio acquisito come fatto di coscienza,
di costruire un intero sistema metafisico? Si pu non es-
sere convinti (e gi i contemporanei non lo furono) della
perfetta congruenza di tutte le parti del sistema fichtiano,
ma non si pu negare che il filosofo abbia cercato di ri-
La teoria trascendentale della conoscenza 19

spandere alle domande che si sono proposte. Per quanto


riguarda la seconda egli sostiene (e lo si gi accennato
nel paragrafo precedente) che il p.rocesso deduttivo non e
mai completo e definitivo; chiarita una determinazione, o
una serie di determinazioni fondamentali, si riapre l'anti-
tesi ad opera di una potenza superiore (per qualche
mese anche Fichte civett col linguaggio schellingiano):
il processo non potr mai essere chiuso. Quella unione di
io e non-io, soggetto e oggetto, essere e pensare che si
verifica con l'atto di autocoscienza un che di originario
e di autonomo, ma non di assoluto nel senso maggiore
del termine; assoluto solo in quanto non determinato
da altro. Nella polemica contro Bardili, per esempio, Fichte
rimprovera a costui di aver voluto trasformare un pensare
originario (Urdenken) in un essere originario (Ursein),
mostrando di aver dimenticato che il problema proprio
quello del termine di collegamento tra soggettivo e ogget-
tivo, dell'atto libero con il quale il pensiero pu (e non
deve) diventare oggetto a se stesso. Pensare il pensiero
non d, mai, tutto il pensiero, e tanto meno tutto l'essere,
cos come l'analisi di un triangolo determinato permette
di ricavare assiomi e leggi validi per tutti i triangoli, ma
non tutti i possibili triangoli; si illuderebbe il geometra
se credesse di aver l, realmente, tutti i triangoli possibili
solo perch egli ha in mente le determinazioni fondamentali
di essi, e si illuderebbe il filosofo trascendentale se, dal-
l'atto fondante la sua autocoscienza, pensasse di costruire
tutta la catena dell'essere. Non ci sono dubbi, beninteso,
che di questa catena ciascuno di noi sia un anello, e Fichte
del resto lo ripete molte volte; ma, appunto, solo un anello,
il cui carattere specifico di non potersi mai identificare
con l'intero se vuol conservare il proprio carattere, quello
che lo fa essere.
E per quanto riguarda la prima domanda, Fichte non si
distacca sostanzialmente da ci che aveva detto Kant, pur
accentuando la polemica contro la cosa in s, che per lui
non ha realt alcuna , una mera invenzione . Non
resta che dar la parola al filosofo: Condizione dell'anto-
coscienza - si legge nel Diritto naturale - una causa-
20 Fichte e il primo idealismo

lit dall'esterno, in conseguenza della quale stata posta


una certa costituzione del corpo, e, in conseguenza di que-
st'ultima, una certa organizzazione. del mondo sensibile. Per-
ci, anzitutto: se dev'essere possibile la coscienza, il mondo
sensibile deve esser fatto proprio cos, deve essere in que-
sto rapporto al nostro corpo, e nel mondo sensibile non
c' naturalmente altro da ci che in relazione al nostro
corpo; per noi esiste soltanto ci che risultato di questo
rapporto. Non si dimentichi che questa argomentazione
da intendersi solo in senso trascendentale. cos signi-
fica che lo dobbiamo porre in quel modo: e poich dob-
biamo porlo in quel modo, esso cos . Ci deve, insomma,
essere un esterno, ma esso non pu che presentarsi nella
dimensione dell'oggetto, in quanto ci che compare come
altro dall'io compare pur sempre all'io. Basta leggere, per
chiarire questo punto, la solenne dichiarazione della Dot-
trina della scienza 1794: Questa dottrina della scienza
resta, nel suo pi profondo intimo, trascendentale. Essa
spiega, vero, ogni coscienza con qualcosa che esiste indi-
pendentemente da ogni coscienza, ma non dimentica di con-
formarsi, anche in questa spiegazione, alle sue proprie leggi;
e non appena essa vi rifletta sopra, quel qualcosa di indi-
pendente diventa a sua volta un prodotto della sua pro-
pria facolt di pensiero, e quindi qualcosa di dipendente
dall'io, nel senso che deve esistere per l'io . Ma ci, si
affretta a chiarire il filosofo, non significa che l'altro
venga vanificato, ridotto a un mero prodotto della co-
scienza: Se ci che dapprima stato posto come indi-
pendente divenuto dipendente dal pensiero dell'io, l'in-
dipendente non per questo soppresso, ma solo spostato
pi in l , e anche in un processo all'infinito esso non
verrebbe mai eliminato.
Malgrado il suo atteggiamento critico nei confronti di Kant
non sembra che, su questo punto, l'atteggiamento di Fichte
sia molto diverso da quello del fondatore del criticismo;
ci che egli chiama, nel passo citato, l'indipendente si
presenta come una materia ordinabile e non ancora ordi-
nata, proprio come il sensibile kantiano. E la cosa tanto
pi singolare in quanto Fichte vien considerato, di solito,
L'intersoggettivit 21

colui che seppe passar oltre le ultime esitazioni kantiane,


e che fece sparire l'ultimo resto di oggettivismo; il che
senza dubbio esatto se ci si riferisce alle ripetute afferma-
zioni sulla attivit ideale come la fonte unica sia del pen-
siero che del mondo dell'esperienza; lo molto meno, in-
vece, se si va a vedere come queste due sfere si articolino
tra di loro: non si trover altro che un continuo rimando
all'azione reciproca - il che spiega poi l'aspirazione di
Schelling, di costruire una filosofia della natura che si po-
nesse accanto a quella dell'io.

5. L'intersoggettivit

Se, nella sua delineazione di una teoria trascendentale della


conoscenza, Fichte , in fondo, cos poco originale, pro-
babilmente perch questo tema, malgrado le sue insisten-
ze, non lo interessava davvero. Finch si resta nella pro-
spettiva del soggetto determinato, la limitazione origi-
naria non suscettibile di spiegazione; ma tale prospet-
tiva non l'unica possibile; gi Kant, nella Critica del
giudizio, aveva affiancato, al meccanicismo colto dall'intel-
letto, il finalismo in grazia del quale la ragione non si li-
mita a spiegare l'esperienza, ma ne fa un sistema unitario;
e Fichte, per parte sua, si dichiarava in grado di dimo-
strare l'unit del mondo, e la necessit di tutti gli og-
getti determinati nella natura, e la loro classificazione ne-
cessaria . Che solo i suoi lettori avessero pazienza! Ma
neanche quest'ultima tematica lo interessava troppo. Ci
che gli stava a cuore, invece, e su cui egli dette un contri-
buto originale, i che si potrebbe definire la sua teoria
della interpersonalit. Qui egli, conformemente alle ten-
denze pi profonde del suo pensiero, subordin il cono-
scere all'operare, e vide il mondo non come la sede nella
quale convivono, l'uno accanto all'altro, enti razionali e og-
getti privi di ragione, ma come l'intrecciarsi delle finalit
razionali di esseri liberi, come un tutto che riceve il suo
significato dalla perfettibilit del genere umano.
22 Fichte e il primo idealismo

Si gi pi volte ricordato che a costituire il soggetto


l'atto libero con il quale esso pone s a se stesso, un atto
di autocoscienza; ora l'ente razionale non pu porsi come
tale, con autocoscienza, senza porsi come individuo, come
uno tra una pluralit di esseri razionali, che egli ammette
fuori di s cos come egli ammette se stesso . Sulla indivi-
dualit in Fichte come fondamento di un'etica concreta
stato scritto uno dei pi bei libri della pur ricca lettera-
tura fichtiana, quello di G. Gurwitch (1924), nel quale,
tra l'altro, si insiste sul contrasto tra if carattere origina-
rio e pertanto irrazionale del soggetto etico, e il vo-
lerlo far derivare dal puro io, o dalla ragione in generale.
A dare spessore teorico al libro del Gurwitch non tanto
il suo manifesto riattaccarsi alla tematica del Rickert (e
della sua scuola) quanto il fatto che I'omne individuum est
ineffabile esprime una delle idee pi radicate del periodo
nel quale Fichte scrisse e oper; il periodo nel quale, prima
e soprattutto dopo la rivoluzione francese, si guarda al-
l'educazione come a ci che serva non a livellare, ma anzi
a esaltare le peculiarit di ciascuno, e si scoprono i carat-
teri originari e tipici delle nazioni e dei raggruppamenti
sociali. verissimo che anche Fichte fu estremamente sen-
sibile a questa tematica; ma anche vero che l'idea di un
piano universale ( W elt plan) nel quale ciascuno abbia
il suo posto dette un carattere tutto speciale al suo rico-
noscimento della individualit. Perch il problema su-
scettibile di due soluzioni molto diverse. Una fu quella che
si ritrova in taluni dei primi discepoli romantici di
Fichte, verso la fine del XVIII secolo: l'individualit libera
ci che si sottratto alla tutela della morta natura ,
e che si affidato al libero gioco delle forze, e al rischio
che ne deriva; la natura regolarit, legge, e l'uomo libero
arbitrio che si sottrae alla regola, anche se non pu sot-
trarsi alle conseguenze delle proprie azioni (il motivo della
nemesi ). L'altra vede invece l'armonia a monte, e non
a valle dello svolgersi degli eventi: c' un'opera da realiz-
zare, e questa consta a sua volta di singoli compiti - ci
che peculiare il compito, non l'individuo che lo rea-
lizza - ; anzi, toccando un tema delicato come quello del-
L'intersoggettivit 23

l'immortalit dell'anima, Fichte arriv a dire che l'uomo,


in quanto tale, non ha affatto il diritto di pretendere una
sopravvivenza individuale: essa spetta solo a coloro che
hanno saputo assolvere compiti importanti nella economia
dell'universo.
Tutti questi temi non vengono alla luce, in forma esplicita,
nei luoghi nei quali, tra il 1794 e il 1798, Fichte espose la
sua teoria della interpersonalit; ma sembrato opportuno
farvi riferimento per mostrare le implicazioni del problema.
Anche Fichte distingue l'agire umano dalla causalit natu-
rale: il primo non pu essere conosciuto attraverso l'espe-
rienza in quanto non lecito salire dagli effetti alle cause
libere di essi. Non questa la strada per la quale si pos-
sa giungere a porre altri esseri razionali. Ma accanto al
rapporto causale, scrive Fichte gi nel 1794, c' quello
dell'agire e pensare secondo ragione; e l'uomo vuole
necessariamente non solo realizzare questo concetto, ma an-
che vederlo realizzato fuori di s: tra i suoi bisogni c'
anche che siano dati fuori di lui enti razionali a lui simili .
Come in altri casi, anche qui Fichte ha voluto dare le
premesse che mancavano a una celebre dottrina kan-
tiana, quella del regno dei fni . Kant aveva parlato della
unione sistematica di diversi enti razionali sotto leggi
comuni , ma non aveva dedotto la pluralit degli enti
razionali. E c', nello sfondo, un altro tema kantiano, quello
del sommo bene ; perch, come spiega Fichte, l'uomo
tende alla completa armonia con se stesso , e la sua aspi-
razione non pu essere soddisfatta se essa non trova qual-
che cosa che le corrisponda nel mondo esterno . Fichte
non pensa, bene chiarirlo subito, alla felicit che si
aggiunga alla virt , ma a un regno degli spiriti ,
cio a un incontro di potenzialit spirituali, stimolantesi e
confermantesi a vicenda. E ci viene teorizzato sia nel 1796
(Diritto naturale) che nel 1798 (Dottrina morale): l'agire
libero, prodotto dell'autocoscienza, pu essere limitato solo
da un agire che sia al suo stesso livello (e del resto senza
limitazione non ci sarebbe autocoscienza). Tale limitazione
non un ostacolo morto, che, come tale, o sarebbe inesi-
stente (in una prospettiva di idealismo radicale) o sarebbe
24 Fichte e il primo idealismo

insuperabile (in una prospettiva di radicale realismo), ma


da intendersi, al contrario, come un invito, o una intima-
zione (Aufforderung), la quale si rivolge a me come essere
libero. arrivata fino a noi l'accusa che gi i contempora-
nei rivolsero a Fichte, quella di egoismo (oggi si direbbe
solipsismo): come pu il soggetto che fonda se stesso
uscire da s, riconoscere gli altri? E proprio per rispondere
a questa critica Fichte integra, anzi, quasi rovescia la sua
precedente teoria: Io devo trovarmi - egli dice - come
oggetto determinato, e poich io sono io solo in quanto
sono libero, devo trovarmi libero, devo esser dato a me
come libero, per strano che ci a prima vista possa sem-
brare . Ci che prima era un prodursi adesso un
esser dato - ma per Fichte ci non significa affatto
una perdita di libert, perch si tratta non di un rapporto
meccanico tra cose, ma di un contatto tra esseri liberi:
Io non posso comprendere questa esortazione all'autono-
mia senza attribuirla a un ente reale estraneo a me, il quale
mi voglia comunicare un concetto, dell'azione esortata, ap-
punto, e che quindi sia in grado di avere il concetto del
concetto; un tale ente per razionale, un ente che pone
se stesso come io, e quindi un io. Io pongo me contro
questo ente razionale, e lui contro di me; il che per signi-
fica che io pongo me come individuo in relazione a lui, e
quello come individuo in relazione a me. Il porsi come
individuo cos condizione dell'io autocosciente. Si pu
dunque dimostrare rigorosamente a priori che un ente ra-
zionale non diventa razionale nell'isolamento, ma che bisc-
gna ammettere, fuori di lui, almeno un individuo il quale
lo devi a libert . O, per citare una frase anche pi fa-
mosa: L'uomo, e tutti gli esseri finiti in generale, diventa
un uomo solo tra gli uomini; e poich egli non pu esser
altro che un uomo, e non esisterebbe affatto se non lo fosse,
ci devono allora essere uomini, e ce ne devono essere pa-
recchi [ ___ J. Il concetto di uomo non pertanto il cohcettu
di un singolo (che impensabile) ma il concetto di un
genere -
Soprattutto negli ultimi anni si voluto vedere in Fichtt
l'iniziatore di quella tematica che, attraverso Feuerbach,
La svolta religiosa 25

arrivata sino alla filosofia contemporanea; la tematica del


prossimo (Mitmensch) come presenza essenziale per ia
realizzazione della mia stessa umanit. A scanso di equi-
voci, bene dire subito che il genere ( Gattung) di
Fichte ha molto poco a che fare con quello di Feuerbach: !ii
definisce come una comunanza di spiriti, non come un
rapporto di esseri corporei il cui bisogno reciproco trova
la sua illustrazione pi tipica nel richiamo dei sessi (prirr:a
di Feuerbach, a sfruttare teoricamente questa attrazione
erano stati i romantici). Se non un precursore di Feuer-
bach, e di quelli che a costui si sono ispirati, Fichte pure
il pensatore che fece, di quel motivo della socievolezza che
proprio di quasi tutta l'etica settecentesca, un rigoroso
problema teorico, da risolvere, come si visto, a priori .

6. La svolta religiosa

Gi da quanto si detto ci si pu rendere conto che la


teoria della interpersonalit non pu esser vista solo come
un riconoscimento dell'altro (anche se questo l'aspetto
che, per le sue implicazioni giuridiche e politiche, pu pre-
sentare un interesse pi immediato); essa offre piuttosto
l'avvio a quella riflessione sul regno degli spiriti alla
quale Fichte stava per dedicarsi quando esplose la po-
lemica sull'ateismo . Regno degli spiriti voleva signi-
ficare teologia speculativa, o filosofia della religione, che
avrebbe dovuto, secondo le sue intenzioni, chiudere il
sistema.
Dagli accenni che si trovano su questi argomenti prima del
1798 si ha l'impressione che Fichte anche qui si ispirasse
largamente al precedente kantiano - solo che Dio non
avrebbe pi dovuto essere solo un postulato soggettivo :
si doveva dimostrare che senza l'idea di Dio non possi-
bile all'uomo raggiungere il gran fine che gli viene pro-
posto dalla ragione . Ma le vicende del 1798-1799 fecero
di quella che avrebbe potuto essere una pacifica, e tutto
sommato scolastica, conclusione, un argomento dibattuto
da Fichte con amarezza e passione. Oggi quasi nessuno
26 Fichte e il primo Idealismo

degli studiosi accetta pi che quella di Fichte dopo il 1800


venga considerata una filosofia del tutto diversa da quella
precedente; e, di fatto, non impossibile dimostrare che
non esiste incompatibilit tra la Dottrina della scienza del
1794 e quella, per esempio, del 1804; ma la questione
non soltanto del contenuto delle dottrine, ma anche del
modo con cui queste vengono esposte; e la svolta religiosa
che si manifest nel pensiero di Fichte al passaggio tra i
due secoli non era stata annunziata nelle opere e nelle
lettere precedenti, anche se certi temi si possono gi indi-
care nei suoi scritti anteriori all'incontro con la filosofia
kantiana. E poi, non si tratta soltanto di una svolta reli-
giosa: ritenere che, per reagire a coloro che lo accusavano
di essere ateo, Fichte abbia spostato il centro della sua
riflessione dall'io all'Essere significa ridurre un travaglio
teorico estremamente serio a una reazione epidermica, se
non addirittura opP.ortunistica.
Fichte aveva - ed ebbe sempre - un senso altissimo della
sua missione di pensatore; la sua dottrina della scienza,
con le teorie che ne derivavano, era, ai suoi occhi, il si-
stema filosofico destinato ad accompagnare e a illuminare
l'inizio di una fase nuova, quella decisiva, della storia del
genere umano: non un caso che egli abbia posto, come
datazione di uno dei suoi primi scritti: nell'ultimo anno
delle antiche tenebre. Egli non poteva pertanto essere
indifferente al destino della sua dottrina: la capacit di
assimilarsela era anzi, ai suoi occhi, la prova della matu-
rit (se non addirittura dell'onest mentale) di singoli indi-
vidui e di tutto l'ambiente. Nei primi anni di Jena egli si
esaltava - in forme talvolta ingenue - quando vedeva
l'aula colma di uditori, e si sentiva oggetto dell'ammira-
zione degli studenti. Tanto pi violenta fu quindi la sua
reazione quando non solo i suoi antichi avversari (teologi
ortodossi, kantiani scolastici, filosofi popolari) lo attacca-
rono con rinnovato vigore, approfittando di qualche sua
frase infelice, ma anche uomini come Lavater (il teologo
di Zurigo) e Jacobi, del cui parere egli faceva tanto conto,
mostrarono di ritenere che l'ateismo, anche se non inteso
nel senso volgare, fosse l'esito necessario della sua filoso-
La svolta religiosa

fa; quando Goethe gli mostr una freddezza che rasen-


tava l'ostilit, e poco dopo, i suoi discepoli pi brillanti,
i fratelli Schlegel e Schelling, ruppero apertamente con
lui. L'ultimo anno delle antiche tenebre durava molto
di pi del previsto, e l'epoca si mostrava molto pi imper-
meabile alle sue dottrine di quanto egli avesse creduto.
Non del tutto naturale, in questo sfondo, la scelta di una
nuova forma di esposizione letteraria? Fichte annunzi
spesso di essere l per dare alle stampe una nuova tratta-
zione della sua Dottrina della scienza, ma, pur avendo ela-
borazioni manoscritte gi molto avanzate, non vi si risolse
mai; e ci fu chi volle vedere in questo la prova che egli
era ben consapevole della incongruenza tra le sue antiche
dottrine e le nuove, e che voleva nasconderla agli occhi
del pubblico. Ma a un uomo - diciamolo pure - sicuro
di s quale era Fichte questo non poteva nemmeno venire
in mente. La spiegazione del perch, dopo le accuse di
ateismo, egli abbia pubblicato solo scritti di tono popo-
late un'altra, e lo stesso Fichte la espose in tutte let-
tere in certe pagine del suo Avviamento alla vita beata.
Come spiegare, egli si domanda, certi fraintendimenti e
certe defezioni se non ammettendo che la dottrina della
scienza era stata studiata solo formalisticamente, con l'in-
telletto o la fantasia, ma non con tutto l'animo? Il movi-
mento corretto della mente che vuol cogliere la verit
muove dalla vita, assume forma scientifica e formale ( in-
differente al contenuto ) e poi torna alla vita. Se si fa
per consistere tutta la flosofa solo nel secondo momento,
come stupirsi che il significato pi profondo di essa vada
perduto? Ci che caratterizza il popolare , al contrario,
l'insistenza sul contenuto, al quale deve corrispondere
una forma degna, anche se non scientifica nel senso
stretto del termine. E, nel giustificare questo metodo,
Fichte giunge fino al punto di definirlo naturale , men-
tre quello scientifico artificioso . L'esposizione scien-
tifica, egli spiega, libera la verit dagli errori che la cir-
condano - ma il filosofo deve evidentemente gi avere la
sua verit, se si sforza di dimostrarla. E come potrebbe
giungere ad essa se non guidato da un senso naturale
28 Fichte e il primo idealismo

per la verit (natiirlicher Wahrheitssinn) che in lui si


manifesta con pi forza che negli altri suoi contemporanei?
Questo stesso senso per la verit viene postulato negli
altri, e ad essi ci si rivolge senza ricercare altri ausili,
esponendo puramente e semplicemente la verit come essa
per s, e senza stare a contrapporla all'errore: il di-
scorso popolare presuppone un uditorio senza pregiudizi,
e una natura spirituale in s sana, anche se non educata.
E come pu il filosofo aver dubbi che il naturale senso per
la verit sia sufficiente a condurci alla conoscenza del vero
quando egli stesso, almeno in un primo tempo, non
giunto a questa conoscenza per altra via? . E a scanso di
equivoci Fichte ribadisce: Noi qui non esprimiamo opi-
nioni, ma vogliamo pensare davvero .
Questa teorizzazione del 1806; ma queste idee, come
ha dimostrato R. Preul in un libro del 1969, erano ben
radicate in Fichte prima che l'incontro con gli scritti di
Kant imprimesse una svolta al suo pensiero; e vi si accen-
nato qui perch esse possono servire a intendere meglio
il primo degli scritti popolari di Fichte, la Destinazione
dell'uomo. Il filosofo ha parlato di quest'opera con toni
che rivelano tutta l'importanza che le attribuiva: ho
guardato pi in profondit nella religione di quanto non
abbia mai fatto, scriveva alla moglie; e a Schelling, dopo
aver detto che le proposizioni sulle quali allora (nel dicem-
bre del 1800) rifletteva non derivavan dai principi
finora noti del trascendentalismo , e che esse implicavano
una ulteriore estensione della filosofia trascendentale, an-
che nei suoi principi dichiarava: Questi principi pi
ampi io non li ho ancora potuti elaborare scientificamente;
i cenni pi chiari su questo argomento si trovano nel terzo
libro della mia Destinazione dell'uomo . Si deve pertanto
evitare di considerare questo scritto un trattato di edifi-
cazione morale; esso, piuttosto, un avanzato tentativo
di elaborazione teorica, in linguaggio popolare , di spunti
antichi, sui quali Fichte era tornato a riflettere a partire
almeno dal 1798 - elaborazione che fu senza dubbio
precipitata e determinata dalle polemiche sulla natura di
Dio e della religione.
La svolta religiosa 29

Esteriormente, la Destinazione dell'uomo divisa in tre


libri, intitolati Dubbio , Sapere , Fede . Ciascuno
di questi corrisponde a un momento, sia pure molto sti-
lizzato, e ridotto a categoria concettuale, della storia inte-
lettuale di Fichte: la sua giovanile adesione al fatali-
smo , e la crisi che ne era seguita, la scoperta della filo-
sofia critica, con la prima elaborazione della dottrina della
scienza, e infine il nuovo sistema che cominciava ora a
delinearglisi. soprattutto sulla terza parte che converr
dire qualche cosa.
Nel paragrafo precedente si accennato alla intimazione;
questo termine ora quasi scomparso, senza che sia ve-
nuto meno, per, il movimento che esso voleva esprimere:
solo che in luogo dell'altro, c' adesso una verit alla
quale io posso dare o no la mia adesione. L'organo che pu
darla viene definito convinzione o fede , e viene
dal sentimento con cui ci si dispone all'azione (Gesinnung)
e non dall'intelletto. Avrei potuto, sottilizzando senza
freno, rendere incerta e oscura la naturale vista del mio
spirito. Mi sono dato ad essa con libert perch ad essa
mi son voluto dare. [ ... ] Ho rimesso me, con libert e
coscienza, nella prospettiva nella quale la mia natura mi
aveva abbandonato. Faccio mio esattamente ci che essa
afferma, ma non perch vi sia costretto: lo credo perch lo
voglio . La intimazione era stata la trasposizione, nel.
regno degli spiriti, di quell' urto che, nella prima ste-
sura della Dottrina della scienza, aveva espresso l'azione
del non-io sull'io. Ora ogni forma di determinazione esterna
viene meno - e c', in suo luogo, la scelta volontaria di
ci cui la mia natura mi destinerebbe, ma cui io non potrei
mai giungere senza un atto di volont - mentre l'intel-
letto mi porterebbe, semmai, in tutt'altra direzi.one. Que-
sta contrapposizione tra volont e intelletto uno dei punti
sui quali si appoggi, a suo tempo, la lettura irraziona-
listica di Fichte. Ora, Fichte non irrazionalista se questo
significasse che egli neghi una congruenza razionale dei
fenomeni spirituali: non gli venne mai meno la fede in un
ordine dell'universo; n egli nega l'efficacia critica dell'in-
telletto. il quale, per, solo in grado di vanificare l'er-
30 Fichte e il primo idealismo

rare, non di dare la verit, per giungere alla quale occorre


il volere e l'azione, non la speculazione. Si pu parlare di
irrazionalismo, invece, se si intende che Fichte rifiuta una
motivazione razionalmente calcolata della scelta, o una co-
genza logica che si imponga alla libert etica. Aderire alla
verit perch la si conosce significherebbe che noi siamo
la coscienza che la natura ha di se stessa, e nient'altro ;
n ammissibile prima dare un'occhiata al piano univer-
sale, e poi, dopo aver guardato, calcolare quale sarebbe il
mio compito . Si tratta, invece, di scegliere perch
la volont l'elemento operante e vivente nel mondo della
ragione . Ma la volont serve ad assumere il proprio po-
sto in un ordine, non nel negarlo, in un ordine che preesi-
ste all'uomo anche se esso, prima di volere, non pu nem-
meno conoscerlo. L'atto di nascita di me stesso la voce
della coscienza che a ciascuno assegna il suo compito spe-
cifico; essa il raggio col quale noi usciamo dall'infinito,
e siamo collocati come enti peculiari e particolari; essa
traccia i confini della nostra personalit ; muovendo
da questa esperienza interiore che l'uomo pu giungere
al riconoscimento degli altri, che vengono per, adesso,
colti non pi direttamente, ma attraverso la mediazione
della nostra comune fonte spirituale .
Gi alla luce di queste frasi ci si pu spiegare il tono esal-
tato, da visionario , che si ritrova in certe pagine di
questo scritto; nel quale Fichte annunzia anche una pros-
sima trasformazione della natura, che sta ora opponendo
le ultime resistenze all'opera legislatrice dello spirito, non-
ch della vita associata, nella quale quelle curiose asso-
ciazioni che sono gli stati esistenti cederanno il posto ai
veri stati . La prospettiva di un rinnovamento radicale
della vita terrena non lo induce per a vedere in questa
la cornice ultima e definitiva dei destini umani: se ci fosse
solo la vita terrena - egli argomenta - la libert sarebbe
superflua, in quanto a un certo momento il fine sarebbe
raggiunto, e si sarebbe allora condannati a un arresto dello
slancio, a una ripetizione di ci che gi accaduto. Come
Herder, nelle Idee per la filosofia della storia dell'umanit,
aveva indicato in altri pianeti la prosecuzione della vita
La " seconda filosofia 31

della nostra terra, cosl Fichte parla ora di una vita ultra-
terrena che assicuri alla volont sempre nuovi fini. Sono
probabilmente queste le pagine che facevano sorridere
Wilhelm van Humboldt - ma non sarebbe giusto spie-
garle con una sorta di autoindotta esaltazione religiosa.
Quella di Fichte una reinterpret:!zione speculativa della
dottrina ortodossa dell'immortalit, che ne fa qualche cosa
di sostanzialmente diverso; non si consiglia di sacrificare
questa vita a un'altra vita, ma si dilata questa vita al di l
dei limiti che la struttura fisica della terra (e dei 5uoi
abitanti) sembra assegnarle. Del terreno non si nega nulla,
ma nulla di esso posto come definitivo. Il che non privo
di una sua logicit: di un mondo finito, per grande che
sia, si possono sempre toccare i confini, e il cerchio - rap-
presentante il movimento della mente - allora condan-
nato a chiudersi per non riaprirsi mai pi. La nostra
mente, e il nostro stesso essere di soggetti finiti, hanno
bisogno di determinazione per esistere come individui, ma
quando questa determinazione fosse completa la definizione
pi pertinente del soggetto non sarebbe il libero slancio,
ma la rotella di una macchina. Quanto pi a uno dei capi
della catena dell'essere ci si determina, tanto pi all'altro
capo ci deve essere qualche cosa di assolutamente inde-
terminabile (per la mente umana, beninteso); e questo
pensiero, che domin gran parte della sua riflessione, fu
esposto da Fichte in forma particolarmente efficace in una
lettera a Schelling del 31.5.1801: Ogni individuo un
quadrato razionale di una radice irrazionale, che ha sede
nell'insieme del mondo spirituale; e l'intero mondo spiri-
tuale di nuovo il quadrato razionale di quella radice irra-
zionale che identica alla luce immanente, cio a Dio .

7. La seconda filosofia

Si citato, poco sopra, un passo di una lettera a Schelling


(del 27.12.1800) nel quale Fichte diceva di riflettere su
argomenti che non derivavano dai principi finora noti del
32 Fichte e il primo idealismo

trascendentalismo . L'indicazione di estremo interesse,


in quanto dimostra come Fichte fosse ben consapevole de-
gli elementi nuovi che stavano entrando nel suo pensiero.
Verso la inet del secolo scorso il vecchio hegeliano .T. E.
Erdmann osserv che Fichte aveva aggiunto una parte
nuova al suo sistema, e che ne aveva cos spostato defini-
tivamente il centro; in questo c' un nucleo di verit, an-
che se oggi, come si gi detto, quasi nessuno accetta pi
la tesi di Erdmann che in questo modo si sarebbe rotta la
continuit del pensiero fchtiano; a provare la quale ci
sono non soltanto esplicite dichiarazioni del filosofo (che
di per s non sarebbero argomento sufficiente), ma l'insi-
stenza e la tenacia con la quale, anche se in un contesto
e in un linguaggio diverso, egli si sforz di portare avanti
l'antico discorso. D'altra parte, difficile negare che se si
conoscessero, di Fichte, solo le opere che egli scrisse dopo
il 1801, si sarebbe avuta, della sua filosofia, una tutt'altra
immagine.
Il primo elemento di novit (se si vuole, il pi estrinseco)
che si parla sempre meno di io e di soggettivit
autocosciente e sempre di pi di sapere e di sapere
assoluto . Il secondo, assai pi importante, che ora
compare Dio come essere assoluto, una formula che, an-
cora nel 1799, Fichte aveva respinto: In termini pura-
mente filosofici si dovrebbe parlare di Dio in questo modo:
esso (copula logica) non un essere, ma un puro operare
(vita e principio di un ordine cosmico sovrasensibile) ,
aveva scritto allora. Adesso, invece, egli pone un Essere
(Sein), di cui l'esistere (Dasein) e quelle forme peculiari
di esistere, che sono la coscienza e il sapere, sarebbero la
estrinsecazione e la rivelazione; e qualche volta egli
dice anche che esse sono lo Ausfluss (che il termine tec-
nico con cui i mistici tedeschi avevano reso emanatio) di
Dio, pur polemizzando in forma esplicita e vivace contro
l' emanatismo. Per quanto riguarda quest'ultimo punto,
non detto che ci sia necessariamente una contraddizione:
quando respinge l'emanatismo Fichte vuol criticare la teo-
ria, diffusa tra i romantici, che lo intende come un processo
di degradazione dell'essere, dal quale trae origine il mondo
La cc seconda filosofia 33

del finito. Anche Fichte ritiene che le forme nelle quali il


finito si manifesta siano il risultato di una scissione del-
l'assoluto , ma questa scissione, se necessaria, non
l'unica possibile: quella che interessa il genere umano reca
in s un elemento essenziale di libert, ed caratterizzata
dalla riflessione e dalla coscienza. L'errore contro' il quale
egli vuol mettere in guardia quello (che, non importa qui
stabilire con quanta ragione, egli attribuiva a Schelling)
di sottrarsi all'oggettivismo volgare, quello che crede nella
realt delle cose , gettandosi in un altro oggettivismo,
negatore di ogni differenza tra Essere ed Esistere, tra, la
Vita e le forme di essa. Il risultato che, credendo di es-
sere gi giunti all'Essere (mentre si rimasti nell'Esistere),
ci si astiene dal cercarlo, e s1 rimane quindi permanente-
mente separati da esso.
Ma come mai Fichte mette in primo piano, adesso, il pro-
blema dell'Essere? W. Wundt, sulla base di una sua sug-
gestiva interpretazione dello svolgimento metafisico
della filosofia classica tedesca, descrive il corso del pensiero
fchtiano come un continuo risalire dal condizionato alla
condizione. M. Guroult, in un altro quadro interpretativo,
dice una cosa analoga: il procedimento di Fichte stato,
fin dall'inizio, un cerchio per il quale il principio pone
le leggi della riflessione, e queste leggi rendono possibile
il principio ; ma il principio di cui si parla (l' io sono
io ) resta arbitrario e ipotetico ( se io sono, io sono io ),
a meno che non si trovi il modo di appoggiarlo a un prin-
cipio che indipendente da ogni supposizione . E si po-
trebbero citare altri studiosi, anche recentissimi, che dnno
indicazioni analoghe.
Anche i pensatori che si ritengono pi originali restano
legati, molto pi di quanto non siano disposti ad ammet-
tere, al passato della filosofia, cio alla coerenza sistematica
della tradizione; e pu darsi benissimo che Fichte sentisse
a un certo punto il bisogno di risalire dal condizionato alla
condizione - egli che aveva esordito con l'io proprio per-
ch riteneva dogmatico prender le mosse dall'Essere.
Ritengo per che a spingerlo in questa direzione sia stato
non soltanto una esigenza di completezza formale, quanto
34 Fichte e il primo idealismo

un motivo pili profondo: nel criticare il falso oggettivismo


dei contemporanei (filosofi popolari e romantici) egli os-
servava che essi scambiavano (come si detto) la vita pre-
sente per la vera vita, e soffocavano cos il bisogno di libe-
rarsi dalla prima - per questo che l'epoca presente viene
da lui definita quella della completa peccaminosit ;
una filosofia che fa dell'uomo, di questo uomo, il fine su-
premo e il metro di valutazione dell'universo non pu che
portare alla paralisi di tutte le forze, speculative e morali,
e condanna all'isolamento egoistico gli individui, e alla
rovina le nazioni.
Proprio per liberare da questo errore, insieme teoretico e
morale, i contemporanei, Fichte ha bisogno di un termine
di riferimento pi alto della coscienza, un termine dal quale
quest'ultima possa essere geneticamente ricavata, e per-
ci stesso limitata e definita. Egli elabora cos una costru-
zione a prima vista paradossale, ma non priva di una sua
fondamentale coerenza: anche quando sembra perdersi
senza ritorno nella filosofia speculativa, in una metafisica
dell'essere o dell'uno, Fichte ha di mira la fondazione del-
l'esistere e del finito; e non per arrestarvisi, ma per inse-
rirlo in una sorta di economia cosmica, in una catena del-
l'essere nella quale il finito e il fenomenico possano scor-
gere la loro destinazione, che la morte, e il trapassare
nell'assoluto. Le sfere del teoretico e del pratico, della filo-
sofia e della vita, che dapprima erano sembrate divaricarsi
e opporsi, tendono adesso a confluire. Il Guroult ha detto
che ora l'interesse speculativo subordina a s quello etico;
ma si potrebbe dire forse qualche cosa di pi, che cio la
religione e la scienza possono superare l'eticit in
quanto la radice della vita terrena veduta nella vita
divina.
Si gi detto che l'esistere il rivelarsi, il fluire dell'es-
sere, e che quest'ultimo genera il finito per scissione; di
scissioni, per, propriamente parlando, ce ne sono due:
quella che Fichte chiama infinita (unendliche Spaltung
o anche Zerspaltung), una sorta di esplosione vitale gene-
rante una infinit di individui, irripetibili e non deducibili
a priori, e quella che egli chiama anche neue Spaltung, e
La seconda filosofia 35

che si articola in cinque momenti corrispondenti alle tappe


di una ideale educazione filosofica: empirismo, criticismo,
vera eticit, religione, scienza; al di qua e al di l di questa
quintuplice forma c' necessit; all'interno di essa c'
invece libert. Ben lungi dal vedere la libert in uno slan-
cio vitale, Fichte la attribuisce soltanto alla situazione nella
quale, in forme diverse, la riflessione introduce una distin-
zione tra soggetto e oggetto, e si sforza poi di elaborare
una legge che tolga il contrasto delle diverse libere for-
ze . Ma la quintuplice forma non solo questo: essa,
che deve mettere ordine nell'esperienza, non pu esserne
ricavata, e pu essere solo dedotta a priori.
Ci sono, insomma, due situazioni: una la presenza onto-
logica, la quale condizione dell'esistere, e l'altra la presa
di coscienza di tale presenza, nella forma di immagine e di
concetto. La distinzione tra le due sfere non vale per Dio,
ma solo per noi, come conseguenza della nostra limita-
tezza ; la ricerca della radice comune dell'infinito esistere
avviene nell'ambito del pensiero, e del pensiero come cate-
goria, non come soggetto pensante: Pensare io dico, e
non, per esempio, pensante, come se ci fosse una morta
natura alla quale il pensare inerisce . Come unico l'es-
sere, cos unico il puro pensiero; esso che, con lo
strumento del concetto, trasforma in oggettivo e stabile ci
che si era manifestato come puro movimento - e sotto
questo rispetto si pu affermare che il concetto il vero
creatore del mondo: del mondo, beninteso, del fenome-
nico e del finito. Si tratta dunque di una ripresa della let-
tura fenomenistica del criticismo? Tutt'altro il proposito
di Fichte - e per convincersene converr citare le frasi
con le quali egli illustra e commenta questo pensiero; l'oc-
chio umano, egli spiega, un prisma dal quale l'etere inco-
lore esce colorato, il che non significa che esso sia colo-
rato; e lo stesso vale per il mondo spirituale: Ci che
tu vedi, sei eternamente tu stesso, ma tu non sei come
tu vedi, n vedi come tu sei [ ... ]. Elevati al di sopra di
queste apparenze, al pensare, fatti afferrare da lui; e d'ora
in poi solo a lui attribuirai fede . Come l'essere uno,
eppure si manifesta come scorrere infinito, cos il pensare
36 Flchte e Il primo Idealismo

ordina il molteplice, ma per condurre alla negazione di


esso: c' un processo prima espansivo e poi contrattivo,
una rivelazione dell'uno e poi una sorta di fenomenologia
dello spirito che insieme purificazione della coscienza;
al sapere subentra il contemplare e l'amare: l'amore,
fonte della verit e della certezza, anche la fonte della
perfetta verit nell'uomo reale. Perfetta verit scienza:
ma l'elemento della scienza la riflessione. E quando que-
st'ultima diventa c;hiara a se stessa come amore dell'asso-
luto [ ... ] ecco che essa giunge alla pura, oggettiva verit.
Gi i contemporanei parlarono di platonismo per definire
la filosofia del tardo Fichte, e nelle lezioni di Erlangen
come in quelle di Berlino se ne trovano segni non equi-
voci - anche se Fichte, secondo il suo costume, si richia-
m assai raramente al filosofo greco, e noi non sappiamo
cosa di lui abbia letto, n quando. Accanto a questo recu-
pero platonico si trova anche, nel Fichte berlinese, un
esplicito richiamo a uno dei pi famosi testi del pensiero
cristiano, l'esordio del Vangelo di Giovanni. Se si guar&-,
alla cultura dell'ambiente, verrebbe da dire che questo at-
teggiamento di Fichte non ha nulla di eccezionale: sono
gli anni nei quali non soltanto escono importanti opere
su Platone, come quella del Tennemann, collega di Fichte
a Jena, ma nei quali gli esponenti della giovane generazione
filosofica, da F. Schlegel a Schleiermacher, da Hegel a
Schelling, si richiamano alla profondit della speculazione,
e magari della dialettica platonica contro l'intellettualismo
della filosofia del tardo Settecento; e sono anche gli anni
nei quali le tendenze irreligiose e immoralistiche del primo
romanticismo vengono rapidamente lasciate cadere, proprio
perch nella religione non si vede pi un mero supporto
della morale tradizionale, ma un deposito di verit che
toccano l'essenza dell'uomo, e che bisogna riportare alla
luce. Per, se tutto ci poteva essere abbastanza ovvio per
i personaggi che si sono citati, i quali, fin dall'inizio della
loro riflessione, avevano, sia pure in forme molto diverse,
contrapposto la ricchezza del pensiero e della vita antichi
alla piattezza della mentalit contemporanea, lo era molto
meno per Fichte, che si era mosso sul terreno della filosofia
La seconda filosofia 37

postkantiana onde svilupparla e portarla a compimento.


Per mancanza di testimonianze impossibile stabilire in
maniera sicura se a spingerlo in questa direzione sia stato
il commercio intellettuale con gli Schlegel, nei primi mesi
del suo soggiorno berlinese, o il desiderio di affrontare
Schelling con le sue stesse armi - o se su di lui siano
tornati a farsi sentire spunti che egli poteva aver ricavato
da un Lessing, o da altri autori della sua prima giovinezza.
Come che sia, nel 1806, nell'Avviamento alla vita beata,
questo recupero dei filosofemi platonico-cristiani viene
espresso in forma molto suggestiva, e in aperta polemica
contro gli epigoni dell'illuminismo, ancora cos numerosi
nell'ambiente berlinese: Non che la nostra dottrina sia
in s nuova e paradossale. Tra i greci, Platone su questa
via. Il Cristo del Vangelo di Giovanni dice esattamente
le stesse cose che noi insegnamo e dimostriamo; e lo dice
persino con la stessa terminologia di cui noi ci serviamo .
Si tratta di una antichissima dottrina, rinnovata an-
che pi tardi, di epoca in epoca , la quale adesso sembra
cos nuova e stravagante solo perch nell'Et moderna
( Fichte si riferisce in tutte lettere alla rinascita delle
scienze e alla riforma protestante) si voluto leggere alla
rovescia il libro della natura e della conoscenza . Noi
- egli conclude - siamo i veri successori degli antichi,
con la differenza che noi vediamo chiaramente ci che per
essi rimase oscuro .
Che la sua filosofia debba affrontare i temi che una volta
formavano il contenuto della metafisica e della ontologia
cosa di cui Fichte ora del tutto consapevole. Ma si
torna cos al punto sul quale tante volte gli interpreti si
sono affrontati: cosa resta della filosofia trascendentale in
questo impianto metafisico ? La novit molto minore
di quanto non possa sembrare a prima vista. Nella Dot-
trina della scienza 1794 Fichte aveva scritto: Se la dot-
trina della scienza dovesse avere una metafisica, una pre-
sunta scienza delle cose in s, si dovrebbe indicarla nella
parte pratica di essa. Questa soltanto parla di una realt
originaria . A scanso di equivoci, conviene precisare su-
bito che la parte pratica non aveva nulla a che vedere
38 Fichte e il primo idealismo

con la morale; essa mostrava, piuttosto, come ogni realt


debba essere posta assolutamente dall'io , come questo
fosse l ' originario oltre il quale non si poteva andare.
Dieci anni dopo, nei Lineamenti dell'epoca presente, si
legge: Non il mero percepire, ma il pensare muovendo
da se stesso il primo elemento della religione; con la
nostra espressione scolastica " metafisica ., (che in tedesco
vuol dire il sovrasensibile) si definisce l'elemento della re-
ligione ; e poco sotto si dice che metafisica si pu
rendere, in latino, con a priori. Il pensare muovendo da
se stesso , l' a priori sono senza dubbio degli origi-
nari - e pertanto Fichte non ha cambiato nulla della
sua concezione della metafisica. Ma, si dir, la realt ori-
ginaria (lo Urreales) adesso Iddio, e non il soggetto auto-
cosciente. Senza dubbio, ma non si dimentichi che prender
le mosse direttamente da Dio per l'uomo del tutto impos-
sibile. Dio s originario in s, ma non lo per noi se
non in via mediata, in quanto, cio, noi abbiamo superato,
mediante la fede e l'amore, il fattuale , cio l'intuizione
immediata con la quale ci eravamo trovati . L'intuizione,
e la riflessione che la accompagna (senza la quale ultima
non ci sarebbe autocoscienza), sono - prima e dopo che
io sappia della emanatio divina nella quale sono inserite -
un atto originario, libero, che qualifica il genere umano e
lo differenzia da tutti gli altri infiniti esistenti. E poi, se
nel sapere e nell'amore annichilata la soggettivit fat-
tuale, non che venga annullata la funzione che essa eser-
cita: solo perch partecipa della natura divina che il
nostro, umano, pensiero universale, ed in grado di uni-
ficare il molteplice. La metafisica fichtiana - non
un paradosso - si propone di fondare definitivamente la
sintesi a priori: una volta posto che da Dio scaturisce sia
il pensare che la infinita molteplicit degli oggetti sulla
quale il pensiero deve scorrere per l'eternit , facile
spiegare (per la comunanza di origine) come il pensare
possa ordinare il molteplice, non solo, ma come le leggi che
esso elabora siano insieme soggettive e oggettive: sogget-
tive perch a priori e non derivate dalle cose, oggettive
Conclusione 39

perch corrispondenti alla natura di queste. Soluzione che


dimostra, tra l'altro, quanto grande sia stata l'influenza di
Leibniz sul primo idealismo tedesco.

8. Conclusione

I giudizi sulla seconda filosofia di Fichte sono ancor


oggi molto diversi - il che non pu stupire, in quanto
essa vanifica lo schema storico, non privo, tutto sommato,
di una sua comodit, che vedeva in Fichte l'idealista sog-
gettivo destinato a preparare la strada al pi maturo idea-
lismo di Schelling e di Hegel; come vanifica anche l'altro,
di un Fichte sempre razionalista, unico degno erede dei
Lumi e del criticismo nel periodo delle torbide filoso-
fie romantiche (tesi, quest'ultima, sostenuta da un grande
studioso come X. Lon).
Quello che gi fin d'ora dovrebbe essere chiaro che non
pi possibile inserire il pensiero del secondo Fichtc
(come quello del secondo Schelling) in uno schema
meramente evoluzionistico, in cui essi figurino come una
sorta di riflessione epigonale, di uomini che erano rimasti
indietro rispetto al movimento dello spirito , o che
addirittura erano usciti di strada, perdendosi in quelli che
Heidegger ha chiamato Holzwege, cio sentieri che non
conducono a nessuna meta. I tre grandi pensatori del-
l'idealismo tedesco sono, in fondo, dei contemporanei.
vero che Fichte mor nel 1814, Hegel nel 1831 e Schelling
nel 1854; ma il saggio Sull'io come principio della filosofia
di Schelling usc quasi contemporaneamente alla terza parte
della Dottrina della scienza 1794; il sistema berlinese di
Fichte venne elaborato negli anni nei quali Hegel racco-
glieva i materiali per la Fenomenologia dello spirito; i corsi
di lezioni che Fichte tenne nel 1812-1814 (e pubblicati
postumi) sono contemporanei alla stesura dei primi due
volumi della hegeliana Scienza della logica; dopo il 1809
Schelling non pubblic quasi pi niente, pur scrivendo e
mandando addirittura in tipografia opere che poi ritirava a
40 Fichte e il primo Idealismo

stampa gi iniziata; il canale di comunicazione del suo


pensiero era per, negli anni venti, l'insegnamento univer-
sitario, a Erlangen prima, e poi, soprattutto, a Monaco di
Baviera: ebbene, queste sue lezioni sono contemporanee
alle ben pi celebri che Hegel teneva a Berlino, e al radi-
cale rimaneggiamento cui questi sottopose, per l'edizione
del 1827, la Enciclopedia delle scienze filosofiche. Queste
osservazioni non sono, naturalmente, una novit: gli stu-
diosi hanno spesso (soprattutto negli ultimi anni) ricer-
cato i rapporti polemici tra uno scritto e l'altro dei tre
pensatori, dimostrando, per esempio, che in quella pagina
Fichte ha voluto rettificare Schelling, o Schelling criticare
Hegel; ma non si andati, purtroppo, molto pi avanti di
queste indicazioni, e si trascurata completamente una
ricerca di tipo sinottico; tutta l'attenzione caduta sui
motivi di divergenza, dimenticando la larghissima base co-
mune, che pure esisteva.
probabilmente esatto dire che il primo idealismo, quello
che si pu chiamare trascendentale, e che Fichte e Schel-
ling elaborarono nello scorcio del XVIII secolo, fu sotto-
posto, nel nuovo secolo, a una rielaborazione critica, sia
da parte di Hegel (che per la verit gli era sempre rimasto
piuttosto estraneo) sia da parte di Fichte e di Schelling.
Il carattere comune di tale rielaborazione lo sforzo di re-
cuperare la tematica metafisica, prima attraverso Leibniz
(non a caso tanto lodato sia da Fichte che da Schelling),
poi riattaccandosi al filone maestro, dai greci sino a Spi
noza. Le accuse di voler restaurare una scolastica, e d1
combattere contro il senso comune, o la ragione critica,
con armi tratte dall'arsenale del passato, furono gi, come
ovvio, rivolte dai contemporanei. S. Maimon, per esem-
pio, giudicava il filosofare di Fichte pi un gioco dell'im-
maginazione che un procedimento metodico dell'intelletto
e della ragione, e J. F. Fries, nel recensire la hegeliana
Scienza della logica, la definiva una metafisica redatta
con metodo dogmatico ; per quanto riguarda Schelling,
tra le invettive e le condanne ci sarebbe solo la difficolt
della scelta. La generazione che si affacciava alla vita intel-
lettuale intorno al 1830 tent, invece, un collegamento tra
Conclusione 41

la filosofia e le grandi vicende dell'epoca; e, riprendendo


spunti che si erano gi manifestati alla fine del Settecento,
venne naturale collegare il primo idealismo alla rivoluzione,
e alla restaurazione o alla reazione quello successivo; dopo
Kant, il quale, secondo la nota frase, decapit lddio ,
e il Fichte repubblicano e ateo del primo periodo, venne
Hegel, che rivalut speculativamente il cristianesimo, e il
mistagogo Schelling, il rievocatore dei misteri . Sono
formule non prive di fascino, e che hanno avuto un grande
successo, fino ai nostri giorni; ma, a giudicare storica-
mente, bisogna convenire che riducono ad assai poco un
movimento di pensiero infinitamente pi complesso e ric-
co - e che, quanto all'autore di cui ci stiamo occupando,
esse non permettono una esatta collocazione di gran parte
della sua produzione intellettuale.
Come risulta dall'elenco di titoli e di date che si fornito,
proprio il periodo posteriore al 1800 quello nel quale
si sono compiutamente dispiegati i grandi sistemi dell'idea-
lismo classico tedesco, e si fatto il gigantesco tentativo di
uscir fuori. dai confini, neanche tanto ben tracciati, della
filosofia critica, e dalle discussioni di quegli epigoni che
erano i kantiani per riattaccarsi al filone maestro della
tradizione filosofica occidentale. Il che - oggi lo si pu
dire - era anche, in parte, un ritorno; sia Fichte che Schel-
ling, prima dell'incontro con il pensiero critico, avevano
gi riflettuto su molti dei temi che saranno, nella ultima
parte della loro storia intellettuale, al centro della loro
riflessione: l'ordine del mondo, il rapporto tra libert e
necessit, una forma di convinzione nella quale trovas-
sero soddisfazione sia le istanze della ragione che quelle
del sentimento, per Fichte, e il mito, e una verit origina-
ria, per Schelling. L'incontro con Kant sembr, per qual-
che anno, indurli a mettere tra parentesi questa proble-
matica, ma quanto pi avanzava il lavoro in vista della
costruzione di un sistema completo del sapere, tanto pi
essi furono indotti a riprenderla, arricchita e modificata
dalla grande esperienza teorica attraverso la quale erano
passati. E poich Kant aveva spezzato (o sembrava aver
spezzato) la continut con le logiche, le ontologie, le teo-
42 Fichte e Il primo Idealismo

logie dell'illuminismo, non restava che rifarsi alle fonti


- e in esse si trov, non senza il senso di una esaltante
scoperta, che ci che si pensava adesso era la esplicazione
di problemi antichissimi, era il retaggio di un pensare
speculativo che non si poteva rinnegare senza cadere
nel volgare. E, malgrado un secolo e mezzo di critiche,
non per questo che si ricercano ancora gli scritti dei filo-
sofi idealisti?
NOTA BIOGRAFICA

1762 Il 12 maggio nasce Johann ficare i giudizi del pub-


Gottlieb Fichte, a Ram- blico sulla rivoluzione
menau, in Sassonia. francese. Sposa, il 22 ot-
1774 ammesso alla scuola di tobre. Johanna Rahn. una
Pforta. uno dei grandi nipote del poeta Klop-
istituti educativi della stock. R3dige la recen-
Germania di allora. sione allo Aenesidemus
1780 Si iscrive all'universit di di G. E. Schulze, libro nel
Jena come studente in quale si traevano conse-
teologia. Negli anni se- guenze scettiche dalla fi-
guenti frequenta anche, losofia kantiana.
per qualche tempo, l'uni- 1794 Il 18 maggio inizia le le-
versit di Lipsia. zioni all'universit di Je-
1788 Precettore a Zurigo. na. Pubblica Sul concet-
1790 Inizia, nell'agosto, la let- to della dottrina della
tura degli scritti di Kant. scienza (il programma
1791 Si presenta a Kant, a Ko- col quale. secondo i co-
nigsberg. Kant lo aiuta stumi dell'epoca, si pre-
a pubblicare il suo pri- sent al mondo acca-
mo libro (che vedr la demico), la Fondazione
luce nell'anno seguente) dell'intera dottrina della
Saggio di una critica di scienza, nonch Alcune
ogni rivelazione. lezioni sulla destinazione
1793 Scrive la Rivendicazione del dotto.
della libert di pensiero 1796 Esce il Fondamento del
e il Contributo per retti- diritto naturale; il secon-
44 Fichte e li primo idealismo

do volume di esso sar di Erlangen, ove insegn


pubblicato l'anno succes- senza molto successo al-
sivo. cuni 111esi.
1798 Esce il Sistema della dot- 1806 Nel n6vembre abbandona
trina morale. Nell'estate Berlino, minacciata dalle
inizia la polemica sull'a- truppe francesi, e segue
teismo (Atheismusstreit). la corte e il governo
1799 Dimissioni forzate, il 29 prussiani prima a Kii-
marzo, dalla cattedra di nigsberg, e poi a Me-
Jena. Si reca a Berlino. mel.
1800 Pubblica la Destinazione 1807 Torna, alla fine di agosto,
dell'uomo e lo Stato com- a Berlino. Il 13 dicembre
merciale chiuso; proget- incomincia a pronunzia-
ti, poi non realizzati, di re, uno alla settimana, i
una grande rivista criti- Discorsi alla nazione te-
ca cui avrebbero dovuto desca.
collaborare anche Schel- 1810 Si apre l'universit di
ling e gli Schlegel. Berlino; nominato pro-
1801 Rottura con Schelling. fessore e preside della
1801- Tiene, a Berlino, numero- facolt filosofica.
1802 si corsi di lezioni priva- 1811 Eletto rettore; conflitti
te, frequentati dal mon- con gli studenti e con il
do intellettuale della cit- senato accademico. Sono
t. Importanti, tra questi, di questi anni importanti
la Dottrina della scienza corsi di lezioni (I fatti di
1804 (pubblicata postu- coscienza, li rapporto
ma), i Lineamenti de/l'e- della logica con la filo-
poca presente e l'Avvia- sofia, e altri) pubblicati
mento alla vita beata, pub- postumi.
blicati nel 1806. Nomi- 1813 Conferenze patriottiche e
nato, il 9 aprile 1805, politiche.
professore all'universit 1814 Muore il 29 gennaio.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

curata dal figlio, stata ristam-


1. Repertori bibliografici pata nel 1924, nel 1962, e, in
veste economica, nel 1971 (e-
H. M. BAUMGARTNER - W. G. ditore De Gruyter, Berlino).
JACOBS, Fichte-Bibliographie, Werke. scelta in 6 voll. curata
Stuttgart-Bad Cannstatt, 1968. da F. Medicus, Leipzig, 1908-
Eccellente, e molto ampia, la 1911, ristampata nel 1920-1925
scelta bibliografica in L. PA- e poi, a Darmstadt, nel 1962.
REYSON, Fichte, Grande An- Gesamtausgabe, dell'Accade-
tologia Filosofica , voi. XVII, mia delle scienze di Monaco
Milano, Marzorati, 1971, pp. di Baviera, sotto la direzione
890-902. di R. Lauth; incominciata
a uscire nel 1962, com-
prender probabilmente oltre
2. Principali edizioni delle 50 volumi, ed divisa in
opere tre sezioni: opere pubblicate
dallo stesso Fichte, opere po-
stume, epistolario. Reca intro-
Sammt/iche Werke, in 8 voll., duzioni storiche e apparato cri-
Berlin, 1845-1846; Nachge/asse- tico (Editore Frommann, Stoc-
ne Werke, in 3 voll., Bonn, carda).
1834-1835; questi tre volumi Per le lettere l'edizione fonda-
di scritti postumi vengono mentale il Briefwechse/, a
spesso citati come il 9, 1O, 11 cura di H. Schulz, in 2 voll.,
delle opere; questa edizione, Leipzig, 1925, seconda edizione
46 Fichte e il primo Idealismo

accresciuta, ivi, 1930; ristampa ti dall'epistolario Fichte-Schel-


Hildesheim, editore Olms, 1967. ling in appendice ad A. MAS-
SOLO, Il primo Schelling, Fi
Traduzioni italiane (in ordine renze, Sansoni, 1953, pp. 149-
cronologico, secondo la data 179.
della redazione dell'originale):
Rivendicazione della libert di
pensiero, a cura di L. Pareyson,
Torino, Chiantore, 1945; Sulla 3. Letteratura su Fichte
rivoluzione francese, a cura di
V. E. Alfieri, Bari, Laterza, 1966
e 1974; Dottrina della scienza, Biografia: F. MEDICUS, Fichte's
a cura di A. Tilgher, Bari, La- Leben, Leipzig, 1922; X. LON,
terza, 1910, nuova ediz. rivedu- Fichte et son temps, 3 voli.,
ta da F. Costa, ivi 1971; Sulla Paris, 1922-1927, seconda ediz.,
missione del dotto, a cura di ivi, 1954-1959.
V. E. Alfieri, Padova, Cedam,
19535; a cura di E. Cassetti, Opere straniere: K. FISCHER,
Bari, Laterza, 1967'; Prima in- Fichte's Leben, Werke und
troduzione alla dottrina della Lehre, Heidelberg, 1869, quar-
scienza, a cura di L. Pareyson, ta ediz., ivi, 1914; X. LON, La
in Rivista di filosofia , 1946, phi/osophie de Fichte, Paris,
pp. 175-203; li sistema della 1902; F. MEDICUS, Fichte.
dottrina morale, a cura di R. Dreizehn Vorlesungen, Berlin,
Cantoni, Firenze, Sansoni, 1958; 1905; H. HEIMSOETH, Fichte,
Teoria della scienza 1798, a MOnchen, 1923; G. GURWIT-
cura di A. Cantoni, Milano,
SCH, Fichtes System der kon-
lstit. Edit. Italiano, 1959; La
kreten Ethik, Tubingen, 1924;
seconda dottrina della scienza
1801, a cura di A. Tilgher, Pa-
M. WUNDT, Fichte, Stuttgart,
dova, Cedam, 1939; La missio- 1927 e Fichte-Forschungen, ivi,
ne dell'uomo, a cura di R. Can- 1929; M. GUROULT, L'vo-
toni, Bari, Laterza, 1970'; L'es- lution et la structure de la
senza del dotto, a cura di A. Doctrine de la science chez
Cantoni, prefaz. di E. Garin, Fi- Fichte, 2 voli., Paris, 1930;
renze, La Nuova Italia, 19633; J. DRECHSLER, Fichte's Lehre
Filosofia della storia e teoria vom Bild, Stuttgart, 1955; R.
della mistica giovannea, a cu- LAUTH, Zur Idee der Transzen-
ra di A. Cantoni, Milano, Prin- dentalphi/osophie, MOnchen-
cipato, 1956; Guida alla vita Salzburg, 1965; A. PHILONEN-
beata, a cura di A. Cantoni, Mi- KO, La libert humaine dans
lano, Principato, 1950; Discorsi la pense de Fichte, Paris,
alla nazione tedesca, a cura di 1966; R. PREUL, Reflexion und
B. Allason, Torino, Utet, 19573. Gefiihl, Berlin, 1969. Da vede-
Un'ottima antologia di testi re anche il fascicolo speciale
fichtiani a cura di L. Pareyson di Archives de philosophie ,
in Grande Antologia Filosofi- dedicato a Fichte per il bicen-
ca. voi. XVII, Milano, Marzo- tenario della nascita (1962, n.
rat1, 1971, pp. 903-1114. Estrat 3-4).
Bibliografia essenziale 47

Opere italiane: E. OPOCHER, lano, Giuffr, 1958; E. SEVERI-


Fichte e il problema della indi- NO, Per un rinnovamento nella
vidualit, Padova, Cedam, 1944; interpretazione della filosofia
C. LUPORINI, Fichte e la de- fichtiana, Brescia, La Scuola,
stinazione del dotto, in Filosofi 1960 (per una vasta discussio-
vecchi e nuovi, Firenze, Sanso- ne delle tesi esposte in questo
ni, 1947, pp. 125-182; A. MAS- libro, cfr. P. SALVUCCI, Fichte
SOLO, Fichte e la filosofia, Fi- e la storiografia, in Giornale
renze, Sansoni, 1948; L. PA- critico della filosofia italiana ,
REYSON, Fichte, Torino, Ediz. 1963, pp. 208-254); P. SALVUC-
di Filosofia, 1950; L. PAREY- CI, Dialettica e immaginazione
SON, L'estetica de/l'idealismo in Fichte, Urbino, Argalia, 1963;
tedesco, Torino, Ediz. di Filoso- A. MASULLO, La comunit co-
fia, 1950, pp. 311-405; A. RAVA, me fondamento, Napoli, Libre-
Studi su Spinoza e Fichte, Mi- ria Scientifica, 1965.
TESTI

1. Lettera a F. V. Reinhard (15.1.1794)

La scoperta del principio fichtiano della fine del 1793; una


delle prime formulazioni scritte di esso si trova in questa let-
tera al Reinhard, alto dignitario ecclesiastico sassone, al quale
Fichte dedic la seconda edizione del Saggio di una critica di
ogni rivelazione.
(Da Briefwechsel, I, pp. 325-326).

Lo Enesidemo ha tolto gli ultimi dubbi alla mia convinzione


che la filosofia, nella sua situazione attuale, non sia ancora,
affatto, una scienza; e ha invece rafforzato l'altra, che essa
possa davvero diventare scienza, e che lo debba diventare pre-
sto. Ho inviato una recensione di quel libro alla Allgemeine
Literaturzeitung , e La prego di leggerla, e di farmi cortese-
mente sapere la Sua opinione sui cenni che ivi ho dato. Essa
accenna, per quanto possibile nei ristretti limiti di una re-
censi~ne, alle nuove prospettive dalle quali io guardo ora alla
questione. Lo scettico avr sempre partita vinta finch si re-
Testi 49

ster attaccati all'idea di una connessione della nostra cono-


scenza con una cosa in s, la quale, del tutto indipendente da
essa, debba avere realt. Uno dei primi fini della filosofia
pertanto quello di dimostrare palpabilmente la vanit di una
tale idea. Si limiti, all'inizio, la filosofia a una conoscenza me-
diata del non-io mediante l'immediatezza dell'io; ed ecco che,
almeno provvisoriamente, sar pi che probabile che - muo-
vendosi il nostro spirito, per quanto noi possiamo ricavare dal-
l'osservazione, secondo regole - esso possa orientarsi in gene-
rale secondo regole, e che il sistema di tali regole, che prima o
poi dovr essere realizzato, si possa esporre in un modo valido
per tutti i tempi. Fondare una filosofia come scienza univer-
salmente valida deve essere o possibile o impossibile. Se non
possibile, tale impossibilit deve poter essere dimostrata,
come, per esempio, si pu ben dimostrare l'impossibilit di
una scienza naturale empirica compiuta e perfetta; ma, se
invece possibile, bisogner pure che si possa formularla. Ne-
gare questa possibilit perch finora non si riusciti a realiz-
zarla mi sembra proprio come se, prima della invenzione della
geometria come scienza, quando verosimilmente un sistema pro-
blematico ha sempre di nuovo scalzato l'altro (come suc-
cesso finora per la filosofia) qualcuno avesse detto: la geome-
tria non diventer mai una scienza in quanto finora non lo
ancora diventata. E dire che non si pu mai sapere se magari
una futura scoperta demolir il nostro sistema, mi sembra pro-
prio come se qualcuno - al geometra che gli aveva dimostrato
come la somma dei tre angoli di un triangolo uguale a due
retti - rispondesse: non si pu esserne cos sicuri, poich in
futuro potrebbero ben essere scoperti triangoli i cui angoli
fossero di 170 o di 190. Ma la filosofia non pu, come la
geometria e la matematica, costruire i suoi concetti nell'intui-
zione! Benissimo, e sarebbe un bel guaio se lo potesse, perch
in questo caso noi avremmo non una filosofia, ma una matema-
tica; ma essa pu e deve dedurli, mediante il pensiero, da un
unico principio, che ciascuno sia costretto ad ammettere. La
forma della deduzione la stessa di quella che si usa in mate-
matica, in quanto quella prescritta dalla logica generale. So
bene di quanto peso sia ci che ho affermato e promesso sia
in queste righe che in quella recensione: ma non che lo
abbia fatto in modo cosl sconsiderato. Ho gi costruito lo sche-
letro del si5tema dal mio principio fondamentale, e ho trovato
so Fichte e il primo idealismo

il passaggio alla filosofia pratica. Dare una elaborazione di


quest'ultima dovr riuscire tanto pi facilmente in quanto la
forma della costruzione per essa gi presente fin dalla filo-
sofia teoretica.

2. Lettera a K. L. Reinhold (2.1.1795)

In questa lettera a Reinhold si trova esposto in forma vivace


e chiara il nucleo della Dottrina della scienza del 1794.
(Da Briefwechsel, I, pp. 477-480).

[ ... ] Mi consenta di accennar Le perch la Dottrina della scienza


sia cos incomprensibile per Lei e per quasi tutti, mentre ad
altri, per esempio, a Schiller, a von Humholdt e ai pi dei miei
uditori, essa si presenta chiara come raramente un libro
filosofico. Io penso che si tratti dello stesso motivo per il quale
lo studio degli scritti kantiani stato per Le.i cos faticoso, e
per me invece cos facile. Non attribuisca alle formule che ho
adoperato tutto quel peso che, per esempio, hanno quelle che
ha usato Lei. Si notato (e con ragione, credo) che quasi
impossibile esporre i pensieri tipici della Sua filosofia in modo
diverso da come li ha esposti Lei; il che invece non si pu
dire per i miei, e io credo anche per quelli di Kant. Si pos-
sono esporre in maniere infinitamente diverse, e non si pu
pretendere, almeno da me, che il primo modo che ho scelto per
l'esposizione sia anche il pi perfetto. Il corpo nel quale Lei
avvolge lo spirito gli aderisce fermamente; quello con il quale
lo rivesto io, poco aderente, ed facile metterselo a1\dosso.
Ci che io voglio comunicare non pu esser detto n concepito,
pu solo, invece, essere intuito; ci che io dico non deve
servire ad altro che a guidare il lettore a dar forma in s al-
l'intuizione desiderata. A chi vuol studiare i miei scritti io
consiglio di considerare le parole solo parole, e di cercai e in-
vece di entrare, in un modo o nell'altro, nella linea delle mie
intuizioni; di andare avanti a leggere, anche se non si intera-
mente capito ci che precede, fino a quando, in qualche posto,
sprizza una scintilla. La quale ultima, se egli un uomo intero
e non dimidiato, lo inserir di colpo nella linea delle mie intui-
zioni, nella prospettiva dalla quale l'intero pu essere veduto.
Per esempio, anima del mio sistema la frase: l'io pone asso
Testi 51

lutamente se stesso. Queste parole non hanno alcun signifi-


cato, n alcun valore, senza l'intuizione interiore che l'io ha
mediante se stesso - intuizione che io, conversando, ho fatto
spessissimo scaturire da uomini che non mi potevano affatto
comprendere, e che poi mi hanno capito completamente; viene
detto: che ci sia un io, e qualche cosa di contrapposto a lui,
un non-io, qualcosa che precede assolutamente tutte le ope-
razioni dell'animo; e soltanto cos diventano possibili. Non
c' alcuna spiegazione del perch l'io sia io e la cosa non-io:
questa opposizione si verifica assolutamente. (Non che im-
pariamo dall'esperienza ci che va attribuito o ci che non va
attribuito, a noi; e altrettanto poco c' un principio in base
al quale quanto sopra possa essere deiso. Invece, la diffe-
renza assoluta, e solo in grazia di essa diventano possibili
tutti i principi a priori, e tutta l'esperienza). La congiunzione
di entrambi mediante quantit, limitazione reciproca, delimi-
tazione, o quello che vuole Lei, avviene egualmente in modo
assoluto. Non c' alcuna filosofia che possa andare al di l di
queste proposizioni; ma da esse che deve venir dedotta tutta
la filosofia, cio l'intero comportamento dello spirito umano.
Quel porre originario, il contrapporre, il dividere non sono
- nota bene! - un pensare, un intuire, un percepire, un desi-
derare, un sentire etc.; si tratta dell'intera attivit dello spi-
rito umano, la quale non ha nome, non viene mai alla co-
scienza, inconcepibile; in quanto essa un che di determina-
bile mediante tutti i particolari atti dell'animo (particolari solo
in quanto formano una coscienza), ma non un che di deter-
minato. L'entrata nella mia filosofia !'assolutamente inconce-
pibile; ci che la rende cos difficile, perch il suo nucleo
pu essere aggredito solo con l'immaginazione, e non con l'in-
telletto; ma ci insieme la garanzia della sua esattezza. Ogni
concepibile presuppone una sfera pi alta nella quale con-
cepito, e quindi, :noprio perch concepibile, non il termine
ultimo. (Il cogliere anche il minimo oggetto prende forse le
mosse da qualche cosa che non sia una funzione dell'immagi-
nazione? E soltanto il cogliere di una filosofia dovrebbe muo-
vere da qualche altra cosa?).
Il problema centrale del quale la Dottrina della scienza con-
tinua a occuparsi, che nella parte teoretica risolto sino a un
certo punto, e nella parte pratica per intero, il seguente: se
l'io, originariamente, pone soltanto se stesso, come arriva a
porre qualche altra cosa, opposta a lui? Come arriva a uscire
52 Fichte e Il primo Idealismo

da se stesso? (Di questo problema, la domanda: come sono


possibili giudizi sintetici a priori? soltanto una parte; per-
ch io chiedo insieme: possibile l'antitesi?).
Ma forse ci che dir adesso indica nel modo pi chiaro i11
qual rapporto il mio sistema stia col Suo, e con quello di Kant.
Kant chiede qual il fondamento dell'unit del molteplice
nel non-io. Come riuscite a riunificare nell'unit della coscienza
A, B, C, etc. che sono gi dati? E anche Lei, mi sembra, inizia
la filosofia da questo punto. (Tra l'altro, Kant non risolve nep-
pure questo problema, di livello inferiore, da un unico prin
cipio; sussume le forme del pensiero per via euristica, indovina
soltanto le forme dell'intuizione, e dimostra con procedimento
induttivo: stato Lei a scoprire e a correggere questo errore).
lo credo che basti dirlo perch sia capito - non mi frain
tenda: proprio ci che pi facile il pi difficile da trovare;
nulla era pi ovvio dell'idea kantiana di prender le mosse dal
soggetto, e pure ci son voluti millenni prima che qualcunJ
vi pensasse - ; dunque, basta dirlo perch sia capito che quel
problema ne presuppone un altro, di livello superiore: com'
che voi arrivate ad A, B e C? Ci sono dati, il che in buon
tedesco equivale a dire: non lo sapete. Va bene: e allora .:>
dimostratemi che perch voi non lo potete sapere, oppure,
finch non lo saprete, non parlatemi della filosofia come scienza.
A suo tempo noi ci proponiamo di ricercare come voi siate
in grado di congiungere A e B etc. Ma l'A per s, e il sog-
getto, sono forse cose diverse? E come fate a congiungerle?
Una volta che sappiamo questo, il vostro secondo problema,
quello subordinato, si potr risolvere con ogni facilit; in
quanto voi senza dubbio sussumete B come avete fatto per A.
E se A soltanto nel soggetto, e voi sussumete B nello stesso
soggetto (e si dovr evidentemente far vedere come l'unit del
soggetto non venga in questo modo spezzata), allora, in tal
modo, il B senza dubbio si ricongiunge all'A. Questo fa sl
che il mio procedimento sia pi rapido e pi breve di quello
kantiano.
Ma ecco il risultato sorprendente [ ... ] : che non c', n ci pu
essere, un A che sia sussunto per primo; si risalga pure a monte
quanto si voglia, si dovr sempre presupporne uno pi alto:
per esempio, ogni intuizione verr necessariamente posta nel
momento presente; ma nessun presente possibile senza un
passato, e pertanto nessuna intuizione presente senza una in-
tuizione passata a cui essa sia collegata; e non c' cos alcun
Testi 53

primo momento, alcun inizio della coscienza. Tutto ci d


la prova di quella necessaria molteplicit del non-io che Kant
ha presupposto, e mostra perch questo grande spirito, il quale
si sicuramente spinto in quelle profondit che la dottrina
della scienza si sforza di scoprire, abbia iniziato proprio da
dove ha iniziato - ma dove noi non possiamo assolutamente
fermarci.
L'unit da me proposta ha anche questo carattere, che con
essa si riporta a unit non solo la critica della ragione specu-
lativa, ma anche quella pratica, e quella del giudizio - come
doveroso e necessario che accada. Prima di Kant e di Lei
non era possibile una dottrina della scienza; ma, per quanto
riguarda Lei, io sono fermamente convinto che se Lei avesse
elaborato il Suo sistema dopo la pubblicazione di tutte e tre
le Critiche, come ho fatto io, allora la dottrina della scienza
l'avrebbe trovata Lei. Lei avrebbe trovato l'unit in tutt ~
e tre le Critiche proprio come scopr quell'unit che nella
critica della ragione speculativa, - e che, neanche essa, era
chiaramente dichiarata - ; io faccio mia senza esitazione la
Sua proposizione della coscienza, e al riguardo tra noi non
c' alcun dissenso.
Provi un po' a vedere se Lei pu accettare la posizione che
ho esposto - ed allora noi saremo del tutto concordi anche
nella filosofia; se non pu, se la proponga almeno come ipote-
tica, e avr la migliore chiave per intendere il mio sistema.
Infine, non dimentichi che le pagine che finora ho pubblicato
lo sono state pro manuscripto ad uso dei miei ascoltatori, but-
tate gi mentre facevo lezione (in inverno ho tenuto tre corsi,
che ho dovuto preparare quasi integralmente) e mentre ero
alle prese con mille altre incombenze, le pi eterogenee; e
quando un sedicesimo era stampato, io dovevo aver gi scritto
il successivo. Sono fermamente convinto che ci che io ho in-
tuito, e in gran parte anche ci che ho pensato, sia inconfu-
tabile: ma ci che io ho detto pu, in parte, essere assai ine-
satto. Non dico questo per cercare delle scusanti. Lo scrittore
deve esprimersi in modo preciso, e non serve a niente che egli
pensi soltanto. La sola esposizione della dottrina della scienza
esige, a quanto vedo, una intera vita; e l'unica prospettiva
che sia in grado di farmi fremere - soprattutto dopo che ho
!niziato una carriera alla quale nulla mi costringeva - che
10 possa morire senza averla data.
54 Fichte e Il primo idealismo

3. Come una reale scienza filosofica si diffe-


renzia da una mera filosofia formulistica
(1796)

Le pagine che seguono sono tratte dalla Introduzione al Diritto


naturale. Di fronte ai primi fraintendimenti, in senso ideali-
stico esagerato, del suo pensiero, Fichte si sforza di definire
chiaramente il rapporto soggetto-oggetto.
(Da Samtliche Werke, III, pp. 1-6).
1. Il carattere della razionalit consiste nel fatto che l'agente
e l'agito siano una sola e identica cosa; con questa descrizione
si detto tutto l'essenziale per circoscrivere l'ambito della ra-
gione in quanto tale. L'uso linguistico ha consegnato questo
sublime concetto - per coloro, almeno, che sono all'altezza
di esso, che sono cio in grado di astrarre dal loro proprio
io - nella parola Io; e pertanto la ragione in generale
stata caratterizzata con il termine di Io autocosciente (lch-
heit). Ci che esiste per un ente razionale, esiste in lui; ma
in lui non c' niente se non per effetto di un agire su se stesso:
ci che esso intuisce, intuisce in se stesso; ma in lui non c'
niente da intuire se non il suo agire: e lo stesso io non
altro che un agire su se stesso. Non val la pena di diffondersi
in spiegazioni su questo argomento. Averlo penetrato la
condizione esclusiva di ogni filosofare, e finch non ci si
innalzati ad esso non si ancora maturi per la filosofia. Inoltre
tutti i veri filosofi hanno da sempre filosofato da questa pr0-
spettiva, per senza saperlo con precisione.
2. Quell'agire interiore dell'ente razionale avviene o necessa
riamente o con libert.
3. L'ente razionale solo in quanto esso si pone come essente,
cio in quanto esso cosciente di se stesso. Ogni essere, del-
l'io come del non-io, una determinata modificazione della
coscienza: e senza una coscienza non c' essere. Chi afferma il
contrario, ammette tacitamente un sostrato dell'io, che cio
un io debba essere senza essere un io, e contraddice se stesso.
Azioni necessarie, derivanti dal concetto dell'ente razionale,
sono pertanto solo quelle che condizionano la possibilit del-
l'autocoscienza; ma tutte queste sono necessarie, e si verificano
con la stessa certezza con la quale c' un ente razionale. L'ente
razionale pone necessariamente se stesso; esso fa pertanto ne-
cessariamente tutto ci che indispensabile al suo porsi me-
Testi 55

diante se stesso, e che contenuto nell'azione espressa da


questo porre.
4. Mentre agisce, l'ente razionale non diventa consapevole del
suo agire; egli , infatti, il suo agire e nient'altro: mentre ci
di cui diventa consapevole deve star fuori di ci che diventa
consapevole di s, cio fuori dell'agire; deve essere oggetto,
cio il contrario di agire. L'io diventa cosciente soltanto di ci
che si genera in lui in questo agire (meramente e semplice-
mente cos); e questo l'oggetto della coscienza, ovvero la
cosa. Per un ente razionale non c' una cosa diversa, e poich
si pu parlare di un essere e di una cosa solo in riferimento
a un ente razionale, una cosa di altro genere non esiste. Chi
ne parla non capisce cosa stia dicendo.
5. Questo - ci che si genera in un agire necessario, nel quale
per l'io, per la ragione indicata, non diventa consapevole
della sua azione - appare come necessario: nel rappresen-
tarlo, cio, l'io si sente costretto. E allora si dice che l'oggetto
ha realt. Il criterio di ogni realt il sentimento di dover
rappresentare qualche cosa cos come essa rappresentata. Ab-
biamo visto qual il fondamento di questa necessit: si deve
agire in questo modo se l'ente razionale deve poter essere come
tale. Pertanto l'espressione della nostra convinzione della realt
di una cosa la seguente: questo o quello come vero che
io vivo, come vero che io sono.
6. Se l'oggetto ha il suo fondamento soltanto nell'agire del-
l'io, e soltanto con esso compiutamente determinato, allora,
se ci deve essere una diversit tra gli oggetti, questa dovr
trarre origine esclusivamente da diversi modi di agire dell'io.
Ogni oggetto divenuto cos determinato per l'io perch l'io
ha agito nel modo determinato con cui ha agito; ma era ne-
cessario che esso agisse in quel modo - perch proprio quella
data azione era tra le condizioni dell'autocoscienza. Riflettendo
sull'oggetto, e distinguendo da esso il modo di agire che lo fa
essere, questo agire [cio la riflessione] - poich per la ra-
gione sopra citata l'oggetto compare non come effetto di esso,
ma come presente senza alcun intervento del (libero) io - di-
venta un mero comprendere, concepire e cogliere un dato. Giu-
stamente pertanto questo modo di agire, quando si verifica
nell'astrazione che si descritta, viene detto concetto.
7. Solo con un certo modo di agire si genera un certo deter-
minato oggetto; ma se si opera con necessit in questo modo
determinato, allora questo oggetto si avr con ogni certezza.
Il concetto e il suo oggetto non sono pertanto mai separati,
56 Fichte e il primo idealismo

n possono esserlo. L'oggetto non esiste senza il soggetto, per-


ch mediante questo che esso ; n il concetto senza l'oggetto,
in quanto esso ci mediante il quale l'oggetto si genera ne-
cessariamente. Entrambi sono una sola e medesima cosa, con-
siderata da lati diversi. Se si guarda all'agire dell'io come tale
dal punto di vista della forma, allora esso concetto; se si
guarda al contenuto dell'azione, al materiale, a ci che avviene
con astrazione dal fatto che avvenga, allora esso oggetto.
Quando si sentono certi kantiani parlare di concetti a priori
si dovrebbe ritenere che questi stiano nello spirito umano prima
dell'esperienza, all'incirca come recipienti vuoti, ad aspettare
che l'esperienza metta qualche cosa dentro di essi. Ma per
questa gente cosa diavolo mai pu essere un concetto, e come
possono esser giunti ad accettare per vera la teoria kantiana
cos intesa?
8. Come si detto, non si pu percepire n l'agire n il modo
determinato dell'agire prima di ci che ha avuto origine da
una azione. Per gli uomini comuni, e dal punto di vista della
coscienza comune, ci sono soltanto oggetti e non concetti: il
concetto si dissolve nell'oggetto, e coincide con esso. Il genio
filosofico - cio il talento di trovare dentro e durante l'agire
stesso non soltanto ci che in esso si genera, ma anche l'agire
come tale, di unificare in un concepire queste tendenze radi-
calmente opposte, e di cogliere in tal modo il proprio spirito
intento all'azione - scopr per primo il concetto dell'oggetto;
e la coscienza ricevette cos un nuovo territorio.
9. Quegli uomini dotati di spirito filosofico resero note le loro
scoperte. Non c' niente di pi facile (servendosi della libert,
e qualora non si imponga una necessit teoretica) che produrre
dal proprio spirito ogni possibile determinazione, farlo agire
arbitrariamente secondo ogni indicazione che ci possa esser
data da un altro; ma nulla pi difficile che osservarlo impe-
gnato in un agire reale, cio (secondo quanto si detto) ne
cessario, ovvero osservarlo attivo se esso nella situazione di
dover agire in questo determinato modo. Il primo procedi-
mento d concetti senza oggetto, un vuoto pensare; solo nel
secondo modo il filosofo diventa spettatore di un reale pensar::
del suo spirito.
Il primo una arbitraria contraffazione dei modi di agire ori-
ginari della ragione compiuti da altri - poich scomparsa
la necessit, che sola d ad essi significato e realt; l'ultimo
soltanto la vera osservazione della ragione nel suo modo di
procedere. Dal primo prende origine una vuota filosofia for-
Testi 57

muistica, la quale crede di aver fatto abbastanza quando ha


dimostrato che si pu pensare qualche cosa senza preoccuparsi
dell'oggetto (cio delle condizioni della necessit di questo pen-
siero). Una filosofia reale presenta insieme concetti e oggetto,
e non tratta mai dell'uno senza l'altro. L'obiettivo degli
scritti kantiani fu di introdurre una tale filosofia, e di eliminare
ogni filosofare meramente formale. Non posso dire che fino
a oggi anche un solo scrittore di cose filosofiche si sia accorto
di questo obiettivo. Posso dire, per, che il fraintendimento
di questo sistema si manifestato in due diversi modi: presso
i cosiddetti kantiani nel fatto che hanno preso anche il sistema
di Kant per una filosofia formulistica, che si limitava a rove'
sciare quella precedente - per cui essi hanno filosofato altret-
tanto a vuoto di quanto si fosse fatto prima, solo dal lato
opposto; e presso scettici acuti, i quali .videro benissimo cosa
realmente mancava alla filosofia, ma non si accorsero che a
quel difetto si poteva rimediare richiamandosi, nell'essenziale,
a Kant. Il pensare meramente formale ha prodotto danni inde-
scrivibili in filosofia, nella matematica, nella fisica e in tutte
le scienze pure.

4. La libert e l'oggetto (1798)


---------~------

Il problema del rapporto soggetto-oggetto, o, come Fichte anche


dice, di io e mondo , che centrale nella rifiessione del
filosofo tra il 1794 e il 1800, viene riformulato in queste pa-
gine del Sistema della dottrina morale.
(Si riprodotta qui la traduzione di R. Cantoni, Firenze, San-
soni, 1955, pp. 94-99).
1. L'essere razionale non pu attribuirsi nessun potere di libert
senza pensare parecchie azioni reali e determinate, come pos
sibili mediante la propria libert.
L'ultima proposizione dice quel che dice la prima; esse sono
identiche. Io mi attribuisco la libert significa appunto: io
penso pi azioni tra loro diverse come ugualmente possibili
per opera mia. Per comprendere la verit di questa affermazione
basta analizzare il proprio concetto di un potere di libert.
Un potere, secondo quel che abbiam detto prima, non asso-
lutamente niente altro che un prodotto del puro pensiero, per
poter ricollegare ad esso - dato che la ragione finita pu pen-
58 Fichte e Il primo idealismo

sare solo in modo discorsivo e mediato - una realt non gia


posta originariamente bens nascente nel tempo. Chi col con-
cetto potere intende qualcosa di diverso da un tale semplice
mezzo di fr:ollegamento, non comprende se stesso. Ora qui
non si deve gi concludere dalla realt al potere, come suc-
cede di frequente in altri casi, ma il pensiero deve piuttosto
cominciare dal potere, come da un primo e immediato. Tutta-
via, anche a questa condizione, non si pu pensare il potere
senza pensare nello stesso tempo anche la realt, dato che l'uno
e l'altro sono concetti sinteticamente uniti, e senza il pensiero
di quest'ultima non si potrebbe pensare nessun potere, e, in
generale, non si potrebbe pensare nulla. Io dico esplicitamente:
la realt deve venir pensata e non gi immediatamente perce-
pita; deve esser concepita non gi come reale, se cos posso
esprimermi, ma semplicemente come possibile in virt di una
funzione meramente ideale della immaginazione. Realt per-
cepibilit, sensibilit, le quali vengon necessariamente poste,
non secondo la loro essenza ma solo secondo la loro forma:
all'Io viene attribuito il potere di produrre la sensibilit ma il
solo potere e non il fatto. Il problema di come la ragione possa
originariamente giungere a questa pura forma, lo discuteremo
a sufficienza pi oltre e lo lasciamo per ora da parte. Basti dire
che noi possiamo pensare questa forma e, mediante essa, un
puro potere.
Dobbiamo inoltre pensare qui un potere libero e niente affatto
un potere determinato, il cui modo di manifestarsi si trovi nella
sua propria natura come, per esempio, negli oggetti. Come pro-
cede l'essere razionale per pensare un tale potere libero? Noi
possiamo solo descrivere questo procedimento, e dobbiamo la-
sciare che ognuno si persuada per suo conto, per mezzo della
propria intuizione interna, dell'esattezza di questa nostra de-
scrizione.
L'Io pone se stesso - solo idealiter, solo cos esso rappre-
senta se stesso, senza essere o trovarsi cos realmente e di fatto
- l'Io si pone come un Io che sceglie tra determinazioni oppo-
ste della realt. Questo oggetto = A, che gi determinato
senza la nostra opera, potrebbe anche esser determinato = X,
o anche = - X, o anche in altro modo, e cos all'infinito; - e
l'Io s'insinua quasi dicendo a se stesso: - quale di queste
determinazioni io scelga, o anche se, in generale, io non ne
scelga nessuna, ma lasci A cos com', ci dipende soltanto
dalla libert del mio pensiero. Ma quella determinazione che
io sceglier, se io mi determino mediante la volont a produrla,
Testi 59

sorger realmente per la mia percezione nel mondo sensibile.


Solo in quanto mi pongo cos, mi pongo come libero, penso
cio la realt come dipendente dalla mia forza reale che sta
sotto il dominio del puro concetto; cosa della quale si persua-
der subito chiunque voglia pensare in modo determinato que-
sto pensiero.
Si osservi come in questo pensiero non vien pensato un deter-
minato qualcosa = X, che debba venir prodotto, ma soltanto
la forma della determinatezza in generale, e cio il puro po-
tere dell'Io di estrarre questo o quello dall'ambito dell'acci-
dentale e di proporselo come scopo.
2. L'essere razionale non pu pensare nessuna azione come
reale, senza ammettere fuori di s qualcosa a cui sia rivolta
questa azione.
Si rivolga ancora uno sguardo attento al modo or ora descritto
di pensare in modo determinato la libert. In questo concetto
io penso me stesso come scegliente, dicevo. Si rivolga adesso
la propria attenzione soltanto a questo Io rappresentato come
scegliente. Esso senza dubbio pensante, solo pensante, e gli
viene quindi attribuita in questa scelta un'attivit solo ideale.
Ma senza dubbi0 esso pensa qualcosa, sta sospeso su qualcosa
a cui legato, come siamo soliti esprimere questo rapporto;
esiste qualcosa di obiettivo, perch solo mediante una rela-
zione del genere l'Io soggettivo e ideale. Questo obiettivo non
l'Io stesso e non pu essere attribuito all'Io; n all'Io intel-
ligente, in quanto tale, perch a questo vien anzi espressamente
contrapposto, n all'Io volitivo e realiter attivo, perch questo
non affatto entrato in azione, e non c' ancora stato un atto
di volizione ma stata solo descritta la scelta per la volont.
Non l'Io e tuttavia non neppure un nulla; qualcosa (og-
getto della rappresentazione in generale, circa la cui vera realt
o percepibilit noi siamo ancora indecisi); questo significa in
altre parole: esso il Non-Io, qualcosa di esistente fuori di
me senza il mio concorso.
Questo esistente vien posto necessariamente come permanente
e immutabile in tutte le modificazioni e il potere ne vien at-
tribuito all'Io mediante il concetto della libert. Il concetto
della libert consiste nel fatto che io mi ascrivo il potere di
realizzare X oppure - X; che io, quindi, unifichi queste deter-
minazioni opposte, in quanto opposte, in un unico e medesimo
pensiero. Ma questo non possibile se nel pensiero degli oppo-
sti non vien pensato anche l'identico, come permanente nel
pensiero degli opposti, al quale si innesti l'identit della co-
60 Fichte e il primo idealismo

scienza. Questo identico altro non che ci per cui divienP.


possibile il pensiero stesso quanto alla sua forma, ossia la
relazione con l'oggettivit in generale; cio appunto quel
Non-Io che abbiamo dimostrato. Esso vien pensato come im-
mutabile in tutte le determinazioni pensabili mediante la li-
bert; poich solo a questa condizione si pu pensare la libert
stessa. quindi una materia originariamente data (posta cio
dal pensiero secondo la propria stessa forma) esistente fuori
di noi e modificabile all'infinito ci a cui si rivolge il nostro
potere di agire, ovvero ci che in esso viene mutato (quanto
alla forma) e permane tuttavia (quanto alla materia).
In conclusione: questa materia vien riferita al potere reale
di agire, come quest'ultimo, a sua volta, alla materia: e la
materia non propriamente se non il mezzo per pensare il
potere d'agire stesso. Il potere reale d'agire viene di fatto limi-
tato dalla materia al puro formare, e non pu assolutamente
n creare n annientare la materia; e perci spetta realt alla
materia stessa come a tutto ci che limita il potere reale di
agire. Esiste, fuori di noi, un oggetto reale della nostra atti-
vit. quindi provato ci che doveva esser provato.

SECONDO TEOREMA

L'essere razionale non pu neppure attribuirsi un potere di


libert, senza trovare in s un reale esercizio di questo potere
o un libero reale volere.

OSSERVAZIONE PRELIMINARE

La nostra deduzione si trova ancora nel medesimo punto da


cui cominciata. Noi ci attribuiamo un potere di libert, come
stato provato sopra. Dobbiamo ora rispondere alla domanda
come sia possibile questa attribuzione, questa aggiunta. Una
ccndizione di questa attribuzione, quella esterna, che sia cio
posto un oggetto al libero agire, stata mostrata. Ancora ri-
mane da mostrare la condizione interna, quella del nostro
proprio stato, nel quale soltanto essa possibile.
La proposizione precedente non ha bisogno di una spiegazione.
Le sue parole sono chiare, e nel caso in cui dovessero ancora
esserci ambiguit, esse verranno spiegate a sufficienza dalla
dimostrazione stessa. Che con la connessione affermata in que-
sto e in tutti i futuri teoremi si comprenda una connessione
sintetica in un unico e medesimo pensiero, e che qui, ad esem-
Testi 61

pio si dica che il potere [di libert] non pu affatto venir


pensato e non viene pensato senza che in un unico e medesimo
stato del pensante venga trovato un esercizio reale del mede-
simo [potere], cosa che deve essere presupposta da quanto
precede e sar sempre presupposta d'ora in poi.

5. Deduzione della causalit reale dell'essere


razionale (1798)

Si continua il discorso iniziato nel passo precedente, e si met-


tono in chiaro le relazioni intelletto-volont.
(Da Il sistema della dottrina morale, cit., pp. 104-109).
L'essere razionale non pu trovare in s nessuna applicazione
della sua libert, o nessun volere, senza attribuirsi nello stesso
tempo una causalit reale fuori di s.

OSSERVAZIONE PRELIMINARE

La nostra deduzione fa un passo avanti. Io non potevo attri-


buirmi alcun potere di libert senza trovarmi come volente.
Ma qui si afferma che neppure questo io posso, che io non
posso trovarmi come realmente volente senza trovare in me
anche qualcosa d'altro. Oppure, a prescindere da ci che pos-
sibile nel corso successivo della coscienza, per mezzo di una
precedente esperienza e di una libera astrazione, la coscienza
non comincia certo originariamente n con la rappresentazione
di un mero e impotente volere, n con la rappresentazione
della nostra facolt di volere in generale. Essa comincia, per
quanto ne comprendiamo finora, con una percezione del nostro
reale agire nel mondo sensibile; questo agire lo deduciamo dal
ncstro volere; e la determinatezza di questo nostro volere da
un concetto di scopo liberamente tracciato.
Appare quindi che il concetto della libert condizionato
mediatamente dalla percezione - che dobbiamo ora dedurre
- di una causalit reale, e poich quel concetto condiziona
l'autocoscienza, appare che questa autocoscienza anch'essa, a
sua volta, condizionata da quella percezione. Tutto quello,
quindi, che abbiamo finora mostrato, e tutto quello che potes-
simo ancora mostrare nel futuro, una coscienza sintetica una
62 Flchte e il primo idealismo

e identica, le cui singole parti costitutive possono certo vemr


separate nell'astrazione filosofica, ma non possono affatto venir
separate nella coscienza originaria. Baster aver ricordato ci
una volta per tutte.

DIMOSTRAZIONE

Io mi trovo volente, solo in quanto la mia attivit deve esser


posta in movimento da un determinato concetto di essa. La
mia attivit nel volere necessariamente un'attivit determi-
nata, come stato dimostrato sopra a sufficienza. Ma nella
mera attivit, come tale, come pura attivit, non vi assoluta-
mente nulla da distinguere o da determinare. L'attivit b
intuizione pi semplice: pura agilit interna e assolutamente
niente altro.
L'attivit non deve determinarsi da se stessa, tuttavia, se deve
esser possibile una coscienza in generale, deve venir determi-
nata, il che equivale a dire che essa deve esser determinata da
e mediante il suo opposto; determinata quindi dalla maniera della
sua limitatezza, e solo sotto questo aspetto pensabile un molte-
plice dell'attivit, ovvero parecchie e particolari azioni.
Ma la maniera della mia limitatezza non la posso assoluta-
mente intuire intellettualmente mediante me stesso, ma la
posso solo sentire nell'esperienza sensibile. Ma se un'attivit
deve esser limitata, e la sua limitatezza deve esser sentita, que-
sta limitatezza stessa deve esserci realmente, s'intende per me,
non in se stessa. Ora tutto ci che si pu intuire sensibilmente
necessariamente un quantum, e, per ora, solo un quantum
che riempie un momento di tempo. Ma ci che riempie un mo-
mento di tempo esso stesso un molteplice divisibile all'infi-
nito e quindi la limitatezza percepita deve essa stessa essere
un molteplice. L'Io deve ora essere posto come attivo; esso
verrebbe quindi posto come qualcosa che allontana e rompe
in una successione un molteplice che si presenta come limita-
zione e ostacolo (persino nei singoli momenti, infatti, vi
successione, perch altrimenti, dalla composizione di pi mo-
menti singoli, non sorgerebbe nessuna durata); oppure, ci che
suona Io stesso, gli si attribuirebbe una causalit in un monda
sensibile fuori di lui.

COROLLARI

1. Nel risultato della nostra indagine non bisogna trascurare


anche questo: l'intuizione intellettuale, dalla quale siamo par-
Testi 63

t1t1, non possibile senza una intuizione sensibile, e quest'ul-


tima non possibile senza un sentimento; e ci si comprende-
rebbe in modo del tutto erroneo, e si rovescerebbero addirit-
tura il senso e l'intenzione principale del nostro sistema, se
ci si attribuisse l'affermazione opposta. Ma altrettanto poco
possibile l'ultima [intuizione] senza la prima. Non posso es-
sere per me senza essere qualche cosa, e questo lo sono solo
nel mondo sensibile; ma altrettanto poco posso essere per me
senza essere lo, e qusto [Io] lo sono solo nel mondo intelli-
gibile, che si schiude davanti ai miei occhi mediante l'intui-
zione intellettuale. Il punto di unione dei due mondi si trova
in questo, che solo in virt di un'assoluta attivit spontanea,
in seguito a un concetto, sono per me ci ch'io sono nel primo
mondo. La nostra esistenza nel mondo intelligibile la legge
mcrale, la nostra esistenza nel mondo sensibile l'azione reale;
il punto di unione tra i due mondi la libert, che il potere
assoluto di determinare la seconda mediante la prima.
2. L'Io da porre come un reale, soltanto in opposizione con
un Non-lo. Ma per l'Io stesso un Non-lo esiste solo a condi-
zione che l'Io agisca e senta una resistenza in questo suo agire;
una resistenza per che venga superata, poich altrimenti l'Io
non agirebbe. Solo mediante la resistenza la sua attivit di-
viene qualcosa di sensibile, che dura un certo tempo, perch
senza di ci essa cadrebbe fuori del tempo, cosa che non pos-
siamo neppure pensare.
3. Quindi: niente causalit su un Non-lo: niente lo. Questa
causalit non gli accidentale, ma gli appartiene essenzial-
mente, come tutto nell'Io. Si smetta quindi di mettere in
sieme la ragione con pezzi collegati accidentalmente, e ci si
abitui a considerarla come un tutto completo, come una ragione
organizzata, per cos dire. L'Io o tenuto ci che e quale appare
dal punto di vista della coscienza comune, indipendentemente
da ogni astrazione filosofica, oppure non nulla e non esiste
affatto. La coscienza inizia con la percezione sensibile, e que-
sta completamente determinata; ed essa non inizia affatto
con l'astratto pensiero. Per il fatto di aver voluto cominciare
la coscienza con delle astrazioni, come comincia appunto la
filosofia, e di aver confuso ci che si doveva spiegare, la co-
scienza reale, con la sua spiegazione, con la filosofia, quest'ul-
tima diventata un tessuto di astruserie.
4. Solo mediante una rappresentazione della cosa, qual quel!'.!
che abbiamo dato ora, l'assolutezza dell'Io vien mantenuta
come suo carattere essenziale. La no~tra coscienza procede
64 Fichte e il primo idealismo

dalla coscienza immediata della nostra attivit, e solo mediante


questa noi ci troviamo passivi. Non il Non-Io che agisce
sull'Io, cos come di solito si ritiene ma il contrario. Non
il Non-Io che penetra nell'Io, ma l'Io che sfocia nel Non-lo,
per esprimerci come richiede l'intuizione sensibile di questo
rapporto. Perch in termini trascendentali la stessa cosa andreb-
be espressa cos: noi ci troviamo originariamente limitati, non
gi per il fatto che la nostra limitatezza si restringa - perch
allora con la soppressione della nostra realt verrebbe nello
stesso- tempo soppressa la coscienza di essa, ma per il fatto
che noi allarghiamo i nostri confini, e in quanto li allarghiamo.
Inoltre, gi per poter uscire da s, l'Io deve venir posto come
tale che superi l'ostacolo. Cos si afferma di nuovo, solo in
un significato pi alto, il primato della ragione, in quanto
pratica. Tutto proviene dall'agire e dall'agire dell'Io. L'Io 11
primo principio di ogni movimento, di ogni vita, di ogni azione,
di ogni evento. Se il Non-Io agisce su di noi, questo non av-
viene nel nostro campo ma nel suo; esso agisce mediante la
resistenza, la quale non esisterebbe se noi non avessimo prima
agito su di esso. Esso non fa sentire la sua azione su di noi,
ma noi su di esso.

6. Un frammento dell'aprile 1799

Come appare a prima lettura, queste pagine erano state con-


cepite come una prefazione, o come l'esordio di uno scritto.
Per ragioni finora non accertate restarono nelle carte del filo-
sofo, e vennero pubblicate postume. Notevole, in esse, l'insi-
stere sul tema del rapporto vita-filosofia, sul quale Fichte tor-
ner tante volte in questi anni.
(Da Briefwechsel, II, pp. 85-88).
Devo tornare a insistere sulla essenza della filosofia trascen-
dentale, e prego il pubblico filosofico di non costringermi a
tornare in futuro sull'argomento.
Ci sono due differentissime posizioni del pensiero; quella del
pensiero naturale e comune - si pensa immediatamente agii
oggetti - e quella del pensiero che pi di ogni altro pu esser
detto artificiale - si pensa di proposito e con coscienza il pro-
prio stesso pensiero. Nella prima posizione sta la vita comune
e la scienza (materialiter sic dieta), nella seconda la filosofia tra-
Testi 65

scendentale, che per l'appunto io ho chiamato dottrina della


scienza, teoria e scienza di ogni sapere (senza essere affatto un
sapere reale e oggettivo).
Quasi tutti i sistemi filosofici prekantiani non si erano resi
esattamente conto di quale fosse la loro posizione, e oscilla-
vano qua e l tra le due che si sono indicate. Il sistema di Wolf
e di Baumgarten, quello dominante immediatamente prima di
Kant, si pose, con buona coscienza, sulla posizione del sapere
comune, e si propose - nientemeno - di ampliarne la sfera
e di creare, con la forza dei suoi sillogismi, nuovi oggetti del
pensiero naturale.
Rispetto a tale sistema il nostro proprio l'opposto, perch esso
nega del tutto la possibilit di produrre, mediante il mero
pensare, un oggetto che abbia validit per la vita e per la
scienza (materiale), e perch esso non considera reale nulla che
non si fondi su una percezione, interna o esterna. Sotto questo
rispetto, se la metafisica deve essere il sistema di conoscenze
reali, prodotte mediante il mero pensare, Kant, per fare un
nome, e io con lui, neghiamo totalmente la possibilit della
metafisica; Kant si gloria di averla estirpata con la radice, e
questo risultato rester acquisito in eterno, poich finora non
stata pronunziata una sola parola ragionevole e comprensi-
bile per salvare la metafisica.
Il nostro sistema, che respinge gli sconfinamenti degli altri,
non si lascia minimamente tentare a volere, per propria parte,
allargare il pensare comune, quello che solo reale: esso si
propone, piuttosto, di coglierlo in modo esauriente, e di darne
esposizione. Il nostro pensare filosofico non ha alcun signifi-
cato, e non ha il minimo contenuto; solo quel pensiero che
pensato in questo pensare ha significato e contenuto. Il nostro
pensiero filosofico semplicemente lo strumento con il quale
noi componiamo la nostra opera. Una \<Jlta che l'opera sia
compiuta lo strumento non serve pi, e viene gettato via.
di fronte agli occhi degli spettatori che noi componiamo il
modello di un corpo dai modelli delle singole parti di esso.
Mentre siamo intenti al lavoro voi ci aggredite e gridate:
Vedi Il quello scheletro nudo! E dovrebbe essere un corpo? .
No, brava gente, non dovrebbe essere un corpo, ma soltanto
lo scheletro di esso. Il nostro insegnamento diventa compren-
sibile solo se noi aggiungiamo, una dopo l'altra, una parte a
un'altra parte; e solo per questo ci siamo messi all'opera. Aspet-
tate un poco, e noi rivestiremo questo scheletro con vene, mu-
scoli e pelle.
66 Flchte e Il primo Idealismo

Ora abbiamo finito. Ed ecco voi a gridare: Su, fate muovere


questo corpo, fatelo parlare, fate circolare il sangue nelle sue
vene; in una parola, fatelo vivere! . Avete torto ancora una
volta. Non abbiamo mai preteso di avere questo potere. Non
l'arte, ma solo la natura d la vita; lo sappiamo benissimo, e
riteniamo che proprio per questa nostra consapevolezza noi ci
distinguiamo, a tutto nostro vantaggio, da certe altre filosofie.
Se noi diamo a una qualunque parte una forma diversa da
quella che essa ha nella natura reale, se aggiungiamo o togliamo
qualche cosa, allora il torto nostro; ed a questo che voi
dovete guardare, se volete esprimere nei nostri confronti un
biasimo o una lode che abbiano senso.
Il corpo vivente che noi imitiamo la coscienza comune reale.
Il graduale inserimento delle sue parti sono le nostre dedu-
zioni, che possono avanzare solo un passo dopo l'altro. E fin
tanto che l'intero sistema non sia l compiuto, tutto ci che
noi possiamo dire soltanto una parte. Le parti a cui que-
st'ultima si appoggia devono evidentemente gi esservi date
- se no noi non avremmo metodo; ma non necessario che
esse vi siano date in quello stesso scritto che voi ora state
leggendo: presupponiamo che voi conosciate gi i nostri scritti
precedenti. Non possiamo dir tutto in una volta sola. Ma voi
avete il diritto di aspettarvi ci che appunto deriva dalla parte
che vi vien presentata - qualora non riusciate a trovarlo da
soli.
Ma anche quando e l dove noi siamo arrivati in fondo, e
siamo pervenuti sino al compiuto pensiero reale e comune (il
che abbiamo fatto in molte regioni della coscienza, se anche
non nella filosofia della religione), questo risultato - come
accade nella nostra filosofia - non neanche adesso un pen-
sare reale, ma solo una descrizione e una esposizione del pen-
sare reale.
Per noi tutta la realt ha origine - in modo del tutto espli-
cito e determinato - dal non filosofare, cio dal fatto che
o non ci si mai innalzati all'astrazione filosofica, o dalle
vette di questa si ridiscesi nella meccanicit della vita; e,
reciprocamente, questa realt necessariamente scompare quando
ci si innalza alla pura speculazione, in quanto ci si liberati da
ci su cui essa si fonda, la meccanicit del pensare. Soltanto
la vita fine e non - mai! - la speculazione; quest'ultima
soltanto mezzo. E non nemmeno mezzo di formare la vita
perch ha sede in tutt'altro mondo, e ci che deve avere in-
Testi 67

fluenza sulla vita deve essere scaturito dalla vita stessa.


soltanto mezzo per conoscere la vita.
Non si pu conoscere il luogo nel quale si rinchiusi, n ci
che noi stessi siamo. Occorre uscir fuori da esso, e porsi in
un luogo di osservazione che gli sia esterno. E la speculazione
questo uscir fuori dalla vita reale, questo luogo di osserva-
zione esterno ad essa. All'uomo possibile conoscere se stesso
solo in quanto ci siano due diverse prospettive, quella alta
sopra la vita accanto a quella della vita. Si pu vivere, e forse
vivere in modo del tutto conforme a ragione, anche senza spe-
culare; si pu infatti vivere senza conoscere la vita; ma non
si pu conoscere la vita senza speculare.
In poche parole: quella duplicit che corre attraverso l'intero
sistema della ragione, e che si fonda sulla duplicit originaria
di soggetto e oggetto, qui al suo gradino pi alto. La vita
la totalit dell'essenza razionale oggettiva, la speculazione
la totalit di quella soggettiva. L'una non possibile senza
l'altra: la vita, come attivo abbandonarsi alla meccanicit, non
possibile senza l'attivit e la libert (cio la speculazione)
che si abbandona - anche se tutto questo non viene subito a
chiara coscienza in ogni individuo; la speculazione non pos-
sibile senza la vita, da cui essa astrae. Entrambe, vita e specu-
lazione, sono determinabili solo l'una con l'altra. Vita , in
senso del tutto specifico, non filosofare; filosofare , in senso
del tutto specifico, non vivere - e io non conosco alcun
modo per determinare entrambi i concetti che sia pi calzante
di questo. C' qui una completa antitesi, e un punto di unione
altrettanto impossibile quanto concepire la X che sta alla
base del soggetto-oggetto, l'io; o meglio, c' soltanto la co-
scienza del filosofo reale per il quale le due prospettive sono
entrambe presenti.

7. La fede (1800)

Fede non va intesa nel senso usuale, di credenza in verit


rivelate. Essa esprime piuttosto quella immediata convinzione
che, in sede sia conoscitiva che morale, fondamento di ogni
certezza.
Wa Samtliche Werke, II, pp. 258-261 ).
68 Flchte e Il primo Idealismo

Quella voce nel mio intimo, alla quale io credo, e in grazia


della quale io credo a tutto ci cui credo, non mi comanda
affatto di fare soltanto. Questo impossibile; tutte queste
proposizioni generali si vengono formando solo con la mia vo-
lontaria attenzione, e con la riflessione, su pi fatti, ma non
esprimono mai un fatto. Essa, questa voce della mia coscienza,
mi comanda, in ogni particolare situazione della mia esistenza,
ci che io debba precisamente fare o non fare in questa situa-
zione: mi accompagna, purch io stia a sentirla con attenzione,
attraverso tutte le vicende della mia vita, e non mi rifiuta mai
la sua ricompensa laddove io debba agire. Essa fonda immedia-
tamente la convinzione, e strappa invincibilmente il mio con-
senso: mi impossibile combattere contro di lei.
Prestare attenzione ad essa, obbedirle con onest e sincerit,
senza timore e senza cavilli, questa la mia unica destina-
zione, questo tutto il fine della mia esistenza. La mia vita
cessa di essere un gioco vuoto, senza verit e senza significato.
Deve accadere assolutamente qualche cosa, perch una volta
deve accadere ci che la coscienza esige appunto da me, da
me che mi vengo a trovare in questa situazione; io esisto onde
ci accada, solo per questo; per conoscere ho l'intelletto, per
realizzare ci che ho conosciuto, ho la forza.
Solo attraverso questi comandi della coscienza entrano nelle
mie rappresentazioni verit e realt. Non posso negare ad
essi attenzione e obbedienza senza lasciar perdere la mia de-
stinazione.
Non posso pertanto rifiutar fede alla realt che essi introdu-
cono senza rinnegare, insieme, la mia destinazione. Che io
debba obbedire a quella voce assolutamente vero, senza che
sia necessario esaminarlo a fondo ulteriormente: il primo
vero, il fondamento di ogni altra verit e certezza; secondo que-
sto abito mentale sar per me vero e certo tutto ci che,
mediante la possibilit di una tale obbedienza, viene presuppo-
sto come vero e certo.
Mi fluttuano dinnanzi, nello spazio, immagini alle quali io
trasmetto il concetto di me stesso: penso ad esse come a enti
della mia stessa natura. Una speculazione gi interamente ela-
borata mi ha insegnato, o mi insegna, che questi pretesi enti
di ragione fuori di me non sono altro che prodotti del mio pro-
prio rappresentare, che io, secondo producibili leggi del mio
pensare, sono costretto a rappresentare il concetto di me fuori
di me stesso, e che, secondo le stesse leggi, questo concett.:>
Testi 69

pu essere trasmesso solo a certe determinate intuizioni. Ma


la voce della mia coscienza mi grida: siano quel che siano
questi enti in s e per s, tu li devi trattare come enti per
se sussistenti, liberi, autonomi, del tutto indipendenti da te.
Presupponi come noto che essi possano porsi dei fini del tutto
indipendentemente da te, e solo per opera propria, non di-
sturbare mai la realizzazione di questi fini, ma anzi favori-
scila con ogni tua forza. Onora la loro libert: occupati dei
loro fini con lo stesso amore con il quale ti occupi dei tuoi.
Cosl io devo agire; verso questo agire dovrebbe essere rivolto
tutto il mio pensiero - e lo sar e lo dovr necessariamente
se io ho preso anche soltanto la decisione di obbedire alla voce
della mia coscienza [ ... ] .
Mi fluttuano dinnanzi altre immagini, che io ritengo non enti
della mia stessa natura, ma cose prive di ragione. La specu-
lazione non ha difficolt a dimostrare che la rappresentazione
di tali cose soltanto uno svolgimento della mia facolt rap-
presentativa, e dei suoi necessari modi di azione. Ma io colgo
le stesse cose anche col bisogno, col desiderio, col godimento.
Non col concetto, no, ma con la fame, la sete e la saziet
che qualcosa diventa per me cibo e bevanda. E io sar ben
costretto a credere alla realt di ci che minaccia la mia esi-
stenza sensibile, o che solo pu mantenerla. A ci si aggiunge
la coscienza, che santifica e insieme limita questo impulso na-
turale. Tu devi conservare, esercitare, rafforzare te stesso e
la tua forza fisica, poich nel piano della ragione si fa conto
anche su questa forza. Ma la puoi conservare solo con un uso
opportuno, proporzionato alle proprie leggi interiori di queste
cose. E al di fuori di te ci sono ancora innumerevoli tuoi si-
mili, della cui forza si fa conto come della tua, e che pu essere
conservata nello stesso modo della tua. Consenti ad essi lo
stesso uso della loro parte che comandato a te per la tua.
Onora ci che ad essi tocca come loro propriet; e tratta op-
portunamente, come tuo, ci che tocca a te. Cosl io devo agire;
e in conformit a questo agire io devo pensare. Sono pertanto
costretto a considerare queste cose come poste sotto loro
proprie leggi naturali, indipendenti da me anche se da me
conoscibili; e ad esse va attribuita un'esistenza indipendente
da me. Sono costretto a credere a tali leggi, indagare su di
esse diventa un compito per me - e quella vuota specula-
zione si dissolve come nebbia non appena compare il sole che
riscalda.
70 Fichte e Il primo Idealismo

8. I due ordini dell'universo (1800)

L'ordine sovrasensibile non la negazione di quello sensibile,


pur essendo nettamente distinto da esso; ne piuttosto il fine
ultimo, ci che gli d significato nella economia dell'universo.
(Da Samtliche Werke, II, pp. 288-292).
Io sono membro di due ordini, di uno puramente spirituale,
nel quale io domino solo con la pura volont, e di uno sen
sibile, nel quale io opero con il mio fare. L'intero fine ultimo
della ragione pura attivit di essa, esclusivamente mediante
se stessa e senza aver bisogno di alcun altro strumento fuori
di lei - indipendenza da tutto ci che non sia ragione, asso-
luta incondizionatezza. La volont il principio vivente della
ragione, lei stessa la ragione, purch questa sia intesa in
modo puro e indipendente; la ragione attiva mediante s
stessa significa: la volont pura, solo in quanto tale, causa
e domina. In questo puro ordine spirituale vive, immediata-
mente ed esclusivamente, soltanto la ragione infinita. II finito,
il quale non il mondo razionale stesso, ma solo uno tra i
mclti membri di esso, necessariamente vive - nello stesso
tempo - in un ordine sensibile, il che significa in un ordine
che gli presenta un fine ulteriore, diverso dalla pura attivit
razionale; un fine materiale, da promuovere con strumenti e
forze che sono s sotto la immediata giurisdizione della volont,
ma la cui attivit condizionata dalle loro proprie leggi natu-
rali. E pure, come vero che la ragione ragione, cos la
volont deve operare assolutamente da se stessa, e indipen-
dentemente dalle leggi naturali dalle quali il fare determi-
nato; per questo che ogni vita sensibile del finito accenna
a una vita pi alta, nella quale la volont introduca lui sol-
tanto per se stessa, e in cui gli procuri un possesso - un
possesso che a sua volta torner ad apparirci in forma sensi-
bile, come un modo di essere, come uno stato, e niente affatto
come un mero volere.
Questi due ordini, quello puramente spirituale e quello sen-
sibile, il quale ultimo pu consistere di una illimitata serie i
vite particolari, sono in me sin dal primo attimo dello svol-
gimento di una ragione attiva, e procedono l'uno accanto al-
l'altro. Per me, e per coloro che si trovano con me nella stessa
vita, il secondo soltanto un fenomeno; ad attribuirgli signi-
ficato, finalit e valore esclusivamente il primo. Io sono
Testi 71

immortale, permanente, eterno non appena prendo la decisione


di obbedire alla legge di ragione; e non si intenda che io
debba diventare tutto questo. Quello soprasensibile un mondo
non futuro, ma presente; non pu essere pi presente in un
punto dell'esistere finito che in un altro; non pu essere pi
presente dopo l'esistere di miriadi di cicli vitali che in questo
istante. Altre determinazioni della mia esistenza sensibile sono
future - ma non sono la vera vita pi di quanto non lo sia
l'attuale destinazione. Con quella decisione io afferro l'eter-
nit, mi spoglio di quella vita che si trascina nella polvere, e
di ogni altra vita sensibile che mi possa essere ancora in
prospettiva, e mi pongo alto sopra di esse. Divento per me
l'unica fonte di tutto il mio essere e dei miei fenomeni, e da
adesso in avanti, senza esser condizionato da qualcosa fuori di
me, ho la vita in me stesso. La mia volont, che io, e non un
altro a me estraneo, inserisco nell'ordine di quel mondo,
questa fonte della vera vita, e dell'eternit.
Questa fonte per anche soltanto la mia volont; io acquisto
la certezza ed il possesso di questo mondo sovrasensibile solo
riconoscendo questa volont quale l'autentica sede della bont
morale, e innalzandola davvero al livello di questa bont.
lo devo volere in conformit alla legge, senza guardare a qual-
siasi fine comprensibile e visibile, senza ricercare se dalla mia
volont deriver qualche cosa di diverso dal mio stesso volere.
La mia volont sta qui sola, separata da tutto ci che non
lei stessa, ed solo mediante e per se stessa il suo mondo;
non solo essa !'assolutamente primo, e prima di essa non
c' alcun altro membro che prema su di lei e la determini - ma
da essa non deriva alcun secondo pensabile e comprensibile
attraverso il quale la sua attivit possa cadere sotto una legge
estranea. Se da essa derivasse un secondo, da questo un terzo
e cos via, e tutti questi confluissero in un mondo sensibile
da noi pensabile, e opposto a quello spirituale, allora la resi-
stenza incontrata nel mettere in movimento i membri auto-
nomi di un tale mondo spezzerebbe la sua forza; il tipo di
attivit non corrisponderebbe pi integralmente al concetto
di fine espresso dal volere, e la volont resterebbe non libera
- essa sarebbe ridotta a una parte delle leggi specifiche della
sua sfera di attivit, eterogenee rispetto a lei. in quest'l
prospettiva che io devo anche realmente guardare alla volont
nel presente mondo sensibile, il solo che mi sia noto. lo sono
evidentemente costretto a credere, cio ad agire, come se pen-
sassi che la mia lingua, la mia mano, il mio piede potrebbern
72 Fichte e il primo idealismo

esser mossi dalla mia volont; ma come un mero alitare, une


pressione dell'intelligenza su se stessa - tale la volont -
possa esser principio di movimento in una greve massa ter-
restre, tutto ci non solo impensabile, ma apparirebbe, solo
che lo si sostenesse di fronte al tribunale dell'intelletto osser-
vatore, come una pura assurdit; e su questo terreno anche il
movimento della materia deve esser spiegato in me stesso
esclusivamente dalle forze interiori della mera materia.
A una concezione della volont quale quella descritta io arrivo
per solo se mi rendo ben conto che essa non , ad esempio,
il supremo principio attivo di questo mondo, quale potrebbe
certamente aversi senza la libert m senso preciso, ma solo
mediante l'influenza dell'intero sistema cosmico - all'incirca
come noi siamo costretti a pensare la forza formante nella
natura; essa, al contrario, disdegna tutti i fini terreni, e in
generale tutti i fini posti fuori di lei, e pone se stessa in
funzione di se stessa come il fine ultimo. Ma soltanto con
una tal concezione della mia volont io vengo trasferito in
un ordine sovrasensibile, nel quale la volont diventa causa
puramente da se stessa, senza alcun strumento esterno a lei,
in una sfera a lei eguale, puramente spirituale, che essa pu
dovunque penetrare. La prima articolazione del mio pensiero
fu che il volere conforme alla legge doveva essere promosso
esclusivamente in funzione di se stesso - una consapevolezza
che io potevo trovare come fatto solo nel mio intimo, e che
non pu giungere a me per alcun'altra strada. La seconda
articolazione del mio pensiero fu che questa esigenza era con-
forme a ragione, la fonte e il criterio di ogni altro razionale,
che essa non aveva un punto di orientamento esterno, ma che
tutto il resto doveva orientarsi a lei, e divenirne dipendente
- una convinzione, questa, alla quale io, ancora una volta,
non posso giungere dal di fuori, ma solo dal di dentro, con
quella incrollabile approvazione che io, con libert, tributo a
quella esigenza. E soltanto da queste articolazioni io sono
giunto alla fede in un mondo sovrasensibile, eterno. Se tolgo
le prime, non posso nemmeno parlare di quest'ultimo. Se le
cose andassero come molti dicono, e presumono come ovvio
senza alcuna altra prova, ed esaltano come il punto pi alto
della saggezza pratica - che cio tutte le virt umane si
propongono sempre e soltanto un determinato fine esterno, e
che devono essere sicure della raggiungibilit di questo fine
prima di poter agire, e prima di poter essere virt - che
perci la ragione non contenga affatto in se stessa un principio
Testi 73

e un criterio della sua attivit, ma lo debba ricevere dal di


fuori, dall'osservazione del mondo a lei estraneo - ; se le
cose andassero in questo modo, allora il fine ultimo del nostro
esistere sarebbe qui in terra; la natura umana si esaurirebbe
tutta, e sarebbe perfettamente spiegabile nell'ambito della no-
stra destinazione terrena, e non ci sarebbe alcun argomento
razionale per proiettarci con i nostri pensieri al di l della
vita presente.

9. Deduzione della dottrina della scienza dallo


spirito del criticismo (1804)

Queste pagine sono state redatte nel marzo 1804 per Mme de
Stael la quale, nel suo viaggio attraverso la Germania, aveva
incontrato Fichte e gli aveva chiesto un compendio del suo
pensiero. L'insistenza sulla derivazione di quest'ultimo dallo
spirito (e non dalla lettera) del criticismo ha un significato po-
lemico nei confronti dei pensatori romantici, che preferivano
ormai rifarsi alla tradizione panteistica (G. Bruno e Spinoza)
o mistica (]. Bohme).
(Da Kantstudien, 1914, pp. 151-153).
1. Tutta la filosofia sino a Kant ha - senza eccezione
avuto come proprio oggetto l'essere (l'esistenza oggettiva); suo
compito era di ricondurre all'unit quel molteplice che si
trovava nell'esperienza, e che partecipava dell'esperienza. Nel
dualismo la coscienza, in quanto pensante (anima, spirito, o
come altrimenti la si voglia chiamare) venne trasformata in
essere, e il compito specifico di questo sistema divenne quello
di indicare le connessioni di questi due tipi di essere, quello
corporeo e quello spirituale.
2. Fu soltanto per difetto della necessaria attenzione che, al
riguardo, non ci si accorse come non si dia un essere se non
nella coscienza, n una coscienza che non si rifletta sull'essere,
o vi sia riferita; dal che deriva che oggetto della ricerca filo-
sofica non n l'essere n la coscienza, ma un A il quale, nel
linguaggio, si pu esprimere provvisoriamente solo come esse-
re+ coscienza (ovvero coscienza+ essere), che sia cio l'unit
di entrambi - finora non studiata - prima della loro sepa-
razione nell'empiria. Il primo che fece questa riflessione fu
74 Fichte e il primo Idealismo

Kant, e cos nacque il trascendentalismo: il confluire dell'ul-


timo molteplice che nella coscienza empirica si era mostrato
irriducibile, cio l'essere, e della coscienza.
3. In questo, io sostengo, consiste il carattere distintivo della
filosofia trascendentale, che la distingue da ogni altra filosofia
necessariamente votata al fallimento (anche in Germania per
questo carattere fondamentale ancora. del tutto ignoto, e co-
loro che ne discutono con maggior calore pretendono che la
filosofia trascendentale si limiti a ribaltare il procedimento
dogmatico, e faccia della coscienza il termine primo e supremo,
come la filosofia prekantiana aveva fatto per l'essere - finendo
nello stesso modo, cio con lo stravolgerla). L'essenza di essa
consiste nel riconoscimento che quell'uno e immutevole che
sta a fondamento di ogni molteplice sia essere+coscienza; che
questa unit perduri in ogni separazione nel molteplice, e che
ogni possibile molteplice sia, fondamentalmente, essere+co-
scienza. Il compito specifico di questa filosofia di dare tutto
questo molteplice muovendo daJl'Uno, con una deduzione
senza lacune.
NOTA. Nella essenza, in quanto trascendentalismo (come si
qui descritto) la filosofia kantiana e la dottrina della scienza
sono perfettamente concordi, e la seconda riconosce con grati-
tudine di servirsi della scoperta fatta da un altro. Lo stesso
non si pu dire della applicazione in senso stretto, di cui
subito si dir, e cio:
4. Nella deduzione cui si accennato si pu procedere nel
modo seguente: certe differenze fondamentali, che compaiono
come fatti nella coscienza empirica, vengono poste come prime,
non ulteriormente spiegabili, e poi si assicura (senza darne la
minima dimostrazione concettuale) che esse si integrano nella
suprema unit (si veda l'introduzione di Kant alla Critica del
giudizio, nella quale egli toc-::a il culmine della sua speculazione).
Da un tal modo di procedere ha preso forma la filosofia kan-
tiana, incompleta, priva di unit sistematica, e pertanto criti-
cabile dal punto di vista della forma scientifica, bench sia
quasi sempre esatta quanto ai risultati. C' ancora da osser-
vare che di simili non rigorose filosofie trascendentali ne son
possibili parecchie, e in vari modi.
5. Ovvero si pu procedere in quest'altro modo: che quello
A della filosofia trascendentale venga riconosciuto, oltre che
come essere+ coscienza, anche nella sua assoluta qualit inte-
riore, che tale qualit venga penetrata, e che si mostri come
proprio da essa scaturisca necessariamente un sistema del m<,J-
Testi 75

teplice, identico a quello che di fatto si ritrova nell'autoco-


sCienza empirica: in una parola, che si deduca da un punto
interamente costruibile l'intera coscienza empirica nella sua
molteplicit. Quest'ultimo procedimento, una volta che sia ap-
plicato, la dottrina della scienza.
NOTA. immediatamente chiaro che la dottrina della scienza
possibile in una sola maniera, e che essa - se vuol essere
ottrina della scienza - necessariamente un intero immu-
tevole, coerente in tutte le sue parti.
CONCLUSIONE. Si sarebbe dato cosl, nei suoi tratti essenziali,
il concetto della dottrina della scienza, sia nella sua forma, cio
come trascendentalismo che si oppone a tutte le filosofie non
trascendentali o prekantiane, sia nella sua differenza specifica,
in opposizione alla filosofia kantiana - che era il fine di questi
aforismi.
Per altri problemi, quale quello della possibilit di una tale
scienza: chiaro che la prova pu esser data solo in via di
fatto, richiamandosi all'esistenza reale di essa, e che ha il di-
ritto di mettervi bocca soltanto o chi ha fatto personalmente
il tentativo, e questo gli riuscito, o chi p~ssa dare a priori
la prova positiva della impossibilit di essa - il che sarebbe
la posizione di una negazione, una assurdit gi per la forma.
Altre domande ancora, sui limiti della deduzione che tale
scienza pu svolgere, e se anche in essa non resti un che di
indimostrabile e di incomprensibile, almeno nell'attuale pro-
spettiva dell'unica eterna vita, possono trovare una risposta
solo nell'ambito della scienza stessa.

10. L'essere e l'amore (1806)

La dottrina della scienza si presenta qui come filosofi.a dell'es-


sere, mentre l'amore la forma pi alta del sapere; nell'amore
l'uomo giunge a identificarsi con Dio.
(Da Siimtliche Werke, V, pp. 539-543).
L'essere ha esistenza; e l'esistere dell'essere necessariamente
coscienza, ovvero riflessione, secondo leggi determinate pre-
senti nella riflessione stessa, e deducibili a partire da essa:
questo il fondamento, ormai sufficientemente esaminato da
tutti i lati, della nostra teoria. L'essere soltanto ci che
esiste nell'esistere, mediante i suoi esseri in lui soltanto
l'esistere, e questo resta eternamente in lui come in se stesso,
76 Flchte e il primo Idealismo

e senza il suo essere in lui l'esistere si dissolverebbe in nulla;


nessuno ha dubbi al riguardo, n li pu avere, solo che intenda.
Per nell'esistere in quanto tale, ossia nella riflessione, l'es-
sere trasmuta in maniera assolutamente immediata quella sua
forma del tutto inafferrabile, e che al massimo si pu descri-
vere come pura vita e azione, in una essenza, in una determi-
natezza stabile; del resto noi non abbiamo mai parlato del-
l'essere (e nessuno ne potr mai parlare in altro modo) se non
dicendo che noi parlavamo della sua essenza interiore. E per
quanto in s il nostro essere sia, e resti sempre, l'essere del-
l'essere, e non possa mai diventare niente di diverso, pure ci
che noi stessi siamo per noi stessi, e abbiamo e possediamo
nella forma del nostro S, dell'io, della riflessione, della co-
scienza - non mai l'essere in s, ma l'essere nella nostra
forma, come essenza. Ma come possibile che l'essere, il quale
non pu penetrare in modo puro nella forma, sia in armonia
con questa? Forse che essa non respinge irreparabilmente da
s, e non presenta un secondo essere, del tutto nuovo, il quale
perfettamente impossibile? Risposta: invece del come, poni
un mero dato di fatto. Le due cose sono congruenti: c' asso
lutamente un tale legame, il quale, pi alto di ogni riflessione,
non sgorga da alcuna riflessione, non ne riconosce la giurisdi-
zione - erompe insieme e accanto alla riflessione. Accomp1-
gnato dalla riflessione tale legame sensazione - e poich
un legame, amore, ed essendo legame del puro essere e della
riflessione, amore di Dio. In tale amore l'essere e l'esistere,
Dio e uomo sono la stessa cosa, completamente mescolati e
integrati [ ... ] ; ci che sostiene l'essere, e lo mantiene nell'esi-
stere il suo amore per s; che noi non dobbiamo intendere,
beninteso, come una sensazione o affezione, poich non dob-
biamo neanche cercare di coglierlo col pensiero. Il verificarsi
di questo mantenere se stesso accanto alla riflessione, cio la
sensazione di questo mantenersi, il nostro amore per Dio;
oppure, pi veracemente, il suo proprio amore per se stesso,
nella forma della sensazione; in quanto non siamo noi a poter
amare lui, ma egli soltanto pu amare se stesso in noi.
Questo reciproco amore, non il suo n il nostro, ma quello che
prima ci separa in due, e poi ci lega in uno, anzitutto il
creatore del nostro vuoto concetto (cosi spesso citato) di un
puro essere o di un Dio. Cos' che ci conduce al di l di ogni
esistere conoscibile e determinato, e al di l dell'intero mondo
della riflessione assoluta? il nostro amore, che nessun esi-
stere vale a soddisfare completamente. E qui il concetto fa
Testi 77

soltanto ci che in grado di fare, interpreta, cio, e d forma


a questo amore svuotandone l'oggetto (che soltanto per open
sua diventa un oggetto) di tutto ci che non soddisfa questo
amore, e non lasciandogli altro che la pura negazione di ogni
comprensibilit, accanto all'eterna amabilit. Che cos' che ci
d la certezza di Dio se non quell'amore che si fonda su se
stesso, e che si leva al di sopra di tutti quei dubbi possibili
solo nella riflessione? E cos' che permette a questo amore di
fondarsi su se stesso se non che esso immediatamente l'auto-
sorreggersi e il tenersi insieme dell'assoluto? No, non la rifles-
sione che, in forza della propria essenza, si separa in se stessa,
e si pone quindi in conflitto con s, ma l'amore la fonte d!
ogni certezza, e di ogni verit e realt.
Ho detto che a interpretare l'amore quel concetto di Dio
che proprio per questo decade a concetto privo di contenuto.
Nella vita vivente, al contrario - e io prego di annotare bene
questo - tale amore non interpretato, ma , ed esso ha e
tiene l'amato non nel concetto, che non riuscir mai a stargli
dietro, ma immediatamente nell'amore - e nel modo con
cui l'amato in se stesso, perch l'amore di cui si parla non
altro che l'automantenersi dell'essere assoluto. La riflessione
della vita fa dapprima di questo contenuto e materia dell'amore
un ente stabile e oggettivo, il quale poi frange all'infinito
l'ente che cos sorto, gli d altre forme, e crea cos il suo
mondo. Io chiedo: cosa fornisce la vera. e propria materia
prima per questo mondo, nel quale la forma dell'essenza e
la figurazione sono evidentemente un prodotto della riflessio-
ne? L'amore assoluto, evidentemente; l'amore assoluto - come
vci ora direste - di Dio per il suo proprio esistere, o anche
dell'esistere per il puro Dio. E cosa resta alla riflessione? Di
presentare il contenuto in modo oggettivo, e di dargli nuove
forme, all'infinito. Ma anche rispetto a quest'ultimo compito,
cos' che non permette mai alla riflessione di arrestarsi, e che
la tra3cina irresistibilmente via da ogni riflettuto cui essa
giunta a uno seguente, e da questo di nuovo a quello che lo
segue? l'amore inestinguibile per il puro e reale assoluto, che
necessariamente fugge dalla riflessione, si nasconde dietro ogni
riflessione, e che quindi, all'infinito, dovr esser ricercato die
tro ogni riflessione; questo che trascina la riflessione attra
verso l'eternit, e che la dilata sino a una eternit vivente.
L'amore pertanto pi alto di ogni ragione, esso stesso la
fonte della ragione, la radice della realt, l'unico creatore
della vita e del tempo; e cos, illustri ascoltatori, io ho espresso
78 Fichte e Il primo Idealismo

finalmente, in tutta chiarezza, la pi alta e reale visuale cui


finora si sia giunti di una dottrina dell'essere, della vita e della
beatitudine, cio della vera speculazione.
L'amore infine, fonte della verit e della certezza, anche la
fonte della perfetta verit nell'uomo reale e nella vita di que-
sti. Perfetta verit scienza: ma l'elemento della scienza la
riflessione. E quando quest'ultima diventa chiara a se stessa
come amore dell'assoluto, e lo concepisce come necessariamente
deve, situato al di sopra di ogni riflessione e inaccessibile ad
essa in ogni possibile forma, ecco che essa giunge alla pura,
oggettiva verit; e appunto cos, e solo cos, essa in grado
di isolare, e di cogliere nella sua purezza, quella riflessione che
finora le sempre comparsa mescolata con la realt, di esporre
esaurientemente, commisurandoli alla realt, tutti i prodotti di
essa, e di fondare una teoria del sapere. In poche parole:
quella riflessione che diventata amore divino, e che si
pertanto puramente annichilata in Dio, l'atteggiamento della
scienza; e ho voluto dirlo di passaggio; ora che se ne pre-
sentata loccasione.
Ma ora voglio dirlo anche in una forma facile da ricordare,
richiamandomi al gi noto. Per due volte abbiamo gi tradotto
le parole di Giovanni In principio erat Verbum etc. in una
nostra espressione di uso corrente; anzitutto cos: in principio
e presso l'essere era l'esistere; e poi, dopo che esaminammo pi
dappresso le molteplici determinazioni interiori dell'esistere,
compendiammo questo molteplice sotto il nome di forma cos:
in principio, e presso Dio o l'essere, era la forma. Adesso, dopo
che quella coscienza, con tutta la sua molteplicit di forme (che
noi prima prendevamo per il vero esistere) per noi soltanto
un esistere di seconda mano, un mero fenomeno di esso, .;:
che ci siamo resi conto invece che il vero e assoluto esistere,
nella sua forma pi propria, amore, diciamo quelle parole
nel modo seguente: in principio, pi alto di ogni tempo e
assoluto creatore del tempo, l'amore, e l'amore in Dio,
perch ci con cui esso si mantiene nell'esistere: l'amore
lo stesso Iddio, Iddio in lui e vi resta eternamente come ~
in se stesso. Con l'amore, e da lui come materia prima, sono
state fatte, mediante la riflessione vivente, tutte le cose, e
senza di lui nulla stato fatto di ci che fatto; esso, in noi
e intorno a noi, diventa continuamente carne, e abita tra noi;
dipende soltanto da noi il contemplare incessantemente la sua
gloria, la gloria dell'eterna e necessaria emanazione della di
vinit.
I CONTEMPORANEI
SU FICHTE E L'IDEALISMO

Questa piccola raccolta di passi -- giudizi, interventi e criti-


che aventi come tema Fichte e il primo idealismo - si giu-
stifica innanzi tutto per se stessa, per la rilevanza delle perso-
nalit cui vien data la parola; ma pu servire, inoltre, se con-
frontata con le pagine di Fichte che si sono tradotte prima, a
dare una idea dei diversissimi modi con i quali la dottrina
della scienza fu intesa, o fraintesa, negli stessi anni della sua
diffusione. Gran parte dei giudizi espressi qui con tanta imme-
diatezza si ritrovano poi, in forma molto pi elaborata, nella
letteratura critica dei decenni - quando non addirittura dei
secoli - successivi; ed anche questo che li rende interessanti.

1. Annotazione di K. F. Forberg (7 .12 .1794)

K. F. Forberg ( 1770-1848) fu un attivo collaboratore del Phi-


losophisches ]ournal , la rivista che, tra il 1795 e il 1800, fu
l'organo ufficioso della filosofia trascendentale. Non pu esser
considerato un discepolo di Fichte, ma piuttosto, se lecita
l'espressione, un kantiano di sinistra, che si serviva degli ar-
80 Fichte e il primo idealismo

gomenti del criticismo per mettere in crisi ogni ulteriore costru-


zione sistematica; fu un suo articolo del 1798, Svolgimento
del concetto di religione, a scatenare la polemica sull'ateismo,
nella quale Fichte si trov coinvolto in prima persona.
(Da H. SCHULZ, Fichte in vertraulichen Briefe seiner Zeitgenos-
sen, Leipzig, 1923, p. 30).
Fichte davvero intenzionato a operare sul mondo con la sua
filosofia. Quella tendenza a una inquieta attivit che ha sede
nel petto di ogni giovane non volgare viene da lui studiosamente
nutrita e sostenuta, onde a suo tempo possa dare frutti. In
ogni occasione egli insiste che la destinazione dell'uomo di
agire, e ancora agire - nel che c' per da temere che la mag-
gioranza dei giovani che faranno proprio questo insegnamento
possano considerarlo una esortazione a distruggere. E oltre a
tutto la proposizione falsa. L'uomo non destinato ad agire,
ma ad agire secondo giustizia: e se non pu agire senza ingiu-
stizia, che resti allora senza far nulla. Se l'intera umanit pu
essere conservata solo in grazia di una ingiustizia, allora piut-
tosto perisca. Non affatto necessario che gli uomini esistano:
ma necessario che essi, se esistono, siano giusti.

2. Da una lettera di Holderlin a Hegel (26.1.


1795)

F. Holderlin (1770-1843), compagno di studi sia di Hegel che


di Schelling al collegio teologico di T ubinga, si era recato a
Jena, e qui aveva cominciato a seguire le lezioni di Fichte, e
a studiarne il pensiero.
(Da F. HOLDERLIN, Werke und Briefe, Frankfurt am Main,
Insel-Ausgabe, 1969, pp. 838-839).
[ ... ] Ti interesseranno molto i fascicoli speculativi di Fichte -
Fondamento dell'intera dottrina della scienza - e anche le
sue lezioni, ora stampate, sulla Destinazione del dotto. All'ini-
zio lo avevo molto sospettato di dogmatismo: e semhra - se
posso fare una supposizione - che si sia davvero trovato al
bivio, o che ci stia tuttora; egli vorrebbe andare al di l del
fatto di coscienza, nella teoria; ci testimoniato da molte sue
esplicite affermazioni - ed trascendente come e pi del pro-
posito dei metafisici di prima, che volevano andare al di l
I contemporanei su Fichte e l'idealismo 81

dell'esistere del mondo - il suo io assoluto ( = sostanza di


Spinoza) contiene tutta la realt, e fuori di lui non c' nulla;
per questo io assoluto non c' quindi alcun oggetto, perch
altrimenti tutta la realt non sarebbe in lui; una coscienza
senza oggetto per impensabile, e, se io stesso sono questo
oggetto, sono, in quanto tale, necessariamente limitato - an-
che se ci potrebbe valere solo nel tempo, e quindi non asso-
lutamente - ; insomma, nell'io assoluto non pensabile co-
scienza, io come io assoluto non ho coscienza, e non avendo
io coscienza, non essendo io (per me) nulla, l'io assoluto
(per me) nulla.
Questi pensieri li scrivevo ancora a Waltershausen, quando
leggevo i suoi primi fascicoli, dopo aver letto Spinoza; Fichte
mi conferm [mancano 5 righe]. La sua trattazione dell'azione
reciproca di io e non-io (secondo il suo linguaggio) certa-
mente singolare, cos come l'idea del tendere etc. [ ... ].

3. Da una lettera di Schelling a Hegel (4.2.


1795)

(Da F. SCHELLING, Briefe und Dokumente, val. II, Bonn, 1973,


pp. 65-66).
[ ... ] Intanto io sono diventato spinozista! Non restare ester-
refatto, ti spiegher subito in che senso. Per Spinoza il mondo
(l'oggetto in assoluto, in opposizione al soggetto) era tutto;
per me tutto l'io. La specifica differenza tra la filosofia cri-
tica e quella dogmatica consiste nel fatto che la prima prende
le mosse dall'io assoluto (non ancora condizionato dall'oggetto),
la seconda dall'oggetto assoluto, ovvero non-io. L~ultima posi-
zione, se viene svolta con ogni consequenzialit, porta al si-
stema di Spinoza, la prima a quello di Kant. La filosofia deve
muovere dall'incondizionato. Ora, il problema se questo in-
condizionato sia nell'io o nel non-io. Deciso questo, deciso
tutto. Per me il sommo principio di ogni filosofia l'io puro,
assoluto, cio l'io in quanto mero io, non ancora condizionato
da alcun oggetto, ma posto dalla libert. Lo A e lo .n di ogni
filosofia libert. L'io assoluto abbraccia una sfera infinita di
essere assoluto, in questa si formano sfere finite, che si gene-
rano mediante la limitazione della sfera assoluta ad opera di
82 Fichte e il primo idealismo

un oggetto (sfera dell'esistere-filosofia teoretica). In queste c'


piena condizionatezza, e l'incondizionato porta a contraddizioni.
Ma noi dobbiamo spezzare questi limiti, cio noi dobbiamo
uscire dalla sfera finita per giungere a quella infinita (filosofia
pratica). Questo esige dunque distinzione della finitezza, e ci
conduce cos nel mondo sovrasensibile. Ci che era impos-
sibile alla ragione teoretica, poich essa era indebolita dall'og-
getto, lo fa la ragion pratica . In questa per noi non po-
tremo trovare nient'altro che il nostro io assoluto, perch
stato lui solo a tracciare la sfera infinita. Per noi non c' alcun
mondo sovrasensibile che non sia quello dell'io assoluto. Dio
non altro che l'assoluto io, l'io che ha annientato tutto ci
che teoretico, ed esso, in filosofia teoretica, = O. La per-
sonalit si genera con l'unit della coscienza: la coscienza non
possibile senza oggetto; ma per Dio, cio per l'io assoluto,
non c' alcun oggetto, perch se ci fosse esso cesserebbe di
essere assoluto - non c' quindi alcun Dio personale, la no-
stra somma aspirazione la distruzione della nostra persona-
lit, passaggio nella sfera assoluta dell'essere, che per non
sar possibile, in tutta l'eternit; pertanto solo avvicinamento
pratico all'assoluto e quindi - immortalit.

4. Dalle lettere di J. B. Erhard


a F. I. Niethammer

J. B. Erhard ( 1766-1827), medico, filosofo e scrittore politico,


aveva conosciuto Fichte gi nei mesi del soggiorno di questi a
Konigsberg; ne recens in un lungo e impegnato saggio lo scritto
sulla rivoluzione francese. Anch'egli si pu, come Forberg, de-
finire un kantiano di sinistra, o, come stato detto guardando
alla sua attivit negli ultimi anni del secolo XVIII (quando
era agente segreto della repubblica francese), un kantiano gia-
cobino. Il destinatario delle lettere, F. I. Niethammer ( 1766-
1848), allora professore a Jena, e direttore del Philosophisches
Journal , era un pensatore molto modesto, ma fu l'amico
fedele di tutti i maggiori filosofi idealisti.
(Da H. SCHULZ, op. cit., pp. 67-68 e 76).
16 GIUGNO 1796. Il sistema di Fichte mi si fa chiaro solo
con ci che ho potuto vedere sfogliando il suo Diritto naturale,
contemporanei su Fichte e l'idealismo 83

e insieme le Lettere sul dogmatismo e il criticismo 1 uscite


nel tuo Journal ; ora per sono convinto che esso la
suprema aberrazione della ragione dimentica dei suoi limiti,
ma una aberrazione che giusta, in quanto essa ha costruito
il sistema direttamente opposto a quello di Spinoza; l'atei-
smo direttamente opposto al panteismo, ed davvero il puro
sistema ateistico; il sistema di Mirabaud' senza dubbio antitei-
stico, ma in fondo panteistico, in quanto innalza la natura a en-
te che in s contiene tutto. Spinoza si pu confutare soltanto con
la critica della ragione, e Fichte solo con quella della volont.
Dato che per ci che la volont pu volere cosa strettamente
personale, che ha luogo soltanto nell'autocoscienza, non pos-
sibile (propriamente parlando) alcuna critica della volont, in
quanto pu essere stabilito non che cosa io possa volere ( que-
sto lo so soltanto io), ma unicamente una dinamica del volere,
la quale determina ci che io sia in grado di realizzare; questa
verr spessissimo integrata dalla fantasia, e bisogner deporre
ogni speranza di convincere del suo errore, con proposizioni
tratte dalla dinamica della ragione, un uomo che non voglia
lssere convinto; si potr dire che matto, ma non confutarlo.
Voglia lddio che Fichte non venga perseguitato, se no po-
rrebbe davvero sorgere un fichtismo che sarebbe dieci volte
peggio di certi altri ismi del passato.
31 GENNAIO 1797. Fichte non riuscir a fare accettare il tono
con cui si esprime, tanto pi quando mette a nudo una igno-
ranza arrogante, come nella nota matematica all'inizio del
Diritto naturale - quando di un argomento non si ha alcum
idea precisa, non si dovrebbe parlarne in un tono cosl offen-
sivo. Se tu hai qualche influenza su di lui, cerca di indurlo
a non aprir mai bocca in tema di matematica, poich sembra
che egli non abbia mai capito cosa sia una costruzione mate-
matica.
E cosa cerca poi Fichte con tutto il suo polemizzare? O si
propone di ingrandire il suo partito, o no. Se la prima ipotesi

1. Le Lettere, uscite anonime, sono in realt di Schelling.


2. Il sistema di Mirabaud il Systme de la nature del barone
D'Holbach, uscito nel 1770 sotto il mentito nome di J. B. de
Mirabaud, un amico del barone defunto nel 1760. L'errore di Erhard
non deve stupire, perch il segreto della paternit del Systme f11
hen conservato per un paio di decenni.
84 Fichte e il primo idealismo

quella vera, allora egli non deve scegliere un tono che


necessariamente odioso per chiunque non voglia giurare in
verba magistri; se poi vera la seconda ipotesi, non si vede
perch si difenda tanto. Non appena avr un po' di tempo,
scriver un lavoro sulla filosofia dell'io in quanto problem-a
psicologico. Dimostrer che essa pu scaturire soltanto dal-
l'ideale della filosofia come arte, che essa propria a ogni
uomo, e che soltanto la Critica pu impedire di prenderla per
filosofia scientifica. Mediante la Critica si pu dimostrare che
il suo principio contenuto nel giudizio teleologico, e che suo-
na: Fine dell'universo essere materia per la conoscenza e
l'attivit dell'uomo; in altre parole, tutto per noi come sa-
rebbe per opera nostra qualora il nostro spirito fosse nello
stato di somma perfezione.

5. Novalis a F. Schlegel (8.7.1796)

Novalis, il cui vero nome F. von Hardemberg (1772-1801),


uno degli esponenti pi tipici del primo romanticismo; F.
Schlegel (1775-1829) considerato il fondatore della scuola
romantica. Entrambi, per qualche tempo, furono entusiasti esti-
matori di Fichte, pur senza identificarsi con tutte le sue pos1-
:uni, e dando anzi una propria interpretazione del suo pen-
siero. Val la pena di ricordare che in uno dei frammenti della
sua rivista Athenaeum lo Schlegel scrisse la frase famosa,
che la rivoluzione francese, il Wilhelm Meister di Goethe e la
Dottrina della scienza erano i tre grandi eventi dell'epoca.
(Da F. SCHLEGEL-NOVALIS, Briefwechsel, Darmstadt, 1957, pp.
59-60).

[ ... ] Devo a Fichte di essere stato incoraggiato. lui che m:


ha svegliato, e che indirettamente riattizza il mio fuoco. M-a
non credere che, secondo il mio solito, io ini sia gettato appas-
sionatamente in una sola direzione, e che non veda dove sto
andando [ ... ]. Sento sempre pi. in tutte le cose. le sublimi
membra di un mirabile tutto - nel quale io sono concresciuto,
che deve svolgersi perch la mia vita giunga a pienezza - e
non devo forse accettare volentieri tutto ora che amo, e nel-
l'amore vado pi in l di dove possa giungere una figura
spaziale, e pi a lungo di quanto duri l'oscillazione della corda
I contemporanei su Fichte e l'idealismo 15

della vita. Spinoza e Zinzendorf 1 l'hanno indagata a fondo


l'infinita idea dell'amore, e hanno intuito il metodo di realiz-
zare s per lei ;: ; lei per s su questo stame. un peccato che
io non colga in Fichte ancora alcuna traccia di questa prospet-
tiva, e che non senta in lui nulla di questo alito creatore. M1
egli vi si avvicina - egli deve entrare nel suo cerchio magico -
a meno che la vita che ha condotto prima non gli abbia levato
il polline dalle ali [ ... ].

6. Frammenti di Novalis ( 1796-1801)

(Da NOVALIS, Fragmente, Dresden, ediz. Kamnitzer, 1929: di


questa edizione si riporta la numerazione dei frammenti).
77. Non esiste una filosofia in concreto. La filosofia , come la
pietra filosofale, la quadratura del circolo e simili, un mero
compito, necessario per l'uomo di studi - l'ideale della scienza
in generale. La dottrina della scienza di Fichte non quindi
altro che la descrizione di questo ideale. Di scienze concrete
c' solo la matematica e la fisica. Filosofia l'intelligenza stessa;
filosofia perfetta perfetta intelligenza.
L'intera filosofia solo un sistema di procedimento scientifico
universale, valido per ogni individuo. I termini della filosofia
sono lettere alle quali possono e devono essere sostituite gran-
dezze reali e individuali.
La filosofia dissolve tutto, relativizza l'universo. Come il si-
stema copernicano, essa elimina i punti fermi, e trasforma lo
stabile nel fluttuante. Essa insegna la relativit di tutti i prin-
cipi e di tutte le propriet, la infinita molteplicit e unit della
costruzione di una cosa etc.
131. L'autentico sistema filosofico deve contenere la pura sto-
ria della filosofia; applicato a quella cronaca speciale che de-
scrive il formarsi della filosofia tra gli uomini, d la storia
della filosofia umana.
Fichte il rielaboratore della critica kantiana, il secondo Kant
- e se Kant l'organo inferiore, egli quello superiore. Ma

l. N. L. von Zinzendorf (1700-1760), oltre a svolgere una attiva


opera di organizzatore di conventicole religiose, compose un gran nu
mero di poesie, caratterizzate da una rugiadosa sensibilit.
86 Fichte e Il primo Idealismo

fino a che punto riesce ad esserlo completamente? Egli de-


pone i lettori l dove Kant li accoglie, la sua dottrina della
scienza pertanto la filosofia della critica, l'introduzione ad
essa, la parte pura di essa. Contiene i principi della Critica.
Ma, a mio parere, le manca ancora troppo per realizzare questo
ideale. Comprende solo una parte della filosofia della critica,
ed incompleta come lo la critica. Il progetto di Kant era
di dare una critica universale, enciclopedica; ma non lo ha
realizzato interamente, n i singoli blocchi della sua esposi-
zione sono egualmente felici. E lo stesso si pu dire per la
rielaborazione fichtiana del progetto critico di Kant.
132. L'autentica nuova acquisizione, in Fichte come in Kant,
si trova nel metodo, n<;lla riduzione a regola del genio.
Le illuminazioni, i metodi geniali, sono qui - se lecito
dirlo - esposti esaurientemente e riportati a un sistema.
Uno per uno i risultati erano gi quasi tutti dati, ma mancava
lo spirito del sistema, lo spirito critico, senza il quale tutto
questo patrimonio era incerto e inutilizzabile. Con la ragio-
nata riunione delle membra, con l'esercizio della critica, con
un processo unificante sensibilit e volont, lo spirito viene
fissato.
133. Plotino, in quasi tutti i suoi risultati, era gi idealista e
realista critico.
Il metodo di Kant e di Fichte non ancora esposto in forma
completa e sufficientemente precisa. N l'uno n l'altro hanno
ancora imparato a esperimentare con eleganza e in tutte le
direzioni - n sanno farlo in modo poetico. Tutto cos
rigido, e per giunta poco audace.
134. L'idealismo null'altro che puro empirismo.
150. Sarebbe ben possibile che Fichte fosse l'inventore di un
modo di pensare completamente nuovo, per il quale il lin-
guaggio non ha ancora un nome. Non detto che l'inventore
sappia usare il suo strumento nel modo pi perfetto, e traen-
done il pi gran numero di accordi, anche se di ci non
voglio fare una legge. per verosimile che ci siano e ci sa-
ranno uomini che sapranno fichtianizzare assai meglio di Fichte.
E posson nascere meravigliose opere d'arte quando si inco-
mincia a fchtianizzare in modo artistico.
l59. possibile che certi limiti e certe imperfezioni del no-
stro intelletto esistano in funzione della religione, come l'indi-
I contemporanei su Fichte e l'idealismo 87

genza e il bisogno sono in funzione dell'amore? Onde sentirci


collegati, e in maniera infinita, anche con esseri extramondani
ci siamo determinati a essere uomini, e abbiamo eletto come
monarca un Dio. Deduzione degli spiriti dall'essenza della ra-
gione. Nostri rapporti con essi (forma poetica del mondo). Noi
non abbiamo alcun limite del progresso intellettuale, ma dob-
biamo porci limiti transitori, ad hunc actum, insieme limitati
ed illimitati; dobbiamo poter far miracoli, ma non volerlo,
poter essere onniscienti, ma non volerlo.
Con la corretta educazione della nostra volont va avanti anche
l'educazione delle nostre capacit e del nostro sapere. Nel
momento nel quale noi saremo perfettamente morali potremo
anche far miracoli - cio nel momento nel quale non ne vor-
remo fare - o al massimo miracoli morali (Cristo). Il mira-
colo pi alto una azione virtuosa, un atto di libera deter-
minazione.
Non possibile che, enunciando la proposizione L'io non
pu limitare se stesso Fichte sia stato incoerente, e abbia
fatto una concessione al principio di ragione sufficiente? La
possibilit dell'autolimitazione la possibilit di ogni sintesi,
di ogni miracolo. Ed con un miracolo che il mondo inco-
minciato (sono possibili giudizi sintetici a priori? C' una
intelligenza magica, cio una ragione?).

7. Da una lettera di Kant a J. H. Tieftrunk


(5.4.1798)

Questo, e i due testi che seguono, illustrano la rottura tra Kant


e Fichte; sono interessanti non tanto dal punto di vista teorico
(Kant aveva solo sfogliato la Dottrina della scienza, e ne cono-
sceva il contenuto solo dalle recensioni; doveva aver letto,
peraltro, alcuni degli scritti successivi di Fichte), quanto da
quello storico, per il tipo di argomenti adoperati. caratteri-
stica l'accusa di ricadere nella metafisica, dimenticando tutte
le acquisizioni della Critica; in quanto all'altra replica, nella
quale Kant protesta per l'interpretazione della Critica come
semplice propedeutica, bisogna dire eh.e egli stesso era respon-
sabile del!' equivoco, per le dichiarazioni contraddittorie fatte
sul!'argomento.
(Da r. KANT, Gesammelte Schriften, ediz. dell'Accademia di
Prussia, val. XII, p. 241).
88 Fichte e i I primo idealismo

Che cosa ne pensa della dottrina generale della scienza dei


signor Fichte? un libro che mi ha mandato parecchio tempo
fa, ma la cui attenta lettura avevo rinviato perch Io trovai
prolisso, e tale da interrompere troppo il mio lavoro - e ora
ne ho notizia solo dalla recensione della Allgemeine Litera-
turzeitung . Adesso non ho tempo di prenderlo in mano; m1
la recensicne in suo favore ( stata redatta dal recensore con
molta simpatia) mi d l'impressione di un che di spettrale -
come se qualcuno credesse di aver agguantato qualche cosa, e
poi si trovasse che non un oggetto, ma sempre e soltanto se
stesso, anzi, soltanto la mano che cerca di agguantare s 0

stessa. La mera autocoscienza, e considerata solo sotto la forma


del pensiero, senza materia, e - di conseguenza - senza che
la riflessione abbia davanti a s qualche cosa cui l'autocoscienza
possa essere applicata, e che va persino al di l della logica
- tutto ci d al lettore una impressione di stravaganza. Gi
il titolo, Dottrina della scienza - ma ogni dottrina esposta
sistematicamente scienza - suscita scarsa aspettativa del
guadagno che se ne pu trarre, perch essa potrebbe accennare
a una scienza delle scienze, e cos via all'infinito.

8. La dichiarazione di Kant sulla << Dottrina


della scienza di Fichte (7 .8.1799)
---- - --~ ---

(Da 1. KANT, op. cit., val. XII, pp. 370-371 ).


Stimolato dal solenne invito rivoltomi, a nome del pubblico,
dal recensore dello Entwurf der Transcendental-Philosophie
del Buhle ( Erlangische Literaturzeitung dell'll gennaio
1799, nr. 8) dichiaro con la presente di considerare la dottrina
della scienza di Fichte un sistema del tutto insostenibile. Pura
dottrina della scienza infatti n pi n meno che mera logica
la quale, con i suoi principi, non pu presumere di rrivare
sino all'elemento materiale della conoscenza; essendo purl
logica, astrae dal contenuto di questa, e volerne tirar fuori un
oggetto reale fatica sprecata, ed una impresa alla quale
non si era ancora messo nessuno; e se poi la si tenta si co-
stretti, ammesso che sia valida la filosofia trascendentale, a
passar subito oltre di essa, e a finire nella metafisica. E per
ci che riguarda la metafisica secondo i principi fichtiani: sono
I contemporanei su Fichte e l'idealismo 39

tanto poco disposto ad accettarla che, rispondendo a una sua


lettera, gli consigliai di coltivare, in luogo di infruttuose sot-
tigliezze (apices), le sue buone qualit di espositore, le quali
si potevano applicare con utili risultati alla Critica della ragion
pure:; ma egli rifiut cortesemente, dichiarandomi che non
avrebbe cessato di interessarsi dell'elemento scolastico. Ha cos
risposto egli stesso alla domanda se io possa considerare auten-
tico criticismo lo spirito della filosofia fichtiana, e senza che
io sia costretto a dar su di essa giudizi positivi o negativi -
perch qui non si tratta di giudicare un oggetto, ma di accer-
tare come giudica un .soggetto; tutto ci mi basta per dire di
non aver niente in comune con quella filosofia.
Al riguardo, devo ancora fare una osservazione: non riesco
proprio a capire come mi si sia potuta attribuire l'intenzione
di dare soltanto una propedeutica alla filosofia trascendentale,
e non il sistema stesso di questa filosofia. Un tal proposito non
ha mai potuto venirmi in mente, perch io stesso ho affermato
che la trattazione integrale della pura filosofia, nella Critica
della ragion pura, era il segno pi attendibile della verit di
essa. Infine, il recensore afferma che la Critica, a proposito
delle parole con cui essa spiega la sensibilit, non va presa
alla lettera, ma che chiunque la voglia comprendere deve si-
tuarsi anzitutto nella prospettiva giusta (di Beck o di Fichte ),
perch la lettera kantiana, come quella aristotelica, uccide lo
spirito; e io dichiaro ancora una volta che la Critica va intesa
soltanto alla lettera, e che bisogna accostarvisi soltanto con
l'intelletto comune, purch esso sia sufficientemente educato a
simili analisi astratte.
Un proverbio italiano dice: Dagli amici mi guardi Iddio che
<lai nemici mi guardo io. Ci sono infatti amici sinceri, ani-
mati dalle migliori intenzioni, ma che nella scelta dei mezzi
per favorire i nostri propositi si comportano goffamente, e fin'-
scono con lo sragionare; ma ci sono anche dei cosiddetti amici
ipocriti, maligni, che mirano alla nostra rovina e che pure ado-
perano un linguaggio pieno <li rispetto (aliud lingua promptum,
ali ud pectore inclusum gerere ), m:i confronti dei quali, e dei
lacci che tendono, non si sta mai abbastanza in guardia. Mal-
grado questo la filosofia critica, per la sua irresistibile tendenza
a soddisfare la ragione dal punto di vista teoretico come da
quello morale-pratico, deve serbare la convinzione che a<l essa
non si impone alcun mutamento di vedute, n alcuna corre-
zione, n alcuna ricostruzione del suo edificio dottrinale; il
sistema. della Critica si appoggia a un fondamento del tutto
90 Flchte e Il primo idealismo

sicuro, di solidit indiscutibile, e sar per tutte le epoche fu-


ture indispensabile alla realizzazione dei fini supremi delh
umanit.

9. Lettera di Schelling a Fichte sulla<< Dichia-


razione di Kant (12.9.1799)

(Da F. SCHELLING, op. cit., vol. II, pp. 188-189).


Schlegel mi dice che sono io a dover decidere se necessario
che Lei legga la Dichiarazione di Kant - e io ritengo che non
sia necessario, a meno che Lei non si senta costretto a rispon-
dere. Il che per mi sembra necessario, da qualsiasi punto di
vista. Basta che Lei soltanto lo voglia per mettere a nudo
tutta la miseria di una tale dichiarazione. Perch risparmiarlo,
ora che quest'uomo, completamente incapace di vedere ci>
che Lei , e ci che gi il nostro tempo divenuto per opera
Sua, parla con tono di superiorit di Lei e della Sua filosofia,
e per giunta non si vergogna di ripetere sotto gli occhi del
pubblico ci che aveva avuto l'ingenuit di scrivere gi a Lei,
come se un uomo come Lei non potesse fare niente di pi
grande che commentare la Critica? In realt alla Sua filosofia
niente .poteva essere pi favorevole di questa dichiarazione, l
quale redatta in modo tale da far balzare agli occhi anche
el pi semplice degli uomini quanto sia volgare e meschina.
giunto il momento che Lei lasci cadere quell'atteggiamento
ambiguo nei confronti di Kant che La ha danneggiata forse pi
di ogni altra cosa - e meno male che stato lo stesso Kant
a rompere. Si trascini pur dietro, d'ora in poi, i morti gessi
della sua Critica; non merita pi, adesso, di essere interpretato
in modo cos trascendentale, come se avesse inconsapevolmente
detto ci che egli - come noi tutti sapevamo benissimo -
non ha mai detto, n era in grado di dire con consapevolezza.
Poich evidentemente egli 1) conosce della Sua Dottrina della '1
scienza soltanto il titolo (salvo ci che gli hanno riferito ma-
gari i suoi amici, e in particolare il recensore di Gottinga, dal
quale senza dubbio ha imparato che Lei tira fuori la metafi-
sica dalla logica) e si pronunzia quindi su qualche cosa che
n conosce n capisce; 2) vive nella beata illusione che l'epoca
sia ancora dove era dieci anni fa, cio a ripetere macchina\-
I contemporanei su Fichte e l'idealismo 91

mente la Critica - il che del resto egli esige con secche pa-
role - ; 3) e crede che la Critica abbia innalzato le colonne
d'Ercole del pensiero non solo per adesso, ma per tutte le
epoche future - egli ha evidentemente distrutto se stesso, e
Lei non ha altro da fare che prender atto di questo autoanni-
chilimento, e accettarlo ad ogni buon fine. Perch Lei deve
essere convinto (e lo so non solo perch Lei lo ha detto, ma
anche per l'evidenza con cui ne sono convinto) che la filosofia
di Kant ovvero in s nulla e contraddittoria, ovvero dew
sostenere le stesse cose che sostiene la Sua, il dichiarare da
parte di Kant di non avere niente in comune con la Sua filo-
sofia la prova pi evidente che per lui gi venuta la poste-
rit, la quale (come egli stesso disse una volta di Platone) Io
capisce meglio di quanto egli stesso non si sia capito; e poi-
ch ognuno pu dire la sua soltanto nella propria epoca, egli,
che non sa andare al di l dei limiti di essa, ha perduto ogni
diritto di continuare a parlare, ed filosoficamente morto. Ha
tutte le ragioni di non voler ammettere altro che la Critica;
dato per che l'andar oltre la Critica non soltanto possibile,
ma si gi verificato, per cui non pu sussistere alcun dubbio
sulla sua possibilit, ecco che esiste qualcosa che posto del
tutto al di fuori del suo orizzonte, che per lui appartiene gi
alla posterit, e dove egli non ha assolutamente alcun diritto
di parlare.

10. F. Schlegel - Critica dell'idealismo (1804-


1806)

Si gi detto che F. Schlegel era stato un caloroso sostenitore


di Ficbte, la cui filosofia egli si sforz anche di rielaborare per-
sonalmente, sia in una serie di scritti (pubblicati postumi) che
i>i un corso di lezioni all'universit di ]ena. Ma dal 1802 nella
sua vita intellettuale ci fu una svolta profonda; la scoperta
della civilt e della religione indiana lo port via via verso
la mistica, e a guardare con occhio critico le filosofie del
suo tempo. Di questo stato d'animo sono testimonianza le
pagine che seguono.
(Da F. SCHLEGEL, Schriften und Fragmente, a cura di E. Behler,
Stuttgart, 1956, pp. 224-229).
92 Fichta e Il primo Idealismo

La ragione della imperfezione dei sistemi idealistici va ricer-


cata nel modo con cui essi hanno cercato di spiegare il mondo
fenomenico; per Berkeley esso all'incirca un'apparenza cao-
tica e disordinata, senza scopo n norma; in Leibniz viene spie-
gato con una ipotesi del tutto arbitraria; Kant e Fichte ten-
tano di riportarlo alle leggi del nostro intelletto, e di spie-
garci la sua regolarit, la sua conformit a una legge e la sua
necessit, muovendo dalla soggettivit; qui si pu per do-
mandare: chi garantisce per la verit della legge? Chi ha dato
le leggi alla soggettivit condizionata?
impossibile far dare all'io leggi senza ammettere qualcosa al
<li fuori di lui che dia le leggi.
peraltro esatto che, fintanto che la sensazione resta distinta
dall'oggetto esterno, separata da lui da un gigantesco abisso,
priva di ogni analogia con esso, l'oggetto - al quale viene pur
sempre attribuita l'impressione - non potr essere altro che
apparenza, e pertanto il presupporre oggetti esterni assolu-
tamente arbitrario; ma appunto per questo il mondo dei feno-
meni, nel quale gli idealisti dissolvono il non-io, non affatto
una apparenza cosl vuota. Si pu chiedere se sia una appa-
renza tanto vuota da non contenere alcun essere, da non
avere a proprio fondamento nessun essere - c' infatti anche
un'apparenza piena di senso e significato, immagini, parole etc.
Cosa ha in comune la parola sensibilit con la cosa stessa?
L'immagine o la parola che collega uno spirito con un altro
e li mette in comunione non ha proprio niente in comune col
concetto che con essi uno spirito comunica all'altro, o col
collegamento che grazie ad essi i due spiriti stabiliscono tra
loro. Una parola o immagine non dunque una vuota appa-
renza, malgrado non abbia alcuna simiglianza con l'oggetto
che essa significa.
L'idealista ha ragione di affermare - e gli anche facile
dimostrarlo - che gli uomini non escono mai dalla loro co-
scienza, che quindi del tutto assurdo presupporre un asso-
luto non-io, e che non esiste nulla che non sia soggetto auto-
cosciente; - ma proprio per questo non pu ammettere un
mondo fenomenico del tutto vuoto, perch esso non potrebbe
sussistere accanto alla realt infinita alla quale tutti gli idea-
listi credono senza esitazione, della quale essi, tutti, sono con-
vinti; e tanto meno potrebbe sussistere accanto alla realt in-
finita come il non-io accanto all'io. Una vuota apparenza cosi
n'olteplice e dalle forme cos elaborate sarebbe un mondo, un
intero di nulla; ma come pu un vuoto mondo di nulla esistere
I contemporanei su Fichte e l'Idealismo 93

accanto alla divinit nella realt infinita, e come pu una vuot'.'I


apparenza esistere in una realt infinita?
Se in filosofia si volesse lasciare all'arbitraria intenzione e al
presupposto uno spazio vasto come quello che in parte molti
idealisti, per risolvere l'enigma, si sono attribuito, si dovrebbe
considerare le impressioni di tutti i fenomeni naturali nel modo
suindicato, cio come parole le quali, pur non essendo l'og-
getto, ci mettono per, quali intermediari, in sintonia con
esso - come espressioni, come parole, per met comprensi-
bili e per met incomprensibili, di spiriti a noi affini, ma inca-
tenati, i quali non riescono a farsi capire, e che sembrano
ora lamentarsi, ora esprimere la loro natura intima, e invi-
tarci a gioire o a condolerci etc. - Nello stesso modo la voce
dell'usignolo deve dare, a chiunque la oda, l'impressione di
essere la voce per met comprensibile e per met no di n
ente che ci s affine, ma che separato da noi, come la voce
oscura e incomprensibile di uno spirito incatenato che ci vuol
parlare, che vuol farsi capire.
In tal caso, se fosse un'apparenza piena di significato, e tutto
fosse soltanto io, potrebbe conciliarsi meglio con l'idea di una
realt infinita, la quale, poi, l'unico elemento che faccia
dell'idealismo un idealismo - se gli si leva questo, lo si ridur-
rebbe all'autocontemplazione dell'io individuale, lo s1 degra-
derebbe a un empirismo soggettivo.
Questo modo di pensare sarebbe pi comprensibile di quello
di taluni idealisti i quali, riconducendo l'apparenza a un con-
testo regolato da leggi, l'hanno resa tanto varia, l'hanno trasfor-
mata in un mondo di nulla; ed possibile che questa sia la
ragione per la quale nel sistema fichtiano si sono trovate tante
analogie col panteismo che ci getta in un abisso senza fine di
vuotezza e di nullit.
Per spiegare una tale apparenza ricca di significato neces-
sario non solo che non si ponga alcun non-io, come si gi
mostrato, ma anche che, presupposta una pluralit di spiriti
condizionati, si indichi nell'io stesso un fondamento di que-
sta significante apparenza. Tale fondamento anzi (ammesso
che sia possibile) si potrebbe intendere come la comunanza
dello spirito incondizionato con quello condizionato.
Se invece si vuole spiegare e dedurre la vuota apparenza, si
giunger necessariamente a dover ammettere un non-io; se si
vuol dedurre l'apparenza secondo leggi - come Kant e Fichte -
e non - come Leibniz e Berkeley - servirsi dell'arbitrio pi
94 Fichte e il primo idealismo

illimitato, si dovr necessariamente ammettere un non-io come


fondamento della vuota apparenza.
In tal caso la vuota apparenza potr esser considerata solo
limite della soggettivit autocosciente e, posto che questo sia
un'autolimitazione, non si potr abbandonare di nuovo la sog-
gettivit all'arbitrio, ma tutto dovr essere spiegato, secondo
leggi, dalla soggettivit stessa; per questa autolimitazione il fon-
damento non per nella soggettivit, ma in qualcosa che
esterno all'io, e che lo determina a limitarsi.
Kant non spiega affatto perch sia necessario, non specifica
affatto come questa legislazione si generi e sia indotta ad
opera di un qualcosa, n come l'io l'abbia data a se stesso.
Per Fichte l'io d leggi a se stesso; si domanda per se ci
avvenga per libera scelta o secondo necessit; nel primo caso
si avrebbe l'arbitrio pi scatenato; se invece le leggi sono
necessarie, non potendo il fondamento di questa necessit es-
sere nell'io, quest'ultimo sar sottoposto e subordinato a un
che di estraneo a lui.
Il qualcosa ottiene cos la priorit in quanto, derivando tutta
la legislazione dall'urto del qualcosa, l'io, senza urto, sarebbe
eternamente rimasto senza leggi - e d'altra parte l'urto che
rende necessaria tutta l'autolegislazione dell'io, tutte le leggi
ne sono determinate - tanto che l'io governato e limitato
dal qualcosa.
Il risultato pertanto il seguente: gli idealisti sono costretti,
per spiegare l'autolimitazione o la limitazione dell'io la quale
avviene per l'ammissione di una vuota apparenza, a porre uno
sconosciuto qualcosa, il quale d il primo urto, occasione di
un'autolegislazione, e che in questo modo limita l'io proprio
quanto la vuota apparenza. E l'uno rimanderebbe cos all'altro,
all'infinito, senza che si possa risolvere il problema in modo sod-
disfacente, perch l'errore implicito nella prima affermazione,
e non si pu eliminare anche se si ricorre a ogni sorta di sotti-
gliezze e di potenziamenti; fuori, accanto e sopra l'io, rester
cos sempre qualche cosa, fosse anche l'atomo pi sottile.
Si vede che il vero fondamento, e l'occasione di questa auto-
limitazione, , in tutti gli idealisti che ci sono stati, arbitrario,
per cui si pu pertinentemente affermare: l'arbitrio nell'auto-
limitazione conforme alla natura dell'idealismo, anzi un
elemento costitutivo del sistema. Ogni idealista rimprovera
all'altro di esser rimasto a met strada, e poi cade egli stesso
contemporanei su Fichte e l'idealismo 95

in questo errore. Questo arbitrio nell'autolimitazione si trova


sia in Leibniz che in Kant, e in Fichte come in Leibniz.
E, infine, cosa mai la fede in Kant e in Fichte se non
una arbitraria recisione del nodo che il loro stesso sistema
ha contribuito a intrecciare? La paura di perdersi chiss dove,
nelle speculazioni e nelle fantasticherie da visionari, quell'arbi-
trario arrestarsi o arretrare che si pu riscontrare presso quasi
tutti gli idealisti, si pu facilmente spiegare nel modo seguente.
Ci che pi terrorizza l'uomo l'assoluta solitudine. Ora,
l'idealismo proprio il sistema nel quale lo spirito comple-
tamente isolato, nel quale gli tolto tutto ci che lo apparenta
col mondo comune, per cui esso H solo e completamente
spogliato. Questa l'autentica causa di quel fenomeno.
Dopo aver esposto e criticato due elementi costitutivi essen-
ziali dell'idealismo, e cio la dissoluzione in vuota apparenza
di ogni fenomeno corporeo, e l'arbitrio nell'autolimitazione, ci
resta da svolgere ancora una terza considerazione, indispensabile
per caratterizzare compiutamente l'idealismo: quella relativa al
principio della attivit.
L'idealista, negando tutti gli oggetti fuori di lui, la cosa in s
e il non-io, combatte, propriamente parlando, contro due con-
cetti; infatti il concetto di cosa in s, del non-io, contiene in
s due elementi: l'essere e il finito.
Contro il finito egli non polemizza in maniera assoluta: non
gli nega assolutamente ogni realt, come fa il panteista, e
gliene lascia invece una relativa, derivata, secondaria, una quasi
realt; all'essere nega invece ogni realt, lo dichiara mera ap-
parenza. Il che del tutto ovvio, e conforme al suo modo di
pensare, poich l'essere l'esatto contrario dell'idea di sog-
gettivit: lo spirito vita attiva; e soggettivit, spirito, vita,
attivit, movimento, trasformazione sono la stessa cosa. L'es-
sere invece permanente quiete, pace, immobilit, assenza di
ogni mutamento, movimento e vita: esso consiste, cio, nella
morte.
E in questo gli idealisti sono simili agli antichi fisici e scettici
greci, i quali affermavano: tutto in un perenne fluire, in
mutamento e in mobilit incessanti, perch l dove, come
essi fanno, si prende la vita e l'attivit come principio base
della natura, c' anche mutamento etc.
In Fichte questo aspetto esposto non soltanto con chiarezza,
ma anche con molta eloquenza, e costituisce senza duhhio la
patte migliore del suo idealismo.
INDICE

Fichte e il primo idealismo

1. L'idealismo 1
2. Il principio 8
3. Il metodo 11
4. La teoria trascendentale della conoscenza 17
5. L'intersoggettivit 21
6. La svolta religiosa 25
7. La seconda filosofia 31
8. Conclusione 39

Nota biografica 43
--------~-------------

Bibliografia essenziale 45

1. Repertori bibliografici 45
2. Principali edizioni delle opere 45
3. Letteratura su Fichte 46

Testi 48

1. Lettera a F. V. Reinhard (15 .1.1794) 48


98 Fichte e il primo idealismo

2. Lettera a K. L. Reinhold (2.7.1795) \ 50


3. Come una reale scienza filosofica si differenzia
da una mera filosofia formulistica (1796) 54
4. La libert e l'oggetto (1798) 57
5. Deduzione della causalit reale dell'essere ra-
zionale ( 1798) 61
6. Un frammento dell'aprile 1799 64
7. La fede (1800) 67
8. I due ordini dell'universo (1800) 70
9. Deduzione della dottrina della scienza dallo
spirito del criticismo (1804) 73
10. L'essere e l'amore (1806) 75

I contemporanei su Fichte e l'idealismo 79

1. Annotazione di K. F. Forberg (7.12.1794) 79


2. Da una lettera di Holderlin a Hegel (26.1.
1795) 80
3. Da una lettera di Schelling a Hegel (4.2.1795) 81
4. Dalle lettere di J. B. Erhard a F. I. Niethammer 82
5. Novalis a F. Schlegel (8.7.1796) 84
6. Frammenti di Novalis (1796-1801) 85
7. Da una lettera di Kant a J. H. Tieftrunk (5.
4.1798) 87
8. La dichiarazione di Kant sulla Dottrina della
scienza di Fichte (7.8.1799) 88
9. Lettera di Schelling a Fichte sulla Dichiara-
zione di Kant (12.9.1799) 90
10. F. Schlegel - Critica dell'idealismo (1804-1806) 91
Sta111pato nel mese di Dicembre 1975
dalla Industria Grafica L'Impronta S.p.A. - Scandici- rlrenz,.
per conto di G. C. Sansoni S.p. A., Firenze
Volumi pubblicati

1 /Franco Cardini, IL MOVIMENTO CROCIATO


2 /Marcello Carmagnani, L'AMERICA LATINA DAL 1880 Al
NOSTRI GIORNI
3 /Valerio Castronovo, LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
4 /Gina Fasoli / Francesca Socchi, LA CITT MEDIEVALE
ITALIANA
5 /Armando Sapori, LA MERCATURA MEDIEVALE
6 /Piero Barucci, ADAM SMITH E LA NASCITA DELLA SCIEN-
ZA ECONOMICA
7 /Norberto Bobbio, PARETO E IL SISTEMA SOCIALE
8 /Massimo Mugnai, LEIBNIZ E LA LOGICA SIMBOLICA
9 / Maurizio Fagiolo, LA SCENOGRAFIA
10 /Giuliana Leccese, ELEMENTI DELLA TEORIA INGENUA
DEGLI INSIEMI
11 /Claudio Moreschini, CRISTIANESIMO E IMPERO
12 /Claudio Moreschini, IL ROMANZO GRECO
13 /Filippo Maria Pontani, L'EPILLIO GRECO
14 /Giovanni Cherubini, AGRICOLTURA E SOCIET RURALE
NEL MEDIOEVO
15 /Aldo De Maddalena, MONETA E MERCATO NEL '500: LA
RIVOLUZIONE DEI PREZZI
16 /Ettore Casari, LA FILOSOFIA DELLA MATEMATICA DEL
'900
17 /Andrea Messeri, IL PROBLEMA DEL POTERE NELLA 50-
CIET OCCIDENTALE
18 /Stefano Poggi, HUSSERL E LA FENOMENOLOGIA
19 /Antonio Pinelli, I TEATRI
20 /Giuseppe Dabini, INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA
21 /Bruno Basile, LA POESIA CONTEMPORANEA (1945-1972)
22 /Ernesto Guidorizzi, LA NARRATIVA ITALIANA E IL CINEMA
23 I Guido Valabrega, IL MEDIO ORIENTE DAL PRIMO DOPO-
GUERRA A OGGI
24 /Arnaldo Ballerini, ASPETTI DELLA PSICHIATRIA CONTEM-
PORANEA
25 /Sergio Landucci, MONTESQUIEU E L'ORIGINE DELLA
SCIENZA SOCIALE
26 I Simonetta Lux, ARTE E INDUSTRIA
27 /Umberto Capitani, SCIENZA E PRATICA NELLA CULTURA
LATINA
28 / Francesco Sisti, AMORI E PERIPEZIE (LA COMMEDIA
NUOVA)
29 / Josef Macek, LA RIFORMA POPOLARE
30 /Sergio Moravia, LVl-STRAUSS E L'ANTROPOLOGIA STRUT-
TURALE
31 /Vittorio Rubiu, LA CARICATURA
32 / Umberto Colombo / Giuseppe Lanzavecchia, SCIENZA
DEI MATERIALI - I MATERIALI NELLA SOCIETA MODERNA
33 / Mario Puppo, BENEDETTO CROCE E LA CRITICA LETTE-
RARIA
34 / Guido Paduano, IL MONDO RELIGIOSO DELLA TRAGEDIA
ROMANA
35 /Walter Bernardi, UTOPIA E SOCIALISMO NEL '700 FRAN-
CESE
36 /Giorgio Petrocchi, SCRITTORI RELIGIOSI DEL DUECENTO
37 /Giulia Piccaluga, ASPETTI E PROBLEMI DELLA RELIGIONE
ROMANA
38 /Gian Mario Bravo, LE ORIGINI DEL SOCIALISMO CON-
TEMPORANEO (1789-1848)
39 /Gilberto Lonardi, LEOPARDISMO
40 /Guido Paduano, EURIPIDE: LA SITUAZIONE DELL'EROE
TRAGICO
41 /Mario Rosa, POLITICA E RELIGIONE NEL '700 EUROPEO
42 /Rocco Montano, MACHIAVELLI: VALORE E LIMITI
43 /Ornella Pompeo Faracovi, SARTRE: UNA BATTAGLIA PO-
LITICA
44 /Rossana Bossaglia, IL LIBERTY: STORIA E FORTUNA DEL
LIBERTY ITALIANO
45 /Daniela Delcorno Branca, IL ROMANZO CAVALLERESCO
MEDIEVALE
46 /Paolo Tomasello, LA CRITICA DELLA CIVILTA NELLA PSI-
COANALISI
47 /Stefano Susinno, LA VEDUTA NELLA PITTURA ITALIANA
48 /Sergio Moravia, ADORNO E LA TEORIA CRITICA DELLA
SOCI ETA
49 /Franco Meregalli, PRESENZA DELLA LETTERATURA SPA-
GNOLA IN ITALIA
50 / Jadran Ferluga, BISANZIO: SOCIETA E STATO
51 /Giorgio Petrocchi, SCRITTORI RELIGIOSI DEL TRECENTO
52 / Josef Macek, L'EUROPA ORIENTALE NEI SECOLI XIV E XV
53 Vincenzo Schettino, LE VIBRAZIONI DELLE MOLECOLE
54 Francesco Sisti, LA COMMEDIA POLITICA
55 Giorgio Pullini, TEATRO CONTEMPORANEO IN ITALIA
56 Ettore A. Albertoni, GAETANO MOSCA E LA TEOR!A DELLA
CLASSE POLITICA
57 I Carlo Delcorno, LA PREDICAZIONE NELL'ETA COMUNALE
58 I
Le Thnh Khi, IL SUD-EST ASIATICO CONTEMPORANEO
59 I
Umberto Colombo / Giuseppe Lanzavecchia, LO STATO
SOLIDO: ATOMI E LEGAMI
60 /Chiara Giuntini, TOLAND E I LIBERI PENSATORI DEL '700
61 /Biancamaria Scarcia Amoretti, TOLLERANZA E GUERRA
SANTA NELL'ISLAM
62 / Biancamaria Mariano, SCUOLA E CONTROSCUOLA NEL-
L'ANTICA ROMA
63 / Roberto Moro, LA CRISI DELL'ANTICO REGIME IN FRAN-
CIA (1776-1788)
64 / Mario Puppo, POETICA E POESIA NEOCLASSICA DA
WINCKELMANN A FOSCOLO
65 /Mariateresa Beonio-Brocchieri Fumagalli, WYCLIF: IL CO-
MUNISMO DEI PREDESTINATI
66 /Silvana Macchioni, IL DISEGNO NELL'ARTE ITALIANA
67 /Filippo Maria Pantani, LA MORTE DEGLI EROI
68 /Paolo Casini, IL PATTO SOCIALE
69 /Salvo D'Agostino, L'ELETTROMAGNETISMO CLASSICO
70 /Rossana Mugellesi, PAESAGGI LATINI
71 /Paolo Viola, IL TERRORE (1792-1794)
72 /Emilio Gabba, LE RIVOLTE MILITARI ROMANE DAL IV SE-
COLO A.C. AD AUGUSTO
73 /Edoardo Grendi, L'INGHILTERRA VITTORIANA
74 /Pietro Rossi, STORIA UNIVERSALE E GEOGRAFIA IN HEGEL
75 /Roberto L. Colombo, LE CARATTERISTICHE MECCANICHE
DEI MATERIALI
76 /Arcangelo Rossi, POPPER E LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA
77 /Claudio Cesa, FICHTE E IL PRIMO IDEALISMO

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