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Le porte dellattenzione

Per imparare a star bene quando si insegna

Settimo Catalano

Alla memoria della Signora


Maddalena Vimercati

Chiara Luce Edizioni


www.chiaraluce.it

Edizioni:precedenti
1999 dicembre Kailash Ed.
2000 novembre Tecnodid Ed. (Col titolo Strategie per il successo formativo)
2013 ottobre
Chiara Luce Edizioni
Via Poggiberna, 9 56040 Pomaia (Pisa) - Italia
chiaraluceedizioni@gmail.com / www.chiaraluce.it
tel. e fax 050-685690

Titolo originale dellopera


Le porte dellattenzione

Autore
Settimo Catalano
Settimo Catalano
Chiara Luce Edizioni

Si ringrazia lautore per averci dato lopportunit di distribuire gratuitamente


il testo in pdf.

E proibita la riproduzione parziale o totale senza lautorizzazione dellEditore

CARTA RICICLATA al 100%


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Introduzione

Perch la scelta di dedicarsi alla scuola e ai bambini?


Perch spesso i bambini sono, per gli adulti, degli abitanti di un altro pianeta
e non facile avere con loro un vero rapporto. Lesigenza di occuparmi dei
bambini parte dalla mia storia personale. Quando avevo nove anni i miei
genitori si separarono e fui messo, da un giorno allaltro, in un collegio di
religiose. Per qualche mese nessuno mi venne a trovare e io ero immerso in
unangoscia totale. Fu per me molto penoso scoprire che non cera un adulto
in grado di capire la mia situazione interiore; anzi, la mia incapacit di fare le
cose che mi venivano chieste era letta come rifiuto e cattiveria.
Per anni ho meditato su questa esperienza traumatica. Quando cominciai
a lavorare con le classi, scoprii che molti bambini erano nella mia stessa
situazione: i loro sentimenti e vissuti non contavano, contavano solo i loro
comportamenti. Da qui la forte spinta a dedicarmi al benessere nella scuola,
perch vedevo molti bambini soffrire psicologicamente senza che gli adulti se
ne rendessero conto. In questo libro affronto il problema della relazione, offrendo le chiavi di lettura che possono aiutare ladulto a entrare in un rapporto
empatico, nel senso di riuscire a sentire i vissuti e le emozioni del bambino.
Cos, parallelamente alla mia attivit psicoterapeutica, ho eletto a paziente
lIstituzione Scuola, affinch, in prospettiva, i bambini possano trovare un
ambiente in grado di aiutarli a crescere anche da un punto di vista psicologico
e sociale, un luogo dove il bambino conti veramente come persona.

Settimo Catalano

A chi diretto il libro?


Agli insegnanti e ai genitori.
Che utilit ha per gli insegnanti?
Li aiuta a vedere la complessit del loro lavoro, che non comporta solo la competenza riguardo alla loro materia di insegnamento, ma anche e soprattutto, la
competenza nel comunicarla agli allievi. Il libro conduce linsegnante a pensare
in maniera relazionale, in modo da poter condurre il rapporto con ogni allievo e
con la classe nel suo complesso in maniera pi consapevole ed efficiente. Fornisce anche molti spunti pratici e un metodo di intervento dettagliato, applicabile
a gruppi classe di scuola elementare e alle classi prime di scuola media.
Che utilit ha per i genitori?
I genitori sono per i figli anche degli insegnanti ed importante che essi
riflettano su questa loro funzione.
Insegnare a un bambino una cosa molto delicata: se si instaura la relazione giusta, il bambino acquista fiducia nelle sue capacit e affronta lapprendimento con gioia; con la relazione sbagliata, invece, perde fiducia in se stesso e
finisce per diventare insicuro, non solo rispetto allapprendimento, ma anche
a ogni tipo di cambiamento.
Quali strategie?
Le strategie suggerite nel testo sono legate allattenzione alla consapevolezza
e al modo di pensare.
Attraversare una stradina di campagna o un corso trafficato di una grande
citt comporta livelli di attenzione molto diversi. Nel primo caso posso permettermi di rimanere concentrato sui miei pensieri, nellaltro devo porre molta
attenzione a quello che avviene fuori, intorno a me. Pi la realt complessa,
pi dovrebbe alzarsi il livello di attenzione. Una caratteristica dellinsegnamento
proprio la complessit dovuta al fatto che linsegnante, da una parte trasmette
dei contenuti, ma dallaltra deve preoccuparsi che questi contenuti arrivino a
destinazione. Si tratta di instaurare quel tipo di relazione che dispone lallievo
allapprendimento e rende possibile la comunicazione. Chi imparerebbe facilmente da un insegnante verso il quale prova sentimenti negativi?
Visto che linsegnante lavora nella complessit, la sua attenzione dovrebbe
alzarsi di livello se vuole avere successo ed evitare frustrazioni e sentimenti
di impotenza. Come un palco di teatro pu essere illuminato da una luce
fissa o da un impianto luci in grado di mettere in risalto le varie scene, cos

Le porte dell'attenzione

lattenzione deve essere mobile e in grado di tenere in considerazione i vari


aspetti della realt relazionale.
Per affrontare con efficacia la propria realt linsegnante ha bisogno di aprire
la porta della consapevolezza e prendere coscienza dei propri sentimenti verso gli
alunni. I sentimenti e le emozioni, infatti, qualificano il tipo di relazione esistente
e aiutano a capire come ci si sta mettendo in relazione col singolo e col gruppo.
necessario aprire la porta dellascolto e rendersi conto di come reagiscono gli allievi agli interventi; aprire la porta del cambiamento ed essere pronti
a cambiare per primi quando le cose non funzionano; necessario, inoltre,
aprire la porta delle proprie convinzioni e dei propri pregiudizi ed essere
consapevole di quanto queste premesse ci condizionano.
Tutto ci, senza mai dimenticare che dallaltra parte c una persona che
non potr mai essere inquadrata o definita, ma che rimarr un mistero con il
quale bisogna saper convivere con coraggio. Queste sono alcune delle strategie mentali che linsegnante pu mettere in atto per rendere il proprio lavoro
efficace e provare soddisfazione e benessere.
Lobiettivo quello di imparare a pensare in maniera relazionale, ovvero
rendersi conto che ogni allievo vede e sente il mondo da un proprio punto di
vista che bisogna sapere riconoscere e ascoltare.
un modo rivoluzionario di pensare dove al centro non mettiamo noi stessi,
ma la relazione, che comprende anche gli altri e di cui noi siamo parte. Le persone con cui viviamo e lavoriamo hanno delle percezioni, delle sensazioni, dei
sentimenti, dei bisogni e dei desideri, che di fatto non possono coincidere con
i nostri, ma saranno diversi. Si tratta di sviluppare sentimenti di appartenenza
a realt umane pi grandi del singolo per crescere socialmente e sviluppare una
cultura di gruppo, dove la soggettivit di ognuno ha valore, viene riconosciuta e
considerata, bench diversa. Tutti, nessuno escluso, potrebbe essere il motto
di questo modo di pensare; uniti nel rispetto delle differenze.
Questo modo di leggere la realt , di per s, unulteriore strategia.
Rimanendo, invece, centrati esclusivamente su se stessi, si sviluppa una resistenza al cambiamento, le porte si chiudono, rimaniamo soli in casa e nasce
un tipo di malessere che potrebbe essere chiamato sofferenza relazionale.
Cosa significa intervenire sul benessere relazionale?
In termini pratici, quando si interviene psicologicamente su un sistema umano, sia singolo che di gruppo, lo si pu fare perch spinti dalla necessit di
affrontare un malessere, oppure perch spinti dal desiderio di migliorare la
situazione attuale. In ambedue i casi si tratta di intervento psicologico, ma

Settimo Catalano

la logica sottostante non la stessa: infatti nel primo caso, per intervenire
psicologicamente, necessario un malessere sufficientemente grave da destare
il bisogno di intervenire, nellaltro caso invece si interviene per il desiderio di
migliorare la qualit delle relazioni e il clima di lavoro.
Purtroppo esistono, ancora oggi, notevoli difficolt nel far capire alle pubbliche amministrazioni i vantaggi di progetti basati sul benessere relazionale,
mentre pi facile approvare un progetto che parta da una situazione di disagio. Se c la guerra e non ci sono viveri, qualsiasi alimento va bene perch si
tratta di soddisfare un bisogno impellente, ma se si in pace si pu scegliere
unalimentazione corretta in funzione di ci che fa bene a ciascuno.
Nelle scienze sociali applicate si rischia di ragionare come se si fosse perennemente in guerra, con scarse possibilit di intervento, mentre di fatto si ha
una vasta gamma di possibilit: chi, pur avendo il frigo pieno di vari alimenti,
mangia soltanto patate?
Eppure, spesso le amministrazioni ragionano in questa maniera: potrebbero
scegliere strategie di intervento ricche e diversificate, che vanno alla radice dei
problemi sociali, ma si limitano a tamponare le situazioni a rischio, quando
proprio non possono farne a meno.
Dedica alla Signora Vimercati
Nei miei primi dieci anni di attivit ho potuto lavorare nelle scuole grazie al
contributo economico e morale della Fondazione Vittorio Vimercati, nata per
volont testamentaria del Fondatore. Di fatto, fu la signora Maddalena Vimercati
che, alla morte del marito, fece nascere, con laiuto dei nipoti, la Fondazione.
Quando conobbi la Signora Vimercati, lei aveva, credo, 86 anni e, malgrado
la sua et, era molto vitale e molto interessata alle sorti della Fondazione.
Diventammo amici e, nonostante la differenza di et, ci capivamo e avevamo
aspirazioni e mete comuni.
A questa amicizia senza tempo e senza et dedico il mio libro. Grazie a
questa Fondazione ho potuto cominciare a lavorare con insegnanti e bambini, proponendo progetti sullo star bene con gli altri a scuola gi dal 1979,
quando, di psicologia del benessere, nessuno parlava ancora.
Finalit e divisione del testo
Il testo si divide in quattro parti.
Nella prima parte, Lattenzione, linsegnante, lallievo, si parla dellattenzione
e dellimportanza di questa funzione mentale, non solo per lapprendimento,
ma anche per la relazione con gli altri. Viene quindi mostrato come linse-

Le porte dell'attenzione

gnante, attraverso un uso consapevole della propria attenzione, possa arrivare


a mettere a fuoco ci che prova e sente mentre lavora, le credenze in base
alle quali interpreta la realt e il proprio modo di mettersi in relazione con
gli allievi e con i colleghi.
La seconda parte, La relazione insegnante-allievo, tratta di questa relazione
fondamentale per lapprendimento, approfondendo sia laspetto affettivo sia
laspetto cognitivo.
La terza parte, Il gruppo classe, mostra allinsegnante come raggiungere una
percezione unitaria di questo micro-sistema umano e suggerisce un modo per
leggere la realt relazionale. Inoltre illustra un percorso pratico di intervento
per la crescita del gruppo-classe.
Infine, la quarta parte, Il pensieto relazionale applicato ad alcuni problemi
della scuola, propone una lettura relazionale di alcuni temi caldi, come lintegrazione nel gruppo classe con particolare riferimento agli alunni portatori
di handicap, la gestione dellaggressivit e la valutazione.

Prima parte
Lattenzione
Linsegnante
Lallievo

Prologo

interrogato di fronte a tutti

mmaginiamo di essere a teatro con degli amici. Abbiamo individuato i nostri


posti numerati, ci siamo seduti e stiamo aspettando linizio dello spettacolo.
In maniera insolita il sipario rimasto aperto durante lentrata della gente.
Le luci in sala sono ancora accese. Pochi hanno notato che dalle quinte si
fatto avanti sul palco un signore di una certa et. vestito normalmente,
ma si muove in maniera studiata: devessere sicuramente un attore. Si fa silenzio. Il personaggio misterioso, declamando a gran voce in direzione degli
spettatori, chiede se c qualcuno in sala che si senta di spiegare il motivo
per cui l quella sera, a vedere proprio quello spettacolo. Mentre parla, si
muove verso le scalette laterali che portano in platea. Nessuno interviene.
Scende le scale e, arrivato davanti alle prime file, ripropone lo stesso quesito
in tono pi deciso, fissando con sguardo interlocutorio ora questo ora quello
spettatore, come se stesse cercando qualcuno in grado di rispondergli. Nella
sala si respira una certa tensione. Lattore si sposta da un settore allaltro della
platea incalzando il pubblico a rispondere alla sua domanda. Il silenzio rotto
sempre pi frequentemente da improvvisi scoppi di risa. Alla fine, spazientito,
si rivolge a una persona del pubblico e comincia a parlarle direttamente. C
un clima di sorpresa e imbarazzo, ma si avverte un certo sollievo: per fortuna
non si rivolto a noi! Tutti guardano il povero malcapitato: ce la far a trovare
la forza per rispondere davanti a tutta quella gente? Con sorpresa generale

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Settimo Catalano

la reazione immediata e fra i due nasce un vivace scambio di battute ben


udibili da tutti. Via via che il dialogo procede si comprende come la persona
presa in causa sia, in realt, un altro attore mimetizzatosi tra il pubblico. Ma
il trucco ha funzionato: noi spettatori, avendo vissuto la possibilit reale di
essere interrogati di fronte a tutti, siamo ora molto pi presenti di prima. In
sala si creato un clima di attiva partecipazione.

Apprezzato e criticato
Dalla platea del teatro trasferiamoci in unaula dove in corso da qualche giorno
un seminario teorico-pratico per insegnanti sul tema della gestione del gruppoclasse. Durante un momento di dibattito, qualcuno interviene e manifesta soddisfazione per come si stanno svolgendo i lavori: i concetti esposti e le esperienze
proposte sono molto stimolanti. Subito dopo, un altro partecipante si alza e,
rivolgendosi al conduttore con una certa animosit, dice di essere deluso perch si aspettava ben altro da lui. Lattenzione si catalizza sul conduttore. Come
reagir? Si mostrer lusingato dal primo intervento e risentito per il secondo?
Il conduttore, trasformando la provocazione in unoccasione di chiarimento
teorico, risponde: Gli ultimi due interventi mostrano come alla stessa esperienza si possa reagire differentemente, e che le persone non sono affatto tutte
uguali. La diversit pu essere accettata o rifiutata.
Se la rifiutiamo cercheremo di definire ci che accade in termini assoluti,
in maniera oggettiva: per esempio, cominceremo a polemizzare sul fatto che
questo seminario sia stimolante e utile, oppure se sia una perdita di tempo,
nel tentativo di arrivare a una verit oggettiva, valida per tutti. Se invece la
diversit viene accettata, si aprir la possibilit della comunicazione e ognuno
potr interrogare laltro per capirne il punto di vista. Questa modalit che
pone il soggettivo in primo piano favorisce la relazione; viceversa il modo
di pensare oggettivo la blocca.
Il fatto oggettivo e unico, ma i vissuti che ognuno ha dello stesso fatto
sono soggettivi e quindi tanti quante sono le persone. dunque realistico
aspettarsi differenze pi o meno grandi fra le varie reazioni.
Visto che ognuno percepisce e struttura ci che accade in maniera personale, aspettarsi che tutti rimangano soddisfatti dalle nostre parole e opere,
vuol dire andare incontro a delusioni certe.
Stando cos le cose, chiunque si esponga agli altri, se non in bala di sentimenti
di onnipotenza, accetter come naturali sia le critiche sia gli apprezzamenti.

L'Attenzione

Il problema dellattenzione nella Scuola

sserviamo, non visti, una classe durante una lezione. Non possiamo fare
a meno di notare che linsegnante si interrompe spesso e che queste interruzioni hanno tutte un contenuto simile fra loro: riprendere ora questo, ora
quellallievo, per ottenere la loro attenzione. Tuttavia sembra che in questa
comunicazione qualcosa non funzioni, dato che linsegnante costretto a
interrompersi frequentemente.
La difficolt sta nel fatto che linsegnante sembra dia per scontato che
lallievo conosca le operazioni mentali necessarie per entrare nello stato di
attenzione voluto. Ma gli allievi, in realt, non riescono a capire cosa si vorrebbe esattamente da loro.
Per dare indicazioni pi precise di un semplice richiamo allattenzione,
necessario avere unidea generale sulla funzione che ha nellorganismo
quellinsieme di attivit psichiche che chiamiamo mente, e sul rapporto che
la mente, nel suo complesso, ha con quel sottosistema di attivit mentali che
chiamiamo attenzione.

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Settimo Catalano

La funzione della mente e dellattenzione


In ogni istante la mente umana impegnata a selezionare, organizzare e dare
un senso a un numero incredibile di informazioni trasmesse dalla periferia al
centro e viceversa, tramite gli impulsi dei neuroni del sistema nervoso.
Se questi impulsi si potessero vedere come puntini luminosi, il corpo
umano apparirebbe come una regione della terra densamente popolata vista
da un aereo di sera, quando le luci dei fari dei veicoli si muovono in lungo e
in largo sulle reti stradali.
Questi impulsi possono essere considerati micro informazioni, nel senso
che la mente capace di raggrupparli e leggerli. Di questa miriade di informazioni in circolo, provenienti sia dal mondo esterno sia dal nostro mondo
interno, la mente ne elabora per solo una parte, producendo attivit interne,
come i pensieri e i sentimenti, e attivit esterne, come i movimenti, al fine di
permettere allindividuo di interagire con se stesso e con il suo ambiente.
Lattivit organizzatrice della mente consiste essenzialmente nel raggruppare, secondo certe leggi, elementi separati in totalit dotate di una propria unit
e di porle poi in relazione fra loro. Queste totalit, che potremmo chiamare
oggetti dellattivit mentale, consistono in rappresentazioni interne di una certa
configurazione di stimoli.
Le rappresentazioni hanno un formato che dipende dai tipi di stimolo e
quindi, innanzi tutto, dalla modalit sensoriale impiegata.
Il nome noce di cocco pu indicare la presenza di un determinato oggetto
esterno: se i sensi cadono su questo oggetto nascono delle rappresentazioni
mentali della noce di cocco. Queste ultime possono corrispondere agli stimoli
sensoriali che ci pu provocare loggetto e avere, per cos dire, un formato
visivo, acustico, tattile, olfattivo, gustativo.
Quando la regola che stabilisce la corrispondenza fra gli oggetti reali e
le loro rappresentazioni il mantenimento delle caratteristiche fisiche degli
stimoli, cos come vengono registrate dagli organi di senso, si parla di rappresentazioni in codice fisico.
Le rappresentazioni in codice fisico si differenziano fra loro, allinterno
dello stesso formato sensoriale, per le caratteristiche distintive degli stimoli. Per
esempio le rappresentazioni in formato visivo si differenziano per orientamento
nello spazio, forma, colore e grandezza.
Le rappresentazioni in codice fisico, che ci facciamo attraverso le nostre modalit sensoriali momento per momento, hanno unesistenza brevissima e per

Le porte dell'attenzione

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durare pi a lungo devono venire immagazzinate in memoria. Per risparmiare


spazio, vengono selezionate e immagazzinate in maniera schematica. Possono
essere conservate cos delle immagini che, a seconda della modalit sensoriale,
sono visive, acustiche, tattili ecc. e alloccorrenza possono essere ripescate attivamente, come quando si immagina un oggetto che non presente fisicamente.
Mentre le rappresentazioni in codice fisico sono fornite in maniera del
tutto automatica, le immagini mentali necessitano di un certo sforzo attentivo
per essere attivamente mantenute e ripescate. Contare quante vocali e quante
consonanti sono presenti in una parola scritta (codice fisico), per esempio
elefante, di gran lunga pi facile che fare la stessa operazione con la parola
immaginata mentalmente.
Le regole che stabiliscono la corrispondenza fra le rappresentazioni e i
corrispettivi oggetti o eventi reali, possono variare e dare vita ai codici pi
disparati, fra cui i pi comuni, oltre al codice fisico, sono il codice della lingua
parlata, il codice del disegno stilizzato (o meglio dellicona), il codice della
lingua scritta e il codice gestuale. Questi codici rendono pi agevoli e flessibili
le attivit psichiche e in particolare consentono alla mente di interagire con
se stessa e di comunicare con gli altri.
Per semplificare quanto detto, proviamo a pensare a una persona che entra
in un negozio di fiori e si ferma dinanzi a un vaso di rose rosse, con lintento
di scegliere la pi bella e acquistarla per la persona amata.
Per fare una scelta soddisfacente, il nostro soggetto paragoner fra loro le
rose a disposizione, lavorando con rappresentazioni in codice fisico per potere
identificare la rosa che ha le caratteristiche fisiche che la rendono pi bella
delle altre, come il colore intenso, la forma dei petali armoniosa, la corolla di
petali non troppo aperta n troppo chiusa, il gambo dritto ecc. Poi, quando
chieder al fiorista quanto costa una rosa del tipo scelto, user rappresentazioni verbali. Quando porger la rosa alla persona amata con uno scambio
silenzioso di sguardi, user rappresentazioni gestuali. La percezione della
rosa con le sue caratteristiche fisiche, il nome rosa e il gesto di offrirla alla
persona amata, sono rappresentazioni ben differenti fra loro: la differenza sta
nel codice usato.
C una relazione di corrispondenza tra oggetto fisico, esperienza sensoriale
delloggetto, immagine mentale delloggetto, nome delloggetto, significato
delloggetto.
Per esempio, dopo qualche mese di vita un infante riuscir a percepire il
volto della mamma come unit, successivamente riuscir a evocarlo alla mente
quando la mamma non c tramite limmagine ricordata. Dopo diversi mesi,

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Settimo Catalano

anche il nome sar in grado di richiamare alla mente loggetto assente, per
cui baster la parola mamma per evocarene la presenza. Quando il bambino
comincer a parlare, uno dei primi nomi che imparer sar mamma, ma, a
seconda del tono di voce, la stessa parola potr assumere significati diversi.
Con il tempo il bambino imparer ad articolare i nomi in linguaggio e il
linguaggio, via via, si far sempre pi elaborato, fino a consentire una comunicazione ricca di significati, permettendo cos lo sviluppo delle facolt pi
elevate, come il pensiero creativo.
Proviamo ora a osservare da unaltra prospettiva lattivit mentale e a mettere a fuoco i vari livelli di integrazione compiuti dalla mente.
Abbiamo detto che in ogni momento circola nellorganismo un numero
incredibile di impulsi nervosi, a cui corrispondono altrettante informazioni.
Questo intenso traffico viene strutturato in prima istanza dalle vie sensoriali
e dalla loro integrazione cerebrale degli stimoli. Di fatto i sensi (vista, udito
ecc.) organizzano in percezioni (visive, uditive ecc.) le informazioni in entrata,
ciascuna sul relativo canale sensoriale. A questo livello di integrazione tutto, o
quasi, tende a essere automatizzato. La mente, che rispetto ai sensi pu essere
considerata come un senso di livello superiore, un meta-senso, raccoglie le
diverse percezioni sensoriali e le organizza ulteriormente in una visione multisensoriale del mondo. Lattivit organizzatrice della mente procede oltre.
Nel successivo livello di organizzazione entrano in gioco, in maniera determinante, altri fattori mentali che hanno come controparte fisiologica sollecitazioni di origine interna al sistema nervoso, di cui i pi rilevanti sono i ricordi, i
bisogni, i desideri e le credenze. A questo livello di integrazione mentale si ha una
percezione globale unitaria del mondo momento per momento. Ma la mente non si
limita a organizzare e integrare i fattori fin qui esposti. Infatti dalla percezione
globale si originano affetti corrispondenti e interazioni con la realt esterna: i
primi li chiamiamo vissuti, e comprendono stati danimo, sentimenti, emozioni
e passioni; le seconde prendono il nome di comportamenti.
Se, per esempio, vediamo un bambino che sta prendendo a pugni la sorellina pi debole di lui, oltre ad avere una percezione globale del fatto (dove
giocano anche le nostre credenze, i ricordi...) veniamo colti da una determinata emozione e interveniamo con un determinato comportamento.
I comportamenti sono una sequenza di movimenti del corpo che la mente
dirige e organizza mantenendoli in rapporto costante con le percezioni sensoriali, per aggiustarne continuamente il tiro. Inoltre appaiono come finalizzati
a uno scopo.

Le porte dell'attenzione

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A questo punto entrano in gioco in maniera rilevante, oltre a tutti i fattori


gi menzionati, gli istinti, gli impulsi, le motivazioni, le abitudini e la volont
di raggiungere delle mete.
Quanto detto una breve sintesi del lavoro organizzativo e di integrazione
su pi livelli, compiuto dalla mente umana nei confronti dei pi importanti
fattori in cui pu essere organizzato il caos di eccitazioni periferiche e centrali del sistema nervoso.
Risulta evidente come la mente, per sua natura, sia in grado di gestirsi una
notevole complessit.
Tuttavia, visto che nel corpo umano sono presenti in ogni momento un numero veramente grande di eccitazioni nervose (input), non sarebbe possibile
ordinarle e organizzarle tutte. qui che entra in gioco lattenzione.
Infatti grazie a essa solo una parte limitata di questi input sono presi in
considerazione dallorganismo: alcuni di questi andranno a interessare meccanismi inconsci, altri saranno disponibili coscientemente. Dei rimanenti, una
parte considerevole viene, per cos dire, inibita e fa solo da sfondo alla prima;
una terza parte, la pi numerosa delle tre, viene invece eliminata subito.
Quindi la mente compie la sua funzione organizzante solo su alcuni stimoli,
a scapito di altri.
La mente mette in ordine, mentre lattenzione seleziona quale parte di
caos deve essere presa in considerazione e ordinata. Per esempio, quando
una persona attraversa una strada con molto traffico nel centro di una grande
citt in un punto in cui non ci sono semafori, la sua attenzione sar altamente
selettiva. Infatti andr a posarsi non su tutto quello che pu essere visto o
udito da quella posizione, ma solo sui veicoli che sopraggiungono, e fra questi
metter a fuoco quelli la cui traiettoria va a incrociare il percorso che rimane
per raggiungere il marciapiede opposto. Solo su questi ultimi si concentrer
lattenzione lasciando tutto il resto, bench percepito, sullo sfondo.
Come si pu dedurre da questo esempio, lattenzione ha unimportanza basilare perch permette alla mente di funzionare adeguatamente; senza attenzione si congestionerebbe e i contenuti mentali tornerebbero a far parte del caos.
In effetti, se mancano le capacit attentive, un evento usuale come attraversare
una strada, sarebbe impossibile senza correre un pericolo mortale. Daltra parte
la mente, per sua natura, fatta per lavorare con la complessit; lattenzione
quindi non pu selezionare troppo, altrimenti, mancando delle parti rilevanti,
la funzione integratrice della mente ne risulterebbe compromessa. Se, per
ipotesi, attraversando la strada, lattenzione del pedone si concentrasse solo

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Settimo Catalano

sulle automobili e non sulle moto o sulle biciclette, le probabilit di incidenti


sarebbero molto elevate. Per forza di cose lattenzione di chi sta attraversando
dovr tenere presente la complessit della situazione senza escludere alcun
veicolo che gli si dirige contro, nonch altri aspetti della realt significativi,
per arrivare dallaltra parte senza danni.
evidente che qualsiasi disturbo dellattenzione riduce le prestazioni della
mente, anche della pi brillante. In generale, tutti gli eventi che possiamo
definire come mentali, dalla percezione visiva alla lettura della realt o allo
star bene, risultano condizionati in prima istanza dallattenzione, perch la
funzione che stabilisce quale parte del mondo esterno-e-interno verr selezionata e tenuta in considerazione, e quale invece verr scartata.

Livelli di attenzione
Si pu dire che lattenzione permette alla mente di organizzare solo ci che
risulta rilevante in quel momento per la persona, sia che la spinta venga dalle
necessit legate alla sopravvivenza, sia che venga da scopi prefissati. Queste
operazioni di selezione possono avvenire o in maniera automatica o in maniera volontaria.
Quando lattenzione si sposta in maniera automatica sullonda delle abitudini acquisite, possiamo parlare di un primo livello di attenzione. Quando invece
lattenzione mossa volontariamente, a dispetto delle abitudini, possiamo
parlare di un secondo livello di attenzione.
Lo stesso atto attentivo che seleziona e rende attive le percezioni derivanti
da un canale sensoriale, e contemporaneamente mantiene sullo sfondo le altre
percezioni presenti, pu essere fatto automaticamente, per abitudine, ma pu
anche essere il risultato di una precisa intenzione.
Per esempio, dopo una corsa il respiro pu diventare affannoso e lattenzione tende autonomamente a spostarsi su questo: si tratta quindi del primo
livello di attenzione. Se invece si decide di osservare il proprio respiro quando
si in condizioni di calma, abbiamo unattenzione del secondo livello.
Proviamo a cogliere la differenza fra attenzione automatica e volontaria
nella situazione che segue. Una persona sta sognando di essere su un ascensore, la sua attenzione si posa sui pulsanti e preme quello corrispondente
al piano a cui vuole andare. Tuttavia lascensore, invece di fermarsi al piano
voluto, continua a salire e pi sale, pi aumenta di velocit. Il sogno diventa
un incubo: lattenzione del sognatore completamente rivolta al terrore per

Le porte dell'attenzione

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quello che sta succedendo. La persona si sveglia, agitata e ha una vaga


sensazione di aver sognato qualcosa di spiacevole; a questo punto fissa la
sua attenzione su questa sensazione con la speranza che le torni in mente il
sogno. Lattenzione che ha avuto in tutte le fasi del sogno del primo livello,
mentre lattenzione alla sensazione di aver sognato qualcosa di spiacevole,
che poi pu favorire il ricordo, del secondo livello, poich in questo caso lo
spostamento stato volontario.
In generale, si pu dire che nellambito del sogno si tende ad avere solo
unattenzione del primo livello; non si tende cio a muoverla in maniera volontaria. Tuttavia, molto spesso, anche nella vita quotidiana si lascia che lattenzione sia mossa dalle abitudini, come nel sogno, e raramente si decide dove
indirizzarla. Questo vale non solo per i bambini, ma anche per gli adulti.
Quando linsegnante dice a un allievo: Stai attento!, gli richiede innanzitutto uno spostamento volontario dellattenzione, che si opponga a processi
automatici. Ovvero, lallievo dovrebbe spostare volontariamente la propria
attenzione da quei contenuti che lo attraggono in quel momento e metterla
l dove vuole linsegnante. Chiedere allallievo unattenzione del secondo
livello presuppone che linsegnante, per primo, sia in grado di orientare la
sua mente a dispetto delle abitudini e sia anche capace di spostarla l dove
vuole un altro.
Quando un allievo attratto da A, linsegnante potrebbe dare allallievo
una dimostrazione dello spostamento volontario dellattenzione, mettendo la
propria attenzione su A. Successivamente, dopo aver proposto se stesso come
modello a cui ispirarsi, potrebbe richiedere lattenzione dellallievo.
Vediamo una realizzazione pratica di questultimo concetto.
Entrando in classe alla mattina, linsegnante trover che i suoi alunni stanno prestando attenzione ciascuno a qualcosa di diverso, non essendo ancora
in corso nessuna attivit strutturata. In questa situazione iniziale, linsegnante
potrebbe spostare la propria attenzione da un allievo allaltro, facendola aderire
alloggetto interessante in quel momento per quel determinato allievo. Per
fare questo sufficiente basarsi sugli stimoli verbali e non verbali dati dagli
stessi allievi.
Una bambina guarda con interesse le proprie scarpe; linsegnante pu mettere a fuoco la sua attenzione sullo stesso oggetto e commentare: Elisa, sono
proprio belle queste scarpette di vernice nera con la fibbia.
Un bambino sta guardando i germogli nel semenzaio sotto la finestra:
Gabriele, cosa dici, stanno crescendo le piantine di basilico che abbiamo
piantato?

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Settimo Catalano

Due compagni di banco stanno giocando: Matteo e Stefano, che nome


potremmo dare al gioco che state facendo?
Linsegnante, guardando gli alunni, vede Vera assorta nei suoi pensieri,
forse la sua attenzione rivolta a quello che successo in famiglia quella
mattina: Vera, ti vedo in silenzio e con le mani incrociate, chiss a cosa stai
pensando...
Considerando che ogni intervento porta via qualche secondo, linsegnante
potrebbe, in tempi brevi, coinvolgere buona parte della classe.
Se linsegnante in grado di muovere volontariamente la propria attenzione,
c la reale possibilit di condurre gradualmente lallievo a fare altrettanto.

I campi dellattenzione volontaria


Lattenzione pu essere diretta volontariamente su diversi campi esperienziali.
Proviamo insieme.
In primo luogo possiamo indirizzarla al campo delle sensazioni.
Se chiudiamo gli occhi e ci chiediamo a quali eventi corrispondono i vari suoni uditi, concentriamo volontariamente lattenzione sulle sensazioni uditive.
Se manteniamo lo sguardo fisso davanti a noi e prestiamo attenzione alla
periferia del campo visivo, cercando di identificare gli oggetti che in quella
posizione laterale risultano pi o meno sfuocati, concentriamo lattenzione
sulle sensazioni visive.
Se ci chiediamo a cosa assomiglia il sapore che si sente in bocca, dirigiamo
lattenzione alle sensazioni gustative.
Se chiudiamo gli occhi e annusiamo laria per trovare il portacenere o un
altro oggetto che emana un forte odore, dirigiamo lattenzione alle sensazioni
olfattive.
Se cerchiamo di identificare gli oggetti che abbiamo intorno tenendo gli
occhi chiusi e usando solo la sensibilit dei polpastrelli dirigiamo lattenzione
alle sensazioni tattili.
Se osserviamo il nostro respiro o cerchiamo di percepire il calore del nostro
corpo, dirigiamo lattenzione alle sensazioni corporee interne.
Se giriamo su noi stessi per diverse volte, oppure muoviamo un braccio disegnando un cerchio a occhi chiusi, dirigiamo lattenzione alle propriocezioni,
quelle sensazioni che permettono di identificare i cambiamenti di posizione
del proprio corpo nello spazio e di mantenere lequilibrio.
Ai differenti tipi di sensazioni si fanno corrispondere altrettanti canali

Le porte dell'attenzione

21

sensoriali. Lattenzione pu essere concentrata sulle sensazioni provenienti


da un solo canale, ma anche diretta alle sensazioni provenienti da pi canali
contemporaneamente: per esempio, possiamo vedere e ascoltare il rumore di
un auto che passa; mangiare un frutto, prendendo contatto con le sensazioni
tattili e con il sapore, e cos via. Le sensazioni che ci giungono contemporaneamente su pi canali spesso si completano a vicenda: vedere e ascoltare il
rumore dellautomobile risulta pi incisivo che vederla solamente.
Parliamo ora degli altri campi.
Se ci chiediamo quanto intenso sia, in questo momento, il bisogno di
mangiare, di bere, di dormire ecc., dirigiamo volontariamente lattenzione al
campo dei bisogni.
Se ci chiediamo, in relazione a questo momento, chi ci piacerebbe avere
vicino, cosa ci piacerebbe fare, in quale luogo ci piacerebbe essere, gli oggetti
che ci piacerebbe possedere o qualsiasi altra cosa che, se realizzata, potrebbe
darci piacere e gioia, poniamo lattenzione al campo dei desideri.
Se ci chiediamo in quale altra occasione abbiamo fatto qualcosa di analogo
a quello che stiamo facendo in questo momento, o comunque riportiamo
alla mente qualcosa successo nel passato, dirigiamo lattenzione al campo dei
ricordi.
Se ci chiediamo in quali affermazioni ci riconosciamo pienamente, tanto
da non avere al riguardo dubbi o incertezze, dirigiamo lattenzione al campo
delle credenze.
Se ci chiediamo quale risonanza affettiva ha su di noi ci che ci accade e ci
che stiamo facendo in questo momento, poniamo volontariamente attenzione
al campo degli affetti.
Per quello che riguarda gli affetti possiamo mettere a fuoco i sentimenti
che stiamo provando in questo momento e identificarli, per quanto possano
essere sfumati. Se invece stessimo vivendo una qualche emozione, o addirittura
fossimo preda di una passione, non potremmo facilmente sottrarre la nostra
attenzione dai turbamenti fisici che queste condizioni affettive comportano.
Lattenzione pu comprendere non solo pi canali sensoriali, ma anche
pi campi. Per esempio, mentre poniamo attenzione ai sentimenti, possiamo
continuare a vedere, ad ascoltare o ad avvertire qualche bisogno.
Se ci chiediamo, pensando alle persone che si conoscono, con chi si lavora
meglio e con chi peggio, con chi ci piacerebbe passare un fine settimana o viceversa chi non si vorrebbe addirittura incontrare, o ci poniamo altre domande
sul tipo di legame che sentiamo per gli altri che ci circondano, lattenzione
viene diretta al campo delle relazioni con gli altri.

22

Settimo Catalano

Se ci chiediamo quali movimenti stiamo facendo in questo momento con le


diverse parti del corpo e ci interroghiamo sulla loro finalit o sulle ragioni che li
possono avere provocati, lattenzione viene diretta al campo dei comportamenti.
...
I campi esaminati, pur essendo un elenco incompleto, sono gi pi che
sufficienti per mostrare quanto potrebbe spaziare, in ogni momento, la nostra
attenzione volontaria.

Le dimensioni dell attenzione


Dalle frasi del linguaggio comune che hanno per oggetto lattenzione, possiamo estrapolare quelle dimensioni che derivano direttamente dalla pratica
usuale di questa funzione mentale. Per visualizzarle, possiamo utilizzare
limmagine di un impianto luci che illumina un palco, perch come la luce
dei fari illumina solo una parte del palco per dare risalto ai vari momenti
dello spettacolo, cos lattenzione mette in primo piano solo alcuni contenuti
mentali che risalteranno rispetto al restante mondo psichico.
Un impianto luci pu consistere in pochi fari a luce fissa o in un gran numero di fari che possono essere spenti e accesi per illuminare ora questo ora
quel settore del palco. Parallelamente, lattenzione potrebbe andare da una
mobilit zero fino ad arrivare a un alto grado di mobilit.
Questa dimensione potrebbe essere chiamata mobilit-rigidit. A questa
dimensione si riferiscono quegli aggettivi che qualificano lattenzione come
rigida, fissa, incollata, adesiva ecc. oppure mobile, vivace, viva, fluida ecc.
Lattenzione potrebbe spostarsi facilmente da un campo allaltro o da un
particolare allaltro allinterno dello stesso campo, oppure essere spostata contemporaneamente su pi campi, o viceversa, aderire e rimanere magnetizzata
da certi contenuti mentali, rendendo difficili i tentativi di spostarla ad altri
settori, fino a risultare addirittura incollata a certi contenuti, come nel caso
dellanoressica che pensa continuamente al peso del suo corpo.
I fari di un impianto possono essere ad alta o a bassa tenuta e quindi
possono restare accesi a lungo oppure devono essere spenti in tempi brevi
per non surriscaldarsi o per non fondere le gelatine colorate. Parallelamente,
lattenzione pu mantenersi su un certo compito per tempi pi o meno lunghi. Questa la dimensione della durata. Cos, rispetto a questa dimensione,
potremo stabilire per quanto tempo siamo in grado di mantenere lattenzione
su un certo oggetto o su un certo compito.

Le porte dell'attenzione

23

La luce dei fari, poi, pu essere concentrata su un piccolo particolare o


dilatata su unarea estesa; cos lattenzione pu focalizzarsi su un unico campo
escludendo tutto il resto, oppure dilatarsi a pi campi. Questa la dimensione
della concentrazione-dilatazione.
Infine, come la luce dei fari pu essere pi o meno intensa, lo stesso dicasi
dellattenzione. Questa la dimensione dellintensit. Rispetto a questa dimensione potremo avere unattenzione forte oppure debole e labile.
Naturalmente tutti questi parametri non sono fissi, ma dipendono dalloggetto dellattenzione e dalle condizioni contingenti. Al variare delloggetto e
delle condizioni, la mobilit, la durata, la concentrazione e lintensit dellattenzione possono cambiare notevolmente.

Lattenzione centrale e lattenzione laterale


Dare attenzione a qualcuno, volgendo lo sguardo e interagendo con lui, un
esempio del tipo di attenzione pi frequente, che potremmo chiamare attenzione
centrale, nel senso che diretta al centro dellarea sensoriale, ovvero a quella pi
sensibile. Ad esempio, per la vista sar la zona che stiamo mettendo a fuoco con
gli occhi e per ludito sar la fonte sonora verso cui sono dirette le orecchie.
La caratteristica di questo tipo di attenzione consiste nellessere osservabile
dallesterno, perch chi ci osserva tende a ricercare loggetto della nostra attenzione proprio dove dirigiamo gli occhi e le orecchie. Lattenzione centrale
controllabile quindi da chi ci osserva, nel senso che questi sa a che cosa
stiamo prestando attenzione.
Per esempio, quando un insegnante durante il suo lavoro con la classe parla
a un alunno o semplicemente incontra il suo sguardo, linteressato si accorge
di essere oggetto di attenzione, come se ne possono accorgere i compagni.
Allattenzione centrale si contrappone lattenzione laterale. In effetti, pur
avendo lo sguardo fisso su un oggetto, niente impedisce di mettere ugualmente attenzione a ci che presente nellarea laterale non a fuoco. (Il lettore provi
a mettere entrambe le mani allaltezza delle tempie. Poi scelga un punto di
fronte a s e lo fissi. Se muove le dieci dita gli sar facile spostare lattenzione
a questo movimento, pur continuando a tenere lo sguardo a fuoco sul punto
scelto). Anche per quanto riguarda ludito possiamo ascoltare fonti sonore
laterali, come quando, pur essendo rivolti verso la persona che ci sta parlando
in un bar, nello stesso tempo ascoltiamo i discorsi che si stanno facendo al
tavolo di fianco.

24

Settimo Catalano

Quando invece, pur essendo svegli e con gli occhi aperti, ritiriamo la nostra
attenzione dai canali sensoriali, per immergerci per esempio in un pensiero
che ci preoccupa, pi che di attenzione laterale bisognerebbe parlare di attenzione assente sul piano della realt esterna.
Lattenzione laterale e quella assente confondono chi ci osserva poich
questi non pi in grado di stabilire con sicurezza qual loggetto della
nostra attenzione.
Vediamo ora che importanza pu avere questo discorso in una situazione
pratica.
Quando un insegnante si rivolge a un allievo e gli parla, qualsiasi sia il
contenuto di tale comunicazione, gli soddisfa il desiderio comune a tutti
gli allievi di essere preso in considerazione, e quindi, in un certo senso, gli
fa un favore. Cos, quando un insegnante richiama frequentemente un allievo
che ha atteggiamenti destrutturanti per il lavoro in classe, finisce per fargli un
regalo, con il risultato che non solo lallievo continuer lazione di disturbo,
ma anche i compagni potrebbero essere invogliati a imitarlo.
Per limitare questo inconveniente linsegnante potrebbe utilizzare lattenzione laterale. In pratica dovrebbe evitare di dargli importanza evitando
di guardarlo direttamente e limitando al massimo linterazione verbale con
lui. Nello stesso tempo, grazie a unattenzione laterale, dovrebbe comunque
osservare e tenere in considerazione il suo comportamento, riflettendo su
come lallievo si mette in relazione con gli altri, su quali vantaggi ottiene con
i suoi comportamenti destrutturanti, sui bisogni o sui desideri che questi
comportamenti nascondono. Spesso con questi comportamenti che disturbano
e danno fastidio agli altri, lallievo comunica il suo vissuto di solitudine, il
suo sentirsi isolato ed estraneo, nonch lincapacit di stare bene con gli altri.
Fuori dalla classe utile ritornare con il pensiero a questo allievo e parlare di
lui con i colleghi che lo conoscono, per comprendere meglio come reagisce
con le altre persone. Lobiettivo primario dovrebbe essere riuscire a entrare in
rapporto con lui. A tal fine pu essere utile mettersi vicino allallievo durante
lintervallo o in altri momenti opportuni, e lasciare che sia lui ad avvicinarsi.
Spesso i suoi comportamenti cambiano completamente quando si passa dalla
classe a un rapporto a due con linsegnante e, in questa sede, diventa possibile
allacciare un rapporto costruttivo.
Lattenzione laterale un buon esempio di attenzione volontaria e, proprio
perch invisibile dallesterno, pu rendersi utile in determinate occasioni.

L'Attenzione Dell'Insegnamento

Linsegnante attento

urante un seminario per insegnanti, un partecipante chiese la parola e


rivolgendosi ai presenti disse:
vero, noi insegnanti ci lamentiamo sempre dellattenzione degli allievi,
ma in realt la nostra attenzione che scarsa. Abbiamo idee preconcette e
spesso perdiamo la visione globale di quello che succede nella classe. Penso
che un insegnante non dovrebbe andare in crisi quando non riesce a condurre la classe come vorrebbe: se stato presente e attento a s e agli altri non
dovrebbe essere per lui difficile rintracciare i motivi dellinsuccesso. Generalmente, invece, linsegnante non riesce a comprendere i comportamenti degli
alunni e tanto meno le reazioni del gruppo nel suo insieme, andando proprio
in crisi. In effetti, senza attenzione a questi aspetti della realt, quando nascono dei problemi con la classe, ci si sente impotenti e non si sa cosa fare.
In questo intervento linsegnante riconosce, suo malgrado, una certa disattenzione. Ci si pu chiedere allora cosa si intenda per insegnante attento
e come si faccia a diventarlo.
Si pu affermare che un insegnante attento quando non lascia andare la
propria attenzione alle abitudini acquisite, ma la muove consapevolmente e, se
il caso, a dispetto di queste abitudini.
Prendiamo in esame le seguenti abitudini:

26

Settimo Catalano

1) labitudine di ripetere quegli interventi e quelle modalit di conduzione


del gruppo-classe che ottengono palesemente esiti negativi;
2) labitudine di non tenere in considerazione i comportamenti degli alunni
come informazioni sul proprio modo di condurre la classe;
3) labitudine di agire senza la consapevolezza del come si fanno le cose.
Senza rendersi conto, per esempio, del tono di voce usato, dei sentimenti e
delle emozioni che ci accompagnano, delle convinzioni di base che ci spingono ad agire in una determinata maniera ecc.
Secondo la nostra definizione, linsegnante, quando interrompe queste
abitudini, in uno stato mentale di attenzione.
Linsegnante attento quando, evitando circoli viziosi, dove si continua a
ripetere proprio ci che lascia tutto come prima, entra nella logica del cambiamento.
Linsegnante attento quando considera i comportamenti degli allievi come
importanti informazioni sul proprio modo di rapportarsi con loro e utilizza
queste informazioni di ritorno per aggiustare il tiro.
Linsegnante attento quando, per gestirsi le difficolt che incontra in
classe, sposta lattenzione su se stesso. Quando si accorge di come agisce e
presta quindi attenzione ai propri comportamenti, ai propri interventi, alle
proprie emozioni ecc.
Se linsegnante non sposta la sua attenzione su quello che fa e, soprattutto,
su come lo fa, non possibile alcun cambiamento intenzionale. Come il guidatore di un autobus non si affida a interventi casuali, ma osserva la strada e
contemporaneamente usa in maniera opportuna i pedali e i comandi manuali,
allo stesso modo linsegnante che vuole guidare un gruppo-classe non pu certo
affidarsi a interventi casuali, ma mentre osserva come reagiscono gli allievi,
dovrebbe mettere attenzione a come usa i comandi della parola e del gesto,
ossia a quello che fa.

Affrontare la complessit
Qualche insegnante potrebbe sentirsi a disagio allidea di mettere in pratica
questo discorso, perch insegnare occupandosi degli aspetti relazionali, mantenendo cio unattenzione particolare a come il proprio comportamento e
quello degli alunni si influenzano reciprocamente, pu apparire un compito
troppo complesso.

Le porte dell'attenzione

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In realt, linsegnamento si svolge sempre in un campo di interazione con


gli altri e siccome le situazioni interumane sono complesse, la complessit va
considerata un dato di fatto del lavoro dellinsegnante. Non potendo essere elusa,
piuttosto che lasciarsi sopraffare, sembra pi saggio affrontarla, conquistandosi
una certa padronanza nella gestione delle relazioni e del gruppo-classe.
Il modo pi semplice per aumentare questa padronanza relazionale quello
di trasformare il proprio lavoro in un allenamento costante alla relazione con
laltro. necessario per cambiare il livello di attenzione e passare a unattenzione consapevole, aperta a quegli aspetti della realt che, per abitudine,
non vengono considerati. I problemi non svaniranno, n appariranno di facile
soluzione, ma sicuramente sar possibile gestirli.
Spesso ci si sente disarmati di fronte a una difficolt di ordine relazionale,
perch i dati che riusciamo a raccogliere non sono n sufficienti, n rilevanti.
Occorre un livello pi alto di attenzione che ci permetta di inquadrare meglio
i problemi e di tentare nuove soluzioni.
Questo non significa assolutamente che linsegnante debba diventare anche
psicologo, psicopedagogo, sociologo ecc. Si tratta, invece, di migliorare gradualmente la propria abilit professionale, mettendosi nelle condizioni di imparare
ogni giorno qualcosa di nuovo sul modo opportuno di relazionarsi con i vari
allievi. Per questo sufficiente unattenzione specifica agli aspetti relazionali
presenti nella realt lavorativa, e tenere in considerazione che il comportamento
dellaltro si modifica al variare del come ci si mette in relazione con lui.
Questo metodo di apprendimento basato sullesperienza pi semplice
di quanto potrebbe sembrare. Lo usano i bambini per imparare ad andare
in bicicletta: montano in sella e, senza farsi scoraggiare dai primi insuccessi,
insistono finch riescono a stare in equilibrio e a padroneggiare il mezzo di
trasporto; non hanno bisogno di discorsi teorici. Imparano grazie a unattenzione costante verso le conseguenze immediate dei propri movimenti, e con
questo sistema si impadroniscono pian piano di opportuni schemi motori.
Tutti siamo stati bambini e sappiamo che questo metodo funziona.
Possiamo immaginarci che si possa utilizzare lesperienza anche per imparare ad andare sulla bicicletta della relazione.
vero che linsegnante normalmente ha avuto pochi momenti di formazione psicosociale, ma anche vero che se mettesse attenzione alle conseguenze
immediate dei propri interventi e ne tenesse subito conto per impostare quelli
successivi, imparerebbe certamente dalla pratica.
Questa consapevolezza gli consentirebbe di modulare e finalizzare sempre
meglio i propri interventi, e di affrontare la situazione nella sua complessit.

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Settimo Catalano

Raccogliere dati significativi


Cercare di risolvere un problema avendo a disposizione dei dati insufficienti
tempo perso: un problema senza dati sufficienti non pu avere soluzioni. Ci
vero non solo per i problemi di matematica, ma anche per qualsiasi altro
ordine di problemi, compresi quelli che abbiamo nel relazionarci con gli altri.
Avere a disposizione quei dati significativi necessari a inquadrare una certa
situazione non complica la vita dellinsegnante, ma un aiuto.
Lo strumento base che ci consente di ottenere questi dati significativi
unattenzione vigile, che si muove consapevolmente, e che aderisce contemporaneamente a pi campi di realt.
Per capire limportanza di questo discorso pu essere utile prendere in esame
il caso estremo dellautismo infantile. Quello che colpisce di pi quando si entra
in contatto con un bambino affetto da questa sindrome che, pur non mostrando
alterazioni alle vie sensoriali, si presenta come cieco e sordo e non reagisce agli
stimoli esterni. Lattenzione interamente dominata da angosce interiori e non
pu essere mossa volontariamente, n tanto meno a comando, ma si presenta
rigidamente incollata a meccanismi ripetitivi, atti a mantenere lo status quo.
Per proteggere la persona dallesperienza angosciosa del mondo e dalla sua
stessa angoscia, avvertita come un vero e proprio ciclone interiore, lattenzione
si annichilisce e non disponibile a raccogliere dati dai vari campi di esperienza,
neanche da quello delle sensazioni. la maniera pi drammatica di infilare
la testa sotto la sabbia. Le informazioni che arrivano dal mondo esterno e da
quello interno risultano cos poche da evitare le sensazioni spiacevoli, ma anche
da rendere oltremodo difficile affrontare il problema pi elementare.
Il risultato che il bambino sar completamente bloccato di fronte a
qualsiasi richiesta gli venga fatta, anche la pi semplice. Pi la richiesta sar
insistente pi mostrer un netto rifiuto che esprimer o con una rigidit muscolare o con unesplosione di collera. Questo atteggiamento di chiusura alla
sollecitazione esterna lo far ripiegare ulteriormente su se stesso.
Questa situazione limite mostra gli effetti disastrosi di unattenzione rigidamente bloccata, non pi in grado di fornire alla persona quei dati di base
senza i quali ogni questione diventa inaccessibile.
Alla luce di questa analisi, alcune terapie che si applicano allautismo infantile, come il metodo Doman e la terapia dellHolding, possono essere
lette come il tentativo di sciogliere questo blocco dellattenzione e rifornire
alla persona i dati esperienziali.

Le porte dell'attenzione

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Spostare lattenzione a comando


Ladulto che partecipa a un corso pratico sullattenzione sperimenta su se stesso
quanto certi tipi di spostamento dellattenzione risultino difficoltosi, soprattutto se
lo spostamento viene richiesto da unaltra persona. Per esempio, se il conduttore
interrompe quello che si sta facendo e fa spostare lattenzione su come lo si sta
facendo, molti avvertono una sensazione di fastidio. Oppure, se nel corso di una
discussione viene richiesto di passare dalla discussione al come si sta discutendo,
o se viene interrotto un gioco e si chiede ai partecipanti di riflettere su come si sta
giocando, spesso si crea disagio e sorgono comunque delle difficolt.
Quando linsegnante scopre che spostare lattenzione volontariamente da
un campo allaltro pu risultare anche per ladulto unoperazione difficile,
allora pu essere pi comprensivo quando vede che lallievo ha delle difficolt
a compiere questa operazione a comando.
Labilit nello spostare lattenzione a comando pu migliorare gradualmente
con esercizi mirati a questo scopo.

L La bambina che non voleva far niente


La difficolt insita nello spostare lattenzione aumenta notevolmente in situazioni fortemente emotive.
Una volta, in una quinta elementare, una bambina, che negli incontri precedenti aveva sempre lavorato con gli altri, si mise da parte e rifiut di fare
qualsiasi cosa. Il mio lavoro aveva lo scopo di favorire, in ciascun allievo,
lemergere di un sentimento di appartenenza al gruppo-classe. Si trattava di
creare un clima di benessere relazionale che sarebbe tornato a vantaggio di
tutti, insegnanti e allievi. Gli strumenti usati erano di tipo non-verbale come
il gioco, lanimazione teatrale e lanimazione musicale. Naturalmente era
importante che tutti partecipassero.
Quando la bimba si mise da parte, mi risentii e pensai a un rifiuto verso
di me e verso il lavoro che stavo facendo; questa considerazione mi stava
spingendo a intervenire bruscamente, ma mi fermai in tempo.
Evitando accuratamente di sottolineare questo comportamento di isolamento
davanti al gruppo, con sguardi o con parole, spostai la mia attenzione laterale
su di lei e intanto continuai a condurre il lavoro con gli altri. Erano presenti
in me due sentimenti: da una parte ero contrariato, ma dallaltra qualcosa mi

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Settimo Catalano

impediva di intervenire. Decisi alla fine di non fare assolutamente nulla nei suoi
confronti, e lei fu libera di partecipare o meno. Rimase in disparte guardando
distrattamente i compagni per tutto il tempo, assorta nei suoi pensieri. La settimana seguente venni a sapere che quella mattina aveva assistito allarresto di suo
fratello e ne era rimasta talmente impressionata da non riuscire evidentemente
a spostare lattenzione dal ricordo di quella drammatica vicenda.
Quando venni a conoscenza di questa circostanza fui felice di non avere
agito dimpulso, spontaneamente, e di non avere fatto alcuna pressione su
di lei, sgridandola affinch giocasse con gli altri.
Quello che mi aveva impedito di fare interventi inopportuni era stata unoperazione mentale di riflessione sui sentimenti e le convinzioni presenti in me stesso. Avevo preso contatto con la sensazione di fastidio che provavo nei confronti
del rifiuto della bambina a lavorare con gli altri, sensazione che mi spingeva a
intervenire. Ma al tempo stesso avevo sentito la sua ferma determinazione a non
partecipare, come se avesse un forte bisogno di rimanere sola con se stessa.
Inoltre, esaminando le mie credenze, mi ero accorto di oscillare fra due posizioni. Da una parte ritenevo necessario che ogni allievo eseguisse le consegne
che davo al gruppo; ma dallaltra mi dicevo che, in ultima analisi, lallievo una
persona libera e in quanto tale pu anche decidere di non aderire alla richiesta
delladulto. La prima premessa mi spingeva a intervenire facendo pressione e
anche sgridando, la seconda mi dava la possibilit di non intervenire.
Una mancanza di attenzione da parte mia a questi aspetti della realt in
gioco avrebbe potuto avere conseguenze molto spiacevoli. La bambina, se si
fosse sentita costretta a fare quello che in quel momento per ovvie ragioni
non poteva fare, mi avrebbe percepito come cattivo, come una persona da
evitare, e questo sentimento avrebbe condizionato negativamente il mio rapporto con lei non solo in quellincontro, ma anche in quelli successivi.
Questo episodio pu essere considerato un esempio di attenzione da parte
dellinsegnante.

Spostare lattenzione al campo dei sentimenti


Si pu fare scuola a un livello di consapevolezza diverso dal solito. Per
realizzare questo cambiamento sufficiente mettere in pratica quello che si
immagina come possibile.
Trasferiamoci in una classe elementare.
In questo momento linsegnante sta riprendendo un allievo che, durante

Le porte dell'attenzione

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la lezione, scherza con un compagno. Linsegnante sa, perch lo ha letto, che


spostare attenzione al campo dei sentimenti lo aiuterebbe a padroneggiare
meglio la relazione con laltro; si tratta ora di applicare questo concetto alla
situazione contingente.
Linsegnante potrebbe applicare il metodo di chiedersi, proprio nel momento in cui sta per sgridare lallievo, che sentimento prova nei suoi confronti.
Cos facendo potrebbe accorgersi di provare un sentimento di fastidio misto
ad antipatia. La consapevolezza di questo sentimento diventa una chiave di
lettura per comprendere sia le proprie reazioni, sia quelle dellallievo. Forse
lallievo, dopo poco, riprender a disturbare e sar disposto ad ascoltare linsegnante meno di prima: i sentimenti negativi che linsegnante prova, anche
se inconsapevolmente, passano nella comunicazione e allarmano lallievo,
che ha cos un ulteriore motivo per aumentare le distanze dallinsegnante
mettendo lattenzione altrove.
Quando linsegnante apre la porta che consente di accedere alla consapevolezza dei propri sentimenti, buoni o cattivi che siano, in grado di vedere
un aspetto rilevante della relazione e i suoi comportamenti abituali possono
realmente cambiare. Questa nuova percezione dinsieme, pi completa, gi
di per s un cambiamento significativo.
Qualsiasi insegnante, volendo, capace di spostare lattenzione ai sentimenti che prova mentre sta interagendo con un determinato allievo o con il
gruppo-classe, anche se fino a quel momento non ha mai compiuto questa
operazione volontariamente. Linsegnante che comincia questo lavoro di consapevolezza, inizialmente potrebbe avere delle difficolt a mettere a fuoco i
sentimenti pi sfumati, ma gradualmente imparer a farlo sempre meglio.
Con la pratica potrebbe accorgersi di provare sentimenti anche intensi verso
i propri alunni e che, volendo, i sentimenti provati possano essere messi facilmente in relazione con i comportamenti degli allievi.
Lo spostamento dellattenzione ai propri sentimenti si pu fare con un
semplice atto di volont, anche se a volte pu suscitare delle resistenze. In
qualche occasione pu creare disagio e reazioni del tipo: Io non faccio lo
psicologo..., come a dire che i sentimenti non hanno nulla a che fare con la
professione di insegnante.
In qualche altra occasione pu nascere una vera e propria paura di intrusione, espressa da frasi del tipo: Non voglio essere psicanalizzato oppure:
Parlare di sentimenti... intrusivo nei miei confronti... cosa centrano i miei
sentimenti con il mio lavoro?
Linsegnante innanzitutto una persona e, quando si mette in rapporto con

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Settimo Catalano

i suoi allievi, non pu lasciare fuori i suoi sentimenti e fare entrare in classe
solo un particolare programma didattico. Che piaccia o no, anche i sentimenti
entrano in classe con tutto il resto della persona; e, vista limportanza che
hanno nelle relazioni umane, tenerne conto una condizione basilare per
sapersi gestire la relazione con lallievo e con il gruppo-classe.

Perplessit di una insegnante


Da quello che dici sembra che si debba essere quel tanto che basta dentro
la situazione e, nello stesso tempo, sufficientemente fuori per poter leggere
quel che succede a livello relazionale e potere quindi reintervenire, aggiustando continuamente il tiro; ma per fare questo bisogna tenere conto anche di
come fatta la persona. Alcuni riescono a mantenere una certa distanza e a
porsi anche al di fuori, mentre altri, come me, sono molto emotivi, si fanno
coinvolgere da quello che succede in classe al punto da non poter riuscire a
vedere poi la situazione dallesterno. Bisognerebbe essere dentro e fuori contemporaneamente... mi sembra una forzatura.

Per dare agli allievi qualcosa in pi


Mi rendo conto che da una certa angolatura questo discorso potrebbe apparire una forzatura. Un cerchio pu apparire una linea se lo si osserva da
una certa prospettiva, tuttavia rimane un cerchio. Quando un insegnante
aumenta volontariamente il campo della propria consapevolezza, tenendo
conto di quello che succede nel relazionarsi agli altri, compie uno sforzo
mentale sicuramente maggiore rispetto a quello necessario per lasciarsi
andare alle proprie abitudini; ma questo non vuol dire che questo atto
volontario sia una forzatura. Un chirurgo, mentre opera, in uno stato
di vigilanza molto alto perch deve tenere contemporaneamente in mente
molti fattori di importanza vitale per il paziente, ma nessuno penserebbe
che questo suo sforzo mentale sia una forzatura. Inoltre un chirurgo evita
normalmente di operare dei parenti stretti proprio perch si sente troppo
coinvolto emotivamente.
Lasciarsi troppo coinvolgere una difficolt in pi quando si vuole gestire
situazioni umane delicate, dove un errore del conduttore pu essere fonte
di malessere.

Le porte dell'attenzione

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Nel mondo della scuola, una situazione delicata potrebbe essere linterrogare e il valutare le capacit di una persona davanti ad altri.
Si dovrebbe considerare che proprio tenendo docchio costantemente la
propria maniera di interagire con gli allievi che si possono evitare interventi
inopportuni. Gli allievi sono in una posizione di debolezza nei confronti del
loro insegnante e per loro conta molto quello che ladulto fa o dice. Linsegnante, per i propri alunni, una persona veramente importante.
Qualche allievo pu avere maturato con il tempo una corazza elefantina di
fronte a interventi svalutanti o punitivi da parte degli adulti che lo circondano;
tuttavia sempre disposto a togliersi questa corazza. Ma quando se la toglie
e si apre allaltro, basta poco per ferirlo.
Anche esperienze apparentemente insignificanti, come sentire il proprio
nome pronunciato nella maniera sbagliata o con un tono di voce dispregiativo,
sono sufficienti per farlo stare male; questo tipo di malessere ha linconveniente di non essere visibile.
Tenere presente come si interagisce con gli allievi vuol dire anche valutare le
possibili conseguenze dei propri interventi: questa posizione offre sicuramente
qualcosa in pi agli alunni.
Non una questione di poco conto. Il messaggio che arriva allallievo non
dipende dalle buone intenzioni del tipo in fondo gli voglio bene, ma dal
come linsegnante agisce nei suoi confronti. Un allievo sta male se si sente
bersagliato e preso di mira dai continui richiami dellinsegnante, mentre sta
bene solo quando si sente valorizzato, sostenuto e protetto.
Se linsegnante cieco nei confronti dei propri interventi non si render
conto di quanto malessere o benessere provochino sullallievo. evidente che
se linsegnante mette attenzione a se stesso e a come fa le cose pu utilizzare
i suoi interventi per promuovere anche un benessere relazionale.
Per essere fonte di benessere, pu mettere a fuoco quello di cui lallievo ha
realmente bisogno per sentirsi bene, e poi cercare di curare la propria interazione con lui per fargli arrivare i messaggi opportuni.
Per esempio, per imparare liberamente e con gioia lallievo deve sentire se
stesso come quello che in grado di fare le cose. Lallievo non pu aiutare
linsegnante a mettere a fuoco questa sua necessit, perch non sarebbe in
grado di esprimerla a parole. Linsegnante per pu cogliere questo bisogno
e aiutarlo a percepirsi cos. Come punto di partenza dovrebbe rendersi conto
che, pur non volendolo, potrebbe inviare agli allievi proprio con i suoi modi
di fare messaggi del tipo tu non sei capace e quindi, per evitare questo
inconveniente, dovrebbe prestare attenzione a come comunica.

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Settimo Catalano

Se linsegnante attento alla comunicazione invier intenzionalmente,


mentre interagisce con un allievo, i messaggi di sostegno necessari affinch
lallievo raggiunga e mantenga una buona immagine di s, come persona in
grado di ottenere successo dalle proprie azioni. Questi messaggi raramente
saranno verbali.
Quando lallievo, grazie alladulto, riuscir a percepirsi come una persona
che vale, come colui che in grado di affrontare le difficolt e le cose nuove,
tale sentimento non solo lo aiuter a imparare meglio, ma contribuir a farlo
stare bene con se stesso e con gli alri.

Attenzione alle credenze


Fare arrivare allallievo il messaggio: Tu sei capace, sei in grado di fare un
fatto cos importante che merita di essere approfondito. Linsegnante attento
alla relazione, che si propone di far passare questa comunicazione, pu infatti
trovarsi di fronte a varie difficolt; in particolare potrebbe scontrarsi sia con
le proprie credenze sia con quelle dellallievo.
Le credenze sono premesse scontate, cos evidenti per la persona da essere prese
per certe senza ulteriori verifiche o controlli. Le credenze, una volta assunte,
raramente vengono riesaminate, poich si considera una perdita di tempo metterle in discussione. Se uno crede che tenere la finestra aperta quando dorme
faccia venire il raffreddore, dormir con le finestre chiuse senza chiedersi ogni
volta se la sua credenza sia giusta o sbagliata.
Tuttavia certi problemi di relazione e di comunicazione fra le persone appaiono spesso come ostacoli insuperabili, dal momento che non si tiene conto
che proprio le premesse potrebbero essere errate.
Tutto ci particolarmente vero quando linsegnante vuole comunicare
allalunno che in grado di affrontare le difficolt e le cose nuove. Infatti, se
le credenze dellinsegnante non aderiscono al messaggio che vuol dare, cio
se linsegnante non veramente convinto delle possibilit dellallievo, tutto
diventa contraddittorio e paradossale.
Inoltre, anche le credenze dellallievo devono essere tenute in considerazione, perch quando succede che lallievo non crede nelle sue capacit e pensa:
Io non sono capace di affrontare le difficolt, linsegnante si scontra con una
credenza diametralmente opposta al messaggio che vorrebbe mandargli.
Se si verifica questa situazione, peraltro molto frequente, ci vorr molta
determinazione e ingegno per convincere lalunno delle sue reali possibilit;

Le porte dell'attenzione

35

in particolare le parole non avranno molto effetto su di lui se non saranno


seguite da conferme concrete in grado di mostrargli che quel che pensa di se
stesso non vero.
Per quanto riguarda invece le credenze dellinsegnante, la difficolt pi
grande si verifica quando anchegli si percepisce come inadeguato ad affrontare
le difficolt e le situazioni nuove.
Linsegnante deve fare i conti con questa credenza e cambiarla, perch
questa credenza fonte di continua insoddisfazione.
Per evitare un malessere sicuro e trovare il coraggio di accettare e superare
le difficolt insite nel suo lavoro, deve cambiare la percezione negativa che
pu avere di se stesso e mettere al centro la persona, valorizzando le proprie
risorse umane e la propria esperienza.
Per esempio, quando succede una disgrazia in cui muore un parente di
un proprio allievo, spesso linsegnante non si sente di affrontare largomento
della morte e continua le lezioni come se niente fosse successo. Egli non si
crede capace di affrontare un tema cos delicato e agisce di conseguenza.
Tuttavia, potrebbe mettere in discussione questa credenza e fare appello alle
sue risorse di persona: alle esperienze di morte che ha avuto nella sua vita,
alle riflessioni che come adulto ha potuto fare in proposito, alla poesia e alla
letteratura che conosce ecc. Con questo lavoro su se stesso entrer in contatto
con la propria ricchezza interiore, con il proprio valore e trover il coraggio
di affrontare largomento.
In generale, linsegnante che valorizza le proprie esperienze di vita, siano esse
piacevoli o spiacevoli, e le tiene presenti come risorsa mentre lavora, tende anche
a sentirsi capace di affrontare le difficolt che si presentano.
Linsegnante che, partendo da una posizione di sfiducia nei propri confronti,
riesce a raggiungere una nuova percezione di s, connotata dal sentirsi adeguato
ad affrontare i problemi via via che si presentano, non avr pi bisogno di proiettare i suoi insuccessi n sulle calamit esterne, n sullallievo o sui genitori, n
su altri bersagli. Inoltre sar nella posizione ideale per avere fiducia anche nelle
capacit dellallievo, per valorizzare le sue conquiste e sostenerlo nelle difficolt;
in altre parole, per assumere la credenza che anche lallievo capace.
Animato da questa convinzione gli fornir reali occasioni di successo nel
lavoro scolastico. Una serie di esperienze positive porter gradualmente anche
lallievo pi insicuro a percepirsi come colui che riesce a superare le difficolt. Questa nuova convinzione avr come conseguenza quella di favorire
lapprendimento e incrementare il benessere.
fondamentale che linsegnante cambi le proprie credenze su se stesso e

36

Settimo Catalano

si convinca di avere le risorse per affrontare a testa alta le proprie difficolt


professionali. E se da una parte pu aderire al suo valore di persona, dallaltra
ha bisogno di fatti per convincersene. Anchegli ha bisogno di successi; quindi
necessario che si metta in gioco personalmente, ed eviti di scappare dalle
difficolt quando queste si presentano, affrontandole fiducioso, con intelligenza e attenzione.
Naturalmente non sempre andr bene, e quando raccoglier insuccessi,
invece di considerarli spazzatura da buttare, dovrebbe utilizzarli come preziose
informazioni di ritorno, che potranno aiutarlo a migliorarsi. Cos, al posto di
sentirsi in colpa e deprimersi, linsegnante potrebbe dare la caccia alle cause
dei propri insuccessi.
Se invece otterr il risultato voluto, dovrebbe considerare questo successo
non come un semplice evento fortunato, ma come la logica conseguenza del
suo impegno professionale.

Spontaneit e attenzione
Luso intenzionale dellattenzione pu suscitare la critica di chi d molta importanza alla spontaneit.
La spontaneit un concetto ambiguo che pu portare facilmente al paradosso. La parola spontaneit etimologicamente si riferisce a ci che avviene
da s, senza lintervento della volont.
Ne consegue, per prima cosa, che la spontaneit non si pu volere, n si
pu pretendere, altrimenti ci mettiamo, o mettiamo qualcuno, di fronte a una
difficolt insuperabile.
In secondo luogo la spontaneit legata alle abitudini acquisite, che non
detto siano sempre buone abitudini, nel senso che non detto siano buone
in quella determinata situazione.
accaduto sovente che chi si era buttato in acqua per salvare qualcuno che
stava affogando abbia rischiato di annegare anchegli, proprio per le reazioni
spontanee della persona in pericolo che, presa dal panico, tende ad agitarsi
in maniera convulsa.
Quindi non sempre la reazione spontanea la migliore. Credere che la
spontaneit sia una cosa buona in assoluto un errore.
Per esemplificare meglio questi concetti, entriamo nella classe in cui si
trova un insegnante che, se prima era solo infastidito dal comportamento di

Le porte dell'attenzione

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un certo allievo, ora, dopo averlo ripreso pi volte senza successo, proprio
arrabbiato. cosa buona che sfoghi la sua rabbia sullallievo? Se lo facesse
sarebbe spontaneo, ma questo modo di comportarsi sarebbe opportuno?
Nella spontaneit lattenzione centra poco ed comunque del primo livello:
Se uno continua a disturbare mi arrabbio con lui.
C per unaccezione di spontaneit diametralmente opposta, dove per
spontaneit si intende quel modo di agire particolarmente vigile in cui pensiero, parola e azione non entrano in contrasto ma si sostengono a vicenda.
Se linsegnante spontaneo in questo senso, potrebbe cogliere, nel continuare a disturbare di un allievo, non gi una mancanza di rispetto, ma
lespressione di un intenso malessere.
Questa nuova percezione della situazione far nascere, in un insegnante
sensibile, la preoccupazione per il disagio dellaltro. Con questo sentimento
positivo linsegnante si sentir pi vicino allallievo e sar maggiormente in
grado di aiutarlo a superare il suo problema.

Attenzione al come ci si relaziona con i colleghi


Entriamo ora in un gruppo di insegnanti che lavora sulla programmazione.
Chi interagisce stimolato da quello che succede e segue il lavoro intensamente; gli altri si annoiano.
Chi si annoia deve rendersi conto che la causa di questo sentimento sta
anche nella sua scarsa interazione; presente con il corpo e le sue abitudini
verbali, ma poco consapevole: la sua attenzione assopita.
Un insegnante che si presenti in classe con questo atteggiamento distratto
e annoiato rischier, fra laltro, di essere imitato dagli allievi, salvo poi lamentarsi della loro distrazione.
In effetti, le nostre abitudini di comportamento nel gruppo degli insegnanti
sono poi le modalit che passiamo agli allievi quando siamo nel gruppo-classe.
In altre parole, chi interagisce tender a insegnare agli allievi anche a tenersi
ben svegli e presenti; viceversa, chi si annoia nel gruppo degli insegnanti,
finir per insegnare, oltre al resto, che in un gruppo ci si annoia.
Per cambiare questo atteggiamento, linsegnante deve porre lattenzione su
ci che va oltre la sua noia, sul campo delle relazioni, e diventare consapevole
di come egli stesso si mette in relazione con i colleghi. Solo cos potr trovare
una strada per aumentare il proprio coinvolgimento nel gruppo.
Chi ha una buona interazione nel gruppo degli adulti potr immaginare

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Settimo Catalano

di interagire altrettanto bene con gli allievi nella classe. Cos in classe sar
disponibile a modulare quello che fa in funzione della situazione reale. Si
accorger subito dalle reazioni degli allievi quando si stanno annoiando e,
di conseguenza, li stimoler a interagire per renderli pi partecipi. Questo
proprio perch nel gruppo degli adulti ha potuto verificare di persona come
linteragire tenga sveglia lattenzione, mentre la passivit procuri noia, affaticamento e insofferenza.

La sintesi del discorso


Per educare gli allievi allattenzione, necessario un insegnante che sia capace
di passare da unattenzione abitudinaria a unattenzione volontaria e di espandere la propria capacit sulle varie dimensioni dellattenzione, in particolare
sulla dimensione della mobilit. Infatti, indispensabile unattenzione mobile
e flessibile per captare dai diversi campi esperienziali le informazioni essenziali
per affrontare la complessit della realt relazionale.
proprio uno stato di aumentata vigilanza in cui lattenzione si muove
agilmente, in particolare al campo degli affetti e al campo delle credenze, che
pu consentire allinsegnante di mantenere, mentre lavora, una consapevolezza dilatata anche al come egli stesso si mette in relazione con gli alunni.
Per sviluppare lattenzione, trattandosi di padroneggiare unabilit mentale,
oltre alla teoria necessario esercitarsi molto, come succede per lapprendimento della lettura.
Con lallenamento costante, linsegnante potrebbe gradualmente imparare
a mantenere lattenzione pienamente disponibile per i propri allievi mentre
lavora con loro.

L'Attenzione Dell'Allievo

Ascolto interattivo

ccupiamoci ora dellattenzione dellallievo.


Linsegnante spiega, gli allievi ascoltano; chiediamoci come stanno ascoltando. Qualcuno sta realmente partecipando. Osserviamolo: innanzitutto focalizza udito e vista sullinsegnante, poi riconosce le parole che lo riportano a
immagini mentali conosciute, afferra il senso delle frasi che rapporta a ricordi
ed esperienze passate, si fa unidea di ci che nuovo nel discorso e, a un
certo punto, quando qualcosa gli oscuro, interviene chiedendo spiegazioni.
Questo allievo si mostrer attento per tutto il tempo in cui riu scir a mantenere questo processo interattivo.
Osserviamo ora un altro allievo dello stesso gruppo-classe, che pure ha
vista e udito puntati sullinsegnante, ma, vuoi perch non riconosce le parole, vuoi perch non riesce a metterle in relazione con ricordi ed esperienze
passate, vuoi per altri motivi di ordine emotivo, non in grado di mantenere
un ascolto interattivo. Dopo poco le parole dellinsegnante perderanno senso
e assumeranno la caratteristica di uno stimolo continuo che con landare del
tempo porter lallievo alla sonnolenza o a porre attenzione su qualcosaltro
per tenersi sveglio.
Linsegnante che non si rende conto di questo processo dir allora a questo
allievo la fatidica frase: Stai attento. Per lallievo si tratter di un messaggio

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Settimo Catalano

vago, perch non gli chiaro cosa dovrebbe fare esattamente; quindi finir per
prendere quello stai attento come un semplice rimprovero.
Daltra parte linsegnante, che non ha mai approfondito il problema dellattenzione, non in grado di dare delle indicazioni pi precise. Invece,
linsegnante che sta lavorando anche concretamente sullattenzione, interverr
su come lallievo sta ascoltando e quindi lo indirizzer opportunamente a un
ascolto interattivo.
Per fare questo, si dovrebbero utilizzare anche esperienze ed esercizi
pratici, affinch i concetti relativi allattenzione possano essere assimilati
e fatti propri.

Giocare a spostare lattenzione


Immaginiamo che linsegnante abbia familiarizzato con il concetto di attenzione tramite la lettura di questo libro e che poi, grazie a un corso specifico,1
abbia anche fatto una serie di esperienze su se stesso, esperienze che possono
essere poi riproposte come stimolo ai propri allievi. Con questo tipo di preparazione, linsegnante potrebbe dedicare alla propria classe qualche incontro
settimanale di unora per educare gli alunni allattenzione.
Organizzato lo spazio in maniera tale da consentire agevolmente il movimento e stabilito un orario settimanale, linsegnante fornir agli allievi giochi mirati
a sperimentare direttamente la funzione dellattenzione nei suoi vari aspetti.
Per esempio, per far comprendere il concetto di spostamento dellattenzione, uno dei tanti esercizi potrebbe essere quello di chiedere di intervenire
coscientemente sulla propria attenzione e di provare a spostarla dalla vista
alludito, dalludito al tatto, dal tatto ai ricordi, dai ricordi al gioco, dal gioco
alle regole del gioco ecc., facendo riflettere gli allievi sulla fatica richiesta da
questa operazione mentale.
Dopo questo lavoro ogni allievo avr sperimentato lo spostamento di attenzione consapevole e si sar fatto in merito unidea pi precisa; cos durante
le lezioni linsegnante potr, se necessario, discutere con gli allievi del tipo
di ascolto presente e richiedere opportuni spostamenti di attenzione, con la
possibilit di essere realmente capito.
1

Questi corsi per insegnanti sono concepiti come Corsi di Educazione allAttenzione

Le porte dell'attenzione

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Il Metagioco
Linsegnante che ha lobiettivo di migliorare il livello di attenzione dei
propri allievi pu favorire, come primo passo, una presa di coscienza su
questa funzione mentale, tramite giochi ed esercizi, come indicato nel
capitoletto precedente. Il passo successivo potrebbe essere quello di alzare
il livello di ascolto del gruppo-classe, stimolando il gruppo a partecipare
pi attivamente. Per fare questo, uno strumento particolarmente utile
il metagioco.
Il metagioco non va confuso con il gioco. Nel metagioco si forniscono le
modalit con cui giocare, non delle regole fisse.
Nel gioco lapprendimento marginale, mentre nel metagioco il fine
proprio lapprendimento di nuovi concetti e comportamenti. Gioco e
metagioco appartengono a livelli logici diversi. Per esempio, lindicazione:
Giocate a nascondino molto differente da quella: Fate il gioco di riuscire a far partecipare tutti nessuno escluso mentre giocate. Nel primo
caso lapprendimento si limita, per quelli che non lo conoscono ancora, a
imparare il gioco nascondino, mentre nel secondo caso gli allievi sono
continuamente stimolati a imparare a superare le difficolt di relazione e
di comunicazione, per arrivare allobiettivo di decidere un gioco e poi di
farvi partecipare realmente ogni singolo elemento del gruppo. In questo
secondo caso lapprendimento rilevante e riguarda le abilit sociali e di
relazione. Volendo, il metagioco pu essere sviluppato su altre aree dellapprendimento.
In ogni metagioco la mente dellalunno non polarizzata esclusivamente
sul compito, ma contemporaneamente anche su come lo si sta facendo. Questo doppio livello uno degli aspetti pi stimolanti di questo strumento. Se
lallievo, con laiuto dellinsegnante, si rende conto di come sta lavorando, pu
anche cambiare quando il caso il proprio modo di ascoltare e di interagire
o il proprio atteggiamento nei confronti di quellapprendimento proposto.
Accedere a questo livello di cambiamento consente di superare difficolt di
base che altrimenti si manterrebbero a lungo e di aumentare le probabilit di
avere successo nel lavoro scolastico.
Quello che segue un esempio di metagioco per stimolare un ascolto interattivo e per allenarsi a mettere attenzione sul come si ascolta.

42

Settimo Catalano

La Gara di Ascolto
La Gara di ascolto un metagioco che pu essere giocato in molte varianti che
hanno in comune lobiettivo di favorire una presa di coscienza sulle modalit
dellascolto.
Linsegnante, come prima cosa, cercher di individuare delle variabili di
ascolto: per esempio, lorientamento della vista e delludito, il riconoscimento delle parole (in particolare quelle di uso scientifico o non comune), la
comprensione delle frasi o di un discorso ecc., e tradurr queste variabili in
operazioni sensoriali, motorie o mentali. Per esempio, potrebbe individuare
le seguenti operazioni:
focalizzare lo sguardo su chi sta parlando
ripetere letteralmente le ultime parole ascoltate
individuare una parola non comune ascoltata
spiegare il significato di una certa parola ascoltata
ripetere con proprie parole il senso del discorso ascoltato
associare unesperienza o un ricordo al discorso ascoltato.
Divider poi la classe in due squadre e dar un punto di ascolto alla
squadra dellalunno che, interpellato di volta in volta dallinsegnante, sar in
grado di compiere loperazione richiesta. Mentre linsegnante spiega, dovr
fermarsi parecchie volte per porre delle domande agli allievi in merito ai
comportamenti in gioco e assegnare i punteggi. In questo modo perder s
del tempo, ma otterr, in compenso, una grande attenzione.
Linsegnante dovr cominciare il metagioco con una sola operazione e aggiungere gradualmente le altre. Per esempio, dopo aver diviso la classe in due
squadre e spiegato che si far una gara, potrebbe scrivere alla lavagna:
FOCALIZZARE LO SGUARDO SU CHI STA PARLANDO

e dire: Chi riesce a fare quello che c scritto sulla lavagna, fa guadagnare
punti alla propria squadra. Incominciamo subito. Quindi inizia una spiegazione su un certo argomento scelto precedentemente, muovendosi per laula;
dopo qualche minuto si ferma e dice: ...bene, in questo momento il mio
sguardo posto su Anna, siccome anche lei mi sta guardando, do un punto
alla sua squadra. Dopo qualche interruzione per dare altri punteggi alle due

Le porte dell'attenzione

43

squadre su questa variabile, linsegnante pu avvicinarsi alla lavagna e scrivere


la seconda operazione sotto la prima:
RIPETERE LETTERALMENTE LE ULTIME PAROLE ASCOLTATE

Quindi riprende la spiegazione. Dopo qualche minuto chiede a Mario della


squadra A: Mario, se riesci a ripetere esattamente le ultime tre parole che
ho detto prima di interrompermi, fai guadagnare un punto alla tua squadra.
Linsegnante dar a entrambe le squadre uguali opportunit e comunque per
tutta la gara sar attento a non favorire nessuno.
Quando queste prime due operazioni sono intese correttamente da tutti
si pu aggiungere la terza e cos via. Le operazioni successive possono essere
quelle decise prima di cominciare, ma anche trovate sul momento per adattarle
alle difficolt di ascolto presenti nella classe.
A ogni interruzione linsegnante pu assegnare punti prendendo in causa le
variabili che ritiene pi opportune tra quelle segnate sulla lavagna, che devono
essere comunque tutte attive. Poich gli allievi non sanno su quale variabile
saranno interrogati devono tener presente pi variabili contemporaneamente
e questo lavoro attirer alquanto la loro attenzione.
Per quanto riguarda il punteggio, se fosse necessario penalizzare una squadra, sar opportuno dare dei punti alla squadra rivale, seguendo un principio
generale del metagioco che quello di non togliere mai dei punti.
Come si pu intuire da questi pochi cenni alla Gara di ascolto, il metagioco
unesperienza che presenta molti aspetti motivanti per gli allievi. indubbio
che i ragazzi siano attratti dal fattore gara. In effetti, la situazione di gara a
gruppi soddisfa contemporaneamente il bisogno di competere, di appartenere e di
partecipare: tre bisogni fondamentali. Far guadagnare punti alla propria squadra va incontro al bisogno di dare, mentre lincremento del punteggio, dovuto
allapporto del compagno di squadra, va incontro al bisogno di ricevere.
Il metagioco, inoltre, sollecita una maggiore interazione interiore con
quanto detto dallinsegnante, creando le premesse per soddisfare il bisogno di
capire e di comprendere. Se poi largomento della spiegazione si riveler interessante, avremo unulteriore attrattiva legata alla soddisfazione della curiosit
e al bisogno di conoscere, che gradualmente potrebbe prevalere sulle altre.
Il metagioco si presenta come un sistema a feedback, dove linsegnante
indirizza e verifica continuamente lascolto degli allievi, scegliendo opportunamente loperazione su cui assegnare il punteggio. Di fatto, si produce
uninterazione costante fra ladulto che conduce il lavoro e il gruppo-classe;

44

Settimo Catalano

per questa ragione si presta a essere usato al fine di aumentare il livello di


attenzione e alzare la motivazione.
Il metagioco solo uno strumento di cui si pu dotare linsegnante per far
partecipare pi attivamente gli alunni. Se si considera importante progettare le
unit didattiche tenendo conto dellattenzione degli allievi, necessario pensare
non solo ai contenuti, ma anche a stimolare unopportuna interazione, sia con
loggetto dellapprendimento sia con gli altri.
Infatti, pi lallievo interagisce con i compagni, pi aumenta il suo desiderio
di partecipare alla vita di classe; pi interagisce con loggetto dellapprendimento
pi aumenta il desiderio di imparare.

SECONDA parte
La relazione
Insegnante-Allievo

Aspetti Generali

La natura soggettiva della percezione


e limportanza della comunicazione
Il sistema nervoso umano, eccitato continuamente da una miriade di stimoli
adeguati, la base neurofisiologica della particolare visione del mondo di
ciascun uomo.
Parte di questi stimoli sono esterni al sistema nervoso, altri invece sono
interni.
Per esempio, il volto di un amico presente eccita il SN dallesterno, invece
il ricordo del suo volto, quando questi assente, eccita il SN dallinterno. Non
c differenza sostanziale fra le eccitazioni derivanti da cause esterne e quelle
originatesi da cause interne, tranne il fatto che le prime sono generalmente
molto pi vivide delle seconde, anche se ci sono delle eccezioni: nel sogno,
infatti, certe immagini (eccitazioni interne al sistema) possono apparirci
molto nitide.
In generale, il sistema nervoso di qualsiasi essere vivente a seconda della
sensibilit a certe forme di stimolo piuttosto che ad altre e del tipo di selezione ed elaborazione degli stimoli determina in ogni organismo una propria
percezione del mondo che solo allinterno di ciascuna specie si presenta
abbastanza simile.
Anche unape ha un sistema nervoso ed in grado di percepire, selezionare
ed elaborare gli stimoli, ma in maniera cos peculiare alla sua specie che se
luomo potesse vedere il mondo con le modalit sensoriali dellape, la stessa

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Settimo Catalano

realt oggettiva gli apparirebbe fantasmagoricamente differente, e nessuna


alterazione della percezione prodotta dalle sostanze pi allucinogene potrebbe
mai eguagliare questa visione.
Per quello che riguarda lessere umano, nella percezione globale del mondo
che un determinato individuo ha in un certo momento, le sensazioni provocate da stimoli esterni che arrivano tramite i canali sensoriali rivestono
unimportanza relativa, mentre sono rilevanti i bisogni, i ricordi, i desideri,
le emozioni e le credenze. Siccome tutti questi ultimi fattori sono sempre e
comunque differenti per ciascuno, evidente che due persone non potranno
mai avere la stessa percezione: anche due gemelli omozigoti, per quanto dotati
di sistemi nervosi quasi identici, davanti allo stesso tramonto avranno due
percezioni globali differenti.
la soggettivit, e non loggettivit, la vera natura della percezione: ciascun
uomo avr sempre una propria visione del mondo, significativamente diversa
da quella di qualsiasi altro.
Per questa ragione nessuno potr realmente sentirsi se stesso se non diverr consapevole di come il proprio modo di vivere la realt sia unico e non
assimilabile a quello di nessun altro, ovvero se non prender contatto con la
sua unicit.
Daltro canto, per superare la solitudine che potrebbe derivare dalla certezza
di essere unici, e quindi diversi da tutti, lunico modo sviluppare una buona
comunicazione con chi ci sta vicino.

K La bambina che tirava calci


Racconto spesso questo episodio perch lo trovo molto significativo.
Diversi anni fa, entrai in una classe (terza elementare) per il mio consueto
intervento, finalizzato allo star bene insieme.
Al termine del primo incontro, tutti sembravano molto contenti; in particolare mi colp lentusiasmo di una bambina che si era mostrata pi attiva di
tutti. Al momento del commiato, mentre gli allievi stavano uscendo dallaula
(era lultima ora della mattina), la bambina in questione mi si avvicin e mi
tir con forza un calcio, appena sopra la caviglia. La sorpresa fu tale che, invece di reagire istintivamente, mi misi a pensare alla stranezza del fatto. Comera
possibile che la bambina pi coinvolta nellesperienza, che era riuscita a imporsi e a instaurare un rapporto privilegiato con me, avesse una reazione cos

Le porte dell'attenzione

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bizzarra? Formulai velocemente lipotesi che si aspettasse da me una reazione


di rabbia: forse si era fatta lidea che gli adulti si arrabbiano facilmente. Con
quellestrema modalit di comunicazione era come se mi dicesse: S, mi hai
fatto divertire, ma sarai anche tu come tutti gli altri adulti: basta provocarti
che viene fuori laltra faccia della medaglia.
Non mi ero ancora ripreso dalla sorpresa che cominci a darmi altri calci.
Allora iniziai a scappare l intorno mettendo il massimo di attenzione per evitare di farmi prendere. Contemporaneamente le dissi: Giochiamo: tu cerchi di
prendermi con i piedi e io scappo. Cos, intanto che i bambini si mettevano
in fila, noi facevamo questo gioco. Eravamo tutti e due molto concentrati:
lei cercava di raggiungermi con le sue pedate e io di evitarle.
I compagni e linsegnante erano sconcertati in quanto non riuscivano a
comprendere se si trattasse veramente di un gioco. Daltra parte io non solo
non la sgridavo ma, al contrario, la incitavo e quando riusciva a toccarmi con
i piedi, le dicevo: Brava! Poi riprendevo a scappare con rinnovato impegno.
Alla fine linsegnante le disse che era ora di andare; lei ubbid docilmente e si
avvi alluscita della scuola insieme agli altri.
Una settimana dopo anche il secondo incontro and benissimo, ma al termine si ripet la stessa scena: ora per il gioco cominciava a piacere anche a
qualche altro bambino che si un a lei nel darmi calci e per me, anche se correvo pi velocemente di loro, il gioco divenne impegnativo; riuscii comunque
a evitare la maggior parte dei calci.
Alla fine del terzo incontro, questo gioco si ripet nuovamente. Ora, per, molti
partecipavano ed era chiaro che quanto stava accadendo era percepito da tutti
come un gioco. I bambini si erano convinti che io non solo non mi arrabbiavo,
ma anche mi divertivo; era come giocare a prendersi con i piedi al posto che
con le mani e i calci dati persero la loro connotazione violenta. Poi arriv il momento di mettersi in fila per uscire, allora accadde un fatto sorprendente: con un
tono di voce dolcissimo la stessa bimba che un attimo prima si era mostrata cos
aggressiva nel prendermi a calci, mi disse: Mi dai la mano? Tanto avevo sentito
rabbiosi i suoi calci, tanto sentivo piena di affetto questa sua richiesta. Fui preso da
unintensa commozione e, tenendola per la mano, la accompagnai alluscita dove
aspettammo insieme la madre. Tutta la sua collera si era sciolta in affetto.
Ogni volta che ricordo questo episodio riprovo unintima commozione: in
realt quella bimba, malgrado lapparente voglia di fare male, aveva un forte
bisogno di voler bene e si tormentava allidea che bastasse un niente per far
cambiare laffetto nel suo opposto.
La rabbia delladulto viene infatti percepita dal bambino come uninterru-

50

Settimo Catalano

zione del volersi bene. Ma questo volersi bene a corrente alternata pu provocare un grande sconforto. Cos, per evitare il pericolo che laffetto finisca
bruscamente, ci si difende interrompendo di proposito tutte le situazioni
affettivamente coinvolgenti. Questo meccanismo inconscio tende a difendere
la persona da vissuti affettivi spiacevoli: rifiutando per primi si evita di sentirsi
rifiutati. Tuttavia una soluzione poco soddisfacente, in quanto lesperienza
penosa della separazione affettiva rimane.
Per fortuna io non presi questo tirare calci come un semplice messaggio
di rottura, ma come una maniera distorta per esprimere un intenso bisogno
di continuit affettiva. Per la bambina, la mia reazione fu la prova che il
legame di affetto con me era saldo e non soggetto a brusche interruzioni, e
cos abbandon il suo meccanismo di difesa: in fondo era proprio quello che
cercava. Infatti negli incontri successivi la bambina non present pi alcun
comportamento violento, e con me divenne anzi molto affettuosa.

Per evitare emozioni distruttive


Per chi insegna, lemozione distruttiva pi frequente la collera. Essa ha un
impatto fortemente disturbante sullallievo e dovrebbe essere il pi possibile
evitata. Evitare la collera non vuol dire per inibirla o soffocarla, ma creare
quelle condizioni mentali su cui questa emozione non possa attecchire. Nellepisodio appena narrato, il fatto rilevante che il calcio della bambina non
ha automaticamente provocato nelladulto che lha ricevuto unemozione di
rabbia. Sarebbe potuto accadere, ma non accaduto.
Non si trattato di una finzione, ma di una lettura diversa dal solito del
fatto prendere un calcio. Nella lettura della realt sono fondamentali le credenze-premesse. Se si mette attenzione al processo attraverso il quale si arriva
ad arrabbiarsi, si scopre che lelemento scatenante non la provocazione, ma
una premessa che diamo per scontata. Crediamo cio che:
1) Chi ci fa male, chi ci provoca, lo fa per il piacere di vederci in difficolt.
Questa credenza si rende operativa ogni volta che ci si sente aggrediti.
Volendo, per, la si pu rendere consapevole con unattenzione del secondo
tipo, mirata al campo delle credenze, per poi eventualmente cambiarla con
una pi adeguata alle circostanze. Per esempio, nellepisodio della bimba che
dava i calci, proprio grazie a questo tipo di attenzione, ho realizzato in tempo
utile quanto potesse rivelarsi distruttiva la credenza (1) e lho sostituita con
la seguente, ben diversa:

Le porte dell'attenzione

51

2) Chi sente il bisogno di farmi male, lo fa perch innanzitutto lui che sta
male.
In effetti pi logico pensare che se la bambina in questione si fosse realmente trovata in una situazione di benessere psicologico, non si sarebbe messa
nelle condizioni di perdere questo benessere con comportamenti violenti.
Con questa nuova premessa la mia percezione globale del fatto essere
preso a calci cambi significato da: La bambina si diverte a vedermi in difficolt a La bambina mi sta portando dentro al suo malessere perch ha bisogno
di essere compresa e di essere aiutata a venirne fuori. Linterazione con le mie
credenze mi port a percepire le provocazioni della bambina non pi come
una minaccia, ma come una richiesta daiuto. Questo spiega perch la mia
reazione con la bambina non fu connotata da sentimenti negativi.
In generale, nel momento in cui si sostituisce la credenza (1) con la (2),
chi provoca non verr pi percepito come un soggetto forte e sicuro di se
stesso che ci rifiuta, ma come una persona debole e bisognosa di aiuto; di
conseguenza al fastidio o alla rabbia si sostituir la tendenza a dare appoggio
e comprensione.
Le considerazioni fatte portano alla conclusione che per evitare emozioni
distruttive bisogna agire sulle credenze e non direttamente sulle emozioni.
Infatti le emozioni sorgono spontaneamente dalla percezione globale di
una determinata situazione e il loro sorgere non sotto il controllo diretto
della volont.
Le credenze, invece, bench assunte spesso inconsapevolmente, possono
essere rese consapevoli, analizzate e cambiate.
Quando le credenze cambiano, si verificano notevoli trasformazioni nella
percezione dinsieme e, indirettamente, si hanno modificazioni notevoli anche
per quanto riguarda i sentimenti e le emozioni.
Agendo proprio sulle emozioni, si pu ottenere un certo contenimento o
un certo controllo per quanto riguarda il modo di esprimerle. Forse si pu
addirittura, tramite un notevole sforzo mentale, trasformarsi in sfingi e impedirsi una qualsiasi espressione verbale o non-verbale, ma gli effetti di quella
determinata emozione rimarranno dentro di noi e non si potr eliminarli o
cambiarli con la volont, com invece possibile agendo sulle credenze.
Per queste ragioni non si dovrebbe definire buono chi reprime la rabbia,
poich questi solo un represso e, presto o tardi, in una maniera o nellaltra,
la tirer fuori. Si dovrebbe chiamare buono chi adotta credenze adeguate a evitare
emozioni distruttive e a favorire sentimenti di comprensione.

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Settimo Catalano

Benessere e piacere
Il termine buono in corsivo perch viene usato qui con unaccezione particolare. Non si riferisce a una qualit statica, ma allabilit di far star bene se
stessi e gli altri.
Essere buono in questo senso dovrebbe essere per gli insegnanti non un
lusso, ma un obiettivo da raggiungere e mantenere, poich non concepibile
che gli allievi imparino in un clima di malessere. Tuttavia la ricerca dello star
bene non deve essere confusa con la ricerca del piacere. Benessere1 e piacere
sono concetti differenti.
In questo ambito con benessere intendiamo un modo di essere che si prolunga nel tempo e che non legato a oggetti particolari, mentre con il termine
piacere ci riferiamo a una sensazione limitata nel tempo, legata quasi sempre
a "oggetti di piacere".
Il benessere, a differenza del piacere, non in contraddizione con la fatica
o con le sensazioni spiacevoli. Pensiamo, per esempio, a una persona che,
pur non avendo mal di denti in quel momento, si sottopone a una cura preventiva per eliminare delle piccole carie. Anche se il dentista pu usare tutta
la sua abilit per non farle sentire male, la seduta non sar certo piacevole,
ma alla fine la persona eviter dolorose conseguenze. In questo caso, per
ottenere un benessere, stato necessario sottoporsi a delle sensazioni spiacevoli. Per quanto riguarda la fatica, si pensi come la soddisfazione di avere
imparato qualcosa di nuovo segua allimpegno esercitato per impadronirsi di
quellapprendimento, o come si possa stare veramente bene dopo una lunga
e faticosa passeggiata in montagna. Il piacere, invece, si oppone quasi sempre
alle sensazioni dolorose e alla fatica.
Laspetto forse pi rilevante del benessere che esso ingloba gli altri che ci
circondano, nel senso che non possiamo essere in uno stato di benessere se
stiamo male con chi ci vicino. Il benessere , in primo luogo, una qualit
della relazione con gli altri e ha perci una connotazione altruistica, mentre la
ricerca del piacere porta a evitare di affrontare ci che faticoso nelle relazioni
umane e ha perci una connotazione egocentrica.
Si crea in effetti una grande confusione quando si fa luguaglianza edonistica: benessere = piacere. Cos facendo si comincia a fuggire dalla fatica
in quanto non piacevole e, dato che il benessere sempre il frutto di una
conquista, contemporaneamente ci si mette nelle condizioni di non poterlo
ottenere. Sapere che limpegno nellaffrontare le difficolt porta al benessere,

Le porte dell'attenzione

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mentre il disimpegno e il non-fare creano malessere sar di grande aiuto per tutti,
in particolare per insegnanti e allievi.
Se vero che benessere e piacere non sono concetti sovrapponibili, anche
vero per che non sono antitetici.
Sono state messe in risalto alcune differenze, proprio perch spesso li si
confonde. Tuttavia evidente che i due concetti possono benissimo non
escludersi a vicenda. Infatti lo stato di benessere d spesso piacere, cos
come la condivisione e la reciprocit di vissuti di piacere crea spesso anche
benessere.
di basilare importanza notare che fra le azioni che possono portare al benessere, alcune sono di tipo puramente mentale, come luso mirato dellattenzione
grazie al quale le credenze egocentriche e egoistiche possono essere rivisitate e
cambiate. Esempio lampante lepisodio della bambina che tirava i calci.
Spesso, gli insegnanti che mi osservano lavorare mi dicono frasi del tipo:
Come fai a essere cos paziente, io al tuo posto mi sarei arrabbiato moltissimo.... Bene, il segreto sta nel fatto che in quella situazione ho una lettura
della realt diversa, che genera comprensione al posto di sentimenti distruttivi
come il fastidio, il risentimento o la rabbia. Debbo per altro dire che ci
frutto di un uso intenzionale dellattenzione e che, viceversa, quando perdo
questo stato di presenza vigile, mi lascio fuorviare dalle vecchie abitudini e
mi arrabbio, mio malgrado, come tutti.

Comunicare tenendo conto delle proprie


emozioni
Abbiamo visto nel primo capitolo come linsegnante pu spostare la sua attenzione sui propri sentimenti e prenderne coscienza. unoperazione mentale
che linsegnante pu fare in qualsiasi momento; infatti, anche mentre agisce,
linsegnante pu rendersi conto dei sentimenti che lo coinvolgono senza
necessariamente interrompersi, dato che azione e sentimenti appartengono
a campi diversi. Quindi, come possibile vedere e ascoltare contemporaneamente, per le stesse ragioni sempre possibile agire e nello stesso tempo
tenere presenti i sentimenti.
La consapevolezza dei propri sentimenti uno strumento indispensabile
per gestire la relazione con laltro.
anche importante tenere conto delle proprie emozioni. Le emozioni si
impongono allattenzione per i loro effetti avvertibili a livello corporeo, quindi

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Settimo Catalano

da una parte sono pi evidenti dei sentimenti, ma dallaltra creano un certo


stato di allarme perch le alterazioni fisiche sono avvertite come perdita di
controllo. Per questa ragione le emozioni confondono e abbassano generalmente il livello delle nostre prestazioni, di conseguenza quando si manifestano
dobbiamo considerare attentamente il fenomeno.
Per esempio, nel momento in cui un insegnante si sente arrabbiato con
un certo allievo, potrebbe evitare di rivolgersi a lui direttamente, perch comunicherebbe soprattutto un messaggio di rifiuto. Considerando che non si
pu cancellare lemozione quando presente, la strada pi semplice quella
di evitare di intervenire su un allievo con questa rabbia in corpo e rimandare
lintervento a quando lo stato emotivo sar meno invasivo. Linsegnante potrebbe invece confrontarsi con lemozione che sta provando, perch il vero
problema non lallievo, ma questa condizione emotiva che distorce la comunicazione. Se fosse necessario intervenire, la consapevolezza che questa
emozione rappresenta un serio impedimento nel rapporto aiuter linsegnante
a non scaricare la sua tensione sullallievo, ma a ricercare modi di comunicare
meno distruttivi.
Come si mettono i paraocchi a un cavallo che si deve muovere nel traffico
cittadino, per evitare che il movimento brusco di qualche oggetto ai lati lo
faccia spaventare, cos una persona, quando tesa, per evitare un aggravio di
tensione, tende a mettere a se stessa i paraocchi, a irrigidirsi e a strutturare
quanto pi possibile le situazioni. Questo processo raggiunge il suo grado
massimo quando si arrabbiati o, in generale, quando si preda di forti emozioni. I paraocchi, sinonimo di rigidit, sono perci anche la conseguenza di
uno stato di tensione e, in queste situazioni, hanno una loro utilit.
Quando per linsegnante libero dalla tensione e ha recuperato una
certa tranquillit, paraocchi e rigidit sono solo un ostacolo al rapporto con
lallievo.
Lo stato di calma e di serenit sicuramente la condizione ottimale per
aprire lattenzione e rivedere la nostra maniera di metterci in rapporto con
gli allievi con cui abbiamo avuto dei problemi. La serenit danimo va quindi
attivamente ricercata: necessario imparare a trattare con le proprie emozioni
proprio per evitare quei comportamenti che fanno lievitare la tensione.
Quando linsegnante riesamina una situazione difficile di rapporto con
un determinato allievo, diventa illuminante riportare alla memoria ci che
successo a livello emotivo. Anche per questa analisi retrospettiva necessario
sviluppare unattenzione particolare a questo campo della realt.
Linsegnante prova in ogni momento affetti pi o meno sfumati, pi o meno

Le porte dell'attenzione

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forti, pi o meno identificabili. Ora, questi sentimenti ed emozioni possono


transitare dentro la persona senza essere presi in considerazione e venire
subito dimenticati, oppure vi si pu porre la giusta attenzione. Comunque
sia, passeranno inevitabilmente allaltro attraverso le componenti non verbali
della comunicazione (gesti, movimenti, tono della voce ecc.). Come vero
che con le parole comunichiamo i contenuti del nostro pensiero, altrettanto
vero che con il tono di voce e con i movimenti comunichiamo sentimenti ed
emozioni e, se non vi prestiamo attenzione, difficilmente potremo capire le
reazioni degli allievi, sui quali incide maggiormente proprio questo aspetto
non-verbale.
Dato che ogni comunicazione si svolge allinterno di un contesto emotivoaffettivo, non si pu avere padronanza nella comunicazione senza attenzione
al campo degli affetti.
Se nel corso di una partita a pallone un giocatore subisce un fallo e va
dallarbitro a lamentarsi, bene che tenga in conto la propria rabbia e moduli
il linguaggio e il tono della voce se non vuole ritrovarsi, oltre al fallo, anche
un cartoncino giallo.
Come si giudica labilit di uno sciatore dalla capacit di superare percorsi
ripidi e difficili, allo stesso modo si giudica la padronanza nella comunicazione
dalla capacit di farsi comprendere anche in situazioni fortemente emotive.

La Relazione Affettiva

Lallievo in fuga dallinsegnante

ormalmente, in una classe linsegnante mantiene un rapporto con tutto


il gruppo e, allo stesso tempo, si relaziona ora con questo, ora con quellallievo. Ogni insegnante intuisce che un buon rapporto con la classe si ottiene
attraverso un buon rapporto con ogni singolo allievo.
Meno intuitivo invece, il fatto che, per ottenere un buon rapporto con il
singolo allievo, sia necessario porre attenzione al contesto affettivo che laspetto
pi importante del rapporto in quanto influisce in larga misura sulle reazioni
dellaltro. Con alcuni allievi sar facile instaurare un contesto affettivo favorevole, con altri pi difficoltoso. Con altri ancora, per, si presenteranno difficolt
tali da rendere necessario un intervento mirato da parte dellinsegnante.
Il caso pi frequente rappresentato da quegli allievi agitati e distratti che
nascondono sotto questo atteggiamento un sentimento di timore proprio nei
confronti del loro insegnante. Questo timore rappresenta un grave ostacolo alla
relazione. Nei casi pi gravi il timore si trasforma in paura e linsegnante viene
visto come una specie di uomo nero o di strega malefica. Per quanto i comportamenti dellallievo possano essere vistosi, spesso per linsegnante non sa
riconoscere questo sentimento di timore/paura. Lallievo, infatti, anche ammesso
che ne sia cosciente e che abbia la capacit di esprimersi verbalmente in materia
di sentimenti, non pu certo parlarne proprio allinsegnante di cui ha timore.
Inoltre questo sentimento, di cui lallievo pu essere pi o meno consapevole,
non dipende necessariamente da un atteggiamento aggressivo dellinsegnante: lo
stesso insegnante, infatti, pu essere vissuto positivamente da un altro allievo.

Le porte dell'attenzione

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Quello che succede di norma che linsegnante finisce per concentrarsi sulla
distrazione dellallievo anzich sul sentimento di timore che lha provocata e che
costituisce invece il vero problema. Infatti il timore influisce sulla relazione nel
senso che spinge lallievo a mantenersi a distanza dallinsegnante e a scappare
quando sente che linsegnante si rivolge direttamente a lui. Naturalmente non
pu allontanarsi con il corpo, che per altro rimane in uno stato di agitazione; cos
fugge con i sensi ascolta e guarda altrove o, se questo non possibile, ascolta e
guarda con locchio della mente le proprie fantasticherie. Se il timore inizia a crescere fino a trasformarsi in unemozione di paura, si pu assistere a una fuga non
pi mentale, ma fisica: lallievo comincia a scappare per laula e, nelle situazioni
pi gravi, quando lemozione diventa insopportabile, succede che infila la porta
e scappa per i corridoi. Normalmente, linsegnante non riesce a farsi una ragione
di questi comportamenti, ma, anche quando ne individua lorigine emotiva, quasi
sempre non pu risalire alle cause e capire come mai un allievo provi timore e
paura e un altro no. In effetti alcuni allievi manifestano questo sentimento prima
ancora che linsegnante abbia fatto qualcosa con loro. Tuttavia linsegnante non
pu permettersi di lasciarli in queste condizioni, perch il rapporto risulterebbe
molto faticoso e ben poco produttivo, creando cos problemi a tutta la classe; per
il proprio benessere, per quello dellallievo in questione e per quello della classe,
deve dunque intervenire. Ma lobiettivo devessere la trasformazione del sentimento di timore, che il vero ostacolo, in un sentimento di fiducia e di protezione.
Se linsegnante risponde alla situazione sgridando lallievo perch distratto, il
timore aumenter e, con esso, latteggiamento di fuga.
In generale, quando si presenta un problema di relazione con un allievo, linsegnante che desidera affrontare questo ostacolo e superarlo dovr porsi come
primo obiettivo quello di creare un contesto affettivo che sciolga il timore, per
evitare nellallievo questo atteggiamento di fuga. Per far questo necessario cambiare i propri schemi mentali e leggere la realt in base a premesse diverse.

Un esempio di riformulazione delle credenze a


proposito dei muri che ci separano dallaltro
Qualche tempo fa, mentre conducevo un seminario sulla comunicazione,
uninsegnante prese la parola e, parlando del proprio gruppo-classe, si espresse
in questi termini: Con alcuni allievi si riesce a superare le difficolt e a instaurare un buon rapporto, ma con altri c un muro che sembra impossibile
da abbattere. Non aveva dubbi che le cose stessero cos.

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Settimo Catalano

Quindi la percezione del proprio gruppo-classe era condizionata dalla


credenza che gli alunni si possano suddividere in due categorie: quelli con cui
possibile instaurare un rapporto positivo e quelli con cui non affatto possibile. (1)
Questa convinzione metteva linsegnante in una posizione di stallo tutte
le volte in cui pensava di trovarsi di fronte a un allievo con il quale riteneva
impossibile entrare in rapporto.
Chiedo ora a chi legge di seguirmi in unanalisi dettagliata di questa credenza generale. Lintenzione quella di identificare una serie di convinzioni,
comprese nella credenza generale (1), e riformularle a una a una in modo da
poter uscire dalla posizione di stallo.
Lallievo oggetto di questa analisi quello con il quale linsegnante, dopo
ripetuti tentativi, giudica impossibile instaurare un rapporto costruttivo. Linsegnante in questione percepisce un muro invisibile che li separa.
Le convinzioni di partenza saranno scritte in corsivo, quelle riformulate saranno scritte in neretto, per porle in evidenza. A ogni convinzione di partenza
seguir una breve argomentazione a sostegno della relativa riformulazione.
Credere che non sar mai possibile demolire questo muro rende vano qualsiasi
ulteriore tentativo. Inoltre, non logico dare per certa una previsione del
futuro, soprattutto in questo campo. La riformulazione di questa credenza
potrebbe essere:
la situazione di stallo relazionale presenta serie difficolt, lo dimostra il
fatto che fino a questo momento i tentativi effettuati non hanno dato frutto.
Tuttavia la possibilit di superare questa situazione esiste realmente.
Credere che prima o dopo il muro cadr da solo crea ansia perch non d
alcun controllo sulla situazione e ci mette nelle condizioni di aspettare
allinfinito come nellopera teatrale Aspettando Godot. Sar pi produttivo,
invece, credere che:
linsegnante pu mobilitarsi e assumere un atteggiamento attivo.
Credere che linsegnante non sia in grado di affrontare situazioni difficili
frustrante e facilita sentimenti di impotenza; pi positivo riprendere il
contatto con le proprie potenzialit e pensare che:
linsegnante pu affrontare situazioni difficili.
Credere che si arriver al punto in cui le soluzioni tentate saranno tutte le soluzioni possibili limitante e prima o poi bloccher la situazione mentre, per
evitare che il campo delle possibilit si chiuda, pi proficuo credere che:
sempre possibile un ulteriore tentativo.

Le porte dell'attenzione

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Credere che i sentimenti dellinsegnante non entrino nel gioco della comunicazione un errore, mentre corretto credere che:
i sentimenti dellinsegnante non solo entrano nella dinamica relazionale,
ma sono anche laspetto rilevante della relazione stessa.
Credere che i comportamenti dellallievo siano completamente oscuri e che
non sia possibile farsi unidea del "come mai" reagisca con quella determinata
modalit carenza di immaginazione e non ci permette di formulare ipotesi
n di intervenire coscientemente per verificarle. Ci consente di gestire la
situazione credere che:
sempre possibile formulare unipotesi coerente sul modo di fare dellallievo.
Credere che si sia soli ad affrontare questo problema non realistico, perch
esistono quasi sempre altre persone importanti per lallievo con le quali
possibile affrontare insieme il problema: genitori, altri parenti o adulti di
riferimento, altri insegnanti, operatori sociosanitari e anche quei compagni
da cui lallievo attratto. Questa credenza si basa anche sulla sfiducia nella
nostra capacit di comunicare con queste persone e di coinvolgerle in un
intervento educativo. meglio avere fiducia in noi stessi e credere che:
lavorare insieme agli altri pi produttivo e noi ne siamo capaci.
Credere che questo muro rappresenti un dispetto nei confronti dellinsegnante
e sia frutto di cattiveria, non rende onore alla persona dellallievo, lo mette
in cattiva luce ed indice di insicurezza da parte dellinsegnante che, con
questa credenza, mostra di preoccuparsi solo del proprio disagio. indice
di considerazione verso la persona dellallievo credere che:
questo muro rappresenti semplicemente una maniera di fuggire dal
rapporto con linsegnante.
Credere che lallievo desideri fuggire dal rapporto con linsegnante come
credere che allallievo piaccia restare solo con se stesso, pur avendo la
possibilit di avere un appoggio da un adulto per lui importante. Ma
questo non vero; infatti pu succedere che se proviamo a non curarci
di lui, lallievo sia scontento e richiami la nostra attenzione. molto pi
realistico credere che:
lallievo desidera entrare in rapporto con linsegnante, ma, per il momento, non in grado di farlo.
Credere che lallievo non sar mai capace di entrare in rapporto con linsegnante trasforma linsegnante in un giudice che condanna lallievo a rimanere

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Settimo Catalano
per sempre senza il suo appoggio di adulto. Per evitare questa drastica presa
di posizione necessario credere che:
sempre possibile per un allievo imparare a entrare in un rapporto costruttivo con linsegnante.

Con questa riformulazione delle credenze linsegnante non ha risolto il suo


problema con quellallievo: il muro ancora l. Tuttavia, le nuove premesse gli
consentono di non rimanere bloccato e aprono la strada al cambiamento.

Ogni allievo unico


Per linsegnante che fa sue le premesse appena esposte, diventa possibile
ricercare un buon rapporto anche con lallievo che considera molto distante
da s. Per realizzare questo obiettivo importante che linsegnante esamini
limmagine mentale che ha del suo allievo. Facilmente rilever che questa
immagine non ben definita, ma sfuggente, e che questa percezione vaga
dellaltro gli procura ansia e timore.
Per instaurare un valido rapporto necessario approfondire la conoscenza dellallievo in questione, fino ad averlo chiaro nella propria mente come
individuo non confondibile con altri. In effetti si pu affermare che una relazione fra due persone sia psicologicamente significativa quando ognuno ha
dellaltro unimmagine che lo differenzia da tutto il resto e che lo identifica
come unico.
In un campo di margherite ci si pu beare della vista del campo nel suo
insieme, ma, se si vuole coglierne una, la si deve identificare per sapere dove
indirizzare la mano; in altre parole, ci si deve mettere in rapporto proprio con
quella determinata margherita. Nel momento in cui viene preferita alle altre,
quella margherita, per la persona che lha scelta, non pi una margherita
qualsiasi, ma un individuo preciso con il quale c una relazione, e che rimane in risalto rispetto a tutto il campo, di cui per altro continua a fare parte,
almeno finch il fiore non verr colto.
Ora, sentirsi parte in relazione con lambiente che lo circonda , per luomo,
biologicamente e psicologicamente sano; mentre non affatto sano sentirsi
confuso con lambiente. Nella confusione predomina la mancanza di identit,
non la relazione. Una goccia di pioggia rimane tale finch non tocca la superficie delloceano. Dopo questo momento oceano e goccia non sono pi
separabili, ma sono fusi in ununica realt.

Le porte dell'attenzione

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Ora, psicologicamente, lallievo ha bisogno di sentirsi un individuo unico.


La condizione perch questo accada che si senta in rapporto-con-laltro e non
confuso-con-laltro. Se manca questo sentimento non c relazione, ma confusione. Viceversa, questo vissuto di unicit accompagna sempre la relazione.
Quindi, se si vuole stabilire un reale rapporto con lallievo, necessario che
linsegnante mantenga unattenzione speciale verso lallievo fino a che non
sia pi possibile confonderlo con nessun altro e rimanga in mente come una
persona ben identificata e unica. Questa attenzione speciale consiste sia nel
rendersi conto delle proprie reazioni emotive e dellinfluenza distorcente che
possono avere queste emozioni nella costruzione dellimmagine dellaltro, sia
nel tentare di liberarsi da qualsiasi pregiudizio sullallievo separando quelle
che sono le proprie idee sullaltro da quello che laltro in realt: si tratta di
identificare le proprie opinioni sullallievo proprio per tenerle separate dalla
persona dellallievo, considerandole solo ipotesi e non certezze. Lallievo in
effetti sar sempre al di l di qualsiasi idea o preconcetto: da questa consapevolezza nasce il vero rispetto per laltro, la vera relazione con laltro. Altrimenti si stabilisce una sorta di confusione, nel senso che si attribuisce allaltro
qualcosa che in effetti appartiene a chi giudica e valuta. Cogliere lunicit di
un allievo non vuol dire quindi inquadrarlo, ma mettere a fuoco e sentire la
persona, realizzandola interiormente come non uguale e non confondibile con
gli altri. Raggiunto questo, si ha il passaggio dalla confusione con laltro al
rapporto con laltro.
Una volta, in un gruppo di lavoro, una maestra elementare disse queste
parole: Effettivamente noi insegnanti, pur avendo partecipato a diversi corsi
e letto molto, ci dimentichiamo di avere delle persone in carne e ossa davanti
a noi e non il bambino in generale della psicologia o della pedagogia. Le teorie finiscono per diventare pi importanti della realt: si sa come il bambino
modello dovrebbe comportarsi e cos si confronta ogni allievo con questo
schema per rilevarne le discrepanze. Se il suo comportamento si scosta da ci
che ci si aspetta da lui, si rileva una mancanza, un vuoto, per cui tutte quelle
cose che fa e che potrebbero caratterizzarlo come individuo particolare, non
rientrando nelle nostre aspettative di insegnanti, finiscono per non essere
prese in considerazione. Infatti noi insegnanti, in questi casi, diciamo che
lallievo non fa niente. Cos, ci dimentichiamo di avere davanti, per esempio,
proprio Francesco, Laura, Giovanni...; di fatto, fino a quando non si conoscono i propri allievi in quanto persone, non si pu avere una reale intesa e
comprensione con loro.

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Settimo Catalano

Bene. Quando linsegnante non riesce a vedere quel singolo allievo come
speciale e unico, il messaggio che invier sar: Per me sei un allievo come
tanti. Vale a dire un ruolo, una categoria in generale. Questo messaggio non
solo fonte di malessere, ma manca anche di logica, in quanto confonde
lelemento dellinsieme con tutto linsieme.
Linsegnante, lallievo, il genitore o lo psicologo in generale sono astrazioni, utili
solo per pensare in termini generali. Nella realt, invece, esistono quellinsegnante, quellallievo, quel genitore, quello psicologo, individui unici e irripetibili.
Ogni allievo si specchia nel proprio insegnante e quando, nellimmagine
che linsegnante gli rimanda, si vedr non come oggetto privo di identit, ma
come una persona, sar felice, e divider la sua gioia con chi glielha data.

Sentirsi valorizzato come persona


Ora, nella realt quotidiana di ogni gruppo-classe, quello che si pu osservare
che linsegnante riesce a instaurare in breve tempo un rapporto reciprocamente soddisfacente solo con alcuni alunni, mentre con altri ha bisogno di
pi tempo; con altri ancora, dopo ripetuti tentativi, si rassegna e accetta uno
stato di non-rapporto.
in queste ultime situazioni che linsegnante parla di muri invalicabili,
nei confronti dei quali si sente impotente. Abbiamo visto che, per superare
lostacolo, necessario, prima, rivedere e riorganizzare le nostre credenze, e
poi raggiungere la percezione della peculiarit di quel determinato individuo.
Il passo seguente dovrebbe essere quello di fare arrivare allallievo con cui
abbiamo trovato difficolt questa nostra nuova percezione di lui.
Questo messaggio non sempre arriva facilmente. Lostacolo sta nel fatto che
lallievo, del tutto inconsciamente, spesso ha assunto, dalle proprie esperienze di
relazione, una certa confusione circa la propria identit. Tuttavia, per quanto possa
essersi sentito disconfermato dagli altri, manterr un profondo bisogno di aderire a
se stesso e al suo valore di persona e di essere riconosciuto dagli altri come tale.
Quando linsegnante riuscir a raggiungere questa percezione di unicit nei
confronti di un certo allievo, ogni volta che si metter in rapporto con lui gli
comunicher, fra le altre cose, anche questa sua percezione e avr quindi buone
probabilit che allallievo arrivi questo messaggio cos importante.
A volte, unimmagine di ritorno che d valore alla persona pu essere
troppo bella e diversa da quella che lallievo ha di se stesso, per cui, non
riconoscendosi, potrebbe tendere a rifiutarla in quanto falsa.

Le porte dell'attenzione

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In questi casi, per fare arrivare il messaggio necessario che linsegnante insista
e rimanga coerente in questa comunicazione: con il tempo lallievo si abituer
allidea e alla fine laccetter con gioia. Linsegnante sar messo alla prova:
lallievo dovr decidere se limmagine rimandata da questo nuovo specchio
sia pi affidabile di quella dei suoi specchi abituali.
Una persona grassa pu vivere pi o meno bene il proprio peso e avere una
visione pi o meno reale delle proprie dimensioni; tuttavia non cambierebbe
lo specchio di casa per mettere al suo posto uno specchio deformante, anche
se questo le rimandasse unimmagine pi snella del suo corpo. Chiunque
vorrebbe avere informazioni precise su se stesso. Di fronte a due specchi
che riflettono due immagini diverse, si cerca di capire quale sia il pi fedele,
non quale rimandi limmagine pi bella.
Cos lallievo, tendendo ad avere fiducia nelladulto, tiene in considerazione
limmagine che ladulto gli rimanda, anche se non corrisponde a quella che egli
ha di se stesso in quel momento. Tuttavia non laccetta incondizionatamente,
ma mette alla prova ladulto per verificare se sia affidabile, soprattutto quando
limmagine rimandata dallinsegnante migliore della sua. questione di tempo e
coerenza; linsegnante ha tutto il tempo che vuole per far giungere questo messaggio, perch pu vedere lalunno quasi ogni giorno e per diverse ore. Se in questo
tempo linsegnante manterr unattenzione profonda alla specificit dellindividuo
e sar centrato sulla persona e non sul disagio che lalunno pu procurargli con il
suo metterlo alla prova, questa modalit di rapportarsi lo render affascinante
per lalunno, poich tale da soddisfare il bisogno profondo di essere accettato
incondizionatamente e valorizzato come persona. Lalunno godr di un benessere
reale perch gli verr confermata limportanza della sua presenza in quanto unica
e non sostituibile, e ci render vivo il rapporto con il suo insegnante.
Quando un insegnante, nellentrare in rapporto con un alunno, prova gioia e meraviglia per la sua semplice presenza, si pu essere certi che veramente in contatto con
lui e con il fatto straordinario e unico della sua particolare esistenza.
Se linsegnante in grado di lavorare ispirandosi a tali principi nel rapportarsi con gli alunni, presto o tardi otterr il loro affetto e la loro disponibilit; la relazione insegnante-allievo diventer affascinante e quando ci sar
distrazione non sar per il bisogno di fuggire, ma per altri motivi, e sar facile
rientrare subito in contatto.
Lallievo che si sente valorizzato come persona dal proprio insegnante, vive
bene la scuola e ci va volentieri, perch sente intorno a s il clima affettivo
giusto che stimola lascolto interpersonale e la fiducia reciproca.

La Relazione Di Apprendimento

Lallievo in grado di imparare

olti insegnanti cercano di rendere attraente loggetto dellapprendimento


con strumenti e argomenti stimolanti, perch ritengono che sia sufficiente
motivare gli allievi in questo senso per ottenere la loro disponibilit. Naturalmente gli insegnanti che hanno preparato la lezione su questa base si
aspettano dagli allievi attenzione e impegno. Tuttavia spesso vanno incontro
alla delusione perch la motivazione verso un determinato lavoro che sta per
iniziare, pur essendo una predisposizione favorevole, non d di per s, alcuna
garanzia sulla qualit della prestazione che dar poi lallievo nel corso del lavoro. Infatti, una buona prestazione non pu prescindere dallattenzione e questa
funzione mentale legata al qui e ora, ovvero risponde a ci che in gioco nel
momento, soprattutto al tipo di relazione presente fra insegnante e allievo.
Per spiegare limportanza delle leggi in uno Stato democratico e delle
strutture atte a crearle e a farle rispettare, si potrebbe partire dalla funzione
delle regole e dellarbitro nel gioco del calcio, e anche dalla visione in TV
di incidenti causati da una partita arbitrata male. Largomento del calcio e
lo strumento TV susciteranno linteresse degli allievi; tuttavia, nel corso della
lezione, anche dopo poco tempo, linsegnante potrebbe assistere alle solite
manifestazioni di disattenzione e di noia. In effetti, la motivazione verso loggetto non lunico fattore in gioco; pi importante ancora il fattore umano:
lallievo, in realt, pi che mettersi in relazione con loggetto di apprendimento
si mette in relazione con la persona che glielo trasmette, e questo vero pi

Le porte dell'attenzione

65

let bassa. Si pu esser certi che pi lallievo giovane, pi il successo nellapprendimento dipender da un buon rapporto con linsegnante.
Questo discorso riguarda in particolare i genitori che non lo si dimentichi
sono gli unici insegnanti che il bambino ha nei suoi primi anni di vita.
Un buon rapporto comunque basilare e chi insegna dovrebbe tenere presente che lallievo, prima di essere attratto da questo o quelloggetto di apprendimento, ha bisogno di sentirsi attratto dalla persona che glielo insegna.
Se lallievo si sente ripreso continuamente e comprende che la sua presenza
un problema per linsegnante, si sentir rifiutato e tender a rifiutare a sua
volta non solo linsegnante, ma anche quello che linsegnante gli propone.
Quando invece linsegnante in grado di cogliere il valore della persona e
di comprendere al di l dei comportamenti e dei risultati, lallievo prima o poi
riconoscer questi buoni sentimenti, che gli arrivano attraverso i gesti, il tono
di voce e le parole. Se lallievo si sentir benvoluto e rispettato, verr attratto
non solo dalla carica umana del suo insegnante, ma anche da quello che linsegnante fa. Cos, quando linsegnante proporr un percorso di apprendimento,
lallievo sar pronto a metterci il proprio impegno e la propria attenzione.
Tuttavia pu accadere che un insegnante riesca a instaurare e a mantenere
con un certo allievo una relazione connotata da buoni sentimenti reciproci,
ma che, malgrado ci, lallievo presenti lo stesso una notevole distrazione o
un vero e proprio rifiuto verso una determinata area dellapprendimento. In
questo caso lallievo continuer a mostrare un atteggiamento di fuga, non
verso linsegnante dal quale, peraltro, si sente benvoluto, ma dal compito in
se stesso. come se ci fosse un ostacolo invisibile che non riesce a superare.
Per amore dellinsegnante o del genitore si impegna, ma i suoi sforzi non producono risultati apprezzabili. In alcune situazioni fa finta di capire, o dice di
aver compreso, ma in realt evidente il contrario. Altre volte, pi si sforza
e pi ottiene insuccessi. In certe circostanze dopo qualche tentativo oppone
un netto rifiuto.
Eppure riesce a portare a termine altre attivit analoghe o addirittura pi
complesse.
Questa la tipica situazione in cui lalunno verbalizza la sua difficolt
dicendo frasi del tipo non sono capace e facendo capire, col modo di esprimersi, come sia certo di non essere in grado di fare il compito richiesto.
Il senso di questa comunicazione potrebbe essere: Ti voglio bene, non ci
sono problemi fra di noi, ma, credimi, questo compito proprio non lo so fare,
inutile che ci provi, tanto non ci riuscir mai!.

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Settimo Catalano

Lallievo che ha questa disposizione mentale cercher nellinsegnante la conferma della sua incapacit, presentandogli continui insuccessi. Se linsegnante non se
ne accorge, finir per aderire automaticamente alla convinzione dellallievo facendola propria. Cos la credenza si irrigidir sempre di pi, finch sar impossibile
rimuoverla e la relazione insegnante-allievo sar connotata dalla reciproca convinzione che lallievo non sia in grado di imparare quel determinato argomento.
Quando questo si verifica, la relazione di apprendimento si blocca. Infatti
una relazione di apprendimento ha come principio implicito la possibilit
dellapprendere; se questa possibilit negata, la relazione non pu pi chiamarsi di apprendimento.
Un insegnante non pu insegnare a un allievo un certo argomento quando
convinto che questi non ha la capacit di apprenderlo.
Quindi, per evitare che linsegnamento divenga una mera finzione, necessario che linsegnante mantenga, al di l degli insuccessi, la credenza che
lallievo sia in grado di imparare. Senza questa condizione un insegnante non
pi insegnante per quellallievo.

Lapprendimento come occasione per la relazione


Attraverso risultati positivi anche lallievo pi insicuro prender col tempo
fiducia in se stesso e assumer la credenza di essere capace.
Per linsegnante diventa perci importante saper condurre al successo gli
allievi, creando le condizioni opportune.
Linsegnante che si adopera per dare a ogni suo allievo la reale possibilit di
superare le difficolt implicite nellimparare vivendo il successo solo quando
lallievo raggiunge lobiettivo, e partecipando al suo sconforto quando lallievo
non riesce o non capisce viene amato e rispettato perch non giudica, ma
accompagna e sostiene. Questa intensa relazione psicologica con lallievo,
basata sulla comprensione e sulla compartecipazione al medesimo processo,
quello che intendiamo come relazione di apprendimento.
Nella relazione di apprendimento sia linsegnante sia lallievo imparano,
anche se su due livelli diversi. Linsegnante, quando si impegna a trovare il
percorso adatto a ciascun allievo, non solo mette a frutto le strategie e le conoscenze gi acquisite, ma ne elabora di nuove, ritrovandosi cos ad affrontare
anche lui le difficolt insite nellapprendimento.
Chi insegna avr sempre qualcosa da imparare, in quanto non solo gli
allievi sono fra loro diversi, ma lo stesso allievo pu essere molto diverso a

Le porte dell'attenzione

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seconda della situazione, per cui linsegnante, impegnato a trovare il percorso


adatto, potr scoprire sempre qualcosa di nuovo.
Quando c una relazione di apprendimento insegnante e allievo danno volentieri quello che possono. In questa relazione di apprendimento parlare di
bravo insegnante o di cattivo allievo non ha senso, sia perch il successo
o linsuccesso delluno anche il successo o linsuccesso dellaltro, sia perch
quello che vale la relazione stessa.
Quando la relazione di apprendimento non c, si ha contrapposizione fra
insegnante e allievo, per cui si potrebbe parlare di una modalit di insegnamento
contro lallievo o al di l dellallievo. In mancanza di questo tipo di relazione lallievo viene visto come colui che vuole o non vuole imparare, per cui linsuccesso
sar la conseguenza della sua mancanza di impegno. Linsegnante non avr alcun
motivo di cambiare le variabili dellapprendimento (il metodo, il ritmo, la modalit e il linguaggio adottati), e lonere del cambiamento sar tutto dellallievo, nel
senso che linsegnante si aspetter che lallievo decida di impegnarsi di pi. Senza
unintensa relazione psicologica con ciascun allievo, lapprendimento si svolger
con modalit uguali per tutti, per cui solo alcuni riusciranno a stare al passo; dei
rimanenti, parte verr penalizzata, parte addirittura esclusa dallapprendimento.
Qualche allievo si sentir abbandonato a se stesso nel cosmo di tutto ci che c
da imparare e questo provocher sentimenti di smarrimento e di abbandono.
Lallievo, in effetti, non ha affatto bisogno di essere lasciato psicologicamente solo con le sue difficolt, ma, piuttosto, ha bisogno di sentirsi sulla
stessa barca con il proprio insegnante, in maniera tale da essere sicuro che, in
condizioni difficili, anche laltro si dar da fare come lui per non affondare.
Purtroppo, il vissuto pi frequente per lallievo che non riesce quello
di sentirsi abbandonato a se stesso, proprio nel momento in cui avrebbe pi
bisogno del sostegno e della fiducia delladulto.
Il momento delle difficolt loccasione ideale per approfondire la relazione
con lallievo e per mostrargli che si in grado di comprendere il suo sconforto
e di aiutarlo a riprendere fiducia in se stesso.

Apprendere con lallievo


Quando lallievo non riesce, linsegnante avr una lettura diversa di questo
fatto, a seconda che il suo vissuto psicologico sia quello di sentirsi in contrapposizione allallievo oppure allinterno di una relazione di apprendimento
con lallievo.

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Settimo Catalano

Nel primo caso, linsegnante percepir lallievo come colui che non vuole
fare quella cosa; non ci sar quindi alcuna riflessione critica sulla propria
metodologia di insegnamento, perch lallievo che ha qualcosa che non va,
e allinsegnante non rimane che attendere che lallievo cambi.
Nel secondo caso linsegnante percepir lallievo che non riesce come colui
che per il momento, in quelle determinate condizioni e con quel certo metodo
di insegnamento, non pu fare quella cosa, per cui sar portato a riconsiderare
i tempi, i ritmi, il livello di attenzione e tante altre variabili in gioco. Invece di
assumere una posizione passiva, dipendente da un improbabile cambiamento
dellallievo, rimarr attivo e manterr il controllo della situazione che si presenter cos molto dinamica.
Linsegnante, avendo a disposizione le conoscenze, gli strumenti e la pratica
di diversi metodi di insegnamento, adatter tutto il suo bagaglio di professionista alle situazioni problematiche che si presenteranno e, cos facendo,
imparer qualcosa di nuovo. Linsegnante si prender la responsabilit di offrire diverse opportunit allallievo fino a individuare quella buona. Di fatto, si
metter a imparare con lallievo: mentre lallievo impara, linsegnante impara
a insegnare a quellallievo.
Se lallievo non riuscir a imparare, linsegnante accetter lidea di avere
commesso qualche piccolo errore. Il fatto che linsegnante possa commettere
degli errori connaturato alla realt di essere umano. Un bravo insegnante non
colui che non commette errori, poich tale insegnante non esiste, ma colui che
si accorge di farli e ne tiene conto.
Se veramente lallievo si impegnato, e malgrado ci non riuscito in
quel compito, allora il metodo che linsegnante ha proposto non adatto e si
tratter di trovarne un altro, poich linsegnante che ha mancato il bersaglio.
Forse ha usato parole non adeguate alla comprensione dellallievo; forse non
ha verificato quello che lallievo sa gi fare e quello che non sa ancora fare,
dando per scontato certe acquisizioni di partenza; forse stato poco interattivo
con lui; forse non riuscito a semplificare il percorso di apprendimento, e cos
via. Resta comunque il fatto che c qualcosa che ha impedito di raggiungere
lo scopo, e se linsegnante se ne accorge, pu fare qualcosa per rimediare.
Un insegnante che ama la sua professione, con una certa pratica, pu
migliorare la sua capacit di catturare lattenzione, di semplificare le cose,
e di trovare lesempio giusto o lo strumento opportuno.Grazie a questo suo
impegno, potrebbe mettere sempre pi spesso lallievo che si trova in difficolt
nelle condizioni di superarle. Quando alla fine lallievo si impadronisce di un
certo apprendimento, facile che abbia voglia di fare il passo successivo per

Le porte dell'attenzione

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rivivere lesperienza gratificante del raggiungere la meta. In questa maniera


potrebbe cominciare a collezionare una serie di successi tali da confermarlo
come colui che grazie ai propri sforzi alla fine riesce a raggiungere gli obiettivi
che si pone. Parallelamente, anche linsegnante arriver alle stesse conclusioni
positive nei confronti della sua abilit nellinsegnamento. Cos insegnante
e allievo si sosterranno vicendevolmente e il successo delluno sar anche
quello dellaltro.
Riassumendo i concetti fin qui esposti si pu dire che la relazione di apprendimento attiva quando linsegnante aderisce alle seguenti credenze-premesse,
ovvero quando crede che:
1) lallievo si apre prima alla persona che insegna e solo successivamente alloggetto dellinsegnamento;
2) lallievo in grado di imparare: si tratta di trovare il percorso di apprendimento
giusto per lui;
3) quando lallievo non impara, si creano le condizioni psicologiche ideali per
approfondire la relazione e far passare messaggi di comprensione e di sincero
interessamento alla persona dellallievo;
4) lobiettivo professionale dellinsegnante quello di portare lallievo al successo
impegnandosi a superare con lui le difficolt e a creare le condizioni opportune
allo scopo;
5) linsegnante, mentre insegna, impara a insegnare;
6) linsegnante ha successo nellinsegnare solo quando lallievo ha successo nellapprendere;
7) linsegnante fonte di benessere quando in grado di creare coi propri allievi,
rapporti connotati da reciproci sentimenti di stima nel valore della persona.

Feedback Ed Errore

Limportanza di saper graduare lapprendimento

er linsegnante che pone alla base del proprio insegnamento il successo


dellallievo importante trovare il modo per superare le difficolt di apprendimento che ogni allievo pu presentare allinterno del lavoro in classe.
Per intervenire in maniera efficace importante saper vedere lapprendimento in maniera completa, considerando il contesto relazionale in cui questo
si attua come parte integrante di un processo pi ampio.
Nellapprendimento, la velocit di acquisizione funzione del contesto
affettivo. Per usare una metafora, immaginiamo due fogli di carta identici,
uno appallottolato, laltro liscio: se lasciati cadere dalla stessa altezza e nello
stesso momento, bench di massa uguale e bench attratti dalla massa della
terra in egual misura, non arrivano a terra insieme. Questo avviene perch
latmosfera influisce di meno sul foglio compatto. Allo stesso modo, lallievo-pallina-di-carta raggiunger subito terra, ovvero si impadronir subito
dellapprendimento proposto, perch il contesto affettivo eserciter su di lui
una influenza minima. Lallievo-foglio-di-carta, invece, raggiunger terra molto
lentamente, ovvero si impadronir con minore velocit dellapprendimento
proposto, perch il contesto affettivo esercita su di lui una notevole influenza,
essendo molto suscettibile negli affetti. In questa situazione la differenza tra le
prestazioni fra due allievi non sta nelle capacit di base, ma nella loro fragilit
emotiva. Naturalmente, la situazione si presenta in modo molto differente se i
due fogli di carta, quello liscio e quello appallottolato, vengono lasciati cadere

Le porte dell'attenzione

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da unaltezza di due centimetri o dallalto di un grattacielo: pi la distanza


da coprire e pi si fa sentire leffetto della resistenza dellaria. Similmente,
maggiori sono le difficolt insite in un determinato grado di apprendimento e
pi si fa sentire leffetto del contesto affettivo sulla velocit di acquisizione.
Nellesperimento dei gravi, unaltezza esigua minimizza le differenze di
tempo con cui i due oggetti raggiungono il suolo.Analogamente, riuscire a
graduare lapprendimento in maniera tale da limitare la difficolt presentata da
ciascun grado minimizza linfluenza di altre variabili, in particolare quelle
emotive, con la conseguenza che pi allievi otterranno contemporaneamente
il successo.
Per quello che concerne la capacit degli allievi, normale che ci siano
differenze pi o meno grandi fra loro; la stessa cosa vale per gli insegnanti.
Daltra parte, se si prendono una ventina di fogli di carta anche di peso
diverso pi o meno lisci o accartocciati e li si lascia cadere da una distanza
minima di qualche centimetro, tutti arriveranno a terra quasi insieme, a dispetto delle differenze di forma: se la distanza minima, tutte le differenze
sono neutralizzate.
Dalle considerazioni fatte, se linsegnante si propone di dare a tutti la possibilit di imparare, trover molto utile adottare come metodologia di base il
cambiare la gradualit con cui viene presentato un certo argomento, nel senso
di renderla tale da facilitare lapprendimento.
vero che non frequente trovare, neanche nei testi specializzati, gli
argomenti della propria materia di insegnamento gi graduati in sequenze di
apprendimenti semplici e facili per tutti gli allievi; ma daltra parte per linsegnante meglio rendersi autonomo e impadronirsi dellarte della semplificazione. Cos, se fortunatamente gli capitasse di trovare, in articoli o libri, esempi
dettagliati di semplificazione, potrebbe cogliere loccasione per estrapolarne
il metodo, con lintenzione di applicarlo poi ad altri contesti.
Quando linsegnante riesce a semplificare un apprendimento che presenta
difficolt in una sequenza di passi pi semplici, le nuove credenze-premesse evidenziate nel capitolo precedente daranno frutti positivi. Infatti quelle
premesse presuppongono che linsegnante, evitando di ripetersi, moduli e
renda flessibile il proprio metodo di insegnamento affinch lobiettivo venga
raggiunto da tutti.
Per non ripetersi, un buon modo quello di diventare abili a semplificare
gli argomenti di studio in una catena di apprendimenti facili e, se necessario,
di procedere a ulteriori semplificazioni fino a rendere possibile e veloce lapprendimento per ogni allievo.

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Settimo Catalano

Dare a tutti la possibilit di apprendere


Per approfondire il discorso mi servir di unaltra immagine-esempio, quella di un
architetto che deve progettare una scala per i visitatori di un monumento pubblico
alto diversi piani. Il suo obiettivo principale che la scala possa essere usata dal
maggior numero di persone, ma questa dovr soddisfare anche altre variabili: dovr
occupare un certo spazio, non dovr essere troppo ripida, non ci si dovr mettere
troppo tempo per salire fino in cima; dovr esserci, per chi sale, un rischio minimo
di farsi male, la spesa dovr essere contenuta e si dovranno ottimizzare le risorse a
disposizione. Con questi vincoli da rispettare, larchitetto pu cominciare a studiare
il suo progetto. Considerando che il primo obiettivo quello di far salire il maggior
numero di persone, metter le altre variabili in secondordine. Per esempio, una
scala con gradini alti mezzo metro, anche se potrebbe costare meno, verr scartata
perch ben poco praticabile. Larchitetto stabilir altezza e forma dei gradini per
dare al massimo di persone la possibilit di arrivare in cima.
Ora, paragoniamo la scala nel suo complesso al percorso didattico che si
vuole seguire per raggiungere un determinato obiettivo di conoscenza, ciascuna rampa di scale alla catena di apprendimenti necessaria per impadronirsi
di una unit didattica e ciascun gradino allunit di apprendimento pi semplice: analogamente al caso dellarchitetto, se linsegnante si preoccuper di
dare a tutti gli allievi della classe la possibilit di apprendere, far attenzione
a costruire gradini praticabili da tutti. Per raggiungere questo obiettivo, lattenzione dellinsegnante non andr solo al programma in generale, che non
lelemento determinante, ma allaltezza dei singoli gradini di difficolt; ogni
obiettivo didattico andr semplificato e graduato affinch i singoli gradi di
difficolt siano alla portata di tutti, anche del meno agile.
Questo allenamento a graduare lapprendimento utile allinsegnante per improvvisare ulteriori semplificazioni, quando qualche alunno non capisce o non riesce, aiutandolo cos a superare la difficolt e a non perdere fiducia in se stesso.

Puntare allautonomia dellallievo


Nel mondo della scuola esiste da sempre la difficolt oggettiva data dal fatto
che un insegnante debba occuparsi di gruppi-classe formati da numerosi allievi, spesso molto diversi fra loro per quello che riguarda la preparazione, le
risorse e le capacit sociali e di relazione.

Le porte dell'attenzione

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Un modo di gestire questo problema quello di favorire un certo grado


di autonomia che permetta allallievo di procedere senza dover essere tenuto
costantemente per mano dalladulto, in modo tale che abbia bisogno dellintervento diretto dellinsegnante solo ogni tanto. Lautonomia nasce quando
lalunno si sente capace di fare un compito anche senza laiuto delladulto.
In certi compiti lalunno gi autonomo, in altri ancora no; pi aumenta
ci che in grado di fare da solo, pi sar autonomo. Autonomia e successo
in una certa attivit procedono insieme; quando il successo si ripete si diventa
autonomi e si prova gusto a fare quella attivit da soli senza aiuto. Quindi, se
linsegnante vuole avere allievi autonomi deve metterli nelle condizioni di riuscire
nei compiti che presenta loro.
Per fare questo di norma sar utile suddividere ogni compito in una scala
di apprendimenti di facile acquisizione per tutti, una scala su cui salire senza
inutili sforzi, gradino dopo gradino.
Lautonomia dellallievo in funzione del gradino di difficolt che gli
si richiede di superare: di fronte a gradi di difficolt troppo grandi, lallievo
perder la sua autonomia e avr subito bisogno di un sostegno individuale.
Quindi, se si vuole ridurre al minimo questa eventualit, sarebbe necessario
progettare le unit di lavoro mettendo il massimo di attenzione alla gradualit.
Inizialmente questa attenzione alla gradualit e alla semplificazione impegner
molto linsegnante, ma con il tempo si arriver a semplificare lapprendimento
con sempre maggior disinvoltura.

Lerrore una semplice informazione di ritorno


Se crediamo che lobiettivo principale dellapprendimento sia quello di portare
lallievo a percepirsi come colui che capace, che non si sforza inutilmente e
che alla fine riesce a raggiungere lobiettivo, dovremo necessariamente cambiare anche le nostre credenze riguardo allerrore.
Lerrore non sar pi visto come una cosa brutta di cui vergognarsi, ma
entrer nel circuito della conoscenza e sar considerato una semplice informazione di ritorno (feedback) che permette di aggiustare il tiro. Linsegnante
potrebbe guidare lallievo, con strumenti e metodi opportuni, a dare la caccia
ai propri errori e, quindi, a individuare unalternativa. Se questa alternativa,
sottoposta a ulteriore verifica, non fosse giusta, la caccia allerrore potrebbe
continuare finch, con laiuto dellinsegnante, lallievo individuer una soluzione corretta.

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Settimo Catalano

Uno dei compiti di chi insegna sar quello di fornire allallievo, tramite la
riflessione sul tipo di errori presentati frequentemente, una certa consapevolezza
su come ciascuno sbaglia, e quindi un certo controllo sullerrore.
Questa metodologia non spreca gli errori che si commettono, ma li utilizza
come informazioni utili circa le modalit con cui si sbaglia ed basilare per
stimolare nellallievo la capacit di autocorreggersi.

Rendere utili i propri errori


Normalmente, quando lerrore non viene valorizzato, si mette in moto un
meccanismo che potrebbe essere chiamato il cortocircuito della colpa: chi sbaglia colpevole e ci vuole una punizione affinch possa espiare la sua colpa.
In questa logica il messaggio che arriva allallievo che non si pu sbagliare.
Ma questa unassurdit perch, per evitare di sbagliare, lunico mezzo veramente sicuro quello di evitare ogni situazione problematica: cos sarebbe
impossibile commettere errori visto che non si fa nulla.
ovvio che si tratta di una possibilit del tutto teorica, tuttavia in pratica
pu accadere che ci sia una tendenza, da parte dellallievo, a evitare tutte
quelle situazioni nelle quali potrebbe pensare di commettere errori, in particolare quelle nuove e quelle dove ha sperimentato insuccessi; quindi lallievo
tenderebbe a fare solo ci che sa gi fare senza errori.
Cortocircuito proprio in questo senso: un modo di pensare che blocca lapprendimento e rende vani gli sforzi dellallievo e quelli dellinsegnante. Quando
si ha paura dellerrore perch provoca conseguenze spiacevoli e non si hanno
strumenti per gestirlo, si tende a evitare quelle determinate situazioni in cui si
continua a sbagliare. Per alcuni allievi ci pu essere veramente drammatico.
Per uscire da questa situazione necessario cambiare la credenza che chi
sbaglia si macchia di una colpa, e considerare invece lerrore come qualcosa
di fisiologico, di fondamentale e di funzionale allapprendimento.
Quando linsegnante e lallievo arrivano a pensare in questa maniera, lo
sbagliare, al posto di bloccare, produrr ulteriore conoscenza: la conoscenza
del modo in cui si sbaglia. In questa prospettiva si pu imparare a trattare
lerrore e a valorizzarlo in funzione dellapprendimento.
Si dice che errare umano, perseverare diabolico, per dire che una delle
facolt umane quella di cambiare i propri errori, cosa che sembra i demoni
non sappiano fare.
Ma se analizziamo in quale situazione si continua a ripetere lo stesso errore,

Le porte dell'attenzione

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vediamo che questo succede quando lerrore viene considerato spazzatura, viene scartato, buttato via, quando si cerca di dimenticarlo. Cos facendo non si
scopre come si sbagliato, e in condizioni analoghe lerrore verr ripetuto.
Si pu comprendere come un allievo non venga affatto aiutato se ladulto lo
critica o lo svaluta quando sbaglia, in quanto questo modo di fare rappresenta
per lallievo una punizione gratuita. Bisogna tenere presente che qualsiasi considerazione svalutante la persona, anche se solo un vissuto dellinsegnante
non esplicitato attraverso parole di rimprovero, pu facilmente passare allallievo attraverso gli aspetti non verbali della comunicazione.
Si dice che linsegnante valuti lalunno, ma questo termine spesso usato
impropriamente; infatti, valutare vuol dire dare un valore, valorizzare la persona. In tutti i casi in cui gli allievi sperimentano un senso di svalorizzazione
sarebbe quindi pi corretto dire che linsegnante svaluta lallievo perch, in
questo caso, il messaggio che passa proprio questo.
Se si vogliono adottare le credenze-premesse che stanno alla base della
relazione di apprendimento con lallievo necessario riconsiderare la funzione
dellerrore e farlo entrare nel metodo di insegnamento come elemento essenziale del circuito della conoscenza. Lobiettivo non sar quello di avere allievi
perfetti, ma allievi in grado di dare la caccia ai propri errori e di renderli utili
per sviluppare la capacit di autocorreggersi.

Lo scambio di feedback
Per mettere lallievo nelle condizioni di superare con successo le difficolt insite
nellapprendimento, lo strumento principale linformazione di ritorno che lallievo
riceve dallinsegnante su come sta svolgendo il compito, cio il feedback.
Quando lallievo si trova in difficolt, non ha bisogno della soluzione
pronta, ma di informazioni supplementari che gli consentano di raggiungere
lobiettivo. Se linsegnante vuole andare incontro a questa esigenza, accetter
di fornire queste informazioni, ma solo dopo essersi fatto unidea della difficolt che crea problemi allallievo.
Un allievo che ha uno sviluppo cognitivo adeguato e non ha particolari
difficolt di tipo emotivo, ha solo bisogno di essere guidato a utilizzare bene
le proprie risorse, affinch possa raggiungere il successo con i propri mezzi.
Un insegnante che sta portando una classe di ragazzini in piazza del Duomo
lo pu fare senza informarli del percorso, oppure pu dar loro una carta della
citt e dire di utilizzare questo strumento per arrivare alla meta prefissata.

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Settimo Catalano

Gli allievi, strada facendo, chiederanno spiegazioni su come si usa la carta


e linsegnante esaudir le loro richieste. Se durante il percorso, malgrado le
incertezze dei ragazzini, linsegnante non dir quale sia la direzione giusta, ma
continuer a dare agli allievi le informazioni necessarie per decidere da soli,
gli allievi raggiungeranno lobiettivo con un certo grado di autonomia.
Portare gli allievi in piazza del Duomo, senza alcuna attenzione al percorso,
rappresenta un metodo di apprendimento basato sulla dipendenza, tipo chioccia e pulcini al seguito.
Mettere nelle condizioni di prendere e attuare decisioni riguardanti la direzione da seguire, tramite uno scambio di feedback fra allievi che pongono
domande e insegnante che fornisce informazioni, rappresenta un metodo di
apprendimento basato sullautonomia.
Per scambio di feedback si intende proprio il fatto che linsegnante modula
le informazioni che d, sulla base di esplicite richieste da parte dei ragazzini.
Quando un insegnante dice che non pu dividersi per 26 e che seguire 26 alunni
contemporaneamente impossibile, d una misura di quanto i suoi alunni siano
poco autonomi e molto dipendenti da lui.
Per gestirsi il problema del numero necessario rendere gli allievi sempre
meno dipendenti dallaiuto delladulto e quindi aumentare il pi possibile la
loro autonomia, fornendo a ciascuno, nel corso dellapprendimento, i feedback necessari per usare al meglio gli strumenti a disposizione e le proprie
risorse personali.

Utilizzare ci da cui attratto lallievo


Qualsiasi insegnante, osservando i suoi allievi, scoprir che determinati
argomenti sono per loro affascinanti, cos come la dimensione del gioco e
della gara. Sarebbe controproducente non prendere in considerazione queste
possibilit o escluderle addirittura dallapprendimento, poich rappresentano
delle porte di accesso che dispongono lallievo allascolto e alla partecipazione.
Queste porte di entrata facilitano il compito dellinsegnante e vanno prese
seriamente in considerazione. Nessuno demolirebbe una parete per entrare
in una stanza se esistesse gi una porta.
Analogamente, nellapprendimento molto utile cercare il punto di minor
resistenza.
Adottando questa logica, per esempio, linsegnante che vuole ottenere
un buon coinvolgimento della classe inizier a lavorare da ci che in quel

Le porte dell'attenzione

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momento attira gi gli allievi, e quando avr ottenuto un atteggiamento di


ascolto porter poi lattenzione dove vuole. Praticamente potrebbe cominciare la sua attivit interagendo con ci che emerge, in quel momento iniziale,
dagli allievi. Se linsegnante lascia fare le prime mosse di un qualsiasi lavoro
di apprendimento agli allievi, limitandosi a interagire con gli stimoli dati da
loro, otterr sicuramente unattenzione maggiore di quando sar lui a dirigere
da subito la situazione.
Per fare questo utile una certa arte di improvvisazione e presenza di
spirito che, peraltro, si sviluppano con la pratica. Inizialmente linsegnante
si sentir un po rigido e imbarazzato, ma poi, con il tempo, gli rimarr solo
una piacevole tensione dovuta allalto grado di coinvolgimento e di attenzione
che lui stesso deve esercitare.
Quando lo si ritiene opportuno, si possono anche portare allinterno del
lavoro di apprendimento delle modalit coinvolgenti, come per esempio la
dimensione del gioco e della gara a gruppi. Se linsegnante in grado di
utilizzare ci che attira gli allievi e di farlo rientrare nellapprendimento, lapprendere risulter pi piacevole e le difficolt pi superabili.

J Come un bambino autistico impar a leggere


e a scrivere
Per chiarire i concetti esposti in questa parte del libro dedicata alla relazione
di apprendimento, racconter questa storia accaduta nel 1982, che tratta di
un bambino autistico il quale, dopo anni di rifiuto, impar a leggere e a
scrivere.
Lautismo infantile un disturbo cos grave da rendere lapprendimento di
qualsiasi cosa quasi impossibile. Daltra parte, proprio per questa ragione, se si
vogliono ottenere dei risultati con gli allievi affetti da questa sindrome bisogna
elevare al massimo grado tutti quei parametri che facilitano lapprendimento.
In primo luogo bisogna stabilire con loro una buona relazione; poi, per quello
che riguarda loggetto dellapprendimento, bisogna operare una semplificazione
molto raffinata per ottenere una gradualit che comporti il minimo di difficolt
cognitiva. Bisogna anche creare un contesto altamente motivante partendo da
quello che ci offre lallievo in quel momento e tenendo in particolare considerazione le porte di accesso, ovvero ci che allallievo piace particolarmente.
Il fattore fondamentale sar quello di situare lapprendimento in contesti
relazionali altamente rassicuranti. Il fatto che una situazione di partenza cos

78

Settimo Catalano

grave, sia pure con opportuni accorgimenti, porti, come vedremo, a ottenere
ugualmente dei risultati considerevoli nellapprendimento, dimostra che
sempre possibile trovare un percorso adatto, purch si abbia la determinazione
e il coraggio di cercarlo.
Nel 1982, Paolo, un bambino affetto da autismo infantile, era in cura da me
gi da tre anni. In tutto questo periodo aveva mostrato un rifiuto generalizzato
nei confronti dellapprendimento. In particolare non ne voleva sapere di imparare a leggere, n tanto meno di imparare a scrivere. Frequentava la seconda
elementare. In due anni aveva fatto in altri settori notevoli progressi: per esempio, prima ripeteva casualmente le parole, ora le usava abitualmente per farsi
capire; inizialmente non era in grado di mettersi in rapporto con altre persone,
neanche non-verbalmente o con il gioco, mentre adesso riusciva a farlo anche
con i compagni di scuola, ecc. Sembrava per che non ci fosse alcuna probabilit
che riuscisse a imparare a leggere e a scrivere, visto il suo netto rifiuto.
Lavoravo con il bambino sia a casa, per valorizzare al massimo le notevoli
possibilit della relazione madre-figlio (era orfano di padre), sia a scuola, per
aiutarlo a stabilire rapporti reciprocamente soddisfacenti con i compagni di
classe e per aiutare le insegnanti a instaurare con lui una valida relazione di
apprendimento. Data la notevole resistenza a leggere e a scrivere decisi di
dedicare qualche incontro a questa problematica, nel tentativo di sciogliere
il suo rifiuto.
Paolo in quel periodo giocava spesso con un bambolotto; il gioco che faceva
era quello di sgridarlo minacciando di picchiarlo perch non era in grado di
fare questa o quella cosa e spesso, alla fine, lo picchiava veramente. Questa
drammatizzazione con lanimazione del bambolotto che sbaglia, permetteva
a P. di scaricare sul bambolotto tutta la sua tensione derivante dalla paura di
sbagliare. Per questa ragione il gioco lo divertiva molto.
Pensai di utilizzare questo gioco come porta di accesso e cominciai a giocare
con il bambolotto a linsegnante che sgrida lallievo che non capisce. Quando
animavo il bambolotto imitavo la voce di un bimbo mentre, quando entravo
nel ruolo dellinsegnante, facevo la mia voce normale. Il gioco consisteva
nellinsegnare a riconoscere le lettere dellalfabeto a un allievo che non capiva
niente. In accordo con la dinamica del rapporto che Paolo aveva con il bambolotto, mi mostravo aggressivo con lallievo-bambolotto che sbagliava sempre,
sgridandolo a voce alta con le stesse espressioni colorite usate da Paolo; poi
lo correggevo facendo la parte dellarrabbiato. Per esempio dicevo, rivolto al
bambolotto: Quante volte ti devo dire che una A, non una O!

Le porte dell'attenzione

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Paolo si divertiva moltissimo, soprattutto quando facevo finta di arrabbiarmi. Ma poich ogni volta che facevo la voce grossa con il bambolotto
contemporaneamente gli fornivo la soluzione giusta, le due cose si fusero
insieme: sgridarlo significava anche dargli la soluzione.
Paolo ci prese gusto e, incitato da me, cominci anche lui a sgridare il
bambolotto. Cos, dopo un po, il gioco divenne questo: io facevo le domande
al bambolotto, poi davo con la voce del bambolotto la risposta sbagliata e a
questo punto interveniva Paolo che faceva larrabbiato, urlandogli con foga
la soluzione giusta. Ma, per sgridare il bambolotto in questa maniera, doveva leggere la lettera o la parola per poterlo correggere. Con questo sistema,
cio utilizzando questa drammatizzazione con il bambolotto, impar prima a
leggere, poi a scrivere. Ora (1997) ha 23 anni e scrive benissimo, in maniera
del tutto normale.
Questo esempio mostra limportanza di saper partire da ci che attira
lallievo.

J Un esempio di semplificazione
Mi servir dello stesso bambino per illustrare la metodica della semplificazione.
Avevo deciso di insegnare a Paolo le addizioni, visto che sembravano per lui un
ostacolo insormontabile e le insegnanti si trovavano in grande difficolt.
La sola cosa che era in grado di fare era di ripetere, un po a casaccio, il
nome dei numeri. Ora si trattava di arrivare alloperazione delladdizione
individuando una catena di acquisizioni che presentasse il minimo grado di
difficolt. Per ritornare alla metafora della scala, laltezza dei gradini doveva
essere ridotta il pi possibile. Laddizione pi semplice quella in cui si aggiunge ununit, ma questo era ancora troppo difficile. Laddizione 5+1, per
esempio, contiene diverse operazioni mentali: si deve riportare alla memoria
la sequenza dei numeri, capire che bisogna cominciare a contare partendo
dal numero 5 e poi dire quello che, nellordine, viene dopo. necessario,
quindi, avere memorizzato i numeri almeno fino al 6 in maniera precisa
e ordinata e avere la cognizione dellordine che li lega: cio che i numeri
hanno una relazione fra loro, per cui uno viene prima e laltro viene dopo. Se
vediamo un treno passare, percepiamo che i vagoni rimarranno nello stesso
ordine lungo tutto il percorso: sono cio in relazione ordinata fra loro. In
base a queste considerazioni, individuai i primi due pianerottoli della scala
dellapprendimento delladdizione in:

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Settimo Catalano

1) memorizzare i primi dieci numeri in successione;


2) comprendere la differenza che c tra una sequenza casuale e unaltra vincolata da un ordine.
Per cominciare decisi di lavorare solo con i numeri dalluno al tre e poi
entrai in azione. Anche in questa occasione individuai una porta di accesso:
la passione di Paolo per laltalena. Io spingevo e lui si divertiva ad andare su
e gi. Cercavo di fargli capire che quando si sale in avanti le gambe salgono
e, quando si torna indietro, le gambe scendono; ma ancora non era in grado
di spingersi da solo.
In quelloccasione cominciai ad associare a una sequenza di tre spinte i primi
tre numeri in ordine: nello stesso momento in cui imprimevo al seggiolino la
prima spinta dicevo uno, nello stesso momento in cui imprimevo al seggiolino
la seconda spinta dicevo due, e cos via. Dopo aver detto tre continuavo per
un po a spingerlo senza dire niente. Poi riprendevo con Uno, due, tre.
Ripetei diverse volte questa sequenza, mettendo molta attenzione a pronunciare il numero nel momento stesso in cui lo spingevo. Poi introdussi una
variazione per indurlo a una partecipazione attiva: subito dopo il numero tre
interrompevo le spinte e lo lasciavo andare da solo. Lui mostrava subito segni di
disappunto, allora dopo poco riprendevo a spingerlo dicendo Uno, due, tre.
La variante successiva fu che, dopo il tre smettevo di spingerlo. Paolo si
irritava, ma lasciavo che questo stato di fastidio aumentasse, affinch si desse
da fare per trovare una soluzione al suo problema. Lui provava a spingersi un
po da solo, ma era impacciato nei movimenti e cos finiva con il lamentarsi
perch non lo spingevo.
Quando realizz che io non intervenivo cominci, quasi per caso, a dire
uno e io immediatamente lo spinsi; allora continu con due e tre. Vedendo che con questo sistema io rispondevo immediatamente con una spinta
e potendo cos controllare la situazione, incominci a entrare volentieri nel
gioco. Cos gli insegnai gradualmente a contare fino a dieci. Imparava velocemente, perch il contare fino al dieci gli evitava la sgradevole sensazione
di non sentirsi pi spinto. Infatti, ogni volta che non diceva il numero o ne
diceva uno sbagliato interrompevo le spinte, per riprenderle solo se diceva il
successivo. Altrimenti gli ricordavo il numero precedente dove aveva smesso
di contare e finch non arrivava a dire il successivo non lo spingevo.
La spinta e linterruzione della spinta rappresentavano per Paolo un continuo feedback, strumento grazie al quale fu guidato a memorizzare i numeri.
Mettevo particolare attenzione affinch questo feedback fosse preciso: da una

Le porte dell'attenzione

81

parte curavo di associare il numero al momento stesso in cui lo spingevo,


dallaltra lo spingevo solo quando riusciva a dire il numero successivo.
La frequenza di feedback necessari per consolidare questa semplice acquisizione, inizialmente quasi continua, and via via riducendosi. Alla fine
raramente interrompevo le spinte, perch ormai non si sbagliava quasi pi.
Dopo qualche settimana non faceva pi errori: eravamo arrivati sul primo
pianerottolo: lapprendimento della sequenza dei numeri fino al dieci.
Decisi cos di riprendere la salita per raggiungere il pianerottolo successivo. Ora si trattava di arrivare alla cognizione di sequenza ordinata. Una
sequenza ordinata una relazione che lega un certo numero di elementi in
maniera tale che il posto nella successione non pu essere modificato. In
particolare, due elementi allinterno della sequenza sono legati dalla seguente
relazione: uno viene prima e laltro dopo. Per arrivare a questa cognizione
Paolo doveva fare esperienze concrete, altrimenti non avrebbe potuto afferrarla. Qualsiasi bambino arriver a questa cognizione solo attraverso esperienze
pratiche; la teoria o le spiegazioni verbali sono possibili solo molto pi tardi.
Si trattava quindi di fornire a Paolo esperienze pratiche di sequenze ordinate,
per poi portarlo ad associare questa relazione alla sequenza dei numeri.
Il principio che qualifica una sequenza come ordinata si pu esprimere cos:
questo viene prima di quello, questo il precedente e quello il successivo.
Dopo queste riflessioni entrai in azione: in questo caso come porte di ingresso
usai il salire e scendere dalle scale.
Paolo abitava al terzo piano e stava ore a salire e scendere le scale: questa
occupazione lo affascinava totalmente. Spesso si sedeva su un gradino e rimaneva l a guardare gi per diverso tempo. In una di queste occasioni presi tre
monete, le misi in fila una dietro laltra su un gradino e gli dissi: Facciamo
salire le scale a questo trenino di monete. Poi io prendevo la prima moneta
e dicevo: Prima sale questa che sta davanti e, cos dicendo, la spostavo sul
gradino successivo. Quindi toccavo la seconda moneta: Poi sale questa che
viene dopo; infine prendevo lultima e dicevo: Ora sale quella che viene
dopo ancora. Poich si mostrava molto interessato, gli diedi le tre monete
e gli proposi di metterle in fila e di far salire le scale al trenino. Paolo inizialmente faceva salire le monete a caso, senza un ordine; allora intervenivo
dicendo che si trattava di un trenino e che le monete dovevano salire una
dietro laltra, come i vagoni di un treno. Lui sapeva bene che cosa fosse un
treno e in breve tempo cominci a fare salire gli oggetti in ordine, proprio
come se fossero legati fra loro uno dietro laltro, come nella realt sono i
vagoni di un treno.

82

Settimo Catalano

Fino a questo momento non avevo ancora parlato di numeri perch volevo
che mettesse bene a fuoco solo la relazione di successione ordinata che lega
quello che sta prima a ci che viene dopo.
Nello stesso periodo in cui facevo con lui il gioco del trenino, chiesi alle
insegnanti di fargli fare esperienze analoghe con tutti gli insiemi di oggetti
vincolati da un ordine che si trovavano a scuola. Per esempio, se sfogliava
una rivista, linsegnante avrebbe dovuto guidarlo a passare dalla pagina precedente a quella successiva senza salti. Oppure si poteva giocare a toccare
tutti gli attaccapanni incominciando dal primo fino allultimo. Dopo una serie di esperienze di questo tipo, divenne unabitudine seguire lordine senza
interruzioni.
A questo punto iniziammo ad associare a queste operazioni psicomotorie
i numeri dalluno al dieci, che aveva precedentemente memorizzato grazie al
gioco dellaltalena. Oltre a toccare in successione gli elementi di una serie ordinata come le pagine di una rivista, stimolato dalladulto, li contava anche.
Dopo questo lavoro, la sequenza dei numeri divenne ben ordinata nella
sua mente, come lo sono appunto i vagoni di un treno.Infatti era in grado di
verbalizzarli nellordine giusto senza sbagliarsi. Il secondo pianerottolo era
raggiunto. Stabilita questa base fu solo questione di tempo arrivare alloperazione delladdizione. Oggi in grado di usare bene le quattro operazioni
anche per risolvere semplici problemi.
Con questo esempio ho voluto mostrare a quale livello pu spingersi larte
della semplificazione e di come sia necessaria in certe circostanze. Se fossi
partito subito da 1+1=2, Paolo si sarebbe bloccato come di fronte a qualcosa
di incomprensibile, e lapprendimento della matematica sarebbe risultato seriamente compromesso, se non addirittura impossibile. Inoltre, con questo esempio, ho posto laccento sullimportanza di dare feedback precisi e mirati.
Affrontando con Paolo le sue grandi difficolt di apprendimento, io e le sue
insegnanti abbiamo imparato molto su come si possano affrontare in generale
le difficolt che gli allievi incontrano quando apprendono.
Con alcune di queste insegnanti sono ancora in rapporto, ed indubbio
che i successi di Paolo li abbiamo vissuti, e li viviamo tuttora, come successi
anche nostri.

TERZA parte

Il gruppo-classe

Il Pensiero Relazionale

Per cambiare in meglio

n aspetto evidente dellessere umano quello di avere bisogno degli altri


per poter vivere. Questo vero non solo per i primi anni di vita, quando laltro
necessario per la sopravvivenza fisica, ma anche per tutto il resto dellesistenza, quando gli altri sono indispensabili per la sopravvivenza psicologica.
Se scontato che gli altri siano cos importanti, pur vero che lattenzione delluomo generalmente centrata su se stesso, sui propri bisogni e
desideri. Se non c un richiamo esplicito dallesterno, solo raramente lindividuo dirige in modo consapevole la sua attenzione ai bisogni e ai desideri
altrui, sia che si tratti del gruppo dei familiari con i quali convive, sia che si
tratti dei gruppi di persone con cui si fanno attivit lavorative, scolastiche
o di altro tipo.
ancora pi raro poi che lindividuo si preoccupi di quelli che sono i bisogni e i desideri del gruppo come tale. Di fatto, per, quando un individuo
partecipa con altri a una qualsivoglia attivit, la realt di quel momento
unentit collettiva che si comporta con unorganizzazione interna specifica, che prende decisioni e agisce non pi come singolo, ma come sistema
interagente, di cui lindividuo costituisce solo una parte. Tuttavia, come un

86

Settimo Catalano

organismo umano pu sopravvivere senza consapevolezza grazie a leggi


biologiche e abitudini acquisite, cos un qualsiasi gruppo pu funzionare
senza che ci sia, da parte dei singoli membri, consapevolezza del gruppo
in quanto tale.
Senza attenzione alla realt-gruppo succede che una volta stabilitesi
delle modalit relazionali fra i componenti, queste tenderanno a diventare abitudini specifiche e difficilmente potranno essere cambiate. Quando
invece mettiamo attenzione al gruppo in cui siamo inseriti e cerchiamo
di diventare coscienti delle modalit relazionali che lo caratterizzano, si
apre la possibilit di superare le abitudini e di attuare cambiamenti che
non siano casuali.
Generalmente si d per scontato che ogni essere umano tenda a migliorare se stesso e le proprie condizioni di esistenza verso una maggiore
felicit; anzi, questo fatto rappresenta una specie di postulato alla base
di qualsiasi teoria sulluomo. Le implicazioni di questo postulato sono
per meno scontate: presuppongono infatti che luomo tenda a cambiare
intenzionalmente al fine di aumentare il livello di benessere, superando
quindi la tendenza ad abbandonarsi alle proprie abitudini. Ci comporta
che le esperienze precedenti, sia positive che negative, siano tenute in
considerazione e valorizzate, in particolare quelle che sono state gi in
grado di dare benessere.
Di norma, per, lindividuo tende a lasciarsi andare alle proprie abitudini, sia quando da solo sia quando in gruppo. Quindi, bench
lessere umano in teoria tenda alla felicit con gli altri, in pratica poi
non trova la strada per andare in questa direzione e si affida al caso e
alla fortuna.
Una delle conseguenze che ogni gruppo rimane per i propri componenti un semplice dato di fatto di cui non si consapevoli sia rispetto alla
struttura sia rispetto alle caratteristiche che lo differenziano dagli altri
gruppi. Un osservatore attento che esaminasse una famiglia o un qualsiasi
altro gruppo dallesterno, potrebbe scoprire che ogni persona si relaziona
con gli altri come se rispondesse a certe regole, e che il gruppo nel suo
insieme si comporta come se tendesse a certe finalit. Si tratta di realt che
rimangono quasi sempre inconsapevoli; infatti, se interrogato, lindividuo
non saprebbe esplicitare n le regole n tanto meno il progetto che quelle
regole potrebbero sottendere.
In queste condizioni non possibile mettere in atto cambiamenti consapevoli. Quindi, se prendiamo come esempio una famiglia, non avremo mi-

Le porte dell'attenzione

87

glioramenti intenzionali fino a quando i componenti del gruppo familiare


non si confronteranno sulle modalit relazionali presenti nei loro rapporti
e sul progetto di famiglia che intendono realizzare insieme. Questo discorso
naturalmente vale per qualsiasi altro gruppo.
Una casa produttrice di televisori o di computer, dopo cinque anni, avr
modelli migliori di quelli precedenti; in una famiglia o in un gruppo-classe,
invece, dopo cinque anni la situazione relazionale potrebbe essere anche
peggiorata. In effetti i modelli di computer possono migliorare perch si
tiene conto dei modelli passati. Cos un gruppo, per migliorare il proprio
modo di funzionare, dovrebbe tenere in considerazione i modi di funzionamento precedenti. Per questo necessaria, da parte dei partecipanti,
unattenzione specifica al gruppo come tale, cos che si possano valorizzare
le esperienze passate del gruppo, e su questa base reale ricercare e sperimentare nuove modalit di relazionare con gli altri, pi idonee a generare
reciproca soddisfazione.

Assumere una modalit di pensare soggettiva


Quando si vuole diventare consapevoli della propria realt di gruppo si incontrano delle difficolt di base che necessario esaminare per prime.
Un progettista che ha lobiettivo di migliorare le prestazioni di un
computer, studia le migliorie delle singole componenti in funzione del
comportamento generale che vuole ottenere dalla macchina, lavora cio
sul particolare avendo contemporaneamente ben presente il funzionamento
globale. Invece un individuo, non avendo quasi mai una visione dinsieme,
anche quando vuole stare meglio con gli altri, non tender a migliorare la
realt del gruppo nel suo complesso, ma solo la propria condizione, centrandosi sulla soddisfazione dei propri bisogni e desideri, e raramente si
spinger al di l di se stesso, perch questo gli risulter inusuale e difficile.
che lindividuo, nei confronti del gruppo a differenza del progettista
nei confronti del suo progetto fa parte lui stesso del sistema che vuole
migliorare. Per lindividuo difficile liberarsi dallattaccamento alla propria visione soggettiva e rendersi conto che in un gruppo esistono tante
visioni soggettive quanti sono i soggetti. E quando se ne rende conto, per
lui difficile vederne lutilit. Il modo di vedere degli altri, infatti, viene
normalmente vissuto come una limitazione, se non addirittura come una
minaccia per il proprio Io.

88

Settimo Catalano

In realt, le differenze allargano la visione del mondo. Pensiamo per esempio alla stereofonia, grazie alla quale si riesce a collocare nello spazio lorigine
di un certo suono. Ebbene, la stereofonia il frutto dellinterazione fra le due
percezioni sonore dellorecchio sinistro e di quello destro; proprio il fatto
che esistono delle differenze fra queste due percezioni ci permette di capire
la distanza e lorigine di un suono.
Da un punto di vista teorico facile capire che le differenze fra le persone
possono rappresentare una risorsa per il gruppo, ma quando si interagisce
realmente difficile vivere come risorsa la diversit dellaltro. Quasi sempre,
infatti, si rimane limitati allinterno degli orizzonti consentiti dal proprio
punto di vista, prigionieri di se stessi.
Questo sentimento di attaccamento alla propria visione soggettiva porta a
una modalit viziata di percepire il mondo, una vera e propria malattia della
percezione che consiste nel ritenere la propria percezione come oggettiva: per
cui la propria percezione vera mentre le altre, pi si discostano dalla propria,
pi sono false. Leffetto preoccupante di questa malattia, per quello che
riguarda le relazioni con gli altri, che, pi gli altri manifestano percezioni
della realt diverse dalle proprie, pi li si vive come cattivi. Questi sentimenti
verso chi non la pensa come noi portano poi a considerare i componenti del
gruppo non come delle risorse, ma divisi in buoni e cattivi, vicini e lontani,
simpatici e antipatici.
Per mettere attenzione al gruppo come unit, basilare quindi correggere
questo vizio di percezione e assumere una modalit soggettiva nel modo di
percepire e di pensare.

Pi lindividuo attaccato al proprio modo di percepire e pensare, pi sar


difficile mettersi nella prospettiva di vedere il gruppo come unit, poich
lessenza di un qualsiasi gruppo proprio linterazione fra i diversi punti di
vista soggettivi, fra i quali c anche il proprio.
A causa dellincapacit di staccarsi dal proprio io e saper ragionare col
noi, cio tenendo in considerazione la totalit a cui si appartiene, lindividuo
normalmente non arriva a concepire n a condividere con gli altri membri un
progetto per il gruppo-in-s.
Quando si parla di progetto per il gruppo-in-s non ci si riferisce a mete
esterne al gruppo come, per esempio, il miglioramento dello status sociale per
il gruppo-famiglia, lapprendimento di materie scolastiche per il gruppo-classe
o il perseguimento di un obiettivo lavorativo per il gruppo di lavoro, ma a

Le porte dell'attenzione

89

mete interne al gruppo stesso quali potrebbero essere, per esempio, lascolto,
la comprensione e il sostegno reciproco. Per arrivare alla reale condivisione di
un progetto per il gruppo e mettere cos a fuoco il tipo di gruppo desiderato
da ciascuno, ogni membro dovrebbe rinunciare alla pretesa di porre al centro
la propria visione del mondo, accettando la realt dei propri limiti, e riconoscendo come immaturi i propri sentimenti di onnipotenza infantili, che questi
limiti non ce li fanno vedere.
Si tratta di un radicale cambiamento nel modo di pensare, paragonabile a quello che stato per lastronomia la rivoluzione copernicana,
a causa della quale il genere umano ha dovuto abbandonare la narcisistica credenza che la terra fosse al centro delluniverso e che tutto le
girasse intorno.
Per spiegarci i fatti psicosociali si deve abbandonare lidea che il proprio
Io e il proprio modo di vedere siano al centro, fissi e oggettivi, per cominciare a pensare in termini di relazione e di soggettivit. Molti autori, negli
ultimi trentanni, hanno contribuito a diffondere in Italia questo nuovo
modo di pensare che, comera logico prevedere, ha sempre incontrato e
incontra tuttora notevoli resistenze, non tanto per la comprensione teorica,
quanto per la realizzazione pratica. Infatti, pensare in modo relazionale
pi complesso che pensare in modo egocentrico perch si tratta di tenere
contemporaneamente presente nella propria mente, quando si comunica,
non solo la propria posizione, ma anche quella degli altri. Questo modo di
pensare, applicato ai problemi che nascono fra le persone, porta a risultati
sorprendenti. Facciamo alcuni esempi pratici riferiti al gruppo di insegnanti
di cui facciamo parte.
Se ci lamentiamo che alcuni componenti del gruppo non hanno la
stessa fiducia che riconosciamo a noi stessi, stiamo pensando in maniera
egocentrica. Se invece ci domandiamo quanta fiducia circoli nel gruppo
e che cosa potrebbe facilitare la circolazione di questo sentimento in
ciascuno dei membri, stiamo affrontando il problema da un punto di
vista relazionale; questo perch teniamo contemporaneamente presente,
oltre alla nostra posizione, quella di ciascun altro e quella del gruppo
nel suo insieme.
Se siamo convinti che il gruppo bloccato a causa dellaggressivit di
uno dei componenti e che, di conseguenza, non ci rimane che attendere
che questa persona cambi atteggiamento, stiamo ancora pensando nel
solito modo egocentrico. Chiedersi invece se sia lecita una certa aggres-

90

Settimo Catalano

sivit nel gruppo e in quali forme possa essere considerata una risorsa
per il gruppo, un modo di analizzare il problema da un punto di vista
relazionale.
Come mostrano questi due esempi, il pensiero relazionale molto pi
accessibile di quanto possa sembrare: si tratta di leggere la situazione da un
punto di vista pi ampio e ragionare partendo da quello che serve al gruppo
nel suo insieme, e quindi anche al singolo che ne fa parte.

La Classe Come Sistema Relazionale

Lentit gruppo
Nella seconda parte di questo libro abbiamo analizzato in maniera approfondita la relazione fra chi insegna e chi impara e abbiamo visto come linsegnante
pu modulare la relazione con lallievo mediante opportuni cambiamenti su
se stesso, e ottenere cos lattenzione voluta.
Parallelamente, linsegnante pu ottenere attenzione da tutta la classe,
cambiando il proprio modo di relazionarsi al gruppo degli allievi.
Ma per farlo deve necessariamente essere in grado di percepire lentit
gruppo, di vedere il gruppo come un sistema relazionale unico e mettere la
sua attenzione a questo livello di realt.
Quando linsegnante non consapevole del gruppo avr s un certo tipo
di controllo dovuto al suo ruolo, ma non sar in grado di capire le reazioni
della classe ai suoi interventi.
Dire che la mano a dare una sberla o che a compiere questo gesto la
persona a cui la mano appartiene, comporta un passaggio a una lettura della
realt di livello superiore. Cos quando si pensa alla classe come a un gruppo
psicologico si passa a una lettura della realt di livello pi complesso di quella
basata sulla personalit degli individui.

92

Settimo Catalano

Prestare attenzione allinsegnante come modalit


di interazione di gruppo
Ogni insegnante sarebbe felice di ottenere facilmente lattenzione di tutto
il gruppo-classe e di vedere i propri alunni aiutarsi reciprocamente a stare
attenti.
Questo desiderio pu essere soddisfatto non dai singoli individui, bens
dal gruppo considerato nel suo complesso. La prova sta nel fatto che quasi
tutti gli allievi, presi singolarmente in un rapporto a due, sono in grado di
prestare attenzione, mentre possono perdere questa capacit proprio quando
sono nel gruppo. Stare attenti allinsegnante infatti una specifica modalit di
interazione di gruppo caratterizzata dai seguenti due aspetti:
1) il prestare attenzione allinsegnante di fatto un comportamento modello
per il gruppo; una norma che lallievo desidera seguire perch, rispettandola,
si sente inserito e accettato nel gruppo;
2) nessuno spinto a mettersi in una posizione out rispetto al gruppo, perch non indotto in questo senso n dal comportamento dei compagni n da
quello dellinsegnante. In altre parole, nel gruppo non devono esserci ruoli
che si prestano al sentimento del sentirsi fuori dal gruppo come, per esempio,
il ruolo del rifiutato, dellescluso, del capro espiatorio o del leader egocentrico
e destrutturante che utilizza il gruppo come un giocattolo.
Questi due aspetti non sono riconducibili a caratteristiche della persona,
ma a certe modalit di percezione reciproca allinterno del gruppo, ovvero a
come i componenti sono in relazione tra loro.
Per capire cosa si intende per elementi in relazione tra loro proviamo a
considerare lesempio seguente.
Sul banco di unorologiaio sono appoggiate delle rotelline di un orologio,
se ne sollevo una e la faccio girare, le altre stanno ferme. Le rotelline in questa
situazione sono singoli elementi non in relazione tra loro.
Se invece vengono reinserite nellorologio dal quale sono state tolte e sistemate opportunamente, allora s che il movimento delluna si trasmetterebbe
anche allaltra.
I componenti rimangono gli stessi, ma la nuova posizione spaziale consente
ora ai denti di una ruota di muoversi su quelli dellaltra. In questo caso gli
elementi sono in relazione fra loro.
Se pensiamo a un gruppo-classe risulta evidente che i membri sono sempre in relazione fra loro, perch i comportamenti verbali e non verbali di

Le porte dell'attenzione

93

Nell'immagine di sinistra tutti i bicchieri sono sul vassoio appoggiato sul tavolo; nell'immagine
di destra due bicchieri sono fuori dal vassoio e poggiano sul tavolo.

ognuno sono stimoli che influiscono sugli altri e che sollecitano gli altri a
rispondere.
Tuttavia ciascun gruppo-classe pu comportarsi anche molto differentemente dagli altri, perch risponde a differenti modalit relazionali.
Per comprendere questo concetto facciano alcuni esempi.
Prendiamo un gruppo di elementi composto da un tavolo, un vassoio e dei
bicchieri. Immaginiamo ora due diverse situazioni.
Nella prima tutti i bicchieri sono sul vassoio appoggiato sul tavolo, nella
seconda due bicchieri sono fuori dal vassoio e poggiano sul tavolo.
Gli elementi del gruppo presi in considerazione rimangono, in tutti e due
i casi, in relazione fra loro, ma il modo in cui sono in relazione cambia. Cambiando il modo, cambia anche loperazione che devo fare se voglio ottenere
un certo risultato. Se, per esempio, voglio ottenere di spostare tutti i bicchieri
insieme con una sola manovra, dovr agire in maniera molto differente in
ognuna delle due situazioni. Nella prima baster agire sul vassoio, perch tutti
i bicchieri vi sono poggiati sopra: se sposto il vassoio, i bicchieri si sposteranno con esso. Ma se compio la stessa operazione nella seconda situazione, due
bicchieri rimarranno fermi sul tavolo; per spostarli tutti con una sola manovra
dovr spostare il tavolo.
Per visualizzare il concetto che in un gruppo necessario tenere in considerazione il modo in cui sono in relazione i diversi elementi quando si vuole
ottenere un certo risultato, possiamo fare unanalogia fra la situazione dove
tutti i bicchieri poggiano sul vassoio, e una classe dove insegnante e alunni
poggiano su un buon sentimento di appartenenza al loro gruppo, e, di conse-

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Settimo Catalano

guenza, sentono proprie le norme che lintero gruppo si d. In questo caso, se


lobiettivo dellinsegnante di ottenere attenzione dal gruppo-classe, si pu far
leva su questo sentimento di appartenenza e chiedere al gruppo di riflettere
sulla funzione dello stare attenti, sul come si fa a stare attenti, se questa norma
possa essere utile a tutti e infine decidere se assumerla o meno.
Se questo comportamento viene accettato dal gruppo, quando viene a
mancare lattenzione, opportuno ricercarne la causa nel come si sta facendo
lezione. Non serve, in questo caso, richiamare allattenzione i singoli alunni
perch gli allievi sono gi tutti disponibili a stare attenti: il problema non
riguarda il gruppo, ma gli aspetti tecnici della comunicazione.
Quando fra i membri del gruppo circola il sentimento di appartenenza, la
modalit che assume il gruppo quella di tendere a funzionare come unit, di
assumere velocemente norme e regole funzionali al lavoro che si sta facendo
e di valorizzare le risorse dei singoli.
Facciamo ora unanalogia fra la situazione in cui tutti i bicchieri tranne
due poggiano sul vassoio, con un gruppo-classe in cui due alunni sono in
posizione out rispetto al gruppo e tendono a mantenere questa posizione non
seguendo le norme che il gruppo si d.
Quando presente questa modalit relazionale, per ricondurre allunit il
gruppo, linsegnante pu squalificare la posizione dellescluso e ristrutturare
la situazione in modo tale che i due allievi in questione non possano rimanere in
posizione out rispetto al gruppo.
Se, per esempio, linsegnante propone un gioco e due allievi non vogliono
parteciparvi, sgridarli servirebbe solo a irrigidire la loro posizione out. Linsegnante, invece di seguire le solite abitudini, potrebbe tentare di ristrutturare
la situazione. Per esempio potrebbe, come prima mossa, acconsentire alla
richiesta dei due allievi di essere lasciati fuori dal gioco, dando per loro il
compito di osservare se i compagni giocano insieme oppure no. Poi, dopo
qualche minuto, invece di proporre un altro gioco, linsegnante potrebbe
chiedere a tutti, compresi gli allievi osservatori, di giocare liberamente. In
questa fase sar linsegnante a osservare gli allievi, in particolare quelli, se ce
ne sono, che sembrano non giocare.
Dopo 5/10 minuti, quando lo riterr pi opportuno, fermer il gioco, chieder agli allievi di sedersi in cerchio per facilitare lo scambio verbale e con
loro metter a fuoco i giochi fatti, preoccupandosi di definire come gioco ogni
comportamento tenuto. C chi ha giocato a prendersi, chi ha giocato a fare
la lotta, ma c anche chi ha giocato a guardare, chi ha giocato a stare fermo
appoggiato al muro e cos via...

Le porte dell'attenzione

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Fin qui, nella nostra metafora, abbiamo spostato il tavolo, abbiamo cio
ristrutturato la situazione in modo tale da non dare a nessuno la possibilit
di sentirsi in posizione out. I due allievi che prima si rifiutavano di giocare
sono stati inseriti nellattivit: nella fase di gioco guidato partecipavano come
osservatori, mentre nella fase del gioco libero partecipavano come gli altri,
utilizzando il momento come volevano.
Questo metodo di ristrutturare la situazione, in modo che nessuno si possa
escludere, porta a delle modificazioni nel gruppo solo se si riesce ad applicarlo
tutte le volte che qualcuno si esclude.
Ma se questo si ripete spesso, loperazione diventa molto onerosa per
linsegnante. Gli interventi tesi a ristrutturare la situazione potrebbero cos
avere solo unutilit momentanea. In tal caso si render necessario intervenire
sul gruppo in maniera pi radicale, per aiutare a fare crescere nel gruppo il
sentimento di appartenenza e creare le condizioni adatte affinch tutti possano sentirsi dentro e non fuori. (Vedi percorso pratico in coda a questa terza
parte del libro.).
In ogni caso, per ottenere lattenzione di tutti o per capire perch non si
riesce a ottenerla, si dovr essere in grado di guardare al gruppo come tale,
e comprendere le modalit relazionali presenti. Se si vuole che gli allievi attenti a quello che si sta facendo in classe aiutino anche gli altri compagni ad
assumere un analogo comportamento attentivo, si dovr curare che il gruppo
funzioni unito senza ruoli out.
Cos, se qualche allievo non presta attenzione allinsegnante, bisogna considerare la possibilit che questo suo comportamento sia la conseguenza del
suo tipo di relazione con il gruppo.
Infatti, se un allievo ha una relazione di inclusione, ovvero si sente parte del
gruppo, ogni volta che percepir il comportamento prestare attenzione allinsegnante come condizione per rimanere nel gruppo, si impegner a farlo suo.
Al contrario, un allievo che ha una posizione di esclusione, ovvero si considera
il diverso, far di tutto per non assumere questo comportamento.
Quindi linsegnante, per realizzare il suo desiderio di avere attenzione,
dovr considerare il gruppo-classe come un tutto interagente e dovr intervenire opportunamente a questo livello di gruppo. Quello che si desidera
lattenzione del gruppo, e questa non corrisponde a una mera somma di
singoli comportamenti di ascolto.
Se una persona vuole sentire un programma radiofonico deve riconoscere
che loggetto che pu soddisfare il suo desiderio una radio e non un aspirapolvere. Non si tratta di collegare alla corrente e accendere un elettrodo-

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Settimo Catalano

mestico qualsiasi che produce rumore, ma scegliere una radio. Solo cos pu
soddisfare il suo desiderio: riconoscendo loggetto in grado di soddisfarlo e
conoscendone le modalit di funzionamento. Analogamente, linsegnante
che vuole lattenzione della classe deve riconoscere che loggetto in grado di
soddisfare il suo desiderio il gruppo, e intervenire a questo livello e non sul
singolo. Concludendo, ottenere una genuina attenzione da parte di tutta la
classe diventa possibile, se ci si preoccupa di realizzare un gruppo unito, senza posizioni out, dove cio sono assenti modalit relazionali che provochino
esclusione, rifiuto o manipolazione.
Attualmente, per, non si pu certo dire che nelle classi delle scuole
italiane il comportamento dellinsegnante e quello dei compagni siano tali
da non indurre nessuno a mettersi in una posizione out rispetto al gruppo.
Purtroppo, tranne rare eccezioni, la regola che, a seconda del momento e
del tipo di lavoro, c sempre qualcuno che rimane fuori. Per linsegnante disattento alla realt-gruppo, il recupero di chi in posizione out uno
scoglio insuperabile. Infatti gli interventi di questo insegnante disattento
al gruppo sono di tipo personale, tendono cio a sottolineare come in quel
momento la persona ripresa non si comporti come gli altri. Cos facendo,
si favorisce inconsapevolmente la percezione che, a seconda dellattivit
svolta o del momento specifico, c sempre qualcuno fuori dal gruppo che
si comporta in contrasto con gli altri. Pi il gruppo immaturo, pi questa
posizione out tender a essere assunta rigidamente dalle medesime persone.
Che si tratti di un fenomeno di gruppo dimostrato dal fatto che, se gli
allievi in posizione out sono assenti, o per qualche ragione non entrano nel
ruolo consueto, sar possibile vedere altri farsi avanti per occupare la posizione lasciata vuota. Questo perch il gruppo ormai abituato a funzionare
con qualcuno in posizione out. Quasi tutti i gruppi classe delle nostre scuole
possiedono questa caratteristica, che la conseguenza della scarsa attenzione
degli insegnanti ai processi di gruppo.
Per quanto riguarda, invece, la prima condizione, cio che il gruppo
consideri normale prestare attenzione allinsegnante, pi frequente che
questa si realizzi, anche se i singoli allievi possono aderirvi con pi o meno
convinzione. un fatto eccezionale che linsegnante perda completamente
il controllo sul gruppo al punto che gli allievi assumino come norma il non
prestare attenzione allinsegnante e quindi isolino chi si mostra interessato alle
attivit proposte dalladulto. Se questo accade pu succedere che linsegnante
si arrabbi con tutto il gruppo-classe perch lo sente ostile, e se la classe in-

Le porte dell'attenzione

97

siste con questo atteggiamento possibile addirittura che linsegnante vada


seriamente in crisi. Questo pu accadere agli insegnanti supplenti o a chi ha
poca esperienza.
Normalmente per la seconda condizione che completamente disattesa,
e quindi possiamo essere quasi certi di trovare in ogni classe qualcuno che
si senta fuori dal gruppo. Spesso gli allievi che entrano in questa posizione
mentale si comportano in maniera oppositiva, ossia, quando vedono gli altri
coinvolti dallinsegnante, fanno capire al gruppo che loro sono i diversi, disturbando. Poich questa posizione out riguarda di solito pi di una persona,
linsegnante sempre in svantaggio, perch solo contro un sottogruppo i cui
membri si sostengono vicendevolmente nei comportamenti devianti.
Si pu concludere dicendo che il desiderio dellinsegnante di ricevere attenzione e di creare un clima di partecipazione da parte di tutti potr veramente attuarsi
solo se in ciascun allievo i sentimenti di appartenenza al gruppo prevarranno
sui sentimenti del porsi al di fuori del gruppo, come lesclusione, lestraneit o il
desiderio di manipolazione.

La condivisione degli obiettivi e delle norme


in un gruppo
Coordinare un gruppo di componenti elettronici o un gruppo di computer
relativamente semplice. Coordinare pi persone in maniera che la loro attivit
sia funzionale a uno scopo comune molto pi complesso poich, per prima
cosa, tutte le persone debbono volerlo.
In un gruppo se norme e obiettivi vengono imposti da uno o pi membri,
gli altri sentiranno il gruppo come una minaccia alla loro identit e lentit
gruppo verr percepita come qualcosa di oppressivo e manipolatorio che
toglie libert alla persona. Coloro che si sentono decisi dagli altri, anche se
superficialmente si accorderanno allo scopo dichiarato, avranno come loro
vero obiettivo quello di fuggire dal gruppo che li minaccia e impediranno
al gruppo-classe di funzionare in maniera unitaria. Le condizioni ottimali,
quindi, sono quelle per cui il gruppo accetta quella norma, o quello scopo,
solo dopo un reale consenso da parte di ciascuno dei suoi membri. Affinch
questo accada, le regole e gli obiettivi del gruppo dovrebbero essere percepiti
come desiderabili dai membri; ogni singolo componente dovrebbe avere dei
buoni motivi per assumerli come propri.
Se, per esempio, prendiamo in esame il comportamento prestare attenzio-

98

Settimo Catalano

ne allinsegnante, affinch questo comportamento si stabilisca nel gruppo,


necessario che ogni singolo percepisca lo stare attenti allinsegnante come
cosa buona da raggiungere per se stesso; non sufficiente che sia un obiettivo valido solo per linsegnante, per il genitore o per il compagno di banco.
Quando ognuno sente la norma come propria, si impegner personalmente
e aiuter gli altri a fare altrettanto. Linsegnante attento al funzionamento-digruppo eviter quindi di imporre alla classe regole dallalto. Per far s che gli
allievi facciano proprie le regole di convivenza, linsegnante potrebbe chiedere,
attraverso una onesta discussione di gruppo, ladesione di ciascuno o i motivi
per cui uno non si sente di aderire. Nel corso della discussione, per stimolare
la riflessione, cercher di presentare i lati desiderabili di quel determinato
comportamento o di una certa norma, come il fatto che pu essere utile a
tutti o funzionale allo scopo comune. Quello che conta che, alla fine, ognuno
possa percepire la decisione come presa dal gruppo e in quanto tale modificabile,
se in futuro il gruppo lo ritenesse opportuno. Le norme saranno senzaltro
seguite con maggior entusiasmo quando saranno percepite dagli allievi come
utili strumenti, e non come regole fisse a cui bisogna per forza aderire.

Il gruppo come processo


Il gruppo una realt complessa, ma questa complessit va accettata; se si cerca
di ridurla o di banalizzarla, le difficolt aumentano anzich diminuire.
Per esempio, se si pensa a un determinato gruppo-classe come a qualcosa
di statico e di prevedibile, ci si trover molto spesso in difficolt. Le difficolt
saranno minori se invece lo si pensa come una realt in movimento, come un
processo dotato di una certa imprevedibilit.
In particolare, le norme assunte da un gruppo non possono essere date per
scontate, ma rimarranno attuali finch saranno percepite da ogni membro
come funzionali a un qualche scopo accettabile.
In un momento successivo, presentandosi una difficolt, questa percezione
potrebbe cambiare; allora sar necessario un aggiustamento da parte dellinsegnante, altrimenti la norma, prima condivisa, potrebbe essere disattesa.
Un fattore importante in questi cambiamenti di percezione rispetto alle
norme del gruppo ladesione o meno di ciascuno al gruppo. come se in
una autovettura le diverse parti, motore, freno, tergicristallo ecc., potessero
rifiutarsi di funzionare quando e si sentano trascurate dal guidatore.
Un gruppo (nel suo senso psicosociale), non dato affatto dalla mera

Le porte dell'attenzione

99

presenza di pi individui in una stanza, ma dato esclusivamente dal sentimento di appartenenza a quel gruppo che circola fra i membri. proprio
la circolazione di questo sentimento che qualifica quellinsieme di persone
come gruppo.
Pi ciascuno avverte questo sentimento, pi il gruppo esiste come tale,
mentre pi questo sentimento debole, pi lentit gruppo debole, incostante o assente.
Data la complessit della situazione, la conduzione della classe sar notevolmente semplificata se in prima istanza linsegnante si preoccuper di
mantenere il gruppo il pi possibile unito, favorendo la circolazione del sentimento di appartenenza e intervenendo opportunamente quando si creano
tensioni e conflitti,
In questo libro, per crescita di gruppo si intende quel processo di maturazione che, attraverso una serie di dinamiche, porta i componenti di un gruppo
di persone verso un pieno senso di appartenenza.
Questo processo, che riguarda le relazioni fra le persone, avviene parallelamente allattivit esplicita del gruppo. Come la terra ruota su se stessa
e contemporaneamente intorno al sole, cos in un gruppo esistono contemporaneamente due movimenti: uno che tende al senso di appartenenza, che
riguarda le relazioni e che chiamiamo crescita di gruppo; laltro che tende alla
realizzazione di uno scopo comune, che riguarda i contenuti e che chiamiamo
attivit di gruppo.
Come un guidatore, deve conoscere anche il funzionamento della macchina
per poterla guidare e giungere cos a destinazione, analogamente, linsegnante
dovrebbe non solo avere uno scopo da raggiungere con il gruppo, ma anche
conoscere le sue dinamiche. Inoltre, come per il guidatore dauto, necessaria
una certa prontezza di riflessi, nel senso di saper intervenire tempestivamente sulla base di quello che succede nel qui e ora.

Il rifiuto verso le norme


Quando il gruppo c, quando cio il senso di appartenenza provato da
ciascuno vivo, i componenti mostrano di aderire facilmente a un insieme di
regole, implicite o esplicite, specifiche di quel gruppo. In questo caso ci si pu
concentrare quasi unicamente sullo scopo. Quando invece il senso di appartenenza scarso o assente, le regole del gruppo risultano meno seguite.
Il gruppo-classe composto da persone giovani ma libere, che possono dare

100

Settimo Catalano

la loro adesione, ma che possono giustamente anche rifiutarla. Il rifiuto dovrebbe essere considerato legittimo, e letto come lespressione di un malessere,
o comunque di un problema, che andrebbe individuato e trattato nella giusta
maniera. Non funzionale che linsegnante risponda al rifiuto dellallievo con
un analogo rifiuto. Se linsegnante fa la voce grossa, se sgrida, se castiga, se
si impone, otterr al massimo un aggiustamento di breve durata. Infatti, con
questo tipo di intervento, latteggiamento di rifiuto dellallievo aumenter.
Lobiettivo dellinsegnante dovrebbe essere quello di aiutare lallievo a riscoprire in quella norma qualcosa di desiderabile; se linsegnante ci riuscisse,
per lallievo sarebbe facile decidere di aderirvi nuovamente. In tale maniera,
ovvero portando lattenzione pi sul valore intrinseco di una norma che sui
comportamenti devianti, si favorisce negli allievi ladesione volontaria alle
norme del gruppo e questo rende pi vivo il senso di appartenenza.
Quando un allievo rifiuta ostinatamente di seguire una regola, linsegnante
potrebbe anche riesaminare, con questo allievo e con la classe, la funzione che
quella regola ha per il gruppo, ed eventualmente trasformarla in unaltra pi
adatta a tutti. Oppure, linsegnante potrebbe verificare, tramite un colloquio a
due, quanto lallievo senta di appartenere al gruppo o quanto invece si senta
psicologicamente fuori dal gruppo.
Non c dubbio che chi manifesta comportamenti contro il gruppo e le
norme condivise, comunica agli altri che si sente escluso e/o rifiutato.

K Il protagonista assoluto
Qualche anno fa, in una classe di terza elementare, conobbi Marco, un bambino affetto da sindrome di Down, che si comportava in modo molto simpatico
finch era al centro dellattenzione, ma che mi impediva sistematicamente di
lavorare con il resto della classe, quando questo ruolo gli veniva tolto. In pratica si rifiutava di fare qualsiasi cosa con gli altri e di rispettare regole comuni.
Per due incontri fui costretto a coinvolgerlo continuamente in quello che si
faceva, come protagonista quasi assoluto. Sembrava che, per lui, gli altri non
esistessero se non come spettatori delle sue performance. In realt non era
in grado di giocare con gli altri, perch per lui non esistevano regole; anzi,
era chiaro che trovasse gratificante proprio il fatto di non rispettare le regole
che gli altri seguivano.
Mi posi come obiettivo quello di portarlo a cambiare questa sua posizione.
Cos, decisi che nel terzo incontro avrei iniziato il lavoro rivolgendomi a tutta

Le porte dell'attenzione

101

la classe e che non appena lui avesse avuto il solito atteggiamento accentratore, avrei lasciato lo spazio fisico dellintera aula a sua disposizione per fare
quello che voleva; con gli altri allievi mi sarei trasferito in un altro spazio.
Esposi il mio progetto allinsegnante e le chiesi di collaborare rimanendo
con Marco quando noi fossimo usciti, per osservare quello che il bambino
faceva e per cogliere il momento opportuno per farlo riflettere sul suo rapporto
coi compagni. In particolare appurare se i compagni fossero per lui importanti,
e se era disposto a fare qualcosa per stare in loro compagnia.
Nellincontro successivo le cose andarono come previsto e, non appena lui
cominci le sue performance, gli dissi: Vedo che fai tutto quello che vuoi
come se i tuoi compagni, la tua maestra e io non ci fossimo, quindi per non
disturbarti ce ne andiamo a lavorare da unaltra parte e lasciamo laula a tua
disposizione. Lui fece finta di non sentirmi, e continu imperterrito con i
suoi comportamenti bizzarri.
Allora mi diressi alla porta e i compagni, vedendo che facevo seriamente,
mi seguirono. Ci trasferimmo nellaula di psicomotricit e cominciammo a
lavorare con lanimazione teatrale. Avevamo gi iniziato da una ventina di
minuti e tutti erano coinvolti, quando si sent bussare, e Marco si affacci
alla porta con linsegnante.
Con un tono deciso, mostrando una certa sorpresa, gli chiesi:
Come mai sei qui?
Non gli lasciai il tempo di rispondere e aggiunsi:
Avevi a tua disposizione lo spazio della classe per fare quello che volevi e
la maestra tutta per te, come mai hai voluto ugualmente raggiungerci?
Lui era fermo sulla porta e mostrava un atteggiamento perplesso come
se stesse effettivamente cercando una risposta. Per aiutarlo a pensare continuai:
Dimmi la verit, preferisci giocare da solo o con i tuoi compagni?
Mmm... con i miei compagni.
Se vuoi giocare veramente con i tuoi compagni, necessario fare una
piccola fatica, cio quella di rispettare le regole comuni. Vediamo se mi sono
fatto capire: prova a ripetere quello ti ho appena detto.
Mmmmm.
Ho detto che per giocare con gli altri necessario... ris...
...rispettare le regole.
Bene, sei disposto a rispettare anche tu le regole come gli altri?
Mmm... S.
Sei proprio sicuro?

102

Settimo Catalano

S.
Va bene, allora la regola in questo momento che Sandra, Alberto e Laura
stanno rappresentando una scenetta e che gli altri devono osservarli senza
parlare. Siediti con gli altri e guarda anche tu.
Lui si sedette e aspett pazientemente il proprio turno per diventare protagonista in unaltra scena. Da quel giorno mantenne il suo coinvolgimento
con gli altri e non cre pi seri problemi.
In questo intervento fu indispensabile la collaborazione dellinsegnante, che
lo fece riflettere su quanto fossero importanti per lui i compagni. La maestra
mi raccont che Marco, quando era rimasto solo con lei, dopo pochi minuti
aveva interrotto le sue performance e si era preoccupato di sapere dove fossero
andati i suoi compagni. Linsegnante gli aveva detto che erano andati a lavorare
da unaltra parte per lasciarlo libero di fare quello che voleva, ma Marco aveva
cominciato a chiedere insistentemente di raggiungerli. Allora linsegnante laveva
fatto riflettere sul fatto che rimanendo in classe avrebbe potuto agire liberamente, mentre raggiungendo i compagni avrebbe dovuto ascoltare anche gli altri e
rispettare le regole comuni. Visto che Marco pareva disposto a fare questa fatica,
la maestra lo aveva accompagnato nellaula di psicomotricit dove io lavevo
messo nelle condizioni di verbalizzare, al suo livello, il fatto che scegliere di
stare con gli altri comportava anche limpegno di rispettare le regole del gruppo.
Questo dialogo si svolse davanti a tutti i compagni, affinch tutti capissero che
per giocare veramente insieme necessario il rispetto delle regole del gioco. Fu
un momento di presa di coscienza non solo per Marco, ma per tutto il gruppoclasse. Per voler bene al loro compagno, era necessario farlo sentire realmente
nel gruppo sollecitandolo a rispettare le regole comuni. Quindi, permettergli
di fare tutto quello che voleva non era una cosa buona, ma era anzi proprio un
modo per escluderlo. Inoltre risult chiaro a tutti che Marco desiderava stare coi
compagni e non si divertiva affatto da solo. Quindi, in forza di questa attrazione,
si poteva pretendere la sua adesione alle regole del gruppo.
In effetti la situazione nella classe cambi, e Marco non impose pi le sue
performance, mostrandosi pi disponibile ad ascoltare gli altri.

Il peso del ruolo


Quando la realt relazionale invisibile allinsegnante, in breve tempo si
creano nel gruppo-classe dei ruoli fissi che costringono e limitano gli allievi
come armature di ferro.

Le porte dell'attenzione

103

Ecco una passerella di ruoli che si incontrano frequentemente, suddivisi


per categorie e nominati al maschile o al femminile, anche se in realt possono
essere impersonati da entrambi i sessi.
Ruoli che si originano da aspetti fisici come: il ciccione della classe, sempre
pronto a ridere su tutto, anche su se stesso; il bello, desiderato da tutti; la racchia, che si presenta troppo magra e gracile; il rosso, che purtroppo ha i capelli
di un colore meno frequente; il pi piccolo, che suscita negli altri sentimenti di
protezione; il pi grosso e forte, da cui tutti vorrebbero farsi proteggere quando
litigano con i compagni ecc.
Ruoli che si sviluppano attorno a comportamenti singolari e ripetitivi: quello
che non parla mai, che riduce al minimo la sua espressione verbale; quello che
parla con un filo di voce, e bisogna sforzarsi per sentirlo; lagitato, sempre in
movimento, che non riesce a stare seduto sulla sedia; quello che piange sempre,
ogni volta che incontra qualche difficolt; quello che si fa sempre male, che
spesso dallinsegnante a lamentarsi per le sue continue cadute; lappiccicoso,
che letteralmente incollato allinsegnante; il cattivo, che fa dispetti e picchia i compagni; il prepotente, che vuole sempre averla vinta; il buono, che
non farebbe male a una mosca, subisce e non reagisce; il crudele, che se
pu torturare qualche animale lo fa volentieri; il bugiardo, che ama mentire;
la chiacchierona, che non smette mai di parlare; quello che dice le parolacce,
che prova gusto a farsi dire continuamente di non dirle ecc.
Ruoli che hanno un certo riferimento al rendimento scolastico, come il
secchione, sempre attento e impeccabile nei compiti; il bravino, che sembra
gi adulto; il ripetente, che normalmente anche il pi anziano della classe;
il lecchino, che sta in ogni situazione dalla parte dellinsegnante; quello che ha
sempre la testa fra le nuvole, che, se richiamato dallinsegnante, sembra venire
gi da un altro pianeta ecc.
Ruoli che dipendono dalla posizione che uno ha nel gruppo o nel sottogruppo, come il capro espiatorio, quello che ha sempre la colpa; il ladro, sospettato
di rubare gomme, matite e altri oggetti, e che rappresenta un caso particolarmente tragico di capro espiatorio; il comandante, che decide sempre lui che
gioco si dovr fare; lemarginato, con cui nessuno vuol giocare, a dispetto delle
raccomandazioni dellinsegnante; la rubacuori, di cui tutti si innamorano; il
leader, che per le sue abilit sociali il pi ascoltato dai compagni e che tutti
vorrebbero avere come amico; laccentratore, che trova qualsiasi pretesto per
attirare lattenzione su di s; lescluso, che nei giochi spontanei viene lasciato
da parte; il cattivo, del cui comportamento aggressivo tutti si lamentano; il
leader-negativo che influisce negativamente sul comportamento dei compagni;

104

Settimo Catalano

il leader-egocentrico che utilizza il gruppo secondo i suoi capricci, come fosse


un giocattolo ecc.
Ruoli che dipendono da altrettante malattie o disturbi, come lautistico, il
mongolino, il Cornelia de Lange, il muto elettivo, ecc.
Ruoli che dipendono dalla professione dei genitori, il figlio dellinsegnante,
il figlio dellavvocato, ecc.
Inoltre ci possono essere dei sottogruppi ruolizzati, tipo il gruppo dei maschi e quello delle femmine; la coppietta: quelle due che stanno sempre insieme;
le amiche che si frequentano anche fuori della scuola; i disperati della classe,
di solito due o tre allievi, che fanno dannare linsegnante; gli allievi a rischio,
che rischiano di perdere lanno o di abbandonare la scuola ecc.
Questa lista solo indicativa e ogni insegnante potrebbe aggiungere molti
altri ruoli. Laspetto rilevante che entrare in un ruolo sempre una limitazione per la persona e, a prescindere dalle apparenze, spesso causa di intima
sofferenza. Lindividuo infatti sente che gli altri vedono di lui solo una parte,
e si ritrova costretto a sperimentare sempre solo quellaspetto di se stesso, per
non deludere le aspettative del gruppo ed essere preso in considerazione.
Per esempio, il bambino grasso che viene preso in giro, trova spesso come
difesa quella di scherzare anche lui: cos incomincia a far ridere i compagni;
il dramma nasce quando questo ruolo del buffone gli rimane appiccicato
per tutti gli anni della scuola. Essere capaci di far ridere gli altri una risorsa,
ma se un allievo si convince che far ridere sia lunica maniera a sua disposizione per essere considerato dagli altri, privileger questo comportamento a
scapito del resto della sua persona, che non trover modo di esprimersi con
i compagni. Questo discorso vale per qualsiasi altro ruolo.
Uno dei fenomeni che caratterizza la vita di un gruppo il sorgere, in tempi
brevi, di ruoli in cui i partecipanti entrano in modo pi o meno rigido. I ruoli
in se stessi possono anche essere utili, ma nelle prime fasi di formazione di un
gruppo vengono assunti non tanto per ragioni di efficienza, quanto per ragioni
difensive: aggrapparsi a un ruolo, infatti, limita il timore di essere criticati, svalutati o aggrediti dagli altri. Questo sentimento di timore, di cui le persone sono
pi o meno consapevoli, nasce dal fatto che allinizio della vita di un gruppo
ancora non si conoscono gli altri partecipanti ed esiste un rapporto numerico fra
il singolo e il resto del gruppo, che naturalmente sempre a sfavore del singolo.
Per questo, ognuno si sente in svantaggio e perdente in caso di conflitto o dissenso col gruppo. Il timore iniziale degli altri porta ogni partecipante a mettere
in atto le difese che gli sono congeniali. Si tratta di difese che hanno funzionato
in altri contesti, e quelle che si adattano di pi alla situazione prendono il so-

Le porte dell'attenzione

105

pravvento sulle altre. Quando una modalit difensiva si ripete frequentemente,


tende a conformarsi con un ruolo. Questo processo pu essere del tutto automatico, per cui spesso si finisce per pensare che quella persona sembri fatta apposta
per quel ruolo o addirittura che quel ruolo sia una caratteristica congenita di
quella persona, come lo sono il colore degli occhi. Tuttavia, che si tratti solo di
un ruolo dimostrato dal fatto che se il ruolo non soddisfa pi lesigenza per
cui nato si tende a cambiarlo con uno pi congeniale.
Se, per proteggersi dallansia, una persona ha imparato a mettersi nel ruolo di chi non parla, questa difesa del non parlare funzioner fino a quando nel gruppo ci sar qualcuno che parla. chiaro che, se
il gruppo dovesse stare in silenzio per un certo tempo (come succede nei
T-group1) questa persona potrebbe avvertire unansia crescente, ma non troverebbe
pi una difesa adeguata nel suo stare in silenzio, quindi potrebbe cominciare a parlare. Questo parlare, se fatto in funzione di evitare lansia prodotta dallambiguit del
silenzio, potrebbe fare entrare la persona nel ruolo del chiacchierone. Qualche volta
succede che in un T-group qualcuno affermi di non avere mai parlato cos tanto in
vita sua.
Nelle prime fasi di vita di un gruppo, cercare il ruolo che gli altri ci riconoscono quasi sempre un modo per difendersi, e pi si sentir la necessit
di difendersi psicologicamente dagli altri, pi ci si ancorer rigidamente a
questo ruolo. Col tempo, se il percorso di crescita del gruppo proceder senza
bloccarsi, crescer il sentimento del gruppo e si avvertir meno il pericolo di
essere giudicati e criticati dagli altri; allora lutilizzo del ruolo come difesa
verr progressivamente abbandonato da tutti. I ruoli rimarranno, ma solo
come funzioni a cui tutti potranno accedere. Se servisse qualcuno che faccia
un po ridere per sdrammatizzare una situazione, chiunque, volendo, potrebbe
assumersi questa parte; cos come, se si cercasse un capogruppo per una certa
attivit, si potrebbe scegliere fra tutti i partecipanti.
Quando i componenti si sentono disposti ad assumere qualsiasi funzione
la situazione richieda, il gruppo diventa un organismo flessibile, pronto ad

Il T-group sta per Training-group (letteralmente: allenamento al gruppo). Si tratta


dellesperienza formativa pi completa per imparare a funzionare a livello di gruppo. Il
T-group in grado di produrre notevoli cambiamenti nelle persone, e renderle sensibili
alla dinamica di gruppo. Nel testo si far spesso riferimento a questo tipo di esperienza.
In questo momento storico (1997) sono sempre di pi gli insegnanti che scelgono il
T-group per la propria formazione personale.

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Settimo Catalano

affrontare tempestivamente le difficolt che si presentano. Inoltre la possibilit


di svolgere tante funzioni e di rivestire diversi ruoli una condizione molto
favorevole allespressione delle potenzialit dei singoli partecipanti.
Quando un gruppo-classe o un gruppo di insegnanti caratterizzato al suo
interno da ruoli fissi, si tratta di gruppo ancora immaturo, ancorato a schemi
difensivi. In questi gruppi, come pu essere confermato da chi sperimenta
quotidianamente questo tipo di realt, il benessere relazionale scarso.
Bisogna considerare che il disagio prodotto da un ruolo rigido ha lo svantaggio di non essere sempre riconoscibile se non in ruoli particolari come, per
esempio, nel caso del bambino che piange sempre o delladulto che si lamenta
continuamente.
Linsegnante disattento al gruppo impotente quando un allievo entra rigidamente in un ruolo. Infatti la rigidit del ruolo una modalit relazionale che
pu essere abbandonata solo grazie a interventi mirati1 a far procedere la crescita
del gruppo verso una interazione pi libera e meno difensiva. Linsegnante dovrebbe intervenire direttamente sul gruppo con lo scopo di creare, fra gli allievi,
condizioni favorevoli ad approfondire la reciproca conoscenza e a sperimentare
comportamenti alternativi a quelli concernenti il ruolo fin l assunto.
Qui di seguito presenter due episodi dove stato possibile condurre alcuni
allievi in notevole difficolt a uscire da ruoli particolarmente rigidi. Questi
due esempi hanno lo scopo di aiutare a comprendere i meccanismi relazionali
che sottendono allassunzione, al mantenimento e alla perdita di un ruolo. Non
hanno invece lo scopo di suggerire allinsegnante dei metodi di intervento.
Infatti i metodi utilizzati in questi episodi non rientrano nella formazione
normale dellinsegnante, e possono essere utilizzati con successo solo da chi
li conosce molto bene.

J Il bambino che piangeva sempre e la bambina che


non parlava mai
Entrando in una classe di prima elementare per lincontro iniziale, linsegnante, che mi attendeva sulla porta, mi prese in disparte e mi inform velocemente che fra i suoi allievi cera un bambino che piangeva ogni volta che qualcuno
si rivolgeva a lui e una bambina che se ne stava sempre zitta.

Tipo lintervento sulla crescita del gruppo-classe, illustrato nel capitolo Percorso Pratico

Le porte dell'attenzione

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Aveva tentato in tutte le maniere di far loro cambiare atteggiamento, ma


ogni sollecitazione a non piangere e a parlare aveva portato solo a peggiorare
la situazione. Linsegnante si mostrava molto preoccupata, cos le chiesi di indicarmi, senza farsi notare, i due bambini in questione; quindi entrai nellaula e
cominciai a lavorare con il gruppo-classe, facendo attenzione a non rivolgermi
direttamente a loro due. Dopo il momento iniziale, dedicato a valorizzare tutti
gli interventi spontanei dei bambini e a giocarci sopra per animare la classe,
proposi di fare una scenetta. Ledificio della scuola era una vecchia villa patrizia e
la classe unampia stanza con un enorme camino non pi utilizzato, con i bordi
rifiniti lussuosamente in marmo. Dissi che il camino era un castello, e chiesi
ai bambini chi volesse fare la guardia del castello. Quasi tutti si proposero. Ne
scelsi due, che aiutai a sistemarsi in piedi ai bordi del camino. A questo punto
presi una sedia e la misi dentro il camino dicendo che in quel castello viveva
un re infelice che piangeva sempre. Quindi andai verso il bambino indicatomi
precedentemente dallinsegnante e gli dissi di venire a fare il re che piangeva
sempre. Linsegnante aveva proprio ragione; infatti, quando finii di parlare, il
bambino era gi in singhiozzi. Per nulla intimorito dal pianto gli dissi:
Eccezionale! Stai piangendo proprio bene, devi continuare a piangere
cos. Lo presi per mano e lo feci sedere sulla sedia dentro il camino, e poich
lui continuava a piangere aggiunsi: Devi proprio continuare a piangere cos,
perch sei il re che piangeva sempre.
I compagni erano sbalorditi e confusi, perch pensavano che io fossi realmente convinto del fatto che lui piangesse per finta, solo perch gli avevo
detto di piangere, e non mi fossi accorto che invece piangeva veramente. Cera
molta tensione fra loro, ma vedendo che io continuavo con calma a organizzare la scenetta qualcuno mi disse:
Ma sta piangendo davvero!
Perfetto! Piangere proprio quello che deve fare.
Poi presi una seconda sedia, la misi allaltro lato del camino e mi avvicinai
alla bambina indicatami dallinsegnante come quella che stava sempre zitta.
In silenzio, la presi per mano facendole segno di seguirmi. Lei si lasci condurre docilmente, e accett di sedersi sulla sedia appena sistemata. Lei far
la regina, dissi rivolgendomi agli altri. Poi, guardandola:
Tu sei la regina che stava sempre in silenzio, quindi devi cercare di non parlare, anche se io o qualche tuo compagno o le guardie o il re ti dovessimo rivolgere
la parola. Attenta: non devi mai, in nessuna circostanza, parlare. A questo punto,
rivolgendomi direttamente a lei, le chiesi come si chiamava; lei naturalmente non
mi rispose e io mi complimentai perch era riuscita a stare in silenzio.

108

Settimo Catalano

Il pianto del re si continuava a sentire, anche se era meno intenso, e la


bambina seduta sulla sedia, che aveva il problema di non riuscire a parlare, mostrava sul proprio volto una certa tensione. Allora, rivolgendomi
a tutti, chiesi:
Sapete perch in questo castello il re piange sempre?
Dopo un attimo di esitazione a qualcuno balen unidea e disse: Perch
sua moglie, la regina, sta sempre zitta!
Bravo! E sapete perch la regina sta sempre zitta?
Perch il re piange sempre! risposero in coro e, sia per la tensione che
per la paradossalit di tutta la situazione, scoppiarono in una sonora risata.
Nel frattempo il re smise di piangere e la regina cominci a sorridere.
Allora, rivolgendomi con decisone in tono di rimprovero, prima alluno poi
allaltro, dissi:
Ma come, tu devi piangere come facevi prima.
E tu perch muovi le labbra, non sai che chi non parla tiene le labbra
strette per non farsi uscire le parole?.
Poich il re adesso faceva solo finta di piangere, dissi:
Ma come, devi piangere come facevi prima! Non ti ricordi come facevi?
Ti stropicciavi gli occhi con le dita, tenevi la testa china...
Gli descrissi in quale modo piangeva e lo indirizzai a rifare gli stessi gesti.
Era chiaro che non si era mai accorto di come faceva a piangere e cos era in
seria difficolt a rifare i gesti che prima compiva spontaneamente.
La bambina intervenne pronunciando qualche parola per aiutarlo a piangere come faceva prima.
Ma adesso ti ci metti anche tu, guarda che tu sei la regina che non parla,
come facciamo a fare la scenetta se continui a parlare?
Insistetti ancora un po, ma alla fine uno non ne voleva sapere di piangere e laltra di stare in silenzio. Cos inserii nuovi personaggi nella scenetta
e continuai a lavorare anche con gli altri. La storia naturalmente ebbe un
lieto fine, perch il re, vedendo che la regina aveva ricominciato a parlare,
smise di piangere e la regina, vedendo che il re non piangeva pi, aveva ricominciato a parlare. Alla fine mi mostrai per un po dispiaciuto di questo
finale, e dissi:
Peccato che sia finita cos, perch tu eri proprio bravo a piangere e tu
unartista nello stare in silenzio; ma le cose vanno come devono andare.
Linsegnante si sorprese di questa mia conclusione; poi le spiegai che era un
modo di sottolineare il fatto che erano finalmente usciti dal ruolo.
Negli incontri successivi, appena mi vedevano, mi facevano grandi sorrisi,

Le porte dell'attenzione

109

quasi a volermi ringraziare di averli liberati da un incubo. Dopo un anno dalla


fine del mio intervento (che era consistito in 10 incontri di unora) andai a
salutare i bambini di quella classe. I primi due che mi corsero incontro e mi
saltarono in braccio furono proprio loro.

K La bambina muta solo a scuola


Nel mese di aprile del 1981 mi trovai a preparare linserimento nella scuola
elementare di un bambino affetto da autismo infantile di nome Paolo, che
avevo gi seguito per due anni alla scuola materna. Le due scuole erano
adiacenti. Il direttore era daccordo che Paolo familiarizzasse con gli spazi
della sua futura scuola elementare e conoscesse anche le sue future maestre,
in modo tale che ci fosse un passaggio graduale da una scuola allaltra. Avevo
programmato un incontro settimanale di unora con le maestre nellaula di
psicomotricit per tutti gli ultimi tre mesi di scuola. Durante il primo incontro, linsegnante, che avrebbe preso lanno seguente la prima elementare in cui
sarebbe stato inserito Paolo, mi disse che nella sua classe attuale, una quinta
elementare, cera una bambina di nome Viola che per tutta la materna e le
elementari era rimasta in silenzio. Tuttavia il problema del non parlare si
presentava solo con le persone che avevano a che fare con la scuola, mentre a
casa parlava. Gli chiesi se esisteva un inquadramento diagnostico, e mi rispose
che la bambina era affetta da mutismo elettivo. Rimasi sconcertato dal fatto
che linsegnante parlava di questo disturbo come se si trattasse di una vera e
propria malattia cronica.
Dal mio punto di vista, malgrado la lunga durata del disturbo, si trattava
semplicemente di un incidente relazionale, a causa del quale la bambina
aveva cominciato a non parlare durante i primi giorni di scuola materna, e
progressivamente era caduta in una sorta di ruolo estremamente rigido, dal
quale non era pi riuscita a tirarsi fuori. Viola alla fine venne considerata la
muta. Pi i compagni e le insegnanti si rapportavano a lei come se fosse
muta, pi lei era portata a corrispondere, non parlando. Questa dinamica
relazionale aveva fatto in modo che la bambina assumesse un ruolo talmente
rigido che, per otto lunghi anni, le insegnanti non le avevano mai sentito
pronunciare nemmeno una parola e avevano avuto da lei solo risposte scritte.
La diagnosi di mutismo elettivo aveva aggravato la situazione, trasformando
un ruolo assunto rigidamente in una vera e propria malattia istituzionalizzata,
con tanto di nome. Ora tutti sapevano che Viola era ammalata di mutismo

110

Settimo Catalano

elettivo, e la bambina non poteva che fare la muta. Tutto ci era assurdo e,
visto che lanno seguente la bambina avrebbe dovuto frequentare le scuole
medie, era urgente intervenire per far s che, con il cambio di scuola, potesse
modificare il suo ruolo.
Chiesi un incontro con i genitori, che furono ben contenti della possibilit
che offrii loro1. Anche il direttore della scuola si mostr daccordo, nonostante
qualche perplessit, visto che mancavano solo tre mesi alla fine delle lezioni.
Chiesi allinsegnante di aiutarmi somministrando alla classe, con opportune
istruzioni, un sociogramma2, per individuare la persona pi aperta e comunicativa della classe. Con questo strumento si identific una certa bambina.
Poi linsegnante, il giorno in cui mi fossi trovato a lavorare con Paolo nellaula
di psicomotricit, avrebbe detto ai suoi alunni che uno psicologo aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a giocare con un bambino che se ne stava
sempre in disparte, lontano dagli altri. A questo punto avrebbe scelto prima
la bambina pi desiderata della classe, precedentemente individuata con il
sociogramma, e poi Viola; quindi avrebbe detto loro di scendere nellaula di
psicomotricit.
Il giorno dellincontro and tutto per il meglio e quando linsegnante chiese
chi voleva scendere, le due bambine in questione erano fra quelle che avevano alzato la mano. Cos, mentre avevo gi iniziato a lavorare con il bambino
autistico, sentii bussare alla porta. Avevo composto con cerchi e mattonelle
di legno un percorso circolare sul quale Paolo camminava cercando di non
perdere lequilibrio, aiutato, quando lo richiedeva, da me. Lasciai un momento
Paolo e mi avvicinai alla porta, la aprii, e dissi subito alle bambine:
Bene, vi stavamo aspettando. Stiamo giocando a camminare su un percorso. Per favore, dovreste cercare di lavorare senza dire una parola, perch
Paolo si distrae subito e si innervosisce quando sente parlare. Quindi, presi
un tamburo e uno xilofono e dissi alle due bambine:
Tu suona il tamburo non appena Paolo mette il piede in un cerchio, e tu
suona lo xilofono quando cammina sulle mattonelle; se esce dal percorso,
non suonate.

Il costo del mio intervento sarebbe stato a carico della Fondazione Vimercati, Ente morale
per il quale lavoravo in quel periodo.
2
Il sociogramma uno strumento sociometrico che richiede a ciascun allievo di esprimere,
in forma scritta e riservata, delle preferenze verso i compagni di classe secondo determinati
criteri.
1

Le porte dell'attenzione

111

Questo percorso sonoro piaceva molto a Paolo che lanciava versetti di


contentezza e le bambine, che seguivano attentamente, in breve furono assorbite dal gioco.
Fate proprio dei bei suoni, in modo davvero preciso, dicevo loro. Ogni
tanto mi preoccupavo di ricordare alla compagna di Viola che non doveva parlare. Per Viola non ce nera evidentemente bisogno. Dopo il percorso facemmo
un altro gioco. Poich Paolo in quelloccasione si dondolava frequentemente e
spesso batteva le mani, associammo a questi due movimenti rispettivamente
il suono del flauto e quello del tamburo. Quando si dondolava, dicevamo che
faceva luccellino sul ramo che canta, e una delle due bambine suonava il
flauto. Quando batteva le mani, dicevamo che erano i passi della tigre, e allora
Viola batteva il tamburo ritmicamente; se non faceva questi due movimenti
stavamo tutti in silenzio, senza suonare. Paolo cap velocemente il gioco, e si
divertiva cos a far cantare luccellino o a far camminare la tigre.
Ogni tanto mi rivolgevo alle bambine e dicevo:
Siete molto brave a fare i suoni degli animali, vi ringrazio perch mi state
proprio aiutando. Ed era vero.

112

Settimo Catalano

Infine, con una certa trepidazione, scambiai gli strumenti alle due bambine: Viola
si sarebbe accorta che suonando il flauto avrebbe, anche se indirettamente, fatto
qualcosa che esulava dal suo ruolo di muta? Si sarebbe rifiutata di suonarlo?
Io mi comportavo in maniera decisa e facevo intendere con il mio comportamento, verbale e non verbale, che era scontato che lei lavrebbe fatto. Inoltre,
per distrarla dalla situazione emissione di un suono, le dissi di mettere
tutta lattenzione nelliniziare a suonare proprio nello stesso momento in cui
Paolo cominciava a dondolarsi, e di smettere di suonare proprio nello stesso
momento in cui Paolo interrompeva il movimento, altrimenti non avrebbe
capito la connessione fra i propri movimenti e i suoni. Insistetti molto su
questo e poi aggiunsi:
Vi raccomando di non parlare assolutamente!
Non appena Paolo cominci a dondolarsi, Viola suon il flauto e cos continu a fare ogni volta che questi riprendeva a dondolarsi. Il gioco era bello,
Paolo era molto simpatico nei suoi movimenti, e le bambine si divertivano.
Dopo un po dissi a Viola:
Stai suonando il flauto proprio bene!
Il gioco continu, e dopo qualche minuto aggiunsi, sempre rivolto a Viola:
Canta proprio bene questo uccellino!
Ora Viola sembrava a suo agio nel produrre il suono delluccellino; quindi,
dopo qualche altro minuto osai dirle:
Questo uccellino ha una voce proprio bella, parla proprio bene.
Anche dopo questa affermazione Viola continu a suonare. Sembrava anzi
che queste mie frasi sulla bella voce e su come parla bene luccellino, le
facessero piacere.
Alla fine venne il momento di salutarci. A questo punto si verific un fatto
particolare: Paolo fece capire chiaramente che gradiva solo la presenza di
Viola, perch spinse fuori dalla porta laltra bambina. Ne approfittai per dire a
Viola che il bambino preferiva giocare solo con lei, e le chiesi se era disposta
a tornare ad aiutarmi. Quindi senza aspettare una risposta dissi:
Vedo che mi dici che vuoi tornare. Ti aspetto allora fra una settimana!
Il primo incontro era andato oltre ogni pi lusinghiera aspettativa; infatti
Viola non aveva mai dovuto confermare il suo ruolo di muta perch non
gliene avevo dato loccasione. Inoltre le avevo detto indirettamente pi volte
che aveva una bella voce e che parlava bene, e in questo modo le rinviavo
unimmagine di lei che parlava. Infine con la frase: Vedo che mi dici che vuoi
tornare, mi ero comportato come se lei mi avesse realmente risposto.
Per unintera ora si era trovata nellimpossibilit di affermare il suo ruolo

Le porte dell'attenzione

113

di muta. Per farlo, vista la situazione che avevo creato, avrebbe dovuto parlare.
Lunico pericolo era che la compagna pronunciasse qualche frase del tipo:
Lei non parla!: per questo ero stato particolarmente attento, ogni volta
che accennava a parlare, a ricordarle che era necessario stare assolutamente
zitti. Lincontro seguente non avrebbe presentato problemi a questo riguardo,
visto che Viola avrebbe giocato da sola con Paolo. Alla bambina pi scelta
della classe questa piccola frustrazione il sentirsi rifiutata da Paolo non
avrebbe dovuto causare problemi, essendo la pi desiderata dai compagni.
Anche per questa eventualit avevo chiesto precedentemente allinsegnante
di fare un sociogramma: avevo bisogno di qualcuno maturo da un punto di
vista relazionale, in grado di seguire le mie indicazioni e di reggere pi degli
altri a eventuali frustrazioni.
In breve, per i tre mesi successivi, il mio intervento consistette nel creare
situazioni tali per cui limmagine che rimandavo a Viola era sempre quella
di una bambina che parlava. Per fare questo, dovetti mantenere una costante
attenzione al mio modo di interagire con lei, per non darle alcuna occasione
di mostrarmi il suo ruolo di muta.
Le situazioni che creavo erano tali per cui Viola per comunicarmi che era
la muta, avrebbe dovuto usare le parole.
Dopo il secondo incontro mi presentai a casa sua, dove questa condizione
di mutismo non era presente, e con estrema disinvoltura la salutai. Ero gi
pronto a comportarmi come se mi avesse risposto realmente e a procedere con
la conversazione, quando lei mi rispose con un ciao. Era uscita dal ruolo!1
Davanti ai suoi genitori la elogiai per laiuto che mi stava dando, poi dissi che,
vista lintesa che si era creata, sarebbe stato importante lavorare con Paolo
anche alla scuola materna. I genitori, istruiti da me precedentemente, non
fecero alcun accenno ai problemi del mutismo, e accettarono di buon grado
gli apprezzamenti sulla loro figlia e la nuova proposta.
Alla scuola materna lavoravo settimanalmente con Paolo e con tre o quattro compagni del suo gruppo-classe nellaula dei giochi. Il lavoro consisteva
nellallenare i bambini a mettersi in relazione fra loro superando le difficolt

Il suo ruolo di muta a scuola comportava il fatto di non parlare con nessuna persona che
avesse a che fare con la scuola, quindi neanche con me. Daltra parte lavevo colta di sorpresa
e messa in confusione circa il ruolo da assumere, perch mi ero presentato allimprovviso
a casa sua, dove era abituata a rispondere normalmente. Dopo quel ciao, almeno con me
non avrebbe pi potuto ristabilire il ruolo.

114

Settimo Catalano

di comunicazione presentate da Paolo. Usavo come strumento vari tipi di


gioco, da quello motorio a quello di drammatizzazione. Quando mi presentai
con Viola, i compagni di Paolo furono molto contenti di trovarsi una bambina
grande e la trattarono un po come una mammina, facendosi aiutare e chiedendole protezione. Naturalmente si aspettavano che parlasse, non essendo a
conoscenza della sua condizione. Viola, vedendosi considerata come una che
parla, sia da me (con il quale, peraltro, aveva gi parlato), sia dai bambini, fin
dalle prime richieste prese a rispondere anche verbalmente, e cos cominci a
parlare per la prima volta in un ambiente scolastico. Questa nuova conquista
era importante poich si trattava della stessa scuola materna che lei aveva
frequentato da piccola, e dove era caduta nel ruolo di muta. Viola, fino a
quel momento, non aveva rivolto la parola a nessuna delle persone, adulti o
bambini, che frequentavano la scuola materna o la scuola elementare, neanche
se le incontrava al di fuori degli edifici scolastici. Ora che era riuscita a parlare
alla materna, forse avrebbe potuto farlo anche in quella elementare.
Un giorno, mentre riaccompagnavo a casa Viola, vidi al chiosco dei gelati
adiacente alla scuola Natalia, linsegnante di sostegno che avrebbe avuto Paolo
come allievo per lanno seguente e che io conoscevo da tempo. Viola sapeva, perch laveva vista spesso, che era uninsegnante. Fermai la macchina,
scendemmo e ci avvicinammo al chiosco. Prima di salutare Natalia, chiesi a
Viola:
Vuoi un gelato?
S. Poi, rivolto a Natalia:
Ciao Natalia! Staresti un attimo con Viola, ho dimenticato di fare una
cosa a scuola. Torno subito.
Viola sera accorta troppo tardi della presenza dellinsegnante e, visto che
ormai sera fatta sentire, continu a parlare anche con Natalia, la quale si fece
dire quali gusti di gelato voleva. Era la prima volta che parlava con una persona della sua scuola elementare: il ghiaccio era rotto. Dopo qualche settimana
da questo episodio, la madre di Viola mi riport questo discorso della figlia,
a proposito della gita scolastica che avrebbe dovuto fare:
In gita vorrei parlare con le mie compagne, ma se lo facessi chiss cosa
succederebbe dopo tutti questi anni in cui non ho rivolto loro la parola!
Era chiaro che Viola cominciava a desiderare di uscire dal suo ruolo anche
con le compagne di classe, ma in gita tutti si aspettavano che facesse la muta
e lei di conseguenza non parl.
Agli esami di quinta successe per un fatto apparentemente sorprendente:
disse agli esaminatori esterni che voleva fare lesame oralmente, ma da sola,

Le porte dell'attenzione

115

senza i suoi compagni e la sua maestra. Fu accontentata e fece lesame orale.


Alle medie mi preoccupai di raccomandare al preside di inserirla in una classe
dove non ci fosse stato nessuno dei suoi compagni delle elementari e, se fosse
stato possibile, di metterla addirittura in unaula su un piano differente, in
maniera tale da ridurre al minimo la possibilit di incontrare qualcuno che
la conosceva come la muta. Queste indicazioni vennero realizzate e fin dal
primo giorno Viola parl. Finalmente pot abbandonare definitivamente questo ruolo di muta, che per tanto tempo le era gravato addosso.
Com possibile vedere da questo esempio, il ruolo il frutto di uninterazione con gli altri; con unattenzione alla realt relazionale e con opportune
modifiche nello scambio reciproco dellimmagine che rimandiamo allaltro,
possibile aiutare qualcuno a uscire da un certo ruolo.
Va sottolineato che il gruppo a sostenere un ruolo, nel senso che se tutto
il gruppo, per abitudine, vede quel suo componente in un certo modo, la persona in questione di fatto costretta, se vuole essere presa in considerazione,
a comportarsi conseguentemente.
Questo spiega come mai Viola volle fare lesame senza il suo gruppo-classe.

Limportanza della funzione di leader


Per lattivit di un gruppo si rende quasi sempre necessario che un membro
assuma la parte di coordinatore del lavoro collettivo, soprattutto se il gruppo
ha lurgenza di raggiungere un obiettivo. Non necessario, invece, che questa
funzione sia rigidamente fissata alla stessa persona.
Un gruppo maturo in grado di scegliere e individuare il leader pi efficiente in base alla situazione contingente. Non solo una questione di competenze, pu darsi che in quel momento una persona abbia pi energie degli
altri, sia pi lucido o meno stanco.
Quando la leadership una funzione aperta a tutti, i vantaggi per il gruppo sono maggiori che quando diventa un ruolo fisso di qualche persona.
In questultimo caso, per esempio, facile che la persona-leader finisca con
lavere la maggior parte di responsabilit, col risultato che si ritrover anche ad
accollarsi buona parte del lavoro di gruppo, come succede spesso nei gruppi
di lavoro di insegnanti o di allievi.
Lemergere spontaneo di un leader va considerato come un fenomeno di
gruppo: da una parte c qualcuno che si mette in questo ruolo, dallaltra
gli altri membri glielo concedono. Ma per riconoscerlo come leader, e non

116

Settimo Catalano

subirlo, gli altri dovranno convincersi che in grado di affrontare veramente


i problemi del gruppo.
Siccome chi sente di poter svolgere questa funzione di leader tende anche
ad assumersi delle responsabilit e, normalmente, anche ben disposto a
lavorare, il massimo di efficienza si avr quando tutti i membri arriveranno a
percepirsi come dei possibili leader e saranno disponibili a entrare in questo
ruolo quando richiesto dal gruppo.

Linsegnante come leader della classe


Linsegnante, nei confronti del gruppo-classe, in una posizione molto speciale:
1) un adulto, a differenza del resto del gruppo;
2) un leader per istituzione, quindi la sua leadership non il frutto di un
processo di gruppo, ma predeterminata;
3) una persona-leader, perch questa leadership fissata rigidamente alla
sua persona.
Con queste premesse facile rendersi conto come il suo potere di influenza
nei confronti del gruppo sia potenzialmente enorme, a confronto di quello del
singolo allievo. Per un allievo praticamente impossibile riuscire a modificare
da solo la struttura del suo gruppo-classe, invece linsegnante pu creare le
condizioni affinch il gruppo possa cambiare o viceversa mantenere di fatto
quelle modalit che impediscono il cambiamento.
Ci sono degli allievi eccezionali, veri e propri geni a livello sociale, aperti a
tutti, capaci di stimolare le relazioni fra le persone, di organizzare incontri, di
creare fra i compagni di classe un genuino sentimento di gruppo, ma queste
persone in realt sono cos rare che non neanche il caso di parlarne. Linsegnante, invece, non ha bisogno di essere eccezionalmente dotato dal punto
di vista sociale per ottenere dei cambiamenti sul gruppo.
Se vero che linsegnante ha uninfluenza determinante, quando nella
stessa classe entra un altro insegnante, il gruppo dovrebbe comportarsi in
modo diverso. In una classe media, per esempio, si alternano almeno otto
insegnanti, ciascuno con la propria personalit, sicuramente differente da
quella di tutti gli altri. Dovremmo allora avere otto gruppi diversi, a seconda
dellinsegnante presente in classe.
In realt per non si notano cambiamenti cos evidenti come ci si aspetterebbe. In effetti, pi che la personalit contano le caratteristiche della relazione

Le porte dell'attenzione

117

col gruppo-classe, come lo stile di leadership, ma soprattutto le priorit degli


obiettivi. Per esempio quasi tutti gli insegnanti, quando insegnano, mettono
al primo posto la preoccupazione per il programma, ovvero la preoccupazione
di dover svolgere un certo programma in un certo tempo. Questa preoccupazione accompagnata quasi sempre dal disinteresse per la crescita del gruppo
come sistema relazionale, anche perch un interesse al gruppo sottrarrebbe
tempo alla realizzazione del programma, tempo che sembra non essere mai
sufficiente. Ne consegue una conduzione della classe che tender a essere pi
o meno manipolatoria, ovvero che passer sopra le esigenze psicologiche e
relazionali delle persone.
Nel gruppo si avr un leader, linsegnante, che eserciter un potere di
influenzamento non riconosciuto dal gruppo stesso, nel senso che il gruppo
degli allievi avvertir che linsegnante utilizza la sua funzione di leader per
perseguire proprie finalit e non quelle del gruppo. Il gruppo si sentir cos
manipolato, utilizzato per raggiungere le mete del leader.
Linsegnante, invece, che mette in primo piano le esigenze del gruppo,
tende a far crescere il senso di appartenenza al gruppo, a valorizzare le singole persone agli occhi degli altri e a migliorare lascolto e la comprensione
interpersonale. La sua leadership andr incontro alle esigenze dei singoli e
a quelle del gruppo. Cos facendo, il suo potere di influenzamento sar riconosciuto dagli allievi, che si mostreranno disponibili a seguire le indicazioni,
perch le sentiranno pi consone alle loro necessit.
Un osservatore esterno noterebbe cambiamenti sorprendenti nello stesso
gruppo-classe quando viene condotto da un leader-centrato-sul-programma
oppure quando a guidare il gruppo un leader-centrato-sul-gruppo.
Per esempio, il leader-centrato-sul-gruppo metter lallievo che sbaglia di
fronte ai suoi limiti, ma contemporaneamente cercher di sostenerlo come
persona valida in grado di superarli. Interagir delicatamente, in maniera
tale da far capire allallievo che ha fatto s un errore, ma che anche in grado
di imparare a superare quella difficolt. Il gruppo-classe mostrer fiducia e
disponibilit a seguire le indicazioni dellinsegnante.
Diversamente, il leader-centrato-sul-programma vivr chi sbaglia come un
ostacolo, come colui che rallenta il lavoro, che fa perdere tempo alla classe e
impedisce di raggiungere lobiettivo prefissato. La classe tender a reagire a
questo modo di rapportarsi con timore e voglia di fuggire dal compito.
Una delle caratteristiche dellinsegnante centrato sul programma quella
di rapportarsi agli allievi come se fossero singoli elementi a s stanti, senza
attenzione al gruppo, o allinfluenza che il gruppo esercita sul singolo.

118

Settimo Catalano

Per esempio, quando un allievo si isola dai compagni e se ne sta in silenzio, questo suo isolarsi viene visto dallinsegnante che si rapporta al singolo
come un aspetto della sua personalit. Diversamente, linsegnante che ha
presente il gruppo legge questo isolarsi come paura del gruppo vissuto in
senso aggressivo e minacciante. Oppure, se un allievo tende a fare la lotta con
i compagni, pu essere visto dallinsegnante che si rapporta al singolo, come
una persona violenta. Ma da chi ha presente oltre al singolo anche il gruppo,
viene visto come una persona che, sentendosi rifiutata, reagisce mostrando il
suo malessere agli altri. evidente che questi due insegnanti, a prescindere
dalle loro personalit e da altri fattori, daranno vita a gruppi completamente
differenti, perch uno sa leggere la realt di gruppo e laltro no.
Se in un consiglio di classe due insegnanti parlano della stessa classe o
della stessa persona come se si trattasse di classi o persone ben diverse fra
loro perch il loro modo di relazionarsi agli allievi, dovuto al saper leggere
o meno la realt di gruppo, molto diverso.

FAR Percepire il gruppo Agli allievi


Il gruppo pu anche essere percepito cognitivamente con locchio della conoscenza, con locchio che riesce a stabilire delle relazioni e dei rapporti. Se si
osserva una persona che va in bicicletta si possono vedere i movimenti della
persona, quelli dei pedali, quelli delle ruote, quelli della catena e quelli del
cambio: normalmente per, tutti questi movimenti non sono visti come isolati
fra loro. Anzi, locchio della conoscenza li vede tutti in rapporto, e si fa anche
unidea del tipo di rapporto: per esempio, si pu percepire che quando la
persona fa un certo movimento sulla leva del cambio, posta sulla canna della
bicicletta, la ruota gira pi lentamente o pi velocemente, a seconda che il
movimento sulla leva sia verso lalto o verso il basso.
Questo vuol dire che non solo sono stati visti dei movimenti, ma anche dei
rapporti fra questi movimenti. Mentre i movimenti appartengono alla realt
sensoriale, i rapporti che ci sono fra i vari movimenti non appartengono direttamente al campo delle percezioni sensoriali. Questo non impedisce per
alla mente umana di vederli. Naturalmente, chi non conosce la bicicletta
non vedr subito i rapporti fra i vari movimenti, perch questi possono essere
visti solo dopo un periodo di conoscenza.
Analogamente, riferendoci a un gruppo di persone, questa realt pu essere letta in due maniere; da un punto di vista sensoriale, e allora si prester

Le porte dell'attenzione

119

attenzione a quello che ogni singola persona dice o fa, oppure dal punto di
vista dei rapporti esistenti fra le persone. In questo caso si prester attenzione
a come ogni persona influisca sullaltra, e anche a come ognuno risponda ai
sentimenti che prova verso il gruppo nel suo insieme. Guardare a quello che
succede fra le persone vuol dire osservare la relazione, mettere attenzione al
campo relazionale.
Come nel caso della bicicletta, un periodo di conoscenza del gruppo tramite
esperienza diretta sar necessario per accedere a questo livello di realt.
Percepire il gruppo-classe come un unico sistema di relazioni comunque
difficile sia per linsegnante, sia per gli allievi. Tuttavia indispensabile che si
arrivi a questo tipo di percezione se si vuole che circoli nel gruppo un buon
senso di appartenenza.
Lallievo arriva a questo tipo di percezione quando vede il proprio gruppoclasse agire unitamente, e si rende conto che quello che viene fatto dal gruppo ha
una qualit diversa, nel senso che non potrebbe essere fatto dal singolo. raro
che questo tipo di percezione possa avvenire nel corso delle normali attivit
scolastiche, comprese le occasioni di gioco libero o organizzato. Prendiamo,
per esempio, una classe che sta giocando a palla-prigioniera: anche se tutti i
partecipanti sono coinvolti nel gioco, non si arriver a percepire la classe come
un tutto unico perch il gruppo di fatto diviso in due squadre. Ma anche
se il gioco fosse senza divisione in squadre, non si arriverebbe ugualmente a
questa percezione. Non sarebbe facile avere una visione dinsieme neanche
quando tutti gli allievi fossero veramente concentrati sullinsegnante.
Proviamo allora a mettere a fuoco quali potrebbero essere le condizioni in
grado di indurre il singolo allievo a percepire la classe unita, ovvero come
un gruppo.
Per prima cosa, ovviamente, la classe dovrebbe essere impegnata in una
attivit dove partecipano tutti, senza eccezioni. Poi sarebbe necessario che
tutti fossero motivati verso lazione comune. Infine, condizione difficile da
raggiungere, bisognerebbe che ognuno potesse influire su quello che si sta
facendo, senza che ci siano ruoli che consentono a qualcuno di influire sul
gruppo e ad altri no. Tutti dovrebbero percepire la possibilit di partecipare
attivamente con il loro contributo personale.
Le tre condizioni appena esposte favoriscono la percezione del gruppo. Quando si riesce a realizzarle nel gruppo-classe, il singolo riconoscer che quello che
si sta facendo sarebbe del tutto impossibile senza lapporto corale degli altri. E
per rapporto corale non si intende qui la mera somma di azioni parziali, ma
qualcosa di qualit differente. Per esempio, il fatto di cantare insieme ai com-

120

Settimo Catalano

pagni una canzone potrebbe essere percepito dal singolo come una semplice
moltiplicazione di una sola voce, nel senso che si potrebbe pensare di raggiungere un risultato analogo cantando anche da soli, con laiuto di un amplificatore.
Diversamente, quando si canta un canone a pi voci, il singolo percepirebbe
con sicurezza che per lui sarebbe impossibile ottenere lo stesso effetto da solo.
Tuttavia, anche in questo caso, se il canone fosse a quattro voci, il singolo
potrebbe pensare che sarebbero sufficienti quattro persone. Nel caso in cui il
canone fosse composto invece da tante linee melodiche quante sono le persone
che compongono il gruppo, allora il singolo non solo arriverebbe a percepire
che questo effetto sarebbe impossibile per lui da solo, ma che anche il gruppo
non riuscirebbe a raggiungere lo stesso risultato senza di lui. Il gruppo sarebbe
tanto importante per il singolo partecipante, quanto il singolo partecipante per
il gruppo. In questo caso avremmo la percezione del gruppo come insieme corale dove ciascuno essenziale per linsieme. In realt difficilmente in un coro
le linee melodiche sono superiori a otto. Lidea di un coro fatto di tante linee
melodiche quante sono le voci quindi del tutto ipotetica per gruppi formati
da pi di otto persone. Quando si pensa a un gruppo formato da un numero
maggiore di otto, al modello del coro pu sostituirsi quello di unorchestra, dove
tutti i musicisti suonano strumenti diversi.

Lastronave
La maggior parte degli interventi che ho fatto nelle classi elementari e medie
aveva come finalit quella di far crescere negli allievi il sentimento di essere
parte attiva del loro gruppo-classe, e di essere riconosciuti come individui
importanti per il gruppo.
Consideravo lintervento riuscito quando si realizzava un avvenimento che
coinvolgeva tutti, nessuno escluso, e a cui ognuno partecipava mettendo in
gioco se stesso.
Questi avvenimenti collettivi lasciavano una traccia nella coscienza delle
persone, e risvegliavano lidea che possibile stare veramente bene con gli
altri. Solo dopo una decina di incontri si creavano nella classe le condizioni
ideali. Ci voleva infatti un certo tempo per far circolare nel gruppo le modalit relazionali favorevoli allo scopo. Per esempio, gli allievi, vedendo che
il conduttore non criticava, ma che anzi, valorizzava tutto quello che emergeva da loro, imparavano a non prendersi in giro. Chi si metteva in gioco
era appoggiato e sostenuto qualsiasi cosa facesse, cos anche gli allievi pi

Le porte dell'attenzione

121

restii a mostrare se stessi perdevano progressivamente questa paura. Poich


il conduttore interagiva in presa diretta con quello che succedeva, gli allievi
non avevano il tempo di preoccuparsi e cos si lasciavano andare sempre pi
disinvoltamente. Chi interveniva, trovava il conduttore pronto a creargli nel
gruppo lo spazio mentale per essere ascoltato e compreso dagli altri. Sentendo
la possibilit di esprimersi, gli allievi perdevano lattaccamento al loro ruolo,
si facevano meno rigidi e iniziavano a sperimentarne di nuovi. Cos, dopo un
certo numero di incontri, entrando in classe trovavo una atmosfera gioiosa e
gli allievi pronti a fare qualsiasi cosa.
con questa disponibilit di gruppo che si creavano quasi da s delle performance collettive in cui tutti partecipavano creativamente. Per esempio una
volta, in una quarta elementare, un bambino lanci lidea di un disco volante
e cos, rilanciando, dissi che avremmo potuto costruirne uno ed esplorare lo
spazio, fra stelle e pianeti. Prendemmo le sedie e sdraiandole con la spalliera
per terra formammo un cerchio. Le gambe delle sedie puntavano tutte verso
lesterno, come se si trattasse di raggi. Ogni bambino prese posto allinterno
del disco sedendosi sulla spalliera, con la schiena appoggiata ai sedili e le
gambe verso il centro. Erano tutti pronti per partire.
Qual il suono dellastronave che decolla?
Qualcuno propose un suono.
Va bene, facciamolo tutti insieme.
Il gruppo fece allunisono una specie di VVVVVVV..., e cos inizi il
viaggio.
In tre quarti dora eravamo di ritorno, dopo aver viaggiato alla velocit
dellimmaginazione ed essere scesi su un pianeta sconosciuto per visitarlo.
Ognuno ebbe modo di partecipare ai momenti corali, ma anche di dare il
suo input determinante per proseguire la drammatizzazione collettiva. Il mio
compito era quello di prendere in considerazione le proposte che emergevano,
rendendole consequenziali alla storia fino a quel momento rappresentata, e
di facilitarne limmediata realizzazione, in maniera tale che non si dovesse
interrompere la drammatizzazione, e i partecipanti potessero rimanere nel
loro personaggio senza dover uscire di scena.
Alla fine sembr a tutti di avere viaggiato veramente insieme, e che le cose
immaginate fossero state particolarmente vivide, come fossero successe realmente. Eravamo stati complici della stessa fantasia, della stessa avventura. Fu
unesperienza veramente entusiasmante. In effetti, proporre un suono e immediatamente dopo sentirselo amplificato da tutto il gruppo, descrivere il colore
dellatmosfera del pianeta sconosciuto e vederselo confermato come dato di fatto

122

Settimo Catalano

dal resto del gruppo e cos via per tutte le altre proposte, voleva dire sentirsi
valorizzati dal gruppo e sentire il potere di influenzarlo. Poich ognuno diede la
sua idea a pi riprese, tutti realizzarono il gruppo come luogo dove era possibile
esprimere se stessi pienamente, e questo fu per loro fonte di gioia.
Dopo esperienze di questo tipo il gruppo diventa una realt positiva in
grado di dare risalto al s di ognuno. Queste esperienze di unit collettiva,
quando avvengono, lasciano il desiderio di ritrovare, in altre situazioni,
la stessa unione con gli altri sperimentata durante il momento creativo.
Sono momenti forti che tolgono al singolo il timore del gruppo e lo
sensibilizzano positivamente verso questa dimensione, analogamente a
quello che succede a un bambino che, attraverso unesperienza affettuosa
e rassicurante con un cucciolo, non solo perde la paura dei cani, ma
impara anche ad amarli.

Parlare-ascoltare
Alcuni metodi derivati dallanimazione teatrale come mostra lepisodio
dellastronave possono essere molto utili per aiutare le persone a uscire da
ruoli rigidi e per far emergere il sentimento di gruppo. Ce ne sono per altri,
basati sul gioco, pi vicini alla formazione normale dellinsegnante e quindi
di pi facile attuazione, come lintervento mirato alla crescita del gruppo di
cui si parler dettagliatamente nel capitolo seguente.
Un altro metodo che ha il vantaggio, essendo semplice, di poter essere
utilizzato facilmente da qualsiasi insegnante, il parlare-ascoltare.
Consiste in unora di discussione settimanale in cerchio, con lutilizzo frequente della prova di ascolto1. Linsegnante propone un tema da discutere
e crea le condizioni per cui chi parla venga ascoltato e compreso dagli altri.
Come tema si pu scegliere un argomento interessante per gli allievi, un fatto
problematico che successo in classe e che ha destato la conflittualit fra singoli o fra sottogruppi, il clima affettivo presente nel gruppo, il gruppo-classe
desiderato, o altri argomenti richiesti dagli stessi allievi. La cosa veramente
importante non sar n il tema n la discussione in se stessa, ma il modo di
comunicare. Lobiettivo dellinsegnante sar quello di curare la comunicazio-

1. Tecniche simili sono descritte da Thomas Gordon in Insegnanti efficaci, Giunti Lisciani
Editori, 1991 Firenze.

Le porte dell'attenzione

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ne in modo che chi parla faccia lesperienza di essere ascoltato e compreso


veramente dai propri compagni di classe.
Inizialmente ogni alunno comunicher rimanendo ancorato al ruolo che ha
nel gruppo, quello che gli altri gli riconoscono, ma se vedr la situazione libera
dalla critica e dal giudizio, se si render conto che si pu parlare ed essere
compresi, dopo qualche incontro lascer il solito ruolo e mostrer aspetti di
s che gli altri non conoscono.
Per creare le condizioni adatte per poter comunicare in questa maniera
determinante come si conduce la discussione.
Se linsegnante-conduttore lascia la libert di dire quello che si pensa, allora
lalunno passer gradualmente da una maniera difensiva di comunicare a una
pi aperta ed espressiva. Fra vecchi compagni di classe, questo processo
potr essere un po pi lento, poich i ruoli sono pi stabili, ma sar solo
questione di tempo. Il singolo si mostrer pi aperto quando si accorger
che il gruppo dei compagni accetta da lui anche altri aspetti di s, che non
rientrano nel suo ruolo.
Per verificare questa disponibilit del gruppo sono necessarie due condizioni: la prima provare a esprimersi liberamente, laltra una risposta di
consenso da parte del gruppo, e non di critica. La discussione in cerchio,
opportunamente condotta dallinsegnante, pu soddisfare entrambe queste
condizioni.
Per la conduzione sono daiuto alcune indicazioni.
basilare che gli allievi siano seduti in cerchio, poich questa disposizione
privilegia proprio la comunicazione di gruppo, consentendo a ciascuno di
vedere tutti gli altri sia quando si parla sia quando si ascolta. Si tratta di una
condizione fondamentale, perch lo strumento che facilita la comunicazione
da un punto di vista oggettivo.
Poi importante avere la possibilit di parlare, e di potersi esprimere di
fronte a persone che ti ascoltano in silenzio e non nella confusione, quindi
necessario parlare uno alla volta e lasciare finire lintervento precedente senza
interrompere la persona che sta parlando.
anche importante farsi sentire con un tono di voce adeguato e dare la
precedenza a chi non si ancora espresso.
Laspetto pi qualificante per la comprensione di quello che viene detto.
Il conduttore dovrebbe curare particolarmente questo aspetto, inserendo nella
discussione, quando lo ritiene opportuno, la prova di ascolto.
Si tratta di una tecnica di facile uso. Normalmente, nel corso di una discussione, quando una persona A finisce il suo intervento, subentra B e cos via.

124

Settimo Catalano

Se si applica la prova di ascolto, si chiede a B di dare la prova di avere ascoltato


A, prima di consentirgli di esprimere le sue idee.
La prova consiste nel chiedere a B di ripetere con le sue parole lintervento
di A.
B deve guardare A e cominciare la prova di ascolto con la frase: Tu hai
detto che...
Dopo la prova di ascolto il conduttore chiede ad A se si riconosce nelle
parole di B. Se A acconsente, B pu cominciare il suo intervento, altrimenti il
conduttore chieder ad A di ripetere la parte del discorso che non passata
allaltro. Questo procedimento va avanti fino a che A non si riconosce nella
ripetizione di B; allora, e solo allora, il conduttore consentir a B, che ha mostrato di avere ascoltato e compreso A, di esprimere le sue idee.
La prova di ascolto una messa a punto della comunicazione, in maniera
tale che chiunque, prima di continuare col proprio intervento, dimostri di
avere ascoltato e capito quello dellaltro. Quando questo succede, chi ha appena parlato si sente compreso, e ascolta lintervento successivo con molto
pi interesse.
Nella comunicazione la cosa fondamentale non avere ragione, ma essere
ascoltati e compresi, e quando attraverso la prova di ascolto si certi che
laltro ti ha compreso, lo si ascolta volentieri anche se manifesta idee diverse
dalle proprie. Quando invece si ha la sensazione di non essere compresi o
addirittura di non essere stati neanche ascoltati, o di parlare con persone che
stanno solo seguendo il filo dei propri pensieri e che danno prova di ascoltare
soltanto se stesse, allora non importa pi quello che viene detto, perch ci si
sente distanti psicologicamente, e si ha limpressione di non comunicare. In
questa situazione potrebbe nascere uno scontro sui contenuti, ma il problema
non sta nelle diversit di opinioni, bens nella mancanza della disponibilit a
comprendere la posizione dellaltro: uno parla e laltro risponde, ma in realt
non passa niente di nuovo; uno va in una direzione e laltro in unaltra, come
due rette nello spazio che non si incontrano. Quando nel corso della discussione si comincia a comunicare con questa modalit, linsegnante deve ricorrere alla prova di ascolto. Questo esercizio del ripetere con le proprie parole il
pensiero dellaltro pu sembrare artificioso, ma in grado di far funzionare la
comunicazione mostrandone anche alcuni aspetti in maniera esplicita come,
per esempio, il fatto che solitamente chi parla molto ascolta poco, e chi pi
silenzioso d prove di ascolto molto soddisfacenti; oppure che comprendere
un lavoro mentale che comporta un considerevole impiego di energie.
Lultima indicazione, infine, riguarda il ruolo dellinsegnante durante la

Le porte dell'attenzione

125

discussione. Il ruolo deve essere quello di animatore-di-gruppo, ovvero linsegnante dovrebbe coordinare la comunicazione senza dare giudizi, perch
se lallievo si sente giudicato si terr il suo ruolo, che gli serve proprio per
difendersi dal giudizio degli altri. Quando linsegnante giudicante, la discussione prende laspetto di una farsa dove ognuno far la caricatura di se
stesso. Invece, quando chi conduce d solo le indicazioni su come comunicare, senza confondere il suo ruolo di conduttore con quello di partecipante,
e senza dare giudizi di valore o esprimere le proprie idee sul contenuto degli
interventi, le persone gradualmente usciranno dal loro ruolo e cominceranno
a mostrare se stesse, come fanno le testuggini quando tirano fuori il capo
dalla loro corazza.
Il metodo del parlare-ascoltare ha il vantaggio di essere di semplice applicazione, e qualsiasi insegnante pu immaginarsi la possibilit di realizzarlo
effettivamente nella propria classe.

Tutti nessuno escluso


Dodici incontri mirati alla crescita del gruppo

ar crescere un gruppo vuol dire mettere in moto un processo che porti gradualmente un piccolo numero di individui a funzionare in maniera unitaria attraverso
lattivazione di modalit relazionali efficaci, fra singoli, sottogruppi e gruppo nel
suo insieme. E per modalit relazionali efficaci si intendono quelle che consentono
un effettivo scambio e arricchimento reciproco.
Quello che segue un metodo adatto ai gruppi-classe delle elementari e delle
prime medie, e pu essere applicato con successo da quegli insegnanti sensibilizzati
alle dinamiche di gruppo attraverso esperienza diretta. Non invece opportuno
che venga utilizzato da chi ha solo una conoscenza teorica sui gruppi.
Tuttavia sar di utile lettura per tutti al fine di comprenderne meglio gli aspetti
teorici e vedere come possono essere applicati praticamente nel lavoro dellinsegnante.

Metodo di intervento
Si tratta di una serie di incontri (minimo 12) a scadenza settimanale, della
durata di unora e mezza ciascuno, in unaula priva di banchi dove si possano
fare giochi di movimento. In questi incontri linsegnante fornir al gruppo
dei contenitori entro i quali le relazioni fra gli allievi potranno svilupparsi

Le porte dell'attenzione

127

verso una maggiore conoscenza reciproca. Per far questo assumer il ruolo
di animatore di gruppo. In questo ruolo linsegnante avr uno stile di comunicazione particolare: non esprimer mai giudizi o critiche n verso il gruppo
n verso i singoli partecipanti e dovr interagire e contenere le diverse situazioni
solo tramite luso di feedback, ovvero di informazioni di ritorno che diano agli
allievi unimmagine o una misura di quello che gli stessi allievi stanno facendo. I
feedback devono stimolare gli allievi a pensare in proprio.
Al termine di ogni incontro, linsegnante potr tornare al suo ruolo normale. Qualora linsegnante non fosse in grado, per un qualsiasi motivo, di
assumere il ruolo di animatore di gruppo, lintervento dovr essere rimandato.
Questo cambiamento di ruolo infatti una condizione indispensabile per la
riuscita dellintervento.

PRIMA PARTE 1 - 4 incontro


Tema centrale: la relazione a due.

Obiettivo conoscitivo: imparare a distinguere le modalit relazionali


efficaci da quelle non efficaci allinterno della relazione a due. Questo
obiettivo viene raggiunto quando lalunno in grado di decidere e
giocare insieme tenendo in considerazione le esigenze dellaltro, e di
verbalizzare questo tipo di esperienza.
Obiettivo formativo: allenarsi a interagire in un modo reciproco e soddisfacente con laltro. Questo obiettivo viene raggiunto praticamente quando
lalunno riesce a giocare divertendosi con un compagno di classe.
Obiettivo dinamico: cambiamento della percezione che il singolo ha
della coppia: da una percezione della coppia in bianco e nero (se capito con quel compagno bello, con quellaltro un fastidio), a una
percezione della coppia a colori (chiss cosa succeder se gioco con
quel compagno). Questo comporta un cambiamento da una disponibilit
a giocare solo con compagni considerati amici o affini, verso una disponibilit a giocare con tutti; dalla tendenza a rassicurarsi nelle relazioni
conosciute, al provarsi in relazioni nuove.
Scansione del tempo in fasi
Prima di iniziare va premesso agli allievi con molta enfasi che, se per un
qualsiasi motivo, qualcuno si dovesse far male lincontro verr interrotto e si

128

Settimo Catalano

ritorner in classe. Questa consegna serve per aumentare lautocontrollo


motorio e prevenire cos incidenti fisici.
A. GIOCO LIBERO - durata: 5-10 minuti.
Gli allievi sono invitati a giocare liberamente. Questo momento funge da
porta da accesso e da riscaldamento.
In questa fase linsegnante-animatore osserva come giocano i ragazzini.
B. SEDUTI IN CERCHIO - durata massima 5 minuti.
I ragazzini sono invitati a mettersi seduti in cerchio nel pi breve tempo
possibile, al centro dello spazio di gioco. Linsegnante dar dei feedback
sulla forma assunta dagli allievi: per esempio dir: Cos seduti non
siete ancora in cerchio, piuttosto sembrate una palla sgonfia, oppure
un uovo ecc.
Un altro tipo di feedback consiste nel fornire agli allievi informazioni
sulla forma circolare:
Quando si veramente in cerchio ogni persona pu vedere tutti gli
altri.
Ogni intervento-feedback dellinsegnante sar seguito da un aggiustamento da parte degli allievi.
Nella ricerca della posizione che consente al gruppo nel suo insieme
di assumere la forma circolare ogni allievo deve tenere in considerazione
non solo la sua posizione, ma anche quella di ciascun altro e di tutto il
gruppo nel suo complesso. In altri termini tutti sono stimolati a pensare
in maniera relazionale. possibile che qualcuno emerga come leader e
si faccia carico di aiutare il gruppo a sistemarsi.
Quando si raggiunge la forma circolare, linsegnante passa alla fase
A. Se non si riesce a raggiungere la forma circolare entro cinque minuti,
linsegnante non aspetter oltre, ma dir agli allievi di giocare liberamente, ritornando alla fase A.
Si ripeter pi volte la sequenza di fasi A-B-A-B-A finch gli allievi
non riescano a sedersi bene in cerchio in tempi brevi (massimo 30).
C. SEDUTI IN CERCHIO IN SILENZIO - durata massima 5 minuti.
Al termine di una fase di gioco libero linsegnante dir agli allievi di
mettersi seduti in cerchio e di stare in silenzio nel pi breve tempo possibile. Linsegnante libero di dare tutti i feedback che ritiene necessari,
per esempio informando gli allievi, orologio alla mano, sul tempo che
passa.

Le porte dell'attenzione

129

Anche qui non bisogna superare i cinque minuti, e pu essere opportuno riproporre ai ragazzi lesercizio dopo unulteriore fase di gioco libero.
Per passare alla fase D bisogna che gli allievi siano riusciti a sistemarsi
in cerchio e a raggiungere il silenzio in tempi brevi (massimo 30).
D. GIOCARE A COPPIE - durata 10 minuti.
Linsegnante dir di dividersi in coppie e di giocare a due a due (se i ragazzi
sono dispari un gruppo sar formato da tre persone). Si pu fare qualsiasi
tipo di gioco, ma non si possono utilizzare oggetti (palle, fazzoletti...).
In questa fase le coppie che si formano per ultime sono formate quasi
sempre dagli allievi che tendono a essere esclusi dal gruppo, e fra questi
potrebbero esserci gli allievi che pi spesso entrano in un ruolo out, a
meno che non si siano gi scelti fra loro.
E. DISCUSSIONE IN CERCHIO - durata massima 5 minuti.
Linsegnante ferma il gioco, forma il cerchio e conduce la discussione.
Domande stimolo:
Quali coppie sono riuscite a giocare insieme?
Tu con chi eri in coppia?
Che giochi avete fatto?
Ti piaciuto giocare con il tuo compagno?
...
Le domande devono riguardare lesperienza appena fatta. Scopo dellinsegnante che non deve essere dichiarato agli allievi quello di fare
intervenire verbalmente il maggior numero di persone. Inizialmente anche
solo con un s, ma la risposta deve essere verbale. Linsegnante non deve
accontentarsi di cenni con il capo o di altri segni non verbali, ma piuttosto
sollecitare gli allievi a esprimersi verbalmente, per esempio dicendo:
Questo cenno con il capo che hai fatto un "S" o un "No"?
Inoltre deve creare spazio ai pi timidi evitando che gli altri parlino
loro sopra, per esempio dicendo:
La comunicazione in gruppo funziona se uno parla e gli altri ascoltano. Chi ascolta non parla, ma cerca di capire cosa vuol dire il compagno.
Ora sta parlando Maria.
Parlare tutti insieme facile, mentre pi difficile parlare quando il
gruppo ti ascolta in silenzio. Chiedo a Maria di continuare il suo intervento solo quando c silenzio.
Linsegnante dovr avere la pazienza di aspettare e invitare Maria a
parlare solo quando c ascolto. Se Maria viene interrotta linsegnante, al

130

Settimo Catalano

posto di prendere in considerazione il nuovo intervento, dice:


Maria ha ancora qualcosa da dirci, ascoltiamola... tu Maria puoi
parlare solo quando c silenzio.
Linsegnante non deve mostrare insofferenza, ma saper aspettare intelligentemente. Questo modo di fare funziona, a patto che linsegnante dia
feedback precisi: perci interromper Maria proprio ogni volta che qualcuno le parla sopra e, contemporaneamente, mostrer ascolto solo alle parole
di Maria. Dopo un po, quando i compagni si accorgono che linsegnante
prende in considerazione solo Maria, si stancheranno di intervenire e la
lasceranno parlare. Se linsegnante non rimproverer nessuno, alla fine
otterr il suo scopo. Invece, se non sapr aspettare e comincer a dire a
qualcuno di stare zitto, il lavoro sar compromesso e da quel momento
dovr continuare a ripetere a questo e a quello di stare zitto, perch il
gruppo assumer come norma quella di interrompere chi sta parlando.
Infatti con quel stai zitto! linsegnante di fatto interrompe a sua volta
chi si inserito nel discorso, favorendo una reazione a catena. Per non
perdere il ruolo di animatore-di-gruppo, indispensabile in questo lavoro,
linsegnante deve innanzitutto sapere aspettare; se ne capace, alla fine
saranno gli stessi allievi a intervenire per fare stare zitti i compagni. Quando
questo succede, linsegnante non deve sostenere questa reazione del gruppo
per due motivi: perch per fare stare zitto qualcuno di fatto lo si interrompe
e perch quando il gruppo rimprovera un partecipante tutta la tensione del
gruppo finisce su una sola persona. Il conduttore deve evitare di appoggiare
questa situazione con il proprio comportamento; anzi, se la situazione non
si risolve in tempi brevi, opportuno intervenire dicendo:
Chi dice allaltro di stare zitto, in effetti, parla anche lui! Maria, ti
chiedo di parlare solo quando c veramente silenzio.
Alla fine il gruppo capir il messaggio e far silenzio, solo una
questione di tempo. Raramente, solo quando il gruppo-classe presenta
particolari problematiche, non viene raggiunto lobiettivo di ascoltare
seduti in cerchio e in silenzio1 con luso esclusivo di feedback non va-

1
In 16 anni di lavoro con i gruppi-classe ho trovato raramente situazioni cos gravi. Mi ricordo, per esempio, una classe di 26 alunni, con problemi di comportamento particolarmente ingestibili, dove la met degli alunni aveva almeno un genitore in carcere. Con questo gruppo fu
necessario un intervento specialistico, dove al conduttore era richiesta unabilit professionale
specifica, non alla portata della preparazione normale degli insegnanti di scuola media.

Le porte dell'attenzione

131

lutativi. Nella maggioranza dei casi, procedendo nel modo descritto, alla
fine la nostra Maria riuscir a terminare il suo intervento.
La procedura migliore per passare allintervento successivo sar quella
di chiederle:
Maria vuoi dire altre cose?
Se Maria dice: No, si d spazio allintervento successivo.
Durante la discussione, quando un elemento di una coppia interviene,
bene che linsegnante solleciti a intervenire anche laltro, con opportune domande, affinch si abbia una percezione pi chiara della coppia
come composta da due persone differenti.
Labbiamo gi detto, ma utile ripeterlo: linsegnante-animatore non
deve criticare n direttamente n indirettamente. Per esempio, la frase:
Adesso che finalmente Maria si decisa a parlare, fate confusione!,
non un feedback, cio non contiene solo informazioni, ma anche giudizi. In particolare, si veicola un giudizio negativo verso Maria del tipo:
Quella che non riesce a parlare, o che comunque dovrebbe parlare di
pi, ed anche un giudizio negativo verso il gruppo: gruppo cattivo
che impedisce a una compagna pi debole di parlare.
Bisogna ricordare che linsegnante e ladulto in genere a causa di una
serie di motivi che non il caso di esaminare qui, quando si rivolge agli
allievi emette, per abitudine, messaggi verbali e non verbali di tipo giudicante, senza rendersene conto. Linsegnante-animatore-di-gruppo, per
superare questa abitudine, deve mantenere unattenzione costante al come
si rapporta con gli allievi, alle parole usate, al tono di voce e ai gesti.
Come ultima cosa, bisogna considerare che gli alunni sono abituati
a vedere il proprio insegnante in un certo ruolo, quindi tenderanno a
comportarsi in maniera tale da mettere linsegnante nelle condizioni di
ritornare ai suoi comportamenti abituali. Linsegnante, per stabilire il
nuovo ruolo, dovr essere consapevole di questa pressione da parte del
gruppo degli alunni su di lui, e dovr essere determinato e convincente
nel nuovo ruolo di animatore.
Oscillare dal ruolo dellinsegnante a quello dellanimatore, creer solo
confusione.
Tenere fissi il giorno della settimana e lorario di ciascun incontro,
utilizzare unaula diversa da quella dove si fa lezione e lutilizzo del
gioco, sono elementi che facilitano per linsegnante lassunzione del
nuovo ruolo. Quando non si riesce ad avere unaltra aula, bisogner
ristrutturare lo spazio, mettendo tutti i banchi con sotto le relative sedie

132

Settimo Catalano

ben ordinati lungo le pareti, non solo per potersi muovere, ma anche
come segno di cambiamento rispetto al lavoro normale di classe.
F. CAMBIARE COPPIA - durata 10 minuti.
Linsegnante chiude la discussione dicendo agli allievi di riprendere a giocare
a coppie con questa variante: quelli che hanno detto di essere riusciti a giocare
insieme devono scegliere un altro compagno; quelli che hanno dichiarato di non
essere riusciti a giocare con il compagno, invece, non possono cambiare coppia.
Linsegnante dice a questi ultimi che potranno cambiare partner solo quando
riusciranno a giocare insieme. Durante questa fase, linsegnante osserva in
modo particolare cosa fanno queste coppie e se vede che non riescono a
trovare qualcosa da fare li aiuta, per esempio suggerendo loro un gioco di
movimento semplice, come giocare a prendersi. importante che linsegnante suggerisca un gioco di movimento perch questo il tipo di gioco pi
coinvolgente dal punto di vista relazionale. molto utile che linsegnante
conosca un certo numero di giochi a due di questo tipo, in modo da stimolare le coppie in difficolt.
Si pu procedere con una sequenza del tipo FFF E FFF E...: in pratica ogni tre scambi di coppia si fanno mettere gli allievi in cerchio e
si discute.
Per quanto riguarda le successive fasi di discussione (E), oltre alle
domande-stimolo gi accennate in precedenza, si pu chiedere:
Chi ha proposto questo gioco?
Gli allievi tendono a rispondere Abbiamo deciso insieme; linsegnante dovrebbe insistere, dicendo:
A chi venuto in mente per primo il gioco che avete fatto?
Approfondendo il discorso si potr scoprire che in alcune coppie c
uno che propone sempre, mentre laltro ha un atteggiamento passivo di
dipendenza. Quando le cose stanno cos, linsegnante pu sottolineare
il fatto dicendo:
Mi sembra di capire che tutti i giochi fatti dalla vostra coppia sono
stati proposti da Carlo, cos?
Questa sottolineatura dellinsegnante non deve contenere commenti
valutativi, ed di per s sufficiente a stimolare la riflessione nel gruppo,
a sensibilizzare i partecipanti a una maggiore reciprocit e a lasciare
spazio anche a chi meno propositivo.
Nellarco dei primi quattro incontri si dovrebbero esaurire tutti i possibili accoppiamenti. In questa prima parte del lavoro gli allievi si abi-

Le porte dell'attenzione

133

tueranno a giocare con tutti e a percepire la reale possibilit di entrare in


rapporto reciproco e soddisfacente, con ognuno dei compagni di classe.
Unattenzione particolare deve essere data al primo incontro. In particolare, alla fine della prima sessione, linsegnante chieder agli allievi se
vogliono continuare a lavorare con il gioco e, in quella occasione, stabilir
con gli allievi un giorno e unora precisi della settimana per le sessioni di lavoro
seguenti. Questi accordi non devono essere cambiati per nessuna ragione, n
linsegnante deve barattare questi incontri con un buon comportamento tenuto
in classe nel corso della settimana. Gli incontri programmati dovranno essere
fatti rispettando precisamente il giorno e lorario stabilito.

SECONDA PARTE 5 - 8 incontro


Tema centrale: la relazione in sottogruppo

Obiettivo conoscitivo: apprendere alcune modalit relazionali efficaci


allinterno di un sottogruppo di 3-4 persone, tramite lesperienza del
giocare insieme. Questo obiettivo viene raggiunto quando lallievo,
nelle fasi di discussione, in grado di verbalizzare la propria esperienza
nel sottogruppo in riferimento al decidere e fare insieme.
Obiettivo formativo: allenarsi a interagire con un sottogruppo in modo
reciprocamente soddisfacente: lobiettivo viene raggiunto in pratica
quando possibile, per tutti i componenti del sottogruppo, giocare
insieme con soddisfazione e divertimento.
Obiettivo dinamico: cambiamento da una percezione del sottogruppo
tipo banda (una minaccia a cui sottostare o uno strumento da manipolare), alla percezione del sottogruppo tipo amici di gioco: stimolante,
creativo e piacevole.
Scansione del tempo in fasi
5 - 6 incontro
G. GIOCARE IN SOTTOGRUPPI - durata 15 minuti.
Si chiede agli allievi di dividersi in gruppi di 3 o 4 elementi, quindi di
organizzarsi e giocare insieme.
Se necessario, si pu delimitare lo spazio di gioco di ciascun sottogruppo, oppure si pu lasciare che i sottogruppi giochino in uno spazio
comune.

134

Settimo Catalano

E. DISCUSSIONE IN CERCHIO - durata 10 minuti.


Scopo della discussione di gruppo guidata dallinsegnante arrivare a
intendere correttamente cosa voglia dire giocare insieme.
Le domande-stimolo devono partire da quello che linsegnante ha
osservato nella fase di gioco appena conclusasi. Le domande dovranno
essere del tipo:
Quale gruppo pensa di avere giocato veramente insieme?
Cosa vi fa pensare di avere giocato insieme?
Abbiamo appena sentito che in questo gruppo due hanno giocato a far la
lotta e il terzo ha guardato. Si pu dire che abbiano giocato insieme?
Quali sono le regole del gioco che avete fatto?
...
Quando si discute su un sottogruppo, bene che linsegnante stimoli
a intervenire tutti i componenti di quel sottogruppo. Devono emergere
le differenze, il modo soggettivo di vivere la stessa esperienza e il fatto
che questo non ha impedito, anzi stimolato, lorganizzazione e il giocare
insieme. La parte e il tutto, il singolo e il sottogruppo, devono risaltare
contemporaneamente. Non ha senso dare per scontato che le cose siano
andate in una certa maniera dopo avere ascoltato solo una persona. Ma
necessario ascoltare anche gli altri elementi del sottogruppo. pi
produttivo condurre la discussione su un solo sottogruppo, piuttosto
che lasciare parlare a ruota libera. Nella discussione, per facilitare la
percezione dei sottogruppi, si chiede agli allievi di sedersi vicino ai
compagni con i quali hanno appena giocato.
Si pu procedere seguendo lo schema GE GGE GGGE... In pratica i
momenti di discussione diminuiscono con il procedere del lavoro.
Nellultimo incontro di questa fase pu essere dato ai sottogruppi, come
stimolo, quello di costruire una scenetta da rappresentare poi agli altri. In
questa situazione i gruppi non devono essere composti da pi di 3 persone.
Per rendere piacevoli le scenette e facilitare il compito agli allievi,
necessario dare delle consegne precise sia per la costruzione della trama,
sia per le prove e la rappresentazione.
Per la costruzione: si dice agli allievi di inventare una scenetta dove ci
sono due persone che litigano e una terza che interviene per calmarli. La
scena pu svolgersi in una famiglia, a scuola o allinterno di un altro ambiente conosciuto dai bambini per esperienza diretta (e non televisiva).

Le porte dell'attenzione

135

La scena deve avere una conclusione e non deve durare pi di tre minuti.
Si d agli allievi un tempo di pochi minuti per inventare la scena.
Per le prove: si divide lo spazio in tante parti quanti sono i gruppi e poi
si invitano i gruppi a provare la scena, ognuno nel proprio spazio. Linsegnante spiega che al suo STOP solo il gruppo che lui indicher continuer
a provare, gli altri gruppi passeranno dallazione allascolto e osserveranno
lunico gruppo che lavora. Durante le prove linsegnante permetter, almeno
due volte a ciascun gruppo, di provare la scena mentre gli altri ascoltano.
Questi momenti di ascolto devono durare qualche secondo e devono servire
a riscaldare il gruppo e a fare perdere il timore del pubblico.
Per la rappresentazione: si danno agli allievi alcune regole da rispettare, che hanno la funzione di aiutare lespressione teatrale e anche quella
di contenere lemozione.
1) Non mostrare le spalle al pubblico
2) Non toccare laltro durante la rappresentazione
3) Aggredire laltro solo verbalmente
4) Non parlare contemporaneamente
5) Prima di rispondere ascoltare la battuta del partner.
Il compito del pubblico quello di ascoltare in silenzio il gruppo che
sta lavorando, distogliendo lattenzione dal fatto che anche loro dovranno rappresentare la propria scenetta.
Prima dellinizio di ogni scenetta si chiede un momento di silenzio.
Questo lavoro sulle scenette molto stimolante e, se si seguono le
indicazioni date, pu dare dei risultati sorprendenti per quello che riguarda la soddisfazione e il benessere relazionale dei partecipanti. Altre
informazioni sulla costruzione di scenette sono date dal sottocapitolo
Le scenette: un metodo per partecipare creativamente.
7 - 8 incontro
H. GIOCARE IN DUE GRUPPI - durata 20 minuti.
Si divide lo spazio in due settori, poi si chiede alla classe di dividersi
in due gruppi. Si assegna a ciascun gruppo un settore, quindi si chiede
a ciascun sottogruppo di giocare insieme ai componenti della propria
squadra, senza occuparsi dellaltra e senza uscire dallo spazio assegnato.
Non si possono usare oggetti.

136

Settimo Catalano

E. DISCUSSIONE IN CERCHIO - durata 10 minuti.


Temi: oltre a quelli gi accennati nelle precedenti fasi-discussione, si
parler delle difficolt incontrate nel mettersi daccordo, nel far giocare
tutti, e di qualsiasi altro problema possa emergere dal gruppo.
Si procede con la sequenza: HE HHE HHHE...

Note
In questa seconda parte, dedicata ai sottogruppi, bisogna rendere veloce il momento
in cui ci si divide.
Si pu utilizzare la conta o altri metodi simili, oppure eleggere dei capigruppo che
scelgano i compagni facendo attenzione a prendere come capigruppo gli allievi che
normalmente vengono scelti per ultimi. In questa maniera si evita a questi allievi una
frustrazione e una convalida del loro ruolo.
Linsegnante pu anche indicare come deve essere composto il gruppo rispetto al
sesso degli allievi, per esempio dicendo:
Formate gruppi di tre elementi dove ci sia almeno un maschio e una femmina.
Quando gli allievi sono liberi di scegliere, tendono a preferire sempre gli stessi
compagni e quelli dello stesso sesso. Per questa ragione solo la prima volta li si pu
lasciar liberi di scegliere, successivamente bene che linsegnante dia indicazioni
affinch a ogni rimescolamento dei componenti i sottogruppi risultino composti da
combinazioni di allievi sempre diverse rispetto alle precedenti.

TERZA PARTE 9 - 11 incontro


Tema centrale: gestione del conflitto e dellaggressivit
attraverso la comunicazione e lascolto dellaltro.

Obiettivo conoscitivo: apprendere modalit relazionali efficaci per la


gestione del conflitto. Lobiettivo viene raggiunto quando lalunno in
grado di controllare i suoi impulsi aggressivi tramite una comunicazione
verbale e non-verbale corretta, cio quando lalunno, pure in condizioni
emotive, riesce ad ascoltare e comprendere le ragioni dellaltro.
Obiettivo formativo: allenare il singolo a comunicare a tutto un gruppo. Sensibilizzare allascolto. Allenare ad affrontare i conflitti con una
comunicazione adeguata.
Obiettivo dinamico: cambiamento da una percezione del conflitto come
qualcosa di cattivo, da evitare, a una percezione del conflitto come qualcosa di stimolante e gestibile. Questo si ottiene quando le due squadre

Le porte dell'attenzione

137

riescono a competere in un clima di correttezza e rispetto reciproco e a


discutere senza degenerare nel litigio.
Scansione del tempo in fasi
9 incontro
K. GARA FRA MASCHI E FEMMINE
Si divide il gruppo-classe in maschi e femmine. Poi si propone una gara
di giochi fra i sottogruppi cos articolata.
K1 UNA SQUADRA GIOCA E LALTRA OSSERVA - durata: 10 minuti.
Le squadre si alternano nello spazio di gioco. Mentre una squadra
gioca, i componenti dellaltra osservano come la squadra avversaria
gioca. Ogni squadra ha 5 minuti per fare il massimo di giochi con la partecipazione di tutti i componenti, nessuno escluso. I giochi non possono
essere ripetuti.
Quando una squadra ha terminato il suo tempo, subentra laltra.
Per quanto riguarda il punteggio, ne esistono di due tipi: punti-gioco
e punti di ascolto, che vengono sommati insieme.
In questa fase linsegnante assegna solo punti di ascolto: se tutti i
componenti della squadra che osserva stanno seduti senza parlare, questa riceve un certo punteggio, per es. 2 punti-ascolto, per ogni minuto
di osservazione silenziosa.
K2 DIBATTITO SU DUE RIGHE CONTRAPPOSTE - durata 10 minuti.
Alla fine di una sessione di giochi in cui le due squadre, a turno, hanno cercato di realizzare pi giochi possibili, si apre una discussione
per lattribuzione del punteggio. Infatti, solo ai giochi che vengono
riconosciuti validi secondo il parametro del giocare insieme, saranno
attribuiti dei punti.
Per i giochi contestati dalla squadra rivale o dal conduttore, si
apre la discussione tra i gruppi, con la regola che a una contestazione
da parte di un elemento di un gruppo segue una replica da parte di
un elemento dellaltro gruppo. A questo punto linsegnante esperto
pu inserire un metagioco come la gara di ascolto e, per esempio,
quando uno si dimentica della regola e interviene dopo un compagno di squadra o si sovrappone a chi sta parlando, regala un punto
alla squadra avversaria. Poi, a seconda delle difficolt presentate
nella discussione dal gruppo, possono essere inserite altre variabili

138

Settimo Catalano

di ascolto, come per esempio: parlare a voce alta in modo da farsi


sentire bene da chi ascolta, ripetere lintervento dellaltro con le
proprie parole; alla fine della discussione, linsegnante potrebbe dare
a ogni sottogruppo, come punteggio per la variabile partecipazione,
un punto per ciascuna persona che intervenuta nella discussione
(si veda il sottocapitolo Le modalit di gruppo che favoriscono
lappartenenza pag. 176).
Dopo aver sentito le diverse ragioni, linsegnante (che funge da arbitro) decide se considerare il gioco contestato valido o no e verbalizza
questa sua decisione al gruppo. Un esempio di verbalizzazione finale
dellinsegnante potrebbe essere questo:
Riguardo alla bella lavanderina fatto dalla squadra A, Francesco
(della squadra B) dice che non pu essere considerato valido perch
qualcuno cantava e qualcuno no. Alberto (della squadra A) ha replicato
che questo gioco si pu anche solo mimare senza cantare. Poi ci sono
stati tanti altri interventi, io li ho ascoltati tutti. Le mie conclusioni sono
queste: un gioco valido se tutti seguono le stesse regole, perch solo
in questo caso si pu dire che hanno giocato veramente insieme. Ora
una parte del gruppo ha fatto la bella lavanderina cantando e laltra la
bella lavanderina mimando; se si prova a fare i due giochi ci si accorge
che, malgrado le apparenze, sono diversi fra loro. Per il fatto che una
parte della squadra ha fatto un gioco e laltra ne ha fatto un altro, non
posso dare alcun punteggio. Se la squadra avesse fatto i due giochi in
successione, prima cantando tutti, poi mimando tutti, i giochi sarebbero
stati tutti e due validi.
Per ogni gioco valido, linsegnante pu dare 5 punti, che si sommano
ai punti di ascolto. Dopo ogni fase bisogna dire al gruppo il punteggio
raggiunto dalle due squadre.
Lincontro procede con la sequenza K1-K2-K1-K2...
Vincer la squadra che, al termine del tempo a disposizione, avr
realizzato il maggior punteggio.
10 incontro
Come il 9 incontro con la seguente variazione: il gruppo-classe si
divider in due gruppi misti.

Le porte dell'attenzione

139

11 incontro
Come il 10, salvo che i due gruppi devono essere di composizione diversa rispetto alla volta precedente; inoltre ogni gioco fatto
completamente in silenzio, senza pronunciare neanche una parola, vale
il triplo.

QUARTA PARTE 12 incontro


Tema centrale: il gruppo come appartenenza.

Obiettivo conoscitivo: apprendere modalit relazionali efficaci di


gruppo. Questo obiettivo viene raggiunto quando lallievo, nelle fasi di
discussione, verbalizza i suoi sentimenti positivi verso il gruppo e la
propria percezione del gruppo unito.
Obiettivo formativo: allenare il singolo a interagire a livello di gruppo.
Sensibilizzare allascolto, alla comunicazione, e alla presa di decisione
di gruppo.
Obiettivo dinamico: percepire il gruppo-classe come fonte di benessere
e amplificatore delle proprie possibilit.
Scansione del tempo in fasi
12 incontro
L1 LA GARA DI GIOCHI
In questa ultima sessione di lavoro si propone al gruppo la gara di
giochi che funge anche da test di verifica della maturit raggiunta dal
gruppo. Si d agli allievi come consegna quella di fare in un certo tempo
stabilito (60 minuti) il massimo numero di giochi tutti insieme. Linsegnante,
che larbitro, d un punteggio di 100 punti per ogni gioco eseguito con
la partecipazione attiva di tutti; se il gioco invece fatto con lesclusione
anche di una sola persona, non d punti.
Per motivare il gruppo si pu dire che il punteggio record di 2200
punti in unora di tempo, una quota non facile da raggiungere. Ogni 10
minuti linsegnante comunica al gruppo il punteggio raggiunto. Dopo
la prima mezzora, linsegnante comunica che i giochi fatti in silenzio,
senza dire una sola parola, valgono il triplo. Alla fine si dovr tenere un
certo tempo per la discussione e per concludere il lavoro. Se il gruppo

140

Settimo Catalano

raggiunge un buon punteggio, nella discussione emergeranno dagli stessi


allievi il piacere e il valore di fare le cose tutti insieme, e la percezione
del gruppo-classe come ununit. Gli interventi degli allievi in generale
mostreranno un accresciuto senso di appartenenza al gruppo.

NOTE
Le fasi di discussione di tutti gli incontri sono fondamentali per fissare in parole quello
che si sperimentato e per riflettere su come ci si mette in rapporto con laltro. In
questi momenti si ha loccasione di portare lattenzione al campo relazionale e rendere
cosciente questo tipo di realt allallievo. Senza il momento di discussione, leffetto
di queste sessioni di lavoro sulle relazioni tenderebbe a perdersi velocemente con il
passare del tempo. La discussione invece, opportunamente condotta dallinsegnante,
fissa in concetti quello che si sperimentato attraverso il linguaggio del gioco e sta
alla base dellapprendimento di competenze sociali. Per la stessa ragione, dopo ogni
incontro utile far riflettere gli allievi anche per iscritto, con opportune domande
adeguate alla loro comprensione. Nelle classi elementari anche utile fare disegnare
lincontro. Questo tipo di intervento fornisce alla classe loccasione di crescere come
gruppo e appartiene a quel tipo di interventi che usano, come strumento di apprendimento principale, il gruppo stesso; inoltre, per la sua semplicit, pu essere utilizzato
da un insegnante sensibilizzato alla dinamica di gruppo.
Con questo intervento si agisce sulla struttura del gruppo-classe ed possibile
cambiare le modalit relazionali che lo caratterizzano. In particolare, si pu affrontare
il problema dellesclusione e superare quella modalit per cui c sempre qualcuno in
posizione out, risolvendo uno dei problemi pi frequenti e rilevanti che si possono
trovare nei gruppi-classe.
Lo sviluppo di un senso di appartenenza al gruppo aiuter non solo gli allievi pi
esclusi, ma anche tutti gli altri a sentirsi pi liberi e a stare bene.
Se si vuole modificare la struttura di un gruppo, e farlo crescere, bisogna agire
direttamente sul gruppo attraverso interventi analoghi a quello presentato sopra. Se il
processo di crescita viene innescato e non subisce interruzioni, a un certo momento
comincer a circolare fra i membri un senso di appartenenza stabile, e in queste condizioni sar pi facile sia insegnare, sia imparare.
Il fatto che in queste sessioni di lavoro si utilizzi la dimensione del gioco, potrebbe
portare insegnanti e genitori, che non conoscono le finalit e il metodo usato, a pensare
che questo intervento sia superfluo o addirittura una perdita di tempo. Sar quindi
necessario informare adeguatamente i colleghi e i genitori, se non si vuole andare
incontro a sterili critiche. bene anche sottoporre il progetto al collegio docenti,
presentandolo come sperimentazione.
Questo intervento va incontro alle indicazioni dei nuovi programmi per la scuola ele-

Le porte dell'attenzione

141

mentare, in particolare dove si dice testualmente: dovere della scuola elementare evitare,
per quanto possibile, che le diversit si trasformino in difficolt di apprendimento e in
problemi di comportamento, poich ci quasi sempre prelude a fenomeni di insuccesso e
di mortalit scolastica e conseguentemente a disuguaglianze sul piano sociale e civile1.
Anche per questo motivo queste sessioni di lavoro, finalizzate alla crescita del
gruppo-classe, sono pienamente legittimate, pure se si presentano molto diverse dalla
solita attivit scolastica.
Infine, con questo tipo di lavoro, gli allievi possono impadronirsi di competenze
relazionali e apprendimenti sociali che saranno loro utili non solo a scuola, ma anche
nella vita extra-scolastica e futura.

La classe di Susetta
Nellanno scolastico 95-96 un gruppo di insegnanti, appartenenti allassociazione CISDIG sezione Campania (Centro Italiano Studi Dinamiche Interpersonali e di Gruppo) ha realizzato in varie scuole elementari lintervento sulla
crescita del gruppo, descritto dettagliatamente nel capitolo precedente. Quello
che segue uno scritto inviatomi da un insegnante di quinta elementare che
racconta lultimo incontro con la sua classe.
lincontro conclusivo, lultimo marted (14 maggio) che scendiamo gi in palestra per lintervento di sperimentazione col gruppo-classe VB.
I bambini sono arrivati presto a scuola e li vedo sorridenti entrare in aula. Anchio ho fatto presto, preoccupato di preparare bene il setting in palestra. E ora tutto
sembra a posto: la cassetta nella video-camera, la lavagna con il gesso, il cartello
con Non disturbare fuori dalla porta e i bidelli avvisati di vigilare.
Mi sento agitato, teso.
Rientro in aula.
Siamo pronti?
Siiiii!
No, maestro, manca Susetta!
Oddio, come si fa ora?
Nessuno ha notizie della bambina, neanche la bidella. strana la sua assenza.
Ma lidea di iniziare senza Susetta non sfiora nessuno; c invece una vera mobilitazione per recuperare la compagna.
1

Tratto da: F. Deva, I nuovi programmi per la scuola elementare, Cetem Milano, p. 94.

142

Settimo Catalano

Andiamo a casa sua, maestro!


No, telefoniamo!
Hai il numero di telefono?
...Eccolo!
Si chiama. Susetta che risponde al telefono.
No, maestro non vengo perch devo andare a fare una visita medica. Mi
dispiace...
Le chiedo di passarmi la mamma. Al telefono la signora mi spiega che la bambina prenotata per una visita alla commissione medica della USL alle 9,30.
Le avevo detto, maestro che sto facendo la pratica di invalidit per Susetta e
ora hanno convocato la bambina per la visita. (Susetta soffre di epilessia).
Spiego in poche battute alla signora limportanza che la bambina venga a
scuola e la invito a risolvere in qualche modo il problema.
una mamma stupenda.
fatta, do lannuncio alla classe:
Susetta sar qui a momenti!
Scoppia un grido di vittoria.
Lentusiasmo si trasforma in applausi e abbracci quando Susetta appare sulluscio accompagnata dalla mamma. La bambina sorpresa e con lei la mamma:
non aveva mai ricevuto tante attenzioni da tutto il gruppo.
Maestro, ora possiamo scendere?
S andiamo.
E via gi in palestra.
I bambini corrono a formare subito il cerchio, seduti a terra. Si guardano a
vicenda, si parlano sottovoce scambiandosi feedback sulle loro posizioni. C
grande attenzione.
Mi guardo attorno perch tutto sia a posto mentre sento crescere la tensione in
me. Strano, scatta un flash che mi riporta al vissuto emotivo di qualche passato
T-group, allaria che si respira nellultima unit di lavoro.
Si parte! Seduto anchio in cerchio, rivolgo poche parole al gruppo prima di
dare le consegne finali. Ricordo che affrontiamo lultimo incontro, un incontro
perci importante e che richieder di mettercela proprio tutta.
Oggi si lavorer in gruppo tutti insieme.
Si esulta.
Finalmente! Grida qualcuno.
E insieme, spiego, dovranno fare il maggior numero di giochi possibili, guadagnandosi un punteggio per arrivare a battere il record stabilito da unaltra classe:
2200 punti.

Le porte dell'attenzione

143

Sono gasati. E anchio lo sono, mentre la tensione ormai si sciolta.


Per un attimo ripenso al lavoro fin qui svolto, alle diverse fasi dellintervento
iniziato nel novembre scorso. Sento tutto il peso, la fatica, la stanchezza per un
percorso dove i momenti di crisi, di difficolt anche forte, non sono certo mancati.
E ricordo le lunghe telefonate a Settimo, in preda ai dubbi e allo sconforto, perch
si stava proprio tanto male nel gruppo. Ora mi rendo conto che il gruppo, e io con
loro, abbiamo attraversato linverno, quello duro che fa venire i geloni alle mani.
Provo anche quella strana ma piacevole sensazione di liberazione. quasi
finito! Lultimo incontro si svolge in un crescendo di sensazioni, attraverso i vari
momenti dove il gruppo si rende visibile, forte e bello...
Allora ripenso allinverno, ora che scoppiata la primavera! primavera sui
volti dei bambini, nei loro occhi, nei loro sorrisi, nei loro giochi. Che gioia vederli
(e vedermi?!) E dopo unora, stanchi, sudati e contenti esultavano per lobiettivo
raggiunto: 4400 punti. Evviva!!
Sono contentissimo.
Per lultima volta seduti in cerchio, ancora un crescendo di emozioni! Proviamo a verbalizzare il nostro sentire, e io insieme a loro. Tanti sono i feedback
che il gruppo raccoglie, tanti quelli che si regalano, tanti quelli che mi regalano.
Ormai sono bravissimi, stupendi, per come riescono a restare legati al qui e ora
e a far correre le loro emozioni.
Sempre pi sento il sapore di un T-group, di quello vissuto pienamente, dove
alla fine se ne esce contenti, perch si dato e ricevuto tanto nello spendersi. E
mi domando come si sente anche un trainer dopo un T-group finito bene! Mi sento
pieno, contento, gli occhi lucidi... felice! Si pu veramente stare cos bene (oltre
che tanto male) con i bambini a scuola!?
Mentre stiamo ancora seduti a regalarci carezze (penso di essere arrivato a
cento) inizio a scorgere la tristezza sui volti e nelle parole dei bambini. La tristezza per una separazione che stava avvenendo.
Ed ancora un flash con gli addii finali del T-group.
Tra qualche minuto saremo risaliti in aula, ancora insieme, eppure stiamo
vivendo la nostra separazione.
Gli ultimi minuti sono intensissimi. Li abbraccio tutti.
Poi un grido forte, spontaneo e via su di corsa.
In aula non c tempo per pensare, ma ho la sensazione che tante cose siano
successe e dun tratto mi accorgo che siamo tutti un po cambiati...
Giovanni Testa

144

Settimo Catalano

Il sentimento del gruppo


Attualmente la formazione psicosociale degli insegnanti viene fatta soprattutto
attraverso corsi basati sullesperienza diretta in piccolo gruppo. Questi corsi
possono differenziarsi a seconda del rapporto fra il tempo dedicato allesperienza e quello dedicato alla teoria. I corsi pi coinvolgenti dal punto di vista
esperienziale sono i Corsi di Sensibilizzazione alla Dinamica di Gruppo,
chiamati pi semplicemente Training-group o T-group. Questi corsi danno
un imput esperienziale cos forte che spesso i partecipanti ne escono fuori
cambiati per quello che riguarda il loro approccio al gruppo.
Il conduttore di un T-group viene chiamato trainer. Il trainer un ruolo che
comporta competenze speciali e non pu essere improvvisato neanche da uno
psicologo professionista, se sprovvisto di questa competenza. La funzione
del trainer quella di garantire la crescita del gruppo in rapporto alle risorse
messe in gioco dai partecipanti.
Lobiettivo dei T-group e dei corsi esperienziali proposti dal gruppo di trainer con cui lavoro quello di offrire allinsegnante lopportunit di sperimentare direttamente la dimensione del gruppo e lo svilupparsi di una cultura di
gruppo basata sulla diversit di ciascuno come risorsa. Nel corso del T-group,
il partecipante pu rendersi conto dei sentimenti che prova verso il gruppo e
di come questi mutino e si trasformino col procedere dellesperienza, fino ad
arrivare a un senso di benessere con gli altri, carico di possibilit, che qualcuno ha chiamato semplicemente sentimento del gruppo.
Raggiunto questo obiettivo, si comunica agli insegnanti, attraverso una
restituzione teorica (anche a distanza di qualche tempo dallinput esperienziale), che potrebbero mettersi con la loro classe nella stessa posizione in cui
noi trainer ci siamo posti con loro, cio pensare alla classe come a un gruppo
e non come a individui separati.
Quello che segue un esempio di restituzione teorica sul tema del sentimento di gruppo.
In realt, si pu vedere la classe come un insieme oggettivo di persone: persone fisiche che stanno insieme nello stesso spazio; poi la si pu pensare come un gruppo
in senso psicologico, cio come persone che si sentono psicologicamente dentro o
fuori quella classe, che provano dei sentimenti di appartenenza o di estraneit nei
confronti del gruppo nel suo insieme, analoghi al sentimento di affinit o estraneit
che si potrebbe provare verso una singola persona.

Le porte dell'attenzione

145

Riferendoci allesperienza che voi avete fatto, chi pi chi meno, avrete tutti
provato dei sentimenti verso il vostro gruppo. Questi sentimenti potrebbero essere
stati del tipo: Com bello stare in questo gruppo, oppure: Chi me lo fa fare a
rimanere in questo gruppo, vorrei proprio essere da unaltra parte. Se considerassimo questi due sentimenti come i due poli opposti di ununica variabile, avremmo a un estremo il sentimento di appartenenza, il piacere di stare nel gruppo, e
allaltro estremo il sentimento di essere al di fuori, o del mettersi al di fuori, un
sentimento del tipo io in questo gruppo non ci voglio stare. In certe persone
questo sentimento pu essere generalizzato, e provato verso lidea del gruppo in
generale. Quindi in un estremo potremmo mettere il sentimento di appartenenza e
nellaltro un sentimento di rifiuto nei confronti non solo di un gruppo particolare,
ma della stessa idea di gruppo. Pi ci avviciniamo a questo estremo, pi il gruppo verr vissuto come qualcosa che toglie libert, che non permette alle persone
di esprimersi veramente. Fra i due estremi possono essere collocati su una linea
immaginaria una vasta gamma di altri sentimenti, a seconda del grado con cui il
sentimento esaminato avvicina o allontana dal gruppo.
La prima fase di formazione di un nuovo gruppo caratterizzata dalla mancanza nei membri di un sentimento stabile di appartenenza e dal fatto che quando
questo sentimento c, viene avvertito solo da alcuni. Voi avrete senzaltro sperimentato che verso il gruppo non si prova sempre lo stesso sentimento, perch i
sentimenti dipendono dalla situazione: cambiando la situazione, cambiano anche i
sentimenti. Fra tutti i sentimenti che si possono avvertire nei confronti del gruppo,
alcuni fanno sicuramente bene.
Ogni allievo entra ogni giorno in un certo gruppo di persone chiamato gruppo-classe. Si tratta di un gruppo di persone che lallievo non si scelto, ma che
comunque deve frequentare, essendo obbligatorio andare a scuola.
Lallievo che prova un sentimento di appartenenza al gruppo-classe sar contento di incontrare i compagni e gli insegnanti, sentir che con loro possono succedere
delle cose buone per lui e di conseguenza vivr bene il fatto di andare a scuola.
Questo vuol dire benessere: andare a scuola con lidea che si pu stare bene con
gli altri. Quindi, sentimento di appartenenza = benessere.
Lallievo che prova sentimenti di esclusione (sia se lui a tenere le distanze dal
gruppo, sia se il gruppo a non prenderlo in considerazione), oppure sentimenti
di rifiuto (perch il gruppo aggressivo nei suoi confronti o viceversa), oppure
altri sentimenti come indifferenza o estraneit, andr a scuola con lidea che
probabilmente anche quel giorno non riuscir a stare bene con i propri compagni
e insegnanti. Quindi, sentimenti di non appartenenza = scarso benessere o addirittura malessere vero e proprio.

146

Settimo Catalano

Gli insegnanti, per incrementare il benessere relazionale, possono diventare


sensibili a quanto uno si sente fuori o dentro al gruppo, e poi leggere certi comportamenti che presentano gli allievi nel gruppo-classe, in base a questa variabile.
Per esempio, chi si sente fuori dal gruppo avverte questa situazione come
malessere, e comunica al gruppo questo suo disagio non facendo le cose che fa il
gruppo. Si tratta di un fenomeno di gruppo: chi si sente fuori, tende a non accettare
le regole del gruppo.
La stessa persona pu sentirsi di appartenere a un certo gruppo, mentre pu
sentirsi rifiutata in un altro. E nello stesso gruppo ci possono essere momenti in
cui si sente di appartenere e altri in cui si sente fuori dal gruppo. ovvio che
variando il sentimento che si prova verso il gruppo, varier anche il comportamento nel gruppo.
Prendiamo per esempio il rifiuto e lesclusione. Un allievo si sente rifiutato
quando si vive come il bersaglio di comportamenti aggressivi da parte dei compagni, quando si sente trattato male, quando si sente aggredito fisicamente, o,
in generale, quando succede che i compagni facciano delle azioni per tenerlo
lontano.
Quando invece sente che gli altri non lo considerano neanche, vive un sentimento di esclusione.
chiaro che il sentimento di esclusione e quello di rifiuto possono dare vita a
comportamenti diversi da persona a persona; ma avranno in comune il fatto di
generare un certo malessere. E questo malessere verr comunicato alla classe, con
comportamenti destrutturanti di tipo attivo come per esempio il prendere in giro
o lalzare le mani, o di tipo passivo, tipo la distrazione mentale.
Se lesperienza che voi avete fatto in un piccolo gruppo vi ha reso sensibili riguardo al sentimento di appartenenza, provate a chiedervi, quando siete in classe,
quanto quellalunno si senta di appartenere o meno al gruppo, e a farvi delle domande riguardo ai sentimenti che i vostri allievi potrebbero provare verso il gruppo
cui appartengono, tenendo in considerazione che non detto che un alunno, quando si sente a disagio, abbia un comportamento particolarmente visibile. Pu darsi
che ci sia qualche allievo che non dice niente, che sta silenzioso nel suo banco,
che non manifesta segni particolari, che per vive ugualmente un sentimento di
esclusione o estraneit. Questa persona soffre psicologicamente come quellaltra
che invece esprime chiaramente il suo disagio con comportamenti visibili a tutti.
Anzi, chi esprime il disagio, mette in moto il suo malessere; invece chi lha chiuso
in cassaforte e non lo fa vedere a nessuno, ha perso anche la possibilit di elaborarlo tramite laiuto che pu venire dagli altri. Questa sensibilit quindi dovreste
utilizzarla non solo con quelli che vi creano dei problemi, ma con tutti.

Le porte dell'attenzione

147

Voi, durante il T-group, avete partecipato alla vita di un gruppo e avete visto
che ogni persona reagisce in maniera diversa, ogni persona importante, e non si
pu dire che il gruppo c perch ci sono quei due o tre che parlano, ma c perch
ci sono anche tutti gli altri.
Linsegnante normalmente finisce per focalizzare buona parte della sua attenzione sugli allievi che danno problemi, ma non esistono solo loro.
In realt il gruppo psicologico non si pu percepire con i sensi, tuttavia esiste psicologicamente proprio in quanto si possono provare verso il gruppo dei
sentimenti. Si pu dire che quando si diventa consapevoli di provare sentimenti
verso il gruppo nel suo insieme, il gruppo viene percepito dalla persona come
una realt.
Quando verso questa realt non ci si sente esclusi, ma anzi ci si sente di appartenere, si pu dire che si prova il sentimento dello star bene insieme, del
sentirsi gruppo.
indubbio che quando si sta in un gruppo, non importa se lo si sia scelto o
meno, il sentimento del gruppo fonte di benessere relazionale...

QUARTA parte

Il pensiero relazionale
applicato ad alcuni
problemi della scuola

Integrare

L'INTEGRAZIONE NEL GRUPPO-CLASSE

ualche decennio fa vennero chiuse quasi tutte le scuole speciali e abolite


le cosiddette classi differenziali. Gli alunni portatori di handicap, che erano
i principali utenti di questi servizi, furono inseriti nelle classi normali della
scuola statale. Questo cambiamento provoc un graduale aumento di sensibilit verso gli aspetti relazionali del gruppo-classe. Per questi allievi, infatti, era
difficile inserirsi nel gruppo dei compagni e cos, fin dallinizio, gli insegnanti
si preoccuparono di trovare il modo per integrarli col resto della classe. Le difficolt erano molte poich i metodi normali di insegnamento spesso erano del
tutto inefficaci nelle situazioni di handicap e cos gli insegnanti cominciarono
a chiedere aiuto, in particolare agli psicologi dei vari servizi pubblici o privati.
Si inizi cos a porre attenzione al modo in cui ci si metteva in relazione nel
processo di insegnamento-apprendimento, e a parlare per la prima volta dello
stare bene con gli altri come di un obiettivo valido da raggiungere.
Ma anche gli allievi appartenenti ad altre due categorie presentavano problemi rilevanti nellintegrazione col resto dei compagni: gli alunni svantaggiati
socialmente e quelli provenienti da culture molto diverse da quella italiana,
come quelle nomadi o di paesi extracomunitari (problema che allora era raro,
ma che attualmente ha raggiunto dimensioni notevoli).
In effetti, per motivi diversi, gli allievi che rientrano nelle tre categorie citate si
trovano gi in partenza, chi pi chi meno, nelle condizioni di comunicare in modo
differente, rispetto alla media del gruppo-classe, per quanto riguarda labilit nellusare

152

Settimo Catalano

il codice linguistico e gestuale condiviso dal resto dei compagni. Questa carenza nel
comunicare come gli altri ha sempre messo questi allievi nelle condizioni di rimanere
pi facilmente dei compagni in una condizione di non-integrazione nei confronti del
gruppo.
Per aiutare questo tipo di allievo (ma anche qualsiasi altro ne avesse bisogno) a
integrarsi con gli altri, servono allinsegnante almeno due cose:
1) una sensibilit particolare alla dimensione psicologica del gruppo, anche per comprendere quanto un allievo sia psicologicamente dentro o fuori dal gruppo;
2) dei metodi in grado di creare modalit di gruppo efficaci per lintegrazione.

Per valutare il grado di integrazione dellallievo


Proviamo a chiederci cosa voglia dire integrazione da un punto di vista psicologico.
Si pu pensare che un allievo sia integrato nel proprio gruppo-classe quando si
verificano queste due condizioni.
1) Lallievo prova verso il gruppo dei compagni sentimenti di appartenenza.
2) Lallievo viene considerato dagli altri componenti come un elemento che appartiene, completa e caratterizza quella classe, per cui quando assente, gli altri ne avvertono la mancanza.
Viceversa, una persona non si considera integrata quando, pur frequentando il
gruppo-classe, si vive e/o vissuta dagli altri ai margini, contro o fuori dal gruppo.
Visto che ogni persona diversa dalle altre, ciascun allievo avr un proprio grado
di integrazione che varier rispetto al tempo, e sar diverso rispetto a quello dei compagni. In generale, pi alto il grado di integrazione, pi lallievo tender a identificarsi con il gruppo, partecipando alle decisioni comuni e impegnandosi a realizzare
le finalit e gli obiettivi che il gruppo si pone. Daltra parte, possibile che il grado
di integrazione di un allievo nel gruppo-classe sia cos basso che usare il concetto di
integrazione sarebbe un eufemismo. Per esempio, se un allievo non prova alcun
interesse nei confronti del gruppo dei compagni e il gruppo non lo prende in considerazione, ma lo lascia in disparte, non si dovrebbe parlare di integrazione, neanche
minima, ma sarebbe pi corretto parlare di esclusione.
Abbiamo visto come il sentimento di fare parte del proprio gruppo o di appartenenza
rappresenti il parametro principale in base al quale possiamo valutare lintegrazione
di un soggetto in un gruppo: pi una persona sente il gruppo vicino a s, maggiore

Le porte dell'attenzione

153

sar la sua integrazione e viceversa. Abbiamo anche visto come sia importante una
risposta di inclusione e accettazione da parte del gruppo: pi alto il grado di questa
risposta positiva, pi elevato sar il grado di integrazione. Trattandosi di variabili
psicologiche, ovvero di un modo di vivere il gruppo o di accettare laltro nel gruppo,
la presenza fisica del gruppo non determinante, nel senso che un membro pu
sentirsi di appartenere a un gruppo anche quando lontano dal gruppo stesso; come
possibile continuare a provare sentimenti di esclusione e rifiuto, anche in presenza
del gruppo. Per fare un esempio, un allievo portatore di handicap pu uscire dallaula
con il suo insegnante di sostegno, sentendosi comunque appartenere al gruppo-classe. Viceversa, pu rimanere fisicamente a contatto con i compagni e gli altri insegnanti sentendosi tuttavia estraneo o escluso nei confronti del gruppo. Naturalmente
queste considerazioni possono valere per ogni altro allievo.
Nella realt della scuola italiana lallievo che sente vicino a s il gruppo-classe nella
sua totalit decisamente raro. Di norma, invece, ha dei vissuti di appartenenza pi o
meno forti solo nei confronti di un sottogruppo-classe. Questo vuol dire che una parte
dei compagni viene considerata esterna al proprio sottogruppo e, a seconda delle circostanze, vissuta come estranea o come contro. Pi forte il vissuto di appartenenza a
un sottogruppo e pi questo vissuto pu rappresentare un ostacolo per lintegrazione
del gruppo-classe nel suo complesso. Infatti, in una classe frammentata in sottogruppi, succede normalmente che lappartenenza al proprio sottogruppo si trasformi in
aggressivit e rivalit con gli altri sottogruppi. Lappartenenza poi quasi sempre limitata a sottogruppi dove i componenti sono dello stesso sesso.

Le modalit di gruppo che favoriscono


lappartenenza
Un gruppo comincia a esistere come realt psicologica quando almeno un suo
componente comincia a provare un sentimento di appartenenza verso il gruppo intero. Ci vuole almeno una persona che, al di l della valenza dei sentimenti provati,
sia veramente disponibile alla relazione con tutti e non senta il bisogno di escludere
alcuno. Se questo succede, il gruppo una realt psicologica per questa persona. Pi
questo sentimento di appartenenza si diffonder nei membri, pi il gruppo sar gruppo in senso psicologico. Considerando le caratteristiche proprie del gruppo-classe si
pu affermare che se linsegnante prova questo sentimento di appartenenza al gruppo,
si avranno alte probabilit che questo sentimento si diffonda agli allievi; viceversa,
le probabilit saranno minime quando linsegnante prover sentimenti di rifiuto, di
estraneit o di esclusione anche verso una sola persona della classe.

154

Settimo Catalano

Quindi la condizione essenziale per lintegrazione che linsegnante riesca a non escludere psicologicamente nessuno.
Per favorire poi lemergere e la circolazione del sentimento di appartenenza fra gli
allievi, linsegnante potrebbe usare la sua influenza per innestare opportune modalit
relazionali.
Tenendo presente la tipologia del gruppo-classe e, in particolare, che la finalit del
gruppo lapprendimento, per creare il sentimento del gruppo risultano particolarmente efficaci tre modalit.
La prima potrebbe essere chiamata: Sostenere chi sbaglia. Con questa modalit il
gruppo comprende chi sbaglia e lo aiuta concretamente a superare i sentimenti negativi legati allinsuccesso.
Per sviluppare questa modalit relazionale, linsegnante potrebbe innanzitutto impedire ai componenti del gruppo di sfogare le loro tensioni su chi commette un errore.
Canzonare, suggerire, rimproverare, criticare, far la predica ecc. sono tutti modi per sfogare sullaltro il proprio disagio, e linsegnante dovrebbe ostacolare lemergere di questi
comportamenti, o quantomeno non sostenerli n direttamente n indirettamente.
fondamentale prestare attenzione al proprio modo di comportarsi e a quello degli allievi
per riconoscere subito questo tipo di interventi come un danno per chi sbaglia, e anche
per il gruppo. Riprendere o schernire davanti ai compagni chi fa un errore, indica un
gruppo che sminuisce limmagine dei suoi membri, e questo tipo di modalit provoca nei
singoli (in tutti e non solo in chi viene ripreso) una perdita di fiducia in se stessi e un
incremento di sentimenti di incapacit e inadeguatezza. Questi sentimenti sono molto
spiacevoli, e normalmente chi li prova cerca di liberarsene, per esempio proiettando
sugli altri la parte di s vissuta come inadeguata e incapace. Cos, chi stato schernito
non risparmier lo stesso servizio agli altri; ogni allievo poi, a misura di quanto riuscir
a salvarsi o meno dalle critiche, verr visto come capace o incapace, desiderabile o
indesiderabile, buono o cattivo, e questi sentimenti divisori saranno un serio ostacolo
allemergere di un senso di appartenenza al gruppo nel suo insieme.
Per facilitare la modalit relazionale del Sostenere chi sbaglia, linsegnante
potrebbe porsi come modello, mostrando come sia possibile trattare lerrore senza
svalorizzare chi lo commette. Bisognerebbe essere in grado di correggere e nello
stesso tempo di sostenere limmagine che lallievo ha di se stesso.
Quando un allievo sbaglia davanti a tutti, possono essere utili le seguenti indicazioni:
impedire che i compagni intervengano dicendo la soluzione corretta o dando suggerimenti, evidenziando come questo tipo di intervento non sia un aiuto, ma una
dimostrazione implicita di sfiducia nella capacit dellaltro di cavarsela da solo.
Questo comportamento nasce dalla tendenza immatura di togliere spazio allaltro
per mettersi in bella mostra.

Le porte dell'attenzione

155

Spiegare alla classe che legittimo sbagliare, e che lerrore pu diventare utile se si
comprende come lo si fatto. Lerrore mostra solo dei limiti. Tutti hanno dei limiti e
conoscerli permette di superarli.
Dimostrare praticamente al gruppo che chi ha commesso un errore pu affrontare e
superare subito la sua difficolt, aiutando lallievo che sbaglia a ottenere il successo
con tecniche adeguate (suddivisione dellobiettivo in una sequenza progressiva di
obiettivi intermedi, semplificazione del campo con isolamento e rilevanza della
variabile in gioco, riduzione del problema in termini pi concreti ecc.).
Quando in un gruppo-classe si stabilisce latteggiamento del Sostenere chi sbaglia,
i membri si liberano gradualmente sia della paura di commettere errori, sia della
paura degli altri. Questo sul piano relazionale fa crescere il gruppo, perch le persone,
quando non si sentono criticate, possono sperimentare liberamente modi di essere
alternativi ai soliti. Inoltre meno avvertita la necessit di chiudersi in un ruolo per
difendersi da possibili attacchi. La mancanza di una modalit critico-svalutante e un
atteggiamento sensibile verso chi si trova in difficolt, fanno aumentare il desiderio di
mettersi in gioco e favoriscono limmediatezza e la creativit.
La seconda modalit relazionale che favorisce sentimenti di appartenenza al gruppo potrebbe essere chiamata: Ascoltare laltro. Con questa modalit il gruppo aperto
alla comunicazione ed centrato sullascolto e la comprensione. Il gruppo riconosce
un valore negli interventi di ciascuno, intesi come unoccasione per entrare in contatto con la soggettivit e la diversit dellaltro. Inoltre il gruppo tende a fornire dei feedback affinch chi si esprime possa riconoscersi ed eventualmente tarare e completare
la sua comunicazione. Dal punto di vista pragmatico la modalit dellAscoltare laltro
comporta alcune abilit sociali, come le seguenti:
1) il non sovrapporsi allaltro che parla, ovvero la capacit di lasciare parlare una
persona per volta senza laiuto dellalzare la mano;
2) il farsi ascoltare, che comporta un tono di voce adeguato alla possibilit di ascolto dellaltro, e il guardare le persone con cui si parla senza appoggiare lo sguardo altrove, per esempio sullinsegnante;
3) lascoltare, ovvero la capacit di ripetere lintervento dellaltro;
4) il comprendere, ovvero la tendenza a dare dei feedback verbali allaltro su quanto si
compreso, ripetendo con proprie parole il senso dellintervento dellaltro;
5) il partecipare, che comporta il coinvolgimento nel gruppo e anche la sensibilit
del gruppo a dare la precedenza alle persone che non hanno ancora avuto modo di
esprimersi;
6) il rispettare tutti, sia per quanto riguarda i modi di esprimersi che le idee espresse:
questo vuol dire accettare e tenere in considerazione interventi contrari e divergenti.
Per lapprendimento di queste abilit si pu utilizzare un metagioco come la Gara

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Settimo Catalano

di ascolto, ponendo come variabili su cui dare il punteggio le sei abilit espresse in
comportamenti definiti precisamente, e presentandole successivamente secondo il
metodo del metagioco (si veda il sottocapitolo La gara di ascolto).
La terza modalit relazionale che favorisce lappartenenza al proprio gruppo-classe
potrebbe essere chiamata: Partecipare creativamente.
Con questa modalit il gruppo si apre alle situazioni nuove e le affronta creativamente utilizzando la tensione connaturata allincertezza e allimprevedibilit; inoltre
si libera dalla modalit difensiva e crea lo spazio mentale per esplorare, inventare,
improvvisare ed esprimersi creativamente. Il gruppo accetta anche il cambiamento della propria stessa struttura interna, in particolare il cambiamento di ruoli e lascia liberi
i partecipanti da qualsiasi tipo di critica, in modo che ognuno possa mettere in gioco
se stesso senza pressioni da parte degli altri.
Nei momenti in cui il Partecipare creativamente diventa la modalit predominante
del gruppo-classe, si genera fra gli allievi, e tra gli allievi e linsegnante, una grande
complicit, che fa crescere lintegrazione e d a tutti una dimostrazione delle potenzialit del gruppo.
La modalit del Sostenere chi sbaglia e quella dellAscoltare laltro con le relative
abilit sociali, rappresentano la base su cui pu svilupparsi la modalit del Partecipare
creativamente.

le scenette: Un metodo per Partecipare


creativamente
Inventare la trama di una scena coinvolgente da un punto di vista psicologico e rappresentarla subito dopo, unattivit creativa che deriva dal gioco
drammatico che il bambino fa spontaneamente da solo o insieme ad altri e,
nella scuola, viene chiamata drammatizzazione, o semplicemente fare scenette. Molti insegnanti trovano utile questa attivit, e la inseriscono nella loro
programmazione per leffetto socializzante che pu avere sul gruppo-classe.
Da almeno due decenni, diverse agenzie legate al teatro e allanimazione organizzano corsi di formazione teorico-pratica su questo argomento, corsi che
sono gli stessi insegnanti a richiedere.
Quando le scenette sono costruite con unattenzione particolare allaspetto relazionale, rappresentano un buon metodo per favorire la modalit del Partecipare creativamente, metodo valido sia per i gruppi-classe delle elementari sia per quelli delle medie.
Linsegnante-animatore che conduce il processo creativo per la realizzazione della

Le porte dell'attenzione

157

scena, dovrebbe considerare, come prima cosa, la delicatezza che comporta la situazione dellesprimersi davanti a degli spettatori. Chi chiamato a interpretare un personaggio, anche se lui stesso a proporsi, prover sempre un certo disagio a mostrare
se stesso davanti a tutti. Questa tensione, fino a un certo livello (che varier in maniera notevole da un individuo allaltro e da momento a momento) sar gestibile da parte
dellallievo che non presenter problemi a parlare o ad agire. Ma se la tensione dovesse
aumentare oltre un certo limite, la comunicazione verbale potrebbe diventare difficile
e lallievo potrebbe finire per esprimersi quasi esclusivamente con i movimenti e col
tono della voce. Se poi la tensione dovesse aumentare ancora, potrebbe succedere che
lallievo si blocchi completamente. Poich ogni allievo ha soglie diverse di sopportazione della tensione, essenziale che il conduttore sia innanzi tutto un osservatore
sensibile, in grado di sostenere in tempo chi tende a bloccarsi, e di interagire con la
consapevolezza della difficolt emotiva che lallievo sta provando.
Il bisogno fondamentale di chi si espone di fronte a un pubblico che lesperienza
abbia successo e risulti positiva in ogni caso.
essenziale che linsegnante soddisfi questo bisogno. Per questo importante inserire nel metodo utilizzato per costruire le scenette, le seguenti indicazioni:
non criticare mai con le parole o con le espressioni del viso quello che lallievo-attore fa o dice. Bisognerebbe anche evitare qualsiasi frase che contenga una svalutazione implicita;
non correggere. Tutto quello che lallievo fa o dice quando interpreta la sua parte
va bene, nel senso che non esiste una maniera giusta o sbagliata di esprimersi.
Lespressione un fatto soggettivo; correggere invece vuol dire rifarsi a un modello
oggettivo. Quindi solo il soggetto stesso pu autocorreggersi per trovare un modo
di esprimersi in cui si riconosce di pi;
aiutare. Linsegnante, al posto di correggere, pu dare dei feedback e/o spostare lattenzione dellallievo su esercizi che facilitano lespressione, come per esempio:
Esercizi non-verbali (se lallievo nella scenetta deve fare la parte di uno che si arrabbia, gli si pu far fare prima la lotta con un compagno, ecc.).
Raccontare la scena (si chiede allallievo che cosa succede, dove si svolge, chi sono i
personaggi);
Rendere sensoriale ci che si immagina (si pu chiedere di descrivere i particolari
del personaggio e del luogo dove si svolge la scena, mediante i canali visivo, uditivo e
olfattivo).
Laiuto migliore che si pu dare ai protagonisti consiste per nel dare una motivazione psicologica ai personaggi.
Siccome mettersi in mostra di fronte agli altri provoca una certa ansia, se si sceglie
una trama dove i personaggi sono in tensione fra loro, inserendo quei possibili eventi

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Settimo Catalano

che provocano conflitti, si sfrutta la condizione di agitazione preliminare, nel senso


che i protagonisti faranno poca fatica a interpretare ruoli di tensione, perch, in
effetti, lo sono gi. Se si fa agire la tensione, la scenetta potrebbe diventare un
contenitore per allenarsi sul piano emotivo. Nella vita quotidiana la persona
presa direttamente dalle emozioni e il contesto reale spesso non d la possibilit
di provare alternative. La scenetta permette di sperimentare il piano emotivo senza
correre i rischi che la realt presenta.
Se, per esempio, si vuole sviluppare una scenetta ambientata in una gelateria, si
potrebbe pensare a uno che fa il gelataio e che chiede: Di che gusti lo vuole? e a
un altro che fa il cliente e risponde: Cioccolato e fragola. E tutto potrebbe finire
cos. Ma la scenetta non avrebbe nessuna struttura psicologica in grado di motivare
realmente i giovani interpreti. Per dare una struttura psicologica a questa scena
utile chiedersi che cosa potrebbe provocare un conflitto fra i personaggi, in unanaloga situazione reale. Una possibilit potrebbe essere che chi interpreta il bambino, dopo avere chiesto il gelato, si accorga di aver dimenticato o perso i soldi;
oppure potrebbe pretendere un gusto di gelato che il gelataio non ha, o anche fare
cadere il gelato sul pavimento appena pulito ecc.
Questo tipo di trama basata sulla tensione psicologica fra i personaggi ha leffetto collaterale di rendere la scenetta divertente, ma la sua importanza sta nellallenare i protagonisti ad agire in maniera coerente anche in situazioni emotive,
contribuendo cos a creare maggiore sicurezza e fiducia in se stessi. Pi uno sicuro, pi in grado di affrontare situazioni ansiogene senza andare in confusione.
Interpretare una scenetta utile per lo sviluppo della sicurezza, se linsegnante
attento a mantenere la tensione a livelli accettabili e aiuta lallievo a esprimersi,
sostenendolo con calma e con fiducia.
Nella realt quotidiana, un ragazzino potrebbe vergognarsi o addirittura paralizzarsi se scoprisse, per esempio, di avere dimenticato i soldi quando ormai ha gi in
mano il cono gelato. Se, a causa di questo inconveniente, il gelataio lo credesse un
furbo e lo insultasse, potrebbe reagire piangendo o scappando. Se ci accadesse,
potrebbe nascere un vero dramma. Lo stesso fatto, rappresentato in una scenetta,
sarebbe del tutto gestibile.
Le scenette potrebbero cos favorire una maggiore elasticit emotiva e allenare
ad affrontare la realt. Tutti si trovano quotidianamente di fronte a situazioni che
creano ansia o tensione, come, per esempio, ogni esperienza nuova. Chi le affronta,
diversamente da chi si tira indietro, coglie unoccasione per crescere emotivamente.
Pi una persona riesce a sopportare un carico emotivo senza andare in confusione,
pi linteresse verso la vita aumenta.

Le porte dell'attenzione

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Attivit espressive e attivit strumentali


Fra le attivit che si propongono agli allievi, quasi tutte possono prendere sia
laspetto espressivo sia laspetto strumentale. Per linsegnante un vantaggio
saper trattare le attivit in modo che prendano uno o laltro aspetto, a seconda
delle finalit che si vogliono raggiungere. Prendiamo per esempio lattivit di
disegno. Se linsegnante ha come obiettivo la riproduzione fedele di oggetti avr
bisogno di un metodo efficace per aumentare labilit del disegnare. Se lobiettivo
invece la rappresentazione di un oggetto cos come viene vissuto dallallievo, il punto centrale sar il mondo dellautore, canalizzato attraverso labilit
strumentale realizzata fino a quel momento. In questo caso linsegnante avr
bisogno di metodi adatti a favorire lespressione, metodi che si differenzieranno
nettamente da quelli necessari per sviluppare una qualsiasi abilit.
Per aumentare labilit nel controllo di uno strumento, sono necessarie adeguate
informazioni di ritorno (feedback) su quello che si sta facendo per poterne individuare
luso corretto. In questo ambito il concetto di errore non solo utile, ma indispensabile. Il problema dellinsegnante sar quello di fornire agli allievi un sistema per saper
valutare e riconoscere gli errori. Per esempio, linsegnante potrebbe dire agli allievi di
disegnare unautomobile spiegando che il criterio di errore sar dato dal fatto che gli
allievi della classe accanto riconoscano unautovettura nel disegno eseguito. Se un bambino facesse un rettangolo con due cerchi, i bambini dellaltra classe potrebbero dare,
per esempio, i seguenti giudizi: 10 auto, 5 carro, 2 autobus. In questo caso si potrebbe
chiedere al bambino di rifare il disegno in maniera tale che tutti possano riconoscervi
unautomobile. Si tratta di una delle tante possibilit; la creativit dellinsegnante pu
essere impiegata nellinventarsi vari tipi di feedback, per poi scegliere i pi efficienti. Il
meccanismo del feedback pu anche essere insegnato al bambino. opportuno che il
bambino intervenga sui propri errori, e linsegnante potrebbe individuare dei metodi
per aiutare lalunno ad assumersi questa capacit di controllo.
In unattivit strumentale lobiettivo quello di migliorare la competenza in una
determinata abilit, e i concetti chiave sono: oggettivit, feedback, errore e controllo
sullerrore.
In unattivit espressiva, invece, quello che conta il soggetto e il suo vissuto.
Lespressione il modo di comunicare la propria soggettivit. Questo comunicare
potrebbe risultare pi o meno comprensibile, ma, in ogni caso, non dovrebbe essere criticato. Non di alcuna utilit dire allautore di un disegno che il suo lavoro
sbagliato, che ha fatto degli errori, che non va bene o che non bello, o esprimere
un qualsiasi altro giudizio negativo o positivo che suoni come oggettivo. Questo

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Settimo Catalano

sarebbe fuori luogo, arbitrario e controproducente perch lautore si sentirebbe svalutato e sminuito. Lallievo che viene criticato dopo essere stato invitato a esprimersi, si
sente tradito e perde la stima e la fiducia nellinsegnante. Lintervento adeguato a questo ambito espressivo invece unaccettazione incondizionata di base, che accolga
lespressione cos com. In unattivit espressiva lobiettivo dare la possibilit alla
persona di comunicare se stesso e il proprio mondo soggettivo e i concetti chiave
sono: mondo dellautore, impossibilit dellerrore, accettazione incondizionata.
Nel 1984 chiesi a tutti i bambini del doposcuola, di cui ero coordinatore-animatore, di scrivere delle poesie. Jonathan, un bambino di sei anni, scrisse una poesia
alla mamma, deceduta improvvisamente qualche mese addietro, e poi, durante la
rappresentazione di Carnevale, occasione in cui ogni gruppo presentava il proprio
lavoro, la lesse davanti a 150 compagni. I bambini ascoltarono la sua vocina in un
commosso silenzio fino alla fine della lettura, senza interromperlo.
Sarei mai potuto intervenire per modificare il testo in un italiano pi corretto, o
per correggere qualche errore di ortografia?
In questo caso risulta evidente quanto un intervento del genere sarebbe stato
inopportuno. Ogni volta che una persona si esprime, mette in gioco se stessa; ma
normalmente non cos evidente come nel caso di Jonathan.
Vista la delicatezza psicologica che comporta lesprimersi, nelle attivit che possono assumere sia laspetto espressivo sia laspetto strumentale importante che linsegnante crei situazioni chiare definendo prima con gli allievi qual lobiettivo dellattivit e, soprattutto, mantenendo un metodo coerente con questo obiettivo. Sarebbe
poco produttivo, per esempio, non dare feedback sugli errori, quando si vuole
migliorare la competenza in una certa abilit; mentre correggere, quando lobiettivo
lespressione, oltre agli effetti negativi gi menzionati, crea ambiguit e confusione.
Riuscire a dare alle materie insegnate anche un aspetto espressivo, di per s un
metodo che aumenta la conoscenza di se stessi e la conoscenza dellaltro, favorendo
la crescita del gruppo.

Riflessioni sul grado di integrazione


dellinsegnante
Alle elementari e alle medie in un unico gruppo-classe si alternano pi
insegnanti; per ogni insegnante lavora quasi sempre da solo. Le ore di
compresenza, dove due o pi insegnanti lavorano insieme, sono rare. Tutti
gli insegnanti che lavorano su una classe formano un gruppo che si incontra

Le porte dell'attenzione

161

periodicamente, chiamato team alle elementari, e consiglio di classe alle


medie. Il numero di insegnanti di un team sensibilmente minore di quello
di un consiglio di classe, ma sono entrambi realt di gruppo; per cui, anche
per ciascun insegnante, si pu immaginare un certo grado di integrazione nel
gruppo dei colleghi.
Pi sar alto questo grado di integrazione, pi per linsegnante sar facile pensare alla sua classe come a un gruppo unito, e quindi influenzare la classe in questo
senso. Quando invece un insegnante riesce a integrarsi solo con un sottogruppo del
consiglio o del team (per esempio facendo coppia con linsegnante che conosce
meglio), questa esperienza del gruppo-diviso avr uninfluenza anche sul gruppoclasse. Lesperienza di integrazione in un gruppo il perno del cambiamento: chi
lha vissuta conosce questa realt e sa ricrearla allinterno dei gruppi con cui lavora.
Quando il consiglio di classe o il team lavora come gruppo, abbiamo il massimo
di probabilit che anche la classe lavori come gruppo.
Purtroppo raro trovare un gruppo di insegnanti in grado di funzionare come
gruppo unito. Questo obiettivo comincia ad avere qualche probabilit di essere raggiunto solo quando c almeno un partecipante che ha vissuto lesperienza di crescere
in un gruppo, fino a raggiungere un grado di integrazione tale da sentire il gruppo
come realt psicologica. Si tratta di avere vissuto direttamente le fasi che portano al
sentimento del gruppo, e non solo avere una conoscenza teorica sul gruppo.
Ma se nessun componente del gruppo ha mai fatto una simile esperienza di
integrazione, le probabilit di raggiungere il livello di gruppo, cio il livello in cui il
gruppo unito una realt psicologica per i suoi componenti, sono praticamente nulle e il modo di lavorare insieme sar determinato dalla percezione del gruppo diviso.
Questa percezione ce lavr, per esempio, linsegnante convinto che in un gruppo
ci sia sempre un elemento di disturbo, con il quale impossibile arrivare a unintesa. Guidato, pi o meno consapevolmente, da questa convinzione linsegnante
andr a cercare nel gruppo quello che non mai daccordo, e le sue aspettative
difficilmente saranno deluse. Oppure, qualche altro insegnante potrebbe essersi
fatto la convinzione che i colleghi non lo capiscano. Questa sua convinzione lo
predisporr a sentire il gruppo psicologicamente distante o contro.
Non bisogna meravigliarsi di come le proprie convinzioni sul gruppo, quando
poi ci si trova effettivamente in un gruppo, finiscano per confermarsi, poich lindividuo, per rassicurarsi, fa di tutto per vedere avverarsi le proprie credenze, positive
o negative che siano, anche se questo processo pu essere del tutto inconsapevole.
Le convinzioni, basate su esperienze passate, che producono aspettative negative sui gruppi, possono mettere in crisi i tentativi di integrazione sia nei gruppi di
insegnanti, sia nei gruppi classe. Per arrivare alla percezione del gruppo unito sono

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Settimo Catalano

necessarie nuove esperienze, capaci di disconfermare le aspettative negative. Queste nuove esperienze, per, possono accadere solo nei gruppi dove gli insegnanti
sono disponibili al cambiamento, come per esempio nei gruppi di formazione o nei
T-group, dove a condurre il gruppo c un trainer esperto.
da escludere che le esperienze in grado di modificare le convinzioni dellinsegnante riguardo al gruppo possano verificarsi spontaneamente nei gruppi dove
linsegnante stesso che conduce, per esempio nel gruppo-classe. Quando chi
gestisce la classe non ha mai sperimentato su di s il processo che porta a viversi
parte di un gruppo psicologicamente unito, parlare dellintegrazione degli allievi
emarginati diventa solo retorica.
Se allinsegnante manca lesperienza del gruppo, una classe non riuscir a funzionare come gruppo. Questo vuol dire che anche gli allievi non riusciranno a vedersi
insieme in ununit, ma percepiranno una parte dei propri compagni separata e
distante o anche contro. Nel gruppo-classe si sentir lesigenza di difendersi psicologicamente dalle critiche e dai giudizi degli altri, e ci si chiuder in ruoli difensivi.
Gli allievi arriveranno in classe gi condizionati da aspettative pi o meno fisse
su quello che succeder e su come si comporteranno i compagni. Questo frener
i possibili cambiamenti e render ripetitiva la dinamica relazionale. Linsegnante
vedr confermarsi le sue aspettative negative sul gruppo, e questo irrigidir le sue
convinzioni. Anche se allinizio della vita di un gruppo-classe ci sar stata una certa fluidit, nel giro di poco tempo il sistema potrebbe opporsi a qualsiasi tendenza
allinnovazione. Mantenere le relazioni come stanno sar la modalit relazionale vincente; infatti, quando manca il sentimento del gruppo, ogni cambiamento tende a
essere visto come fonte di ulteriore divisione e viene attivamente evitato.
Quando linsegnante ha invece esperienza del sentimento del gruppo, grazie alla
sua influenza, ha leffettiva possibilit di suscitare negli allievi sentimenti di unit,
e, volendo, pu promuovere il cambiamento.
Nel gruppo dei colleghi, invece, un sola persona in grado di funzionare a livello
di gruppo non quasi mai sufficiente, perch linfluenza del singolo insegnante, per
quanto forte, deve fare i conti con linfluenza di tutti gli altri; se invece la maggior parte a funzionare a livello di gruppo, sono molto alte le probabilit che tutto il
consiglio di classe (o il Team) arrivi a funzionare come insieme unico e non diviso,
ovvero come gruppo.

Handicap

La persona portatrice di handicap come risorsa

a persona affetta da handicap ha normalmente bisogno di cure e attenzioni particolari, e per questo pu essere vista dagli insegnanti come un
peso o un problema. soprattutto la difficolt di comunicazione, dovuta
allalto grado di diversit rispetto al resto dei compagni, che crea difficolt
agli insegnanti.
Tuttavia linsegnante centrato sul gruppo vedr in questa diversit una
risorsa. Infatti linsegnante che ricerca attivamente lunit di gruppo
quando si verificano dei problemi di comunicazione con qualcuno, sente
lurgenza di trovare un modo per superarli. Questa esigenza lo spinge a
cercare la via per entrare in contatto anche con chi comunica in modo
differente e farlo sentire nel gruppo. Esistono dei metodi che aiutano a
realizzare questo obiettivo.
Per esempio, si pu far giocare a turno lalunno in difficolt in coppia
con ciascun altro compagno. Questo lavoro pu venire condotto dallinsegnante di sostegno o di classe, in unaula adatta a giochi di movimento.
Le sessioni di gioco dovrebbero essere di 20 minuti. Per motivare i compagni a darsi da fare per superare le difficolt di comunicazione, si pu
proporre alla classe un metagioco del tipo Gara di giochi. Ogni gioco fatto
dalla coppia veramente insieme vale un punto. La classe pu essere divisa
in due squadre. I punteggi totalizzati da ogni allievo vengono sommati a
quelli dei compagni di squadra. Alla fine si sommano i punteggi delle due

164

Settimo Catalano

squadre e si vede se la classe riuscita a superare un record che pu essere


prestabilito moltiplicando il numero dei bambini della classe per due. Se,
per esempio, il numero dei bambini della classe 26, il record da superare
potrebbe essere 52 punti.
In questo modo ogni compagno messo alla prova per quanto riguarda
la sua abilit nel mettersi in relazione ed stimolato a scoprire nuove modalit di comunicazione. Viene ricercata attivamente la strada per entrare
in rapporto, e nel momento in cui la si trova, tutto questo processo diventa
apprendimento sociale.
Per un allievo riuscire a comunicare con chi viene vissuto inizialmente
come molto diverso, e scoprire lungo questo percorso la persona, rappresenta
una conquista esportabile nella propria vita. Essere in grado di stabilire un
contatto in situazioni difficili, fa sentire pi sicuri nei rapporti con gli altri.
La condizione di base affinch questo percorso possa svilupparsi che
linsegnante pensi e viva la propria classe come gruppo psicologico. Diversamente, linsegnante vivr la difficolt di comunicazione come un problema, e
gli allievi osservando il loro insegnante in difficolt impareranno ad alienarsi
di fronte a realt scomode e a difendersi dalla diversit, creando una distanza
psicologica.
Le caratteristiche della societ odierna sono tali per cui molto pi facile,
incontrando persone nuove, sentirle come estranee e distanti piuttosto che
riconoscersi in loro, e questo proprio grazie allincontro sempre pi frequente
di persone che hanno un retaggio culturale differente. fondamentale che
le giovani generazioni imparino a entrare in rapporto con gli altri senza farsi
frenare dalla diversit.
decisamente importante come il problema dellintegrazione delle persone
affette da handicap viene affrontato nei gruppi classe, perch da questo dipende
se gli allievi cresceranno a livello sociale, oppure se perderanno loccasione. Una
societ i cui membri sono preparati fin da piccoli a comunicare con tutti, al di l
delle possibili diversit, anche quella societ che pu contenere e valorizzare
la persona; altrimenti sar una societ che crea emarginazione. A scuola, grazie
allintelligenza degli insegnanti nel saper valorizzare la presenza delle persone
portatrici di handicap, si potrebbe imparare a relazionarsi con una modalit che
potremmo chiamare tendenza ad affrontare le situazioni relazionali difficili.
Normalmente per, solo linsegnante di sostegno assume questa modalit. Mi ricordo uninsegnante di sostegno che diceva di essersi legata molto
proprio a una bambina che inizialmente non riusciva a sopportare. Il fatto
che, per dovere e per necessit, aveva dovuto affrontare quel rapporto e

Le porte dell'attenzione

165

non potendolo eludere, aveva accettato la sfida, riuscendo cos a superare il


suo rifiuto iniziale. Da questo successo deriv una notevole soddisfazione.
Simili soddisfazioni, che linsegnante di sostegno prova spesso quando riesce
a recuperare un valido rapporto umano con lallievo affetto da handicap,
non le provano normalmente n gli altri insegnanti n i compagni di classe,
dal momento che vivono meno intensamente la necessit di dovere entrare
in relazione con lalunno con handicap. Questa necessit pu essere evitata
proprio grazie al fatto che c linsegnante di sostegno.
In realt, linsegnante di sostegno pu giocare un ruolo determinante nel
togliere lo stato di necessit a tutti gli altri insegnanti e ai compagni. Lo stato
di necessit, anche se pu creare una certa tensione, ha in s una valenza positiva, in quanto spinge ad affrontare il problema e a darsi da fare per imparare
a gestirlo. In effetti, se la difficolt non pu essere evitata, sar difficile che il
gruppo accetti passivamente che con quella persona non si pu comunicare.
Siccome necessario, si deve inventare la maniera per entrare in rapporto.
Si impone un cambiamento e dallevitare il problema si passa ad affrontarlo,
mettendosi in gioco personalmente.
Quando linsegnante di sostegno elimina agli altri lo stato di necessit,
facendo coppia isolata con la persona portatrice di handicap, impedisce di
fatto lintegrazione del suo allievo.

Linsegnante di sostegno e il suo allievo


Ho sentito dire da qualche insegnante di sostegno di non considerarsi un
vero insegnante, dato che non riusciva a insegnare allallievo a lui affidato
le normali materie di studio come la storia, litaliano, ecc. Questi insegnanti
dicevano di non riuscire a identificare gli obiettivi del proprio lavoro e che
quello che facevano con lallievo li rendeva insoddisfatti perch non era insegnamento.
In unottica relazionale, linsegnante non solo insegna, ma anche impara, e
linsegnamento viaggia allinterno di una buona relazione con lallievo. Pensando cos, anche se gli obiettivi comuni al resto della classe non sono praticabili
per lallievo portatore di handicap, linsegnante si sentir libero di trovarne altri
pi congeniali alla situazione, senza per questo sentirsi di serie B.
Per esempio, fondamentale assumere come obiettivo preliminare quello
di sviluppare una relazione con lallievo connotata da sentimenti reciproci
rassicuranti, come il sentimento di vicinanza, di complicit, di familiarit ecc.

166

Settimo Catalano

In questa prima fase non sar importante quello che linsegnante fa, ma come
lo fa, e quali sentimenti producono sullallievo le sue azioni. Questo obiettivo
prevede un apprendimento anche da parte dellinsegnante. Mettersi in gioco
e imparare indispensabile con gli alunni con handicap perch sono proprio loro
che indicano allinsegnante la strada giusta per entrare in rapporto.
Per esempio, di fronte a un comportamento che appare inadeguato, prima
di fare qualcosa per eliminarlo, utile chiedersi a che cosa serve, osservandolo
con maggiore attenzione. Quello che lallievo portatore di handicap fa, pu
essere utile e vitale per la sua economia psichica.
Prendiamo il caso di una ragazzina di nome Monica, diagnosticata come
psicotica, che frequentava nel 1986 la terza media. Monica parlava spesso
con unamica immaginaria, anche davanti alla propria insegnante. Con questo
comportamento manifestava il bisogno di avere unamica con la quale potersi
confidare, unamica capace di ascoltarla e comprenderla.
Parlare a qualcuno che non esiste un comportamento inadeguato alla realt, ma il bisogno sottostante di avere unamica pienamente accettabile. Nei
primi tempi del loro rapporto linsegnante di sostegno andava in crisi quando
sentiva Rosanna, lamica immaginaria, dire a Monica di compiere atti distruttivi, come il buttarsi gi dal balcone; anche se poi Monica, alle incitazioni di
Rosanna rispondeva: Ma come, se sei unamica perch mi dici di buttarmi
gi dal balcone?. Linsegnante rimaneva ugualmente turbata e cercava di
convincerla che Rosanna non esisteva. Tuttavia Monica aveva palesemente
bisogno di Rosanna per difendersi dai propri impulsi suicidi. La voglia di
buttarsi gi dal balcone era meglio proiettarla fuori da s, su qualcun altro.
Togliendo lamica immaginaria, lincitamento a buttarsi gi dal balcone poteva
non essere pi vissuto come proveniente dallesterno, ma come proveniente da
se stessa. Con Rosanna poteva difendersi, e dirle: No, Rosanna, mi dispiace,
ma unamica come te dovrebbe controllarsi un po, dovrebbe pensare a quello
che dice, altrimenti non unamica. Senza Rosanna invece rimaneva da sola
con la propria voglia di buttarsi gi dal balcone. Per Monica era molto pi
difficile affrontare ed elaborare questo impulso direttamente, che affrontarlo
tramite lamica immaginaria.
Era bene richiamarla alla realt, ma bisognava prima soddisfarle quella
esigenza legittima di avere unamica, esigenza che le sue fantasie soddisfavano, anche se parzialmente e in maniera inadeguata. Di fatto Monica smise di
ricorrere allamica immaginaria quando linsegnante di sostegno smise di aver
paura delle sue performance, e liniziale antipatia reciproca si trasform in
amicizia e complicit.

Le porte dell'attenzione

167

In generale, il comportamento dellallievo con handicap dovrebbe essere


la principale fonte di informazione sui bisogni e le aspettative della persona.
Basandosi su questi elementi dovrebbe essere possibile far crescere la relazione
fino a renderla creativa e funzionale.
Quando c una relazione psicologica, e le due persone si sentono insieme
e non una contro laltra, diventa possibile inserire il normale apprendimento
scolastico. Infatti, se per tutti gli allievi necessario un buon rapporto col proprio insegnante per imparare senza sofferenze gratuite e paure, per le persone
con handicap una buona relazione proprio indispensabile. Se si vogliono
evitare inutili tira e molla bene porsi obiettivi didattici solo quando c
questa buona relazione. Gli obiettivi didattici dovranno essere adeguati alle
risorse presenti nella persona. Linterazione con lallievo indicher allinsegnante gli obiettivi possibili e la strada per arrivarci.
logico che un insegnante non si senta insegnante quando perde il senso
di quello che fa; lantidoto avere obiettivi chiari e raggiungibili, sia per lapprendimento di abilit relazionali sia per lapprendimento di abilit cognitive,
ed essere disposti a imparare come raggiungere questi obiettivi servendosi delle
indicazioni date dai comportamenti dello stesso allievo.

Sviluppare attorno allallievo con handicap


una rete di rapporti
Linsegnante di sostegno, dopo aver instaurato un valido rapporto con il suo
allievo, dovrebbe evitare assolutamente di chiudersi in questa coppia, ma, al
contrario, facilitare lo sviluppo di altri rapporti validi.
Da un punto di vista relazionale, opportuno prendere in considerazione
oltre alla coppia allievo portatore di handicap insegnante di sostegno, la coppia
allievo portatore di handicap - insegnante di classe e il rapporto allievo portatore di
handicap compagno di classe.
importante che ci sia una buona comunicazione sia allinterno di ciascun
sottosistema, sia fra gli stessi sottosistemi. Il consiglio di classe o il team dovrebbero preoccuparsi che questo avvenga.
In questottica bene pensare alla funzionalit di quelle operazioni che aumentano la reciproca conoscenza fra i sistemi relazionali in gioco.
Per esempio, per impedire che la relazione insegnante di sostegno-allievo con
handicap si alieni dal sistema classe, possibile pensare, come in molte scuole si
fa gi, che quando linsegnante di sostegno lavora fuori dallaula, insieme allal-

168

Settimo Catalano

lievo portatore di handicap, ci siano spesso uno o pi compagni a rotazione.


Invece, per facilitare linstaurarsi di un valido rapporto a due fra lallievo
portatore di handicap e linsegnante di classe, utile che ogni insegnante della
classe passi dei momenti solo con lalunno.
Mi ricordo di aver lavorato con una professoressa di lettere che, quando incominciava a insegnare a una classe nuova dove era inserito un allievo portatore
di handicap, affrontava subito la relazione con questo alunno, dedicando alcune
ore solo a lui, per approfondire la conoscenza e instaurare una relazione a due.
Questo metodo le consentiva in seguito di gestire meglio il gruppo-classe quando
era presente questo allievo.
Tutti gli insegnanti del consiglio di classe o del team potrebbero dedicare qualche ora a un rapporto individuale.Lobiettivo di questi incontri a due dovrebbe
essere quello di instaurare una relazione in cui lalunno portatore di handicap
sente che le sue esigenze vengono accettate e comprese, anche se, naturalmente
non sempre potranno essere soddisfatte. Pu essere indicato fare anche delle
uscite al di fuori delledificio scolastico, per rendersi conto di quanto lalunno si
comporti con maggior autocontrollo. La realt sociale esterna non infatti al suo
servizio, e la maggior parte degli alunni con handicap si rende conto che se d
uno spintone a una persona per la strada il rischio molto pi elevato che se lo
d a qualcuno allinterno della scuola. Lambiente della scuola ha una funzione
di protezione. Anche linsegnante protetto allinterno della scuola. Fuori dalla
scuola linsegnante che accompagna un alunno con handicap viene percepito
come il genitore, e in questa veste pu cogliere pi profondamente la drammatica
realt sociale che circonda lhandicap, e identificarsi maggiormente nella persona
e nei suoi problemi. importante che gli insegnanti sperimentino questo tipo di
realt. Con questo metodo possibile arrivare a instaurare una buona relazione,
con il vantaggio che, anche se lalunno con handicap uscir spesso dalla classe
per andare a lavorare nellaula di sostegno, questa conoscenza iniziale porter
linsegnante di classe a interessarsi ugualmente di cosa succede fuori.
Infine, per un buon inserimento, il consiglio di classe o il team dovrebbero
avere come obiettivo ulteriore il buon funzionamento anche dei seguenti rapporti:
insegnante di sostegno-collega con cui lavora in compresenza;
insegnante di sostegno-gruppo-classe.
A tale scopo utile che linsegnante di sostegno e linsegnante di classe
si scambino ogni tanto i ruoli, e che programmino insieme sia delle unit di
lavoro per il gruppo-classe, sia dei percorsi didattici personalizzati per lallievo
portatore di handicap.

Stare Bene A Scuola

I sistemi relazionali nellIstituzione Scuola

Istituzione Scuola non formata da persone isolate, ma da persone interagenti


tra loro in sistemi relazionali (piccoli-gruppi e assemblee) che non possono essere
ricondotti alla somma delle singole personalit.
I gruppi istituzionali sono: i gruppi classe, i team docenti, i consigli di classe,
i consigli di classe allargati ai genitori, i gruppi di lavoro degli insegnanti, i
gruppi dei genitori o eventuali altri gruppi presenti in una determinata realt.
Le assemblee sono: il collegio docenti e le assemblee con la presenza dei genitori.
Nelle scuole superiori abbiamo anche le assemblee degli alunni con o senza la
presenza degli insegnanti o di esperti.
Nelle assemblee le interazioni possibili sono talmente tante che impensabile
possano essere sperimentate tutte; quindi la gestione risulta complessa e compaiono altri fenomeni relativi allinterazione fra i gruppi presenti.
I gruppi istituzionali, invece, possono arrivare a funzionare bene pi facilmente, e possono essere considerati le unit funzionali del sistema scuola. Un
plesso sar buono se innanzi tutto queste unit sapranno funzionare come gruppi,
e questo ha relativamente poco a che fare con il funzionamento del singolo.
Insegnanti molto apprezzati possono essere impotenti di fronte a un consiglio
di classe che non funziona, perch il funzionamento del consiglio si situa a un
livello pi complesso. Un insegnante preparato e alunni intelligenti non sono
condizioni sufficienti per far funzionare la classe.
Qualche anno fa, un gruppo di ragazzini che aveva dato nella scuola elementare

170

Settimo Catalano

prestazioni eccezionali in campo relazionale, passato alle medie cre delle difficolt
notevoli ai professori che, pur preparati nella loro materia, non erano per in grado
di gestirsi persone creative che avevano sviluppato una forte stima di s e nello
stesso tempo un valido sentimento di gruppo. Ladulto non aveva davanti ragazzini
disposti a fare immediatamente quello che si diceva loro solo perch la richiesta
veniva da un professore. Alle elementari erano abituati a chiedere, a elaborare, a
progettare e costruire insieme con ladulto. Ubbidire alle consegne dei professori
era per loro semplicemente poco stimolante e la loro reazione era il modo per
denunciare questo fatto. Inoltre i professori, trovandosi di fronte persone in grado
di sostenersi a vicenda, non riuscendo a interagire a livello di gruppo, finivano
per trovarsi sempre in difficolt e per vedere vanificati anche gli interventi di tipo
autoritario.
Pensando alla scuola nel suo complesso, si potrebbe dire che accadrebbe una
vera rivoluzione se tutti i gruppi istituzionali funzionassero a livello di gruppo
psicologico. La si potrebbe chiamare la rivoluzione dello stare bene con gli altri
mentre si lavora, perch il gruppo psicologico un modello che, tenendo presente
la complessit della realt, permette allinsegnante di intervenire in maniera efficace e di raggiungere gli obiettivi verso cui tende, salvaguardando nel contempo
il valore e la libert di ogni persona.

moralismo e comunicazione
Nella prospettiva relazionale, il buon funzionamento di un gruppo non dipende dalla personalit dei singoli membri. I fattori determinanti non sono le
personalit, ma quello che succede tra le persone, cio le caratteristiche del
sistema relazionale, e in particolare il modo di comunicare. Questa semplice
affermazione porta a notevoli conseguenze. Vediamo alcuni esempi.
Due insegnanti mostrano durante una riunione del consiglio di classe di
non capirsi. Ognuno si fa lidea che laltro a non essere in grado di capire.
Il gruppo poi si pu dividere schierandosi o per luno o per laltro. A questo
punto la situazione ristagna determinando spesso landamento degli incontri
successivi. Se si chiedesse a questi insegnanti il perch di questo blocco ci
sentiremmo rispondere che il gruppo non funziona per colpa di qualcuno dei
partecipanti.
Questa modo di leggere la realt legato a una logica colpevolizzante
dove la responsabilit dellinsuccesso si origina nella cattiva volont delle
persone.

Le porte dell'attenzione

171

Diversamente possibile che il gruppo si ponga la domanda: Che cos


che non ha funzionato nella relazione, che ha impedito ai due insegnanti di
capirsi?. In questa maniera lattenzione si sposta sul fatto che la modalit
relazionale non funziona, e tutti vengono coinvolti nella situazione per trovare
modalit relazionali pi efficienti. Anche se non si arriver a soluzioni immediate, il problema rimarr aperto e si eviter lirrigidimento delle posizioni.
Al posto di decretare lincapacit dellaltro a capire, cercando alleanze che
confermino questa convinzione, si terr presente lesistenza di un problema
tra le persone che potrebbe essere affrontato e risolto con le risorse di ognuno:
il gruppo non funziona perch il modo di mettersi in relazione o di comunicare
crea incomprensione.
Se due persone stanno dialogando e quella che sta ascoltando fraintende il
senso del discorso, quando chi ha ascoltato prende a sua volta la parola finir
per attribuire allaltro cose che non ha detto; ma dare a questi del bugiardo o
dellipocrita non avrebbe alcun senso, visto che il problema nasce solo dalla
comunicazione.
Se una persona non comprende quello che unaltra le vuol dire, questo,
nella maggioranza dei casi, non frutto di cattive intenzioni, ma della comunicazione che non passata o passata male. Utilizzare argomenti come
la sincerit e lonest non solo non risolve minimamente la situazione, ma la
blocca spesso in maniera irreparabile.
Questo uso improprio della morale, che potremmo definire moralismo,
pu causare molto malessere.
Chi comunica ha una sua idea, un suo pensiero, dei suoi sentimenti che
vuole in qualche maniera trasferire allaltro. Ora, a meno che non sia vittima
di sensi di onnipotenza, non pu certo pensare che, solo grazie alluso delle
parole, questa idea, questo pensiero, questo vissuto affettivo si trasferisca
precisamente nella mente dellaltro, come se si trattasse di un passaggio dati,
fra due computer collegati in rete.
ovvio che attraverso le parole, per quanto ben appropriate, arriver solo
una parte di questi contenuti mentali. Chi ascolta, basandosi su ci che viene
detto, cercher di ricostruire il senso del messaggio e sicuramente finir per
aggiungervi qualcosa di proprio che laltro non ha pensato. Dobbiamo dare
per scontato che in qualsiasi comunicazione ci sar un certo fraintendimento,
fraintendimento che pu essere ridotto con unattenzione alla comunicazione,
ma mai eliminato del tutto.
Per questa ragione la comunicazione che parte da una persona verso un
gruppo non potr mai diventare un fatto oggettivo, e cio non potr diventare

172

Settimo Catalano

la stessa cosa per tutti, ma arriver a ognuno di quelli che ascoltano in modo
pi o meno diverso. Essere consapevoli di questo aspetto della comunicazione
ci permette di non meravigliarci se poi ognuno aggiunge qualcosa di suo.
chiaro che non un problema di sincerit. La sincerit, la lealt, lonest
non centrano con la comunicazione in s per s: una persona onestissima
pu avere delle grosse difficolt quando comunica. In qualche situazione
questi concetti vengono utilizzati per classificare le persone, per giudicarle,
per sminuirle: quello sleale, quellaltro disonesto ecc. Tuttavia, spesso
non si fa la fatica di verificare che forse si tratta semplicemente di difetti di
comunicazione che, volendo, potrebbero essere corretti, o comunque accettati
come tali.

Gestire laggressivit
Quando un allievo mostra frequentemente un comportamento aggressivo o
violento, normalmente linsegnante si convince che non pu che trattarsi di
un aspetto della personalit difficile da cambiare. Questa convinzione rende
il cambiamento del tutto improbabile.
Da un punto di vista relazionale gli stessi comportamenti aggressivi possono essere letti diversamente. Ciascun allievo entra ed esce ogni giorno da
gruppi diversi: il gruppo famiglia, il gruppo-classe, il gruppo degli amici, il
gruppo delloratorio, il gruppo dellattivit sportiva ecc. Chi mostra comportamenti aggressivi e violenti, evidentemente, non ha ancora imparato a gestirsi
laggressivit in modo opportuno. Forse perch nei gruppi che ha frequentato
non ha trovato un modello valido da imitare, forse perch nessuno lo ha
educato a trattare la sua aggressivit e a trasformarla in forme accettabili. Un
altro motivo che laggressivit, nei gruppi che frequenta, venga considerata
qualcosa di completamente negativo, da eliminare, al posto di essere vista
come unenergia che deve solo essere indirizzata nel verso giusto.
In famiglia, per esempio, lallievo considerato aggressivo potrebbe assistere a scoppi di ira e magari subire anche qualche aggressione fisica (punizione
corporale), ricavando dagli adulti un modello di gestione dellaggressivit del
tipo goccia che ha fatto traboccare il vaso: repressa fino a un punto limite e
poi sfogata senza capacit di contenere limpulso.
Nel gruppo-classe o nel gruppo delloratorio, invece, laggressivit potrebbe
essere negata, perch considerata cattiva, e il modello che ne deriverebbe
potrebbe essere quello di reprimere limpulso.

Le porte dell'attenzione

173

Nel gruppo degli amici, in cortile o per strada, potrebbe esserci lattitudine
a usare laggressivit contro gli altri, con fini distruttivi e non come risorsa;
il modello che ne deriverebbe sarebbe quello di esprimere limpulso senza
preoccuparsi delle conseguenze.
Questi modelli sono tutti inefficienti.
Laggressivit la forza che spinge le persone ad aggregarsi e a ricercare un
contatto quando nascono delle tensioni, connaturata allessere umano e, per
fortuna, non pu essere eliminata. Tutti sanno che con la benzina si possono
fare bombe rudimentali perch esplosiva; tuttavia la si usa lo stesso, perch,
utilizzata nel modo conveniente, non solo utile, ma, per il mondo odierno,
anche indispensabile. Non usarla, perch pu esplodere, sarebbe unassurdit.
Altrettanto assurdo sarebbe non permettere allaggressivit di esprimersi.
Lallievo aggressivo non ha avuto validi modelli di riferimento e sicuramente, nei gruppi che frequenta, laggressivit viene gestita male, senza
apporto educativo. vero che ormai ha contratto delle cattive abitudini e
probabilmente si comporterebbe cos anche in un nuovo gruppo, per anche
vero che questo il risultato di certi vissuti e di certe modalit di gruppo.
Lantidoto dellinsegnante potrebbe essere quello di favorire nel gruppo-classe
lemergere di modelli accettabili di gestione dellaggressivit, lavorando sulla
crescita relazionale del gruppo.
Crescita relazionale e non negazione dellaggressivit. Bisogna partire dal
concetto che laggressivit legittima e che si tratta solo di educarla in forme socialmente accettabili. Si tratta di fornire agli allievi i modi con cui la
si pu esprimere senza ledere gli altri, facendola diventare una risorsa; per
esempio attraverso una comunicazione verbale che consenta lespressione dei
sentimenti, o attraverso i giochi di forza e di movimento che comportano un
contatto fisico, oppure attraverso giochi competitivi o che comportano una
meta da raggiungere.
Una convinzione priva di fondamento che la competizione non vada bene,
e che sia comunque negativa in ogni caso. La competizione negativa se gestita male, ma se gestita bene pu insegnare molto alle persone e rappresentare
una valida risorsa, soprattutto la competizione di gruppo. La competizione
fra gruppi, infatti, allena a sopportare la frustrazione: perdere con gli altri
pi facile che perdere da soli, si tende a non abbattersi e a riprovare di nuovo.
Grazie al gruppo si pu imparare a perdere senza scoraggiarsi troppo, mantenendo la voglia di tentare ancora. molto formativo imparare ad accettare
la frustrazione e riuscire a considerare il fatto di perdere uneventualit come
unaltra. Perdere bene vuol dire anche valorizzare lesperienza, ricercando i

174

Settimo Catalano

motivi che hanno portato alla sconfitta, per migliorarsi. Se un allievo impara
ad accettare positivamente la frustrazione, pu andare tranquillo nella vita.
Chi invece solo in grado di vincere, sar sempre in difficolt.

Valutare
Nella scuola con il termine valutare si possono indicare diverse operazioni fra le
quali quelle che fa linsegnante quando misura i progressi di un allievo. Valutare
un verbo che richiama alla mente sostantivi come valuta e valore. Valutare
un allievo indica quanto lallievo valga per linsegnante in relazione a una certa
attivit o materia scolastica. il valore che si misura, e visto che lo si misura vuol
dire che c. Lallievo che viene valutato dovrebbe quindi sentire che linsegnante
gli riconosce un certo valore, sia come persona, sia per quello che sta facendo. Chi
si sente valutato dovrebbe sentirsi quindi anche valorizzato. Credo che si possa
parlare di valutazione quando leffetto che si produce sullallievo, durante e dopo
la valutazione dellinsegnante, sia proprio quello di sentirsi valorizzato.
Per esempio, chi stato valutato due dovrebbe sentire che fino al momento
attuale ha fatto due, ma che in futuro sar in grado di fare tre. Dovrebbe sentire
questa possibilit, dovrebbe sentire in quella valutazione due una spinta a riconfrontarsi con quella situazione per arrivare al tre. Se invece dopo la valutazione la
persona sente che due il massimo che pu fare, e che probabilmente la prossima
volta far peggio, quel due diventa una specie di sentenza. In questo caso sarebbe
pi corretto parlare di svalutazione, perch in effetti questo il risultato: la persona
si sente svalutata. In realt, quella che per linsegnante stata una valutazione, per
lallievo pu essere stata una critica inibente.
Dobbiamo vedere cosa succede in pratica: se dopo una valutazione lallievo
ha pi voglia di impegnarsi, se sente un valore dentro di s che pu sviluppare,
ci troviamo di fronte a una valutazione.
Se dopo una valutazione lallievo si sente con se stesso peggio di prima, se
sente di avere problemi in pi, magari perch ha paura delle reazioni dei suoi
genitori, sarebbe pi corretto parlare di svalutazione.
Se un ragazzino mette un euro in un videogioco per lui nuovo e la partita
finisce dopo dieci secondi, non si sente certo svalutato: il tempo di gioco solo
un feedback, solo una misura: molto probabile che alla prossima partita far
meglio. Il videogioco non gli d un giudizio morale: sei un lazzarone o non
ti sei impegnato abbastanza, ma gli dice semplicemente che riuscito a stare
in gara per pochi secondi.

Le porte dell'attenzione

175

Nel momento in cui il ragazzo prende un altro euro e ci riprova, vuol dire che
ha vissuto quella situazione come valutazione.
Esiste tuttavia il ragazzo che non ci riprova pi, anche se raro: in questo
caso pi probabile che abbia vissuto il feedback come svalutante, ma solo
per quanto riguarda la sua abilit con quel videogioco. Entrambi sono certi di
trovarsi di fronte a una macchina, che come tale non li giudica. Cos, anche chi
non giocher pi con quel videogioco, non si sentir comunque svalutato come
persona.
La misura di quello che un allievo in grado di fare, cio la valutazione,
dovrebbe essere almeno neutra: un feedback non giudicante.
Tuttavia, siccome linsegnante una persona, potrebbe ridare allallievo
anche molto di pi di un semplice feedback neutro. Linsegnante pu dare
allallievo fiducia e rispetto, e pu valorizzare le sue capacit, sostenendolo
quando sbaglia e stimolandolo a migliorarsi. La macchina non potr mai
dare questo tipo di contributo. In realt, non si pu sostituire la persona che
insegna con un computer, perch solo la persona in grado di valorizzare, di
dare fiducia e di mettere lallievo nelle condizioni di sviluppare gradualmente
il suo potenziale.

Destrutturare
Spesso gli insegnanti che partecipano a un T-group si domandano a cosa
possano servire quelle unit di lavoro chiamate destrutturate.
Nella destrutturata, come dice il termine, la struttura minima: viene data
solo la durata dellincontro e uno spazio dal quale non si pu uscire. La destrutturata serve per creare nel sistema relazionale chiamato gruppo, la possibilit
del cambiamento.
Per cambiare il sistema relazionale necessario che il gruppo punti lattenzione su se stesso osservandosi in azione e che i partecipanti entrino realmente
in contatto e si giochino con gli altri. Giocarsi vuol dire esprimere se stessi
soprattutto i propri sentimenti e ascoltare gli altri in maniera attiva, cio
scambiandosi feedback su quanto si comprende. La destrutturata apre ai partecipanti questa possibilit, e la situazione che si crea fa sentire la presenza del
gruppo e la sua influenza sui singoli.
Quando i partecipanti cominciano unesperienza di T-group si sentono
spiazzati perch non possono contare sulle solite modalit relazionali. Alcuni
insegnanti dicono addirittura che perdono il senso della realt. sufficiente

176

Settimo Catalano

che il conduttore non riempia e non strutturi il tempo, per creare una situazione quasi irreale. In effetti, per quanto ognuno viva questa esperienza
in maniera differente, questo tempo destrutturato ha sullinsegnante quasi
sempre un effetto notevole. Linsegnante, infatti, abituato proprio al contrario, e cio a strutturare il tempo e a programmarsi prima. Se poi non riesce
a fare il programma nei tempi stabiliti, cerca di strutturare meglio in modo
da ottimizzare il tempo, o almeno questo che gli piacerebbe fare. Ovviamente, quando si trova in momenti destrutturati come quelli proposti in un
T-group, come un pesce fuor dacqua.
Il T-group un sistema validissimo per sperimentare e quindi capire veramente che cos un gruppo psicologico, e anche per cambiare; ma adatto solo per gli
adulti. I ragazzi hanno bisogno invece di situazioni pi strutturate, altrimenti
entrano in uno stato dansia che non riescono a gestirsi.
Daltra parte, se il tempo fosse sempre strutturato, sarebbe impossibile trovare
lo spazio per cambiare i rapporti allinterno di un gruppo; questo vale anche
per i gruppi-classe. Quindi se linsegnante vuole che il gruppo cresca, dovrebbe
imparare a creare momenti destrutturati adatti agli allievi. A scuola esistono
dei momenti destrutturati come lintervallo, il mangiare insieme o il cambio
di insegnante, ma gli allievi, senza un aiuto da parte delladulto, finiscono per
strutturarli loro, creandosi delle abitudini.
Linsegnante perci, se vuole ottenere cambiamenti a livello relazionale, dovrebbe
creare dei momenti destrutturati dove ci sia una riflessione su come si sta insieme,
ovvero momenti poco strutturati dove il gruppo sia al centro dellosservazione. Se a un
gruppo-classe si danno occasioni del genere, il gruppo potrebbe cambiare anche
velocemente. La mia esperienza nelle classi elementari e medie che i gruppi-classe possono cambiare anche nel giro di dieci-dodici incontri di unora ciascuno. In
questi gruppi per bambini e ragazzi si lavora soprattutto con linguaggi non verbali,
come il gioco di movimento e il gioco di contatto corporeo, lanimazione teatrale e
musicale ecc. Se si usa anche solo uno di questi linguaggi per comunicare facile
ottenere dei cambiamenti, poich gli allievi hanno una forte motivazione a stare
bene fra loro, e se qualcuno d loro loccasione di migliorare questo aspetto, non
se lo fanno scappare. Quando intravedono veramente la possibilit di un cambiamento, si mettono in gioco meglio di quanto facciano gli adulti.
Gli insegnanti che partecipano a un T-group vedono chiaramente, perch lo
sperimentano di persona, che il gruppo si modifica proprio quando i partecipanti
riescono ad accettare i momenti destrutturati e ad aprirsi agli altri. In un T-group
il conduttore non si preoccupa se il singolo partecipante cambia; se cambiato o
non cambiato un aspetto che non lo riguarda. un problema della persona

Le porte dell'attenzione

177

quello di decidere di cambiare o meno. Per il conduttore, invece, importante


dare a tutti la possibilit del cambiamento, e questo lo riesce a fare proprio grazie
a situazioni destrutturate. proprio in queste situazioni, dove non si sa bene cosa
succeder e dove i partecipanti sono lasciati un poco a se stessi, che si intravede
la possibilit di cambiare.
Per esempio, il consiglio di classe normalmente completamente strutturato,
c un ordine del giorno, bisogna arrivare a prendere delle decisioni e il tempo
non basta per fare tutto. In questa situazione, come possono cambiare i rapporti
tra le persone? Come fanno a cambiare i ruoli se non c tempo neanche per
svolgere i compiti?
La possibilit di cambiare il gruppo c, ma per attuarla bisogna imparare a
destrutturare o a strutturare di meno il tempo. Per cambiare importante sentire, percepire, riflettere sul gruppo, quindi necessario che ci siano dei momenti
destrutturati che consentano questo.

Verso un benessere relazionale nella Scuola


I corsi basati su esperienze in piccolo gruppo e in particolare i T-group sono
costruiti in maniera tale da rendere possibile un reale confronto fra le persone.
Le persone in effetti, se vogliono, possono effettivamente entrare in comunicazione fra loro e tentare dei cambiamenti in meglio.

Oggi la professione dellinsegnante pu comportare un certo malessere.


Frequentemente, gli insegnanti si ritrovano a lavorare con un senso di disagio
che non riescono a mandare via.
Chi interessato al benessere psicologico e relazionale non pu non preoccuparsi di questo malessere, o comunque dello scarso benessere che circola fra
gli insegnanti, anche per la ripercussione che questo ha sugli allievi.
rarissimo trovare un insegnante che faccia il proprio lavoro con gioia ed
entusiasmo. Linsegnante che vive con sofferenza il lavoro che sta facendo,
influir negativamente sul benessere dei suoi allievi.
A dispetto della situazione attuale, siamo convinti che la scuola potrebbe
rappresentare una realt lavorativa dove il benessere potrebbe salire a livelli
molto alti. Nella scuola le persone interagiscono fra di loro, e le possibilit di
contatto fra persona e persona sono molte. Nella scuola gli insegnanti non
sono chiamati a un lavoro meccanico, fra cose, ma creativo, fra persone. E

178

Settimo Catalano

visto che di fatto, almeno potenzialmente, c una grande ricchezza umana,


la possibilit di realizzare un benessere relazionale non pu essere esclusa a
priori. Come c la possibilit di stare male con gli altri, cos c anche quella
di stare bene.
Quello che noi formatori vogliamo fare, usando il piccolo gruppo come
strumento di apprendimento, proprio questo: dare lesperienza diretta del
cambiamento allinterno di un gruppo, cos che negli insegnanti si rafforzi
lidea che cambiare possibile.
Ci rendiamo perfettamente conto che il cambiamento relazionale comporta numerose difficolt; tuttavia, chi lha detto che un insegnante non possa
affrontare situazioni complesse e difficili?
Comunque adesso pensiamo sia arrivato il momento di mettere al centro
il benessere relazionale e psicologico delle persone che vivono nel mondo della
scuola, in particolare degli allievi, che sono il futuro del nostro popolo, e
cambiare in questa direzione.
Una scuola basata sullo stare bene insieme rappresenta una vera e propria
rivoluzione rispetto al passato. Questo grande progetto di cambiamento merita
un posto nella mente e nel cuore di ogni insegnante e di ogni genitore.

Ringraziamenti
Vorrei ringraziare il mio amico Bruno Vezzani, attualmente docente allUniversit
degli Studi di Padova - che stato mio professore - per tutto quello che mi ha
dato in termini di formazione e di motivazione verso la professione di psicologo,
e per avermi incoraggiato e spinto a scrivere sulle mie esperienze lavorative nella
scuola.
Vorrei inoltre ringraziare tutte le persone, amici e insegnanti che mi hanno
aiutato nella stesura del testo, con le loro indicazioni e le loro critiche costruttive.
Vorrei anche ringraziare tutte le persone con le quali ho lavorato nel mondo della
scuola perch, senza queste esperienze lavorative fatte con loro, questo libro non
sarebbe mai esistito.
Un ringraziamento particolare, alle amministrazioni comunali, agli assessori alla
P.I., ai direttori e presidi, agli insegnanti, agli allievi, al personale non docente e ai
genitori con cui ho lavorato nelle seguenti scuole:
Materne
Scuola materna Morosini di Milano nellanno scolastico 1978-79
Scuole materne del II Circolo Didattico di Bassano del Grappa nellanno scolastico
1994-95
Scuola Materna di Cuveglio (VA), negli anni scolastici che vanno dal 1995 al 97
Elementari
S.E. del Comune di Gorla Minore, negli anni che vanno dal 1979 al 1985
S.E. del Comune di Gorla Maggiore (VA), negli anni che vanno dal 1979 al
1984
S.E. del Comune di Corsico dellanno scolastico 1978-79
S. E. Comune di Linate nellanno scolastico 1978-79
S.E. Villa Tovaglieri di Busto nellanno scolastico 1978-79
S.E. Giovanni Pascoli, di Busto Arsizio negli anni che vanno dal 1980 al 1985
S.E. Marco Polo, di Busto Arsizio negli anni che vanno dal 1980 al 1985
S.E. Rossini Nuove , di Busto Arsizio negli anni che vanno dal 1980 al 1985
S.E. Morosini , negli anni che vanno dal 1980 al 1985

180

Settimo Catalano

S.E. Arcadia, di Milano negli anni che vanno dal 1989 al 1984
S.E. De Amicis di Vedano Olona, nellanno scolastico 1994-95
S.E. di Valstagna (VI), nellanno scolastico 1995-96
S.E. di Cuveglio (VA), nellanno scolastico 1995-96
S.E. di Cosio Stazione, negli anni scolastici che vanno dal 1996 al 1999
S.E. di Cosio Valtellino, negli anni scolastici che vanno dal 1996 al 1999
S.E. di Tradate nellanno scolastico 1996-97
S.E. del II C.D. di Bassano del Grappa nellanno scolastico 1996-97
S.E. della Direzione Didattica Statale di Cesco Baseggio Marghera (VE)
Medie
S. M. S. Casati di Milano nellanno scolastico 1985-87
S. M. S. San Francesco DAssisi di Milano negli anni che vanno dal 1981 al
1984 e nel 85/86
S. M. S. Enrico Fermi di Busto Arsizio, negli anni che vanno dal 1985 al 1989
S.M. S. Manzoni (Cinisello Balsamo MI), nellanno scolastico 1985-86
S.M. S. De Amicis di Busto Arsizio: 1986 87
S.M. S. De Gaspari di San Donato Milanese negli anni che vanno dal 1988 al
1992 e nel 1996-97
S.M. S. Manara di Milano negli anni che vanno dal 1988 al 1992
S.M. S. di San Giuliano Milanese, nellanno scolastico 1990-91
S.M. S. Aldo Moro di Saronno, nellanno scolastico 1993-94
S.M. S. Arcadia di Milano, nellanno scolastico 1994 al 1995
S.M.S di Traona, nellanno scolastico 1996 al 1997
S.M.S di Cosio Valtellino, negli anni scolastici che vanno dal 1996 al 1998
S.M. di Saronno Pertusella, nellanno scolastico 1998 al 1999
Superiori
Liceo Fermi di Nuoro nellanno scolastico 1994-95 e 1998-99
Istituto Professionale di Stato per i Servizi Commerciali F. Besta (SO),
nellanno scolastico 1996-97
LIstituto Professionale di Stato per lIndustria e lArtigianato Fossati di Sondrio, nellanno 1998-99
LIstituto V.F. Pareto di Milano nellanno scolastico in corso
Ringrazio inoltre
Gli operatori dellIstituto ANFAS di via Galileo Ferraris a Milano, dellanno scolastico 1973-74
Gli operatori dellIstituto AIAS di Mantova, dellanno scolastico 1974-75
Il Consiglio Direttivo della Fondazione Vittorio Vimercati di Milano, degli anni
dal 1978 al 1988

Le porte dell'attenzione

181

La Madre Superiora, le educatrici e le ragazze dell Istituto di Casa Nazareth


dellanno scolastico 1985-86
Clare Marsch e gli operatori della Scuderia della Val Dorata (Ozzano -AL), Centro di ippoterapia, degli anni 1985- 88
I Capi di Istituto e gli insegnanti che hanno frequentato i corsi, da me condotti,
di sensibilizzazione alle dinamiche di gruppo organizzati dal CISDIG nel Veneto, in Trentino, nelle Marche, in Abruzzo nel Lazio in Campania e in Sardegna
dal 1988 a oggi.
Gli operatori e i ragazzi della Cooperativa LAlternativa Possibile (Per
linserimento lavorativo di adulti portatori di handicap) di San Donato, degli
anni scolastici dal 1990 al 1992
I dirigenti della formazione e i formatori, con cui ho lavorato, dellINCA-CGIL
Nazionale, dellINCA regionale del trentino e del Veneto negli anni dal 19961998
l'I.R.R.S.A.E. - Sardegna di Cagliari
L Istituto Regionale Di Ricerca Sperimentazione Ed Aggiornamento Educativi
DAbruzzo dellAquila
Il Teatro Invito di Lecco
La Cooperativa Ideal Service di Udine
Aladino Tognon e il Consiglio Direttivo del CISDIG di Bassano del Grappa
Gli operatori del Centro RAM di Milano
Lequipe di collaboratori amici che hanno lavorato nel Progetto Triennale per la
Crescita del Benessere Ralazionale nel Comune di Cosio Valtellino.
Sandra, Laura e Alberto delle Ed. Kailash, per aver curato con affetto e simpatia
la prima edizione di questo libro.
Infine ringrazio Chiara De Alessandri e Stefania Benini per avermi aiutato a correggere le bozze del libro.
E da ultimo chiedo perdono ai miei figli, Uma, Vera e Gabriele per il tempo che
ho loro sottratto per scrivere e correggere questo libro.

Bibliografia

Breve Bibliografia a uso degli insegnanti per approfondire gli argomenti trattati

La pi recente radiografia sulla scuola pubblicata da:


- G. Gasperoni. Il rendimento scolastico. Il Mulino,
Bologna 1997.
Libro di dati e statistiche sul malessere della scuola
italiana. Un dato: su 1000 giovani che cominciano la
scolarizzazione, solo 178 arrivano alla laurea. Il libro
offre una panoramica del contesto istituzionale dove
opera l'insegnante.
Libri importanti e significativi perch attenti allo sviluppo
dell'intelligenza emotiva ed interpersonale:
- T. Gordon. Insegnanti Efficaci. Il metodo Gordon:
pratiche educative per insegnanti, genitori e studenti.
Giunti Lisciani Ed., Firenze 1991.
- P. Vayer. Dinamiche dell'apprendimento scolastico.
Armando editore, Roma1987.
Libro fondamentale per cogliere le dinamiche
dell'apprendimento.
- M. Tiriticco. Programmazione come animazione. Ed.
Tecnodid, Napoli 1986.
- L. Amovilli. Imparare ad imparare. Ed. Patron,
Bologna1994.
- H. Gardenr. Formae mentis, saggio sulla pluralit
dell'intelligenza. Feltrinelli, Milano1987.
il libro che ha distrutto la scuola basata sulla
valorizzazione del Q.I.. L'autore evidenzia come accanto
la stravalutata intelligenza linguistico- matematica,
esistono altre intelligenze da sviluppare nei bambini,
come l'intelligenza personale ed interpersonale e il saper
stare in gruppo.
- L. Genovese, S. Kanizza. Manuale della gestione della
classe. Ed. Franco Angeli, Milano 1991.
- A cura di G. Cerini. Valutare, Valutarsi... strategie
per una uso amichevole dei nuovi strumenti di
valutazione nella scuola elementare. Quaderni di
documentazione prodotti dal Provveditorato di Forl
(Basta richiederli in Provveditorato).
- D. Goleman. Intelligenza emotiva: che cos, perch
pu renderci felici. Rizzoli Ed., Milano 1996.
- P. Watzlawick, J. Helmick Beavin, Don D. Jackson.
Pragmatica della comunicazione umana. Astrolabio
Ubaldini Ed., Roma, 1971.
In generale sulla scuola italiana:
- B. Vezzani, L. Tartarotti. Benessere/Malessere nella
scuola. Una ricerca tra gli studenti della scuola
secondaria superiore. Giuffr Ed., Milano 1988.
- Spaltro, Tognon, De Silvestri, Silvello. Gli orizzonti del

benessere. La penna dOca, Napoli 1996.


- Spaltro. La Buona Scuola. La penna doca, Napoli 1996.
- De Silvestri. Scuola, Potere e Fantasia. La penna doca,
Napoli 1996.
- R. Iosa. La scuola mite. Ed. Tredieci, Treviso1995.
Testi sui gruppi a scuola:
- Devoto-Romanelli. Gruppo e crescita personale.
Firenze1968. Utile per il glossario finale riferito ai temini
che la psicosociologia usa rispetto ai gruppi.
- J. Luft. Introduzione alle dinamiche di gruppo. La
Nuova Italia, Firenze1968.
- J. Maisonneuve. La dinamica di gruppo. Celuc Libri Ed.,
Milano 1973.
- Mazzone, Papa, Rallo. I gruppi nella scuola che
cambia. Ed. Del Noce, Padova1990.
- AA.VV. Come animare un gruppo. Ed. Elle di ci.,
Torino1988.
- AA. VV. T- Group. Ed. Clup, Milano 1987.
- R. Mucchielli. Come condurre riunioni, teoria e
pratica. ed. Elle di ci, Torino 1989.
- R. Mucchielli. La dinamica di gruppo. Elle di ci, Torino
1986.
- E. Spaltro. Complessit. Ed. Patron, Bologna 1990.
Libri per far crescere il sentimento di gruppo utilizzando
giochi:
- Spaltro, Righi. Giochi psicopedagogici. Celuc, Bologna
1986.
- M. Jelfs. Tecniche di animazione. Ed Elle di ci, Torino
1990.
- S. Loos. Novantanove giochi cooperativi. Ed. Gruppo
Abele, Torino 1989.
- P. Marcato, C. Del Guasta, M. Bernacchia. Gioco e
dopogioco: 48 giochi di relazione e comunicazione.
Ed. La Meridiana, Bari 1995.
- F. Cavallin, M. Sberna. Imparare a negoziare: 39 giochi
per apprendere l'arte della negoziazione. Ed Citt
Studi, Milano 1995.
- WC. Schutz. La Gioia. Ed Bompiani, Milano 1969.
Testi sullattenzione:
- S. Bagnara. LAttenzione. Il Mulino Ed., 1984.
- DA. Norman. Memoria e Attenzione. Franco Angeli Ed.,
Milano 1985.
- B. Russel. Lanalisi della mente. New Compton Italiana
Ed., Roma 1970.

Indice
Introduzione
Prima parte Lattenzione, linsegnante, lallievo

pagina

PROLOGO
Interrogato di fronte a tutti
Apprezzato e criticato

11
12

1. Lattenzione
Il problema dellattenzione nella scuola
La funzione della mente e dellattenzione
Livelli di attenzione
I campi dellattenzione volontaria
Le dimensioni dellattenzione
Lattenzione centrale e lattenzione laterale

13
14
18
20
22
23

2. Lattenzione dellinsegnante
Linsegnante attento
Affrontare la complessit
Raccogliere dati significativi
Spostare lattenzione a comando
La bambina che non voleva far niente
Spostare lattenzione al campo dei sentimenti
Perplessit di una insegnante
Per dare agli allievi qualcosa in pi
Attenzione alle credenze
Spontaneit e attenzione
Attenzione al come ci si relaziona con i colleghi
La sintesi del discorso

25
26
28
29
29
30
32
32
34
36
37
38

184

Settimo Catalano
3. LATTENZIONE DELlALLIEVO
Ascolto interattivo
Giocare a spostare lattenzione
Il metagioco
La gara di ascolto

39
40
41
42

Seconda parte LA RELAZIONE INSEGNANTE - ALLIEVO


1. ASPETTI generali
La natura soggettiva della percezione e limportanza della comunicazione
La bambina che tirava calci
Per evitare emozioni distruttive
Benessere e piacere
Comunicare tenendo conto delle proprie emozioni

47
48
50
52
53

2. la relazione affettiva
Lallievo in fuga dallinsegnante
56
Un esempio di riformulazione delle credenze a proposito dei muri
57
che ci separano dallaltro
Ogni allievo unico
60
Sentirsi valorizzato come persona
62
3. LA RELAZIONE DI APPRENDIMENTO
Lallievo in grado di imparare
Lapprendimento come occasione per la relazione
Apprendere con lallievo

64
66
67

4. feedback Ed ERRORE
Limportanza di saper graduare lapprendimento
Dare a tutti la possibilit di apprendere
Puntare allautonomia dellallievo
Lerrore una semplice informazione di ritorno
Rendere utili i propri errori
Lo scambio di feedback
Utilizzare ci da cui attratto lallievo
Come un bambino autistico impar a leggere e a scrivere
Un esempio di semplificazione

70
72
72
73
74
75
76
77
79

Le porte dell'attenzione
Terza parte

185

IL GRUPPO-CLASSE
1. iLPENSIERO relazionale
1. Per cambiare in meglio
Assumere una modalit di pensare soggettiva

85
87

2. la classe come sistema relazionale


91
Lentit gruppo
Prestare attenzione allinsegnante come modalit di interazione di gruppo 92
La condivisione dello scopo e delle norme in un gruppo
97
Il gruppo come processo
98
Il rifiuto verso le norme
99
Il protagonista assoluto
100
Il peso del ruolo
102
Il bambino che piangeva sempre e la bambina che non parlava mai 106
109
La bambina muta solo a scuola
Limportanza della funzione di leader
115
Linsegnante come leader della classe
116
Far percepire il gruppo agli allievi
118
Lastronave
120
Parlare-ascoltare
122
3. TUTTI NESSUNO ESCLUSO.
DODICI INCONTRI MIRATI ALLA CRESCITA DEL GRUPPO
Metodo di intervento
La classe di Susetta
Il sentimento del gruppo

126
141
144

Quarta parte il pensiero relazionale APPLICATO AD alcuni


Problemi della scuola
1.INTEGRARE
Lintegrazione nel gruppo classe
Per valutare il grado di integrazione dellallievo
Le modalit di gruppo che favoriscono lappartenenza
Le scenette: un metodo per partecipare creativamente
Attivit espressive e attivit strumentali
Riflessioni sul grado di integrazione dellinsegnante

151
152
153
156
159
160

186

Settimo Catalano
2. HANDICAP
La persona portatrice di handicap come risorsa
Linsegnante di sostegno e il suo allievo
Sviluppare attorno allallievo con handicap una rete di rapporti

163
165
167

3. STAR BENE A SCUOLA


I sistemi relazionali nellistituzione scuola
Moralismo e comunicazione
Gestire laggressivit
Valutare
Destrutturare
Verso un benessere relazionale nella scuola

169
170
172
174
175
177

Le porte dell'attenzione

187

Percorso di lettura veloce per i genitori


e chi non insegnante
Prima parte

Lattenzione, linsegnante, lallievo

pagina

Interrogato di fronte a tutti


Apprezzato e criticato
Livelli di attenzione

11
12
18

La bambina che non voleva far niente


Spostare lattenzione al campo dei sentimenti
Spontaneit e attenzione

29
30
36

Seconda parte LA RELAZIONE INSEGNANTE - ALLIEVO


1. ASPETTI generali
La natura soggettiva della percezione e limportanza della comunicazione
La bambina che tirava calci
Per evitare emozioni distruttive
Benessere e piacere
Comunicare tenendo conto delle proprie emozioni

47
48
50
52
53

2. la relazione affettiva
Lallievo in fuga dallinsegnante
56
Un esempio di riformulazione delle credenze a proposito dei muri
che ci separano dallaltro
57
Ogni allievo unico
60
Sentirsi valorizzato come persona
62
3. LA RELAZIONE DI APPRENDIMENTO
Lallievo in grado di imparare
Lapprendimento come occasione per la relazione
Apprendere con lallievo

64
66
67

188

Settimo Catalano
4. feedback Ed ERRORE
Limportanza di saper graduare lapprendimento
Dare a tutti la possibilit di apprendere
Puntare allautonomia dellallievo
Lerrore una semplice informazione di ritorno
Rendere utili i propri errori
Lo scambio di feedback
Utilizzare ci da cui attratto lallievo
Come un bambino autistico impar a leggere e a scrivere
Un esempio di semplificazione

Terza parte

70
72
72
73
74
75
76
77
79

IL GRUPPO-CLASSE
1. IL PENSIERO RELAZIONALE
Per cambiare in meglio
Assumere una modalit di pensare soggettiva

85
87

2. LA CLASSE COME SISTEMA RELAZIONALE


Il protagonista assoluto
Il peso del ruolo
Il bambino che piangeva sempre e la bambina che non parlava mai
La bambina muta solo a scuola
Far percepire il gruppo agli allievi
Lastronave
Parlare-ascoltare

100
102
106
109
118
120
122

3. TUTTI NESSUNO ESCLUSO


DODICI INCONTRI MIRATI ALLA CRESCITA DEL GRUPPO
La classe di Susetta
Il sentimento del gruppo

141
144

Quarta parte il pensiero relazionale APPLICATO AD alcuni


Problemi della scuola
4. STAR BENE A SCUOLA
I sistemi relazionali nellistituzione scuola
Moralismo e comunicazione
Gestire laggressivit
Valutare
Destrutturare
Verso un benessere relazionale nella scuola

169
170
172
174
175
177

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