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|L’origine (SIE Me ate Feltrinelli OM eh? Lorigine della vita di Bernal, Haldane, Pirie, Pringle, presentato da Massimo Aloisi e tradotto da Maurizio Turri per VUniversale Economica dell’Editore Feltrinelli pagg. 176 una discussione su un problema antico quanto la storia dell’uomo, che @ diventato un vero problema scientifico valicando tenaci limitazioni teologiche una discussione che assume a volte un carattere pungente, mostra come nella scienza, accanto alla impersonale raccolta dei dati, viva e operi sempre |’uomo con la sua incessante insoddisfazione, con le sue stesse passioni ora accese, ora represse da differenti ideologie un esempio di cosa sia la scienza in formazione Questo libro raccoglie il saggio ormai famoso di J. D. Bernal su Le basi fisiche della vita (del 1947-49) e articoli di J.B. Haldane, N.W. Pirie, J.W.S. Pringle e ancora dello stesso Bernal, apparsi “a catena” nella rivista inglese New Biology tra il 1952 e il 1954. _ seconda edizione aaujays aqiy SS or OA) SSSR i eee a venereal I saggi qui raccolti sono apparsi in “New Biology,” nn° 12 (aprile 1952), 13 (ottobre 1952), 16 (aprile 1954), ad eccezione di The phy- sical basis of Life di J. D. Bernal, pubblicato in volume (Routledge and Kegan Paul, London, 1952) la cui traduzione italiana di Gior- gio Segre ci @ stata gentilmente concessa dalle Edizioni Scientift che Einaudi. Traduzione dall’inglese di Maurizio Turri Prima edizione italiana: dicembre 1957 Seconda edizione: marzo 1962 Copyright by © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Lorigine della vita a J. D. Bernal - J. B. S. Haldane - N. W. Pirie J. W. S. Pringle Prefazione di Massimo Aloisi Feltrinelli Editore Milano Prefazione Vi sono problemi scientifici che rimangono per anni e decenni sfuocati in un fondo di interessi presenti ma non attuali, Vattenzione dei pid rivolgendosi ad altri obiet- tivi che appaiono, e spesso sono, maggiormente pregni di rilevanza pratica o comunque pit vicini ad una prima tappa risolutiva, anche in sede teorica. Il problema dell’origine della vita, problema antico quanto la preistoria dell'uomo in quanto primordiale at- teggiamento dell’uomo come essere cosciente del proprio stato e del suo rapporto colla natura, é divenuto problema scientifico dal momento in cui la biologia, valicando le li- mitazioni di natura teologica, affrontando e vincendo la battaglia relativa al problema della continua trasforma- zione delle specie viventi, quale i documenti passati e gli attuali ci dimostrano, ha potuto estrapolare il proprio ar- dito disegno e porre su una base teorica seria un certo numero di modelli plausibili dell’origine della materia vi- vente da un mondo materiale prebiologico (come si dice oggi, é il problema della biopoiesi), 0, comunque, della “comparsa” della vita sulla Terra fuori o indipendente- mente da ogni impostazione sovrannaturale. Il problema ha affascinato e occupato, a ondate, serie di scienziati; ha avuto momenti di grande accensione ¢ periodi di trascuranza. Vi é stato anche un lungo periodo in cui si é creduto che la soluzione fosse a portata di mano, nel senso che la vita si originasse ancora oggi sulla Terra e¢ continuamente e sotto i nostri occhi. Lo stesso Pasteur, che fu l'ultimo demolitore (dopo Redi e Spallan- zani) della ipotesi della “ generazione spontanea,” confessd di essere intimamente attratto da questo problema e psi- cologicamente incline a non abbandonarlo: “La cerco senza scoprirla [tale generazione] da venti anni a que- sta parte.” Ma anche se cadde Vipotesi (la caduta puo anche es- sere considerata da taluno non definitiva, ma tutto con- corre a far escludere un ritorno serio di questo proble- ma) della generazione continua e spontanea di forme di vita sul nostro pianeta, cid non significd affatto che cadesse limpegno dei biologi di risalire a una preistoria della vita, a cid che poteva accadere 800 0 500 milioni di anni fa in un pianeta molto diverso dal nostro fisica- mente e chimicamente. Oggi questo impegno sembra ravvivarsi e farsi pit serio; la biologia ha spinto la sua analisi fino a frantu- mare i processi vitali nelle loro pit elementari determi- nazioni, ha conosciuto “forme” di vita estremamente semplici, non é pik spaventata dalle complicazioni cre- dute insormontabili del suo oggetto di studio. Diremmo anzi che le complicazioni crescono, perché cio é il risul- tato inevitabile dell’analisi che non vuole e non puo per- dere di vista la sintesi, ma il crescere della complicazione é contemporaneo al progressivo diminuire del carattere “arcano” dei fenomeni vitali. E noi non abbiamo altra I scelta: troppo comodo sarebbe se Varcano si trasformasse nel semplice. Il ravvivato interesse di questi ultimi anni al proble- ma dell’origine della vita! 2 documentato da una serie di saggi e di articoli comparsi anche a breve distanza Vuno dall’altro, ognuno portante un particolare contri- buto ad una ipotesi generale che é quella dell'origine au- toctona della vita nelle condizioni fisiche e chimiche che la Terra ha posseduto ad un certo momento del suo sviluppo, ipotest generale che peraltro permette una co- Spicua serie di ipotesi particolari e perfino indica diversi modelli sperimentali quanto alla possibilita della sua ve- rificazione. Espressione di questo ravvivato interesse 2 stata, an- che in Italia, la pubblicazione dell’opera ormai classica del biochimico sovietico A. I. Oparin® alla quale 2 stato aggiunto dall’Editore il saggio, che é invece primo nella presente raccolta, del fisico-chimico inglese D. Bernal sulle “Basi fisiche della vita.” In Italia si sono recentemente occupati dell’argomento il compianto P. Rondoni, patologo di Milano, sostenendo posizioni che erano largamente influenzate dalla sua qualita di uomo di fede, e dal biochimico di Napoli F. Cedrangolo, il quale invece si schierava, sulla base del- le nozioni attuali della biochimica delle sintesi proteiche, a favore della validita dei tentativi sperimentali che in " Vedi, come documentazione fino al 1956, il mio articolo su “So- cieta,” 12, 915, 1956, ? Lorigine della vita sulla Terra, Torino, 1956. vart laboratori del mondo sono stati eseguiti per escogi- tare modelli di una plausibile primitiva sintesi delle so- stanze organiche pit elementari. Episodio culminante di questo ravvivato interesse é stato un “Simposium” internazionale sul” Origine della vita sulla Terra” tenuto a Mosca nell’agosto scorso ed organizzato dall’ Accademia delle Scienze del!URSS. e€ dalla Unione Internazionale di Biochimica, L’accade- mico A. I. Oparin ne era il principale iniziatore. Hanno partecipato a questo convegno scienziati di tutti i Paesi del mondo e molti erano fra i nomi pit illustri della biologia, della biochimica, della chimica fi- sica, della geologia, dell’astrofisica. Le sezioni di studio in cui 2 stata divisa l'ampia rassegna sono cinque: 1) la formazione delle prime sostanze organiche sulla Terra; 2) la loro trasformazione successiva; 3) Vorigine delle proteine, delle nucleoproteine e degli enzimi; 4) il de- terminarsi di un metabolismo e lo stabilirsi della strut- tura propria della materia vivente; 5) Vevoluzione dei sistemi metabolici e delle strutture. Naturalmente gran parte di questo lavoro 2 materia di congetture, ma non sono congetture arbitrarie, benst fondate su questi due assunti principali: a) che le rea- zioni e le trasformazioni biochimiche che ritroviamo oggi sono st il frutto di una lunga evoluzione e quindi nuove rispetto a cid che si é svolto in un lontanissimo passato, ma che i fondamenti di quelle reazioni o tra- sformazioni non possono non essere gli stessi o analoghi in tutto questo periodo geologico; b) che si pud con buo- na approssimazione formulare quale doveva essere lo vuL stato fisico e chimico della Terra allinizio delle prime forme viventi, cioe 800 milioni di anni fa. Va subito detto che queste ipotesi — e come vedremo anche alcuni concreti esperimenti — non tanto hanno valore per “descrivere” il reale processo o i molteplici e diversi e forse anche talora concorrenti processi biopoie- tici, quanto, allo stato attuale delle cose (che é natural- mente assai poco avanzato), come modelli plausibili in- dicanti sopra a tutto la possibilita che la vita sia sorta in quelle condizioni per una necessita inerente alle condizioni medesime. Che abbia poi preso una stra- da piuttosto che un’altra, che abbia prodotto quei primi ¢ quei successivi prodotti pud essere anche stato il frutto di una fortunata (leggi casuale) organizzazione tempo- rale e spaziale di quelle condizioni. Ogni studio sull’origine della vita parte da un esame aggiornato dei dati in nostro possesso sulla probabile struttura fisica e chimica dell’atmosfera, della idrosfera e della litosfera nelle primitive epoche terrestri. E infattt anche il “Simposium” moscovita si 2 ampiamente occu- pato di questi problemi con ben cinque relazioni. Qui si inserisce il fatto molto interessante che lo sperimenta- tore, impossessatosi di questi dati, ha cercato di ripro- durre in laboratorio una struttura e una dinamica am- bientale analoghe a quelle considerate reali o possibili sulla Terra quasi un miliardo di anni fa, ed ha visto che da quelle condizioni discende la necessita della forma- zione di prodotti organici abbastanza complessi (per es. aminoacidi) che sono poi le molecole onde sono costi- tuite le proteine dei nostri protoplasmi. Mi riferisco alle ssperienze di S. Miller, che pure era presente al “Sim- posium” e che sono ormai largamente citate. Non 2 possibile dare qui un resoconto dettagliato sulla natura dei lavori di questo importante convegno scientifico, poiché occorrerebbe entrare nel merito di innumeri questioni tecniche di chimica, fisico-chimica e biologia notevolmente specializzate, le quali dunque non sono compatibili colla natura di questo piccolo libro. Questo libro 2 invece interessante non solo perché affronta in modo facile e comprensibile le linee generali di tali problemi tecnici, ma sopra a tutto perché mette in luce la natura della discussione ed anche le vivaci po- lemiche scientifiche che sono sorte fra i competenti circa la plausibilitd dei modelli escogitati, dei punti di par- tenza e della sequenza delle tappe. Il libro 2 una raccolta di scritti, a partire dal saggio di J.D. Bernal del 194749 (gia citato), e comprendente articoli del Bernal stesso e di vari altri autori inglesi comparsi nella rivista “New Biology” tra il 1952 ¢ il 1954. Una simile raccolta é stata pubblicata nel 1955 in Francia dalla “Union Rationaliste,” sotto il titolo “Una discussione sull’origine della vita,” con una prefazione di M. Prenant. E infatti di una discussione si tratta, la quale assume talora un carattere pungente ed acuto, utile a dimostrare al lettore come nella scienza, accanto alla severa, impersonale, monotona raccolta dei dati, viva ed operi sempre l’'uomo con la sua forza orientativa, con la sua incessante insoddisfazione, con la sua critica germi- nante, con le sue stesse passioni talora accese ed aiutate, talaltra frenate e represse, da differenti ideologie, da par- ticolari programmi culturali. E un esempio di come sia la scienza in formazione ed quindi attraente e ricco come ogni fresco impulso di curiosita, quando questa non 2 ancora appesantita dalla massa del gia codificato, di cid che 2 gid stato sco- perto apparentemente per sempre e che tuttavia riesce solo temporaneamente a coprire e a soffocare le scin- uille che domani lo faranno esplodere nella rivoluzione scientifica. Massimo Aloisi Modena, 30 ottobre 1957 ]. D. Bernal Le basi fisiche della vita Premessa. - Il testo di questa conferenza, tenuta nel 1947, fu messo per iscritto nel 1949 per i Proceedings of the Physical Society. Cid feci soprattutto per chiarire le mie idee, in modo da poter delineare un programma pit razionale per la ricerca biofisica. Come afferma il mio amico N. W. Pirie, questo scritto “dovrebbe essere intito- lato ‘Punti di vista biologici di un fisico.’ Solo in un punto si ha un contributo originale ai problemi trattati.” Ciononostante, dato Vinteresse generale rivolto alle speculazioni sull’origine della vita, il mio articolo attird Yattenzione di una cerchia di persone pid ampia di quella costituita dai soliti lettori dei Proceedings, cosicché parve conveniente pubblicarlo come monografia a sé stante. Sono grato alla Physical Society che questa pubblicazione ha permesso. Le modificazioni apportate al testo (e incluse in pa- rentesi quadre) sono di piccolo conto; e cid non perché io reputi soddisfacente tutto quanto ebbi a dire in prece- denza, ma perché i successivi esperimenti hanno reso cos{ fluido lo stato delle cose a questo riguardo, che sembra saggio attenderne la cristallizzazione prima di iniziare una nuova trattazione del problema. Tuttavia ho ag- giunto alcune note, molte delle quali dovute alle critiche, giuste, ma spesso caustiche, di N.W. Pi La conferenza era nettamente speculativa. La sua pub- blicazione sara stata utile se indurra coloro che discutono di questi argomenti, o meglio coloro che conducono espe- rimenti, a fornire una base a quanto io ho solamente pro- spettato. Il titolo dato a questa conferenza riecheggia, inconsa- pevolmente, quello di una famosa conferenza che T.H. Huxley tenne a Edimburgo nel 1868. Io non lessi que- st'ultima che molto dopo aver tenuto la mia, ma é inte- ressante notare i cambiamenti avvenuti nel corso di ot- tanta anni da quando fu affermato per la prima volta chiaramente che la vita ha una base fisica. Huxley aveva una parola per tutto cid: protoplasma. E sottolineava che esso era funzionalmente, formalmente e sostanzialmente identico per tutti gli esseri viventi. Nei riguardi della funzione, tutti gli organismi sono soggetti a metaboli- smo, movimento, accrescimento e riproduzione; nei ri- guardi della forma, essi sono composti di cellule di pro- teine, cioé di composti di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. Non solo c’é un’unita nella vita, ma questa & legata materialmente al mondo non-vivente, per la sua capacita di trasformare in protoplasma gas e minerali inorganici. La seconda meta della conferenza era volta a difen- dere la tesi della prima meta dall’accusa di gretto mate- rialismo, sostenendo che non si conosce cos’é la materia piti di quanto si conosca cos’é lo spirito, e che é ragione- vole accettare tale nostra ignoranza, per quanto lodevoli siano gli sforzi per ridurla. Cid costituiva la base del suo v famoso agnosticismo. : La parte positiva della sua conferenza rimane valida oggi come al momento del suo primo apparire. E curioso il fatto che Huxley, che pure era un grande evoluzionista, non abbia mai cercato di spiegare l’unita della vita in ter- mini di una storia comune. Gli sviluppi della fisiologia e della biochimica hanno completato nei dettagli il qua- dro di Huxley, ma non vi hanno aggiunto nulla di fon- damentalmente nuovo se non quando hanno lasciato il campo della descrizione delle strutture € dei meccanismi per entrare in quello della ricerca delle origini. In que- sto risiede, se mai, la giustificazione del nuovo tentativo qui compiuto di comprendere le basi fisiche della vita. Dopo la pubblicazione di questa conferenza, mi ac- corsi dell’esistenza di un’altra conferenza con lo stesso titolo. Questa fu tenuta dal professor Edmund B. Wilson all’American Association for the Advancement of Science nel 1922 (pubbl. a New Haven, Conn, 1923). B interes- sante osservare in questa conferenza, tenuta da uno dei pitt eminenti biologi americani, che la differenza princi- pale rispetto a quella di T.H. Huxley (The Physical Basis of Life [Le basi fisiche della vita], nei Collected Essays, vol. I, Londra, 1901) consiste nella maggiore conoscenza della struttura microscopica della cellula. Qui si parla di prodotti nucleari, di filamenti di cromatina, di mitocondri e di altri organuli; 1A si parla invece di protoplasma in- forme. Ma non vi é contrasto con le conclusioni di Huxley per quanto concerne l’evoluzione della vita a partire dalla materia inanimata. Negli anni successivi il sorgere della biochimica e la conoscenza sempre pit profonda delle strutture, consentita dai raggi X e dal microscopio elettronico, hanno dimostrato I’esistenza di una maggiore complessita, prima insospettata, ma non hanno rivelato nulla che sia fondamentalmente in contrasto con la sua tesi. * Mi sento profondamente onorato dall’invito a unirmi alla serie illustre di coloro che hanno sinora tenuto le con- ferenze intitolate al professor Guthrie. Il soggetto da me scelto sembra a prima vista piuttosto lontano dal lavoro di Guthrie. La fisica ha subito profondi cambiamenti da allora, ma non bisogna dimenticare che in quei tempi fu- rono poste le basi per gettare il ponte fra essa e la bio- logia. Io conosco solo due degli allievi di Guthrie, persone di temperamento quasi opposto, H. G. Wells e il pro- fessor Tutton. Il primo, come uomo d’immaginazione e di larghi interessi, non prese molta parte al corso di fisica di Guthrie, che aveva carattere prevalentemente pratico, e ne lascid un’amena descrizione nel suo Experiment in Autobiography (Tentativo di autobiografia): “... Quando giunsi al laboratorio di fisica, mi furono dati una soffie- ria, un tubo di vetro, un pezzo di legno da piallare e al- cuni pezzi di carta e di ottone, con cui, mi dissero, do- vevo costruire un barometro. Cos{, invece dello studente, feci il soffiatore di vetro e il falegname. “Dopo aver rotto un bel po’ di vetro ed essermi bru- ciato pit volte le dita, riuscii a piegare un tubo chiuso della lunghezza di circa un metro, aperto a un’estremita, a fissarlo al pezzo di legno, riempirlo di mercurio e at- taccarlo a una scala: ne venne fuori il barometro pit brutto e impreciso del mondo. Dopo .alcuni giorni di inutile fatica non avevo imparato nulla di nuovo sul ba- rometro, sulla pressione atmosferica o sulle scienze fi- siche, ma avevo appreso la scottante verita che il vetro pud ancora provocare dolorose vesciche anche quando non é pit incandescente. “Mi fu poi data una lastra di vetro su cui incidere col fluoro una scala millimetrata. Mai intervalli di un mil- limetro ebbero caratteri cos{ personali come i miei. An- che in questo caso non aumentai le mie cognizioni, e riuscii solo a rovinare con I’acido l’unico mio paio di pantaloni.” Tutton, invece, fisico e cristallografo dei pit rigorosi, esagerd piuttosto nell’altra direzione; il suo barometro era perfetto in ogni dettaglio e fu presentato addirittura verniciato. Si dice che Guthrie lo abbia ridotto in fran- tumi, affermando che voleva educare dei fisici, e non dei costruttori di apparecchi. Sotto un certo rispetto, il lavoro di Guthrie tocca il soggetto di questa conferenza: egli fu il primo a pren- dere in esame le proprieta dei crioidrati, cioé di quei sali che trattengono una grande quantita di acqua in deter- minate posizioni, come nel ghiaccio. Come vedremo, i crioidrati hanno una loro importanza nella cristallogra- fia delle proteine, e possono aver avuto una parte impor- tante nell’origine di grandi molecole adsorbite a parti- celle di argilla. La scelta di un argomento cosi generale per la mia conferenza é dovuta principalmente al fatto che, in que- sti ultimi anni, non ho potuto svolgere attivita sperimen- tale e non mi sono dedicato a particolari ricerche nel campo della fisica. Tratterd quindi in maniera generale uno degli aspetti della fisica che hanno via via acquistato maggior importanza in questi tempi, cioé la sua relazione con i processi biologici. Attualmente due sono i campi di maggiore interesse della fisica: uno é dato dalla fisica nucleare e dai raggi cosmici; J’altro & dato dal punto d’in- contro della fisica con la biologia, un campo questo il cui interesse risiede pit nella complessiti che nell’energia intrinseca dei fenomeni. Con questo mi riferisco alla fi- sica nel suo significato pitt moderno ed estensivo, che comprende anche la chimica, perché queste due scienze sono ora incluse in una teoria comune, e si avviano a diventare in futuro un’unica disciplina; il che non esclu- de il valore delle manipolazione chimiche e delle analisi strutturali della vecchia chimica e limportanza dello studio diretto delle sostanze materiali e delle loro tra- sformazioni. Ne deriva che la biofisica e la biochimica devono essere considerate assieme. Cid che io cerco di presentarvi € un mio primo ten- tativo di precisare i problemi dell’origine della vita e delle sue funzioni da un punto di vista fisico. Sono ben conscio della mia inadeguatezza per un tale tentativo. Probabilmente anche la sola formulazione di questo pro- blema é al di 1a delle possibilit’ di un singolo scienziato, perché questi dovrebbe essere contemporaneamente un buon matematico, un fisico e un ottimo chimico orga- nico, dovrebbe conoscere a fondo geologia, geofisica e geochimica, e per di piti dovrebbe essere versato in tutte le discipline biologiche. Prima o poi questo compito verra affidato a gruppi di specialisti in tutte queste mate- rie, che lavorino in stretto collegamento, sia nel campo teorico che in quello sperimentale. Io posso tutt’al pit indicare alcuni problemi chiave, facendo alcune conget- ture sulla direzione da prendere per risolverli. Il problema @ qui affrontato deliberatamente nella maniera piti ampia possibile. Non importa chiarire que- sta o quella struttura fisica o il meccanismo che é alla base di una data funzione biologica, quanto piuttosto prendere in considerazione l’insieme dei fenomeni che comunemente chiamiamo vita. Cid che porrd in rilievo sara perd un aspetto particolare della vita, il problema della sua origine, piuttosto che quello delle strutture, del metabolismo e del comportamento dei sistemi biologici: e cid in considerazione del fatto che, in tali sistemi, il problema dell’origine & molto piti importante che non nei sistemi fisici. Sino a poco tempo fa, le discussioni sulle origini dei sistemi erano considerate per lo pitt poco scientifiche; ma ora anche in fisica tali questioni inco- minciano ad essere discusse, come ad esempio quella del- Vorigine delle nebulose, del sistema solare, e degli stessi elementi. La maggior parte di quanto dird non é cosa nuova e si basa largamente sugli scritti di altri studiosi, soprattutto di Haldane, Lwoff, Oparin e Dauvillier.* 1 J,B.S. Hatpane, The Origin of Life [L’origine della vita], “Ra- tionalist Annual” (1928), pp. 148-53; A. Lworr, L’évolution physiolo- gique [L’evoluzione fisiologica], Parigi, 1943; A.I. Oparin, L’origine della vita sulla Terra, Torino, 1956; A. Dauvittier, Genése, nature et évolution des planites [Genesi, natura e evoluzione dei pianeti], Parigi, 1947, pp. 169 sgg. Il mio compito si limita a collegare tra loro questi vari contributi, aggiungendovi alcune mie speculazioni sulle condizioni in cui ebbe origine la vita. Il mio scopo con- siste nel mettere in chiara evidenza i punti critici e le difficolté, al fine non di evitarle con pie allusioni a mi- steri al di fuori della comprensione umana, ma di indi- care una guida per la ricerca pratica nel futuro. Il primo passo da farsi nella discussione sarebbe ov- viamente quello di definire i termini. Ma la vita é un termine estremamente difficile da definire. Il dottor Pi- rie, nel suo articolo sulla “mancanza di significato dei termini ‘vita’ e ‘vivente’,"? ha dimostrato praticamente che non ne é possibile la definizione: “Abbiamo esaminato in maniera eminentemente cri- tica le varie proprieta cui potremmo riferirci per defi- nire la parola ‘vita,’ e abbiamo trovato che esse sono sin- golarmente inadeguate per una definizione anche appros- simata. Manca qui lo spazio per discutere che cosa for- nirebbero tutte le permutazioni di queste proprieta; si pud tuttavia dire che non sarebbe difficile trovare delle combinazioni di due o tre proprietd che escludano tutti i sistemi non viventi; queste, perd, escluderebbero anche alcuni sistemi che, se pur non tipicamente viventi, sono in genere inclusi in tale categoria. “Sinché non si sia coniata una definizione valida, ap- pare prudente evitare I’uso della parola ‘vita’ in ogni di- 2N.W. Pinte, The Meaninglessness of the Terms “Life” and “Living” [Mancanza di significato dei termini “vita” e “vivente”], in J. NeepHaM e D. R. Green, Perspectives in Biochemistry [Prospettive in biochimica], Cambridge, 1939, pp. 21 sgg. scussione su sistemi posti nella zona limite, ed evitare altres{ di dire che certe osservazioni su un dato sistema hanno dimostrato che esso é ‘vivente’ o meno.” Prendendo delle proprieta qualsiasi, quali la respira- zione o il movimento, che sono usualmente considerate caratteristiche della vita, tale autore dimostra che vi sono molti oggetti definiti “viventi” che non le posseggono, e ugualmente molti che diciamo non viventi che ne pos- seggono alcune. [Per evitare queste difficolta non tenterd di dare la definizione di una particolare forma di vita o di orga- nismi viventi, ma considererd la parola comune “vita” come riferentesi alla totalita dei processi ciclici che inte- ressano la maggior parte dei composti del carbonio ¢ dell’azoto accessibili alla nostra osservazione sulla Terra. V.M. Goldschmitd ha dato a cid il nome di diosfera, la quale consiste materialmente del gruppo dei composti organici complessi che si trovano quasi esclusivamente nello strato acquoso della superficie della Terra — l’idro- sfera — comprendente I’acqua del suolo o delle attigue regioni dell’atmosfera o le parti della litosfera che ne sono evidente derivazione.] Se limitiamo in tal modo la definizione, possiamo per il momento trovare una ca- ratteristica materiale comune nella presenza di molecole proteiche, e un processo chimico-fisico comune nella ca- talisi graduale dei composti organici condotta in modo praticamente isotermo e con salti quantici compresi tra 3 e 16 kcal; valori questi alquanto modesti, in confronto alle 300 kcal solitamente in giuoco nei laboratori chimici. Queste limitazioni terrestri fanno sorgere evidente- mente il problema se esiste una qualche attivita pid ge- neralizzata che si possa chiamare vita. Sotto questo aspet- to, la biologia é su un piano differente dalla chimica e dalla fisica, in quanto tratta meno con universali e pit con fatti contingenti. Essa appartiene a quella specie di studi descrittivi e interpretativi che potremmo pit pro- priamente chiamare “grafici” e che includono I’astrono- mia e la geografia. Se esistano delle caratteristiche gene- rali attribuibili non solo alla vita su questo pianeta, con il suo specifico gruppo di condizioni fisiche, ma alla vita di qualunque tipo, @ una questione interessante ma pu- ramente teorica. Una volta discussi di cid con Einstein, ed egli concluse che una descrizione generalizzata della vita avrebbe dovuto includere molte cose che noi chia- miamo vita solo in senso in certo qual modo pottico. Qualunque entitd autosussistente e dinamicamente sta- bile che trasforma energia 0, come dice Haldane, “qua- lunque modello autoperpetuantesi di reazioni chimiche,” potrebbe essere chiamato “vivente” in questo senso. La distinzione di esso come sistema individuale od organi- smo, avrebbe solo valore se il fenomeno totale persistesse per un periodo di tempo maggiore dei periodi o dei tempi caratteristici dei vari processi interni in esso contenuti. In questo senso una galassia, una stella, o (su scala ter- restre) una fiamma sono viventi. Passando a un grado di complicazione maggiore di quello biologico, potremmo parlare della vita di una cultura umana o di una civiltd. Tutti questi fenomeni sono caratterizzati da nascita, per- sistenza e morte. Queste considerazioni, tuttavia, sono molto astratte. 10 Il loro valore immediato consiste solo nell’indicare che, sebbene possano esistere numerosi tipi di vita in questo senso, essi sono del tutto distinti e posseggono ognuno un campo di esistenza molto limitato. Tutti questi siste- mi devono soddisfare a due criteri essenziali: il primo é che essi devono essere funzionali, nel senso che i processi che ne fan parte devono possedere una certa stabilita di- namica’; il secondo é che essi devono iniziare e svilup- parsi da qualche sistema preesistente. Cid ci porta ad affrontare il problema con metodo storico e fisiologico nello stesso tempo. Le attuali strut- ture materiali che formano la nostra vita terrestre, e con le quali d’ora in poi avremo unicamente a che fare, de- vono essere considerate contemporaneamente nei due aspetti: della loro funzione e della loro origine. Un og- getto come una galassia o una mela rivela il suo signifi- cato solo se ne consideriamo gli stadi di sviluppo e, in- sieme, l’attivitd attuale. Proposito evidente della biologia, nella sua analisi dei processi che avvengono nella materia vivente, 2 la comprensione degli stadi attraverso cui que- st’ultima @ pervenuta alle sue strutture attuali. Lo studio del presente getta luce sulla storia del passato e viceversa. Ogni organismo esistente &, in questo senso, un fossile. Esso porta in sé i segni dei suoi predecessori; e cid é vero 3 Il significato di questo criterio & stato chiarito dal lavoro di I. Pri- cocine, Etude thermodynamique des phénomenes irréversibles [Studio termodinamico dei fenomeni irreversibilil, Parigi, 1947, sulla termodi- namica dei “sistemi aperti.” Tali sistemi possono introdurre ed emet- tere materia ed cnergia ¢ non sono soggetti alla seconda legge della ter- modinamica, cioé la loro entropia pud rimanere costante o anche dimi- nuire, condizione di stabiliti per tali sistemi essendo che sia minima Ja velocita di variazione dell’entropia. anche se noi non li possiamo decifrare in tutto o in parte. Naturalmente lo studio del passato, il quale non é deter- minabile direttamente, non pud fornire prove positive da opporre alle osservazioni immediate del presente; tale studio pud tuttavia fornire qualcosa di egualmente im- portante, e cioé indicazioni sulla direzione da seguiré per scoprire dati importanti. La storia delle scienze fornisce molti esempi evidenti di questo processo. Il principale tra essi @ naturalmente l'affermazione di Darwin che la selezione naturale é il meccanismo dell’evoluzione. L’evoluzione @ certo un’ipo- tesi, mentre la selezione naturale é un dato d’osservazio- ne: tuttavia Darwin fu condotto ad argomentare la se- lezione naturale, che derivd da Malthus, dall’ipotesi del- Vevoluzione, cioé dalla necessitd di fornire una spiega- zione delle presenti forme di vita in base a quelle primi- tive. In conseguenza di cid, egli non solo portd ordine nel caos delle osservazioni biologiche raccolte sino al- lora, ma inizid pure studi sperimentali, fertili e utili, di ecologia, di morfologia e di genetica. Lo stesso Darwin, fatto curioso, era contrario a ogni generalizzazione dei suoi metodi. In una lettera a Sir J. Hooker‘ diceva: “Invece di pensare all’origine della vita, sarebbe piti logico pensare all’origine della materia.” Noi siamo ora quasi disposti a pensar allo stesso modo: e invero, l’origine della materia, o almeno l’origine delle forme in cui la materia appare su questa terra, incomin- cia alfine a diventare pitt chiara. [Si & dimostrato che i 4 F. Darwin, The Life and Letters of Charles Darwin (Vita ¢ let- tere di Ch. D.1, Londra, 1887, vol. III, p. 18. 12 nuclei degli elementi chimici sono composti di particelle elementari piti semplici — nucleoni — quali neutroni, protoni e mesoni. L’abbondanza relativa dei vari nuclei varia moltissimo. L’isotopo dell’ossigeno, **O, & circa 500 milioni di volte pitt comune che Tisotopo dell’oro, "Au. Inoltre queste abbondanze relative, fatte alcune eccezioni spiegabili, sembrano manifestarsi in tutto l’uni- verso — Terra, Sole e stelle. La spiegazione piti razio- nale é che l’attuale abbondanza dei vari elementi sia in- dice di uno stato di equilibrio tra la loro formazione e la loro scissione. Cid si riferisce a condizioni primitive, in cui esistevano pressioni e temperature molto maggiori di quelle presenti attualmente in qualsiasi stella. Dall’ab- bondanza relativa dei vari elementi, i fisici hanno rica- vato, con una certa approssimazione, le temperature e le pressioni allora esistenti, e nel corso dell’indagine hanno scoperto anomalie che non si sarebbero messe in evi- denza se Vipotesi sulle origini non fosse stata fatta.*] Tutto cid non significa che dobbiamo accettare ipotesi stravaganti sull’origine della vita o della materia, che na- scondono semplicemente l’ignoranza, ma che dobbiamo piuttosto sforzarci sin dall’inizio di perseguire una linea logica, nella speranza di dimostrare che certi stadi de- vono averne preceduti degli altri, e costruire cos{, per graduale sovrapposizione delle varie sequenze parziali, una storia coerente. In questa storia vi saranno delle la- cune, ma sinché non si pone mano a questo tentativo, tali lacune non si potranno localizzare, né si potra ten- 5 R. A. Acpuer e R. C. Herman, “Rev. Mod. Phys.,” 22, 153 (1950). 13 tare di colmarle. Il processo non é dissimile, benché su una scala molto piti grande, da quello realizzato dai geologi 200 anni fa per chiarire la storia della crosta della Terra; processo che, una volta superate le preoccupazioni teologiche, condusse alle sequenze logiche e ben ordi- nate di Hutton e Lyell. Per creare queste successioni logiche, possiamo partire da un certo numero di considerazioni generali. Anzi- tutto ci possiamo aspettare lacune nei punti in cui i pro- cessi sono particolarmente rapidi. In ogni sequenza or- dinata di fasi, ciascuna di queste si manifesta in propor- zione alla sua durata. Gli elementi instabili sono i meno abbondanti. Le forme che si evolvono rapidamente la- sciano il minor numero di fossili. E pitt facile osservare le fasi stabili, le quali possono costituire una piccola fra- zione dell’intero processo, dando l’impressione di una discontinuita maggiore di quella che si avuta in realta. [Gli organismi viventi, com’é noto, sono composti di migliaia di specie di molecole complesse. Tuttavia essi consistono in prevalenza di un numero relativamente piccolo di specie molecolari semplici — zuccheri, amino- acidi, purine — le quali compongono le complicatissime macromolecole delle proteine e degli acidi nucleici ¢ le strutture microscopicamente visibili, delle membrane e delle fibre.’] Si sa, specialmente per mezzo dello studio ® N. W. Pirie dice: “Cid & come porre il carro innanzi ai buoi. La chimica é una scienza lunga e difficile; tutto sommato noi abbiamo ap- pena imparato a conoscere un piccolo numero di molecole semplici ¢ possiamo renderci conto di non oltre un quarto del materiale organico solubile della cellula, I biochimici tendono a parlare solo di quelle parti che comprendono e di quei tipi di meccanismi che conoscono, ma sap- 14 con gli elementi traccianti, che esiste un gran numero di molecole intermedie, che si trasformano cos{ rapidamente da non poter essere osservate coi metodi ordinari. B per- cid lecito supporre che anche nella storia della vita si sia formato un gran numero di molecole con ruolo decisivo nel corso dell’evoluzione chimica, ma che possono ora essere ricostruite soltanto attraverso le tracce che hanno lasciato nella struttura delle molecole esistenti. Un’altra considerazione molto generale per tutti i si- stemi in sviluppo é la maniera in cui processi manifestan- tisi per la prima volta reagiscono con quelli gia stabiliti. Argomento che é sempre stato di viva attualitd in biolo- gia é il problema della generazione spontanea. Tale que- stione, riproposta senza posa per spiegare fenomeni al- trimenti oscuri, ha sempre ricevuto una risposta negativa dagli esperimenti, e si é inclini a pensare che Pasteur Yabbia definita per sempre. Tuttavia coloro che dimostra- rono che non si ha una generazione spontanea nelle no- stre condizioni, fecero di solito un passo piti in 1a, affer- mando di avere anche dimostrato che essa non si 2 mai realizzata nelle condizioni naturali; essi quindi sostitui- rono semplicemente un miracolo originario a una serie continua di miracoli.” Un punto debole di questo ragionamento é costituito Piamo tutti che cid costituisce solo il decimo di quanto avviene in realta.” Sono d’accordo con cid, ma non vedo come tutto questo modi- fichi il fatto che circa il 90% del contenuto della maggior parte delle cellule si scinda in tali molecole semplici. Altre molecole finora scono- sciute possono avere parti importanti, ma anche quelle che conosciamo sembrano essere essenziali. 7 F, Encexs, Dialettica della natura, Roma 1950, pp. 151 sgg. 15 dal fatto che le condizioni in cui prese origine la vita non si verificano pit sulla Terra. A conferma di cid non & necessario immaginare grandi differenze nelle condi- zioni fisiche esterne, nella temperatura della superficie o nell’energia solare. E sufficiente riconoscere, come ha fat- to rilevare Haldane,® che la stessa esistenza della vita ha mutato radicalmente le condizioni iniziali, principal- mente per la produzione di ossigeno molecolare. In mo- do simile, in quasi tutti gli stadi dell’evoluzione della vita, le nuove forme che si sono affermate hanno inter- ferito con tutte le precedenti. Naturalmente non é escluso che la vita stessa possa interferire con l’universo nel quale ha fatto comparsa, tanto da scomparirne. Cid che essa ha sinora realizzato é stato il blocco di ogni possibilita evo- lutiva in direzione diversa da quella effettivamente se- guita; il che implicherebbe, per la vita, una potenzialita molto maggiore della sua attualita.’ Vi @ un limite di potenzialita, a un basso livello di complessita, ben definito dalle proprieta fisiche e chi- miche delle molecole. Cid corrisponde a quanto affer- mo Henderson nel suo libro di quarant’anni fa, The Fitness of the Environment [L'idoneita dell’ambiente]. Egli rilevé, ad esempio, che le proprieta dell’acqua e del- lanidride carbonica sono adatte alla vita allo stesso modo che la vita é adattata ad esse. Ma poiché la vita nella sua 8 J. B. S. Havpaneg, loc. cit. ® Una tale affermazione naturalmente non esclude Ia possibilita di riproduzione ad opera dell’uomo delle condizioni nelle quali pud pren- dere origine la vita. In realta conosceremo le condizioni in cui la vita prese origine con una certa qual certezza solo quando gli stadi chiave saranno stati riprodotti in laboratorio. forma terrestre dipende da queste proprieta, possiamo affermare che cid equivale a dire che la vita dipende dalle leggi dell’aritmetica e della geometria, dato che le pro- prieta dell’acqua e dell’anidride carbonica sono contenute implicitamente nel numero di elettroni posseduti dai loro atomi e dato che l’abbondanza di atomi con questi nu- meri e la loro presenza alla superficie della Terra dipende logicamente dalla loro composizione nucleare. Tuttavia quando queste interazioni raggiungono la complicazione che si ha nella vita, non si pud piti essere certi che siano state seguite tutte le direzioni possibili. In realta, dal gran numero di forme di vita su questa Terra, nel passato co- me nel presente, si comprende quante possibilita si siano presentate, e come fenomeni accidentali, apparentemente di piccolo conto, e anche estranei all’ambito della vita, come quelli climatici e geografici, abbiano determinato il successo o meno di questa o quella forma. Queste possibilita si potrebbero chiamare le enteléchie aristoteliche, e cid senza alcun riferimento mistico. Qual- siasi combinazione di atomi o molecole porta necessaria- mente in sé possibilita complesse di ordine e funzione, le quali sono immanent alla struttura stessa delle mole- cole. Cid che appare, come cid che non appare, é tutta- via immanente non a una particolare combinazione, ma al giuoco totale delle forze universali, e quindi, rispetto al sistema totale, pud essere considerato contingente o accidentale. Per un criterio di convenienza, si distinguo- no gli elementi immanenti da quelli contingenti: i primi di dominio della scienza, i secondi della storia cosmica; ma la loro interazione deve essere sempre tenuta pre- Vv sente. L’approfondimento delle nostre conoscenze sul comportamento di sistemi materiali ci aiuta a scoprire € comprendere i cambiamenti storici. E viceversa, la cono- scenza dell’origine ¢ della storia della vita ci facilita la comprensione della biochimica e della microbiologia. Il recente interesse nella natura fisica dei sistemi bio- logici ha necessariamente coinciso con lo sviluppo di nuovi strumenti fisici, sia teorici che pratici. Dei primi, il pid importante & dato dallo sviluppo della teoria dei quanti, estesosi fino a coprire, almeno in via di principio, il campo della chimica e a fornire preziose indicazioni sui fenomeni, ancor piti complessi, della biochimica e della biofisica. Si pud dire senza esagerazioni che la con- cezione delle variazioni quantiche di energia nelle rea- zioni chimiche @ l’idea pitt chiarificatrice e piti efficace nella moderna biologia. Si incomincia ora a vedere che gli aspetti materiali dei sistemi viventi non sono altro che gli ingranaggi di una macchina la cui funzione par- ticolare é di produrre scambi energetici, e che l’accresci- mento e I’assimilazione non sono che i mezzi per realiz- zare un metabolismo consistente in cambiamenti energe- tici catalizzati da enzimi. Quindi, in un senso stretta- mente fisico, il processo ha la precedenza sulla struttura. Gli sviluppi di altri aspetti delle scienze fisiche hanno pure applicazioni teoriche in biologia, in particolare la teoria dello stato solido e dello stato liquido, che pud contribuire a spiegare le attivitd apparentemente miste- riose che si effettuano nell’interno delle cellule viventi. Dvaltra parte, le nostre nuove conoscenze di mineralogia e di geochimica, oltre a quelle di geografia fisica e di 18 oceanografia, gettano luce sull’ambiente nel quale é av- venuta |’evoluzione della vita e che tuttora la mantiene. Parallelamente a questi progressi nel campo teorico, se ne sono avuti altri, e di vasta portata, nel campo spe- rimentale. Ad ogni livello di organizzazione, strutturale o metabolica, nuovi strumenti fisici e chimici offrono al biologo una gamma di possibilita mai raggiunta dai tempi del primo microscopio e dalla bilancia, nel secolo XVII. Al livello chimico, l'introduzione degli isotopi ra- dioattivi produrra una rivoluzione nelle conoscenze della chimica organica e biologica, sicché nel giro di pochi anni le nostre attuali cognizioni appariranno probabil- mente superate. Nel campo della determinazione della struttura molecolare, I’uso della spettroscopia, particolar- mente quella infrarossa, e della cristallografia mediante i raggi X, ci forniscono un quadro delle disposizioni ato- miche, la cui accuratezza e la cui ampiezza trovano li- miti solo nel numero dei ricercatori e nella laboriosita dei calcoli; limitazione, quest’ultima, che scomparira in pochi anni, grazie all’ulteriore sviluppo delle macchine calcolatrici elettroniche, che permettono di eseguire in poche ore calcoli che prima richiedevano degli anni. I metodi chimici, poi, hanno enormemente accresciuto la loro accuratezza e le loro possibilita, grazie anche allo sviluppo della chimica dei polimeri. La cromatografia differenziale, che permette di analizzare e riconoscere con facilita e precisione i costituenti semplici e complessi delle proteine e di altre sostanze organiche, costituisce un ponte tra la chimica e la fisica delle macromolecole. I progressi pit importanti, tuttavia, sono stati realiz- 19 zati nella zona intermedia, quella cioé compresa tra le molecole chimiche con dimensioni di alcune diecine di angstrém e l’antico limite dei microscopi di 2000 A. Sono stati ideati a questo proposito metodi di grande interesse e finezza: Vultracentrifuga da Svedberg, l’elettroforesi da Tiselius, nuovi metodi viscosimetrici da Staudinger, ¢ pit recentemente, metodi basati sulla diffusione della luce da Doty. Questi forniscono per la prima volta un quadro realmente quantitativo delle forme e delle dimen- sioni approssimative delle macromolecole d’origine bio- logica e industriale. Ultimamente, poi, sono stati ideati metodi ancora piti precisi e accurati. L’analisi coi rag- gi X pud essere estesa a molecole di alcune centinaia di angstrém e, benché non possa ancora fornire dettagli precisi sulla loro costituzione atomica, ha gia condotto a importanti chiarimenti nei riguardi dei loro caratteri ge- nerali, in particolare della loro costanza in condizioni fisiche differenti. Ancora piti spettacolare in questi ultimi anni é stato lo sviluppo del microscopio elettronico, che rende visibili strutture che vanno da qualche diecina di atomi sino ai limiti della visione microscopica e oltre. Si & certamente ora in una fase galileiana della biologia descrittiva. Sino all’avvento del microscopio elettronico esisteva una la- cuna tra la conoscenza delle combinazioni atomiche for- nite dalla chimica e quella delle strutture istologiche os- servate al microscopio. Questa lacuna era stata colmata con la mistica parola “colloide,” che serviva a spiegare le proprieta — realmente esistenti, ma molto oscure — che dipendono da strutture di grandezza compresa tra 20 10 e 10.000 A. Ora il mondo colloidale & aperto alla ri- cerca, e il termine stesso probabilmente scomparira o ac- quistera un significato preciso e limitato. L’avvento del microscopio elettronico, come spesso @ avvenuto nella storia della scienza, ha spinto chi si occupava di ottica microscopica a realizzazioni che altrimenti non si sareb- bero effettuate. Il microscopio, infatti, rimase in una si- tuazione statica tra il 1880 e il 1940; ma ora, con un ri- vale nel suo campo, si é cercato di migliorarlo in molti modi; son cos{ comparsi i microscopi a contrasto di fase, agli ultravioletti, agli infrarossi, a riflessione e polariz- zatori; questi, se anche non possono rivaleggiare con il microscopio elettronico nel potere risolvente, hanno di- mostrato un potere di interpretazione chimica delle strut- ture maggiore di ogni altro metodo, a parte l’enorme van- taggio di poter essere usati con materiale vivente. Con la comparsa simultanea di tutti questi nuovi metodi, non sorprende il fatto che la ricerca biologica abbia negli ul- timi tempi assunto un carattere febbrile, ma alquanto di- sordinato: trattasi invero di un progresso cos{ rapido, che ogni tentativo di stabilirne le posizioni appare gid superato al momento, se non prima, di essere compiuto. Nell’esposizione che segue, si & cercato di presentare i tratti principali e gli stadi critici nello sviluppo della vita dalle sue origini inorganiche. Ci si & basati essenzial- mente sue due specie di dati: la geochimica e la chimico- fisica del pianeta durante il suo raffreddamento, e la composizione chimica organica comune a tutti gli orga- nismi esistenti. Un tale tentativo rivela non solo le grandi lacune ancora esistenti, ma anche le ricerche perfetta- 21 mente realizzabili, e non ancora eseguite, che potrebbero aiutarci a colmare queste lacune, magari per rivelarne altre ora insospettate. Potremmo immaginare tale processo come una com- media con un prologo e tre atti. Il prologo porta la scena alla superficie della Terra e presenta una prima schiera di attori, di tipo interamente inorganico, che iniziano la recitazione. Il primo atto tratta dell’accumulo di sostanze chimiche e della comparsa di un processo stabile di con- versione tra loro, processo che chiamiamo vita; il secon- do atto tratta della stabilizzazione di questo processo, cosa molto importante, e della sua progressiva indipen- denza da ogni altra fonte di energia che non sia la luce solare. E lo stadio della fotosintesi, della comparsa dell’os- sigeno molecolare e della respirazione. Il terzo atto pre- senta lo sviluppo di organismi specifici, cellule, animali, e piante. Quanto abbiamo sinora studiato in biologia é, in realta, assunto nelle ultime poche scene di questo atto, e da questi elementi dobbiamo ricavare il resto della commedia. Le nostre conoscenze sulla natura della superficie della Terra primitiva derivano dai dati spettroscopici relativi agli elementi predominanti nelle stelle, dalle in- formazioni, invero scarse, che a tale riguardo abbiamo per l’atmosfera dei pianeti, e infine dai dati offerti dalla geochimica e geofisica. Negli ultimi anni, questo campo di studi ha subjfto una profonda trasformazione grazie all’applicazione della cristallografia coi raggi X, soprat- tutto da parte di Bragg e Goldschmidt. Nel grande la- voro di quest’ultimo sulla legge di ripartizione degli ele- 22 menti,'® sono delineati i processi attraverso cui gli ele- menti, inizialmente mescolati nel primitivo sistema so- lare, si unirono dapprima per semplice forza di gravita e poi per cristallizzazione, seguendo le leggi della combi- nazione ionica, da lui scoperte e rielaborate poi da Pau- ling. E una questione ancora aperta se questo processo sia giunto a termine, e se l’interno ancora liquido della Terra consista di ferro o di materia solare non solidifi- cata, prevalentemente idrogeno, come Kuhn ha propo- sto di recente." Tuttavia gli strati esterni, quando erano ancora allo stato fuso, devono aver contenuto oltre ai silicati — pre- valentemente silicati basici — molta acqua e carbonato in soluzione, il tutto essendo originariamente circondato da un’atmosfera di idrogeno e di derivati, CH., NHs, HS e H,O, anche se in quantita molto minori delle at- tuali. L’atmosfera primitiva deve essersi modificata in due modi particolari. L’attuale cristallizzazione della cro- sta deve aver riversato nell’atmosfera una grande quan- tita di vapor acqueo e di anidride carbonica. Contempo- raneamente, l’idrogeno andava continuamente disperden- dosi verso gli strati superiori dell’atmosfera, non essendo la forza di gravita sufficientemente intensa da trattenerlo. Di conseguenza deve essersi probabilmente verificata una 10 V. M. Gotpscumupt, Verteilungsgesetz der Elemente [Legge di ripartizione degli elementi], “Skriften Norske Vidensk. Akad. K.,” 1 (1923-37). 41 w. Kunn, “Experientia,” 2, 10 (1946). Altre teorie sull’origine della Terra sono comparse dopo la stesura di questo manoscritto, cfr. W. H. Ramsay, “Geophys. Suppl.” 5, 409 (1949); F. Hote, The Na- ture of the Universe [La natura dell'Universo], Oxford, 1950. 23 continua ossidazione, con trasformazione del metano in anidride carbonica e acqua, attraverso la produzione di composti intermedi come aldeidi, alcoli e acidi, che de- vono aver avuto importanza nella formazione della vita; Vossidazione dell’ammoniaca condusse all’azoto e quella dell’idrogeno solforato allo zolfo. Non sembra probabile che sia avvenuta un’ulteriore ossidazione in questo sta- dio preorganico, salvo, in piccola misura, nella stratosfera, ove deve essersi verificata la dissociazione dell’acqua in ossidrile e in idrogeno liberi; tuttavia, questa piccola quantita di ossidrile si sarebbe consumata nella ossida- zione di composti esistenti nelle parti piti basse dell’atmo- sfera, mentre sarebbe rimasto un residuo enorme di ma- teriale riducente, dato dal ferro ferroso delle rocce pri- mitive allora venute alla luce.’ 42 P. Harteck e J. HD. Jensen, “Z. Naturforsch.,” 3*, 591 (1948) hanno calcolato questo effetto, dimostrando che é notevole. Secondo loro, la quantita di ossigeno prodotto nella stratosfera per effetto della disso- ciazione e conseguente perdita di idrogeno é dell’ordine di 2 X 10—" mole cm® per anno. In conseguenza di queste reazioni, la quantita di ossigeno della nostra atmosfera, tenuto conto dell’intero corso della ‘sua esistenza (3 X 10° anni), avrebbe dovuto essere circa cento volte mag- giore. Sotto questa luce il problema diventa non di spiegare l’ossigeno esistente nell’atmosfera, ma perché ve ne sia cos! poco. Vi sono natural- mente, in assenza della vita, meccanismi alla superficie della Terra che sottraggono ossigeno, specialmente l’ossidazione del ferro ferroso a fer- rico. L’attuale concentrazione deve dipendere dall’equilibrio tra questi due processi, ma il secondo é di calcolo difficile, dipendendo da nume- rosi fattori, quali I’area delle rocce esposte, la velocita dei processi ero- sivi, ecc, Gli effetti competitivi dell’ossidazione e della fotosintesi svoltisi du- rante le ére geologiche sarebbero calcolabili se si potesse paragonare la quantita di ossigeno secondario negli ossidi rossi di ferro dei graniti, delle arenarie, delle argille brune, ecc., con il grado di riduzione dei depositi di carbone, di oli, di torba ¢ con i gradi di riduzione, proba- bilmente molto piti elevati, delle argille blu, dei calcari, ecc. 24 Quando la Terra fu sufficientemente fredda da per- mettere la condensazione dell’acqua, l’atmosfera era com- posta in prevalenza di azoto, con anidride carbonica in concentrazione gradualmente decrescente man mano che il suo coefficiente di ripartizione nel mare diminuiva con la temperatura. I mari contenevano originariamente am- moniaca, anidride carbonica e idrogeno solforato in so- luzione. Si discute se essi contenessero sali in concentra- zioni vicine alle attuali; in realta, vi sarebbero abbastanza minerali contenenti cloruri da spiegarne la concentra- zione attuale, purché nel corso della storia geologica i Processi erosivi avessero intaccato una quantita sufficiente di rocce. D’altra parte é possibile che alogenuri allo stato di vapore, che facevano parte dell’atmosfera primitiva, si siano condensati, solidificati e quindi disciolti nei mari primitivi.* Esistono tuttavia motivi per non accettare i valori calcolati da Har- teck ¢ Jensen. Questi dipendono fondamentalmente dall’ipotesi — che a prima vista appare ragionevole — che la quantita di vapor acqueo che passa nella stratosfera corrisponde alla pressione di vapore in equi- librio con l’'acqua o il ghiaccio alla massima temperatura della tropo- pausa cioe — 55°C, Tuttavia G.M.B. Dorson, “Proc. Phys. Soc.,” B 63, 252 (1950), ha dimostrato con misure accurate che il contenuto effettivo di vapor d’acqua nella stratosfera é molto inferiore a questo ¢ corrisponde a una temperatura di equilibrio di — 83°C, che @ la tem- peratura minima della tropopausa (all’equatore). Sembrercbbe che tutto il vapor acqueo che passa nella stratosfera si diriga verso l'equatore ¢ che per la maggior parte precipiti poi come neve. Sulla base di dati di Dobson, Ia velocita di produzione dell’ossigeno sarebbe circa cento volte minore di quella calcolata da Harteck e Jensen, sicché il valore della quantita di ossigeno formatasi durante l’intera storia della Terra, corri- sponderebbe abbastanza esattamente al contenuto attuale di tale cle- mento nella nostra atmosfera. Comunque, saranno necessarie altre ri- cerche per chiarire questo punto molto importante. 13 A. DAUuvILLIERS, op. cit. 25 La superficie della Terra a questo stadio non doveva essere molto differente dall’attuale, eccetto. che per la nudita delle rocce e la maggior importanza dei fenomeni erosivi. Ancora non ci é chiaro il meccanismo di forma- zione dei continenti e delle montagne, ma non vi sono ragioni di credere che esso sia dipeso da processi orga- nici. Possiamo quindi ammettere l'esistenza della mag- gior parte delle caratteristiche geografiche ora osservabili, ad eccezione delle isole di origine corallifera, anche se possono essersi verificate precipitazioni di carbonato di calcio di origine inorganica. In particolare devono essere esistite, come ora, ampie aree fangose nei delta e lungo le coste rocciose, alcune delle quali erano esposte alle maree. Parallelamente a cid, sulla terraferma deve es- sersi formato una specie di terreno nei punti ove il ma- teriale di origine erosiva rimaneva al riparo dall’aspor- tazione, oppure si formava per depositi fluviali, e questo terreno doveva contenere dell’argilla. Indubbiamente le cose sarebbero continuate cos{, se non vi fosse stata la presenza di un agente allora molto at- tivo, e ora non piti operante, cioé l’influsso della radiazione solare nell’estremo ultravioletto dei 2000 A e meno. Se si domanda a un fisico-chimico quali reazioni possono aver luogo in una soluzione debole di solfuro e di carbonato di ammonio in tali condizioni di irradiazione, rispon- dera che, benché non sia possibile senza ricorrere a espe- rimenti dire esattamente quali composti si formino, ha luogo certamente un processo di polimerizzazione e di condensazione, con produzione di composti organici azo- tati quali gli aminoacidi, e che tale reazione deve proce- 26 dere sino ad aversi un equilibrio tra scissioni e sintesi. Sarebbe di grande importanza precisare maggiormente questi vaghi accenni, e si pud dire che ricerche di foto- sintesi nell’ultravioletto sarebbero certamente di grande interesse e di probabile utilita pratica. Liequilibrio, poi, pud essere raggiunto in due modi. Uno sarebbe costituito dal processo fotochimico diretto di assorbimento ed emissione; I’altro potrebbe anche es- sere la scissione al buio, attraverso un certo numero di composti intermedi, che liberano energie corrispondenti a salti quantici minori e a lunghezze d’onda maggiori. Da un punto di vista puramente chimico-fisico, il ter- mine “vita” denota semplicemente il complesso mecca- nismo di quest’ultimo processo. Si pud schematizzare tutto cid sotto forma di un grafico (fig. 1), che dimostri in modo puramente qualitativo l’utilizzazione della luce solare nei vari periodi della storia del mondo. Dapprima Yassorbimento @ determinato solo dai costituenti primi- tivi, anidride carbonica e' ammoniaca. Successivamente composti piti complessi danno origine a un maggiore as- sorbimento. Quando compare la vita, e questi composti sono scissi, l’assorbimento decresce. Le modificazioni suc- cessive, ipotetiche, dovute alla comparsa della fotosintesi e della respirazione, saranno discusse in seguito. Si ha ora lo stadio della comparsa della vita stessa; secondo la classica frase di Moleschott, “& la luce che la crea dall’aria.” Qui incomincia la prima chimica orga- nica. Condensazioni e deidrogenazioni devono aver pro- dotto composti insaturi in numero crescente, e infine com- posti ciclici semplici e forse anche quelli condensati, con- 27 tenenti quasi certamente azoto, quali le pirimidine ¢ le purine. La comparsa di queste molecole rende possibili altre sintesi. Tuttavia la principale difficolta nell’immagi- nare processi che conducono a questi composti é I’estre- ma diluizione del sistema, se si suppone che abbiano avuto luogo nel mare libero. La concentrazione dei pro- dotti € una necesita assoluta per qualsiasi ulteriore evo- luzione. Si potrebbe pensare che tale concentrazione ab- bia avuto luogo in lagune o in acquitrini, che devono es- sere stati frequenti lungo le coste, prodotti dagli stessi fattori fisici, vento e onde, che agiscono anche oggi. Tut- tavia si pud immaginare una condizione ancor piti favo- revole per la concentrazione, e che deve essersi realizzata su larghissima scala, cioé l’adsorbimento su fini depositi di argilla, nell’acqua marina o nell’acqua dolce. Le no- stre conoscenze attuali sulle strutture delle argille hanno dimostrato quale enorme importanza esse posseggono nei processi biologici. Oggi vi é probabilmente pit ma- teriale biologico, cioé proteico, nelle argille del terreno e in quelle degli estuari e del fondo marino che alla super- ficie della terra o nelle acque. Ora si sa, soprattutto gra- zie agli studi al microscopio elettronico di Hast,"* che la parte attiva di queste argille dalla grana finissima é data da quelle che potrebbero essere giustamente chiamate mo- lecole di argilla: strati unici di silicato di alluminio delle dimensioni di circa 10 X 40 X 100 A, ricoperti alle due facce da gruppi idrossilici, e capaci di unirsi, incorpo- rando un numero pit o meno grande di molecole d’ac- 14-N. Hast, “Nature,” 159, 354 (1947). 28 qua, in piccoli pseudo-cristalli come pile di monete. Una tale piccola particella di argilla possiede una superficie di adsorbimento enorme. E stato dimostrato, particolar- mente da MacEwan,"* che svariatissimi composti orga- nici sono adsorbiti preferenzialmente da tali superfici in maniera regolare."* E quindi certo che i primitivi pro- dotti fotochimici sono stati adsorbiti da queste particelle, che li hanno trattenuti anche durante i loro movimenti, impedendone cosi le ulteriori possibili trasformazioni de- molitive. In tal modo possono essersi realizzate concen- trazioni relativamente grandi di molecole.” Tutto cid & oggigiorno impossibile per due motivi: in primo luogo per il fatto che lo strato di ozono dell’atmo- sfera produce un assorbimento nell’ultravioletto, e in se- condo luogo per la presenza quasi universale di orga- nismi viventi, che distruggerebbero tali molecole comun- que esse fossero prodotte. Proprio l’assenza della vita ha permesso un accumulo di materiale utilizzabile per pe- riodi indefiniti: il mondo era infatti originariamente sterile. Le molecole di argilla poi posseggono un’altra 48 D.M.C. MacEwan, “Trans. Faraday Soc.,” 306, 349 (1948). 16 B interessante notare che O, TatisupEEN, “Nature,” 166, 236 (1950), ha trovato che protcine ¢ aminoacidi sono fortemente assorbiti da argille del tipo montmorillonitico. 17. N, W. Pirie afferma: “Il riferimento all’argilla é interessante, ma non mi risulta chiaro quale vantaggio sia offerto dall’argilla rispetto a qualunque altro minerale cristallino. Preferirei piuttosto l'idea di V.M. Goldschmidt dell’adsorbimento su minerali da cui un elemento attivo sia eluibile con difficolta.” I vantaggi dell’argilla su altri minerali adsorbenti sono dati anzitutto del fatto che !’argilla @ molti milioni di volte pit: abbondante, ¢ inoltre che il suo reticolo pud estendersi indefinitamente ¢ pud adattarsi a mole- cole di grandi dimensioni. 29 proprieta, oltre quella dell’adsorbimento. La fissazione alla loro superficie di piccole molecole non avviene a caso, ma in posizioni definite non solo rispetto all’argil- la, ma anche tra di loro, ed é tale che esse possono intera- gire e formare composti piti complessi, specialmente se possono ricevere energia sotto forma di luce. Le argille sono ora considerate tra i catalizzatori industriali pid importanti.”* Processi di polimerizzazione hanno luogo in maniera particolarmente facile con composti insaturi, che posseggono elettroni relativamente liberi. In tal ma- niera si immagina che composti molecolari abbastanza semplici siano divenuti atti a una polimerizzazione com- plessa, tale che le macromolecole prodotte abbiano po- tuto persistere in forma colloidale anche senza J’argilla, diventando a loro volta catalizzatori 0, con termine pit appropriato, enzimi. L’argilla non @ il solo materiale che permetta |’adsor- bimento. Il quarzo é un altro materiale molto attivo, che, come la sabbia, si presenta unito o meno all’argilla. L’im- portanza del quarzo nella formazione di molecole pri- 18 I] meccanismo della catalisi ¢ dell’azione enzimatica é divenuto oggi molto piti chiaro, Sembra che esso dipenda in larghissima misura dal movimento di idrogenioni 0 protoni, la piti mobile di tutte le specie chimiche. L’esperimento condotto da J. TurKEvicH ¢ R. K. Smrtn, “Na- ture,” 157, 874 (1946), sulla traslocazione da acido fosforico dei doppi legami nei buteni, usando il tritio come elemento traccia, dimostra che il processo consiste in una trasposizione simultanea di un protone da una parte della molecola al fosfato e dal fosfato a un’altra parte della molecola, ottenendosi cosf il trasporto di un protone da una parte della molecola all’altra, ¢ restando immodificato il fosfato. Questi autori fanno rilevare che la maggior parte dei cristalli noti, sia a carattere metallico che ionico, come silicati, solfati ecc., possono effettuare tali trasporti, ¢ che sembra molto probabile che gli enzimi proteici agiscano in modo analogo. 30 mitive con cui si é costruita la materia vivente pud es- sere cruciale, in quanto il quarzo é l’unico minerale co- mune che possegga una struttura asimmetrica; é noto che i cristalli di quarzo posseggono una struttura destro- gira oppure levogira. Come ha dimostrato Pasteur un centinaio d’anni fa, una ‘caratteristica delle molecole pre- senti negli organismi viventi é la loro asimmetria; & sempre stato molto difficile spiegarne l’origine, dato che i processi chimici normali producono in uguale misura molecole destrogire e levogire. Pud darsi naturalmente, come pensava anche Pasteur, che alcune caratteristiche generali dell’ambiente, come per esempio la polarizza- zione della luce o il momento magnetico terrestre, favo- riscano un tipo piuttosto che I’altro; ma mi sembra pitt plausibile che questo carattere abbia preso origine dal- Yadsorbimento preferenziale di molecole asimmetriche al quarzo e che, come ha dimostrato Mills, una volta pro- dottosi, anche localmente, un isomero asimmetrico, que- sto abbia determinato una situazione per cui, in ultima analisi, si sia formato solo tale isomero. Sinora abbiamo seguito il percorso che parte dal mon- do inorganico e passa per tappe che, pur non potendo essere indicate dettagliatamente per la mancanza delle ricerche necessarie (e per lo pit facilmente eseguibili), sono non solo plausibili, ma anche inevitabili alla luce delle nostre conoscenze attuali. Tuttavia, per ottenere in- formazioni significative, dobbiamo osservare anche la fine della commedia, cercando di trarre deduzioni dalla strut- tura chimica degli organismi attuali. In questo campo ci si presentano sin dall’inizio numerosi fatti che possono essere 31 spiegati soltanto con riferimento all’origine della vita. La grande maggioranza degli organismi viventi, dai batteri inferiori agli alberi e all’uomo, sono tutti composti di un numero relativamente piccolo (circa una trentina in tut- to) di tipi di molecole, contenenti ciascuna da 4 a 40 atomi. Ogni molecola ha preso origine in qualche com- binazione precedente, cosi come ogni atomo di ogni ele- mento. Le forme piti complesse, presenti in certi orga- nismi, possono essere fatte derivare da quei tipi piti sem- plici, e nei pochi casi nei quali si é studiato il problema si & visto che le cose stanno cosf. Da tutto cid segue che vi é solo una vita, derivata da una base chimica comune.’® Cid ha Io stesso significato logico del fatto che, ad esempio, tutti i cosiddetti lia- guaggi indoeuropei hanno un insieme di radici comuni, quantunque essi abbiano poi preso direzioni differenti.” Sarebbe tuttavia errato ammettere che le molecole co- muni, gli aminoacidi, gli zuccheri e le purine, costituenti il patrimonio comune della vita attuale, siano necessaria- mente i primi composti organici, dato che si trovano an- che alcuni batteri aberranti: i batteri sulfurei, che non contengono certe molecole, in particolare zuccheri liberi. Pué darsi che l’attuale vita rappresenti un secondo stadio, e che si debba ricostruire il primo sulla base di questi es- seri sopravvissuti particolarmente primitivi. Ma tutti i 19 Questa @ la principale conclusione di T. H. Huxzey, op. cit. 20 N.W. Pirie afferma: “Cid vale solo per gruppi ecologicamente dipendenti. Gli animali debbono usare aminoacidi delle piante, ecc., perché le loro capacita sintetiche sono scarse. Ma batteri ¢ alghe sono capaci di sintetizzare composti e strutture chimiche delle specie pit varie; e sinora si @ indagato solo una piccola parte delle loro capacita.” viventi, compresi questi ultimi, contengono un gruppo di composti di natura molto piti complessa che appare d'importanza capitale, e cioé le proteine.”* Un centinaio di anni fa Engels disse che la vita é “modalita d’azione delle proteine”; i progressi della bio- chimica hanno confermato questa affermazione, preci- sandola ulteriormente. Le ricerche degli ultimi cinquan- anni hanno insegnato qualcosa delle funzioni e della struttura delle proteine. Si é dimostrato che un grandis- simo numero di reazioni chimiche che avvengono nei sistemi viventi sono processi catalitici procedenti isotermi- camente alla superficie di proteine specifiche, denomi- nate enzimi; sembra quindi logico ammettere che tutte le proteine hanno questo carattere e che sono il sostrato necessario dei processi che chiamiamo vita. Benché per merito di Fischer si sappia che le proteine consistono di varie combinazioni di circa venti aminoacidi, non si sa ancora gran che sulla loro struttura precisa. Si sa perd che esse posseggono una struttura, e non sembra vano sperare di poterla determinare in un futuro non troppo lontano. E forse non privo di significato il fatto che, seb- bene il numero delle varie proteine si aggiri sulle diecine 21 N.W. Pirie dice: “Penso che le proteine rappresentino solo una Parte necessaria della vita attuale, in quanto funzionano meglio, come i fiammiferi funzionano meglio della pietra focaia. Non vi ¢ ragione di ritenerle come essenziali.” Non penso certo che esse siano essenziali. Per quanto ne sappiamo oggi esse sono molecole molto complesse ¢ altamente differenziate. Deb- bono essere esistite delle proto-proteine con un numero minore di ami- noacidi, legati in modo pit semplice, e forse, ancora prima, qualche tipo di catalizzatore anfotero o anche particelle di argilla, come ho sup- posto, che effettuavano in modo inefficiente, ma tuttavia bastevole, parte di quanto fanno attualmente le proteine. 33 di milioni, questo numero non rappresenti che una pro- porzione insignificante delle possibili combinazioni dei venti aminoacidi. La spiegazione pit plausibile @ che certe sub-unita, contenenti gli stessi aminoacidi nello stesso ordine, debbono presentarsi con grande frequenza. Le ricerche dei chimico-fisici, in particolare di Sved- berg, hanno dimostrato che le proteine attive esistono sotto forma di molecole con peso molecolare definito, e pitt recentemente le analisi mediante i raggi X hanno di- mostrato che esse sono composti chimici perfettamente definiti, con molecole identiche che persistono immodi- ficate nei vari gradi di idratazione dei cristalli e in solu- zione.* Disponiamo gid di numerosi dati riguardanti l'effettiva disposizione delle molecole, ma sfortunatamen- te la soluzione di questo problema é ancora lontana. 22 N.W. Pirie dice: “Questo 2 il punto a cui rivolgo le maggiori obiezioni: esso non é@ vero. Si é dimostrato che solo poche proteine con- tengono meno del 10 % di un contaminante omogeneo. Se la sedimen- tazione seguisse una distribuzione secondo la legge di Bernouilli, ben il 40% differirebbe dal valore medio per piti dell’1 %, il che penso suc- ceda realmente. L'l % corrisponde al peso di due o tre aminoacidi in una proteina anche piccola e non é da trascurarsi. Per quanto riguarda i raggi X, sappiamo che la pepsina e l'insulina sono isomorfe, ma questo dato non fu scoperto con la cristallografia ai raggi X. Questa tecnica, allo stato attuale, non sembra adatta ad analizzare miscele di sostanze strettamente simili; penso tuttavia che potrebbe esserne resa capace.” Tutto cid é vero, ma serve solo a precisare meglio l’argomentazione e a considerare le asserzioni fatte come valide in prima approssima- zione. Pud anche darsi che non esistano due molecole di quella che si considera un’unica proteina che siano identiche sino all’ultimo atomo. Quanto sottolinco nei riguardi della struttura delle proteine, indicata a grandi linee, é la somiglianza del 90 % del contenuto molecolare e non la differenza del rimanente 10%. Per molti scopi biologi, come quelli che riguardano I'individualita, quest’ultima parte pud darsi sia quella veramente importante. (Vedasi a questo proposito J. Ross Coxvin, D. B. Smitu, W. H. Koox, “Chem. Rev.,” 54, 687 (1954). LN. d. 7]) 34 Lvattuale situazione pud paragonarsi a quella di una spe- dizione archeologica che abbia scoperto un gran numero di iscrizioni, ma che non le sappia leggere. Non si cono- sce il significato di queste iscrizioni, ma si sa che esse ne hanno uno, e si pud sperare con ragione che si riuscird a decifrarle. I primi accenni a una possibilita di questo genere pro- vengono dallo studio delle proteine degradate, siano esse prodotte dagli organismi stessi a scopi strutturali, com’é il caso delle proteine della pelle e dei capelli, o da vio- lente azioni chimiche, come quando si fa bollire un uovo. In questi casi Astbury” ha dimostrato che deve aver avuto luogo una polimerizzazione, con formazione di lunghe catene, le quali possono essere lineari o ripiegate in un determinato piano. Per quanto riguarda le catene lineari, se ne & avuta conferma dalla sintesi di polipeptidi artificiali effettuata da Woodward, che si comportano ai raggi X come quelli naturali. Lavori piti recenti, compiuti da Crowfoot,‘ Perutz, e dai loro allievi, hanno dimo- strato che disposizioni analoghe devono verificarsi nelle proteine cristalline; incomincia a formarsi un quadro ge- nerale della primitiva molecola proteica, come quello proposto da Crowfoot per la gramicidina-s, da Ken- drew” per la mioglobina, in cui si avrebbero gruppi pa- ralleli di catene formanti strati dello spessore di circa a3 W. T. Astaury, Fundamentals of Fibre Structure [Problemi fon- damentali della struttura delle fibre], Oxford, 1933. 24D, Crowroot, “Chem. Rev.,” 28, 215 (1951); M. F. Perutz, “Proc. Roy. Soc.,” A 195, 474 (1949). 28 J.C, Kenprew, “Proc. Roy. Soc.,” A 201, 62 (1950). 35 10 A e della grandezza compresa tra 30 ¢ 60 A2* La mo- lecola proteica primitiva ha quindi punti di rassomi- glianza, che non sembrano casuali, con la particella di argilla. Le proteine pit complesse sono date dall’associa- zione di quelle piti semplici. L’emoglobina, ad esempio, studiata particolareggiatamente da Perutz, consisterebbe di quattro strati tenuti saldamente assieme. La compli- cazione pud procedere oltre con la formazione di mole- cole proteiche ancora pit grosse, sino alle dimensioni dei virus, la cui natura interamente cristallina, analoga sia nello stato di gel solido che in soluzione, fu stabilita da me, in collaborazione con Bawden, Pirie e Fankuchen.” Il microscopio elettronico ha dimostrato I’assoluta con- tinuita tra la struttura delle molecole proteiche e dei vi- rus. Questa affermazione non implica che i virus siano una forma primitiva di vita. Tutti i dati stanno invece per il contrario. L’attivita dei virus dipende in maniera assoluta da quella di altri organismi, ed essi sono proba- 26 La maniera in cui queste catene si ripiegano per formare una mo- lecola proteica approssimativamente cubica @ ancora oscura. Ma non deve essere necessariamente molto complicata. Un certo grado di disten- sione deve aversi con la denaturazione e con una blanda idrolisi. Si é per lungo tempo ritenuto che il ripiegamento necessario per ottenerc una proteina globulare potesse avvenire soltanto per opera di sistemi enzimatici di organismi viventi. Tuttavia recentemente S. E. BRESLER, M. V. Guixina, A. P. Kontxov, N. A. SELEzNEva, ¢ P. A. FINoGENOV, “Izv. Akad. Nauk SSSR. Ser. Fiz.,” 13, 392 (1949), avrebbero dimo- strato che idrolizzati di varie proteine globulari possono essere resinte- tizzati in presenza di un enzima digestivo a pressioni di 5.000-10.000 atmosfere, Cid indica che il ripiegamento pud essere un processo a bassa energia e rende piti facile comprendere come si sia potuto inizialmente realizzare partendo da polipeptidi lineari. 27 J.D. Bernat, F.C. Bawpen, N.W. Pirie, ¢ I. FANKUCHEN, “Nature,” 138, 1051 (1936). 36 bilmente forme di vita tra le pid complesse e artefatte, pur mancando di tutte le strutture e della maggior parte degli enzimi caratteristici degli organismi normali. Essi appaiono come forme parassitiche degenerate, ridotte a null’altro che alla caratteristica nucleo-proteina, piutto- sto che forme primitive evolute indipendentemente dagli organismi superiori.”* La loro importanza nei nostri riguardi consiste nel fatto che essi dimostrano gli effetti esercitati sulla strut- tura fisica dall’esistenza di grandi molecole regolari. Una volta superate le dimensioni di 100 A circa, divengono evidenti nuovi tipi di interazioni, non osservabili per di- mensioni minori, data la presenza dell’agitazione ter- mica. Tali interazioni sono date dalle forze a distanza che si suppone intervengano in molti fenomeni colloi- dali, quali la gelificazione e la coacervazione.” Il virus del mosaico del tabacco forn{ il primo esempio quanti- 28 La distinzione tra batteri e virus sembra ad ogni modo essere arti- ficiale, dipende ciot in larga misura dalle tecniche di separazione e di esame. Risulta dal lavoro di I.M. Dawson e W.J. Errorp, “Nature,” 163, 63 (1949), che un virus come quello dell’influenza che di solito si Presenta sotto forma di molecole sfcriche o di particelle del diametro di circa 1000 A, esista, in stato di malattia attiva sotto forma di corpi fila- mentosi visibili al microscopio ordinario. Cosi molti oggetti che chia- miamo virus potrebbero essere in realta solo le spore di organismi mag- giori, eventualmente batteri, come hanno supposto P. Haupuroy, “J. Physiol. Path. Gen.,” 25 (1927), e Bosyan, “Literaturnaja Gazeta” (1950), N. 37. 29 Oparin attribuisce speciale importanza al fenomeno della coacer- vazione, cioe alla sedimentazione spontanea di gocce ‘di soluzione ricca di proteine da una soluzione diluita. Egli considera i coacervati come la prima forma in cui organismi definiti apparvero nell’acqua di mare. Credo sia poco probabile che le cose siano andate cosf nell’oceano aperto, ma é possibile che cid si sia verificato nelle lagune. 37 tativo di tali forze, dimostrando che le particelle identi- che e a forma di bastoncello che formano il virus si man- tengono a mutua distanza di equilibrio, dipendente dal pH e dalla concentrazione salina. Non é chiara la natura fisica di queste forze, benché sia quasi certamente con- nessa con le atmosfere ioniche. Langmuir, Levine, Ver- wey e Overbeek*® hanno formulato teorie per spiegarle qualitativamente, e la loro esistenza reale non é messa in dubbio. Con cid naturalmente non si esclude la possi- bilita che esistano non forze fisiche ma equilibri termodi- namici per particelle che mantengono certe distanze l’una dall’altra. L’importante dal punto di vista biologico @ che tali distanze siano mantenute in mezzi quali quelli cel- lulari. Quindi quando si formano macromolecole di questo tipo, esse devono interagire nel liquido, dando origine al- T'unita fisica che caratterizza l’organismo vivente indivi- duale. A causa dell’indeterminatezza di questi termini, é difficile dire se dobbiamo fare iniziare la vita dal momen- to in cui ebbe origine una interazione stabile tra mole- cole complesse in un mezzo generale, oppure dal mo- mento in cui si separd una parte di questo mezzo, suffi- cientemente grande da contenere un sistema autonomo di reazioni con il mezzo stesso. Si potrebbe per amore di precisione indicare il primo come origine della vita, e il secondo come origine di organismi o esseri viventi. E dif- ficile per noi risalire al primo stadio. L’idea di una vita 30 EJ. W. Verwey ¢ J.T.G. Overneex, Theory of the Stability of lyophobic Colloids [Teoria della stabilita dei colloidi liofobi), Leida, 1948, 38 senza esseri viventi pud sembrare una contraddizione in termini, ma tuttavia le cose stanno come se un tale stadio si sia effettivamente verificato, poiché molecole semplici devono aver preceduto quelle complesse, e poiché gli or- ganismi non possono essersi formati senza la preesistenza di molecole complesse.** Per una comprensione dei primi stadi di sviluppo del- la vita, non é@ tuttavia assolutamente necessario presup- porre lo stato colloidale del sistema. Infatti negli ultimi anni é divenuto sempre piti evidente che gli aspetti pit caratteristici dell’attivita vitale son dati dalle -reazioni chi- miche e dalle modificazioni relative. Dobbiamo quindi ammettere un lungo stadio di evoluzione chimica di quella che si potrebbe chiamare l’economia interna della vita, prima di poter prendere in considerazione la forma esterna o quella funzionale degli esseri viventi. C’é ora da svolgere tutto un lavoro sull’evoluzione chimica della vita; lavoro piti difficile, ma anche molto pitt importante e utile di quello svolto da Darwin sull’evoluzione delle forme superiori. La chiave per la comprensione di questa evoluzione chimica della vita sta nella zona di contatto tra la biochimica descrittiva e le teorie quantistiche. Il problema chimico principale di tutte le trasforma- zioni vitali consiste nel realizzare mutamenti chimici in un mezzo isotermo, per mezzo dei quali sia possibile utilizzare grandi quantita di energia in piccoli salti, i 31 A tale riguardo cito un esempio, che devo a Haldane. Il batterio Haemophilus caris non pud sintetizzare !'ematina, e |'H. influenzae non pud sintetizzare i cocnzimi I ¢ II. Nessuno dei due pud crescere da solo su peptone, mentre lo pud una cultura mista. 39 40 JOrgenumi viventi rminuzinne delle Jrulccate complesse Princypalmente nukecole cumplesse soli consentiti in un sistema siffatto. Si @ trovato, per esempio, che nelle catene enzimatiche, che presiedono a tutte le trasformazioni chimiche degli organismi, i sin- goli salti non superano mai 16 cal., molto spesso sono mi- nori, sino a 3 cal. poco piti del valore di un legame di idrogeno; gli scambi energetici totali possono invece am- montare a molte centinaia di calorie, il che corrisponde alla completa combustione dei materiali, la quale, senza questi meccanismi enzimatici, potrebbe avvenire solo a temperature superiori. Nel rendere possibili questi pic- coli salti quantici é evidentemente importante l’esistenza di reazioni inorganiche particolarmente labili. Due di queste acquistano un particolare rilievo in vista della loro grande abbondanza, cioé l’ossidazione e la riduzione del ferro allo stato ferrico e ferroso e dei gruppi sulfidrilici, —SH, a disolfuro —S—S—. Le prime forme di vita, in assenza di ossigeno atmosferico, devono aver ricorso quasi completamente all’utilizzazione enzimatica di queste tra- sformazioni. I processi biologici presentano una stretta analogia con quelli di una fabbrica chimica, con questa differenza: i vari prodotti, invece di passare da un recipiente a un altro, si diffondono in questo caso da un enzima al suc- cessivo; le velocita dei processi sono ben determinate, € un certo numero di metaboliti circolano in questi cicli, mentre una certa frazione dell’energia ottenuta dalle va- rie reazioni é utilizzata per contrastare l’aumento di en- tropia. Come ha detto Schrédinger, la vita non con- 32 E. ScurdpincER, Che cos’? la vita?, Firenze, 1947, p. 100. [N.d.T.] 41 suma alimenti, ma entropia negativa, e pud realizzare cid per mezzo delle strutture solide date dalle molecole proteiche stesse. Si pud immaginare che i processi vitali abbiano preso inizio dal formarsi di catene di reazioni di questo genere, in cui molecole complesse sono fornite al- Vinizio della catena e molecole pit semplici risultano alla fine, con un guadagno energetico. Abbiamo pure visto che molecole complesse possono essere state prodotte dall’assorbimento di luce; d’altra parte l’ambiente non permetteva grandi salti energetici, che sono invece possibili nell’attuale atmosfera, data I’esi- stenza di molecole di ossigeno libero. I primi processi biologici devono quindi essere stati molto poco efficienti, un po’ come si ha attualmente nella fermentazione anae- robica, ove é utilizzato solo il 10% dell’energia disponi- bile. Cionondimeno, una volta iniziato un processo di questo genere, esso poté probabilmente diffondersi con facilit4. Sono oggi noti un certo numero di batteri detti autotrofi, la cui nutrizione avviene interamente a spese di ioni inorganici, nitrati, fosfati, solfati, ecc. Questi tut- tavia non possono essere i rappresentanti degli organismi primitivi, perché contengono tutti i sistemi enzimatici piti complessi. E certo che la vita nei suoi primi stadi é dipesa com- pletamente dalla preesistenza di molecole organiche. Ma, col diffondersi della vita, queste molecole organiche de- vono essere state consumate, e se non fosse intervenuto nessun altro processo, la vita primitiva avrebbe dovuto esaurirsi. Questo pud in realta essersi verificato piti volte, perché tale esaurimento, ciot la decomposizione di tutte 42 le molecole complesse, deve aver riportato le cose allo stato iniziale e fatto riprendere il processo dall’inizio pit volte, senza lasciare tracce apprezzabili. Tuttavia noi sap- piamo, per il fatto stesso di esistere, che esse non scom- parvero in maniera assoluta. Molto probabilmente, la prima crisi della vita primi- tiva fu risolta da qualche organismo che trové un altro modo di ottenere energia per le reazioni chimiche, attra- verso l’utilizzazione della luce solare. In quale stadio cid sia avvenuto, pud variare a seconda che i primi organi- smi fossero adattati a operare alla luce o all’oscuro. Que- st’ultimo caso sembra il pit probabile, soprattutto perché la maggior parte delle reazioni note in biochimica sono arrestate dalla luce ultravioletta. E tuttavia possibile, sia nel mare sia, pit probabilmente, in acquitrini, che la su- perficie rimanga esposta alla luce solare in tutta la sua forza, mentre all'interno le cose procedano a intensita ridotta di luce o virtualmente all’oscuro. Materiale vi- vente, muovendosi verso la luce, potrebbe in questo caso trovarsi partecipe di processi in cui l’assorbimento di luce ultravioletta o anche visibile faciliti certe trasformazioni cicliche e permetta J’utilizzazione di molecole meno ric- che. Questo @ quanto apparentemente avviene oggi nei batteri sulfurei che utilizzano tanto I’energia della luce assorbita che quella proveniente da ossidazioni e ridu- zioni dei composti di ferro e di zolfo. Un tale processo é pit probabile si realizzi quando siano sintetizzate sostanze colorate, capaci di agire da sensibilizzatori, come in fotografia. Un gruppo tra que- ste sostanze sembra essere specialmente favorito, forse 43 per la sua facile sintesi, e cio le porfirine, formate dalla condensazione di quattro anelli pirrolici intorno a un ione metallico. E molto suggestivo il fatto che queste por- firine funzionino sia come utilizzatori della luce, nella clorofilla di tutte le piante, che come pigmenti respira- tori nelle cellule, e come trasportatori di ossigeno in molti animali; infine, e cid é assai sorprendente, esse sono col- legate con I’assorbimento di azoto nei noduli delle legu- minose. Tutto cid indicherebbe che la materia vivente sarebbe derivata da una forma intermedia assorbente la luce, essenzialmente una pianta.” Dal metabolismo aiutato dalla luce dei batteri sulfu- rei sino alla fotosintesi il passo pud essere breve, e, una volta realizzatosi quest’ultimo processo, il futuro della vita & assicurato. Le ricerche moderne hanno dimostrato che la fotosintesi é un processo ben piti complicato che la semplice reazione CO:+ H:0 = CH:O + O); in realta i tre processi, di assorbimento della luce, di assorbimento 33 N. W. Pirie dice: “Non lo credo. La maggior parte delle sostanze colorate dell’organismo funzionano al buio. Il colore @ la manifesta- zione di uno stato elettronico che rende la sostanza reattiva. Esso sara riscontrabile negli organismi anche se essi non vengono alla luce e anche se essi non sono mai stati alla luce.” Sono particolarmente grato per questa correzione. Questa volta am- metto di aver messo il carro davanti ai buoi. Le sostanze colorate pos- sono essersi sviluppate e — devo ammetterlo — probabilmente si sono sviluppate al buio, proprio per la loro elevata reattivita. Ma per la stessa ragione esse debbono reagire immediatamente se esposte alla luce ordi- naria. Cid nella maggior parte dei casi sara senza conseguenze, ma po- trebbe anche portare a un assorbimento di energia, e quindi a una maggior possibilita di processi sintetici. Molecole colorate sono quindi al- Vorigine, ¢ non la conseguenza di fotosintesi nel visibile. Il vantaggio di usare tali lunghezze d’onda anziché quelle pit attive della zona del- Pultravioletto consiste nel fatto che esse, anche nella luce solare non filtrata dall’ozono, sono circa cento volte pitt abbondanti. 44 dell’anidride carbonica e di liberazione dell’ossigeno, so- no indipendenti e possono anche non aver avuto una evo- luzione contemporanea. Tuttavia la fotosintesi, una volta iniziata, ha lasciato la sua impronta su tutti i successivi esseri viventi, e ha avuto indubbiamente tale successo da far scomparire tutte le forme di vita precedenti, eccetto quelle mantenute nell’oscurita. Uno dei prodotti caratte- ristici della fotosintesi € uno zucchero, e la grande dif- fusione degli zuccheri @ inferiore solo a quella delle pro- teine, benché tutti i dati indichino che i primi sono se- condari a quest’ultime. In combinazione con fosforo o con corpi purinici, o con entrambi, gli zuccheri fanno parte di un gran numero di sistemi enzimatici, e particolar- mente degli acidi nucleici, che sono cos{ strettamente le- gati all’accrescimento e alla riproduzione. I processi della respirazione sono cos{ intimamente uniti alla fotosintesi, da far ritenere probabile che en- trambi siano sorti all’inizio assieme e che solo successiva- mente si siano separati, col prevalere negli organismi del- Y'uno o dell’altro processo. La respirazione, come si & detto, € un processo molto piti efficiente della fermenta- zione, e deve aver immediatamente aumentato il grado e i limiti di attivita degli esseri viventi. Ma una grande diffusione della respirazione non pud aver avuto luogo se non dopo che la fotosintesi funzionava da abbastanza tempo per produrre sufficiente ossigeno. Una volta avve- nuto cid, si ebbero due altre conseguenze dirette. Anzi- tutto, come gia si & detto, il passaggio dell’ossigeno negli strati superiori dell’atmosfera produsse, per effetto delle ra- diazioni ultraviolette, uno strato di ozono che bloccé tutte 45 le sintesi originarie in base alle quali era sorta la vita. Ma la natura stessa della fotosintesi impedi che questo fatto avesse serie conseguenze sulla produzione di materiale organico a partire da quello inorganico. II pericolo pud essere anzi venuto da un’altra direzione, cioé dalla tra- sformazione relativamente illimitata di carbonio in cel- lulosa e in altri glicidi. Ma la simultanea presenza di os- sigeno e di idrocarburi ossidabili favor{ il meccanismo inverso, e organismi specializzati nella respirazione — batteri, funghi e animali — fecero pendere la bilancia verso l’equilibrio. Cid é indicato nel diagramma della fi- gura 1 da un secondo massimo nell'utilizzazione della luce solare, successivo alla diminuzione conseguente alla fotosintesi, e dovuto all’aumento dei processi catabolici che portarono in ultima analisi allo stato di equilibrio nel quale noi ora viviamo.* A cominciare dal momento in cui si formd un’atmo- sfera ricca di ossigeno, le condizioni fisiche della vita di- vennero essenzialmente quelle che noi oggi conosciamo. Questo @ quanto si pud dire, almeno attualmente, in base alle conoscenze fisiche e chimiche e ai dati biochimici che possediamo. Per comprendere lo sviluppo del terzo atto, quello della vita organizzata, ci si deve basare sulle cono- 34 Tutto cid nell'ipotesi che il meccanismo produttore di ossigeno, cui si é accennato a p. 27, non abbia dato origine a un’atmosfera ossi- dante in uno stadio precedente. In questo caso, la sequenza suindicata, sarebbe del tutto diferente. Le ossidazioni si sarebbero verificate prima della fermentazione, almeno in superficie, e¢ quindi prima della foto- sintesi. Cid renderebbe piti semplice spiegare il meccanismo produttore di energia della vita primitiva, ma renderebbe, d’altra parte, pid diffi- cile spiegare l’esistenza di molecole ridotte, quali gli idrocarburi alifa- tici ¢ aromatici. 46 scenze sempre piti approfondite degli organismi viventi, sia per quanto riguarda la struttura che la funzione, usando le nozioni della chimica e della fisica per inter- pretare i dati dell’osservazione. Un centinaio di anni fa la scoperta che la cellula @ ’'unita vivente sembrd spie- gare l’origine comune degli organismi e dei tessuti, che venivano allora studiati in termini di una sorta di atomi biologici. In un certo senso cid vale anche ora. Tutti gli animali e tutte le piante, con I’eccezione dei virus e forse di qualche batterio e di miceti, sono composti di cellule; ma la struttura delle cellule presenta in relazione ai loro costituenti una complessita pari a quella degli organismi rispetto alle loro cellule.’* Il fatto principale che rende 35 Questo punto di vista, oggi considerato ovvio, era reputato au- dace nel 1922: infatti E. B. Witson, op. cit., pp. 28 sgg., scriveva: “|. il mitologo 2 portato alla conclusione che le particelle ultramicrosco- piche disperse del ialoplasma possano essere chimicamente differenti quanto le formazioni visibili; che esse possono essere di tutti gli ordini di grandezza; ¢ che costituiscono I'origine, o almeno i punti formativi, di quelle formazioni maggiori che si pensa spesso, ma erroneamente, essere sorte ex novo. Da parte mia, sono disposto ad andare ancora pitt in 14, e considerare probabile che molte fra queste particelle (non dird tutte) possano avere caratteri di persistenza, come plastidi ultramicro- scopici, perpetuandosi mediante accrescimento ¢ moltiplicazione senza perdere il loro carattere individuale specifico. Queste possibilita, da lungo tempo ammesse in via spcculativa, sono state negli ultimi anni consi- derate come trascurabili; ma prima o poi, penso, esse saranno prese in pitt seria considerazione, particolarmente in vista dei risultati delle ri- cerche embriologiche. “Tra queste possibilitd la pit difficile ad essere accettata 2 che alcuni, ¢ forse molti, dei componenti submicroscopici possano essere autoripro- ducentisi. Ottime Societa di Biologia hanno posto al bando, gid da lunga data, nozioni medioevali di questo tipo e hanno volto le spalle a qual- siasi_concezione corpuscolare o micromerica del protoplasma. Certa- mente esprimere idee che si accostino a tali possibilitd richiede oggi- giorno una certa dose di coraggio. Per un processo singolare, si @ sup- posto che tali concezioni pongano i problemi fondamentali della bio- 47 possibile la citologia é che le cellule sono costruite secon- do un piano essenzialmente analogo e si sviluppano, ¢ soprattutto si riproducono, con una serie di fenomeni complicati, che @ identica in tutto il regno della materia vivente. L’evoluzione degli organismi deve essere stata prece- duta da un periodo di evoluzione della cellula. Ma la sto- tia di questa evoluzione é certo la parte pit difficile di tutti i complicati processi biologici, perché @ anche la pit lontana dalla chimica sintetica e dalla biologia analitica. Tuttavia negli ultimi anni, grazie ai nuovi metodi cui abbiamo in precedenza accennato, é stato possibile rag- giungere una conoscenza molto pit approfondita della cellula. L’aspetto generale piti notevole é il suo carattere dualistico. La cellula consiste di due parti, racchiuse da’ ung membrana, e cioé all’esterno di un citoplasma e al- Tinterno di un nucleo, anch’esso racchiuso da una mem- brana. Ciascuna di queste parti, a sua volta, consta di al- tre parti pit fini. II nucleo contiene dei filamenti in nu- mero vario, i cromosomi, e, insieme con questi, nucleoli logia al di fuori del campo della ricerca scientifica. Un filosofo ha detto che tutte le ipotesi corpuscolari rendono il mondo — o la cellula — si- mile a una composizione fatta di pezzi che, smontati e ricombinati, danno sempre la stessa figura. Ciononostante le scienze fisiche prose- guono nel loro compito di suddividere il mondo in pezzi sempre pit Piccoli, ¢ hanno dimostrato sinora di sapersela cavare con la figura cosf ricostruita. Fondamentalmente simile @ stato il procedimento dei padri della teoria cellulare, quando risolvettero l’organismo vivente nelle cel- lule componenti. Qualche successore di questi pionieri, anche contem- Poraneo, sembra abbia trovato qualcosa da ridire a questa operazione; ciononostante la teoria cellulare sembra sopravvivere quale mezzo eff- cace di progresso biologico. Percid le giovani scienze della citologia ¢ della genetica possono forse sperare in un giudizio non troppo severo se cercano di seguire il cammino battuto dai loro predecessori.” 48 ¢ centromeri; il citoplasma contiene un grandissimo nu- mero di particelle di varie dimensioni, in special modo i mitocondri, l’'apparato di Golgi e numerosi plastidi, che comprendono i cloroplasti delle piante, i microplasti e i cosiddetti organuli. Molti di questi costituenti, se non tutti, sembra siano autoriproducentisi. Quindi anche negli organismi unicel- lulari si assiste a una considerevole differenziazione. II protoplasma é quindi tutt’altro che un materiale senza struttura, e alla sua complessita microscopica deve corri- spondere una diversita ancora maggiore di funzioni chi- miche e fisico-chimiche, che indicano una storia molto complicata. Non si tentera di prendere in esame questi problemi, né l’equilibrio cellulare dipendente da enzimi che sembrano uniti ai mitocondri, né il ruolo apparente- mente dominante degli acidi desossi- e ribonucleico, il primo dei quali é sintetizzato nel nucleo e regola I’accre- scimento e la divisione. La cellula, dal punto di vista chimico, pud essere con- siderata un piccolo mondo, se non due piccoli mondi, in cui @ concentrata ’intera serie di reazioni chimiche che ha caratterizzato una gran parte della vita preorganica. I caratteri essenziali della vita chimica della cellula sono la grande persistenza con cui procede lungo linee stabi- lite di reazioni chimiche e il modo con cui queste rea- zioni caratteristiche continuano a riprodursi nelle cellule figlie. Schrédinger ha rilevato che questa esatta riprodu- zione é in sé un fenomeno quantistico, e ha attribuito la possibilita di opporsi all’aumento dell’entropia prodotto dalla diffusione normale alle strutture quasi-solide (0 al- 49 meno solide in una dimensione) dei cromosomi. Perd questa uniformita di attivita chimica non é per nulla as- soluta, specialmente nei batteri. La normale biochimica della cellula pud infatti essere modificata in maniera assai radicale da cambiamenti dell’ambiente, ¢ persino lo stesso nucleo e i processi genetici possono, com’é noto, subire modificazioni casuali e modificazioni non casuali, per mezzo di agenti chimici specifici. La difficolta della loro scoperta nel passato é dipesa largamente dalla difficolta di far giungere determinate sostanze chimiche nei punti in cui esse possono agire. I metodi fisici possono essere di grande utilita nell’in- terpretare le strutture visibili nella cellula e nel dedurne altre. I] protoplasma non é affatto una sostanza uniforme. Il microscopio elettronico e i raggi X dimostrano che esso contiene, oltre alle strutture relativamente grandi cui si @ gid accennato, altre di dimensioni minori che, possedendo una grande superficie, sono probabilmente sede delle maggiori attivita. La viscosita del contenuto cellulare indica che esso contiene una quantita apprezza- bile di molecole a carattere fibroso; queste sono quasi certamente di natura proteica. Una delle scoperte pit in- teressanti in questo campo é la notevole facilita con cui le proteine cosiddette globulari, o pit probabilmente la- minari, si aggregano sotto forma di fibre. Questa aggre- gazione, se condotta in condizioni non eccessive di aci- dita e temperatura, sembra essere perfettamente rever- sibile. Ad ogni modo la reversibilita @ stata osservata per linsulina, Vactina, la tropomiosina e la fibrina. Sembre- rebbe quindi che praticamente tutte le fibre riscontrabili 50 in sistemi biologici siano costituite in tal modo da unita proteiche, cos{ per esempio la paramiosina — dove le unita possono osservarsi al microscopio elettronico, — il collageno e la cheratina. La conversione di tali proteine in fibrose @ dovuta probabilmente a una polimerizza- zione, ma nelle forme piti labili cid pud riguardare un piccolo numero dei legami esistenti. Queste fini fibre, del diametro di 100-200 A, presentano naturalmente una grandissima superficie, e sono quindi in grado di effet- tuare scambi chimici quasi come fossero molecole libere. Sembra infatti molto probabile che tutti gli enzimi cel- lulari siano disposti in questo modo; I’esempio piti note- * vole & quello dell’adenosintrifosfatasi, che sembra legata alla miosina e ha un ruolo importante nella contrazione muscolare. Un fenomeno analogo deriva dall’esistenza di tali mo- lecole fibrose. Zocher e Birnstein** hanno dimostrato che, in sospensioni diluite di argilla, le particelle tendono a disporsi in piani paralleli a intervalli regolari, che pos- sono anche essere di 5000 A. Dai miei studi sopraricor- dati sul mosaico del tabacco, risultarono fenomeni ana- loghi; ed & oggi noto che tutte le molecole fibrose di que- sto genere sono unite tra loro mediante forze agenti a distanza, le quali, a seconda delle condizioni del mezzo, possono dare una coagulazione in fibre microscopica- mente visibili, quando la loro distanza é piccola, oppure un gel orientato e praticamente fluido, quando é grande. La variabilitd del grado della natura fibrosa del con- 36H, Zocner ¢ V. Birnstein, “Z. Physik. Chem.,” A 142, 113. 51 tenuto cellulare @ molto evidente nel fenomeno della di- visione cellulare, che segue uno schema sia pur complicato, ma sostanzialmente analogo per tutti gli organismi cel- lulari. Una decina di anni fa avanzai una teoria della mi- tosi basata sull’osservazione di queste forze a distanza, e particolarmente sull’analisi della struttura dei tattoidi fusiformi.” Questi furono osservati per la prima volta da Zocher nei sol di ossido ferrico e, successivamente fu- rono studiati in maggior dettaglio nel virus del mosaico del tabacco. Quando un’area a diffusione uniforme di particelle a forma di bastoncello tende ad aggregarsi, le forme prese dall’aggregato non sono piti quelle della goc- cia sferica, ma, data l’esistenza di forze a distanza, le particelle tendono a rimanere orientate parallelamente; ne derivano forze anisotrope di superficie e un equilibrio sotto forma di un tattoide, con una superficie geometrica che obbedisce alla formula 01/r1 + 62/r1 = costante, dove 1 € 62 sono le tensioni superficiali principali e ri e ra i raggi principali di curvatura. La stessa forma si presenta quando una soluzione limpida viene inclusa in un ag- gregato concentrato di lunghe molecole. Queste forme, analogamente alle bolle, sono dette tattoidi negativi. Tali tattoidi esistono certamente nelle cellule in divisione.* Il meccanismo della loro formazione sembra essere con una certa approssimazione il seguente: al momento della divisione, una piccola particella contenuta nel cito- plasma, il centrosoma, spontaneamente, o forse stimolata 37 J.D. Bernat, in F. R. Moulton, The Cell and Protoplasm [La cellula e il protoplasma], Washington, 1940, p. 199. 38 J.D. Bernat ¢ I. Fanxucuen, “J. Gen. Physiol.,” 25, 11 (1941). 52 da mutamenti avvenuti nel nucleo, determina una _poli- merizzazione delle proteine, la quale si sviluppa come nell’insulina e forma un aggregato sferico di fibre, uscenti tutte da uno stesso punto. Il centrosoma si divide e la formazione diventa un tattoide, ossia il fuso. Che le cose stiano cos{ é stato dimostrato elegantemente da mi- crofotografie di mitosi, prese alla luce polarizzata. L’esi- stenza del tattoide produce un campo di forze agenti a distanza. In un tale campo, le particelle che non si me- scolano con il sistema, come i cromosomi, tendono a es- ser spinte all’equatore, dove assumono una disposizione in prevalenza parallela. Questo é lo stadio indicato come metafase. Lo stadio successivo @ caratterizzato dall’inversione di questo processo, ma cid pare prendere origine in una spe- ciale sezione di ogni cromosoma, il centromero. I centro- meri di ogni coppia di cromosomi — (la divisione cro- mosomica avviene in uno stadio precedente) — si sepa- rano, ma in modo tale da far pensare che ogni coppia rappresenti i poli di un tattoide negativo; essi si com- portano come centri di disgregazione delle proteine fi- brose, disgregazione che procede dall’equatore ai poli. Entrano qui in gioco forze considerevoli, come lo dimo- stra il fatto che cromosomi anomali, che non si sono di-. visi in modo completo, sono letteralmente rotti in due. Ulteriori ricerche sono necessarie per dimostrare la fon- datezza di questa ipotesi, la quale ha ad ogni modo il merito di non invocare forze che non siano quelle dimo- strabili pure in altri sistemi organici e anche inorganici, come i gel di idrossido ferrico e di pentossido di vanadio. 53 Simili spiegazioni basate sulla conoscenza di forze agenti a distanza potrebbero anche servire a spiegare il meccanismo dell’appaiamento dei cromosomi stessi. Nel- la riproduzione, i cromosomi che appartengono ai nuclei provenienti dal padre e dalla madre si uniscono in cop- pie. Questi devono percid trovarsi vicendevolmente e unirsi con un’accuratezza straordinaria. La variazione del materiale costituito da acidi nucleici lungo i cromosomi, con la sua struttura complicata e con le corrispondenti variazioni nelle forze a distanza, pud servire a spiegare questo processo. Un'interazione completa pud avvenire solo se si ha un’adatta opposizione delle parti, e la diffe- renza tra un buono e un cattivo adattamento puéd far si che, dopo un certo numero di tentativi, si ottenga I’adat- tamento reciproco in una zona e successivamente lungo il restante dei cromosomi. Noi siamo solo all'inizio di questi studi, e ulteriori osservazioni riveleranno proba- bilmente complessita ancora maggiori. Ma queste com- plessita agiranno come stimolo per ulteriori ricerche fisi- che che condurranno alla loro spiegazione. Sinora si é parlato solo dell’interno della cellula. Ma per quanto riguarda la possibilita dell’evoluzione biolo- gica, la relazione della cellula al suo ambiente non sem- bra ora un mistero cosj fitto come appariva a Henderson, se si considera, ammesso che il nostro punto di vista sia giusto, che essa rappresenta semplicemente una raccolta selettiva di processi chimici equilibrati, isolatisi dall’am- biente esterno. La condizione preliminare per |’esistenza della cellula é il mantenimento della concentrazione delle sue sostanze in un mezzo con concentrazioni molto mi- 54 nori. Cid implica un lavoro, ma é un tipo di lavoro per il quale i sistemi enzimatici proteici delle cellule sono particolarmente adatti, e per il quale le proprietd delle membrane lipidiche forniscono il substrato fisico neces- sario. Nell’'ulteriore evoluzione degli organismi si possono considerare le dimensioni quali fattori della maggior im- portanza. Gli organismi unicellulari dalle dimensioni di pochi micron debbono necessariamente vivere in un mon- do in cui le forze molecolari sono piti importanti che quelle idrodinamiche. Le piccole molecole dalle quali di- pendono la nutrizione e la respirazione debbono entrare liberamente per diffusione. Ma la diffusione trova dei li- miti assoluti nelle dimensioni, e con il crescere della grandezza di un organismo, diminuisce la sua superficie efficace, nonché il volume da cui ricava il suo nutrimento. Per uscire da questo dilemma si presentano due vie, le quali sono state seguite entrambe dai vari organismi. La prima consiste nel crescere solo in una o due dimensioni, producendo formazioni filamentose o fogliari, che occu- pano una grande superficie. La seconda é data dalla mo- tilita, non quella finalistica degli organismi superiori, ma quella fine a se stessa, che perd permette all’organismo di allontanarsi dalla posizione in cui si manifesta una certa carenza di cibo. L’incessante movimento di batteri e di protozoi non ha inizialmente altro significato; tuttavia una volta sviluppato un meccanismo di movimento con- trollabile, a partire da semplici molecole proteiche come nelle ciglia, le quali sono formate da un fascio di poco pit di 10-15 macromolecole, si rende inevitabile un’evo- 55 luzione verso il movimento finalistico. A questo stadio si presentano agli organismi due di- rezioni. Una é quella di migliorare i propri meccanismi biochimici e di mettersi in grado di sfruttare un ambiente molto diluito; l’altra é di muoversi verso un ambiente migliore: questa costituisce la distinzione fondamentale tra piante e animali. Le prime rimangono esseri capaci di assorbire molecole distinte, e la loro motilita @ limitata all’aumento delle loro superfici e alla realizzazione di un flusso lento e continuo dell’ambiente interno. Le forme mobili, peraltro, tendono prima o poi a urtarsi, e da que- sto contatto sorge la possibilita della digestione, e quindi la possibilita di acquistare nuovo materiale in pezzi pre- fabbricati invece che allo stato molecolare.* La motilita poi pud andare dalla motilita completa, quando I’orga- nismo si muove attraverso l’ambiente, a quella relativa, quando l’organismo sta fermo e sposta intorno a sé l’am- biente, come avviene nei ciliati, nelle spugne, nelle ostri- che, ecc. Nel primo caso il fenomeno nuovo essenziale é la presenza di una direzione, con un movimento lungo 3® Questo processo ha avuto altre conseguenze chimiche, che fissa- rono, per cosi dire, il carattere mobile degli organismi. La digestione di altri organismi, sia interna come nelle amebe, o esterna come nelle piante carnivore, elimina la necessitd di sintetizzare certe sostanze. Da cid segue evolutivamente la perdita della capacita di queste sintesi. Que- ste sostanze sono attualmente divenute fattori alimentari accessori per Yorganismo. L'organismo, date le sue deficienze chimiche, deve ora an- dare a caccia di altri viventi. Come ha fatto rilevare Lwoff (op. cit.), la degenerazione chimica negli animali va di pari passo con I'evoluzione della motilita, sensibilita ¢ facolta intellettuali. Noi siamo intelligenti, non per nostra volonta ma perché eravamo biochimicamente cosi me- diocri da rendersi indispensabile che lo divenissimo anche soltanto per rimanere in vita. 56 un gradiente termico o chimico. Cid presuppone la for- mazione di una specie di elementi sensoriali all’estremita cefalica, e di un collegamento tra questi e i processi che determinano il movimento. Da questi inizi molto sem- plici si ha l’evoluzione della triade: organo di senso, si- stema nervoso ed effettore. Liattuale evoluzione degli organismi superiori, che usano la divisione cellulare per creare un organismo di dimensioni maggiori di quanto sarebbe possibile con una sola cellula, potrebbe in realtd essere dovuta solo a una necessitd meccanica. Una volta superate le dimensioni assai.piccole della singola cellula, incominciano a farsi sentire le forze che in scala microscopica sono inapprez- zabili, come la turbolenza del mezzo e la gravita. Per resistere a queste, & necessaria una forza maggiore di quella fornita dalla struttura protoplasmatica, e cid é reso possibile dall’utilizzazione della resistenza meccanica pos- seduta dalle pareti cellulari, sia come tali, sia perché rin- forzate da fibre proteiche o da cellulosa. Nei punti in cui sono richiesti ulteriori rinforzi, si possono avere depositi di minerali, come nei gusci o nelle ossa. Gli organismi pluricellulari possono andare incontro a una specializza- zione, e le nostre conoscenze della natura fisica di questi processi specializzati, come il passaggio degli impulsi ner- vosi, la contrazione di muscoli o la produzione di secreti, sembrano indicare che essi utilizzano aspetti particolar- mente selezionati di meccanismi comuni a tutti i sistemi proteici. Oggi, perd, la funzione particolare di un organo non é pitt autodeterminante e assoluta, in quanto fa parte di 57 una coordinazione pit ampia. La moderna analisi mate- matica ci mostra che il solo fatto della coordinazione, lo stesso meccanismo del collegamento, introduce nuove complessita e nuove possibilita di un tipo molto specifico. Si prenda ad esempio uno dei meccanismi pit compli- cati, quello della visione. E relativamente semplice imma- gimare una connessione biunivoca tra il singolo recettore retinico e il singolo effettore della corteccia visiva. Ma cid & solo l’inizio dell’intera storia. Un tal sistema pud vedere, ma non pué riconoscere né seguire. Tre strati di cellule intervengono a raggruppare e selezionare gli im- pulsi della corteccia e a creare le percezioni degli oggetti, che rappresentano la base dell’esperienza sensoriale ne- gli animali superiori. La disposizione di questi strati di cellule & molto simile, come mette in rilievo la ciberne- tica, a quella esistente nelle moderne macchine calcola- trici elettroniche, che hanno funzioni simili. Una com- plessitd ancora maggiore é richiesta per passare dalle per- cezioni ai concetti, processo questo che nella sua com- pletezza é appannaggio solo dell’uomo, e forse anche di qualche altro animale sociale. In questo caso le mutue relazioni di organismi collegati per via riproduttiva han- no portato a un ordine ancora superiore di interazione reciproca, e quindi allo stabilirsi di una tradizione cul- turale. Questa breve rassegna nel campo della vita dimostra che si comincia ora a vedere la possibilitd di interpretarla in termini che si adattano al nostro controllo intellettuale e pratico delle parti non-viventi dell’ambiente. E certo che questa interpretazione sara considerata assurda dai 58 nostri discendenti, come fu considerata assurda quella di Borelli e dei primi meccanicisti corpuscolari del secolo XVII. Tuttavia proprio quei tentativi di razionalizza- zione resero possibili ulteriori progressi della biologia di allora; analogamente noi possiamo sperare, con la pre- sente analisi, di realizzare dei progressi in biofisica. Cid non significa affatto una riduzione della biologia alla semplice fisica. La complessita di successivi livelli evo- lutivi comporta determinati ordini di progresso, ciascuno con le sue leggi e con il suo squilibrio interno tendente verso nuovi livelli. Tuttavia, interpretando le strutture e spiegando i meccanismi, noi possiamo eliminare le inter- pretazioni mistiche che servono semplicemente a nascon- dere l’ignoranza. Invece di nascondere l’ignoranza, si puo sperare di metterla in evidenza, al fine di indivi- duare i punti in cui le spiegazioni non sono soddisfa- centi € scoprire, prima o poi, i mezzi per studiarli. In un tale studio ci si pud attendere, con ragione, di scoprire altri punti di ignoranza e di difficoltéa. E anche se tutto cid dovesse procedere all’infinito, ne varrebbe sempre la pena. Ogni volta che si raggiunge una nuova relazione, si migliora l’ordine e crescono la fiducia e l’orientamento per il lavoro futuro; contemporaneamente aumentano i nostri poteri di controllo sul nostro ambiente biologico, compreso il nostro corpo. La profondita della fisica non deve farci dimenticare la sua semplicita come schema della conoscenza umana. Qui, nella biofisica, si ha qual- cosa di cos{ complesso, che richiedera non solo un lavoro pid intenso, ma anche una intelligenza maggiore che non ai primi stadi della biologia e della fisica. L’uomo 59 nel passato ha usato le sue conoscenze per realizzare grandi cambiamenti nel suo ambiente, dapprima mecca- nici e poi chimici. Solo una miglior comprensione delle scienze biologiche e sociali potra indicare come rendere realmente utili questi cambiamenti e come bilanciare la forza con ’intelligenza.*° 40 Partendo dall'idea che i primi composti organici fossero sorti in un’atmosfera di CHy, NH3, H2O e Hz, fu realizzato recentemente da S. L. Mitier, “Science,” 117, 528 (1953), un esperimento di produ- zione di aminoacidi nelle condizioni primitive esistenti sulla Terra. A tal fine egli fece circolare in un adatto apparecchio CHy, NHs, H,0 ¢ Hy, sottoponendoli, per la durata di una settimana, a una scarica elet- trica. L’analisi dei prodotti ottenuti fu effettuata mediante cromatografia su carta, che riveld la presenza di alcuni aminoacidi, ¢ precisamente di glicina, q-alanina e B-alanina, ¢ forse la presenza di altrig- B- ¢ -y-ami- noacidi. La resa totale fu dell’ordine di milligrammi (su una quantita di 200 ml di acqua). Vedasi anche S. L. Miter, “J. Amer. Chem. Soc.,” 77, 2351 (1955). Un, @. T.] 60 N. W. Pirie Storielle vitali Questo libro’ é la ristampa di una conferenza tenuta nel 1947: io l’ho gia “recensito senza volerlo”; per di pit, in appendice ad esso, figurano inaspettatamente alcuni passi della “recensione,” tratti da una mia lettera di com- mento sulla conferenza originale. Essi, perd, non costi- tuiscono una vera e propria “recensione” perché, non avendo alcuna idea che i miei appunti fossero destinati alla pubblicazione, non mi preoccupai di stenderli nella forma sintattica piti adatta alla pubblicazione. Sono stati inoltre tralasciati rilievi di non poco conto: mi é percid lecito fare un’edizione accresciuta e migliorata della mia “recensione” originale. Le discussioni sull’origine e la natura della vita du- rano da cosi lungo tempo che non é proprio facile dire qualche cosa di nuovo in proposito, e non vi é motivo d’accrescere ancor pit la mole di questa letteratura, a meno che non si sia in grado d’esprimere qualche idea originale o di correggere i pit pericolosi errori delle af- fermazioni altrui. Per poter stabilire se un contributo & originale, é indispensabile, a quanto pare, rivedere tutto cid che @ gid stato scritto: cosa questa che il professor 1 Le basi fisiche della vita di J. D, Bernal, del quale questo saggio é la recensione. [N. d. T.] 61 Bernal ha mancato di fare. Nella nota introduttiva al suo libro egli ammette, piuttosto ingenuamente, di aver letto la conferenza di Huxley tenuta nel 1868 alla British As- sociation pure intitolata The physical Basis of Life, solo dopo aver tenuta la sua. Né vi é prova che egli abbia letto le altre quattro conferenze della British Association che svolgono temi analoghi. Queste quattro conferenze: di Huxley, tenuta nel 1870 su Biogenesis and Abiogenesis [Biogenesi ed Abiogenesi], di Tyndall tenuta nel 1874 e di Allen nel 1896, recanti lo stesso titolo: The physical Basis of Life e di Schafer del 1912 su Life: its Mainte- nance Origin and Nature (La vita: sua conservazione, origine e natura], costituiscono una indispensabile intro- duzione a qualunque discussione sull’argomento. Il lavoro di ricerca successivo ci ha fornito qualche dato di fatto in pit, non sempre perd ricollegabile al problema dell’origine della vita: gli scrittori del passato hanno dimostrato di avere afferrato i lati essenziali del problema in un modo che non é stato successivamente superato e forse neppure eguagliato. Tl nostro é un problema antico, ma la sua forma si é evoluta col progredire delle conoscenze. Gli antichi ac- cettavano, o almeno non respingevano, affermazioni sulla derivazione di rane e di bruchi dal fango, ed & ben nota la ricetta di Van Helmont per produrre topi da un po’ di crusca vecchia e da una camicia sporca. Questa fase ebbe termine col lavoro critico di Redi e di Spallanzani e con il graduale progredire delle conoscenze sulle abitu- dini e sui cicli vitali degli animali inferiori. La tecnica, perdé, non permetteva ancora d’affrontare problemi di questo tipo: anche scienziati come Boyle, Leeuwenhoek e Swammerdam si accontentarono di dire di sfuggita che non credevano nella generazione spontanea, senza studiare la questione in particolare. I temperamenti pit poetici si conformavano ancora alle antiche vedute ed Erasmo Darwin immaginava l'inizio dell’evoluzione pit o meno come ce lo figuriamo noi oggigiorno: Without parents by spontaneous birth Rise the first specks of animated earth.? Al principio del secolo decimonono |’interesse, origi- nato dal problema pratico della conservazione delle der- rate, si concentrd sulla putrefazione: nel 1810 Appert descrisse il metodo della sterilizzazione mediante il ca- lore, ma da questo fatto non si trassero chiare conclusioni, per la difficolté di distinguere tra gli effetti prodotti dal- Vassenza dell’ossigeno e quelli dovuti alla mancanza di piti o meno ipotetici agenti putrefattivi. Pasteur coordind i risultati, non sempre coerenti, pubblicati da Schwann, Helmholtz, Schultze, Schroeder e Dusch sulla filtrazione e la sterilizzazione dell’aria; egli, con una sicurezza senza precedenti, espresse l’opinione che la putrefazione fosse provocata da microrganismi i quali, nelle condizioni di laboratorio, non s’originavano spontaneamente: non so- steneva, perd, che la generazione spontanea fosse impos- sibile in ogni circostanza. A quell’epoca, brodi, carni, verdure e frutta erano conservati su larga scala col me- todo di Appert da circa cinquant’anni, cosicché potrebbe sembrare che Pasteur stesse dimostrando cid che era gid 2 Senza genitori, per nascita spontanea, / sorsero le prime particelle di terra animata. [N. d. T.] 63 ovvio. Esiste peré sempre un ritardo nella comprensione, da parte degli scienziati, di cid che é implicito nel la- voro dell’uomo e viceversa: Pasteur insegnava agli scien- ziati quello che la massaia sapeva gia. Huxley e Tyndall espressero la convinzione che la vita si fosse originata sulla terra in modo spontaneo, no- nostante queste conoscenze e nonostante gli sviluppi del- la batteriologia, della chirurgia asettica e delle altre di- scipline fondate sulla dottrina di Pasteur. Essi non pre- stavano fede alle pretese generazioni spontanee ottenute in laboratorio, ma le ritenevano possibili in un’epoca ed in circostanze determinate. Che cosa possiamo dire di pit, ora, su tali circostanze e sul carattere delle forme primitive? Senza dubbio possediamo un maggior nume- ro d'informazioni sul problema dell’origine della Terra e dello stato primitivo della sua atmosfera e della sua su- perficie. Col passare degli anni aumenta il numero delle asserzioni a proposito di questi stati originarii: esse sono perd in gran parte contraddittorie. Si afferma che la Terra si sia formata dalla condensazione di un pugno di materia solare e dalla conglomerazione di pulviscolo cosmico; che la sua crosta avvolga un nucleo di ferro- nichel, oppure un nucleo d’idrogeno, oppure nessun nu- cleo particolare ma semplice roccia, la quale da l’impres- sione di una diversa composizione per le modificazioni in essa prodotte dalle pressioni estreme. Si afferma che l’'atmosfera terrestre abbia avuto origine da quella parte dei gas vulcanici che il nostro campo di gravitazione avrebbe trattenuto dalla diffusione nello spazio, oppure che di essa siano entrati a far parte alcuni gas provenienti 64 dallo spazio medesimo. L’una e l’altra di queste ipotesi affermano che essa fosse inizialmente quasi del tutto priva dossigeno: quello odierno sarebbe stato prodotto biolo- gicamente dall’azione di forme vegetali primitive sulla CO:, oppure dalla scissione fotochimica dell’acqua nella parte superiore dell’atmosfera, con successiva dispersione dell’idrogeno e ritenzione dell’ossigeno. Certamente le nu- bi presenti nell’atmosfera di Venere, hanno una grande importanza perché si pud ritenere che questo pianeta sia in uno stadio pit primitivo rispetto alla Terra: taluni affermano che esse sono formate da pulviscolo, altri da poliossimetileni. I fisici e gli astronomi che sostengono tutte queste e molte altre opinioni godono di una certa autorita. Di- sponiamo dunque di una disparata congerie d’informazio- ni, ma, al pari di ‘T'yndall e di Huxley, di un’assai scarsa conoscenza dell’ambiente in cui la vita pud essersi origi- nata. Si pud scusare percid il biochimico scettico se ri- tiene che il dogmatismo non trovi pit alcuna giustifica- zione. L’unica idea nuova, di qualche significato, che sia stata portata nel dibattito del problema in questi ultimi quarant’anni é@ il suggerimento di Haldane, secondo il quale l’atmosfera primitiva conteneva ammoniaca ed idrocarburi, ed in essa si sarebbero accumulate, prima che si sviluppassero sistemi viventi capaci di distruggerle, varie sostanze organiche, prodotte dall’azione dei raggi ultravioletti solari su tale miscela gassosa e sul gas pro- veniente dai vulcani. Egli, saggiamente, non si addentrd in particolari: il momento di tentare di tracciare un quadro particolareggiato dell’origine della vita sara giun- 65 to quando gli esperti saranno d’accordo, per dieci anni almeno, sulle linee pitt importanti del quadro dell’am- biente. La fisica é una scienza volubile al pari di qualun- que altra ed é poco probabile ottenere un quadro soddi- sfacente se ci si fida troppo delle notizie “dell’ultima ora.” Non potremo distinguere fra ipotesi e speculazione fino a quando non sapremo con sicurezza se nell’atmo- sfera primitiva vi erano apprezzabili quantita d’ossigeno e composti del carbonio, oltre al CO. Chi vuol elaborare un’ipotesi od un ragionamento spe- culativo sull’origine della vita, si trova nella difficolta non solo di non conoscere con quale materia prima deve lavorare, ma anche di non sapere quali tipi di sostanza sia riuscito a sintetizzare. Il professor Bernal ritiene che le proteine fossero indispensabili fin dal principio: ne & convinto, sia perché tali sostanze entrano nella composi- zione d’alcuni organismi oggi viventi, sia perché si fida dell’autorita. di Engels. Gia mi sono battuto contro il dogma che le proteine siano indispensabili (Modern Quarterly, 3, NS, 82, 1948), ma il dogma é duro a morire e qualcuno pud ancora sollevare la questione. L’afferma- zione secondo cui tutti gli organismi viventi conterreb- bero proteine non é stata dimostrata: meno dello 0,1 per cento delle specie oggi viventi sono state esaminate per il contenuto proteico e in non molte di pit é stata dimo- strata la presenza d’azoto. Pud darsi, tuttavia, che tutte le specie attuali contengano proteine: questo fatto dimo- strerebbe che i meccanismi basati sulle proteine sarebbero riusciti, alla prova, pit efficienti di altri eliminati nel corso di 2000 milioni di anni di evoluzione. Le condizioni 66 attuali non ci dicono proprio nulla delle qualita necessa- rie o desiderabili all’inizio; come Allen e Schafer face- vano notare, gli organismi primitivi disponevano di un mondo completamente vuoto in cui crescere: se ora sor- gesse qualche cosa di simile ad essi, anche lontanamente, sarebbe prontamente metabolizzato da uno dei tipi at- tuali che ebbero migliore riuscita. Lo stabilirsi di una li- nea dominante che si fonda su un dato raggruppamento di sostanze chimiche, favorisce le altre specie che utiliz- zano proprio queste sostanze. Pochi tipi d’organismi com- piono un effettivo lavoro di sintesi: i loro residui rap- presentano le risorse metaboliche per gli altri. Questa di- pendenza ecologica porta automaticamente ad una sem- plificazione delle strutture chimiche di qualsiasi gruppo dipendente d’organismi e tutto quello che noi ora vedia- mo non é che il risultato finale di un lunghissimo pe- riodo di semplificazione e di selezione. I primi passi verso un sistema che noi vorremmo chiamare vivente Possono essere intrapresi ripetutamente, anche ora: ma se impiantassimo esperimenti allo scopo d’individuare un passaggio del genere, non riusciremmo facilmente a sta- bilire quale cambiamento dovremmo cercare. Sarebbe puramente folle attendersi un sistema elaborato, come, per esempio, quei piccoli esseri che Cross dichiaré di aver visto uscir fuori dal silicato elettrolizzato; egualmente folle sarebbe attendersi delle proteine: per ottenere una evoluzione fino a questo punto potrebbe occorrere qual- che milione d’anni. Il requisito minimo sarebbe che un sistema, posto in un flusso di energia (chimica, radiante o termica) riuscisse ad indirizzarne una parte verso !’ac- 67 crescimento della quantita di sostanza chimicamente e morfologicamente simile a se stesso: & chiaro che se que- sta proprieta é necessaria, non é perd sufficiente, infatti molti tipi di cristallizzazione la possiedono. La vita, pe- rd, non é una proprieta di un sistema: essa é piuttosto la definizione della nostra attitudine mentale verso di esso. Se vogliamo affermare che solo quei sistemi contenenti cid che oggi chiamiamo molecole organiche meritano Y'appellativo di vivente, noi poniamo, senza alcuna buona ragione, un limite a questo campo: il processo pud benis- simo essere cominciato tra gli alluminati, i fosfati od i cianuri. Tra la sedimentazione delle rocce archeane, il cui contenuto di grafite viene in genere considerato la prova di una forma di vita basata sul carbonio e ad esse contemporanea, ed i primi fossili riconoscibili, trascor- sero un migliaio di milioni di anni; egual durata pud aver avuto il periodo precedente all’Archeano, nel quale !’ac- qua avrebbe ricoperto tutta la superficie terrestre. Vi fu tempo sufficiente perché si operasse una selezione tra le diverse sostanze colloidali ed amfotere, la quale portd il movimento vitale in un campo chimico a noi pit fami- liare: “Forse @ vita, ma non é lenta?” Il professor Bernal non s’accontenta di fare afferma- zioni dogmatiche sullo stato fisico dell’ambiente origi- nario: cid che sarebbe qualificato a fare e che, ad ogni modo, rientrerebbe nella tradizione; analoghe afferma- zioni egli fa anche nel campo biochimico e le sue gene- ralizzazioni costituiranno una sorpresa per chi é esperto in questa materia: non si rende conto, infatti, di quanto limitata sia la serie degli organismi su cui si é lavorato. 6& Liinteresse per le malattie ha stimolato uno studio super- ficiale dei mammiferi e dei microrganismi patogeni, I’in- teresse per il cibo e le bevande ha portato allo studio di qualche vegetale superiore e dei lieviti, l’attrattiva di una vacanza a Napoli o nelle Bermude ha condotto allo stu- dio di qualche invertebrato marino. Rimane perd ancora da studiare un mare di forme viventi e, delle poche stu- diate, si conosce solo una parte di cid che le compone ed una parte ancera minore di cid che in esse accade. Questo libretto, dunque, non é soddisfacente. E stato paragonato al libro di Schrédinger Che cos’é la vita, ma non é cos{ brutto: esso, almeno, tratta per lo pit l’argo- mento dichiarato ed il professor Bernal é abbastanza competente in materia; non ne sa abbastanza perd per dare un contributo utile. Questa critica pud esser consi- derata, semplicemente, come un esempio dell’antico co- mando dato al ciabattino di continuare a battere le sue suole: e fino ad un certo punto lo é. Tale ammonimento perd dovrebbe servire, e non senza motivo, a frenare un po’ il professor Bernal, il quale avrebbe bisogno di tante braccia quante ne possedeva Briareo per poter badare ade- guatamente a tutte le questioni su cui @ qualificato ad alzare la voce. Tanti sono gli argomenti — cristallogra- fia, politica, scienza delle costruzioni, potere distruttivo delle bombe, etica, storia, ecc. — sui quali egli scrive con autorita ed in modo convincente, che dobbiamo impu- tare alla sua genuina impulsivita irlandese la decisione di scrivere un libro sulla vita. Si & gid scritto tanto in proposito che é giustificata l’insofferenza verso un libro che contiene tante storielle. 69 ]. D. Bernal Non calpestare Verba Recensione di una recensione Uno di questi giorni leggerd un lavoro scientifico fa- vorevolmente recensito da N. W. Pirie. Si trattera senza dubbio dello studio di un esperto in materia, rivolto, con estrema precisione e cautela, ad un argomento delimi- tato: i risultati vi saranno espressi in modo ordinato e col dovuto riconoscimento di qualunque possibile errore, previsto ed imprevisto. E certo che non sara mai qualche cosa scritta da me; percid l’essere criticato da Pirie non mi sorprende né rappresenta un segno di distinzione. Egli, perd, prendendo gusto a fustigare l’impudenza di chiunque — che non sia un biochimico — tenti di chia- rire le conoscenze sull’origine di qualche cosa d’inesi- stente, si é lasciato andare ad esprimere opinioni perso- nali eccessivamente scettiche che superano di gran lunga le colpe che mi attribuisce: pid che la sua critica ai miei tentativi é questo scetticismo che merita una risposta. Il motivo dominante della recensione di Pirie era che, in- nanzitutto, non avevo detto nulla di nuovo o, almeno, d’originale, perché le stesse cose erano state dette meglio cinquanta o cento anni fa, che, inoltre, qualunque cosa avessi aggiunto non sarebbe stata dimostrata o sarebbe stata sbagliata, e che, infine, non essendo un biochimico di professione, non avevo alcun diritto di dir niente in 70 proposito. Ora, io non tentavo di dare, nel mio libretto, un’inter- pretazione radicalmente nuova delle basi fisiche della vita, ma cercavo semplicemente d’aggiornare le vecchie interpretazioni indicando, per quanto me lo consentivano il sapere e l’esperienza, i punti in cui il progresso scien- tifico di questi ultimi anni, e soprattutto quello nel campo della fisica e della cristallografia, potesse dare un contri- buto. Pirie non vuol saperne di tutto cid; per lui il pro- blema, se pur si tratta di un problema, non ha approfit- tato di questi ultimi cinquant’anni di progressi: i vecchi sono sempre piti saggi, perché sapevano di non sapere. To, ora, non pretendo d’essere paragonato ai colossi della prosa scientifica vittoriana — Huxley e Tyndall — od ai loro degni successori moderni — Michael Foster, Hen- derson e J.B.S, Haldane —: @ proprio un peccato che tale modo di scrivere sia quasi completamente scomparso ai nostri giorni. La critica di Pirie, perd, non é, o non dovrebbe essere, esclusivamente letteraria: se, invece dello stile, si esamina la sostanza dei contributi, tutti questi Autori, eccettuato lultimo, si volgevano a pit ampi pro- blemi cosmici e morali, senza approfondire o trattando solamente in via accidentale l’argomento principale del mio saggio. Presumere che un Autore non é stato letto solo per- ché non viene citato é una delle azioni meno corrette che un critico possa compiere: se si eccettua quella di Allen, avevo letto tutte le conferenze citate da Pirie, ma non ne feci cenno perché non vi trovai nulla di utile al mio scopo. Huxley e Tyndall si erano semplicemente prefissi 71 di difendere, contro il forte pregiudizio religioso dei tempi, la possibilita che la vita si fosse originata da so- stanza non vivente: essi avevano, giustificatamente, ben poco da dire sul modo con cui cid si sarebbe verificato. In effetti, tutto cid che Huxley disse, ammantandolo di dubbio agnostico, fu che il protoplasma vivente avrebbe potuto evolversi da sostanza non vivente, mentre Tyn- dall, nella sua conferenza di Belfast del 1874, giunse ad affermare che la Materia aveva in sé “la promessa e la potenzialita di tutta la Vita terrestre.” Allen (che, con- fesso, non avevo letto) va piti in 1a, arrivando a proporre che la vita sia “un commercio di Energia” e che “le cir- costanze che contribuiscono al mantenimento della vita, ne avrebbero pure favorita l’origine,” mentre Schifer, pur ammettendo la possibilita d’evoluzione della mate- ria vivente, non sa che cosa dire sul come cid potrebbe essersi verificato. In effetti, la prima dichiarazione precisa in proposito fu fatta da Darwin stesso nel 1871: “Si & spesso affermato che tutte le condizioni che favo- riscono l’origine di un organismo vivente esistono oggi come avrebbero potuto esistere una volta. Ma se (e che gran se!) potessimo immaginare che in qualche piccolo stagno tiepido, in presenza di varii sali d’ammonio e di varii fosfati, si sarebbe chimicamente formato un com- posto proteico, pronto ad andare incontro ad ancor pit complessi cambiamenti, oggigiorno una sostanza del ge- nere verrebbe istantaneamente divorata ed assorbita: fatto che non si sarebbe verificato prima della formazione di altri esseri viventi.” Questo brano, che figura in una nota a pié della pa- gina 2022 del vol. II di Vita e lettere di Darwin e fu messo in luce da Hardin sullo Scientific Monthly del marzo 1950, pare sia sfuggito all’attenzione di Pirie quanto alla mia: esso rappresenta realmente la chiave delle idee sul- Vorigine eterotrofica della vita elaborate molto tempo dopo da Oparin e Haldane. A parte cid, quando Pirie si chiede: “Che cosa pos- siamo dire di pit ora sulle circostanze originarie e sul carattere delle forme primitive?” dimostra di sopravva- lutare le vecchie idee e di svalutare il progresso scienti- fico degli ultimi ottant’anni in modo veramente sbalordi- tivo. Gli antichi sostenitori dei fondamenti fisici della vita si levavano contro un oscurantismo di tipo essen- zialmente dogmatico — “Siete in errore, perché la rispo- sta si trova gia nella Bibbia.” — L’oscurantismo di Pirie, pur essendo di tipo scettico, non & perd da meno — “Non ne sapete abbastanza per poter aver ragione.” La disputa sulle origini si é perd oggi spostata su un altro terreno. La questione non sta pit nel se la vita si origind da uno stato inorganico precedente, ma piti pre- cisamente nel come cid accadde. E ovvio che non si pud venirlo a sapere dall’osservazione e si @ percid costretti a fare supposizioni sulla guida del ragionamento. Pirie, condannando in partenza questo fatto, si pone contro il progresso scientifico cosi come farebbe difendendo una particolare risposta di tipo dogmatico. Al tempo in cui Huxley e Tyndall, ed anche Schafer ed Henderson scrivevano, non si erano ancora dischiusi tre importanti campi di sapere: la scienza geochimica, 73 con l’importanza da essa attribuita agli scambi dinamici di molecole e di ioni tra litosfera, idrosfera, biosfera ed atmosfera; la teoria quantistica della valenza e lo studio energetico delle reazioni chimiche, ivi compresa la tra- sformazione quantitativa dell’energia luminosa in ener- gia chimica; la rappresentazione delle trasformazioni biochimiche sotto forma di cicli concatenati esigenti una interazione tra substrati, enzimi e coenzimi, dove gli enzimi, nelle forme viventi conosciute, sono sempre di natura proteica.’ Questi e molti altri progressi, alcuni dei quali vennero elencati nel mio saggio, devono necessa- riamente accrescere in modo significativo la nostra ca- pacita di delineare sempre pit da vicino i primitivi sta- dii ed i passaggi successivi dell’evoluzione biochimica precedente a quella organica che tanto affascinava i bio- logi del secolo decimonono. E per questi motivi, pit che per implicita ignoranza, che mi sono avvalso di rado della saggezza degli antichi, benché la rispetti non meno di Pirie. Si pud evidente- mente affermare che le nostre idee parranno, tra cin- quant’anni, ugualmente insufficienti e del tutto insulse: e che sia! Questa é la strada percorsa dalla scienza. Gli errori onestamente commessi nel tentativo incessante di accostarsi maggiormente al vero non sono un male gra- vissimo. Pirie ritiene che un’inchiesta del genere sia pre- matura allo stato attuale delle conoscenze, io non sono 1 Una completa trattazione dei contributi che la teoria quantistica pud portare al problema dell’origine della vita si trova nell’opera di H. F. Bum, Time's Arrow and Evolution [La freccia del tempo e l’'evo- luzione], Princeton, 1951. 74 dello stesso parere; questo disaccordo non sarebbe, di per sé, dannoso, ma i dubbi che Pirie riserva a qualunque tentativo di soluzione di tali problemi, una volta che fos- sero accettati dissuaderebbero la gente dal cimentarvisi. Non ho la pretesa d’aver fornito una soluzione nuova e brillantemente originale. Cid che io scrissi era, inizial- mente, destinato ad un uditorio di fisici e solo successi- vamente ed in via quasi accidentale si rivolse ad un pub- blico pit vasto. Il mio scopo principale era percié quello di far loro conoscere un problema di un campo ad essi non familiare e di fare un resoconto logico, se pur abbre- viato, del lavoro compiuto da altri aggiungendo soltanto qua e 1a qualche idea personale. Presi le mosse dalla necessita che la vita abbia comin- ciato ad evolversi da sostanza non vivente: desideravo appunto dimostrare che é possibile delineare un processo mediante il quale cid avrebbe potuto verificarsi in ac- cordo con le attuali conoscenze delle leggi scientifiche. Volevo indicare dove le ricerche ulteriori avrebbero po- tuto mettere in evidenza questi passaggi, ma non asserii né diedi per scontato che quella da me indicata era l’unica maniera in cui le cose sarebbero potute andare. Rivolsi principalmente la mia attenzione ai primis- simi stadi della transizione dall’inorganico all’organico, trascurati dagli antichi Autori, i quali, con quella riser- vatezza agnostica tanto ammirata da Pirie, ammettevano la propria ignoranza in proposito. Penso che, a questo punto, si possano porre problemi precisi e si possa comin- ciare a dare risposte ad alcuni di essi. Se lo spazio me lo consentisse potrei enumerare questi problemi ed i sugge- 75 rimenti da me avanzati per risolverli: devo invece limi- tarmi a dire che in questo come in altri campi dove si ha a che fare con problemi di storia e di origine pos- siamo applicare vecchi e ben sperimentati principt. Dobbiamo, innanzitutto, radunare e disporre ordina- tamente tutte le nostre cognizioni in merito a quest’argo- mento. Esse comprendono, ora, un numero sempre cre- scente di dati che derivano da nuovi campi scientifici: in particolar modo dalla geochimica e dalla biochimica. In secondo luogo, dobbiamo imparare a considerare ciascun fatto — una formazione sedimentaria, un gruppo di mo- lecole biochimicamente affini — non come un dato puro e semplice ma come un’indicazione o addirittura un in- dizio del processo che gli ha dato origine: in questo modo la biochimica degli attuali esseri viventi diventa uno studio di fossili viventi che ci permette di stabilire il modo con cui si sono succeduti gli ordinamenti mole- colari. In terzo luogo, dobbiamo, fin dove ci é possibile, spiegare i processi del passato nei termini di quelli at- tuali. Applicando cos{ all’origine della vita il principio fondamentale di Lyell, si pongono in rilievo significa- tive analogie tra i pitt labili interscambi chimici che si verificano alla superficie di un pianeta in via di raffred- damento, come le ossidazioni e le riduzioni dei composti di zolfo e di ferro, e quelli che sono considerati fonda- mentali nel campo biochimico. Al principio della “ido- neita dell’ambiente,” applicato da Henderson alla forma- zione materiale di sistemi viventi, deve affiancarsi una corrispondente idoneitad dei meccanismi di reazione. In quarto luogo, dobbiamo imparare a riconoscere che 76 le leggi della materia inerte possono continuamente com- penetrare quelle della materia vivente. John Perret, in opposizione a Pirie, ha definito la vita? come “un sistema aperto, potenzialmente auto-perpetuantesi, di reazioni or- ganiche concatenate, catalizzate ognuna, quasi isotermi- camente, da catalizzatori organici complessi e specifici essi stessi prodotti dal sistema.” In questa definizione si devono considerare due parti: il sistema concatenato delle reazioni ed i loro catalizzatori specifici. I sistemi concate- nati di questo genere obbediscono alle leggi della chi- mica, particolarmente a -quella del minimo d’azione, ma possono. avere una certa stabilita dinamica, possono cioé adattarsi a variazioni di limitata entita. Se lo stesso si- stema produce i catalizzatori che determinano le velocita di reazione, queste leggi cominciano ad assumere la fisio- nomia di leggi biologiche d’adattamento. Si realizzano cosi possibilita di selezione e — ancora sul piano chimi- co — si pud avere un’attivita indirizzata ed apparente- mente finalistica. In quinto luogo, risulta evidente che gli stessi cataliz- zatori specifici, per essere efficienti, devono presentare dei caratteri fisici, come il peso e la coesione, possibili sol- tanto in polimeri contenenti cariche positive e negative ben distanziate. Non @ dunque accidentale l’importanza delle proteine che mostrano queste proprieta in modo nettamente superiore a tutte le altre sostanze. Esse rap- presentano il gruppo di molecole piti facile a costituirsi, benché forse non l’unico, che possieda proprio quelle at- 2 “New Biology,” 12, 1952, pp. 68 € sgg. 77 titudini indispensabili alla transizione da un metabolismo di tipo semplicemente ripetitivo ad uno di tipo evolutivo. Il problema della loro origine non é intrinsecamente pit difficile di quello classico della gallina e dell’uovo. Se attualmente ogni proteina deriva da un’altra, soltanto la logica scolastica conclude che Dio deve aver creata la pri- ma molecola proteica, oppure, cid che @ quasi lo stesso, che essa si costitui per caso. Lo spiegarne la comparsa é tanto difficile quanto il rendersi conto dell’apparire di una nuova funzione qualsiasi, come il volo, nell’evolu- zione degli organismi viventi: per questo studio si pud ricorrere agli stessi metodi comparativi della filogenesi ¢ dello sviluppo ontogenetico. La loro evoluzione funzio- nale si svolge in modo parallelo a quella strutturale. Gli enzimi possono aver acquisita una sempre maggiore spe- cificita in seguito ad un processo del genere postulato da N.H. Horowitz,’ il quale attribuisce l’evoluzione delle catene e dei cicli enzimatici ad una risposta adattativa all’esaurimento di limitate riserve di molecole ricche di energia e di formazione non biologica. L’enumerazione di questi principt e dei programmi di ricerca che ne potrebbero derivare, mi sembra giusti- fichi una moderata ed ordinata speculazione a livello delle nostre conoscenze attuali. Il disprezzo per quello che sappiamo ed il rifiuto a disporre i fatti in un ordine ragionevole perché non li conosciamo proprio tutti, mi colpiscono come tendenze rozze ed auto-lesive. Quest’ar- gomentazione era addotta sovente, un centinaio di anni 3 Horowitz, U. H., “Proc. Nat. Acad. Sci.,” Wash., 1945, 31 153. 78 fa, da scienziati per sostenere l’impossibilita dell’evolu- zione del nostro pianeta e della vita su di esso. Questa opposizione fu infranta non tanto dall’accumularsi dei dati di fatto, ma piuttosto dalle deduzioni compiute il piti ragionevolmente possibile su un limitato gruppo di essi. Nei tempi antichi si credeva di superare le difficoltd dell’interpretazione della natura invocando dei o sacri te- sti. Non é molto piti scientifico affrontarle con un vuoto “jgnoramus.” Le teorie ed i ragionamenti speculativi sono essenziali al progresso del sapere. Non si pud, per esse, esigere l’esi- bizione’di un certificato di competenza in un campo ri- stretto: Priestley non era un chimico, né Pasteur un bio- logo. Non si pud lasciare in disparte la questione delle origini come se esulasse dal dominio rigorosamente scien- tifico: essa, attraverso la cosmologia, ha raggiunto perfino la fisica e, come ho tentato di far notare, costituisce un presupposto essenziale per la comprensione ed il controllo di strutture e funzioni del mondo organico. Dev’esserci la critica, e critica aspra dei fatti e delle argomentazioni. Dev'esserci anche la controversia e non disprezzerei quella presente come mezzo d’utilizzare le emozioni per chia- tire le idee: ma lo scetticismo demolitore non deve trovar posto nella scienza allo stesso modo delle certezze inte- riori del mistico. Pirie mi rimprovera di conoscere troppo poco la no- stra ignoranza; io, invece, desidererei che egli non igno- rasse tanto il nostro sapere. 79 ].B.S. Haldane Le origini della vita Sul nostro pianeta esistono da oltre 500 milioni di anni organismi viventi. Ma, in una certa epoca del pas- sato, le condizioni dovevano essere assai poco adatte alla vita, sia che la superficie terrestre fosse completamente fusa, sia che, come si pensa spesso oggi, si andasse for- mando da una violenta pioggia di particelle solide. Cid nonostante la vita comincid sulla terra. Fino a 300 anni fa era diffusa l’opinione che la vita si originasse conti- nuamente da sostanze inerti. Quando Redi, Spallanzani e Pasteur dimostrarono la mancanza di prove in tal senso e quando si scopri che anche gli organismi pit piccoli possiedono una struttura chimica assai complessa, il pro- blema dell’origine della vita entré in una fase assai acuta. Si possono classificare nel modo seguente la maggior parte delle teorie in proposito: (1) La vita non ha mai avuto origine, perché essa e la materia sono sempre esistite. Le stelle divenute abita- bili sono colonizzate da “semi” vitali provenienti dallo spazio: forse spore di batteri o di piante semplici. Questi semi possono essere stati proiettati fuori dall’atmosfera planetaria, dalla pressione di radiazione, come suggeriva Arrhenius; oppure lanciate nello spazio da creature intel- ligenti. 80 (2) La vita s’origind sul nostro pianeta ad opera di un evento soprannaturale, che la terminologia delle scien- ze naturali non pud descrivere e, @ fortiori, inattacca- bile dalla speculazione e dal controllo umano. (3) La vita ebbe origine da reazioni chimiche “co- muni” mediante un lento processo di evoluzione. (4) La vita fu il risultato di un evento assai “impro- babile” che, cid nonostante, era quasi’ certo dovesse rea- lizzarsi in un conveniente periodo di tempo e con una quantita sufficiente di materia idonea in uno stato adatto. Come vedremo, la (3) e la (4) si possono ridurre l’una nell’altra, ma qui le ho enunciate nelle loro formulazioni estreme. Allo stato attuale delle conoscenze, V’ipotesi (1) non mi sembra impossibile: l’universo pud non aver avuto inizio. Ed io non penso che I’abbia avuto. Inoltre, se l’universo non ebbe mai principio, in qualsiasi momento alcune sue parti possono essersi trovate in condizioni analoghe a quelle che conosciamo e possono aver dato luogo a recessi adatti alla vita. Bondi (1952), Hoyle e Gold han- no recentemente sostenuta I’idea che l’universo sia sem- pre stato com’é ora, supponendo, per di pit, che la ma- teria sorga costantemente “dal nulla.” Ambarzumian (1953), pur non riconoscendo la necessita di quest’ultima ipotesi, € d’accordo sul fatto che, in qualche parte del- Tuniverso, si siano sempre avute condizioni simili a 1 “Quasi” ha qui il significato di un’espressione tecnica matematica e vuol dire che, dato un numero positivo, benché piccolo, si pud cal- colare quanto tempo é necessario trascorra prima che la probabiliti dell'assenza di un evento diventi inferiore ad esso. 81 quelle a noi note. Secondo quest’opinione, materia e vita hanno sempre coesistito. Si potra prendere in seria con- siderazione l’ipotesi (1) se si ritiene poco attendibile la (3), mentre la (4) richiederebbe un evento che, nel corso di quattromila milioni di anni, avrebbe avuto una probabi- lita estremamente piccola di realizzarsi in qualunque parte della terra. Lipotesi (2), in una forma compatibile coi fatti noti, @ un po’ diversa dalle idee espresse nel primo capitolo” della Genesi. Quando, secondo 1!’Autore, il Signore disse: “Le acque producano una moltitudine di esseri viventi” non affermé che le acque non producessero gia qualche cosa: forse, 'importanza del comando divino, era in “quella moltitudine.” Una origine soprannaturale della vita ci sembra un miracolo molto pit grande di quello che poteva apparire 3000 od anche solo 200 anni fa. L’ipo- tesi (2) non pud esser verificata che dalla rivelazione fatta da un testimone dell’evento. Essa non dovrebbe es- sere accolta, a meno che non si sia pienamente convinti che Ja realta odierna costituisca una tale rivelazione, pri- ma di aver dimostrato che le ipotesi (1), (3) e (4) sono false 0 eccessivamente improbabili. Sia Bernal che Pringle hanno sostenuto J’ipotesi (3) € Pirie, nel complesso, ha fatto altrettanto. Io sono ancor piti indifferente e penso che si debba prendere in seria considerazione l’ipotesi (4), per il seguente motivo: Si sta rapidamente sviluppando, in rapporto all’avvento delle calcolatrici elettroniche, la teoria delle informazioni mec- 2 La spiegazione dell'origine della vita che si trova nel secondo capitolo é evidentemente diversa. 82 caniche. Con un nastro perforato si pud ordinare ad una macchina di calcolare x con 2000 decimali; oppure di muoversi in una direzione data ad un’altezza data fino ad una determinata distanza da un conduttore elettrico e quindi esplodere, e cos{ di seguito. Si pué ordinare ad una macchina di produrne un’altra simile a sé pure provvista di una copia di queste informazioni? Se cost fosse, essa e la sua progenie continuerebbero a riprodursi finché vi fosse disponibilita delle parti necessarie. Von Neumann (1951), sulla base di un teorema di Turing, sostiene d’aver dimostrato che una macchina del genere pud essefe costituita da un numero finito di parti, appar- tenenti a dodici specie diverse. Se egli avesse ragione, si potrebbe giustamente pretendere di considerare vivente una macchina del genere, anche se essa dovesse andare alla ricerca di parti di meccano gia pronte: allo stes- so modo con cui noi dobbiamo andare alla ricerca di aminoacidi e di vitamine o di sostanze alimentari che sono semplicemente fonte d’energia. Nessuno ha, finora, calcolato il numero minimo delle parti di una macchina del genere: tale calcolo potra avere un notevole interesse. Se risultasse, ad esempio, che tale numero & maggiore di quello degli atomi contenuti in un bacillo, si dimostre- rebbe logicamente infondata la teoria meccanicistica del- la vita. Se le parti potessero essere rappresentate da molecole assai semplici, appartenenti ai tre tipi di cui dird pit avanti, avremmo anche la sicurezza, come vedremo, che esse poterono essere disponibili nel passato. Se i] numero minimo di tali parti indispensabili, fosse un numero m 83 piuttosto piccolo, potremmo allora accettare lipotesi (3). Se esistessero, le parti necessarie riuscirebbero a combi- narsi nella esatta configurazione, in via casuale, nel giro di pochi secondi o di pochi secoli, allo stesso modo con cui, mediante semplici estrazioni, si ottiene che le let- tere ACCEHIMN formino la parola “macchine” in me- dia una volta su 5040 tentativi. Se il numero delle parti necessarie, 2, fosse piuttosto elevato ci si potrebbe atten- dere che, nelle condizioni fisiche e chimiche pit proba- bili, la “biopoiesi” si realizzasse sulla superficie terrestre una volta sola nel corso di parecchie centinaia di milioni di anni. Se poi esso fosse un numero ancora maggiore, ns, potremmo essere in grado d’affermare, a meno che non siano vere le ipotesi (1) o (2), l’estrema improbabi- lita di una qualunque forma di vita, oltre quella terre- stre, per tutta la portata dei nostri migliori telescopi. La teoria secondo cui la terra sarebbe l’unica dimora della vita & compatibile con V’ipotesi (2), ma non con la (1). Il mio dissenso da essa é forse irrazionale. Per un calcolo del genere, & molto importante cono- scere la disposizione delle parti. Un semplice esempio dimostrera il tipo di calcolo che si pud fare. Pare che gli acidi nucleici siano costituiti da nucleotidi purinici e piri- midinici disposti, alternativamente, a catena. Nell’acido dessosiribonucleico, la base purinica é rappresentata dal- Yadenina o dalla guanina, mentre quella pirimidinica é data dalla citosina o dalla timina: ogni anello della ca- tena ha un peso molecolare che si aggira intorno a 300. E chiaro che se una catena contiene n unitd, ne sono pos- sibili 2% tipi. Un grammo equivale a 6 X 10” volte la 84 massa di un atomo d’idrogeno; la massa solare é pari a 2X 10" grammi, quella della nostra galassia é all’incirca 10" volte maggiore di quella del Sole; nel raggio dei no- stri migliori telescopi vi sono almeno 10° galassie (la cui luce, emessa nel primo Cambrico, ha appena avuto il tempo di raggiungerci): la loro massa é pari a 1,210", ossia 2**, atomi d’idrogeno. Ne consegue che se tutti i tipi di molecole d’acido nucleico contenenti 245 anelli, ossia con peso molecolare minore di 73.500, potessero rea- lizzarsi, la massa complessiva sarebbe pari a quella della parte a noi nota dell’universo. Ora il peso molecolare di alcuni dcidi nucleici arriva almeno a mezzo milione. Se si riuscisse a dimostrare che é in grado di riprodursi solo un determinato acido nucleico con un peso molecolare di almeno 100,000, ma non uno piti piccolo, allora, anche ammettendo I’esistenza di nucleotidi e di catalizzatori atti a condensarli, dovremmo abbandonare le ipotesi (3) e (4) e volgerci invece alla (1) o alla (2). Ritengo, perd, che cid sia assai poco verosimile, benché, in quest’ordine di idee, i numeri 10 0 2***, non siano grandi. E, per esempio, il numero di parole possibili con 173 lettere. Ma torniamo sulla terra. Haldane (1929) formuléd al- cune ipotesi che, grazie ad Oparin da un lato e ad Horo- witz ed Urey dall’altro, sono attualmente “ortodosse” sia nell’U.R.S.S. sia negli U.S.A. fatto che, a dire il ve- ro, mi rende un po’ scettico. Nell’atmosfera terrestre primitiva c’era pochissimo ossigeno libero; essa, proba- bilmente, conteneva idrogeno, ammoniaca e metano co- me, attualmente, quella dei maggiori pianeti. Haldane pensava che, al posto del metano, vi fosse piuttosto ani- 85 dride carbonica, ed & qui dov’egli era probabilmente in errore. Il metano e l’ammoniaca furono perd scoperti nelle atmosfere di Giove, Saturno ed Urano dopo che egli aveva scritto il suo articolo. Molecole organiche me- tastabili® si sarebbero formate sotto l’influsso delle radia- zioni solari ultraviolette. Haldane supponeva che esse si fossero formate direttamente; Pringle, invece, riteneva si producessero in seguito alla parziale ossidazione d’idro- carburi dovuta a piccole quantita d’ossigeno, ozono o pe- rossidi a loro volta prodotti dalle radiazioni ultraviolette. In ogni caso, energia solare si immagazziné in queste molecole. Si supponeva che questa fosse la fonte d’ener- gia di cui si avvalsero i primi organismi viventi; piti tardi si ebbe l’attivita fotosintetica nell’interno della cel- lula vivente, mentre la completa ossidazione delle mole- cole organiche poté realizzarsi soltanto quando le piante ebbero prodotto per fotosintesi una buona quantita d’os- sigeno libero. Queste ipotesi sono generalmente accettate, ed in particolare quella della formazione di composti or- ganici metastabili che, “prima dell’origine della vita do- vrebbero essersi accumulati al punto da conferire agli oceani primitivi le caratteristiche di un brodo caldo di- luito.” Pud darsi, perd, che tutto cid, come sostiene Ma- 3 E metastabile una molecola che, trasformandosi, pud produrre energia libera pur essendo abbastanza stabile da resistere a lungo se non é attivata dal calore, da qualche radiazione o dal contatto con un catalizzatore. Fortemente metastabile @, ad esempio, il trinitrotoluolo: un chilogrammo libera una forte quantita d’energia. Moderatamente metastabile é il glucosio, che pur liberera una certa quantita d’energia se si trasformera in anidride carbonica ed alcool etilico: le cellule del lic- vito utilizzano appunto questa energia. E pure metastabile la maggior parte delle molecole organiche. 86 dison (1953), non sia esatto.* Haldane, in opposizione a Pringle e a Madison, con- siderd primitiva la vita anaerobica per il seguente motivo: i meccanismi biochimici del metabolismo anaerobico sono assai simili in tutti gli organismi in cui sono stati stu- diati. Lo stesso complesso di enzimi che nei nostri mu- scoli trasforma il glucosio in acido lattico, lo scinde, nei lieviti, in alcool ed anidride carbonica. Invece i sistemi di ossidazione sono assai diversi. La maggior parte delle ossidazioni avviene, nei vertebrati, mediante il “ciclo del- Vacido citrico,” che é invece poco importante, e pud ad- dirittura mancare, in molti organismi pit semplici, pa- recchi dei quali possono continuare a vivere anche in 4 Il lavoro di Madison mi giunse quando gia avevo scritto questo articolo (1953), Non mi accingo a farne un commento adeguato, dato che mi occorrera circa un mese per assimilarlo intellettualmente. Egli comincia con una interessante rassegna della letteratura posteriore al 1917: desidererei perd che egli non scrivesse “Haldane suggerisce” per significare “Haldane, nel 1929, suggeriva.” A quanto pare anche i pro- tozoi sono capaci d’apprendere, ossia di modificare il proprio compor- tamento in base all’esperienza, ed io non sono da meno. Egli attacca decisamente l'idea che l’oceano primitivo fosse pieno di molecole organiche, benché essa abbia riscosso il valido appoggio di Urey, la cui opinione sulla chimica della terra primitiva vale assai pit della mia; giunge cosi a sostenere Ja teoria secondo la quale i primi organismi viventi crano autotrofici cd ottenevano la loro energia libera, adoperandola per ridurre i carbonati, dall’ossidazione di solfuri. Qui cgli si avvicina al punto di vista di Pringle. Seguendo le idee di Blum, il cui libro mi spiace di non aver letto, egli ritiene, a quanto pare, che I'ATP si sia formato in uno stadio assai primitivo dell’origine della vita. Pit oltre, in questo articolo, io suggerisco che possono averlo pre- ceduto altre molecole molto pit semplici ¢ contenenti catene fosfatiche. Non sono sicuro che le definizioni date da Madison della “vita” ¢ dell" organismo vivente” riuscirebbero a reggere ad una critica di Pirie; raccomando perd cordialmente il suo articolo, se non altro come anti- doto al mio. assenza completa di ossigeno. Haldane percid considerd la vita anaerobica pit primitiva di quella aerobica, im- maginando un’atmosfera di tipo riducente ancor prima che si conoscesse la composizione delle atmosfere di altri pianeti. Abbiamo qualche nozione sull’epoca in cui la foto- sintesi ebbe inizio. Lo zolfo si compone di due isotopi: S 32 ed S 34. Nei solfuri primitivi e nei solfati precam- brici, il rapporto fra lo zolfo leggero e quello pesante s'aggirava intorna a 22,1. Nei solfati contenuti nel- Yacqua di mare tale rapporto é circa 21,8; nel FeSa dell’argilla esso & 23,0. All'incirca ottocento milioni di anni fa ebbe inizio un processo che aumentd gradata- mente la quantita di S 32 nei solfuri, diminuendola nei solfati. L’unico processo noto capace di produrre questa trasformazione é l’ossidazione dello zolfo o dell’idrogeno solforato a solfato per opera di batteri e la nuova ridu- zione di quest’ultimo ad opera di vegetali o di altri bat- teri. Thode, Macnamara e Fleming (1953) fanno risalire ad ottocento milioni d’anni fa l’origine di batteri solfo- ossidanti e pensano che essa “preceda l’inizio di un’atti- vita fotosintetica su larga scala.” I loro grafici inducono a pensare che, a partire dal Cambrico, la quantita dell’os- sigeno sia aumentata in modo notevole nell’aria. Se que- sta tesi é valida, la vita sulla terra ha forse meno di un miliardo di anni, benché questo pianeta abbia un’eta tre © quattro volte maggiore. Pringle pensa che “gli organismi complessi a noi noti debbano essere stati preceduti da un sistema organizzato disperso in un gran volume di acqua.” Quest’ambiente 88 liquido non poteva essere esposto a perturbamenti e¢ si trovava, secondo lui, a grandi profondita marine: io perd ritengo che un terreno imbevuto d’acqua’ potrebbe of- frire un’altra possibilita. Mentre ossigeno e, forse, com- posti relativamente ossidati diffondevano verso il basso, idrogeno ed altre sostanze riducenti diffondevano verso Valto. Si realizzava un gradiente nel potenziale di ridu- zione analogo a quello che, secondo Joyet-Laverque, esi- ste nella maggior parte delle cellule dove il nucleo @ pid riducente (rH elevato) del circostante citoplasma. In que- ste condizioni, si potrebbero formare molecole complesse. La molecola nota che piti ricorda i processi vitali @ attualmente quella dell’acido adenosintrifosforico (ATP). Due molecole d’ATP possono cedere, ciascuna, un radi- cale fosforico ad una molecola di glucosio che successiva- mente si scinde. I prodotti della scissione del glucosio- fosfato, l’acido difosfoglicerico e, successivamente, ]’acido fosfopiruvico, cederanno poi di nuovo i radicali fosforici a quattro molecole d’acido adenosindifosforico, rigeneran- do cos{ quattro molecole di ATP. Queste reazione si rea- lizzano nel lievito nel corso della fermentazione e nei no- stri muscoli. L'ATP pud dunque reintegrare le parti perdute e, si pud dire, possiede un’attivit’ metabolica. E, cosa ancora pit sorprendente, si pud realizzare un fe- nomeno analogo a un processo sessuale nel caso sia stata perduta una buona quantita di fosforo labile (ossia il 5 Come dice Pirie in una sua critica, devo ammettere di aver usata la parola “terreno” da profano, indicando con questa argilla, fango di sedimentazione, limo, sabbia ¢ forse perfino ghiaia. Gli studiosi di pedo- logia usano questa parola per indicare i prodotti di varie azioni biolo- giche su tali sostanze inorganiche. 89 terzo radicale fosforico della sua molecola). Due mole- cole di acido adenosindifosforico possono allora dare ori- gine ad una molecola di ATP e ad una di acido adenilico, il quale si scinde subito per deaminazione, analogamente, se vogliamo spingere oltre il paragone, ad un corpuscolo polare. Tutti questi processi sono catalizzati da diversi en- zimi, senza dei quali procederebbero assai lentamente. Baldwin (1952) spiega I“ecologia” e gli “istinti” ecc. dell’ATP: l’embriologia di quest’ultimo non @ perd an- cora stata elaborata. Non penso, evidentemente, che esso sia vivo nel senso preciso della parola, ma gli si possono applicare termini biologici con la stessa proprieta con cui si applicano termini meccanici agli animali superiori. Si tratta, tuttavia, di una sostanza complessa che si potrebbe formare, salvo un evento assai raro, soltanto quando si fossero sviluppati catalizzatori adatti. Peréd i lieviti e la muffa Neurospora e probabilmente molte nostre cellule, contengono un anione inorganico che @, a quanto pare, un esametafosfato e che esplica nella cellula funzioni ana- loghe a quelle dell’ ATP. E possibile che in un ambiente in cui si svolgano adatti processi ossidativi, una catena molecolare di questo tipo ceda alcuni pezzi di se stessa a molecole organiche; ricevendo poi, in restituzione dai prodotti d’ossidazione di queste ultime, un maggior nu- mero di radicali fosforici, si dividerebbe aumentando cosi le proprie unita. In assenza d’enzimi specifici un pro- cesso di questo genere sarebbe indubbiamente assai lento, ma potrebbe realizzarsi. Nel giro di vent’anni potremo sapere se cid & proprio vero. 90 Penso poi che tanto nelle acque del Precambrico, quan- to in quelle delle profondita oceaniche, come suggerisce Pringle, o negli straterelli adsorbiti dall’argilla, come pen- sa Bernal, o ancora in quelli che permeavano il terreno, o adsorbiti all’interfacia aria-acqua (Haldane 1929) vi fosse una quantita sufficiente di molecole metastabili (di cui il glucosio pud essere un esempio) e di molecole pas- sibili d’accrescimento (di cui possono essere un esempio gli ioni fosforici), da consentire lo sviluppo di molecole cataliticamente attive, la loro divisione ed il loro aumento numerico. Nei sistemi biologici si conoscono tre tipi di polimeri a lunga catena. Gli acidi nucleici possiedono una “impal- catura” di radicali fosforici,* le proteine un’impalca- tura di resti di glicina, i polisaccaridi ed i composti ad essi affini, come la chitina e I’acido alginico, un’impalca- tura di residui di pentoso. Le cattne dei polisaccaridi assomigliano talmente ai sistemi viventi che cominciano a crescere solo in presenza del loro normale “alimento” (che & generalmente il glucosio-1-fosfato, ma che in alcuni batteri é il maltosio) e di un enzima adatto solo quando la loro catena ha raggiunto una lunghezza di almeno sei anelli. E possibile che tutte le catene del genere, presenti nelle cellule viventi, “discendano” molto probabilmente da altre che aumentarono di lunghezza e quindi si divi- - sero. Abbiamo qualche prova che gli aminoacidi, prima di ® Due atomi di carbonio di un pentoso potrebbero disporsi tra resi- dui fosforici adiacenti. Se cosi fosse la mia argomentazione sarebbe meno valida. 91 poter essere incorporati nelle proteine, devono essere fo- sforilati dall’ATP, non é detto perd che questo passaggio debba essere piti obbligato della fosforilazione del glu- cosio precedente la formazione dell’amido. Si hanno an- che prove convincenti che le grosse molecole dell’acido ribonucleinico sono coinvolte nelle sintesi proteiche, forse perché questi due tipi di catena hanno eguale lunghezza ¢ le proteine si depositano sulle catene d’acido nucleico come su di uno stampo. Non sappiamo ancora come si accresca I’acido nucleico. Esso potrebbe aver bisogno, come stampo, di una catena proteica (Haldane 1954). E perd possibile che tali catene riescano ad accrescersi senza catalizzatori, ma piti lentamente e con un ordine meno regolare. Le condizioni idonee all’accrescimento ed alla ripro- duzione per scissione di tali molecole a lunga catena pos- sono essere state piuttosto effimere e queste “unitd sub- vitali,” come brillantemente le defini O. W. Stapledon (1930), possono esser nate, essersi momentaneamente ri- prodotte e nuovamente estinte in milioni e milioni di occasioni. Occorre ora che introduca nel mio ragionamento un fatto del tutto imprevisto nel 1929, se si eccettuano po- chissimi studiosi francesi di vedute piti avanzate, come i Wollman e I’Hauduroy, che, allora, venivano conside- rati un po’ faciloni. Organismi semplici, come batteri ¢ virus, possono utilizzare e copiare strutture d’altri orga- nismi semplici di diversa specie. Secondo Michurin, si comporterebbero cosi anche i vegetali superiori. Anche noi, evidentemente, utilizziamo parti di altri organismi 92 quando mangiamo cavoli o carne di manzo, ma scindia- mo prima le grosse molecole, come quelle proteiche, in altre piti piccole, come quelle degli aminoacidi, che non ci sono “estranee.” Un germe, al contrario, pud inglo- bare una o piti macromolecole d’acido nucleico apparte- nenti ad un’altra razza o, forse anche, ad un’altra specie. Queste si riproducono poi nel nuovo ambiente ponendo il germe “sintetico” nelle condizioni di produrre un nuovo enzima. Ancor piti straordinario é il fatto, dimo- strato recentemente dalla Taylor, che un Pneumococco pud incorporare alcune “sostanze trasformanti,” di ori- gine diversa, producendo una “molecola ibrida,” presumi- bilmente attraverso una transfosforilazione analoga al- l“interscambio” dei cromosomi. Analoghi processi av- vengono anche, naturalmente, negli organismi superiori, durante la riproduzione sessuata, ma sono accompagnati da quel cerimoniale che chiamiamo meiosi e da elaborati tabi che chiamiamo sterilita interspecifica. Una molecola d’acido nucleico rappresenta una ca- tena di radicali fosforici uniti, ognuno con un radicale glucidico (ribosio o desossiribosio) e un radicale basico purinico o pirimidinico. L’acido adenilico (adenosin- monofosfato) si trova nell’acido ribonucleico. Abbiamo visto che, in condizioni adatte, molecole di questo tipo possono “crescere” e “accoppiarsi.” Ammetto, in via di ipotesi, che diversi catalizzatori adattati, ciascuno, ad un “alimento” rappresentato da molecole piti piccole e per lo piti metastabili, possono essersi uniti o “accoppiati” per formare catalizzatori adatti ad una piti ampia serie di “alimenti,” finché si costituf una molecola relativamente grande, ancora in grado di crescere e di dividersi. Ne ri- sulterebbe qualche cosa del tipo di un virus semplice, mo- nomolecolare, od un piccolissimo cromosoma con diversi gruppi cataliticamente attivi e corrispondenti a geni di- versi. Puéd darsi che tali processi si siano realizzati in am- bienti diversi. Si pud cosi, almeno, comprendere come Oparin, Bernal, Pirie, Pringle e Haldane siano tutti nel vero. I posteri potranno decidere se si pud legittimamente chiamare vivente un’unica molecola del tipo proposto o se conviene riservare questo termine ad un certo numero di tali molecole avvolte da una membrana. La maggior parte degli autori ha corrugato la fronte quando Haldane fece l’ipotesi che i virus monomoleco- lari oggi esistenti si potessero considerare, in certo modo, simili alle prime unita viventi o subvitali. Questa ipotesi puo essere valida anche se, di fatto, i virus attuali sono pitt semplici dei loro diretti antenati. Forse non si do- vrebbe scartarla finché non si avra la prova che altri tipi di catene molecolari, analogamente a quelle che possie- dono un’impalcatura fosfatica, vanno incontro a processi di tipo metabolico o coniugativo. Ritengo poi che vari tipi di molecole di unita subvi- tali siano riusciti a riprodursi in ambienti adatti. Una qualsiasi forma “subvitale” del genere avrebbe potuto durare alcuni minuti o alcune migliaia di anni. Esse si sarebbero occasionalmente combinate dando origine a qualche cosa di pitt complesso: per un motivo o per l’al- tro, perd, tutte queste “razze molecolari” si sarebbero estinte. La fortunata combinazione che diede origine ai 94 nostri antenati pud aver richiesto la unione — o, se pre- ferite, il matrimonio — di un certo numero di razze mo- lecolari del genere: molti eventi di questo tipo potreb- bero essersi realizzati. Si pud immaginare che un orga- nismo virus-simile si sia perpetuato, per milioni d’anni, in un ambiente del genere postulato da Pringle, finché cadde nelle profondita un frammento d’argilla contenente un “organismo” del tipo suggerito da Bernal: alcuni componenti di quest’ultimo vennero incorporati renden- do I’altro capace d’estendere le proprie attivita. Parecchi tipi di catene molecolari auto-riproducentisi avrebbero’ anche potuto vivere in una sorta di simbiosi, utilizzando reciprocamente i propri prodotti metabolici: si avrebbe cos{ qualche cosa d’analogo ai pezzi della mac- china di von Neumann. Se le cose stanno cosf, il passo decisivo fu forse la costituzione della prima cellula, in cui almeno due o tre tipi di catene molecolari, rappre- sentate ora da acidi nucleici, proteine e polisaccaridi, fu- rono avvolte da una membrana semipermeabile che le riuniva pur lasciandone penetrare gli alimenti. Tale si- stema avrebbe posseduto l’enorme vantaggio che la sim- biosi non era pitt legata al fortuito incontro di molecole di tipo diverso prodotto dal movimento browniano. Una cellula del genere avrebbe peré richiesto, per riprodursi, condizioni ben definite. Se l’ipotesi (4) ha qualche vali- dita, penso che essa possa spiegare la formazione della prima cellula piuttosto che I’evoluzione biochimica pri- mitiva. Come Boyden (1953) rileva in un suo lavoro assai in- teressante, dedicato agli stadi primitivi della vita cellu- 95 lare pitt che all’origine di quest’ultima, la mitosi proba- bilmente si perfeziond molto lentamente. Le prime cellule possono essersi divise in modo cosj irregolare che un atto di divisione avrebbe portato, in media, a poco pid di un sopravvivente: assai spesso si sarebbe verificata la morte di uno o di entrambi i prodotti della divisione. Non sono d’accordo con Boyden quando afferma che la riprodu- zione fu, per un lungo periodo di tempo, esclusivamente asessuata. Penso, al contrario, che probabilmente le cel- lule primitive si siano spesso fuse con altre, effettuando quegli scambi di parti ancor oggi possibili nei batteri: si saranno forse avute conseguenze disastrose, talvolta perd ne saranno derivate maggiori possibilita. Se l’origine della vita cellulare fu il passo decisivo (perfino un batte- riografo, a quanto pare, é avvolto da una specie di mem- brana), esso avrebbe potuto realizzarsi per un caso for- tunato: sarebbe piuttosto sorprendente, altrimenti, il fatto che la vita non sia cominciata prima. Pare infatti che la terra abbia un’eta di tre o quattromila milioni di anni ed abbiamo gia considerato i motivi che ci fanno pensare che la fotosintesi non abbia, al massimo, piti di otto- cento milioni di anni. Se, come pensa Pringle, la vita fosse il risultato di un processo evoluzionistico graduale, dovrei attendermi” che essa fosse progredita un po’ di pid sino ad ora. 7 Un possibile motivo di questo ritardo é rappresentato dalle varia- zioni di alcune delle cosiddette costanti fisiche. Le cose starebbero in questi termini secondo le teorie cosmologiche di Friedmann, Lemaitre, Milne e Dirac, oggi meno di moda di 20 anni fa: si pud perd ancora dimostrare che esse sono nel vero. Secondo alcune di queste teorie, il ritmo delle modificazioni chimiche e di altri eventi quantitativamente 96 Tenterd ora di difendermi da qualche probabile cri- tica. Mi si rimproverera di aver introdotto il “caso.” Per “caso” intendiamo la parziale impossibilita di prevedere un evento. Per quanto grandi siano le nostre conoscenze, non possiamo prevedere alcuni processi atomici. Per prin- cipio non sono imprevedibili la maggior parte dei pro- cessi su larga scala, non é perd possibile predire qualche fenomeno particolare se non affermando che un deter- minato evento ha una certa probabilita di verificarsi en- tro un tempo definito. Strofinando un fiammifero, pic- cole zone della sua superficie si riscaldano per Vattrito: quando un numero sufficientemente elevato di molecole vicine si sara riscaldato al punto d’avviare una ossida- zione, il processo si estendera e il fiammifero si accen- dera. Non si possono prevedere i particolari, ma c’é la probabilita del 99 per cento che un buon fiammifero si accenda. Lo stesso vale per i processi biochimici coinvolti nella contrazione di una fibra muscolare. II postulare un evento raro (ipotesi 4) non @ neppure incompatibile misurabili, si accelera in rapporto a quello di eventi fisici su larga scala. Se cid fosse vero, la vita del tipo a noi noto sarebbe stata un tempo impossibile in qualunque parte dell’universo ¢ si eliminerebbe |'ipo- tesi (1): cid perd non significherebbe che 1a materia ha avuto un prin- cipio. La vita si sarebbe presumibilmente iniziata in adatte condizioni ambientali una volta che il ritmo dei processi chimici si fosse accelerato in modo da permettere loro di sopravanzare quelli fisici antagonisti, come la diffusione, “The thousand natural shocks That flesh is heir to.” (Le migliaia di choc naturali / di cui gli esseri sono gli eredi.] Accenno a questa possibilita per dimostrare come non possiamo per- metterci " dogmatismo sullo stato fisico-chimico del passato. 97 con Videa della creazione o dell’intervento di una guida soprannaturale. Per evitare di postulare cose non definite, ammettiamo semplicemente |’esistenza di un Direttore della nostra galassia. I] suo metodo pit semplice per pro- durre svariate forme d’organismi viventi potrebbe esser stato quello di lasciare poche centinaia di milioni di pia- neti in vicinanza di adatti soli per un periodo di tremila milioni di anni, con la certezza che entro tale termine la vita cellulare si sarebbe avviata sul 90 per cento di quei pianeti in cui si fossero realizzate temperature di super- ficie e altre condizioni adatte. Altri critici affermeranno che una macchina auto- riproducentesi é pur sempre una macchina e che esiste sempre un abisso incolmabile tra una sua qualsiasi possi- bile attivita e la pid elementare forma di sentimento o di desiderio, senza contare |’autocoscienza dell’uomo. Ad un tale critico chiederei: “Pensa che la sua idea o percezione di un sasso sia uguale al sasso?” La risposta non dipen- derebbe dal fatto che egli sia materialista piuttosto che idealista. Se rispondesse: “No,” potrebbe essere un idea- lista di tipo kantiano, come Eddington, il quale crede che la vera natura del sasso sia inconoscibile e che tutte le qualita attribuitegli siano prodotti del suo spirito; op- pure potrebbe essere un materialista il quale ritiene che il pensiero sia un epifenomeno del cervello, i cui compo- nenti, perd, al pari delle idee, non riproducono esatta- mente il mondo esteriore. Se rispondesse: “Si” potrebbe essere un materialista ingenuo o dialettico, convinto che il sasso esista realmente e che la propria percezione sia simile all’oggetto; oppure potrebbe essere un idealista il 98

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