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Ass.

del Lavoro, della Previdenza


Sociale, della Formazione
Professionale e dell’Emigrazione Unione
Dip. Formazione UNIONCAMERE G.A.L.I.S.C Europea
Professionale Fondo
SICILIA Madonie Sociale
Europeo

PIT n.° 31 “Reti Madonie”

Por Sicilia 2000-2006 Asse III – Misura 3.11

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Ricerca
PIT N. 31. Reti Madonie.
Misura 3.11, del Por Sicilia 2000/2006.

Progetto
PROEMERSIONE
Ricerca

Palermo Febbraio/Aprile 2007


Sommario
1. INTRODUZIONE - PREMESSA 5
L’attività di Ricerca. Scheda operativa 6
Premessa 9
PARTE PRIMA 11
1. Definizione del lavoro sommerso e sue caratteristiche 12
2. Definizione di occupazione sommersa 16
PARTE SECONDA 18
1. Cenni generali sulla legislazione in materia di emersione 19
2. Le fonti della disciplina dei contratti di riallineamento 20
2.1. L’evoluzione della disciplina dei contratti di riallineamento
21
3. La legge 18 ottobre 2001, n. 383 23
3.1. Ancora sulla legge 18 ottobre 2001, n. 383 23
4. Riferimenti normativi 25
Legislazione Europea 25
Legislazione Nazionale 25
Legislazione Regionale – Sicilia 27
Le misure del POR Sicilia 27
PARTE TERZA 34
1. Lo scenario del lavoro sommerso a livello Europeo 35
1.1. La definizione di lavoro sommerso neidocumenti comunitari
35
1.2. La definizione di economia sommersa del U.S.D.of L.. 36
2. La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali. Anni
2000-2004. 38
2. La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche
ufficiali. Anni 2000-2004. 39
Economia non osservata ed economia sommersa 40
2.1 Il valore aggiunto del “sommerso”. 42
2.2 Il lavoro non regolare 46
2.3 Nota metodologica 51
3. Il sommerso a livello nazionale 57
4. Il lavoro sommerso nel meridione 63
5. Il sommerso a livello regionale. Sicilia 67
5.1 Sicilia 68
6. La Commissione Regionale per l’emersione del lavoro non regolare della
Regione siciliana 71
7. Appendice statistica 78

3
PARTE QUARTA 84
1. Il quadro economico regionale, provinciale e comunale. Dati disaggregati
del sommerso. 85
1.1 L’approccio metodologico 85
2 Dati disaggregati a livello regionale. Regione Sicilia 87
2.1. Dinamismo del quadro macroeconomico locale.
Focalizzazione del sommerso 87
2.2 Il lavoro sommerso in Sicilia 89
2.3. La competitività del tessuto produttivo locale 94
2.4. Presenza di un bacino di manodopera locale cospicuo e di
elevata qualità 96
3. Dati disaggregati a livello provinciale. Provincia regionale di Palermo. 98
3.1. Popolazione e territorio 98
3.2. Tessuto imprenditoriale 101
3.3. Mercato del lavoro. Focalizzazione del sommerso 104
3.4. Il “sommerso” nel mercato del lavoro provinciale 106
3.5. Il sommerso secondo le imprese della provincia di Palermo
107
3.4. Principali risultati economici 110
Premessa. I metodi di analisi statistica per la ricerca sull’economia
sommersa. 114
5. Dati disaggregati a livello comunale. 114
5.1. Nota metodologica 115
4.2. Popolazione e territorio 117
4.3. Tessuto imprenditoriale 119
4.4. Mercato del lavoro. Focalizzazione del sommerso 120
PARTE QUINTA 125
Alcuni progetti e interventi realizzati in ambito nazionale e regionale sul
tema emersine. 125

4
1. Introduzione - Premessa

Il seguente lavoro si articola in più parti tematicamente divise. La prima, più


discorsiva e articolata, sviluppa l’argomento di fondo affrontando principalmente il
problema definitorio. Successivamente, descrive la situazione europea ed italiana
inquadrando anche le politiche ed i provvedimenti legislativi che, rispettivamente,
l’Unione Europea e lo Stato italiano e la Regione siciliana hanno adottato e stanno
adottando per fronteggiare il problema.
La seconda parte, invece, descrive le situazioni peculiari della regione Sicilia,
della provincia regionale di Palermo e del territorio del PIT 31, con una pre
indagine sulla situazione economica delle tre aree territoriali.
Qui, il problema centrale viene studiato molto più dettagliatamente. Al contrario
della precedente, infatti, vengono considerati nel dettaglio tutti i dati economici
- settore per settore - per cercare di fornire un quadro molto più particolareggiato
della situazione generale.
Ma non solo, in questa seconda parte, si analizza in particolare il fenomeno
specifico del lavoro irregolare. Vengono citati, per questo motivo, dati e fonti
relativi alla popolazione, alle Unità locali e alle Unità di Lavoro totali ed irregolari.
Le metodologie utilizzate per lo sviluppo di quest’ultimo argomento sono due.
La prima riguarda il quadro generale della Regione siciliana e della provincia di
Palermo, utilizzando dati esistenti e ricavati da alcuni studi sull’argomento
pubblicati di recente. Basta ricordare lo studio di Marketing territoriale dell’Unione
regionale delle Camere di Commercio siciliane e l’Osservatorio economico 2006
realizzato dall’Istituto G. Tagliacarte per conto della Camera di Commercio di
Palermo.
La seconda metodologia riguarda la stima a livello di comprensorio comunale
del PIT 31 e deve considerarsi di tipo “indiretto” in cui la stima dell’economia
irregolare, invece, è effettuata attraverso indicatori indiretti che nel nostro caso
sono quelli relativi ai territori più ampi di regione e provincia.

5
L’attività di Ricerca. Scheda operativa

Il progetto"Proemersione" nasce dalla collaborazione fra l'UnionCamere Sicilia


e il Gruppo di Azione Locale delle Madonie.

Quest'iniziativa trova forti motivazioni, anche di carattere istituzionale, per


l'esistenza dei Comitati provinciali per l'emersione del lavoro non regolare presso
tutte e nove le Camere di Commercio della Sicilia.

Lo stesso Comitato Regionale per l'emersione del lavoro non regolare ha sede
presso i locali della Camera di Commercio di Palermo ed il sistema camerale, sia a
livello nazionale che regionale, oltre ad avere avuto esperienze e sensibilità nel
settore, ha attivato protocolli d'intesa - nazionali, tramite l'Agenzia camerale
nazionale AsseforCamere, che regionalmente, con l'Unione regionale delle Camere
di Commercio della Sicilia. (tra gli allegati sono inserite le copie dei due protocolli
d'intesa di riferimento).

L'azione progettuale mira, quindi, a consolidare non solo a livello istituzionale,


ma anche operativo il livello di collaborazione e partecipazione tra il sistema delle
Camere di Commercio e il Comitato Regionale per l'emersione del lavoro non
regolare ed i Comitati provinciali a livello territoriale in interazione con le singole
Camere di Commercio, a livello provinciale.

E' stata inserita non a caso una lettera di patronage all'iniziativa, da parte del
Comitato Regionale per l'emersione del lavoro non regolare, che rappresenta la
manifestazione d'interesse che quest'organismo ripone, insieme alla volontà di
rafforzare la collaborazione con le Camere di Commercio, per proseguire e
moltiplicare il proprio impegno istituzionale a sostegno delle politiche attive del
lavoro, anche attraverso le attività di emersione del lavoro non regolare.

Gli interventi previsti hanno come obiettivo fondamentale quello di


consentire alle Camere di Commercio di fornire un servizio di assistenza alla
Commissioni Regionale, insieme a quelle Provinciali per l'Emersione del Lavoro
Irregolare (art. 78 legge 448/98) , delle quali le Camere sono per legge, gli enti
ospitanti.

Inoltre, il progetto intende fornire una chiara ricognizione delle effettive


dimensioni e cause del fenomeno "Sommerso" nel territorio oggetto di studio,
oltre che la messa a punto di percorsi progettuali che garantiscano una graduale e
duratura soluzione del problema.

La Presenza, tra i partner del progetto e del GAL delle Madonie di coinvolgere
attivamente nelle iniziative del progetto le imprese appartenenti ai settori
dell'Agricoltura e del Turismo settori che soffrono particolarmente del fenomeno
del sommerso ed il Progetto prevede integrazioni tra più azioni: Analisi Studi e
Ricerche, insieme con attività di Formazione /Sensibilizzazione, Consulenza e

6
Accompagnamento alle politiche occupazionali, Diffusione dei risultati, Supporto
all'efficacia del Progetto.

STUDI E RICERCA.

Definito l'ambito dell'indagine, che è il comprensorio delle Madonie, sarà


analizzato inizialmente il contesto generale di riferimento, quindi saranno
circoscritte le aree di lavoro sulla base delle informazioni raccolte presso gli
operatori locali al fine di circoscrivere l'intervento a quei settori che risulteranno
maggiormente interessati al fenomeno del lavoro non regolare.

L'attività di ricerca sul campo coinvolgerà attivamente tutti i soggetti del


territorio ( Pubblici e privati) in grado di contribuire alla definizione di una mappa
territoriale e settoriale del "Sommerso".

Tale ricerca verrà poi pubblicizzata a livello territoriale mediante un apposito


seminario.

La metodologia di analisi dovrà essere adeguata alla difficoltà dell'oggetto di


ricerca: infatti un'analisi realistica e corroborata nelle stime non potrà basarsi
esclusivamente su dati statistici (già di difficile reperimento a livello provinciale e
comunque rappresentanti uno scenario solo parziale del fenomeno) ma dovrà
prevedere un intenso "lavoro sul campo".

In questo caso verrà adottata il cosiddetto metodo "a cascata" ossia


attraverso successivi contatti con gli attori locali e in particolar modo con il mondo
imprenditoriale delle Madonie; inoltre si procederà ad effettuare una ricerca
approfondita circa le iniziative istituzionali e i modelli applicativi, adottati in altri
territori, per affrontare efficacemente il problema del lavoro sommerso.

I risultati attesi sono la definizione di una mappa territoriale e settoriale del


lavoro sommerso ed individuazione di un modello applicato che ha riportato
risultati positivi circa le problematiche inerenti l'emersione.

ORIENTAMENTO/CONSULENZA

I destinatari di questa azione sono tutti i soggetti del territorio ( Pubblici e


privati).

Si prevedono colloqui target-oriented durante i quali saranno somministrati ai


beneficiari questionari per il bilancio delle competenze e questionari per la
valutazione psico-metrica.

La creazione e gestione della banca dati d’orientamento che raccoglierà


informazioni circa i seguenti output: report colloqui d’orientamento; CV e bilancio
delle competenze dei potenziali beneficiari; piani d’azione per la scelta formativa;

7
report delle consulenze d’orientamento per la fase di “content definition” delle
attività formative e più in generale di progetto.

I risultati attesi sono l’individuazione dei destinatari fisici che possano, in base
a criteri oggettivi, contribuire a determinare il successo dell’azione ed al contempo
ridurre le ipotesi killer e quindi il rischio di insuccesso dell’iniziativa

FORMAZIONE/SENSIBILIZZAZIONE

"Analisi e accompagnamento alle politiche per l'emersione del lavoro


irregolare", della durata complessiva di 36 ore. Oltre a tali seminari si prevedono
altri tre seminari di sensibilizzazione che si articoleranno nella fase iniziale del
progetto in una fase intermedia ed una finale.

I destinatari di questa azione sono 27 Amministratori pubblici locali


(responsabili degli uffici attività produttive), Imprenditori e giovani disoccupati,
inoccupati e/o occupati precari (LSU e LPU).

La strategia formativa adottata prevede il ricorso e l'adozione di un mix di


situazioni didattiche (sensibilizzazione, informazione e auto-formazione,) che nel
loro insieme possono configurare un modello formativo riconducibile alla
formazione-informazione attraverso attività seminariali.

Tali cicli di seminari si realizzeranno presso il Comune di Lascari.

I risultati attesi dall'attività formativa sono i seguenti:

- padronanza del quadro di intervento e delle metodologie per il governo dei


processi di sviluppo locale da parte dei corsisti;

- comprensione dei meccanismi e dei contesti che inducono alla "Sommerso


nel lavoro".

(EM) Supporto all'efficacia del Progetto

La presente azione si esplica lungo l'intero percorso progettuale e verte, oltre


al coordinamento generale del progetto, sull'attuazione e la direzione esecutiva
del processo di monitoraggio, controllo di qualità e valutazione del percorso
gestionale esecutivo del progetto ai fini del miglioramento continuo dei risultati
dell'iniziativa

8
Premessa. Il fenomeno del sommerso

Il fenomeno del sommerso non è riconducibile ad un’unica matrice ma si può


dire che esistono forme diverse di sommerso che rispondono alle disomogeneità
dei mercati del lavoro locali. Al Nord, ad esempio, il sommerso è probabilmente
legato alla diffusione del cosiddetto secondo lavoro mentre al Sud il sommerso è
spesso legato a caratteristiche strutturali della realtà socio-economica. Scarsa
competitività delle imprese, bassi livelli di produttività delle piccole imprese locali
rispetto alle aziende settentrionali che, non essendo in grado di pagare retribuzioni
regolari legate alla contrattazione nazionale, sono costrette a ricorrere a qualche
forma di evasione per poter sopravvivere.
Ma non solo,va anche precisato che il lavoro sommerso è in generale diffuso
in settori ad alta intensità di manodopera e a bassa redditività, quali l’agricoltura,
la costruzione, il commercio al dettaglio e la ristorazione. A ciò si aggiungono i
servizi manifatturieri e commerciali in cui i costi costituiscono il principale fattore di
competizione. Un ulteriore ambito, inoltre, è dato dai settori innovativi, i servizi
domestici e di assistenza alla persona.
Una recente indagine curata dal Censis per conto del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali evidenzia una tendenziale destrutturazione del fenomeno del
sommerso in Italia, che sembra perdere alcune delle sue connotazioni originarie.
Cala il sommerso di azienda - le imprese irregolari passano dal 22,3% del 2002, al
9,7% del 2005 - ma contemporaneamente crescono i lavoratori irregolari, sia
autonomi che dipendenti, attestandosi sul 27,9% rispetto al 26,0% del 2002.
I settori con maggiore incidenza di lavoro irregolare sono risultati i servizi
domestici e di assistenza alla persona (37%), seguiti dall'agricoltura (25,9%), e
dalle costruzioni (24,5%). I soggetti più coinvolti sono gli immigrati (27,2%) ed i
giovani in cerca di prima occupazione (24,1%).
Se andiamo ad analizzare l’area territoriale considerata – la provincia di
Palermo ed in particolare i comuni dell’area progettuale PIT –
mostrano come la provincia di Palermo si collochi nella terza fascia più elevata a
livello nazionale, in termini di percentuale di unità di lavoro in nero sul totale,
ovvero in una forchetta che va dal 19,3% al 23,9%. A livello regionale, solo la
provincia di Catania appare collocata in una posizione peggiore.
Particolarmente diffuso appare il ricorso al lavoro nero nel comparto agricolo (nel
quale Palermo si posiziona nella seconda fascia, con una incidenza che varia tra il
40,4% al 48%) ed in quello dell’industria (tra il 23,9% ed il 31,5%), con
particolare riferimento all’industria delle costruzioni. Meno rilevante, ma comunque
significativo, appare il ricorso al nero nel comparto dei servizi (nel quale Palermo si
posiziona nella seconda fascia, con una incidenza che varia tra il 22,4% al 28%).
Se il cuore del lavoro nero a Palermo è concentrato nelle attività agricole e se
queste, come noto, costituiscono un canale occupazionale privilegiato per la

9
manodopera immigrata, è allora evidente che l’incremento dell’occupazione
registrato sul mercato del lavoro palermitano in questi ultimi anni ha risentito, più
che nel resto del Paese, degli effetti statistici della regolarizzazione di lavoratori
extracomunitari (che, come è ovvio, si trovavano in una posizione di irregolarità).

I fattori che concorrono all’emergere di tale fenomeno sono tre:


1. una crescente domanda di “servizi personalizzati”;
2. la riorganizzazione da parte del comparto industriale in lunghe catene di
disintegrazione verticale e di sub-appalto;
3. la diffusione di nuove opportunità lavorative e di nuovi ambiti di attività di
servizio.
La motivazione principale per partecipare all’economia sommersa è di natura
strettamente economica, ove vede un elevato coinvolgimento da parte dei datori
di lavoro, dei lavoratori dipendenti ,dei lavoratori autonomi.
Tale problema, può essere visto in una duplice ottica:
1. come scelta individuale di persone che approfittano del sistema e
indeboliscono nel contempo i meccanismi di solidarietà;
2. come risultato di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro cui
la legislazione esistente si adatta troppo lentamente.

Nel primo caso, sia le azioni che gli interventi da mettere in campo
dovrebbero essere mirati in primis alla emissione di sanzioni pecuniarie e
parallelamente alla realizzazione di campagne di sensibilizzazione su tematiche
specifiche; nel secondo caso la strategia dovrebbe concentrarsi su azioni di
prevenzione del fenomeno, nel rispetto delle nuove realtà e del continuo
mutamento sulle logiche del mercato del lavoro.

10
PARTE PRIMA

I. Il lavoro sommerso. Definizione e sue caratteristiche.


II. Definizione di occupazione sommersa

11
1. Definizione del lavoro sommerso e sue caratteristiche

I livelli di approfondimento per individuare il lavoro e l'economia sommersa


possono essere distinti in due tipi:

• Il primo è da collegarsi alle esigenze di rilevare il fenomeno da un punto di


vista strettamente statistico;
• Il secondo è legato ad una caratteristica prevalentemente amministrativa.

Dal lato statistico è possibile individuare almeno tre livelli:

• L'economia sommersa;
• L'economia informale;
• L'economia criminale.

L'economia sommersa può essere indicata come attività economica di cui


la pubblica amministrazione non ha conoscenza per le seguenti motivazioni:

• Evasione fiscale;
• Evasione contributiva;
• Non osservanza della normativa contrattuale (relativamente a salario
minimo, orari di lavoro) e delle regolamentazioni in materia di salute e sicurezza
sul lavoro;
• Mancanza di permessi ed autorizzazioni amministrative.

Questo tipo di economia si può caratterizzare con l’intento di violare una


normativa senza che però questa rappresenti un illecito penale . Si rimanda agli
apprendimenti che seguono.

L'economia informale è caratterizzata da unità economiche di modeste


dimensioni, di proprietà di singoli individui che le amministrano direttamente. Tali
unità (siano esse produttive che di servizi), si concretizzano con quantità minime
di capitale e senza fare nessuna distinzione fra capitale e lavoro. Infatti,
producono beni e/o servizi con l'obiettivo di generare reddito e occupazione.
Solitamente i rapporti di lavoro che si generano si basano sulle interrelazioni
personali.

I confini che separano il settore informale da quello formale risultano


delimitati prevalentemente dal grado di diffusione dei processi di
regolamentazione e di istituzionalizzazione del fenomeno.

12
Le caratteristiche appena indicate si prestano ad essere modulate sulla base
dei fattori culturali, sociali, economici regionali.

L'economia criminale è una attività di produzione e distribuzione di beni e


servizi che risultano illegali in quanto sono svolte da soggetti non autorizzati.

Secondo l’Istat, l’economia sommersa è “tutta quella produzione legale di cui


la pubblica amministrazione non ha conoscenza per diverse ragioni:

•L'evasione fiscale;
• L'evasione di contributi sociali;
• Non osservanza di regole dettate dalla legge relativamente a: salario
minimo, numero di ore di lavoro, sicurezza sul lavoro;
• Mancato rispetto di norme amministrative come nel caso della mancata
compilazione dei questionari statistici o di altri moduli amministrativi.

L’economia sommersa

L’economia sommersa indica l’insieme della produzione legale di cui la pubblica


amministrazione non ha conoscenza per diverse ragioni:
- evasione fiscale (delle imposte sul reddito, sul valore aggiunto o di altre
tasse);
- evasione di contributi sociali;
- non osservanza di regole dettate dalla legge relativamente a: salario minimo,
numero massimo di ore di lavoro, sicurezza sul lavoro, ecc.;
- mancato rispetto di norme amministrative, come nel caso della mancata
compilazione dei questionari statistici o di altri moduli amministrativi, ecc.

Inoltre, le attività sommerse, possono far parte del sommerso economico che
comprende le attività caratterizzate dalla deliberata volontà di non rispettare le
norme di legge (non penale) al fine di ridurre i costi di produzione, oppure, il
sommerso statistico che comprende le attività non rilevate a causa delle
inefficienze del sistema statistico.
Per definire il settore informale, lo SNA fa riferimento a unità istituzionali
produttive caratterizzate da:
- basso livello di organizzazione;
- poca o nessuna divisione tra lavoro e capitale;
- relazioni di lavoro basate per lo più sull’occupazione occasionale, parentela o
relazioni personali e sociali, in contrapposizione dei contratti formali.

L’occupazione informale è un concetto molto ampio che include, “non solo


l’occupazione nel settore informale, ma anche lavori informali (nel settore formale)
dove non sono chiari i rapporti tra impiegato e datore di lavoro (ad esempio, lavori

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a domicilio al di fuori della sede dell’impresa o lavoratori familiari non pagati che
contribuiscono agli affari di famiglia)”1.
Secondo la classificazione offerta dal Censis 2 , si può suddividere il sommerso
sotto il profilo strutturale, così da individuare gli aspetti di invisibilità che
costituiscono le condizioni base per il ricorso ad irregolarità sotto il profilo
giuridico-formale.
Quindi, a seconda delle dimensioni e caratteristiche strutturali, possiamo
riscontrare le seguenti “invisibilità”:
- fisico territoriale: la maggiore o minore visibilità del luogo fisico in cui si svolge
l’attività costituisce uno dei principali indicatori di sommerso;
- di prodotto: la maggiore o minore visibilità del prodotto dell’attività condiziona la
propensione dello svolgimento di attività in modo irregolare.
Quest’ultima risulta infatti più alta con riferimento ai servizi, dove la visibilità del
prodotto è più bassa rispetto ad attività che hanno ad oggetto una specifica
produzione,
- di mercato: in genere quando l’azienda risulta visibile sul mercato, perché
produce con un proprio marchio di vendita, la propensione all’immersione risulta
abbastanza bassa. Al crescere dell’invisibilità del mercato, aumentano i rischi
d’immersione.
Sotto il profilo giuridico-formale, l’invisibilità tende a realizzarsi riguardo ai
sistemi:
- fiscali: rispetto a questa dimensione l’attività d’impresa può risultare
parzialmente o totalmente invisibile (dall’assenza di partita iva, al ricorso di
sottofatturazione ecc.);
- normativi: sotto questo aspetto l’invisibilità tende a configurarsi nel mancato
rispetto di tutte quelle procedure connesse al regolare esercizio delle attività quali
l’iscrizione al Registro delle imprese, il rispetto del contratto collettivo nazionale,
ecc.;
- retributivi: qui è la parte retributiva del costo del lavoro a risultare totalmente o
parzialmente invisibile. Le forme più diffuse sono la mancata registrazione della
retribuzione nel libro paga dell’azienda (retribuzione di fatto), la registrazione di
una retribuzione superiore a quanto effettivamente percepito (doppia busta paga)
o l’erogazione di fuoribusta.
In base a questi “aspetti di invisibilità”, il Censis ha elaborato quattro profili ideali
di impresa4:
- Impresa sommersa: rientrano in questa fattispecie di sommerso totale tutte
quelle attività legate a prestazione di lavoro individuale, nelle quali l’oggetto
dell’attività è la prestazione di un servizio (alta invisibilità del prodotto del lavoro)
che non richiede un luogo di lavoro fisso e stabile, la cui clientela di destinazione è
privata. Si tratta di piccole imprese che non figurano nel Registro delle imprese e
che lavorano senza partita iva.
- Impresa quasi sommersa: in genere, l’attività ha per oggetto la produzione di un
manufatto, o di un semilavorato, destinato ad entrare nel mercato attraverso

1
Nota per il Consiglio dei Ministri per il Lavoro e degli Affari Sociali sul lavoro nero, cfr. il sito del
Comitato per l’emersione del lavoro non regolare
(www.emersionelavorononregolare.it/politicheeuropee.php).
2
CENSIS, Tendenze generali e recenti dinamiche dell’economia sommersa in Italia fra il 1998 e il
2002, Roma, 2 gennaio 2003.

14
figure intermediarie che “piazzano” il prodotto presso aziende terziste, negozi,
mercati, venditori ambulanti. Generalmente il titolare apre la sola partita iva,
talvolta a questa segue l’iscrizione dell’attività al registro imprese necessaria alla
regolarizzazione della posizione almeno del titolare;mentre la manodopera è
occupata in modo del tutto non regolare.
- Impresa semi sommersa: l’azienda è registrata regolarmente al Registro imprese
e generalmente la maggioranza dei dipendenti, assunta con regolare contratto di
lavoro, è registrata all’Inps. Tuttavia, sono diffuse forme di irregolarità come
l’evasione fiscale, il non rispetto del contratto collettivo nazionale del lavoro, la
doppia busta paga ecc.;
- Impresa semi emersa: l’azienda produce generalmente con marchio proprio sul
mercato nazionale e il prodotto è quindi destinato alla vendita diretta. E’ iscritta al
registro delle imprese e i dipendenti sono assunti con regolare contratto di lavoro.
Esistono tuttavia irregolarità relative a fenomeni di evasione fiscale e retributiva:
sottofatturazione e pagamento di straordinari fuori busta sono le modalità più
diffuse.

15
2. Definizione di occupazione sommersa

La definizione delle tipologie dei lavoratori del sommerso è compito assai


arduo. Invero, la fenomenologia del lavoro sommerso è molto complicata, in
quanto i soggetti ivi impiegati hanno caratteristiche diverse che ne influenzano la
disponibilità all’occupazione irregolare, la stessa possibilità di trovare
un’occupazione sia regolare o irregolare, le aspettative future3.

Nella terminologia attualmente in uso nella contabilità nazionale le posizioni


lavorative (posti di lavoro o soggetti con doppio lavoro ) e le unità (standard) di
lavoro (anni lavoro/uomo), si distinguono tra:

• Regolari;
• Irregolari;
• Occupati non dichiaratisi;
• Stranieri non residenti;
• Secondo lavoro (o posizioni lavorative multiple).

Il lavoro regolare comprende il "primo lavoro" (attività principale o unica)


degli occupati dipendenti e regolarmente iscritti nei libri paga delle imprese, e
indipendenti che svolgono la loro attività in luoghi di lavoro identificati come sede.

Il lavoro "non regolare" - definito tale in quanto in opposizione al lavoro


"regolare" - comprende le restanti categorie sopra richiamate: irregolari; occupati
non dichiaratisi; stranieri non residenti e secondo lavoro.

Il lavoro irregolare in senso stretto comprende gli occupati dipendenti


non iscritti nei libri paga delle imprese e gli indipendenti che svolgono la loro
attività in luoghi di lavoro non identificati come sedi di impresa. Statisticamente
l'aggregato coincide con la parte di occupati dichiarati che lavorano in unità
residenti, eccedenti il numero delle posizioni lavorative dichiarate dalle imprese
nelle indagini ad esse rivolte.

Occupanti non dichiarati sono le persone che nelle indagini statistiche,


relativamente al lavoro svolto, non si dichiarano occupati, anche se in un altro
quesito della stessa indagine hanno dichiarato di avere effettuato almeno una ora
di lavoro nel periodo di riferimento.

Stranieri non residenti sono i lavoratori stranieri non residenti presso le


unità residenti, essendo lavoratori stranieri residenti già compresi nella stima
dell'occupazione regolare.

3
BELLAVISTA, Il lavoro sommerso, G. Giappichelli Editore, Torino, 2002, p. 28.

16
Secondo lavoro (lavoro aggiuntivo, posizioni multiple) sono le posizioni
lavorative detenute in aggiunta a quelle principali collocate in una altra categoria
di lavoro.

In estrema sintesi è possibile individuare le seguenti forme:

Regolari : primo lavoro dei lavoratori dipendenti ed autonomi iscritti all'INPS


o ad altra gestione previdenziale;

Non regolari, che, a loro volta, possono essere distinti in:

Irregolari: lavoratori occupati in mondo continuativo in attività


amministrative " non visibili ";
Occupati non dichiaratisi: "occasionali" o "marginali";
Stranieri non residenti: immigrati;
Secondo lavoro: persone che hanno un’altra occupazione, dipendente o
indipendente, oltre a quella principale .

Sinteticamente, si può dire che il bacino dei lavoratori dell’economia


sommersa è da ricercare negli "occupati non dichiaratisi", negli "stranieri non
residenti" ed in coloro che svolgono un “ secondo lavoro”.

17
PARTE SECONDA
I. Legislazione in materia di emersione

18
1. Cenni generali sulla legislazione in materia di emersione

Le considerazioni sin qui svolte evidenziano come l’economia sommersa e,


dunque, il lavoro sommerso, rappresentino lo “scollamento tra economia e
istituzioni”, conseguenza del fatto che “l’economia sommersa anticipa i mutamenti
strutturali oppure rappresenta la resistenza di un passato che non vuole morire”4.

Orbene, tale riflessione - che da un lato spiega l’inevitabile riconoscimento


del carattere ambivalente del fenomeno in parola, ingenerando la contemporanea
presenza di aspetti positivi e negativi, quali lo sfruttamento e l’emancipazione, la
coercizione e l’innovazione5 – giustifica le finalità perseguite dalle attuali politiche
di intervento. Quest’ultime, infatti, mirano a valorizzare gli eventuali momenti
positivi del lavoro sommerso nonché alla promozione dell’emersione, limitando la
repressione alle ipotesi in cui non vi sia alternativa alla graduale e spontanea
conformazione alle regole dettate dell’ordinamento in materia6.

Del resto, anche secondo autorevoli commentatori, per far emergere il lavoro
sommerso occorre discernere quanto nel fenomeno stesso vi sia di patologico e di
regressivo e quanto, al contrario, costituisca una anticipazione dei vari modi di
atteggiarsi del rapporto di lavoro, che, non trovando collocazione nell’ordinamento
vigente, “si sono immersi deliberatamente nella clandestinità”7.

Proprio siffatto modello è stato accolto, seppur ancora allo stato embrionale,
dal legislatore nella legge n. 228 del 23 dicembre 1998 (legge collegata alla legge
Finanziaria 1999), che contiene misure a favore del processo di emersione, ma
anche dirette alla repressione del lavoro non regolare e sommerso.

Posto che uno dei principali strumenti forniti dal legislatore volti ai processi di
emersione è costituito dai contratti collettivi di riallineamento, appare opportuno
che la presente indagine, la quale mira a fornire un quadro delle fonti normative
esistenti in argomento, prenda le mosse proprio dalle disposizioni dettate in
materia di riallineamento retributivo.

4
DEAGLIO, voce Economia sommersa, in Enc. Treccani delle Scienze Sociali, vol. III, 1993, pag. 439.
5
Cfr. CHIARELLO, Economia informale, famiglia e reticoli sociali, in Rass. it. soc., 1983, p. 242 e ss.
6
BELLAVISTA, Il lavoro sommerso, G. Giappichelli Editore, Torino, 2002, p. 45.
7
GIUGNI, Lavoro leggi contratti, Il Mulino, Bologna, 1989, p. 329.

19
2. Le fonti della disciplina dei contratti di riallineamento

I contratti di riallineamento, definiti anche di gradualità, sono strumenti di


derivazione sindacale-contrattuale, poi consacrati in formule legislative. Essi
mirano a consentire sia l’emersione – intesa come regolarizzazione del c.d. lavoro
irregolare o sommerso – sia l’adeguamento di rapporti di lavoro regolari agli
standard contenuti nella contrattazione collettiva nazionale, pur salvaguardando i
livelli occupazionali.

Seppur l’approfondimento dell’argomento non è l’obiettivo del presente


lavoro, sarà interessante sottolineare, incidenter tantum, come il sistema che
scaturisce dai contratti di gradualità è congegnato sull’uso di una tecnica
sanzionatoria di incoraggiamento, o meglio positiva8, in quanto rivolta a stimolare
la condotta del datore di lavoro verso il rispetto della disciplina legale e
contrattuale, a fronte della promessa di un beneficio, quale la fiscalizzazione degli
oneri sociali e degli sgravi contributivi.

Proprio sulla scorta di quest’ultima considerazione è possibile affermare che


l’origine della disciplina dei contratti di riallineamento può essere rinvenuta,
innanzitutto, nell’art. 36 della l. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), il quale
subordina il godimento di benefici, sostegni ed agevolazioni di natura pubblica
all’osservanza, della parte datoriale, di un minimo di garanzie in favore dei
lavoratori.

Volendo, poi, ricercare fonti meno risalenti, l’attenzione deve essere volta
verso l’art. 5 della legge n. 608/1996, il quale – anche in forza delle modifiche
apportate al suo assetto originario – contiene quasi completamente la disciplina
dei contratti di gradualità.

Invero, anche i più recenti artt. 23 della l. n. 196/1997 e 75 della l. n.


448/1998 – i quali hanno dettato disposizioni in materia di contratti di
riallineamento retributivo – hanno modificato ed integrato la norma testé citata.

Peraltro, una recente innovazione è, altresì, contenuta nell’art. 45, comma


20, e nell’art. 58, comma 13, della legge n. 144 del 17 maggio 1999 (c.d. collegato
lavoro, in quanto legge collegata alla Finanziaria per l’anno 1999).

8
BOBBIO, Dalla struttura alla funzione, Ed. di Comunità, Milano, 1977, p. 13 ss.; GHERA, Le sanzioni
civili nella tutela del lavoro subordinato, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1979, p. 305 ss.

20
Devono, infine, segnalarsi l’art. 63, comma 3, e l’art. 44 della l. n. 488/1999
(legge collegata alla Finanziaria per il 2000) che hanno ulteriormente, anche se
solo parzialmente, modificato l’assetto delle norme previgenti. Invero, dalla prima
delle norme citate è derivata la proroga dei termini originariamente fissati per la
stipula dei contratti provinciali e di quelli aziendali di recepimento; per effetto della
seconda, poi, è stato chiarito che anche le imprese agricole possono accedere allo
speciale meccanismo di regolarizzazione degli obblighi contributivi per i periodi
pregressi, previsto dal nuovo comma 3 sexies dell’art. 5, della l. n. 608/1996.

2.1. L’evoluzione della disciplina dei contratti di riallineamento

Gli anni successivi alla rivitalizzazione dell’istituto dei contratti di


riallineamento, sorti già nel 1989 e dotati di nuova linfa con l. n. 608/1996, sono
stati caratterizzati da un progressivo mutamento delle politiche per l’emersione del
lavoro nero ed irregolare.

Va certamente registrata, quantomeno, una linea di continuità


nell’atteggiamento del nostro legislatore, sempre attento a combattere il
fenomeno, nella ferma consapevolezza della sua estrema gravità.

Tuttavia, si è modificato, nel tempo, il modus operandi, talvolta dettato


dall’osservazione delle dinamiche sociali e dai risultati sortiti dai vari strumenti
legislativi esistenti.

Nella modifica in parola ha, innanzitutto, influito lo scarso successo e la


limitata diffusione dei contratti di riallineamento, la cui applicazione ha disatteso le
speranze iniziali e le potenzialità ad esso intrinseche.

Per meglio comprendere il tessuto normativo in cui si innestano le norme


attualmente vigenti in materia, al cui vaglio si passerà tra breve, sarà utile fare un,
seppur breve, cenno alle difficoltà applicative sorte in tema di contratti di
gradualità, spesso conseguenza inevitabile delle eccessive ambiguità e difficoltà
interpretative della normativa di riferimento, frutto di innumerevoli stratificazioni
successive. A riprova di quanto appena detto, sarà utile ricordare che la prima
circolare INPS in materia risale soltanto al 6 marzo 2000 (n. 59).

Gioverà sottolineare come la possibilità di stipula di nuovi contratti di


riallineamento nonché di adesione agli stessi è stata di fatto paralizzata, in quanto
a lungo controversa.

21
Infatti, a seguito dello scadere del termine fissato per il 31.12.1999 per la
stipula ai contratti in parola o per l’adesione, come previsto dall’art. 75, comma 3,
della legge n. 448/1998, ed autorizzato dalla decisione della Commissione Europea
dell’8 aprile 1999, il legislatore – per effetto dell’art. 63, comma 3, della legge n.
488 del 1999 – ha disposto una nuova proroga di dodici mesi, cioè sino al 31
dicembre 2000. Poiché tale proroga non era stata sottoposta al vaglio della
Commissione europea, l’INPS, con la circolare n. 115/2000, impose la sospensione
di tutti gli effetti dei contratti di riallineamento e dei verbali di recepimento
stipulati successivamente al 31.12.1999, in attesa della prevista
autorizzazione.L’attesa autorizzazione risale al 17 ottobre 2000 ed è stata
concessa in seguito alla presentazione da parte del Governo italiano di un nuovo
progetto volto ad arricchire le agevolazioni per chi aderisse ai contratti di
riallineamento9.

Il successivo assetto degli aiuti e degli incentivi è stato inserito,


successivamente, nell’art. 116 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, sulla quale
l’INPS si è pronunciato nell’estate del 2001, con la circolare n. 159.

9
L’autorizzazione di che trattasi è del 4 ottobre 2000, ma è pervenuta alle autorità italiane il 17 ottobre 2000.
La circolare INPS n. 159 del 2001 ha chiarito che da quest’ultima data decorresse il termine di una anno di
vigenza del regime di agevolazioni autorizzato.

22
3. La legge 18 ottobre 2001, n. 383

In tale contesto si inserisce la legge 18 ottobre 2001, n. 383, che ha


introdotto un nuovo ed articolato meccanismo per favorire l’emersione del lavoro
sommerso. Essa disciplina l’intero percorso di emersione e rappresenta un
provvedimento avente carattere straordinario, che offre l’opportunità di
regolarizzare sia i rapporti di lavoro, sia l’attività produttiva e gli aspetti ad essa
connessi.

Il provvedimento in commento ha subito reiterate modifiche rispetto alla sua


formulazione originaria, che ne hanno, pertanto, variato la sua struttura di base.

Le attuali caratteristiche della disciplina vigente sono, più precisamente, il


frutto delle diverse e repentine novelle operate dalla legge 23.11.2001, n. 409, di
conversione del d.l. 350/2001, dalla legge 28.11.2001, n. 488 (legge Finanziaria
per l’anno 2002), e dalla legge 23.04.2002, n. 73 (legge di conversione del d.l.
22.02.2002, n. 12).

Corre, infine, evidenziare che la legge n. 383/2001 è stata, altresì, modificata


dal d.l. n. 210 del 25 settembre 2002, convertito con modifiche dalla legge 22
novembre 2002, n. 266. Come si legge nel preambolo del decreto legge in parola,
esso nasce dalla necessità ed urgenza di incentivare l’emersione del lavoro
sommerso, “introducendo le opportune modifiche ed integrazioni alla specifica
normativa di cui alla legge 18 ottobre 2001, n. 383, anche al fine di dare
attuazione a quanto convenuto in materia tra Governo e organizzazioni sindacali
nel luglio scorso …”.

Per effetto della nuova disciplina è parzialmente mutato l’istituto della


emersione progressiva, di cui si dirà tra breve, il cui iter risulta sensibilmente
diverso rispetto alla previsione originaria, anche in conseguenza della istituzione,
presso le direzioni provinciali del lavoro, dei Comitati per il lavoro e l’emersione
del sommerso, altrimenti detti CLES, ai quali gli imprenditori, in alternativa alla
procedura standard, possono presentare un piano individuale di emersione. Il
decreto legge, inoltre, ha ampliato l’ambito soggettivo di applicazione della
disciplina per l’emersione.

3.1. Ancora sulla legge 18 ottobre 2001, n. 383

Il provvedimento, per effetto del comma 6, dell’art. 1, mantiene


espressamente in vigore il regime dei contratti di riallineamento. Esso, infatti,
recita testualmente: “restano fermi, in alternativa per gli interessati, i regimi

23
connessi ai piani di riallineamento retributivo e di emersione del lavoro irregolare,
di cui all’art. 5 del d.l. 1 ottobre 1996, n. 510, convertito in legge 28 novembre
1996, n. 608, di cui agli artt. 75 e 78 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, di cui
all’art. 63 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e di cui all’art. 116 della legge 23
dicembre 2000, n. 388”.

La legge n. 383/2001, rispetto ai contratti di gradualità, ha, tuttavia, un


campo di applicazione diverso, in quanto rivolto a tutto il territorio nazionale. Si
tratta, dunque, di una misura non soggetta alla disciplina degli aiuti di Stato di cui
al Trattato della Comunità europea, che, conseguentemente, sfugge al controllo
vincolante della Commissione.

In virtù del nuovo meccanismo introdotto dalla norma in commento


l’imprenditore viene stimolato all’emersione mediante la prospettazione di sconti di
natura fiscale e contributiva, dei quali potrà fruire senza la mediazione sindacale,
come, invece, avveniva per i contratti di riallineamento. Più nello specifico – senza,
tuttavia, addentrarsi eccessivamente in questioni estranee all’obiettivo del
presente excursus – lo sconto fiscale è strettamente dipendente dal quantum di
costo di lavoro e, quindi, di lavoratori, che si fa emergere con una apposita
dichiarazione.

La norma prevede due distinte procedure per l’emersione del sommerso: la


prima prevista dall’art. 1; l’altra regolata dall’art. 1 bis della medesima legge.

La procedura di cui all’art. 1 – c.d. emersione automatica – è quella


originaria, tanto che la seconda – c.d. emersione progressiva – si inserisce
nell’alveo di questa, aggiungendo nuove e rilevanti agevolazioni.

Con la prima delle procedure di emersione citate - emersione automatica - la


legge offriva agli imprenditori o ai soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo,
che avevano fatto ricorso al lavoro irregolare, non adempiendo in tutto o i parte
agli obblighi previsti dalla normativa vigente in materia fiscale e previdenziale, la
possibilità dell’emersione attraverso una apposita dichiarazione. I benefici offerti,
inoltre, riguardavano sia il futuro – sgravi fiscali e contributivi – che il pregresso –
concordato tributario e previdenziale delle irregolarità autodenunciate prima
dell’inizio di eventuali accessi o ispezioni.

Il secondo strumento fornito dalla legge n. 383/01, contenuto all’art. 1 bis, è


rappresentato dalla procedura di emersione progressiva, finalizzata a regolarizzare
in modo graduale anche le violazioni di obblighi diversi da quelli fiscali e
previdenziali ed a consentire l’adeguamento progressivo alla contrattazione
collettiva.

24
4. Riferimenti normativi

Avendo tracciato quantomeno le tappe fondamentali del percorso legislativo


che ha condotto sino all’attuale assetto della disciplina per l’emersione del lavoro
nero ed irregolare, si riporta di seguito una elencazione, in ordine cronologico
inverso, delle fonti esistenti in materia, differenziandole in tre diverse sezioni: la
prima comunitaria, la seconda nazionale ed, infine, un breve cenno a quella
regionale.

Legislazione Europea

ƒ Commissione europea, Proposal for a Council Decision on Guidelines for the


employment policies of the Member State, Bruxelles, 7 aprile 2004;

ƒ Consiglio dell’Unione europea, Risoluzione del Consiglio sulla trasformazione


del lavoro nero in lavoro regolare, GU C260 del 29.10.2003;

ƒ Consiglio dell'Unione europea, Decisione del Consiglio del 22 luglio 2003


relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore
dell'occupazione, G.U.U.E. n. 197/13 L del 05-08-2003 Commissione europea,
Comunicazione della Commissione sul lavoro sommerso, COM (98) 219.

Legislazione Nazionale

ƒ Decreto legislativo n. 124 del 24.04.2004, Razionalizzazione delle funzioni


ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'articolo 8 della
legge 14 febbraio 2003, n. 30;
ƒ Decreto legislativo n. 343 (art. 5 comma 2) del 5.12.2003, Modifiche ed

integrazioni al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, sull'ordinamento della


Presidenza del Consiglio dei Ministri;
ƒ Decreto legislativo n. 276 del 10.09.2003, Attuazione delle deleghe in

materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n.
30;
ƒ Legge n. 30 del 14.02.2003, Delega al Governo in materia di occupazione e

mercato del lavoro;


ƒ Legge n. 266 del 22.11.2002, Conversione in legge, con modificazioni, del

decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, recante disposizioni urgenti in materia


di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale;

25
ƒ Decreto legge n. 210 del 25.09.2002, Disposizioni urgenti in materia di
emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale;
ƒ Circolare del Ministero del lavoro n. 50 del 20.09.2002, Dichiarazione di

emersione di lavoro domestico irregolare e dichiarazione di legalizzazione di lavoro


non domestico irregolare;
ƒ Decreto legge n. 195 del 09.09.2002, Disposizioni urgenti in materia di

legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari;


ƒ Legge n. 189 del 30.06.2002, Modifica alla normativa in materia di

immigrazione e di asilo;
ƒ Circolare INPS n. 49 del 13.03.2002, Dichiarazione di emersione di lavoro

irregolare e versamento della contribuzione sostitutiva. Istruzioni e modalità


operative 15;

ƒ Decreto legge n. 12 del 22.02.2002,Disposizioni urgenti per il


completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all'estero e di
lavoro irregolare;
ƒ Agenzia delle entrate, Circolare n. 17 del 11.02.2002, Norme per incentivare

l'emersione dell'economia sommersa. Capo I della legge 18 ottobre 2001, n. 383 e


successive modifiche. Ulteriori chiarimenti;
ƒ Legge n. 383 del 18.10.2001, Primi interventi per il rilancio dell'economia;

ƒ Agenzia delle entrate, Circolare n. 88 del 11.10.2001, Norme per incentivare

l'emersione dell'economia sommersa;


ƒ Legge n. 32/2000: prevede aiuti per l’assunzione di apprendisti;
ƒ Legge finanziaria n. 388/2000. Tra le principali misure introdotte sono da
sottolineare: gli sgravi contributivi per le imprese che recepiscono contratti di
riallineamento; la definizione dei criteri di selezione per l’istituzione “tutor” di
emersione, in particolare a livello territoriale; il complessivo alleggerimento del
sistema sanzionatorio; la riduzione dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche
e dell’imposta sul reddito per le persone fisiche gravanti sul reddito di impresa;

ƒ Legge n. 448 del 23.12.1998 (artt. 78-79) Misure di finanza pubblica per la
stabilizzazione e lo sviluppo. Istituisce il Comitato per l'emersione del lavoro non
regolare, le Commissioni regionali e provinciali e i tutori e appronta misure
organizzative intese alla repressione del lavoro non regolare e sommerso.
ƒ Legge n. 447/97: insieme al credito di imposta per gli investimenti, oltre ad
avere effetti positivi sull’occupazione, ha infatti avuto un effetto di emersione non
preventivato;
ƒ Decreto legge n. 388/1989, che offre l’opportunità alle imprese operanti nei
territori indicati dalle leggi sugli interventi nel mezzogiorno di usufruire dei benefici

26
della fiscalizzazione degli ineri sociali e degli sgravi contributivi, anche nei casi in
cui non è applicata la retribuzione prevista dai contratti collettivi stipulati dalle
organizzazioni sindacali.

Legislazione Regionale – Sicilia

ƒ Legge regionale n. 9 del 09.08.2002;


ƒ Legge regionale n. 30/1997 che prevede sgravi contributivi per le assunzioni
sino ad un massimo di sei anni.

Le misure del POR Sicilia

All'interno del Complemento di Programmazione del POR Sicilia, sono previste


nell’ambito dell’Asse III-RISORSE UMANE - misure che, per ambiti di intervento
ed obiettivi, presentano una evidente connessione ed integrazione con tutte le
tematiche legate al lavoro sommerso.

In particolare, la tematica del sommerso, si integra con le diverse misure:

- Misura 3.01 –Implementazione e messa in rete dei servizi per


l'impiego

La misura è finalizzata al miglioramento dell' occupabilità dei soggetti in cerca


di lavoro,(in particolare giovani) allo sviluppo e promozione delle politiche attive
del lavoro,con il coinvolgimento attivo dei servizi pubblici per l’impiego. Altra
finalità della misura è realizzare un sistema efficiente di servizi per l’impiego della
Regione Siciliana, pubblici e privati, che, in rete tra loro, accompagnano e
facilitano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, in armonia con i principi
cardine della Strategia Europea per l’Occupazione, del NAP e con quanto previsto
dalla Legge 14 febbraio 2003, n. 30 (c.d. Riforma Biagi) e successivi decreti
attuativi.

- Misura 3.02 - Inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro

L'obiettivo della misura, in coerenza con l'approccio della Strategia Europea


per l'Occupazione e con gli impegni assunti dal Piano nazionale per l'occupazione,è
finalizzata all'applicazione progressiva dell'approccio preventivo nell'ambito delle
politiche attive del lavoro.

27
La misura, si propone d’intervenire attraverso modalità preventive nei
confronti dei giovani disoccupati entro i sei mesi di ricerca di lavoro e sugli adulti
entro dodici mesi , sviluppando interventi differenziati per target di utenza, in
stretto collegamento con l'azione dei servizi per l'impiego e con priorità per i
progetti d'inserimento occupazionale nell' ambito degli accordi territoriali e
settoriali della Regione.

In primo luogo s'intende garantire, in particolare attraverso i centri per


l'impiego, una gestione personalizzata e sistematica di tutte le persone in cerca di
lavoro, offrire un'erogazione coordinata dei servizi, assicurare, anche interagendo
con gli altri soggetti pubblici e privati presenti nel territorio, l'incontro tra domanda
e offerta di lavoro.

In secondo luogo,s’intende favorire l'inserimento ed il reinserimento


lavorativo dei giovani ed adulti nell'ottica dell'approccio preventivo,realizzando
azioni di orientamento sulle dinamiche dell'occupazione; nel caso specifico dei
giovani s'intende promuovere un'azione diretta a favore delle persone in uscita
dall'obbligo scolastico, con uno sviluppo sia in senso orizzontale (rivolto a tutti) sia
in senso verticale (rivolto a specifiche utenze);

Inoltre, dovrà essere anche garantito il conseguimento dell'obbligo formativo


all'interno dei tre canali previsti (scuola, formazione, apprendistato).

- Misura 3.04 - Inserimento lavorativo e reinserimento di gruppi


svantaggiati

Obiettivo della misura è la prevenzione, il recupero della marginalità sociale


ed il sostegno di politiche di inclusione sociale per le fasce più deboli.

La misura intende contrastare l'esclusione sociale in tutte le sue forme,anche


attraverso la valorizzazione e l’accrescimento delle competenze dei soggetti deboli,
mirate all’inserimento/ reinserimento nel mercato del lavoro, ovvero all’accesso
alle misure di politica attiva del lavoro previste in altre misure.

In tema di contrasto al disagio sociale ed alla violenza, coerentemente con


quanto stabilito nel QCS, si sottolinea la centralità del coordinamento tra gli attori
e l’integrazione tra competenze e strumenti.

Le tipologie di intervento, che faranno capo o riferimento alle attività dei


nuovi Centri per l’Impiego, dovranno assumere caratteristiche quali

28
l’accompagnamento all’inserimento o al reinserimento, l’adozione di approcci di
tipo personalizzato e sensibile al genere o basati sulle reti di partenariato locale,
azioni di formazione degli operatori per la realizzazione di progetti integrati di
inserimento e aiuti all’occupazione ed alla creazione di imprese.

- Misura 3.08 - Promozione dell'istruzione e della formazione


permanente degli adulti

Obiettivo della misura è la promozione di un’offerta di istruzione, formazione


e orientamento per tutto l’arco della vita di individui adulti, occupati e non, al fine
di favorire il rientro nel sistema formale di istruzione e formazione professionale;
favorire l'estensione delle conoscenze, accompagnarli nel processo di
adeguamento delle proprie competenze e conoscenze culturali, tecnologiche e
aziendali rispetto alle richieste del mondo del lavoro e della vita sociale.

In tale contesto, attraverso l’approccio long life learning, si intende consentire


l’acquisizione e/o l’aggiornamento delle competenze necessarie per la
partecipazione attiva ai progressi della società della conoscenza come strumento
per favorire la realizzazione personale e professionale e, più in generale,
promuovere la coesione sociale.

La misura tende anche al recupero dei soggetti svantaggiati (disoccupati,


immigrati, anziani emarginati, etc.) tramite un’offerta di conoscenze e competenze
necessarie ad un recupero della vita relazionale, ad un inserimento o
reinserimento nel mondo del lavoro, e ad una progressiva crescita culturale,
condizione indispensabile per il graduale abbandono di situazioni di emarginazione
e per un migliore inserimento o reinserimento sociale nonché per il pieno esercizio
del diritto di cittadinanza.

La misura tiene conto altresì di tutte quelle azioni volte a promuovere le pari
opportunità delle donne nell’inserimento lavorativo e sociale e si attuerà in stretto
raccordo con il MIUR, titolare del PON "Scuola per lo sviluppo" secondo l'accordo
di programma siglato tra la Regione Siciliana ed il MIUR.

- Misura 3.09 - Sviluppo della competitività delle imprese con


priorità alle PMI

L’obiettivo della presente misura, è quello di realizzare interventi di


formazione degli occupati all’interno sia di progetti di sviluppo locale e settoriale
(ad esempio Patti territoriali e Contratti d’area), sia di piani formativi aziendali e

29
territoriali non rientranti nei progetti di intervento del Fondo Nazionale della
formazione continua. Le azioni in questo ambito potranno riguardare moduli di
aggiornamento brevi per lo sviluppo di competenze chiave delle PMI, azioni di
rafforzamento delle competenze nell’ambito del lavoro autonomo (anche con il
ricorso a voucher), offerta di servizi a PMI e medie imprese per l’analisi dei
fabbisogni e la pianificazione degli interventi formativi.

La finalità è anche quella di incoraggiare l’adattabilità delle aziende e dei


lavoratori nel mercato regolare e sostenere la capacità competitiva delle imprese,
sia per favorire i processi di adattamento alle innovazioni produttive e
organizzative,sia nell’ottica di un’organizzazione sensibile alle pari opportunità in
termini di rispetto delle normative di settore, di partecipazione equilibrata e di
attuazione delle politiche di conciliazione sia per favorire i processi di emersione
del lavoro nero anche attraverso formazione e consulenza specifica. Particolare
attenzione viene rivolta agli interventi formativi per i neo assunti, ai quali viene
data grande priorità alla luce del fatto che la Regione Siciliana offre opportunità
alle imprese, siano esse piccole che grandi, tali da stimolare la creazione di sedi in
Sicilia nonché la creazione di nuova occupazione.

- Misura 3.10 - Diffusione di competenze funzionali allo sviluppo nel


settore pubblico

Finalità della misura è promuovere e adeguare alle nuove necessita le


capacità di progettazione, implementazione, monitoraggio e valutazione degli
operatori della Pubblica Amministrazione,anche per sostenere il processo di
innovazione in atto, fornendo gli strumenti per dotare la stessa di quelle
professionalità necessarie al decollo di nuovi servizi, processi e modelli culturali.

La linea di intervento è anche finalizzata ad azioni mirate al potenziamento


degli Sportelli Unici, dei servizi erogati ed erogabili, anche con riferimento alle
attività e ai compiti degli Uffici Unici degli Enti Locali,nell’ambito della
progettazione integrata territoriale e dello sviluppo locale.

- Misura 3.11 - Sostegno al lavoro regolare e all'emersione delle


attività non regolari

La misura intende favorire i processi di emersione del lavoro non regolare,


sostenendo da una parte l'implementazione delle altre misure del Programma che
hanno riflessi sull'emersione e, dall’altra, attivando azioni volte direttamente o
indirettamente,a favore di individui o imprese sommersi o a rischio di

30
immersione,con particolare riferimento alle nuove iniziative di sviluppo finanziate
dal POR.

La misura si articolata in diverse azioni dirette a :

- Sostegno a iniziative di studio e animazione del territorio;

- Azioni formative per favorire l'emersione;

- Sostegno per servizi itineranti - promossi anche dalle parti sociali - per
l'emersione diretta ad imprese/gruppi di imprese;

- Disseminazione,anche attraverso servizi reali di consulenza,degli strumenti


contrattuali e regolamentari per l'emersione anche attraverso attività d’
informazione sulla normativa in tema di lavoro, fisco, previdenza e sicurezza;

- Attivazione di programmi finalizzati a promuovere e far conoscere i


contratti di riallineamento di settore ed aziendali

- Azioni di accompagnamento finalizzati alla creazione di nuove iniziative a


sostegno della microimprenditorialità giovanile e no-profit (economia sociale) e
d'iniziative imprenditoriali nei nuovi bacini di impiego, con priorità a quelle
promosse dalle società miste tra Enti locali e cooperative di giovani LSU e LPU.

La presente misura, intende collocarsi nell’ambito di quella strategia comune


europea basata sulla prevenzione e sul policy mix previsto nella strategia europea
per l'occupazione (SEO).

- Misura 3.12 - Promozione della partecipazione femminile al


mercato del lavoro

L’obiettivo della misura è il mainstreaming di genere e la maggiore


partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Nel primo caso, si intende mettere in atto una strategia di monitoraggio


qualitativo dei nuovi servizi per l’impiego e di sensibilizzazione e supporto alle
amministrazioni pubbliche, per l’integrazione del mainstreaming di genere nelle
politiche locali, con attenzione alle donne in difficoltà per situazioni di violenza o
vittime di tratta.

31
Nel secondo caso, l’incremento della partecipazione femminile al Mercato del
Lavoro sarà focalizzato sulle donne a bassa scolarità e sulla disoccupazione
intellettuale.

Altra finalità e obiettivo della misura ,è legata allo sviluppo


dell’imprenditorialità e alla realizzazione di campagne di sensibilizzazione e
promozione dell’accesso al credito indirizzati al sistema bancario.

- Misura 3.21 - Iniziative per legalità e sicurezza

La misura intende sviluppare iniziative finalizzate alla diffusione e


divulgazione di una “cultura della legalità” e delle regole del vivere civile, spesso in
aree della nostra regione “sopraffatte” da una “non cultura” in cui regole e Stato
sono altro dal vissuto quotidiano.

Le azioni sono destinate a diverse tipologie di “utenti”. La misura,


confermando la scelta operata nel primo periodo di programmazione, ha anche
come obiettivo quello di proseguire nella costruzione di reti e servizi rivolti al
contrasto del fenomeno della violenza verso donne e minori, anche attraverso la
qualificazione delle risorse umane presenti nei servizi pubblici e privati e nelle
forze dell’ordine.

Nell’attuazione della misura sarà tenuto conto del necessario raccordo con il
PON “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia”, a titolarità del Ministero
dell’Interno e con gli Accordi di Programma Quadro “Sicurezza e Legalità per lo
sviluppo della Regione siciliana.

La misura si articola in tre sottomisure.

Sottomisura 3.21 a)

Contrasto alla devianza sociale, alla violenza ed alla criminalità

1. Azioni di sensibilizzazione e iniziative di messa in rete di servizi


per la lotta alla violenza domestica ed all’abuso su donne e minori;
2. Azioni di formazione/aggiornamento destinate ad operatori sia
pubblici che privati impegnati sul territorio;.
3. Interventi formativi e di aggregazione rivolti a specifici contesti
territoriali;

32
4. Interventi di promozione volti alla sottoscrizione di “Patti per la
legalità” finalizzati ad individuare progetti ed iniziative comuni per la
diffusione della legalità correlati alle esperienze di sviluppo locale;
5. Azioni di sostegno a percorsi di reinserimento sociale per minori
provenienti da istituzioni carcerarie o per soggetti che si dissociano dalla
cultura mafiosa d’origine;
6. Voucher formativi da utilizzare nell’ambito del “Catalogo
dell’offerta formativa regionale”.

Sottomisura 3.21 b)

Prevede la seguente azione:

Campagne di educazione alla legalità nelle scuole.

Sottomisura 3.21 c)

La sottomisura prevede la seguente azione:

Prevenzione e contrasto dei fenomeni estorsivi ed usurai ad opera della


criminalità organizzata mediante il sostegno a società, imprenditori, commercianti,
artigiani, cooperative, liberi professionisti, nuclei familiari e/o singoli cittadini
esposti o danneggiati dai predetti fenomeni criminali.

33
PARTE TERZA
I. Lo scenario del lavoro sommerso a livello Europeo
II. La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche
ufficiali. Anni 2000-2004
III. Il sommerso a livello nazionale, del meridione e regionale
IV. La Commissione Regionale per l’emersione del lavoro non
regolare della Regione siciliana
V. Appendice statistica

34
1. Lo scenario del lavoro sommerso a livello Europeo
1.1. La definizione di lavoro sommerso nei documenti comunitari

1.1.1 Comunicazione della Commissione (COM(98) 219 def.)

Il concetto di "lavoro sommerso" riguarda le attività retribuite di per sé


legittime ma che non vengono dichiarate alle autorità pubbliche, nella
consapevolezza però che si deve tener conto delle diversità che sussistono nei
sistemi normativi degli Stati membri. Applicando questa definizione se ne
escludono le attività criminali come anche le attività lavorative che non
necessitano una notifica alle autorità.

1.1.2. Risoluzione del Consiglio 1999/C 125/01

Il concetto di "lavoro sommerso" riguarda qualsiasi attività retribuita, di


natura lecita ma non dichiarata conformemente alla legislazione e alle prassi
nazionali. In tutti i casi la presente definizione non deve essere più restrittiva della
legislazione in vigore in ciascuno Stato membro.

1.1.3. Parere del Comitato Economico e Sociale sulla "Comunicazione della


Commissione sul lavoro sommerso" (COM(98) 219 def.) CES 63/99.

Il Comitato ritiene accettabile la definizione di "lavoro sommerso" come


"qualsiasi attività retribuita lecita di per sé, ma non dichiarata alle autorità
pubbliche" data la necessità di adottare una definizione comune a tutti gli Stati
membri.

Il Comitato ritiene che tale definizione vada avvicinata alla nozione più
comune di lavoro nero onde evitare ambiguità rispetto, ad esempio, alle attività di
volontariato o di beneficenza, oppure al lavoro svolto nell'ambito familiare -
fondamentalmente le attività domestiche saltuarie.

Resta inteso, invece, che la pratica secondo la quale il datore di lavoro e il


dipendente non dichiarano una parte del lavoro eseguito costituisce una forma di
lavoro non dichiarato. Il Comitato tiene tuttavia a precisare che possono esistere
altre forme di attività retribuita, di per sé lecite, che, però, per le modalità con cui
sono esercitate, diventano illegali e non sono di conseguenza dichiarabili, per cui
richiedono un trattamento adeguato.

35
1.2. La definizione di economia sommersa del U.S.Department of Labor.

Il Dipartimento del lavoro americano si è soffermato sulla tassonomia


convenzionale riguardante le attività ricomprese nella economia sommersa e ha
distinto:

• l'economia illegale, quale attività economica esercitata in violazione della


disciplina che determina le modalità del corretto esercizio dell'attività
imprenditoriale;
• l'economia non dichiarata ("unreported economy"), quale attività economica
che aggira o evade gli obblighi fiscali; - l'economia non registrata ("the unrecorded
economy"), quale attività economica non rilevata dalle statistiche ufficiali
concernenti il mercato;
• l'economia informale ("the informa1 economy") quale attività economica
che evade i costi connessi al rispetto del complesso di norme che regolano il
corretto esercizio dell'attività imprenditoriale.

(definizioni tratte da PRIEST G.L., The ambigous moral foundations of the Underground
Economy, in The Yale Law Journal, 1994, Vol. 103, p. 2260)

Il lavoro nero in Europa

Secondo l'indagine svolta dalla Commissione europea (Commissione Europea


(1998), Paper on Unclared Works, DG V, Bruxelles) una percentuale tra il 7% e il
16% del lavoro negli Stati membri ricade sotto questa definizione di lavoro
sommerso.Per quanto riguarda il nostro Paese, con un'economia sommersa
stimata dalla Commissione tra il 20% e il 26% del Pil, l'Italia figura al secondo
posto nella graduatoria europea, preceduta soltanto dalla Grecia (29% -
35%).Inoltre, il lavoro nero non riguarda soltanto i settori 'tradizionali' come
l'agricoltura, l'edilizia, i servizi domestici, ma anche nuove figure professionali
altamente qualificate che lavorano da casa con le nuove tecnologie. Secondo il
rapporto, i 15 Stati possono essere suddivisi in tre categorie: quelli in cui
l'economia sommersa si aggira intorno al 5% del Pil, come i Paesi scandinavi,
l'Irlanda, l'Austria e i Paesi Bassi; quelli in cui è oltre il 20% del Pil (Grecia e Italia),
e quelli 'intermedi', come il Regno Unito e la Germania.

36
Ecco qui di seguito in ordine decrescente il peso stimato del sommerso per
ciascun Paese:

Paesi Peso del sommerso


Grecia 29-35%
Italia 20-26%
Spagna 23%
Belgio 12-21%
Regno Unito 7-13%
Germania 4-14%
Portogallo n.d.
Francia 4-14%
Paesi Bassi 5-14%
Irlanda 5-10%
Austria e Svezia 4-7%
Lussemburgo 3%
Danimarca 3-7%
Finlandia 2-4%

FONTE : TERZOLI P., Il lavoro nero in Europa, in Lav. inf. , 1998, n. 8, pp. 39 ss.

37
2. La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche
ufficiali. Anni 2000-2004.
FONTE : Istat documento del 14 dicembre 2006

Premessa

In generale, l’analisi teorica dell’economia sommersa ha ricevuto scarsa attenzione nella


letteratura economica. I primi tentativi di spiegare il fenomeno si sono basati sulla teoria
della segmentazione del mercato del lavoro, secondo la quale ad un settore primario a
domanda di lavoro regolare veniva contrapposto un settore secondario caratterizzato da
bassa produttività, bassi salari e condizioni di lavoro particolarmente precarie.
In un tale contesto economico, in cui le differenze tra un settore primario fortemente
strutturato e protetto ed un settore secondario di carattere residuale e precario sono
significative, il lavoro sommerso diviene quasi automaticamente una caratteristica
strutturale del mercato secondario.
Queste spiegazioni derivano dalle analisi dei processi di sviluppo delle economie agricole e
dallo studio del funzionamento di economie industriali caratterizzate da elevati livelli di
disoccupazione strutturale; in entrambi i casi, siccome non è conveniente entrare nel
mercato del lavoro secondario, l’economia sommersa può contare su un’offerta di lavoro
consistente.
Un filone di letteratura parallelo ha invece studiato le implicazioni del sistema fiscale sulle
dimensioni e il funzionamento dell’economia sommersa. In questo contesto viene
analizzato il comportamento di soggetti economici (imprenditori e lavoratori),
caratterizzati da una elevata propensione al rischio, che operano in condizioni di
informazione imperfetta sia per quanto riguarda le politiche fiscali, sia in riferimento alle
politiche di controllo e di repressione dell’evasione e del sommerso.
E’ particolarmente intuitivo che al crescere della tassazione sia spesso associato un
incremento delle attività sommerse. Anche le caratteristiche del sistema di regolazione,
quali la complessità e l’intensità regolativi (misurata dal numero di norme, procedure e
autorizzazioni necessarie per svolgere un’attività economica) possono incentivare il
sommerso. Infine, è stato sottolineato come la diffusione del sommerso sia anche
associata al grado di moralità fiscale e di corruzione che influenza il livello di accettazione
sociale del fenomeno. Fenomeni ancora oggi particolarmente validi in quanto cause
principali dello sviluppo del sommerso.
La letteratura che si è sviluppata successivamente ha continuato ad associare al
sommerso due implicazioni economiche assai diverse: il “sommerso per necessità” ed il
“sommerso per convenienza”. Nel primo caso, i lavoratori e le imprese scontano una
scarsa efficienza e riescono a restare sul mercato solo offrendo remunerazioni inferiori a
quelle di mercato (presenti nel settore regolare) e beneficiando di una maggiore
flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro (in tal caso si parla di sommerso da “arretratezza
produttiva” che riguarda principalmente fasce a basso livello di istruzione e qualificazione
della forza lavoro). Nel secondo caso, invece, l’elemento che sembra prevalere riguarda il
ricorso a comportamenti di concorrenza sleale in cui le disposizioni di legge vengono
evase al solo scopo di ottenere benefici sui costi di produzioni. Le caratteristiche del
sistema economico risultano quindi rilevanti per capire la natura e la diffusione del
sommerso: da un lato, la frammentazione del tessuto produttivo e la diffusione di

38
microimprese marginali (imprese familiari, lavoro agricolo, settore artigianale e terziario
tradizionale, settori ad alta intensità di manodopera e a bassa redditività) può favorire il
ricorso al sommerso; dall’altro, un sistema industriale caratterizzato da forte
competizione sui costi e dalla ricerca di flessibilità può altresì generare un consistente
flusso economico del sommerso.
Nel contesto di una determinata situazione fiscale e contributiva si inseriscono
obbligatoriamente anche i processi decisionali dei singoli individui che, in fin dei conti,
sono gli unici soggetti a scegliere se lavorare o meno nel settore sommerso: i principali
motivi che spingono i membri di una famiglia a lavorare irregolarmente sono sicuramente
connessi con l’evasione fiscale.

2. La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali.


Anni 2000-2004.

L’Istat diffonde le stime, aggiornate al 2004, del Pil e dell’occupazione


attribuibile alla parte di economia non osservata costituita dal sommerso
economico. Quest’ultimo deriva dall’attività di produzione di beni e servizi che,
pur essendo legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al
fenomeno della frode fiscale e contributiva. Tale componente è già compresa nella
stima del prodotto interno lordo e negli aggregati economici diffusi correntemente
dall’Istat il 1° marzo di ogni anno. Oggi vengono presentate informazioni
dettagliate sulla dimensione e sulle caratteristiche del sommerso economico che
tengono conto della recente revisione degli aggregati economici nazionali,
completata il 1° marzo del 2006.

Secondo i criteri dell’Unione Europea, solo una misura esaustiva del Pil rende
tale aggregato confrontabile fra i vari Paesi e uno degli elementi per il calcolo dei
contributi che gli Stati membri versano all’Unione, una delle misure di riferimento
per il controllo dei parametri di Mastricht, infine, uno degli indicatori per
l’attribuzione dei fondi strutturali. Fornire una stima esaustiva del Pil significa
valutare non soltanto l’economia direttamente osservata attraverso le indagini
statistiche sulle imprese e gli archivi fiscali e amministrativi, ma anche quella non
direttamente osservata.

La conoscenza del complesso fenomeno dell'economia sommersa è


condizione necessaria per assicurare l'esaustività delle stime del prodotto interno
lordo, misurarne l'impatto sulla crescita del sistema economico, studiare le forme
che tale fenomeno assume nel nostro mercato del lavoro.

La contabilità nazionale italiana, al pari di quella degli altri paesi dell’Unione


Europea, segue gli schemi e le definizioni dell’ultima edizione del Sistema europeo

39
dei conti (Sec95) che impongono di contabilizzare nel Pil anche l’economia non
direttamente osservata.

L’Istituto statistico dell’Unione Europea (Eurostat) vigila sul rispetto del Sec e
sulla bontà delle metodologie adottate dagli Stati membri, accertandone e
certificandone la validità, soprattutto in relazione alla capacità di produrre stime
esaustive del Pil.

Economia non osservata ed economia sommersa

Con il termine economia non direttamente osservata si fa riferimento a


quelle attività economiche che devono essere incluse nella stima del Pil ma che
non sono registrate nelle indagini statistiche presso le imprese o nei dati fiscali e
amministrativi utilizzati ai fini del calcolo delle stime dei conti economici nazionali,
in quanto non osservabili in modo diretto.

Sulla base delle definizioni internazionali (contenute nel Sec95 e


nell’Handbook for Measurement of the Non-observed Economy dell’Ocse)
l’economia non osservata origina, oltre che dal sommerso economico definito
precedentemente, anche da: 1) attività illegali; 2) produzione del settore
informale; 3) inadeguatezze del sistema statistico.

Le attività illegali sono sia le attività di produzione di beni e servizi la cui


vendita, distribuzione o possesso sono proibite dalla legge, sia quelle attività che,
pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati (ad esempio, l’aborto
eseguito da medici non autorizzati). Sono legali tutte le altre attività definite
produttive dai sistemi di contabilità nazionale.

Si parla di attività informali se le attività produttive legali sono svolte su


piccola scala, con bassi livelli di organizzazione, con poca o nulla divisione tra
capitale e lavoro, con rapporti di lavoro basati su occupazione occasionale,
relazioni personali o familiari in contrapposizione ai contratti formali.

Le attività produttive legali non registrate esclusivamente per deficienze del


sistema di raccolta dei dati statistici, quali il mancato aggiornamento degli archivi
delle imprese o la mancata compilazione dei moduli amministrativi e/o dei
questionari statistici rivolti alle imprese, costituiscono il sommerso statistico.

Quella che comunemente viene detta economia sommersa, nelle definizioni


internazionali coincide con il solo sommerso economico, cioè con l’insieme delle

40
attività produttive legali svolte contravvenendo a norme fiscali e contributive al
fine di ridurre i costi di produzione.

Il concetto di sommerso economico non va confuso con il termine


economia informale, che non è sinonimo di attività nascosta al fisco, poiché fa
riferimento agli aspetti strutturali dell’attività produttiva e non alla problematica
dell’assolvimento degli obblighi fiscali e contributivi. Le attività informali sono
incluse nell’insieme dell’economia non osservata perché, date le loro
caratteristiche, sono difficilmente rilevabili in modo diretto.

Non osservato e sommerso non significano non misurato

I nuovi sistemi di contabilità nazionale, come detto, impongono a tutti i paesi


di contabilizzare nel Pil anche l’economia non osservata. Teoricamente, tutti i
fenomeni che danno luogo a economia non osservata sono oggetto di stima e di
inclusione nei conti nazionali.

Allo stato attuale, però, la contabilità nazionale italiana, al pari di quella degli
altri partners europei, esclude l’economia illegale per l’eccessiva difficoltà a
calcolare tale aggregato e per la conseguente incertezza della stima, che
renderebbe poco confrontabili i dati dei vari paesi.

L’Istat ha adottato una metodologia di stima dei conti economici nazionali


coerente con le definizioni contenute nel Sec95 e che, per la sua completezza,
consistenza e replicabilità, ha assunto un rilievo particolare all’interno della
statistica ufficiale europea. L’impianto metodologico, che è descritto
sinteticamente nella nota metodologica, ha la funzione primaria di garantire stime
complessive integrate con le stime dell’economia non osservata.

Esiste inoltre la possibilità di separare l’effetto delle singole integrazioni


portate ai dati di base rilevati presso le imprese, così da evidenziare, a posteriori,
quelle rese necessarie per ovviare ai comportamenti tesi a frodare il fisco e la
contribuzione sociale. E’ cioè possibile individuare la stima del sommerso
economico. In realtà, la difficoltà oggettiva di misurare fenomeni non direttamente
osservabili fa ritenere scientificamente corretto misurare l’incidenza dell’economia
sommersa sul Pil fornendo non un valore unico, ma un intervallo fra le due stime
che rappresentano un’ipotesi di minima e un’ipotesi di massima della dimensione
del fenomeno,tenendo conto del fatto che, per alcune integrazioni, non è possibile
determinare con certezza quanto derivi da problematiche di natura puramente
statistica e quanto derivi, invece, da problematiche di natura economica.

41
Data la limitata ampiezza dell’intervallo, le valutazioni costituiscono
comunque un riferimento conoscitivo solido per le scelte di politica economica,
implicanti recupero di gettito fiscale e di contribuzione.

2.1 Il valore aggiunto del “sommerso”.

In questo paragrafo sono presentati i dati relativi alla parte di Pil attribuibile
all’area del sommerso economico. Per ciascun anno vengono fornite due stime che
corrispondono agli estremi dell’intervallo all’interno del quale si ritiene compreso il
valore “esatto” del fenomeno.

L’esercizio condotto dall’Istat consente di identificare separatamente le


diverse componenti della stima complessiva del valore aggiunto, riconducibili al
fenomeno della frode fiscale e contributiva. Queste derivano, o da stime miranti ad
integrare o correggere i dati ricavabili dalle dichiarazioni delle imprese
(integrazioni esplicite), o dall’enucleazione, dalla stima complessiva di un
fenomeno (es.: l’insieme dei fitti pagati), della parte implicita relativa a sommerso
economico (integrazioni implicite).

Nella presente nota le varie integrazioni non sono presentate con riferimento
alle modalità “esplicite” o “implicite”, ma con riferimento, in quanto ritenuto più
interessante, ai diversi fenomeni di comportamento fraudolento rispetto alle
normative fiscali o amministrative, raggruppandole in tre principali tipologie. In un
primo gruppo è considerato l’insieme delle integrazioni ascrivibili: a) ai controlli di
coerenza sui microdati d’impresa; b) ai controlli di coerenza sui costi intermedi a
livello macro; c) alla locazione in nero d’immobili; d) alla parte di valore aggiunto
realizzato attraverso attività edilizia abusiva.

Un secondo gruppo evidenzia la parte di valore aggiunto realizzata attraverso


l’utilizzazione di occupazione non regolare (cioè non dichiarata dalle imprese).

Ai primi due gruppi si aggiunge l’integrazione dovuta alla riconciliazione finale


fra le stime indipendenti dell’offerta e della domanda di beni e servizi. Questa è
ancora configurabile come integrazione dovuta a sottodichiarazione di fatturato o
sovradichiarazione di costi, ma viene tenuta distinta per i motivi di seguito esposti.

La valutazione che l’Istat fornisce dell’economia sommersa individua quanta


parte del prodotto interno lordo italiano è certamente ascrivibile al sommerso
economico (ipotesi minima) e quanta parte del prodotto interno è presumibilmente
derivante dallo stesso sommerso economico ma è difficile misurare in modo certo,
data la commistione tra problematiche di natura statistica e di natura economica
da cui essa origina (ipotesi massima). Dei tre diversi tipi d’integrazione sopra
richiamati, i primi due concorrono alla valutazione dell’ipotesi minima, mentre il

42
terzo (riconciliazione fra le stime indipendenti degli aggregati dell’offerta e della
domanda), unitamente agli altri, concorre alla valutazione dell’ipotesi massima.
Questo tipo d’integrazione contiene in se, in proporzione non identificabile, sia
effetti collegabili a fenomeni di carattere puramente statistico, sia fenomeni
certamente ascrivibili all’esistenza dell’economia sommersa, non pienamente colti
attraverso i primi due tipi d’integrazione. Infatti, essendo le stime degli aggregati
di offerta più direttamente condizionate dall’interesse degli operatori economici a
dissimulare parte dei loro profitti, avviene normalmente che le stime degli
aggregati economici di domanda siano più esaustive di quelle dell’offerta.

I valori resi disponibili oggi modificano i risultati pubblicati nel 2005 in quanto
tengono conto delle innovazioni introdotte nella stima degli aggregati nazionali a
partire dall’anno di benchmark 2000. Queste ultime, in particolare, si basano su
nuove fonti di informazione e su modifiche delle metodologie di stima, in accordo
con le più recenti normative comunitarie e/o le procedure di armonizzazione del
reddito nazionale lordo adottate in ambito comunitario

Le nuove stime del Pil a prezzi correnti presentano una generale rivalutazione
rispetto a quelle precedenti: nel 2000 il coefficiente di rivalutazione del Pil a prezzi
correnti risulta pari al 2,1%.

Scomponendo il coefficiente di rivalutazione si evidenzia come l’impatto sia


dovuto al miglioramento delle fonti e dei metodi di stima (1,1%), ma anche in
modo consistente al nuovo sistema di trattamento dei servizi d’intermediazione
finanziaria indirettamente misurati (SIFIM, 1%)

La stima del valore aggiunto afferente all’area del sommerso economico ha


subito delle modifiche consistenti, rispetto alle serie precedenti, ascrivibili a:

- modifiche metodologiche introdotte con la recente revisione dei conti;

- una più mirata valutazione della parte di locazione in nero d’immobili;

- un diverso peso assunto da alcuni importanti indicatori come, ad esempio,


una minore incidenza delle unità di lavoro non regolari.

I cambiamenti metodologici più rilevanti riguardano:

- la revisione del metodo di rivalutazione del valore aggiunto dichiarato dalle


imprese a livello micro;

- l’introduzione di una fase di verifica e correzione dei costi intermedi


sovradichiarati dalle imprese, a livello macro;

43
- il nuovo sistema di riconciliazione degli aggregati della domanda e
dell’offerta che prevede un bilanciamento delle risorse e degli impieghi per
prodotto attraverso un sistema integrato di tavole supply e use.

Nel 2004 il valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico è


compreso tra un minimo del 16,6% del Pil (pari a circa 230 miliardi di euro) e un
massimo del 17,7% (pari a circa 246 miliardi di euro) (Tabella 1). Nel 2000, la
percentuale minima era pari al 17,7% e la massima al 18,8% (rispettivamente
corrispondenti a circa 211 miliardi e a 225 miliardi di euro).

Il maggiore o minore accostamento nel tempo delle due misure del


sommerso (ipotesi minima e ipotesi massima) può essere spiegato dai
comportamenti delle imprese, che in alcuni periodi tendono ad usare forme di
evasione diversificate. I dati evidenziano, in particolare, che negli anni successivi
alle regolarizzazioni degli immigrati si riduce la parte di valore aggiunto sommerso
attribuibile al lavoro non regolare (compresa nell’ipotesi minima), mentre crescono
altre forme di evasione (in parte comprese nell’ipotesi massima) come, ad
esempio, i fuori busta e/o l’utilizzo improprio di forme di lavoro a carattere atipico
(che spesso celano forme di elusione delle norme contrattuali e previdenziali).

Un’analisi più approfondita dei dati evidenzia come il peso del valore aggiunto
sommerso differisce in modo consistente a livello di settore di attività economica

44
dei costi intermedi, all’attività edilizia abusiva e ai fitti in nero, in un 6,4% dovuto
all’utilizzazione di lavoro non regolare e in un 1,1% derivante dalla necessità di
riconciliare le stime dell’offerta di beni e servizi con quelle della domanda.

2.2 Il lavoro non regolare

Il concetto di occupazione regolare e non regolare è strettamente connesso a


quello di attività produttive osservabili e non osservabili comprese nei confini della
produzione del sistema di contabilità nazionale. Sono definite regolari le
prestazioni lavorative registrate e osservabili sia dalle istituzioni fiscali-contributive
sia da quelle statistiche e amministrative. Sono definite non regolari le
prestazioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia
fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le
istituzioni e le fonti amministrative.

Rientrano in tale categoria le prestazioni lavorative: 1) continuative svolte


non rispettando la normativa vigente; 2) occasionali svolte da persone che si
dichiarano non attive in quanto studenti, casalinghe o pensionati; 3) svolte dagli
stranieri non residenti e non regolari; 4) plurime, cioè le attività ulteriori rispetto
alla principale e non dichiarate alle istituzioni fiscali.

Le stime qui presentate aggiornano le serie delle unità di lavoro regolari e


non regolari già pubblicate per il periodo 2000-2004. Le nuove stime scaturiscono
dal processo di revisione generale dei conti nazionali che ha riguardato
principalmente il livello dell’occupazione nel suo complesso.

La revisione generale dei conti è rivolta principalmente al miglioramento delle


stime prodotte tenendo in maggiore considerazione le nuove fonti di dati. Le
revisioni straordinarie dei dati di occupazione comportano, in particolare, l’utilizzo
delle risultanze censuarie. L’importanza della revisione ai fini dell’occupazione,è
connessa inoltre al metodo di stima utilizzato che prevede di effettuare una stima
di livello nell’anno base - per il quale la disponibilità delle fonti di dati è massima -
e di aggiornare tale stima con la dinamica degli indicatori di occupazione derivanti
dalle indagini correnti dell’Istat e da fonti di natura amministrativa.

L’anno base della nuova serie di dati di occupazione è il 2001. In tale anno, le
unità di lavoro nel complesso sono risultate pari a 23 milioni e 829 mila unità (8
mila unità in meno rispetto al valore precedente alla revisione). Scomponendo le
unità di lavoro tra regolari e non regolari, le prime raggiungono i 20 milioni e 548
mila unità, (circa 314 mila in più rispetto alla stima precedente alla revisione),

46
mentre le unità di lavoro non regolari ammontano a circa 3 milioni e 280 mila
unità, (- 322 mila unità).

Nel caso del volume di lavoro, quindi, la revisione generale dei conti nazionali
ha avuto come effetto principale quello di modificare la distribuzione delle unità di
lavoro tra regolari e non regolari. I motivi di tali cambiamenti sono attribuibili: 1)
alla revisione del numero degli occupati residenti rilevato dalla nuova indagine
continua sulle forze di lavoro; 2) all’utilizzo di nuove fonti di informazione dal lato
della domanda di lavoro (imprese e istituzioni); 3) a cambiamenti metodologici che
hanno interessato alcuni settori produttivi (ad esempio, l’agricoltura e i servizi
domestici).

In particolare, il numero degli occupati residenti rilevati dalla nuova indagine


sulle forze di lavoro è stato aggiornato in base alla popolazione legale definita dal
Censimento della popolazione di ottobre 2001.

Ciò ha comportato la conseguente revisione del numero di occupati residenti,


regolari e irregolari, anche nelle stime di contabilità nazionale (nel 2001 circa 244
mila unità rispetto alla serie precedente).

Sempre nell’anno di benchmark, i dati di occupazione forniti dalla domanda di


lavoro sono stati revisionati tenendo conto dei livelli risultanti da nuove fonti
informative (Censimento dell’industria e dei servizi del 2001; Registro delle
imprese attive nel 2001; Censimento dell’agricoltura del 2000; Censimento delle
istituzioni non-profit riferito al 1999). In tal modo è stato possibile aggiornare il
livello delle stime sulle posizioni lavorative regolari e migliorarne la distribuzione
per attività economica e per classe dimensionale di impresa. Il risultato di questa
operazione è stato quello di far crescere nelle nuove stime l’importanza del lavoro
regolare e di ridurre quella del lavoro non regolare .

Le nuove stime prodotte evidenziano nel 2004 un numero di unità di lavoro


nel complesso dell’economia pari circa 24 milioni e 294 mila unità di lavoro, di cui
2 milioni e 794 mila non regolari (Tabella 4).

Si ricorda che le unità di lavoro (ula) rappresentano una misura di quanto il


fattore lavoro contribuisce alla produzione del paese in un determinato periodo. Le
ula sono calcolate attraverso la trasformazione in unità a tempo pieno delle
posizioni lavorative ricoperte da ciascuna persona occupata nel periodo di
riferimento.

47
Fra il 2000 e il 2004 la crescita del volume di lavoro ha interessato
prevalentemente l’occupazione regolare: le ula regolari passano da circa 20 milioni
e 302 mila unità di lavoro a 21 milioni e 500 mila unità (circa 1 milione e 198 mila
unità in più). Tale crescita ha riguardato prevalentemente l’occupazione
dipendente regolare che, nel 2004, risulta pari a circa 14 milioni e 821 mila unità
(13 milioni e 774 mila unità nel 2000).

La crescente flessibilità dei rapporti di lavoro in termini di orario, durata e


attivazione di nuove forme di contratti (come, ad esempio, il lavoro interinale) ha
contribuito sensibilmente ad accrescere, nel periodo considerato, il livello
dell’occupazione regolare. Tra il 2000 e il 2004 l’input di lavoro regolare cresce del
5,9%, mentre le unità di lavoro non regolari diminuiscono del 10,2%.

Tra il 2002 e il 2003 un forte impulso alla crescita della regolarità lavorativa
proviene dall’ultima sanatoria di legge a favore dei lavoratori extracomunitari
occupati in modo non regolare (legge n. 189 del 30 luglio 2002). Le informazioni
fornite dal Ministero dell’Interno hanno indicano in 647 mila il numero dei
lavoratori stranieri che lavoravano senza contratto presso famiglie (316 mila) e
imprese (330 mila) e che sono stati regolarizzati con l’ultima sanatoria. I dati di

48
contabilità nazionale, per definizione, includono la componente dei lavoratori
stranieri non regolari, sia residenti che presenti; l’effetto della regolarizzazione
nelle stime delle unità di lavoro ha comportato, quindi, soltanto una transizione
dalla componente non regolare a quella regolare. La sanatoria di legge a favore
dei lavoratori immigrati stranieri ha dunque contribuito a ridurre le unità di lavoro
non regolari in particolare nel 2002, anno di entrata in vigore della sanatoria, e nel
2003, quando si è concluso il rilascio dei permessi di soggiorno da parte delle
questure.

Il tasso di irregolarità (calcolato come incidenza delle unità di lavoro non


regolari sul totale delle unità di lavoro) si attesta nel 2004 intorno all’11,5%
(13,3%). Il tasso diminuisce tra le unità di lavoro dipendenti mentre è in leggera
crescita tra quelle indipendenti; l’incidenza delle unità di lavoro non regolari
dipendenti passa dal 15,4% del 2000 al 12,8% nel 2004, quella delle unità di
lavoro non regolari indipendenti all’8,5% all’8,6%.

I settori maggiormente coinvolti dall’irregolarità del lavoro sono quelli


dell’agricoltura e dei servizi. In agricoltura, ad esempio, il carattere frammentario e
stagionale dell’attività produttiva favorisce l’impiego di lavoratori temporanei che,
in molti casi, essendo pagati a giornata non sono regolarmente registrati.

Nel 2004, il tasso di irregolarità è pari al 18,3% in agricoltura (20,5% nel


2000), al 5,7% nell’industria (7,1% nel 2000) e al 13,4% nei servizi (15,3% nel
2000) (Tavola 5). Il peso significativo che il lavoro non regolare assume nel
comparto agricolo fa sì che il tasso di irregolarità calcolato per l’intera economia
risulti inferiore di un punto percentuale al netto di tale settore (10,5%).

All’interno del terziario, il fenomeno è particolarmente rilevante nel comparto


“commercio, alberghi, pubblici esercizi, riparazioni e trasporti”, dove il 18,4% delle
unità di lavoro risultano non registrate (19,6% nel 2000); in particolare raggiunge
il 35% negli alberghi e pubblici esercizi e il 28,8% nel trasporto merci e persone
su strada. Più modesto e stabile nel tempo è l’impiego di unità di lavoro non
regolari nel comparto “dell’intermediazione monetaria e finanziaria e dell’attività
imprenditoriali e immobiliari”, pari al 9,5% nel 2004.

Nel comparto degli “altri servizi” i livelli di irregolarità a livello aggregato non
sono particolarmente elevati e pari al 10,3%. Tuttavia il tasso di irregolarità sale

49
sensibilmente, attestandosi al 13,1%, se si esclude l’occupazione impiegata nella
pubblica amministrazione – che è invece immune dal fenomeno-raggiungendo
livelli particolarmente alti (49,4%) nei servizi domestici golare.

L’industria in senso stretto è solo marginalmente coinvolta dal fenomeno del


lavoro non regolare: nel 2004 il tasso di irregolarità è pari al 3,8 (4,6% nel 200);
risulta più elevato rispetto alla media nel tessile e abbigliamento (9%) e
nell’industria del legno (6,8%).

Nelle costruzioni il tasso di irregolarità è pari nel 2004 al 10,8%, in netta


discesa rispetto al 2000 (15,2%). Anche in questo caso, come già evidenziato per
il settore agricolo, il calo è da attribuire al processo di regolarizzazione dei
lavoratori stranieri conclusosi a fine 2003.

L’input di lavoro non regolare può essere a sua volta scomposto in ulteriori
tipologie occupazionali, che in parte emergono sia dal confronto e dall’integrazione
tra le diverse fonti informative usate, sia dall’utilizzo di fonti informative specifiche
o metodi indiretti di stima (ad esempio, gli stranieri non residenti e non regolari):

1) gli irregolari residenti, ossia gli occupati che si dichiarano nelle indagini
presso le famiglie ma non risultano presso le imprese;

2) gli stranieri non regolari e non residenti che, in quanto tali, non sono
visibili al fisco e sono esclusi dal campo di osservazione delle indagini presso le
famiglie.

3) le attività plurime non regolari, stimate con metodi indiretti per cogliere il
lavoro degli indipendenti in settori sensibili alla non dichiarazione dell’attività
produttiva (trasporti, costruzioni, alberghi e pubblici esercizi)
50
Gli irregolari residenti tendono a crescere nel tempo, passando da 1
milione e 540 mila unità di lavoro nel 2000 a circa 1 milione e 637 mila nel 2004
(Tabella 6). Nello stesso periodo, aumenta la loro importanza nell’ambito del
lavoro non regolare (dal 49,5% al 58,6%) per effetto di un minor ricorso da parte
delle imprese al lavoro degli stranieri non residenti.

Gli stranieri irregolari non residenti sono pari a circa 125 mila unità di
lavoro nel 2004, in notevole calo rispetto al 2000 quando erano 656 mila. Il loro
peso sulle unità di lavoro non regolari passa dunque dal 21,2% del 2000 al 4,5%.

Le attività plurime non dichiarate registrano invece un ritmo di crescita


sostenuto: dalle 915 mila unità di lavoro del 2000 a circa1 milione e 33 mila del
2004.

2.3 Nota metodologica

L’economia non direttamente osservata pone dei problemi di stima degli


aggregati economici che possono essere compresi in due tipologie principali:

1. mancanza totale d’informazione

2. distorsione dell’informazione disponibile.

Rientrano nel primo gruppo l’esistenza di attività produttive non registrate, il


mancato aggiornamento dei registri delle unità produttive, la non risposta delle
imprese alle indagini statistiche, l’occultamento di occupazione da parte delle

51
imprese (lavoro nero) e il conseguente occultamento di grandezze economiche
(produzione, valore aggiunto, retribuzioni); rientra nel secondo gruppo la
sottodichiarazione da parte delle imprese della produzione e del valore aggiunto,
ottenuti con occupazione regolarmente iscritta nei libri paga.

I metodi utilizzati in Italia per ottenere valutazioni esaustive degli aggregati


economici, nelle quali, cioè, sono risolti i problemi di stima dovuti all’economia non
osservata, sono principalmente i seguenti:

a) applicazione di un modello di rivalutazione del valore aggiunto dichiarato


dalle piccole e medie imprese;

b) stima esaustiva dell’input di lavoro mediante l’integrazione tra fonti


informative di natura statistica e amministrativa direttamente osservabili, nonché
l’uso di fonti informative e di tecniche statistiche che rendono possibile la stima
dell’occupazione non regolare;

c) utilizzazione delle stime esaustive dell’occupazione (punto b) come


coefficienti di espansione dei valori medi pro capite rilevati attraverso le indagini
sui conti delle imprese e corretti per la sottodichiarazione (punto a);

d) verifica della consistenza degli aggregati economici con tecniche di


bilanciamento delle risorse e degli impieghi a livello di singola branca di attività
economica.

L’approccio di stima degli aggregati di branca (produzione, valore aggiunto,


costi intermedi, investimenti e redditi da lavoro dipendente) attraverso l’input di
lavoro, oltre a garantire la copertura nel campo di osservazione di tutte le posizioni
lavorative regolari, consente di superare i problemi relativi alla “mancanza
d’informazione” dovuta o a carenze del sistema statistico di base (sommerso
statistico), o a totale occultamento, per motivi di evasione fiscale e contributiva
(sommerso economico), dell’occupazione e del valore aggiunto da essa prodotto.

I controlli di coerenza fra i dati dichiarati dalle imprese mirano invece a


correggere l’occultamento parziale, sempre per motivi fiscali, di fatturato ottenuto
con l’occupazione dichiarata e la sovradichiarazione dei costi.

52
Il processo di eliminazione delle discrepanze tra le stime degli aggregati di
offerta di beni e servizi (produzione interna + importazioni) e le stime degli
aggregati di domanda (consumi, investimenti, esportazioni, variazione di scorte e
di oggetti di valore), attraverso tecniche di bilanciamento che tengono conto della
differente attendibilità dei vari aggregati anche in relazione alla loro sensibilità a
fenomeni di sommersione, infine, ha la funzione di apportare ulteriori integrazioni
alle carenze delle stime degli aggregati.

La stima del valore aggiunto afferente all’area del sommerso economico ha


subito delle modifiche consistenti rispetto alle serie precedenti, ascrivibili a:

1. modifiche metodologiche introdotte con la recente revisione dei conti;

2. una più mirata valutazione della parte di locazioni d’immobili in nero;

3. un diverso peso assunto da alcuni importanti indicatori come, ad esempio,


una minore incidenza delle unità di lavoro non regolari.

I cambiamenti metodologici più rilevanti riguardano:

1. la revisione del metodo di rivalutazione del valore aggiunto dichiarato dalle


imprese a livello micro;

2. L’introduzione di una fase di verifica e correzione dei costi intermedi


sovradichiarati dalle imprese, a livello macro;

3. il nuovo sistema di bilanciamento degli aggregati della domanda e


dell’offerta che prevede un bilanciamento delle risorse e degli impieghi per
prodotto attraverso un sistema integrato di tavole supply e use

Il metodo di rivalutazione del valore aggiunto dichiarato dalle imprese a


livello micro è stato perfezionato rispetto al passato, introducendo delle modifiche
sia sui criteri d’identificazione delle imprese sottodichiaranti, sia sui criteri di
correzione. Ora, in particolare, l’applicazione non è limitata alle sole imprese con
meno di 20 addetti, ma a tutte le imprese aventi una forma giuridica che permetta
l’identificazione di lavoratori in posizione non subordinata all’interno dell’impresa
stessa (imprenditori e loro familiari coadiuvanti). Il criterio di correzione fa
riferimento alla remunerazione oraria della qualifica di occupato alle dipendenze,

53
più elevata all’interno dello strato di appartenenza dell’impresa; la correzione
agisce alternativamente sul fatturato (rivalutandolo) o sui costi intermedi
(abbattendoli), avendo come elemento di discrimine, per agire sull’uno o sugli
altri, il confronto dei rapporti fra tali aggregati e gli addetti dell’impresa, con gli
analoghi rapporti medi all’interno dello strato

Nelle nuove stime della contabilità nazionale, la correzione del valore


aggiunto dichiarato dalle imprese, oltre che nella prima fase, con la quale si agisce
a livello di microdato, viene ottenuta anche in una seconda fase con la quale si
interviene a livello macro (per 101 branche di attività economica e 6 classi
dimensionali d’impresa), al fine di integrare la prima per le insufficienze insite nella
strategia messa in atto con essa. Nella prima fase, infatti, sia i parametri per
l’identificazione dell’impresa sottodichiarante, sia i parametri per la correzione dei
suoi dati, sono tratti dal confronto dei suoi valori caratteristici con i valori medi
dello strato di appartenenza dell’impresa stessa. Il metodo è quindi
“autoreferenziale” e la correzione riporta l’impresa, con dati incoerenti, all’interno
di un profilo medio di strato. Se, però, il comportamento fraudolento è diffuso
all’interno dello strato, il profilo medio risulta comunque distorto. Da qui la
necessità d’integrazione con la fase di correzione macro, nella quale si mettono a
confronto i dati sui costi intermedi stimati attraverso le dichiarazioni delle imprese,
con stime indipendenti ottenute utilizzando altre fonti di base. Il primo metodo
(correzione dei microdati), infatti, interviene molto poco nella correzione dei costi
intermedi, il che pare poco plausibile, tenendo conto che la frode fiscale può
essere realizzata sia sottodichiarando il fatturato, sia gonfiando i costi.

Con il passaggio alle tavole supply e use è stata impiantata quindi una fase di
verifica e correzione dei costi intermedi che ha evidenziato una sistematica
sovradichiarazione di questi da parte delle imprese nelle fonti di base, quali le
rilevazioni statistiche e i bilanci civilistici, nelle quali sono giustapposte voci di
ricavo e voci di costo e dalle quali sono, quindi, desumibili informazioni sul valore
aggiunto e sui profitti realizzati dall’impresa. La disponibilità di molteplici fonti
statistiche di base ha permesso la sintesi fra stime indipendenti dei costi
intermedi: una basata, appunto, sulle dichiarazioni delle imprese nelle rilevazioni
statistiche sui loro conti economici e nei loro bilanci, l’altra basata su fonti
statistiche specifiche miranti unicamente all’analisi della struttura dei costi delle
imprese, nonché su stime della disponibilità di beni e servizi destinati ad input

54
intermedi. La sintesi fra le due stime ha evidenziato l’incongruenza fra i dati e,
come detto, una sistematica sovradichiarazione dei costi da parte delle imprese,
nell’ambito dei loro conti economici.

L’impianto metodologico sopra descritto ha la funzione primaria di garantire,


come si è detto, stime complessive, nelle quali sia risolto il problema
dell’integrazione dell’economia non osservata. È però possibile separare a
posteriori l’effetto delle singole integrazioni portate ai dati di base rilevati presso le
imprese, così da evidenziare quelle rese necessarie per ovviare ai comportamenti
tesi a frodare il fisco e la contribuzione sociale.

È cioè possibile individuare una stima del “sommerso economico”. In realtà,


la difficoltà oggettiva di misurare fenomeni non direttamente osservabili
statisticamente fa ritenere scientificamente corretto misurare l’incidenza
dell’economia sommersa sul Pil fornendo non un valore unico, ma un intervallo fra
due stime che rappresentano un’ipotesi di minima e un’ipotesi di massima della
dimensione del fenomeno.

Le integrazioni relative all’input di lavoro non regolare e quelle riconducibili


alla correzione del valore aggiunto sono specificatamente ascrivibili al fenomeno
del sommerso economico e rappresentano la valutazione minima della parte di Pil
ad esso attribuibile. Se a queste integrazioni si aggiunge quella imposta dalla
riconciliazione delle stime degli aggregati di domanda e di offerta, si ottiene
l’estremo superiore dell’intervallo di stima del sommerso. L’integrazione dovuta al
bilanciamento non è, infatti, tutta certamente ascrivibile a tale fenomeno. Le stime
della contabilità nazionale sono effettuate per 101 branche di attività economica e
in esse il segno della riconciliazione domanda/offerta non è sempre positivo
(offerta<domanda). L’effetto netto complessivo è comunque quello di una
sistematica rivalutazione dell’offerta. Le discrepanze fra domanda ed offerta sono
influenzate da due componenti: una strettamente statistica, che potremmo dire
“casuale”, derivante dal fatto che stime indipendenti danno inevitabilmente luogo
a valutazioni non collimanti per effetto dell’errore statistico che ogni stima ha in
sé; l’altra deriva da fenomeni reali che fanno sì che le differenti stime siano
influenzate dai comportamenti e dagli interessi diversi dei soggetti ai quali le fonti
statistiche di base sono rivolte. Nell’ “approccio di stima dal lato dell’offerta”
(approccio produzione) la presenza dell’economia sommersa porta con più

55
probabilità, rispetto all’approccio dal lato della domanda, alla stima di aggregati
sottovalutati, poiché le imprese hanno un maggiore interesse a sottodichiarare le
proprie entrate di quanto i compratori abbiano a dissimulare le proprie spese. Da
questo punto di vista il processo di riconciliazione dell’offerta con la domanda, può
essere visto come uno degli strumenti atti a risolvere il problema dell’esaustività
delle stime del Pil in presenza di economia sommersa, accanto agli altri (stima
dell’input di lavoro non regolare e correzione della sottodichiarazione del
fatturato).

In conclusione, la valutazione che l’Istat fornisce dell’economia sommersa


individua quanta parte del Pil italiano è certamente ascrivibile al sommerso
economico (ipotesi minima); e quanta parte dello stesso prodotto è
presumibilmente derivante dallo stesso fenomeno, andandosi ad aggiungere alla
parte certa (ipotesi massima), ma su di essa persistono incertezze di attribuzione,
data la commistione di problematiche di natura statistica e di natura economica da
cui essa origina.

L’individuazione della parte delle integrazioni connesse al sommerso


economico, presenta dei margini di incertezza, al di là di quelli sopra descritti, ed è
suscettibile di sviluppi futuri. Tali incertezze non riguardano il totale delle
integrazioni apportate al Pil, che in base alla metodologia seguita risulta del tutto
esaustivo, ma attengono all’identificazione della quota attribuibile specificamente
al sommerso economico. Nei casi in cui l’offerta viene calcolata in base
all’approccio quantità per prezzo (si tratta delle stime del settore agricolo,
dell’energia e degli affitti), ad esempio, il risultato che si ottiene risulta esaustivo,
ma non sempre, all’interno di esso, si riesce ad isolare con precisione la quota di
integrazione implicita ascrivibile al sommerso economico rispetto al sommerso
statistico.

FONTE : Istat documento del 14 dicembre 2006

56
3. Il sommerso a livello nazionale

In Italia secondo il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro il 23%


della forza lavoro è costituita da lavoratori irregolari; il maggior numero di
lavoratori in nero viene identificato nel settore dei servizi, comprendente anche il
commercio e il terziario avanzato.

ƒ La Sicilia registra il tasso più elevato pari al 32%.


ƒ In tutto il Sud la media è del 34% degli occupati reali.
ƒ In termini economici il sommerso oggi rappresenta ¼ del PIL.

Tale fenomeno,ha assunto in Italia e principalmente nel Mezzogiorno, una


dimensione tale da essere inserito tra le priorità nazionali a cui rivolgere una
particolare attenzione.

L’economia sommersa,ha una elevata incidenza sul sistema socio -


economico nazionale, non solo per quanto riguarda l’evasione fiscale a svantaggio
dei contribuenti onesti e aggrava pesantemente il deficit dello Stato, ma ha anche
una incidenza a livello macro - economico, perché, l’esclusione di attività
sommerse, provoca un effetto distorto nel calcolo di alcuni indicatori come il tasso
di inflazione,e riesce ad influenzare la stima del tasso di sviluppo del sistema
economico nazionale e dell’incidenza del gettito fiscale sul PIL (Prodotto Interno
Lordo).

Relativamente alla metodologia più coerente da utilizzare per stimare


l’economia sommersa e il lavoro non regolare rimane ed è, una questione aperta
tra gli studiosi del settore e gli istituti di ricerca, in quanto ognuno avanza un
proprio sistema di calcolo,anche legato a misure più adeguate per permettere di
far emergere le posizioni dei lavoratori irregolari .

Infatti,tale dibattito rimane ulteriormente aperto, anche seguito della


necessità di utilizzare una metodologia standardizzata per effettuare stime e
confronti a livello nazionale, internazionale e comunitario.

Generalmente,i metodi di stima,vengono distinti in tre categorie principali:


diretti, indiretti e misti.

I primi sono fondati e si basano sulla raccolta di informazioni tramite la


somministrazione di un questionario alle famiglie o alle imprese.

Nei metodi indiretti, invece, rientrano diverse tecniche: la discrepanza tra


fonti diverse, tecniche monetarie ( rapporto tra contante e depositi bancari o tra

57
contante e reddito), analisi dei tassi di attività della popolazione.

Il sistema misto utilizza in maniera congiunta le due metodologie o si fonda


su stime ragionate ed elaborate da parte di esperti. Questi approcci possono
essere applicati su micro - aree e micro -settori, oppure a livello nazionale
assumendo la connotazione di analisi macro - economica.

A livello macro-economico il fenomeno viene analizzato sotto diversi aspetti:

ƒ sulla quantificazione dell’evasione fiscale;


ƒ sulle indagini del lavoro non regolare.

Il concetto di "lavoro sommerso" riguarda le attività retribuite di per sé


legittime,ma che non vengono dichiarate alle autorità pubbliche,riguarda qualsiasi
attività retribuita, di natura lecita ma non dichiarata conformemente alla
legislazione e alle prassi nazionali,con una conseguente mancanza di tutele nei
confronti dei lavoratori..

Il fenomeno del lavoro non regolare, può ricomprendere nel suo insieme,
tutte le diverse tipologie di lavoro "sommerso",sia di natura "irregolare", che
"nero"; cioè qualsiasi tipo di lavoro o di prestazione che viene esercitata in
condizioni di non legalità.

Le due diverse tipologie, rinviano ad un fenomeno diverso da quello


fotografato con l'espressione "lavoro sommerso":

• il primo viene utilizzato, nell'uso comune, per identificare i rapporti di lavoro


in attività completamente sommerse,che evadono gli obblighi legali, fiscali e di
registrazione ufficiale;
• il secondo descrive la situazione dei lavoratori occupati nelle attività
emerse, ma il cui rapporto di lavoro non si svolge regolarmente e che per essi il
datore di lavoro evade, totalmente o parzialmente, gli obblighi legali o scaturenti
dai contratti collettivi di lavoro.

In una realtà tipica come quella del Mezzogiorno, con un altissimo tasso di
disoccupazione, un’alta incidenza del lavoro sommerso e una forte presenza di
fenomeni consolidati di natura clientelare,appare dunque fondamentale, attivare
forme di sensibilizzazione verso tutte le tematiche relative al lavoro nero/irregolare
e alla legalità.

Infatti,a livello nazionale la dimensione riferita all'economia sommersa in


percentuale del PIL ufficiale, pone l'Italia al secondo posto (27,8%) soltanto subito
dietro alla Grecia (29,0%). FONTE: TERZOLI P., Il lavoro nero in Europa, in Lav.
inf. , 1998, n. 8, pp. 39 ss.

58
Analizzando i dati che emergono,e avendo la possibilità di ridurre e diminuire
tali percentuali,si potrebbe azzardare l’ipotesi che questa diminuzione
consentirebbe di fornire della nuova risorsa alla previdenza sociale e di garantire
maggiori diritti ai lavoratori.

È quindi innegabile,come il lavoro sommerso assume un peso rilevante sul


finanziamento dei servizi pubblici e del sociale, e condizioni in maniera negativa il
funzionamento di altri regimi sociali (fondi da destinare alla formazione, fondi
pensione, assistenza sanitaria, ecc.).

Un ridimensionamento di tale fenomeno consentirebbe, da una parte , la


reintegrazione nell'economia formale delle persone che svolgono forme di lavoro
sommerso e, dall'altra, di ridurre la concorrenza sleale che esso costituisce per le
attività lavorative dichiarate.

Da una attenta analisi della situazione sociale di soggetto che svolge un


lavoro sommerso, esso risulta essere più vulnerabile, in termini di copertura
sociale ed economica, rispetto a quella del lavoratore dichiarato. Inoltre,tale
fenomeno, ha una sua naturale e fisiologica ripercussione sui consumatori, i quali
non beneficiano delle stesse garanzie di tutela della qualità nel caso di prestazioni
e di servizi forniti dal sommerso.

Sono oltre tre milioni, nel nostro Paese, quelli che lavorano in nero, due
milioni solo al Sud. Se poi si aggiunge a questa cifra anche chi ha più di un
mestiere, allora si arriva a un totale di cinque milioni di posizioni irregolari FONTE :
Istat 1997.

Nel lavoro non regolare, si annida l'economia sommersa, ossia quella


produzione legale di cui la Pubblica Amministrazione non ha conoscenza per
diverse ragioni (evasione fiscale, evasione di contributi sociali, non osservanza
delle normative su salari minimi o sicurezza sul lavoro, ecc.), ma ne registra
l'esistenza dalla comparazione del PIL (Prodotto Interno Lordo) con l'occupazione
globale. Infatti, il PIL ha sempre registrato dei punti percentuali di crescita, mentre
l'occupazione è calata.

Questa discrasia porta alla conclusione che o gli attuali occupati lavorano più
del dovuto (straordinari, doppio o triplo lavoro), oppure vi sono miriadi di
lavoratori totalmente sconosciuti ai registri delle imprese.

In Italia il peso dell’economia sommersa viene valutato ex post sul PIL,


attraverso l’utilizzo di tecniche integrate, che riescono a ridurre in percentuale
minima, il margine di inesattezza o incompletezza delle informazioni raccolte dai
questionari somministrati alle imprese ,o ricavate da altre fonti di rilevamento dati.

Per dare una stima del sommerso,la Contabilità Nazionale utilizza le

59
informazioni provenienti dai censimenti della popolazione,delle attività
economiche, dell’indagine sulle forze lavoro, dagli archivi amministrativi dell’Inps,
del Ministero delle Finanze, dell’Inail, e dalle indagini periodiche che vengono
condotte nei confronti delle famiglie e delle imprese dagli istituti specializzati.

Dalle indagini condotte, attraverso l’integrazione delle diverse fonti statistiche


e amministrative, non si cerca solo di dare una stima all’occupazione non regolare,
ma anche di quantificare il sommerso economico. Nello specifico, le interviste
condotte alle famiglie, ritenute più attendibili rispetto a quelle rivolte alle imprese
in quanto hanno meno interesse a nascondere la propria situazione reale, esse
vengono confrontate con altre fonti; dalle discrepanze rilevate è possibile cogliere
l’insieme delle attività e delle posizioni lavorative, regolari e non, che
caratterizzano il mercato del lavoro.

Le tecniche usate per la stima del valore aggiunto e della produzione sono
diversificate in proporzione alla dimensione dell’impresa e alla tipologia settoriale:

- nel settore agricolo, energetico e di una parte delle costruzioni, viene usato
un metodo diretto di calcolo di stima della produzione basato sui dati delle
quantità prodotte ed i rispettivi prezzi;
- nel settore immobiliare , sulla locazione degli immobili, dei servizi privati di
insegnamento e di ricerca, della sanità, dello spettacolo e dei servizi ricreativi
vengono rapportati i dati di spesa della produzione;
- nel settore creditizio, delle assicurazioni e altri inquadrati prevalentemente
come aziende pubbliche la stima è facilitata in quanto per diversi motivi sono
collegati allo Stato, quindi le stime vengono ricavate dalle voci di costo e dai ricavi
sui bilanci;
- nel settore dei servizi non vendibili si utilizzano i dati sui redditi distributivi;
- in altri comparti si moltiplicano i redditi pro capite per l’input di lavoro
corrispondente.

Il concetto di “sommerso” per sua natura,ha una connotazione


diametralmente opposta rispetto al “regolamentato”, e può riguardare i diversi
aspetti di una attività economica, in particolare modo quello legato
all’occupazione.

Il lavoratore regolare ha un contratto impostato su delle norme ben precise,e


per il quale è totalmente tutelato , inesistenti per chi è lavoratore nel
“sommerso”.

Nelle zone dove risulta essere abbastanza difficoltoso avviare una qualsiasi
attività produttiva, i datori di lavoro generalmente , non sono disponibili al
rispetto delle norme previste nei contratti di lavoro per singola categoria di
appartenenza, ed impongono oneri e condizioni diverse ai lavoratori.

60
Tale scelta,può essere dettata da due motivazioni principali: dal desiderio di
guadagni extra rispetto alle aziende concorrenti o, in molti casi, dall’impossibilità a
competere con aziende dello stesso settore di dimensioni diverse, o dislocate in
territori dove il costo della manodopera risulta essere notevolmente più basso.

Gli oneri burocratici e amministrativi che devono sostenere, vengono


considerati spesso, in molti casi, una barriera alla nascita di nuove attività, per cui
diventa quasi un fattore fisiologico e del tutto normale il non ufficializzare la
propria attività; è il caso di molte professioni e imprese autonome per le quali
sono richiesti adempimenti formali complessi e costosi.

Altro ruolo importante viene assunto dalla legislazione del lavoro, che risulta
essere un vincolo tanto forte da indurre le imprese a “nascondere nel sommerso ”
i propri lavoratori.

Alcuni studio hanno affermato, che il lavoro non regolare è un fattore


fisiologico indiscutibile in una società i cui vincoli e le restrizioni di natura politica -
legislativa sono eccessivi.

Quando si fa riferimento al lavoro nero, generalmente, si fa riferimento a due


fenomeni:

• l’evasione al fisco e ai vincoli contrattuali;

• e il fattore di integrazione del reddito che rientra comunque nell’economia


sommersa, anche se l’incidenza è meno sentita.

Nell’ultima ipotesi, trattassi certamente di occupazione secondaria, per chi ha


già un’occupazione principale regolare, svolta nei fine settimana e/o durante i
giorni di assenza dal lavoro “ufficiale”.

Spesso la scelta di non regolamentarsi viene fatta dallo stesso lavoratore, ed


è motivata dallo stato di disoccupazione da cui derivano una serie di agevolazioni
e benefici che non intende perdere.

Alcuni soggetti che si trovano in CIG (Cassa Integrazione Guadagni) o in altre


forme di disoccupazione, che permettono di percepire un reddito o un beneficio,
svolgono altre attività non dichiarandole per timore di perdere questa/e indennità.

Da numerose indagini condotte, è emerso che, la tipologia di aziende


interessate a l’impiego di lavoratori in nero, è più ricorrente nelle imprese piccole o
piccolissime (microimprese),in particolare in quelle a conduzione familiare
soprattutto nei settori agricolo, artigianale e terziario.

A differenza dei settori citati,nel comparto dell’industria si tratta


prevalentemente di imprese subappaltatrici o di grandi aziende che utilizzano il
61
lavoro non regolare per coprire periodi di lavoro più intensi.

Il mercato del lavoro è una realtà complessa in cui interagiscono una serie di
variabili difficilmente individuabili e quantificabili, spesso, per scelta dei diretti
interessati che cercano di nascondere o mimetizzare la propria attività.

In maniera errata, alcuni sostengono che i dati statistici sulla


disoccupazione,non tengano conto dei lavoratori in nero e, spesso, usano queste
statistiche per argomentare che la realtà dei fatti non corrisponde alla situazione
realmente rilevata, affermando che i tassi di disoccupazione, altissimi nel
Mezzogiorno, nascondono una grande percentuale di lavoratori in nero.

Al contrario, l’ISTAT, nel rilevare il numero degli occupati, tenta anche di dare
una stima del lavoro sommerso; le metodologie utilizzate dall’Istituto Centrale di
Statistica sono state considerate, in sede Internazionale, efficaci nel fornire una
stima esaustiva del PIL,e vengono indicate dall’Eurostat (Ufficio Statistico della
Comunità Europea) come modello da utilizzare per gli altri paesi.

A livello nazionale, la valutazione della consistenza dell’economia sommersa si


basa su un duplice ordine di dati:

• da un lato, si fa riferimento alle stime di contabilità nazionale condotte


annualmente dall’ISTAT;
• dall’altro, vengono considerati i risultati dell’azione di contrasto della
Guardia di Finanza e delle autorità previdenziali (Ministero del Lavoro, Inps e
Inail), svolta sia autonomamente che in forma integrata.

Il metodo di misurazione dell’economia sommersa che viene adottato


dall’ISTAT, è incentrato sulla stima,all’interno dell’occupazione
interna,dell’occupazione irregolare,ed è condotta attraverso il confronto fra
l’offerta lavoro - verificata sul lato delle famiglie - e la domanda di lavoro -
ottenuta tramite rilevazioni presso le imprese.

Gli occupati non regolari risultano dalla differenza esistente fra il numero
effettivo di occupati (stimati in parte direttamente dall’indagine sulla forza lavoro e
in parte tramite l’integrazione di questa con la fonte censuaria), ed il numero di
occupati rilevato presso le imprese, che costituisce la quota di regolari.

62
4. Il lavoro sommerso nel meridione
FONTE : SVIMEZ Rapporto del 2006, sull’economia del Mezzogiorno

Secondo le valutazioni della SVIMEZ nel 2005 in Italia il 13,4% (pari a 3,26
milioni di unità) delle unità di lavoro totali sarebbe rappresentato da lavoro non
regolare.

Una conferma del dualismo del mercato del lavoro italiano è evidente da
un’analisi del tasso di irregolarità (quota delle unità di lavoro irregolari sul totale
delle unità di lavoro del settore) per area geografica: nel Mezzogiorno risulta
irregolare più di un lavoratore su 4 (23%), nel Centro-Nord tale quota è pari a
meno della metà (10%).

63
Tali percentuali equivalgono, in valore assoluto, a 1,54 milioni di unità di
lavoro irregolari nel Mezzogiorno e a 1,76 milioni di unità nel Centro-Nord.

Nel Mezzogiorno, nel 2005, la leggera riduzione nel numero delle unità di
lavoro irregolari impiegate (-4 mila) è risultata inferiore alla contemporanea
riduzione anche delle unità di lavoro regolari con l’effetto di un ulteriore
incremento dell’irregolarità.

La riduzione dell’occupazione e l’incremento della quota di lavoro sommerso


rappresentano le due facce della crisi del mercato del lavoro meridionale.

Ma è con riferimento al medio periodo che emerge con maggiore chiarezza il


fallimento delle strategie poste in atto dai diversi governi nella lotta al sommerso.

Nel periodo 1996-2005, nel Mezzogiorno, già tradizionalmente interessato da


tassi di irregolarità assai più elevati, le unità di lavoro irregolari sono cresciute del
17,8%, pari ad un incremento in valore assoluto di 232 mila unità.

L’incremento delle unità irregolari è stato quasi doppio in valore assoluto a


quello delle unità regolari e 6 volte più elevato in termini percentuali.

Nel Centro-Nord, nello stesso arco di tempo, gli irregolari si sono ridotti di
194 mila unità, pari al -9,9% e le unità regolari sono cresciute di 1,6 milioni di
unità (+11,4%).

Dunque, in un contesto di crescita complessiva dell’occupazione meridionale


di 364 mila unità, due terzi di tale crescita si è concentrata nella componente
irregolare, portando ad un incremento del tasso di irregolarità di oltre 2 punti
percentuali: dal 20,7% del 1995 al 23% del 2005.

Nel Centro-Nord il tasso di irregolarità che era del 122,1% nel 2001 è sceso
al 10% nel 2005.A livello regionale, la quota più elevata di unità di lavoro irregolari
su quelle totali si riscontra in Calabria, dove, nel 2005, più di 3 unità di lavoro su
dieci sono irregolari

64
La Calabria presenta tassi di irregolarità più alti di quelli delle altre regioni
italiane in tutti i settori produttivi, tranne i servizi dove è sopravanzata dalla Sicilia:
particolarmente alti sono i livelli che raggiunge il lavoro sommerso in agricoltura
(55% nel 2005, con un incremento di 2 punti rispetto al 2004 e di oltre 10 punti
rispetto al 1995) e nelle costruzioni (41%, in riduzione sia rispetto al 2004, 42,6%,
sia rispetto al 46,6% del 1995).

Un tasso superiore alla media della ripartizione riguarda anche la Sicilia


(27%), dove, tra il 1995 e il 2003 si è registrato uno dei maggiori tassi di
incremento del fenomeno.

65
Particolarmente elevata rispetto alle altre regioni del Sud risulta la diffusione
del sommerso nell’industria siciliana (26%, 10 punti in più della media
Mezzogiorno).

La Campania è l’unica regione meridionale che, pur presentando una


dimensione piuttosto rilevante del fenomeno del sommerso (22,3% nel 2005),
mostra una significativa tendenza alla sua riduzione accentuatasi in particolare nel
corso del 2005. Nella regione, per effetto di un grande città come Napoli, si rileva
una forte concentrazione delle attività sommerse nel settore terziario, al cui
interno quasi un lavoratore su quattro è irregolare. Puglia e Basilicata presentano
un livello di irregolarità di poco superiore al 20%, sostanzialmente allineato a
quello medio dell’area.

In Basilicata, in particolare, va sottolineato la quota particolarmente elevata


di lavoro irregolare nel settore industriale: 25,6%, a fronte del 17% medio del
Sud, con un raddoppio della quota tra il 1995 e il 2004.

Un simile peso, in una regione con importanti realtà industriali, conferma


l’esistenza di forti e reciproci legami tra realtà regolari e mondo sommerso, sia
attraverso l’utilizzo di forme di lavoro non regolare nelle aziende emerse sia
attraverso rapporti di fornitura con imprese completamente sommerse.

La quota meno elevata di lavoro irregolare tra le regioni meridionali, anche se


sempre superiore al valore medio del Centro-Nord, si registra in Abruzzo: 12%
delle unità totali, con punte del 27% in agricoltura e del 18% nelle costruzioni.

Analizzando i dati che emergono,si evince in maniera incontestabile una


evidente situazione con doppia sfaccettatura relativamente al Meridione d’Italia:

ƒ da una parte, le arretratezze infrastrutturali, la burocrazia, la scarsa


propensione a qualsiasi forma di associazionismo e l’illegalità,sono
certamente un grosso ostacolo per le imprese esistenti e visibili;
ƒ dall’altra, un substrato socio-economico nascosto è capace di adattarsi a
qualsiasi difficoltà anche di natura ambientale riesce a trovare la via
della sopravvivenza attraverso l’auto-impiego e la micro-impresa.

Le due dimensioni non sono certamente isolate, ma al contrario si presentano


strettamente connesse negli scambi economici e nel contesto globale.

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5. Il sommerso a livello regionale. Sicilia
Fonte: SVIMEZ.

Le principali cause del fenomeno del lavoro sommerso su l’intero territorio


della Regione Siciliana, possono essere identificati in un costo elevato della
manodopera diretta, e nell’interesse dei datori di lavoro e dei loro impiegati di
beneficiare di ammortizzatori sociali.

Ulteriori elementi aggiuntivi che contribuiscono ad ampliare e che sono alla


base e causa di tale fenomeno, sono da ricercare senza alcun dubbio, nella
volontà da parte dei datori di lavoro, di sottrarsi agli obblighi fiscali, contributivi,
contrattuali, retributivi, normativi, di sicurezza, di affidabilità, di responsabilità
ambientale e sociale. Infatti,le possibili situazioni e le forti differenze d’intensità
con cui si manifestano tali comportamenti irregolari,mettono a dura prova l’intera
economia isolana.

Analizzando il mercato occupazionale attuale,si può affermare con estrema


certezza, che il fenomeno del sommerso,e più in generale l’economia
sommersa,rappresenta un grosso “gap” da superare, per risollevare l’economia
regionale,e su cui le Amministrazioni locali,provinciali e regionali, devono porre
particolare attenzione in uno spirito collaborativi alla ricerca di strategie mirate e
di strumenti collaborativi per arginare tale fenomeno.

Il primo rilevamento effettuato in questo settore da parte dell’ ISTAT (1999),


ha quantificato in 5 milioni gli italiani attivi nel lavoro non regolare. Di questi un
milione e mezzo sono gli "irregolari" presenti nel Mezzogiorno.

Relativamente al territorio Siciliano, non si ha uno studio dettagliato tranne


alcune stime effettuate dalle organizzazioni sindacali le quali hanno individuato
come maggiormente interessati al fenomeno del lavoro non regolare i seguenti
settori: l'agricoltura, il tessile, l'edilizia, il terziario (commercio, turismo e servizi).

Questi dati, che in definitiva fotografano il fenomeno da un punto di vista


numerico, in realtà non consentono di individuare le cause e le possibili soluzioni
per contrastare tale fenomeno.

Ulteriore elemento di indagine e di approfondimento del fenomeno,è


certamente il contesto del precariato in cui il lavoro nero e irregolare si sviluppa.

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Infatti, il lavoratore che vive una situazione lavorativa precaria, (lavoro a termine o
con basse professionalità o in settori in crisi ecc.) , si attiva nella ricerca del doppio
lavoro (possibilmente in nero) per garantirsi un maggior reddito che lo possa
sostenere in caso di disoccupazione.

Altrettanto precaria può definirsi una attività lavorativa regolare part-time nel
caso in cui il lavoratore è l'unica fonte di reddito all'interno di un nucleo familiare.

5.1 Sicilia

Terza in classifica, tra le regioni italiane del Mezzogiorno, per incidenza di


lavoro sommerso è la Sicilia, con il 24,2%, contro una media meridionale pari al
23%.

La percentuale è in lieve aumento rispetto al 1999 (24,1%), mentre si


registra una variazione più consistente confrontando il dato del 1995 (20,3%).

In sei anni, i lavoratori irregolari nella regione sono aumentati di 79 mila


unità, arrivando a quota 367.000 (oltre un quinto del totale dei lavoratori in nero
del Mezzogiorno).

In Sicilia, gli occupati ‘ufficiali ’ arrivano a 1,41 milioni.

Per quanto riguarda i singoli settori, l’incidenza maggiore del sommerso si


registra in agricoltura, con il 40,8%.

Ma in Sicilia anche l’industria evidenzia un alto tasso di sommerso (25,6%)


rispetto alle altre regioni del Sud.

Il peso del lavoro nero si fa sentire soprattutto nelle costruzioni (33%),


mentre risulta più contenuto nell’industria in senso stretto (20,2%).

Nei servizi, infine, l’incidenza è del 21,5%, la stessa della media settoriale del
Mezzogiorno.

Il dibattito che da un decennio a questa parte si è sviluppato attorno alla


presa di coscienza circa la presenza di imponenti e radicate forme di economia
sommersa nei sistemi locali, soprattutto meridionali, ha indubbiamente favorito
l’ingresso del tema “emersione” anche all’interno del sistema politico italiano.

68
E’ ormai chiaro da tempo che se in Italia ci fosse realmente una media di
disoccupati che nel Mezzogiorno tocca punte del 40%, come si rileva dalle stime
ufficiali, dovremmo ragionevolmente attenderci un alto livello di disagio sociale,
tale da manifestarsi attraverso continui episodi di violenza ed oggi, nell’isola, due
lavoratori su tre operano in modo irregolare.

Disaggregando ulteriormente il dato, troviamo che uno su tre opera


completamente in nero, ed ancora uno su tre risulta collocato in una sorta di zona
grigia, una zona, potremmo definirla, a legalità parziale.

Nella zona grigia, troviamo lavoratori che ricevono formalmente una busta
paga regolare, ma vengono, in sostanza, retribuiti con un salario decurtato.

Ci sono poi operatori cui vengono richieste ore aggiuntive, oltre quelle
contrattualmente previste, a stipendio invariato.

Un caso, quest’ultimo, assai frequente negli esercizi commerciali e nelle


imprese edili.

Ancora, lavoratori che firmano, all’atto dell’assunzione, una lettera di


licenziamento volontario dell’impresa senza indicazione di data, prassi ricorrente
nelle attività di cooperazione sociale.

Ultimo “trucco”: la percezione abusiva degli assegni familiari che il datore di


lavoro trattiene dalla retribuzione, quasi una forma di “pizzo” sull’occupazione.

Sicché a fronte di queste tipologie suscita minor sorpresa la conferma di un


ampio numero di lavoratrici che non godono delle norme sulla maternità, ovvero
di lavoratori cui viene negato il diritto alle ferie o la retribuzione durante le ferie.

C’è poi, una peculiarità in Sicilia, come in altre regioni a rischio: il legame
stretto tra la criminalità organizzata e la crescita del lavoro in nero.

L’assenza di controllo, da parte dello Stato, favorisce comportamenti illegali


da parte delle imprese, spesso “garantite” con il ricorso alla protezione loro
assicurata dalla criminalità mafiosa.

Il controllo su questa sorta di mercato del lavoro parallelo, che innesca forme
di concorrenza sleale ed incita al ribasso nel rispetto delle regole, è affidato,
infatti, a dodici ispettori del lavoro a fronte di una dotazione organica necessaria
stimata in almeno centoventi ispettori.

E hanno fatto finora ricorso ai benefici legislativi offerti dalla legge per la
regolarizzazione del lavoro sommerso solo venti aziende in Sicilia per un totale di
quarantasette lavoratori.

69
Due meccanismi perversi sembrano reciprocamente sostenersi: l’introduzione
di una legge per la riemersione porta inevitabilmente ad una disattivazione degli
strumenti di vigilanza onde favorirne l’applicazione.

Paradossalmente, questa scelta suggerisce aspettative “al rialzo”, la


convinzione cioè che, di fronte agli scarsi successi degli interventi adottati,
sopravvengano ulteriori e più convenienti incentivi.

Per intanto l’economia siciliana sopravvive con un’incidenza del lavoro nero
pari all’80% nel settore tessile, al 65% nel commercio, al 40% nell’edilizia, al 25%
nelle installazioni telefoniche.

Un’economia in nero!

In questo quadro va annoverata anche la comprovata esistenza di una


criminalità organizzata che, dal punto di vista economico, riesce di fatto ad
imporre la propria strategia volta al condizionamento ed al controllo del mercato.

Uno spunto di partenza potrebbe essere dato dalla ipotesi che proprio la
presenza dell’economia criminale sia una causa dell’economia sommersa, in
quanto le imprese legali, all’interno di un sistema economico distorto in favore
delle imprese illegali, per poter sopravvivere potrebbero scegliere altre forme di
riduzione di costo individuabili appunto nell’evasione fiscale o nell’utilizzo di
manodopera “in nero”.

Il sommerso avrebbe dunque tra le sue determinanti la distorsione di


mercato causata dalla presenza di imprese che hanno comportamenti illegali.

Per finire, secondo una stima della Regione siciliana e in base alle
elaborazioni effettuate dall’ISTAT secondo il nuovo schema di contabilità nazionale
SEC95, in Sicilia, nel 2004, il 24,9% delle unità di lavoro totali è rappresentato da
lavoro non regolare ossia da persone rientranti in una o più delle seguenti
categorie: persone che forniscono alla collettività altro valore aggiunto svolgendo
una attività complementare o una seconda attività; coloro che pur essendo
dipendenti non sono iscritti nei libri paga delle imprese; coloro che svolgono una
attività autonoma in luoghi di lavoro non identificabili come tali; occupati non
dichiarati. Il prodotto complessivo di questi lavoratori, comprendente sia il lavoro
nero che la produzione legale non rilevata per evasione fiscale e/o di contributi
sociali, definisce la cosiddetta economia sommersa: un fenomeno ampiamente
diffuso su tutto il territorio nazionale, la cui identificazione e conoscenza restano
sostanzialmente lacunose.

70
6. La Commissione Regionale per l’emersione del lavoro non
regolare della Regione siciliana

In attuazione del comma 4 dell’art. 78 della legge 448/98, con decreto del
13 febbraio 2002 emesso dal Presidente della Giunta Regionale Siciliana, è stata
istituita “La Commissione Regionale per l’emersione del lavoro non
regolare della Regione Siciliana”.

I Compiti attribuiti alla Commissione, possono essere distinti in:

ƒ “analisi del mercato del lavoro irregolare sul territorio siciliano;


ƒ promozione e attività di collaborazione ed intese, a livello istituzionale;
ƒ attività di assistenza alle imprese, finalizzata in particolar modo, al tema
dell’ accesso al credito agevolato;
ƒ attività di formazione su tematiche specifiche del sommerso;
ƒ ricerca e predisposizione di aree attrezzate,in funzione di stipule di
contratti di riallineamento retributivo anche attraverso la presenza di apposito
tutore.

Insediatasi formalmente il 3 aprile 2002, è composta da 15 Commissari,


espressione di differenti realtà sociali, economiche e istituzionali; svolge anche
funzioni di indirizzo e coordinamento delle istituzioni e delle parti socio-
economiche coinvolte, in stretta connessione con la Presidenza della Giunta
Regionale e dei suoi Assessorati .

Infatti,l’attività prevalente della Commissione Regionale, scaturisce


principalmente da una fattiva collaborazione e dal confronto costante con il
Comitato Nazionale per l’emersione del lavoro non regolare, e và ad integrarsi con
quella della rete delle Commissioni provinciali, coinvolgendo le parti socio-
economiche e istituzionali rappresentate nella Commissione stessa e nelle
Commissioni provinciali.

Essa gode dell’apporto e dell’impegno quotidiano dei tutori di emersione attivi


sui territori.

Fin dal suo insediamento e durante l’iter attuativo, la Commissione Regionale


si è proposta come principale soggetto istituzionale di riferimento a livello
regionale,per tutte le problematiche connesse al lavoro sommerso.

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Nell’interpretare tale ruolo, si è proposta anche sul territorio, come interprete
delle istanze provenienti dal territorio stesso, promovendo attività di analisi studi e
ricerche, volti all’individuazione di azioni efficaci ed efficienti,per la prevenzione
del fenomeno,finalizzati a favorire percorsi fattivi di emersione dal lavoro nero.
Ha svolto anche attività di “animazione istituzionale” indirizzata talvolta a
sospingere le azioni svolte dagli enti e dagli organismi preposti a svolgere ruoli
chiave per il corretto funzionamento del mercato del lavoro.

Nel dettaglio, possono essere sintetizzate le attività svolte e di maggior


rilievo:

9 Protocollo d’intesa con lo Sportello Unico del Comune di


Palermo

La Commissione, ha stipulato un protocollo d’intesa con lo Sportello Unico per


le Attività Produttive del Comune di Palermo, che ormai da diversi anni è
impegnato nel processo di semplificazione dell’iter di accompagnamento per l’avvio
di attività imprenditoriali;infatti,rappresenta una preziosa guida informativa per gli
imprenditori e per i lavoratori locali. Grazie anche alla collaborazione con Sviluppo
Italia, fornisce informazioni sulle azioni di accompagnamento legati alla
progettazione e ai finanziamenti gestiti direttamente dalla stessa società (Prestito
d’onore, ex legge 44, 236, 135 ecc.), e in accordo con Arcidonna affianca le
imprese nella realizzazione di progetti finanziati con le leggi 488/92 e 215/92 .

Svolge anche attività di collaborazione con lo Sportello Unico, con l’obiettivo


specifico di fornire informazioni relative alle problematiche del lavoro sommerso e
all’incremento dello sviluppo locale. In particolare, il protocollo d’intesa prevede:

- un impegno della Commissione Regionale finalizzato a:

ƒ fornire informazioni sulla legislazione vigente in materia di


emersione;
ƒ erogazione ed assistenza alla compilazione della relativa modulistica,
necessaria per la presentazione delle dichiarazioni di emersione;
ƒ formare ed aggiornare il personale in servizio presso lo Sportello
Unico per le Attività Produttive adibito ai rapporti col pubblico;

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- un impegno di entrambe le parti finalizzato a:

ƒ verificare con cadenza periodica i risultati conseguiti ;


ƒ sottoscrive l’impegno ad adottarle e mettere in campo azioni
necessarie per ottimizzarle;
ƒ collaborare per concertare le modalità di pubblicizzazione;
ƒ elaborare piani di lavoro per l’ emersione e i processi da attivare;
ƒ pubblicizzare i risultati conseguiti .

9 Protocollo d’intesa con il Commissario dello Stato della


Regione Siciliana

Nato su iniziativa del Presidente della Commissione Regionale per l’emersione


del lavoro non regolare, e del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana,ha
visto anche partecipi gran parte delle istituzioni pubbliche, delle organizzazioni
datoriali e sindacali degli imprenditori e dei lavoratori.

La finalità è la realizzazione di “un modello di intervento integrato, che, in


presenza delle Istituzioni locali, veda come protagoniste e compartecipi , le
massime espressioni sociali sinergicamente attive sul territorio,insieme con le
istituzioni pubbliche per lo sviluppo del Mezzogiorno, e per la prevenzione del
lavoro nero e della crescita socio-culturale collettiva”.

Il Protocollo intende promuovere in maniera istituzionale, una consulta


composta dai rappresentanti delle organizzazioni sociali e di volontariato,del
mondo scientifico, accademico e scolastico, aventi funzioni propositive
nell’intraprendere percorsi collaborativi ed iniziative volte a favorire l’emersione, la
prevenzione del lavoro non regolare, con specifico riferimento a quello minorile.

L’intesa siglata, intende promuovere un strumento di controllo e di


coordinamento delle attività svolte da parte degli enti di vigilanza al fine evitare
effetti negativi in termini di dispersione o sovrapposizione delle risorse impiegate.

Con la stipula del protocollo è, altresì istituita, l’Unita Integrata Regionale per
l’emersione,con il compito di predisporre i programmi e di promuovere le iniziative
comuni a tutti i soggetti rappresentati, mirati all’interscambio di informazioni, e ad
attivare percorsi formativi su tematiche specifiche in materia di sostegno

73
all’emersione, dell’economia locale e del lavoro sommerso.

Il protocollo, infine, prevede anche attività a sostegno di iniziative finalizzate


a stimolare, la nascita e l’implementazione degli sportelli unici comunali per le
attività produttive, con l’obiettivo primario di orientare parte delle attività a favore
delle informazioni da erogare sulle normative che consentono l’emersione del
lavoro irregolare.

9 Protocollo d’intesa con Artha S.r.l.

Nell’ambito della misura 3.11 - Sostegno al lavoro regolare e all’emersione


delle attività non regolari - POR Sicilia 2000-2006 su attività cofinanziate dal FSE -
la società Artha s.r.l. ha conseguito l’approvazione di due progetti da realizzare
nelle province di Palermo e Caltanissetta. Tali progetti hanno previsto l’attivazione
di diverse azioni dirette a favorire processi di emersione del lavoro irregolare e, più
in generale, a contribuire allo sviluppo del contesto socio-economico delle
province interessate.

In particolare, le azioni progettuali hanno riguardato:

ƒ la realizzazione un sito internet – www.emersionesicilia.it – per fornire


tutte le informazioni utili in materia di emersione e di sviluppo socio-economico;
ƒ l’attivazione di un “call center” avente funzione di orientamento e
consulenza, per gli imprenditori locali e non ,che desiderano avere informazioni
su:

a) tutta la normativa in materia di emersione;


b) gli incentivi e le agevolazioni a supporto per la creazione d’ impresa;
c) la normativa che regola i rapporti di lavoro;

ƒ lo svolgimento di un’attività di ricerca, in collaborazione con il


Dipartimento di Contabilità Nazionale presso la Facoltà di Scienze Statistiche
dell’Università di Palermo.

Il Protocollo, ha visto la sua concreta attuazione attraverso attività di


scambio e di informazioni a disposizione dei due organismi.

La Commissione, avvalendosi del supporto operativo dei tutori regionali, ha

74
contribuito alla realizzazione del portale fornendo il materiale informativo ivi
contenuto,anche grazie all’attività di affiancamento ai CLES, che ha permesso di
fornire ai gestori del portale i dati relativi all’emersione progressiva prevista
dall’art.1 bis della stessa Legge 383/2001.

Le informazioni fornite dalla Commissione regionale hanno riguardato:

ƒ il ruolo a livello Istituzionale della Commissione;


ƒ le sue attività;
ƒ i componenti e la sede operativa;

relativamente al Comitato Nazionale:

ƒ il ruolo di indirizzo e di raccordo con la politica nazionale per


l’emersione, l’asse Comitato - Commissioni - tutori.

9 Collaborazione con la Regione Siciliana

E’stato istituito un tavolo tecnico tra la Commissione per l’emersione,


Dipartimento Programmazione e Dipartimento Formazione Professionale
(responsabile di gran parte delle misure del POR cofinanziate dal FSE), per
intraprendere un percorso collaborativo, finalizzato ad indirizzare maggiormente e
in maniera più appropriata le azioni del POR Sicilia verso l’emersione.

L’idea-progetto, ha come obiettivo, quello di rendere tale tavolo, stabile e


periodico, e di non limitare l’oggetto degli incontri alle proposte di modifica al POR,
ma di farlo diventare occasione di confronto per individuare azioni comuni a
“sostegno dello sviluppo”.

E’ stata predisposta in maniera concreta ,da parte dei tutori,un’idea di


progetto da avviare utilizzando le risorse residue che rimangono a disposizione
per le azioni relative alla misura 3.11 (appunto quella dedicata
all’emersione),consistente nell’implementazione di Centri Provinciali per
l’emersione e lo sviluppo locale, dislocati nelle nove province siciliane, deputati alla

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elaborazione e alla realizzazione di “Programmi Provinciali e/o comprensoriali per
l’emersione” consistenti in:

A. attività di informazione e diffusione sulle tematiche relative alle


politiche di sviluppo locale, necessarie per la rimozione degli ostacoli finalizzati allo
sfruttamento delle potenzialità del territorio, della cultura della regolarità come
fattore di crescita per le imprese, di riduzione della concorrenza sleale, di
riconoscimento istituzionale;
B. attività di accompagnamento e assistenza a favore delle imprese:
monitoraggio continuo dei fabbisogni attraverso la raccolta delle istanze (esplicite
e non) dei soggetti economici; diffusione della cultura della regolarità attraverso
incontri collettivi, convegni, seminari; facilitazione nell’accesso al credito e alle
opportunità di finanziamento agevolato; promozione di forme di associazionismo
tra imprese (consorzi, joint ventures, ecc.); attivazione di percorsi finalizzati
all’internazionalizzazione; promozione di percorsi di certificazione etica;
C. attività di ricerca sul lavoro irregolare avente come oggetto, lo studio
delle peculiarità locali attraverso analisi territoriali, utilizzando i dati elaborati dalle
fonti statistiche nazionali, sul lavoro irregolare a livello locale;
D. attività di animazione territoriale e istituzionale con il coinvolgimento
di tutti i soggetti istituzionali preposti allo sviluppo del territorio (università, centri
di ricerca, parti sociali, organizzazioni di imprese, sportelli unici, centri per
l’impiego,associazioni di categoria ecc.ecc.); favorire il collegamento del mondo
delle imprese con il mondo delle istituzioni; promuovere il recupero delle risorse
non utilizzate del territorio;
E. attività di formazione di operatori specializzati nell'attività di
animazione per lo sviluppo locale e del personale dei centri di servizi alle imprese -
sia pubblico che privato - sui temi, sulle politiche e sugli strumenti per l'emersione
del lavoro irregolare e per lo sviluppo locale; attività di formazione rivolta ai
lavoratori e agli imprenditori per rafforzare la consapevolezza dei ruoli e le
attitudini imprenditoriali e manageriali; formazione dei funzionari della P.A. per
favorire la compartecipazione degli Enti di appartenenza ai processi di sviluppo
locale.

Altra attività svolta dalla Commissione Regionale, è stata di collaborazione


con il Dipartimento Regionale Pubblica Istruzione, nella fase di attuazione della
sottomisura 6.08.b – Campagna di educazione alla legalità nelle scuole – con la

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quale la Regione Siciliana ha promosso i valori della legalità attraverso interventi
rivolti agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado “anche tramite la creazione
di reti tra scuole, istituzioni, associazioni ed enti locali,che perseguono finalità
coerenti con gli obiettivi degli interventi”.

Tale fase,ha visto la sua reale concretizzazione ,attraverso la revisione della


scheda tecnica della misura.

Con tale revisione, sono state esplicitamente previste azioni volte a sviluppare
la comprensione delle problematiche relative al lavoro minorile e all’economia
sommersa, nonché azioni di accompagnamento per la promozione della cultura
d’impresa.

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7. Appendice statistica

Questa sezione,intende fornire un’analisi statistica a livello nazionale,


regionale e provinciale del mercato del lavoro irregolare italiano
attraverso l’esame del tasso di irregolarità calcolato come incidenza delle unità di
lavoro non regolari sul totale delle unità di lavoro.

L’ISTAT fornisce correntemente stime sull’occupazione regolare e non


regolare a livello nazionale e regionale. Si ricorda che la misura dell’occupazione
che risulta confrontabile con gli aggregati economici di contabilità nazionale è
quella di unità di lavoro (ula).

Le unità di lavoro rappresentano una misura di quanto il fattore lavoro


contribuisce alla produzione del paese in un determinato periodo e sono calcolate
attraverso la trasformazione in unità a tempo pieno delle posizioni lavorative
ricoperte, anche in settori produttivi diversi, da ciascuna persona occupata nel
periodo di riferimento.

Si ipotizza, in particolare, che ciascuna persona lavori un numero di ore pari a


quelle prestate in quel settore di attività economica e in quella posizione nella
professione (dipendente e indipendente) da un occupato a tempo pieno.

Data la difficoltà oggettiva di misurare fenomeni non direttamente


osservabili, le stime sui tassi di irregolarità a livello provinciale presentano margini
di incertezza. Si ritiene pertanto corretto fornire delle misure statistiche per
intervalli.

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ANALISI STATISTICA A LIVELLO NAZIONALE

Unità di lavoro regolari e non regolari

Si riportano i dati relativi alle Unità di lavoro regolari e non regolari per posizione nella professione
per gli anni compresi nell'intervallo di tempo tra il 1992 ed il 2004. Per ogni anno vengono riportati
i relativi tassi di regolarità e di irregolarità.

Unità di lavoro regolari e non regolari per posizione nella professione (in migliaia) - Anni 1992-2004
Anni Regolari Non regolari Totale Tasso regolarità Tasso Irregolarità
Totale
1992 20.319,4 3.137,8 23.457,2 86,6 13,4
1993 19.607,0 3.142,8 22.749,8 86,2 13,8
1994 19.364,0 3.165,2 22.529,2 86,0 14,0
1995 19.265,6 3.262,7 22.528,3 85,5 14,5
1996 19.312,4 3.287,8 22.600,2 85,5 14,5
1997 19.332,7 3.358,8 22.691,5 85,2 14,8
1998 19.450,7 3.465,2 22.915,9 84,9 15,1
1999 19.602,3 3.446,6 23.048,9 85,0 15,0
2000 19.922,6 3.529,0 23.451,6 85,0 15,0
2001 20.234,9 3.601,8 23.836,7 84,9 15,1
2002 20.698,0 3.437,3 24.135,3 85,8 14,2
2003 21.000,7 3.237,8 24.238,5 86,6 13,4
2004 21.160,1 3.269,4 24.429,5 86,6 13,4
Dipendenti
1992 13.584,8 2.577,2 16.162,0 84,1 15,9
1993 13.226,6 2.576,1 15.802,7 83,7 16,3
1994 13.059,1 2.602,8 15.661,9 83,4 16,6
1995 12.927,0 2.694,0 15.621,0 82,8 17,2
1996 12.936,8 2.717,7 15.654,5 82,6 17,4
1997 12.994,1 2.782,1 15.776,2 82,4 17,6
1998 13.054,7 2.884,2 15.938,9 81,9 18,1
1999 13.221,8 2.883,4 16.105,2 82,1 17,9
2000 13.462,8 2.949,4 16.412,2 82,0 18,0
2001 13.741,4 3.018,4 16.759,8 82,0 18,0
2002 14.204,4 2.851,7 17.056,0 83,3 16,7
2003 14.478,8 2.664,5 17.143,3 84,5 15,5
2004 14.531,7 2.699,3 17.231,0 84,3 15,7
Indipendenti
1992 6.734,6 560,6 7.295,2 92,3 7,7
1993 6.380,4 566,7 6.947,1 91,8 8,2
1994 6.304,9 562,4 6.867,3 91,8 8,2
1995 6.338,6 568,7 6.907,3 91,8 8,2
1996 6.375,6 570,1 6.945,7 91,8 8,2
1997 6.338,6 576,7 6.915,3 91,7 8,3
1998 6.396,0 581,0 6.977,0 91,7 8,3
1999 6.380,5 563,2 6.943,7 91,9 8,1
2000 6.459,8 579,6 7.039,4 91,8 8,2
2001 6.493,5 583,4 7.076,9 91,8 8,2
2002 6.493,7 585,6 7.079,3 91,7 8,3
2003 6.521,9 573,3 7.095,2 91,9 8,1
2004 6.628,4 570,1 7.198,5 92,1 7,9

79
ANALISI STATISTICA A LIVELLO REGIONALE
Tasso regionale di irregolarità per il 2003. Fonte Istat.

Lavoro irregolare - Totale economia (2003)


Tasso di irregolarità Unità di lavoro
non regolari
Regioni

Piemonte 9,2 179,7


Valle d'Aosta 14,7 8,9
Lombardia 7,3 326,4
Trentino Alto Adige 10,9 54,3
Veneto 8,7 190,6
Friuli Venezia Giulia 12,8
Liguria 11,5 78,7
Emilia Romagna 8,6 176,4
Toscana 9,8 163,4
Umbria 12,8 46,3
Marche 10,7 71,8
Lazio 14,4 336,1
Abruzzo 12,6 63,6
Molise 19,2 22,3
Campania 23,2 419,7
Puglia 20,9 280,3
Basilicata 20,8 40,3
Calabria 31,0 202,5
Sicilia 26,0 398,2
Sardegna 18,3 107,6
Totale Italia 13,4 3237,8
Nord-ovest 8,3 593,7
Nord-est 9,3 492,0
Centro 12,3 617,6
Mezzogiorno 22,8 1534,5
Fonte: Istat 2005
(*) incidenza % delle unità di lavoro non regolari sul totale delle unità di lavoro.

80
ANALISI STATISTICA A LIVELLO REGIONALE

Lavoro irregolare per il 2003 (cartogramma)

81
ANALISI STATISTICA A LIVELLO REGIONALE
Serie storica dei tassi d'irregolarità

Serie storica dei tassi di irregolarità a livello regionale per gli anni compresi tra il 1995 e il 2003.

Tassi di irregolarità (*) - Totale economia

Regioni 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

Piemonte 10,3 10,8 10,6 10,2 10,5 11,1 11,1 9,8 9,2
Valle d'Aosta 16,0 15,3 15,7 17,5 16,3 15,5 15,6 15,3 14,7
Lombardia 11,4 11,2 11,1 10,9 10,5 10,2 10,6 8,9 7,3
Trentino Alto
Adige 12,8 13,8 14,1 14,9 12,6 12,8 12,5 11,9 10,9
Veneto 11,2 11,0 10,9 11,4 11,1 11,5 11,0 9,8 8,7
Friuli Venezia
Giulia 11,5 11,5 11,1 11,4 13,0 12,6 13,3 13,0 12,8
Liguria 12,8 13,5 13,3 13,8 13,7 13,2 12,3 12,0 11,5
Emilia Romagna 10,7 10,5 10,6 10,8 10,8 10,5 10,5 9,8 8,6
Toscana 11,9 12,3 12,9 12,9 12,9 13,0 12,5 10,8 9,8
Umbria 14,7 14,1 15,2 14,4 15,1 17,1 15,6 13,8 12,8
Marche 11,7 11,7 12,0 12,0 12,9 13,9 12,5 11,4 10,7
Lazio 16,5 16,5 17,0 17,2 16,9 17,2 17,2 15,5 14,4
Abruzzo 12,1 12,8 12,9 13,4 13,2 13,9 13,7 13,7 12,6
Molise 14,2 15,6 15,9 16,5 16,2 18,0 19,5 20,9 19,2
Campania 23,8 23,8 25,0 26,2 25,6 24,7 25,1 25,1 23,2
Puglia 19,4 19,5 19,4 19,4 19,5 20,4 20,7 21,1 20,9
Basilicata 17,1 17,5 18,1 19,9 19,8 22,1 21,1 21,5 20,8
Calabria 28,1 27,3 27,5 28,3 28,0 29,1 29,5 30,0 31,0
Sicilia 20,3 21,1 21,9 23,4 23,5 23,3 24,1 25,0 26,0
Sardegna 16,4 17,5 18,7 19,7 19,5 18,4 19,3 17,7 18,3
Totale Italia
/P> 14,5 14,5 14,8 15,1 15,0 15,0 15,1 14,2 13,4
Nord-ovest 11,3 11,3 11,2 11,0 10,8 10,8 11,0 9,5 8,3
Nord-est 11,2 11,1 11,1 11,5 11,3 11,3 11,2 10,3 9,3
Centro 14,2 14,2 14,8 14,9 14,9 15,4 14,9 13,3 12,3
Mezzogiorno 20,7 20,9 21,6 22,5 22,3 22,4 22,8 23,1 22,8
Fonte: Istat 2005
(*) incidenza % delle unità di lavoro non regolari sul totale delle unità di lavoro.

82
ANALISI STATISTICA A LIVELLO REGIONALE

Serie storica delle Unità di lavoro non regolari

Si riportano per gli anni che vanno dal 1995 al 2003 le Unità di lavoro non regolari suddivisi per
ambito regionale e per ripartizione territoriale.

Unità di lavoro non regolari - Totale economia (in migliaia)

Regioni 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

Piemonte 190,9 201,2 196,6 189,4 198,0 214,7 215,5 190,2 179,7
Valle d'Aosta 9,1 8,7 9,0 10,0 9,3 9,2 9,4 9,3 8,9
Lombardia 470,7 464,1 463,2 459,1 443,4 435,6 461,3 391,1 326,4
Trentino Alto Adige 58,6 64,8 66,1 71,5 60,6 62,8 61,7 59,2 54,3
Veneto 228,6 226,3 227,0 238,2 234,5 248,4 241,2 216,2 190,6
Friuli Venezia Giulia 59,8 60,1 57,8 59,9 69,1 67,9 72,9 71,4 70,7
Liguria 82,4 86,7 86,0 90,5 89,5 87,5 83,3 81,1 78,7
Emilia Romagna 204,5 202,6 204,7 208,8 211,1 211,2 212,0 200,7 176,4
Toscana 185,3 190,3 199,8 202,8 204,8 210,6 205,3 177,7 163,4
Umbria 48,4 46,2 50,0 48,5 52,4 60,9 56,5 49,5 46,3
Marche 73,1 73,7 75,3 76,0 82,4 90,2 82,0 76,0 71,8
Lazio 346,5 346,4 358,2 368,7 364,1 378,0 384,2 358,1 336,1
Abruzzo 57,1 61,2 61,3 63,4 61,7 66,9 68,7 69,3 63,6
Molise 15,6 17,3 17,9 18,6 18,0 20,6 22,7 24,3 22,3
Campania 396,5 393,9 420,7 449,3 436,8 425,6 441,6 454,6 419,7
Puglia 248,7 247,6 243,8 246,6 251,1 267,5 276,5 286,4 280,3
Basilicata 31 6 32,3 33,6 37,5 38,1 43,8 40,8 42,0 40,3
Calabria 177,0 167,1 168,8 173,4 169,4 179,1 186,7 194,1 202,5
Sicilia 288,5 301,2 314,7 341,7 342,4 344,5 366,1 381,0 398,2
Sardegna 89,8 96,1 104,3 111,3 109,9 104,0 113,4 105,1 107,6
Totale Italia 3262,7 3287,8 3358,8 3465,2 3446,6 3529,0 3601,8 3437,3 3237,8
Nord-ovest 753,1 760,7 754,8 749,0 740,2 747,0 769,5 671,7 593,7
Nord-est 551,5 553,8 555,6 578,4 575,3 590,3 587,8 547,5 492,0
Centro 653,3 656,6 683,3 696,0 703,7 739,7 728,0 661,3 617,6
Mezzogiorno 1304,8 1316,7 1365,1 1441,8 1427,4 1452,0 1516,5 1556,8 1534,5

83
PARTE QUARTA

I. Il quadro economico regionale, provinciale e comunale. Dati


disaggregati del sommerso.
II. Sicilia
III. Palermo
IV. PIT 31

84
1. Il quadro economico regionale, provinciale e comunale. Dati
disaggregati del sommerso.
1.1 L’approccio metodologico
L'analisi di seguito sviluppata, è stata realizzata attraverso una elaborazione di dati
a livello regionale, provinciale e comunale, con particolare riferimento ai
comuni che gravitano nell’area del PIT N. 31 , all’interno del quale ricadono i
territori dei Comuni di: Alimena (Palermo); Bompietro (Palermo); Caltavuturo
(Palermo); Campofelice Di Rocce (Palermo); Castelbuono (Palermo); Castellana
Sicula (Palermo); Cefalu' (Palermo); Collesano (Palermo); Gangi (Palermo); Geraci
Siculo (Palermo); Gratteri (Palermo); Isnello (Palermo); Lascari (Palermo); Petralia
Soprana (Palermo); Petralia Sottana (Palermo); Polizzi Generosa (Palermo); Pollina
(Palermo); San Mauro Castelverd (Palermo); Sclafani Bagni (Palermo); Scillato
(Palermo); Blufi (Palermo).
Sul piano metodologico, per quanto riguarda i dati macro economici
territoriali si è preferito strutturare la ricerca utilizzando i seguenti fattori di
rilevazione:
1. Dinamismo del quadro macroeconomico locale (per i dati regionali,
provinciali e comunali);
2. Accessibilità dei mercati (per i dati regionali e provinciali);
3. Competitività del tessuto produttivo locale (per i dati regionali e
provinciali);
4. Diffusione, efficienza e qualità dei servizi reali e finanziari alle
imprese (per i dati regionali);
5. Presenza di un bacino di manodopera cospicuo e di elevata qualità
(per i dati regionali);
6. Dotazione di infrastrutture economiche primarie e utilities (per i dati
regionali);
7. Capacità del sistema locale di produrre innovazione scientifica e
tecnologica (per i dati regionali);
8. Livello di qualità della vita e associazionismo (per i dati regionali e
provinciali);
9. Efficienza della Pubblica Amministrazione locale (per i dati regionali);
Per quanto riguarda i dati provinciali e comunali si è preferito strutturare la
ricerca utilizzando i seguenti fattori di rilevazione:
1. Popolazione e territorio;
2. Tessuto imprenditoriale;
3. Mercato del lavoro;
4. Principali risultati economici;
5. Tenore di vita;
6. Competitività del territorio.

85
In ogni singolo ambito della ricerca è stato inserito un paragrafo relativo al
lavoro sommerso per la cui valutazione,si è preferito strutturare la ricerca
utilizzando fattori di rilevazione così detti indiretti che si fondano su grandezze
macro-economiche considerate cioè indicatori della dimensione dell’economia
sommersa quali:
1. la popolazione residente (italiana e straniera)e la popolazione attiva
(20/59 anni);
2. il reddito;
3. l’occupazione e il mercato del lavoro.

86
2 Dati disaggregati a livello regionale. Regione Sicilia
2.1. Dinamismo del quadro macroeconomico locale. Focalizzazione del
sommerso

I macroindicatori ed i rispettivi indicatori utilizzati per qualificare il dinamismo del


quadro macroeconomico locale sono:
1. sviluppo economico:
o indice di variazione triennale del PIL;
o reddito pro-capite;
o consumo pro-capite.
2. andamento del mercato del lavoro:
o tasso di attività;
o tasso di disoccupazione;
o tasso di lavoro autonomo.
Schema 1. Il dinamismo del quadro macroeconomico:
il posizionamento regionale

ALTO

Trentino Alto Adige


Emilia Romagna
Andamento del mercato del lavoro

Veneto Valle d'Aosta


Friuli Venezia Giulia Marche
Lombardia
Toscana
Abruzzo Umbria
Piemonte
Liguria
Lazio
Molise

Basilicata

Sardegna
Puglia

Campania

Calabria
Sicilia

BASSO Sviluppo economico complessivo ALTO

Da una prima lettura, il grafico mette in evidenza il modesto posizionamento


della Sicilia rispetto ai due principali assi di analisi, cioè il basso livello di sviluppo
economico della regione, che dipende dai livelli di reddito e consumo pro-
capite e la dinamica negativa del mercato del lavoro.

Rispetto al livello di sviluppo complessivo del territorio, il dato più significativo


che emerge dall'analisi è la variazione positiva del PIL nel triennio 2000/2003
(12% contro una media nazionale dell’11%). L’andamento del PIL assume un

87
significato particolare se si indaga sulla composizione settoriale di tale crescita: il
settore energetico ha concorso per il 40% alla formazione del prodotto interno
dell’industria in senso stretto (a fronte di poco più del 20% nel Mezzogiorno e
dell’8% circa nel Nord-Centro), infatti, sono emersi degli aumenti sostenuti anche
nell’agricoltura, nell’industria non di base e nel terziario.

Per quanto riguarda l’andamento del mercato del lavoro, la situazione


della Sicilia è, come noto, abbastanza critica, a causa dell'alto tasso di
disoccupazione (25,3%) e del basso tasso di attività (43%). Il tasso di lavoro
autonomo (29%) invece, risulta superiore a quello medio italiano, e
registra non solo la naturale propensione all’imprenditorialità in presenza di elevati
livelli di disoccupazione, ma anche una certa capacità e vivacità della
popolazione attiva.

Il miglior funzionamento del mercato del lavoro ha richiesto infatti interventi


finalizzati a:

* incentivare il settore privato nell’offerta di lavoro regolare:

il tasso di irregolarità nel 2005, secondo la previsione Svimez, in


Sicilia è pari a circa il 27,0% (quattro punti percentuali in più della
media meridionale e circa 14 punti percentuali in più rispetto alla
media nazionale) ed è secondo solo alla Calabria. Il tasso di
irregolarità in Sicilia è pari all’42,0 in agricoltura, al 26,0
nell’industria, al 32,2 nelle costruzioni ed al 24,5 nei servizi;

* accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro,


benché negli ultimi anni si sia registrato un discreto aumento dei tassi di
attività (dal 25% al 26%);

* risolvere il nodo della disoccupazione giovanile (oltre il 40% dei


maschi nella fascia di età compresa tra i 15 e i 29 anni è alla ricerca di
un’occupazione, contro poco più del 20% in Italia) e della disoccupazione di
lunga durata (45,2% della forza lavoro tra i giovani e il 14,6 % nelle altre
fasce di età).

88
2.2 Il lavoro sommerso in Sicilia

Una tra le prime in classifica, tra le regioni italiane del Mezzogiorno, per
incidenza di lavoro sommerso è la Sicilia, con il 26,0% (dati ISTAT 2003, mentre la
SVIMEZ formula una ipotesi del 27% nel 2005), contro una media meridionale pari
al 23%.

La percentuale è in lieve aumento rispetto al 1999 (21,1%), mentre si


registra una più consistente variazione confrontando il dato del 1995 (20,3%). In
dieci anni, i lavoratori irregolari nella regione, sono aumentati di 79 mila unità,
arrivando a quota 367.000 (oltre un quinto del totale dei lavoratori in nero del
Mezzogiorno). In Sicilia, gli occupati “ufficiali” arrivano a 1,41 milioni ( dati
Regione Sicilia 2005 ).

Per quanto riguarda i dati previsionali per singoli settori, si registra un tasso
di irregolarità totale per il 2005 (stime SVIMEZ) del 27,0%, circa quattro punti in
più rispetto al Mezzogiorno, mentre per quanto riguarda i singoli settori, l’incidenza
maggiore del sommerso si registra in agricoltura, con il 42,0%. Ma in Sicilia anche
l’industria evidenzia un alto tasso di sommerso (26,0%) rispetto alle altre regioni
del Sud.

89
Il maggior peso del lavoro nero, si registra soprattutto nelle costruzioni
(32,2%),mentre risulta più contenuto nell’industria in senso stretto. Nei servizi,
infine, l’incidenza è del 24,5%, due punti in più della stessa media settoriale del
Mezzogiorno con il 23,0%.

Il dibattito che da un decennio a questa parte si è sviluppato attorno alla


presa di coscienza circa la presenza di imponenti e radicate forme di economia
sommersa nei sistemi locali, soprattutto meridionali, ha indubbiamente favorito
l’ingresso del tema “emersione” anche all’interno del sistema politico italiano.

E’ ormai chiaro da tempo che se in Italia ci fosse realmente una media di


disoccupati che nel Mezzogiorno tocca punte del 40%, come si rileva dalle stime
ufficiali, dovremmo ragionevolmente attenderci un alto livello di disagio sociale,
tale da manifestarsi attraverso continui episodi di violenza.

Oggi, nell’isola, due lavoratori su tre operano in modo irregolare.

Disaggregando ulteriormente il dato, troviamo che uno su tre opera


completamente in nero, ed ancora uno su tre risulta collocato in una sorta di zona
grigia, una zona potremmo definirla, a legalità parziale.

Nella zona grigia, troviamo lavoratori che ricevono formalmente una busta
paga regolare, ma vengono, in sostanza, retribuiti con un salario decurtato.

Ci sono poi operatori cui vengono richieste ore aggiuntive, oltre quelle
contrattualmente previste, a stipendio invariato. Un caso, quest’ultimo, assai
frequente negli esercizi commerciali e nelle imprese edili.

Ancora, lavoratori che firmano, all’atto dell’assunzione, una lettera di


licenziamento volontario dell’impresa senza indicazione di data, prassi ricorrente
nelle attività di cooperazione sociale.

Ultimo “espediente”: la percezione abusiva degli assegni familiari che il


datore di lavoro trattiene dalla retribuzione, quasi una forma di “pizzo”
sull’occupazione. Sicchè a fronte di queste tipologie suscita minor sorpresa la
conferma di un ampio numero di lavoratrici che non godono delle norme sulla
maternità, ovvero di lavoratori cui viene negato il diritto alle ferie o la retribuzione
durante le ferie.

C’è poi, una peculiarità in Sicilia, come in altre regioni a rischio: il legame
stretto tra la criminalità organizzata e la crescita del lavoro in nero.

L’assenza di controllo, da parte dello Stato, favorisce comportamenti illegali


da parte delle imprese, spesso “garantite” con il ricorso alla protezione loro
assicurata dalla criminalità mafiosa.

Il controllo su questa sorta di mercato del lavoro parallelo, che innesca forme
di concorrenza sleale ed incita al ribasso nel rispetto delle regole, è affidato,
infatti, a dodici ispettori del lavoro a fronte di una dotazione organica necessaria
stimata in almeno centoventi ispettori.

In Sicilia, solo venti aziende, per un totale di quarantasette lavoratori, hanno


fatto ricorso ai benefici legislativi offerti dalla legge per la regolarizzazione del
lavoro sommerso.
90
Due meccanismi perversi,che sembrano sostenersi reciprocamente:

l’introduzione di una legge per la riemersione porta inevitabilmente ad una


disattivazione degli strumenti di vigilanza onde favorirne l’applicazione.

Paradossalmente, questa scelta suggerisce aspettative “al rialzo”, la


convinzione cioè che, di fronte agli scarsi successi degli interventi adottati,
sopravvengano ulteriori e più convenienti incentivi.

Per intanto l’economia siciliana sopravvive con un’incidenza del lavoro nero
pari all’80% nel settore tessile, al 65% nel commercio, al 40% nell’edilizia, al 25%
nelle installazioni telefoniche.

91
Tassi di irregolarità (*) - Totale economia
Regioni 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

Piemonte 10,3 10,8 10,6 10,2 10,5 11,1 11,1 9,8 9,2
Valle d'Aosta 16,0 15,3 15,7 17,5 16,3 15,5 15,6 15,3 14,7
Lombardia 11,4 11,2 11,1 10,9 10,5 10,2 10,6 8,9 7,3
Trentino Alto Adige 12,8 13,8 14,1 14,9 12,6 12,8 12,5 11,9 10,9
Veneto 11,2 11,0 10,9 11,4 11,1 11,5 11,0 9,8 8,7
Friuli Venezia Giulia 11,5 11,5 11,1 11,4 13,0 12,6 13,3 13,0 12,8
Liguria 12,8 13,5 13,3 13,8 13,7 13,2 12,3 12,0 11,5
Emilia Romagna 10,7 10,5 10,6 10,8 10,8 10,5 10,5 9,8 8,6
Toscana 11,9 12,3 12,9 12,9 12,9 13,0 12,5 10,8 9,8
Umbria 14,7 14,1 15,2 14,4 15,1 17,1 15,6 13,8 12,8
Marche 11,7 11,7 12,0 12,0 12,9 13,9 12,5 11,4 10,7
Lazio 16,5 16,5 17,0 17,2 16,9 17,2 17,2 15,5 14,4
Abruzzo 12,1 12,8 12,9 13,4 13,2 13,9 13,7 13,7 12,6
Molise 14,2 15,6 15,9 16,5 16,2 18,0 19,5 20,9 19,2
Campania 23,8 23,8 25,0 26,2 25,6 24,7 25,1 25,1 23,2
Puglia 19,4 19,5 19,4 19,4 19,5 20,4 20,7 21,1 20,9
Basilicata 17,1 17,5 18,1 19,9 19,8 22,1 21,1 21,5 20,8
Calabria 28,1 27,3 27,5 28,3 28,0 29,1 29,5 30,0 31,0
Sicilia 20,3 21,1 21,9 23,4 23,5 23,3 24,1 25,0 26,0
Sardegna 16,4 17,5 18,7 19,7 19,5 18,4 19,3 17,7 18,3
Totale Italia /P> 14,5 14,5 14,8 15,1 15,0 15,0 15,1 14,2 13,4
Nord-ovest 11,3 11,3 11,2 11,0 10,8 10,8 11,0 9,5 8,3
Nord-est 11,2 11,1 11,1 11,5 11,3 11,3 11,2 10,3 9,3
Centro 14,2 14,2 14,8 14,9 14,9 15,4 14,9 13,3 12,3
Mezzogiorno 20,7 20,9 21,6 22,5 22,3 22,4 22,8 23,1 22,8
Fonte: Istat 2005
(*) incidenza % delle unità di lavoro non regolari sul totale delle unità di lavoro.

92
Unità di lavoro non regolari - Totale economia (in migliaia)
Regioni 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

Piemonte 190,9 201,2 196,6 189,4 198,0 214,7 215,5 190,2 179,7
Valle d'Aosta 9,1 8,7 9,0 10,0 9,3 9,2 9,4 9,3 8,9
Lombardia 470,7 464,1 463,2 459,1 443,4 435,6 461,3 391,1 326,4
Trentino Alto
Adige 58,6 64,8 66,1 71,5 60,6 62,8 61,7 59,2 54,3
Veneto 228,6 226,3 227,0 238,2 234,5 248,4 241,2 216,2 190,6
Friuli Venezia
Giulia 59,8 60,1 57,8 59,9 69,1 67,9 72,9 71,4 70,7
Liguria 82,4 86,7 86,0 90,5 89,5 87,5 83,3 81,1 78,7
Emilia
Romagna 204,5 202,6 204,7 208,8 211,1 211,2 212,0 200,7 176,4
Toscana 185,3 190,3 199,8 202,8 204,8 210,6 205,3 177,7 163,4
Umbria 48,4 46,2 50,0 48,5 52,4 60,9 56,5 49,5 46,3
Marche 73,1 73,7 75,3 76,0 82,4 90,2 82,0 76,0 71,8
Lazio 346,5 346,4 358,2 368,7 364,1 378,0 384,2 358,1 336,1
Abruzzo 57,1 61,2 61,3 63,4 61,7 66,9 68,7 69,3 63,6
Molise 15,6 17,3 17,9 18,6 18,0 20,6 22,7 24,3 22,3
Campania 396,5 393,9 420,7 449,3 436,8 425,6 441,6 454,6 419,7
Puglia 248,7 247,6 243,8 246,6 251,1 267,5 276,5 286,4 280,3
Basilicata 31 6 32,3 33,6 37,5 38,1 43,8 40,8 42,0 40,3
Calabria 177,0 167,1 168,8 173,4 169,4 179,1 186,7 194,1 202,5
Sicilia 288,5 301,2 314,7 341,7 342,4 344,5 366,1 381,0 398,2
Sardegna 89,8 96,1 104,3 111,3 109,9 104,0 113,4 105,1 107,6
Totale Italia 3262,7 3287,8 3358,8 3465,2 3446,6 3529,0 3601,8 3437,3 3237,8
Nord-ovest 753,1 760,7 754,8 749,0 740,2 747,0 769,5 671,7 593,7
Nord-est 551,5 553,8 555,6 578,4 575,3 590,3 587,8 547,5 492,0
Centro 653,3 656,6 683,3 696,0 703,7 739,7 728,0 661,3 617,6
Mezzogiorno 1304,8 1316,7 1365,1 1441,8 1427,4 1452,0 1516,5 1556,8 1534,5

93
2.3. La competitività del tessuto produttivo locale

I due macroindicatori ed i rispettivi indicatori utilizzati per qualificare il


tessuto produttivo locale sono:
1. la variazione degli occupati e lo sviluppo dell’imprenditorialità:
o tasso di crescita delle imprese;
o variazione dell’occupazione;
o densità delle imprese;
2. la propensione all’investimento:
o tasso di accumulazione (investimenti fissi lordi/valore
aggiunto al costo dei fattori).

Schema 2. Competitività del tessuto produttivo locale:


ALTO
il posizionamento regionale

Campania

Sardegna
sviluppo dell’imprenditorialità

Sicilia Basilicata
Variazione degli occupati e

Molise Valle d'Aosta


Veneto
Puglia Trentino Alto Adige
Lombardia Lazio

Emilia Romagna Calabria

Liguria
Umbria

Marche Toscana
Friuli Venezia Giulia

Abruzzo

Piemonte

BASSO ALTO
Propensione all’investimento

Sul piano della variazione degli occupati e dello sviluppo


dell’imprenditorialità, la Sicilia, ha registrato, negli ultimi anni, notevoli
passi in avanti, come emerge dall’elevato tasso di crescita delle imprese
(28%) e da una variazione dell’occupazione positiva (3,4%) e superiore
al valore nazionale (1,7%).

L’elevato tasso di crescita dell’imprenditorialità dipende essenzialmente da tre


fattori:
o lo sviluppo dei sistemi locali manifatturieri e non;
o gli incentivi per l’autoimprenditorialità giovanile e femminile;
o le opportunità offerte dalla programmazione negoziata (Patti
Territoriali e Contratti d’Area).

I sistemi produttivi locali, che in Sicilia presentano caratteristiche ben

94
diverse dalle realtà distrettuali presenti nel centro-Nord Italia, sia per la modesta
presenza di unità di piccole dimensioni sia perché non rispondono al requisito della
monosettorialità, hanno registrato una certa dinamicità, sia in termini di
presenza industriale (crescita di quasi cinque punti superiore a quella meridionale
e di più di due punti superiore a quella regionale), sia in termini di capacità di
mercato.

Per quanto riguarda invece gli incentivi destinati


all’autoimprenditorialità e alla programmazione negoziata, si tratta di
fenomeni che, come vedremo, hanno determinato la nascita di nuove imprese, che
però fanno fatica a “posizionarsi” sul mercato, restando ai limiti delle soglie
dimensionali critiche.

Il tasso di accumulazione degli investimenti, presenta in Sicilia un


valore pari a quello medio nazionale anche se inferiore a quello della
Sardegna e di alcune regioni del Centro e del sud Italia, quali la Calabria, la
Basilicata, il Lazio, il Molise.

95
2.4. Presenza di un bacino di manodopera locale cospicuo e di elevata
qualità

I due macroindicatori ed i rispettivi indicatori utilizzati per qualificare questo


contesto di analisi sono:

1. disponibilità di risorse umane qualificate:


o laureati disoccupati;
o diplomati disoccupati ;

2. livello di qualificazione della forza lavoro:


o percentuale di laureati su la popolazione residente maggiore di 6
anni;
o percentuale di diplomati su la popolazione residente maggiore di 6
anni;
o percentuale di laureati in discipline tecnico scientifiche su totale
laureati.

Schema 3. Presenza di un bacino di manodopera locale cospicuo e di


elevata qualità: il posizionamento regionale
ALTO
Basilicata
Livelli di qualificazione della forza lavoro

Lazio
Umbria
Liguria
Lombardia

Emilia Romagna

Friuli Venezia Giulia


Toscana Piemonte
Calabria Sicilia
Sardegna
Abruzzo
Campania
Veneto
Puglia
Marche

Molise

Trentino Alto Adige

BASSO Disponibilità di risorse umane qualificate ALTO

In Sicilia esiste una elevata disponibilità di risorse umane qualificate


dal momento che, sia il numero di laureati disoccupati (18.000) che di
diplomati disoccupati (132.000) è tra le più alte in Italia.
Andando ad esaminare il macroindicatore relativo al livello di
qualificazione della forza lavoro notiamo che la Sicilia si trova in buona
posizione, in quanto la percentuale di laureati (5,8%) è nella media nazionale,

96
quella di diplomati (19%) è leggermente inferiore alla media nazionale, mentre la
percentuale di laureati in discipline tecnico scientifiche (33%) è leggermente
superiore alla percentuale in Italia.

Una buona percentuale di persone con un grado di istruzione


elevato è uno dei maggiori punti di forza della regione, che spiega tra
l’altro anche la scelta di alcune imprese italiane e straniere di
localizzarsi nell’isola.

Il sistema della formazione professionale, nonostante alcuni segnali


positivi di inversione di tendenza, viene ritenuto ancora poco efficiente,
appesantito da un gran numero di interventi e scarsamente collegato con il
sistema scolastico e con il mondo produttivo. Il sistema della formazione
professionale, infatti, basato essenzialmente su finanziamenti di enti esterni
all’Amministrazione regionale, su un numero di formatori molto elevato, sulla
mancanza di un sistema di monitoraggio e controllo, mantiene alti i costi di
gestione, e non produce occupabilità.

Grazie alla presenza di un sistema scientifico costituito da circa 600


strutture di ricerca (pari al 31% del totale della rete meridionale), la Sicilia
dispone degli strumenti e delle risorse necessarie ad intervenire sui seguenti
ambiti:

o il rafforzamento della collaborazione tra imprenditori e istituti di


ricerca: le università, gli enti e le strutture di ricerca difficilmente
operano per produrre e/o trasferire tecnologie e professionalità in stretta
collaborazione con gli utenti adeguandosi alle loro esigenze;

o il potenziamento delle infrastrutture di comunicazione


telematica per il trasferimento di tecnologie e di capacità di innovazione
alle PMI presenti sul territorio;

o la capacità della Pubblica Amministrazione di interagire


positivamente con i processi reali di sviluppo, a dotarsi di risorse
professionali qualificate e di competenze strategiche, al fine di
supportare le istituzioni e le imprese nei processi innovativi.

97
3. Dati disaggregati a livello provinciale. Provincia regionale di
Palermo.
Fonte: Istituto G. Tagliacarte.

3.1. Popolazione e territorio

Al 31-12-2005, con circa 1.239.808 abitanti, Palermo, è la sesta provincia a


maggiore ampiezza demografica del Paese assorbendo circa ¼ della popolazione
siciliana e il 2,1% di quella italiana. Il numero di famiglie è di circa 451 mila unità
con un numero medio di componenti per famiglia (2,7) tra i più elevati del Paese
(11° posto).

La densità di popolazione di Palermo (248,3 abitanti per kmq) risulta molto


accentuata, superiore del 27% rispetto al dato nazionale. Il territorio è composto
quasi interamente da aree collinari e montuose, così la zona costiera è costituita
da grandi concentrazioni urbane che contribuiscono a rendere elevata la quota di
popolazione inurbata (residente nei sette centri con più di 20.000 abitanti:
70,6%), molto più elevata che nella media italiana ma in lieve diminuzione negli
anni novanta.

Come in altre province meridionali, la popolazione appare relativamente


giovane con una quota elevata di individui di età inferiore ai 14 anni (16,9%, 8°
posto fra le 103 province), mentre la popolazione anziana presenta circa 2,6 punti
percentuali in meno della media nazionale (16,8% contro il 19,5%). Il saldo
demografico è attivo mentre il numero di stranieri rapportato alla popolazione
residente è pari a 1.423 (in aumento di poco più di 150 unità rispetto al
precedente periodo) ogni 100 mila abitanti (il 92,3% dei quali extracomunitari),
valore molto al di sotto di quello nazionale (4.109).

98
La densità abitativa nei comuni della provincia

Fonte: Atlante delle competitività. Ist. G. Tagliacarne

Cod. ISTAT Comune Superficie (Kmq) Popolazione Densità (Ab/Kmq)


82079 VILLABATE 3,83 19.425 5.071,80
82053 PALERMO 158,88 670.820 4.222,18
82035 FICARAZZI 3,56 10.124 2.843,82
82043 ISOLA DELLE FEMMINE 3,54 6.855 1.936,44
82006 BAGHERIA 29,68 54.508 1.836,52
82020 CAPACI 6,12 10.243 1.673,69
82007 BALESTRATE 3,87 5.933 1.533,07
82074 TRAPPETO 4,13 2.943 712,59
82067 SANTA FLAVIA 14,46 10.164 702,90
82050 MONTELEPRE 9,89 6.219 628,82
82071 TERRASINI 19,44 10.968 564,20
82073 TRABIA 20,46 9.023 441,01
82017 CAMPOFELICE DI ROCCELLA 14,75 6.017 407,93
82021 CARINI 76,86 29.825 388,04
82048 MISILMERI 69,21 25.572 369,48
82009 BELMONTE MEZZAGNO 29,20 10.450 357,88
82070 TERMINI IMERESE 77,58 27.452 353,85
82031 CINISI 33,16 10.933 329,70
82044 LASCARI 10,39 3.335 320,98
82023 CASTELDACCIA 33,98 10.083 296,73
82064 SAN GIUSEPPE JATO 29,46 8.697 295,21
82054 PARTINICO 110,32 31.518 285,70
82005 ALTOFONTE 35,27 9.708 275,25
82013 BORGETTO 25,95 6.641 255,92
82004 ALTAVILLA MILICIA 23,79 6.012 252,71
82063 SAN CIPIRELLO 20,94 5.241 250,29
82027 CEFALU' 65,80 13.716 208,45
82046 MARINEO 33,32 6.875 206,33
82045 LERCARA FRIDDI 37,27 7.203 193,27
82038 GIARDINELLO 12,49 2.063 165,17
82075 USTICA 8,09 1.304 161,19
82022 CASTELBUONO 60,51 9.324 154,09
82076 VALLEDOLMO 25,80 3.968 153,80
82072 TORRETTA 25,41 3.866 152,14
82011 BOLOGNETTA 27,58 3.708 134,45
82080 VILLAFRATI 25,61 3.382 132,06
82028 CERDA 43,82 5.350 122,09
82051 MONTEMAGGIORE BELSITO 31,83 3.766 118,32
82026 CEFALA' DIANA 9,02 1.003 111,20
82003 ALIMINUSA 13,71 1.337 97,52
82019 CAMPOREALE 38,61 3.633 94,09
82057 PIANA DEGLI ALBANESI 64,89 6.011 92,63

99
82039 GIULIANA 24,19 2.204 91,11
82068 SCIARA 31,19 2.815 90,25
82001 ALIA 45,67 4.042 88,50
82062 ROCCAPALUMBA 31,41 2.719 86,56
82008 BAUCINA 24,34 1.992 81,84
82077 VENTIMIGLIA DI SICILIA 26,69 2.154 80,70
82010 BISACQUINO 64,74 5.080 78,47
82030 CIMINNA 56,34 3.993 70,87
82049 MONREALE 529,20 35.219 66,55
82018 CAMPOFIORITO 21,35 1.379 64,59
82055 PETRALIA SOPRANA 56,86 3.602 63,35
82059 POLLINA 49,90 3.078 61,68
82047 MEZZOJUSO 49,43 3.014 60,98
82036 GANGI 127,16 7.377 58,01
82060 PRIZZI 95,03 5.459 57,45
82082 BLUFI 20,56 1.169 56,86
82029 CHIUSA SCLAFANI 57,40 3.205 55,84
82024 CASTELLANA SICULA 72,54 3.710 51,14
82034 CORLEONE 229,12 11.329 49,45
82061 ROCCAMENA 33,32 1.632 48,98
82014 CACCAMO 187,80 8.506 45,29
82015 CALTAVUTURO 97,22 4.356 44,81
82002 ALIMENA 59,39 2.321 39,08
82032 COLLESANO 108,40 4.158 38,36
82012 BOMPIETRO 42,40 1.596 37,64
82042 ISNELLO 50,18 1.784 35,55
82078 VICARI 85,74 2.988 34,85
82040 GODRANO 38,87 1.159 29,82
82058 POLIZZI GENEROSA 134,33 3.898 29,02
82041 GRATTERI 38,46 1.053 27,38
82066 SANTA CRISTINA GELA 38,55 902 23,40
82081 SCILLATO 30,89 672 21,75
82052 PALAZZO ADRIANO 129,25 2.429 18,79
82037 GERACI SICULO 112,97 2.035 18,01
82056 PETRALIA SOTTANA 178,04 3.179 17,86
82065 SAN MAURO CASTELVERDE 114,19 2.034 17,81
82016 CAMPOFELICE DI FITALIA 35,29 599 16,97
82025 CASTRONUOVO DI SICILIA 199,91 3.278 16,40
82033 CONTESSA ENTELLINA 136,37 1.975 14,48
82069 SCLAFANI BAGNI 135,06 496 3,67

100
3.2. Tessuto imprenditoriale

La struttura imprenditoriale della provincia è costituita da oltre 76.750 (


contro le 76.170 unità del 2004 - 15° valore più alto nazionale) presentando una
densità imprenditoriale decisamente bassa: 6,2 imprese ogni 100 abitanti di quasi
2,7 punti percentuali al di sotto del dato nazionale.

Il tessuto imprenditoriale è interessato dalla prevalenza di imprese di piccola


e piccolissima dimensione e per la quasi assoluta assenza di imprese di dimensioni
grandi. L'andamento della dinamica imprenditoriale presenta, nel biennio 2004-
2005, valori non molto significativi con un aumento medio annuo del numero di
imprese pari al 1,94, che equivale alla 53-esima performance fra tutte le province
italiane. Il settore a maggiore densità di attività imprenditoriali è il terziario. In
particolare il settore per il quale detiene posizioni di rilievo è il commercio che
assorbe il 39% di tutte le iniziative imprenditoriali costituendo da questo punto di
vista la terza realtà del Paese. Importante anche il dato riguardo le imprese
individuali che rappresentano il 77,3%. Meno rilevanti sono i servizi alle imprese e
soprattutto gli esercizi alberghieri, sebbene il turismo rappresenti una cospicua
voce di entrata. Il 23,1% delle imprese è di connotazione prettamente artigiana,
un valore complessivamente modesto che però ben si inserisce nella modestia
della componente artigiana (almeno in termini di impatto imprenditoriale) che
colpisce l'intera Sicilia.

Circa i due terzi del sistema economico locale è formato da unità produttive a
carattere individuale, valore che risulta superiore alla media nazionale. Per quanto
concerne il turismo la provincia ha 443 esercizi turistici, per un totale di 33.326
posti letto che pongono la provincia 52-esima a livello nazionale.

101
La densità imprenditoriale nei comuni della provinicia

Densità
Cod. Numero di unità
Comune Popolazione imprenditoriale
ISTAT locali
(u.l. per 100 abitanti)
82061 ROCCAMENA 325 1.632 19,91
82019 CAMPOREALE 675 3.633 18,58
82076 VALLEDOLMO 729 3.968 18,37
82039 GIULIANA 358 2.204 16,24
82034 CORLEONE 1.644 11.329 14,51
82063 SAN CIPIRELLO 757 5.241 14,44
82033 CONTESSA ENTELLINA 282 1.975 14,28
SAN MAURO
82065 290 2.034 14,26
CASTELVERDE
82016 CAMPOFELICE DI FITALIA 84 599 14,02
82055 PETRALIA SOPRANA 504 3.602 13,99
82069 SCLAFANI BAGNI 69 496 13,91
82025 CASTRONUOVO DI SICILIA 453 3.278 13,82
82036 GANGI 964 7.377 13,07
82078 VICARI 381 2.988 12,75
82026 CEFALA' DIANA 127 1.003 12,66
82060 PRIZZI 677 5.459 12,40
82037 GERACI SICULO 251 2.035 12,33
82064 SAN GIUSEPPE JATO 1.068 8.697 12,28
82010 BISACQUINO 611 5.080 12,03
82008 BAUCINA 239 1.992 12,00
82066 SANTA CRISTINA GELA 107 902 11,86
82074 TRAPPETO 348 2.943 11,82
82024 CASTELLANA SICULA 438 3.710 11,81
MONTEMAGGIORE
82051 444 3.766 11,79
BELSITO
82029 CHIUSA SCLAFANI 374 3.205 11,67
82003 ALIMINUSA 154 1.337 11,52
82062 ROCCAPALUMBA 313 2.719 11,51
82015 CALTAVUTURO 488 4.356 11,20
82068 SCIARA 309 2.815 10,98
82027 CEFALU' 1.495 13.716 10,90
82002 ALIMENA 251 2.321 10,81
82054 PARTINICO 3.380 31.518 10,72
82058 POLIZZI GENEROSA 415 3.898 10,65
82028 CERDA 560 5.350 10,47
82045 LERCARA FRIDDI 748 7.203 10,38
82075 USTICA 135 1.304 10,35
82044 LASCARI 324 3.335 9,72
82032 COLLESANO 396 4.158 9,52
82014 CACCAMO 799 8.506 9,39
82001 ALIA 377 4.042 9,33

102
82040 GODRANO 108 1.159 9,32
82007 BALESTRATE 550 5.933 9,27
82030 CIMINNA 365 3.993 9,14
82057 PIANA DEGLI ALBANESI 542 6.011 9,02
82047 MEZZOJUSO 267 3.014 8,86
82077 VENTIMIGLIA DI SICILIA 188 2.154 8,73
82053 PALERMO 58.474 670.820 8,72
82012 BOMPIETRO 139 1.596 8,71
CAMPOFELICE DI
82017 514 6.017 8,54
ROCCELLA
82013 BORGETTO 566 6.641 8,52
82071 TERRASINI 915 10.968 8,34
82056 PETRALIA SOTTANA 264 3.179 8,30
82042 ISNELLO 146 1.784 8,18
82022 CASTELBUONO 762 9.324 8,17
82018 CAMPOFIORITO 112 1.379 8,12
82070 TERMINI IMERESE 2.196 27.452 8,00
82006 BAGHERIA 4.358 54.508 8,00
82082 BLUFI 93 1.169 7,96
82052 PALAZZO ADRIANO 190 2.429 7,82
82081 SCILLATO 52 672 7,74
82080 VILLAFRATI 261 3.382 7,72
82011 BOLOGNETTA 282 3.708 7,61
82043 ISOLA DELLE FEMMINE 513 6.855 7,48
82059 POLLINA 228 3.078 7,41
82023 CASTELDACCIA 731 10.083 7,25
82079 VILLABATE 1.404 19.425 7,23
82046 MARINEO 490 6.875 7,13
82067 SANTA FLAVIA 713 10.164 7,01
82041 GRATTERI 73 1.053 6,93
82020 CAPACI 700 10.243 6,83
82021 CARINI 2.032 29.825 6,81
82038 GIARDINELLO 135 2.063 6,54
82050 MONTELEPRE 394 6.219 6,34
82009 BELMONTE MEZZAGNO 657 10.450 6,29
82004 ALTAVILLA MILICIA 367 6.012 6,10
82031 CINISI 635 10.933 5,81
82048 MISILMERI 1.468 25.572 5,74
82073 TRABIA 509 9.023 5,64
82035 FICARAZZI 550 10.124 5,43
82049 MONREALE 1.795 35.219 5,10
82072 TORRETTA 178 3.866 4,60
82005 ALTOFONTE 441 9.708 4,54

Fonte: Atlante delle competitività. Ist. G. Tagliacarne

103
3.3. Mercato del lavoro. Focalizzazione del sommerso
La forza lavoro che nelle indagini Istat del 2005 si è dichiarata occupata ammonta
nella provincia di Palermo a circa 357.900 unità (contro i 352.070 del 2004), dei quali, più
dei tre quarti sono impiegati nel terziario e risultano lavoratori dipendenti (sesto valore più
alto del Paese). L'occupazione industriale risulta molto esigua e colloca la provincia al
penultimo posto a livello nazionale; erosa in eguale misura all'agricoltura ed alle altre
attività. Il tasso di attività lavorativa è modesto (53,2%) ma in tendenziale crescita .
Tutte le classi di età manifestano tassi di occupazione in lieve ritardo rispetto al
Mezzogiorno ed all'Italia. La lotta alla disoccupazione dopo aver vissuto un periodo di
enorme difficoltà nella seconda metà degli anni '90 che aveva portato una crescita del
livello di inoccupazione fino a raggiungere il 24,6%, ha visto ad oggi scendere il tasso al
19,2% valore che però resiste ancora tra i primi d'Italia (solo la provincia di Enna presenta
un valore peggiore).
Piuttosto negative sono le prospettive per il futuro visto che secondo le risultanze
dell'indagine Unioncamere-Excelsior nel 2005 si prevede una contrazione dell'occupazione
(nel settore privato) pari a -0,1%, valore in controtendenza al dato del Mezzogiorno
(1,9%) e dell'Italia (1%).
3.4. Il “sommerso” nel mercato del lavoro provinciale
I dati delle stime ISTAT sull’incidenza del lavoro sommerso sull’occupazione totale,
aggiornate al 2003, mostrano come la provincia di Palermo si collochi nella terza fascia più
elevata a livello nazionale, in termini di percentuale di unità di lavoro in nero sul totale,
26,2 ovvero in una forchetta che va dal 23,9 al 28,5.
A livello regionale, solo la provincia di Catania appare collocata in una posizione
peggiore.
Particolarmente diffuso appare il ricorso al lavoro nero nel comparto agricolo (nel
quale Palermo si posiziona nella seconda fascia, con una incidenza che varia tra il 40,4%
al 48%) ed in quello dell’industria (tra il 23,9% ed il 31,5%), con particolare riferimento
all’industria delle costruzioni.
Meno rilevante, ma comunque significativo, appare il ricorso al nero nel comparto dei
servizi (nel quale Palermo si posiziona nella seconda fascia, con una incidenza che varia
tra il 22,4% al 28%). Se il cuore del lavoro nero a Palermo è concentrato nelle attività
agricole e se queste, come noto, costituiscono un canale occupazionale privilegiato per la
manodopera immigrata, è allora evidente che l’incremento dell’occupazione registrato sul
mercato del lavoro palermitano in questi ultimi anni ha risentito, più che nel resto del
Paese, degli effetti statistici della regolarizzazione di lavoratori extracomunitari (che in
precedenza, come è ovvio, si trovavano in una posizione di irregolarità).
In base alle elaborazioni effettuate dall’ISTAT secondo il nuovo schema di contabilità
nazionale SEC95, in Sicilia, nel 2004, il 24,9% delle unità di lavoro totali è rappresentato
da lavoro non regolare ossia da persone rientranti in una o più delle seguenti categorie:
persone che forniscono alla collettività altro valore aggiunto svolgendo una attività
complementare o una seconda attività; coloro che pur essendo dipendenti non sono iscritti
nei libri paga delle imprese; coloro che svolgono una attività autonoma in luoghi di lavoro
non identificabili come tali; occupati non dichiarati. Il prodotto complessivo di questi
lavoratori, comprendente sia il lavoro nero che la produzione legale non rilevata per
evasione fiscale e/o di contributi sociali, definisce la cosiddetta economia sommersa: un
fenomeno ampiamente diffuso su tutto il territorio nazionale, la cui identificazione e
conoscenza restano sostanzialmente lacunose.

1.5. Il sommerso secondo le imprese della provincia di Palermo


Una indagine dell’Istituto Tagliacarte e della Camera di Commercio di Palermo

E’ stato rivolto alle imprese locali un questionario relativo alla percezione del
fenomeno del “sommerso”, alla sua incidenza sul sistema economico complessivo, alla sua
dinamica negli ultimi tre anni, alla concentrazione settoriale, alle categorie professionali e
sociali più colpite, ai motivi di diffusione del fenomeno ed agli effetti sulla competitività
aziendale.
Le tabelle successive (Tab. 1, 2, 3) forniscono i risultati rispettivamente sulla
rilevanza, sulla consistenza e sulla dinamica del fenomeno; in particolare, secondo l’81%
degli intervistati il “sommerso” riveste un ruolo di rilievo nell’economia locale (prime tre
classi di risposta tab. 1), mentre tale percentuale scende al 64% se si considera il settore
di appartenenza.
Volendo quantificare il peso del sommerso sul totale dell’economia, quasi un terzo
degli intervistati sostiene che tale incidenza sia superiore al 21%del complesso delle
attività economiche, mentre il 28,4% afferma che tale incidenza non supera il 20%.
Realizzando una stima ponderata dei dati derivanti da tale rilevazione è possibile
stimare che in media, a parere delle imprese palermitane, la quota di sommerso in
provincia è pari al 19% - coerentemente con quanto stimato dall’Istat per il 2003 - ed al
15,3% nel settore di appartenenza.
Occorre specificare che secondo oltre la metà delle imprese intervistate il fenomeno è
rimasto stazionario negli ultimi tre anni, mentre secondo il 30% di esse è aumentato.
Esaminando le stime degli intervistati in merito alla distribuzione settoriale del
sommerso, le percentuali di risposta superiori al 50% individuano l’agricoltura e le
costruzioni come le aree prevalenti di concentrazione, mentre il 17,8% individua il
commercio ed il 17,6% il settore “tessili, vestiario, abbigliamento”.
Meno rilevante appare il fenomeno in altri segmenti economici, in particolare per
quanto concerne i comparti che compongono il macro settore del manifatturiero.

In merito alle cause del fenomeno, il 71,4% degli intervistati individua i motivi fiscali
ed il 35% un’eccessiva rigidità delle leggi sul lavoro. Le cause addotte dalla maggioranza
degli intervistati sembrano riprodurre il currency demand approach di Schneider, per cui le
variabili esplicative dell’economia sommersa sono l’elevata pressione fiscale, l’eccesso di
regolazione delle attività economiche e l’intensità di regolazione del lavoro.
Per quanto concerne gli effetti del sommerso in tema di competitività aziendale, se la
maggioranza degli intervistati (45%) riconosce gli effetti negativi della concorrenza sleale
che si determina, una percentuale ancora elevata (30,2%) ritiene che il fenomeno non
abbia nessun effetto rilevante, ovvero assume una posizione di neutralismo “etico” rispetto
alla pratica.
Osservando la graduatoria delle categorie professionali e sociali più colpite dal
fenomeno, si evince che essa rispecchia fedelmente la graduatoria delle debolezze
economico-sociali, ivi compresa l’intensità delle migrazioni in Sicilia. Ciò sottolinea che il
sommerso non risulta un elemento che alimenta la competitività delle imprese ma deve
essere prioritariamente inquadrato nell’ottica di riduzione dei costi produttivi.

Occorre, tuttavia, tenere presente che nel 1998 la situazione era la seguente42:
1) la correlazione del fenomeno con un reddito insufficiente ai propri bisogni: il
19,9% degli occupati, ma ben il 23,1% dell’occupazione autonoma aveva dichiarato di
trovarsi in tale condizione e il 70,3% dell’occupazione non regolare aveva addotto tale
motivazione;
2) la forte importanza delle seconde attività svolte “in nero” da occupati regolari: in
Sicilia, nel
1998, vi erano 1.253.000 occupati, di cui 337.000 con un’attività irregolare e 210.000
che svolgevano un doppio lavoro non regolare;
3) la distribuzione settoriale del fenomeno, così distribuita: il 67% nelle collaborazioni
domestiche, il 65,1% nell’occupazione di alberghi e pubblici esercizi, il 45,4%
nell’occupazione del commercio e il 37,1% nell’occupazione di agricoltura e pesca.
Sembra ovvio che il fenomeno migratorio abbia alterato l’articolazione del sommerso.
D’altro canto la presente indagine si è limitata agli effetti negativi del lavoro
sommerso sulla competizione fra aziende, ovvero ad un effetto microeconomico più
sperimentabile direttamente dagli imprenditori intervistati, ma le conseguenze
extraeconomiche del fenomeno sono di più ampio respiro.
Per quanto riguarda gli effetti sullo sviluppo, il lavoro nero, oltre a sottrarre introiti
fiscali, scoraggia l’introduzione di innovazioni labour savings, minaccia con la sua
precarietà la continuità produttiva e la programmazione a medio termine, ma soprattutto
ostacola la professionalizzazione della manodopera all’interno dell’azienda, posto che la
provvisorietà e l’elevato turn-over dei soggetti interessati disincentiva qualsiasi attività
formativa, ivi compresa quella on field, indebolisce la funzione sindacale (anche se il
fenomeno si concentra in settori che sono già sindacalmente deboli), rende più difficile
l’assunzione regolare dei giovani e delle persone in cerca di prima occupazione, protrae
artificialmente la sopravvivenza di aziende ed attività sub-marginali.
In considerazione della visione che le imprese palermitane hanno sul fenomeno del
sommerso e dalle indicazioni emerse in sede di indagine sulle principali cause che
generano tale criticità, è possibile fornire alcune indicazioni di possibili linee di azione tese
a contenerne gli effetti negati sull’economia.
Tra queste, se ne sottolineano alcune:
- interventi destinati a migliorare la conoscenza di provvedimenti legislativi
finalizzati ad agevolare l’assunzione di personale, ed i relativi costi, che
potrebbero contribuire a disincentivare l’utilizzo “a nero” di personale in
azienda;
- proporre, in materia di apprendistato, un allungamento dei termini dei
contratti: in particolare nei servizi estendere la durata da 4 a 6 anni dei
contratti;
- fornire agli imprenditori maggiori certezze sull’applicazione delle leggi vigenti in
materia, con una riduzione dei tempi di erogazione delle agevolazioni finanziarie previste;
- ridurre, ove possibile, la pressione fiscale alle imprese, in modo da
disincentivare forme totali o parziali di evasione.
3.4. Principali risultati economici

Palermo detiene il primato nell'isola per ricchezza complessiva prodotta (1,35% del
valore aggiunto nazionale, 23,2% di quello regionale) con circa 16,9 miliardi di euro di
reddito prodotto nel 2004. Il valore pro-capite (circa 13.715 euro annui) è decisamente
basso (96° posto a livello nazionale), inferiore al già contenuto dato del Mezzogiorno (circa
14.723 euro), e nettamente al di sotto del dato nazionale che è di oltre 21,5 mila euro. I
maggiori proventi sono ascrivibili al terziario, che contribuisce per l'85,4% alla formazione
del valore aggiunto totale (secondo valore più elevato del Paese dopo Roma). Trascurabile
e inferiore anche alla media regionale appare, invece, l'apporto dell'artigianato (8,1%,
sestultimo valore della Penisola) caratterizzato da una struttura imprenditoriale
polverizzata e operante prevalentemente in settori maturi. Bassa l'incidenza degli altri
settori, dove la provincia occupa posizioni medio-basse nelle relative graduatorie.

L’economia palermitana, sotto il profilo quantitativo, è un’economia di rilevante


dimensione: in provincia si produce quasi un quarto dell’intero valore aggiunto della Sicilia
e la sua incidenza percentuale sull’intera economia nazionale risulta essere superiore
addirittura a quella di intere regioni, come il Molise o la Basilicata.
Risulta, quindi, evidente come la comprensione dei motivi sottostanti alle difficoltà
economiche attuali e la necessità di riattivare i processi di crescita economica in provincia
di Palermo non siano solamente problemi meramente locali, ma questioni di interesse
regionale e nazionale.

E’, dunque, nel modello di sviluppo e di specializzazione produttiva che caratterizza il


sistema economico palermitano che vanno ricercati simili squilibri. Gli elementi salienti di
tale modello possono riassumersi nel “lungo processo di trasformazione industriale”e
nell’importanza crescente del terziario caratterizzato, però, soprattutto da servizi di tipo
tradizionale (PA e commercio) e da una sottoutilizzazione del capitale turistico.
Rispetto al primo punto, il sistema manifatturiero palermitano è entrato, da diversi
anni, in un processo di trasformazione. Il tasso medio annuo di variazione del valore
aggiunto manifatturiero nel periodo 1995-2004 è, in provincia di Palermo,
significativamente negativo (-1,7%) a testimonianza di un vero e proprio percorso
selettivo.
Per quanto riguarda la trasformazione industriale provinciale pesino le vicende
dell’indotto dei mezzi trasporto, posto che il valore delle esportazioni di autoveicoli della
provincia di Palermo è diminuito di oltre il 77% fra 2000 e 2005.
Le difficoltà dello stabilimento, a lungo penalizzato dalle scelte strategiche del gruppo
Fiat, si sono inevitabilmente riverberate sull’indotto metalmeccanico operante in loco.
Tuttavia, il nodo critico dell’industria manifatturiera palermitana è costituito da un
sottodimensionamento delle imprese che è persino più rilevante di quello che caratterizza
l’economia nazionale nel suo complesso (pur essendo l’industria italiana notoriamente
connotata dal peso rilevante assunto dalle piccole imprese). La quota di valore aggiunto
prodotta dalle PMI manifatturiere è nettamente superiore alla media nazionale (76,2%, a
fronte del 52,1% nel 2003) e, soprattutto, crescente negli anni. Ciò significa che il sistema
manifatturiero palermitano sta subendo un processo di destrutturazione e “downsizing”,
presumibilmente derivante da una reazione alla trasformazione industriale, che ha indotto
le imprese a esternalizzare fasi produttive ed a ridurre la propria dimensione media come
tentativo di controllare meglio i costi, quindi come mera strategia difensiva. Il problema è
però che, al di sotto di una certa soglia dimensionale “critica”, l’impresa inizia ad avere
difficoltà nel reperire risorse finanziarie per investire e non ha più la capacità di sostenere
programmi di innovazione tecnologica.
Diventa, quindi, evidente il motivo della maggiore esposizione dell’economia
provinciale a fasi di rallentamento del ciclo congiunturale generale. La prevalenza di
imprese piccole e la relativamente scarsa rilevanza di quelle medio-grandi rende, inoltre,
l’economia provinciale più fragile, meno strutturata per resistere a dette fasi di
rallentamento produttivo, dando vita anche a fenomeni di “economia sommersa” come il
lavoro o l’evasione fiscale, oppure a percorsi di innovazione tecnologica.
Ciò è testimoniato dal fatto che le esportazioni di prodotti a medio-alto livello
tecnologico, al netto degli autoveicoli, non raggiungono il 50% del totale delle esportazioni
provinciali. Il grosso del commercio estero della provincia, ad eccezione degli autoveicoli, è
ancora costituito da produzioni tecnologicamente mature, sempre più in difficoltà sui
propri mercati di riferimento.
Anche se, dall’analisi della struttura delle esportazioni provinciali per settore e per
Paese di destinazione emergono, recentemente, segnali di un risveglio, indicati da una
crescita delle esportazioni di prodotti elettronici e da un riorientamento dei mercati
internazionali di riferimento, il sistema manifatturiero palermitano deve ancora percorrere
molta strada per recuperare da una situazione sempre più dicotomica, nella quale, da un
lato, sussiste un patrimonio di grandi imprese (Fincantieri e Fiat, quest’ultima in ripresa
dopo i lunghi anni di difficoltà) ancora in grado di operare efficacemente sui mercati
globali, ed un pulviscolo di piccole e piccolissime unità produttive, sempre più estromesse
dalla competizione.
Il relazione al secondo aspetto, il sistema economico palermitano, tradizionalmente, è
caratterizzato da una elevata quota del valore aggiunto dei servizi sul totale. Ciò, da un
lato, riflette la presenza di un bacino di utenza privilegiato per sostenere la crescita dei
servizi di rango urbano, quale è la città capoluogo di regione e, dall’altro, è il prodotto del
più generale processo di terziarizzazione che stanno attraversando tutte le economie dei
Paesi maturi in questa fase di Rivoluzione post-industriale. Tuttavia, vari indicatori
suggeriscono che il comparto dei servizi, così rilevante per lo sviluppo socio economico
palermitano, sia costituito prevalentemente da attività tradizionali, a basso valore aggiunto
e modesta capacità competitiva su bacini di mercato che non siano prettamente localistici.
Infatti, dall’esame dei dati Infocamere sulla composizione settoriale del sistema
imprenditoriale provinciale, risulta elevata la concentrazione di attività di servizio nei
settori più tradizionali, come il commercio o i servizi alla persona, o nelle attività legate alle
funzioni di pubblica utilità (istruzione, sanità). Viceversa, i servizi di rango urbano più
evoluti sotto il profilo tecnologico ed innovativo, appaiono poco sviluppati, in termini di
diffusione di attività imprenditoriali. Ci si riferisce in particolar modo alla voce “servizi
immobiliari, noleggio, informatica e ricerca”, che racchiude le imprese attive nella
erogazione di servizi informatici e telematici, la cui incidenza sul totale delle imprese attive
è largamente inferiore a quella nazionale, ed ai servizi di trasporto, magazzinaggio e
comunicazione, che pure dovrebbero essere molto sviluppati, in una città portuale quale
quella di Palermo. Stupisce anche la scarsa diffusione di attività legate alla fruizione
turistica del territorio, pure in una provincia che dispone di “assets” turistici molto
importanti e pregiati.
L’attività turistica, in realtà, sembra subire, in questi ultimi anni, un regresso, che non
fa onore alle straordinarie potenzialità di sviluppo che il territorio della provincia di Palermo
potrebbe avere in tal senso. Le presenze turistiche, fra 2000 e 2004, si posizionano, infatti,
su un trend decrescente.
Tutto il comparto dei servizi della provincia di Palermo stenta ad affermare un
modello imperniato su attività ad elevato valore aggiunto ed alta competitività, rimanendo
ancorato perlopiù ad un terziario tradizionale, avente un bacino di mercato eminentemente
localistico.
In tale contesto, la presenza di un centro urbano di grandi dimensioni, che
storicamente funge da capitale regionale e, quindi, da polarizzatore di servizi di tipo
urbano (trasporti, Pubblica Amministrazione, servizi di istruzione, socio sanitari,
commerciali, ecc.) e l’importanza dei flussi mercantili e commerciali che da sempre
caratterizza Palermo in quanto snodo logistico portuale ed aeroportuale nel Mediterraneo
centrale hanno favorito certamente questa vocazione terziaria. Una vocazione che
nemmeno i significativi processi di industrializzazione che, a partire dall’immediato
dopoguerra, hanno interessato il territorio, anche con insediamenti di rilevanti dimensioni,
hanno intaccato. Al contrario, nell’ultimo decennio, si sottolinea un ulteriore processo di
terziarizzazione del sistema economico locale.
5. Dati disaggregati a livello comunale.
Premessa. I metodi di analisi statistica per la ricerca sull’economia
sommersa.

In tutti i sistemi locali produttivi, di qualsiasi ampiezza, si suppone la


presenza di una più o meno ampia zona grigia di attività produttiva rappresentata
dal sommerso. Si tratta di una quota difficilmente quantificabile, sia in termini di
valore aggiunto che di addetti. Le possibilità di controllo del fenomeno sono
scarse, e d'altra parte le forme di incentivazione previste per l'emersione non
hanno dato finora grossi risultati. Questo perché l'incentivazione è sempre una
tantum e, nell'opinione degli imprenditori, per avere effetti favorevoli dovrebbe
comportare una riduzione dei costi permanente, e non temporanea; i vantaggi
dell'emersione, in sostanza, devono necessariamente essere associati alla
possibilità di continuare a produrre a costi competitivi.
L’economia sommersa è un fenomeno, per sua natura, sfuggente e
complesso che non può essere adeguatamente colto utilizzando strumenti statistici
nati per le rilevazioni sull’economia regolare. Per questo, a partire dagli anni ’70,
studiosi ed istituti di ricerca hanno elaborato metodi statistici particolari, per
stimare l’ampiezza dell’economia non osservata e, in alcuni casi, per coglierne la
struttura. Poiché esistono tra gli studiosi concezioni diverse sulla natura e le cause
dell’economia sommersa, queste si riflettono nei modelli da essi ideati e, di
conseguenza, sulle stime della sua ampiezza.
Tali metodi possono essere sinteticamente distinti in:
- metodi diretti, in cui si stima direttamente l’ampiezza dell’economia
sommersa;
- metodi indiretti, in cui la stima dell’economia irregolare è effettuata
attraverso indicatori indiretti.
Nel nostro caso, per i capitoli precedenti, è stato utilizzato il metodo “diretto”
quale ad esempio l’utilizzo dei dati a livello regionale e provinciale, estrapolati dallo
studio di “Marketing territoriale per la Sicilia” dell’Unioncamere siciliana e
l’Osservatorio economico 2006 realizzato dall’Istituto G. Tagliacarte per conto della
Camera di Commercio di Palermo. Più precisamente, in quest’ultimo studio, oltre
all’indagine congiunturale sono stati sviluppati altri due argomenti: il sommerso in
provincia di Palermo e il sommerso secondo le imprese della provincia di Palermo
in cui e stato rivolto alle imprese locali un questionario relativo alla percezione del
fenomeno del “sommerso”, alla sua incidenza sul sistema economico complessivo,
alla sua dinamica negli ultimi tre anni, alla concentrazione settoriale, alle categorie
professionali e sociali più colpite, ai motivi di diffusione del fenomeno ed agli
effetti sulla competitività aziendale.

114
Nel prossimo capitolo, che andrà ad analizzare il fenomeno del sommerso
relativamente al comprensorio comunale del PIT 31, si è utilizzato il metodo
definito “indiretto” con cui la stima dell’economia irregolare è valutata attraverso
indicatori indiretti, quelli cioè relativi ad una comparazione tra i dati della
popolazione, delle unità locali e delle forze di lavoro regolari e irregolari a livello
regionale e provinciale comparati con gli stessi dati a livello comunale.

5.1. Nota metodologica


Per poter meglio analizzare i dati economici del territorio in esame, e anche
in ragione della scarsa reperibilità di dati a livello strettamente comunale (inteso
come delimitazione del territorio), in questa attività di analisi, si è voluto
privilegiare il sistema di rilevazione basato sull’individuazione di Sistemi Locali di
Lavoro (SLL).
Nell’ambito dell’analisi dello sviluppo economico di un territorio, particolare
rilevanza statistica assume il concetto di Sistema Locale di Lavoro; questo
sistema,è stato introdotto ed elaborato dall’ISTAT, in collaborazione con l’IRPET e
con un gruppo di ricercatori dell’Università di Newcastle, ed applicato dall’Istituto
Guglielmo Tagliacarne di Roma. I Sistemi Locali di Lavoro (SLL), sono costituiti da
aggregazioni di comuni effettuate sulla base dei dati sul pendolarismo della
popolazione per motivi di lavoro, rilevati mediante il Censimento della popolazione.
Il Comune che denomina l’ SLL, è quello verso cui si dirige il maggior flusso netto
di pendolari proveniente dall’area circostante. I dati, sono quindi individuati non
esclusivamente da una suddivisione amministrativa del territorio, ma anche da un
valore che tiene conto delle relazioni esistenti tra “ gruppi umani” e” localizzazione
delle attività economiche”.

Attraverso questa modalità, si aggregano dati relativi a “unità amministrative


elementari”(singoli Comuni) con le relative relazioni socio-economiche.

Nel nostro caso, sono stati individuati i sistemi locali di lavoro che gravitano
sull’area di Palermo e che comprendono i comuni del PIT 31 Madonie all’interno
del quale ricadono i territori dei Comuni di: Alimena (Palermo); Bompietro
(Palermo); Caltavuturo (Palermo); Campofelice Di Rocce (Palermo); Castelbuono
(Palermo); Castellana Sicula (Palermo); Cefalu' (Palermo); Collesano (Palermo);
Gangi (Palermo); Geraci Siculo (Palermo); Gratteri (Palermo); Isnello (Palermo);
Lascari (Palermo); Petralia Soprana (Palermo); Petralia Sottana (Palermo); Polizzi
Generosa (Palermo); Pollina (Palermo); San Mauro Castelverd (Palermo); Sclafani
Bagni (Palermo); Scillato (Palermo); Blufi (Palermo).

115
I dati utilizzati per le elaborazioni sono stati quelli relativi a:
POPOLAZIONE:Popolazione residente, Popolazione straniera residente
(totale, comunitari e extracomunitari);
TESSUTO IMPRENDITORIALE: Numero di unità locali registrate;
RISULTATI ECONOMICI (2003) :Valore aggiunto, Occupati totali e per
singoli settori.
Il fattore di comparazione e quello relativo a: unità locali, forze di lavoro
regolari e irregolari provincia e regione, contro unità locali e forze di lavoro
regolari PIT31.

116
4.2. PIT 31. Popolazione e territorio

Con circa 76.366 abitanti ( 2005 ultimo dato disponibile, nel 2004 erano
76.836), distribuiti in 21 comuni, il Pit. 31 registra il 6,2%% della popolazione
a livello provinciale;analogamente ad altri contesti provinciali, si rileva elevata
natalità e concomitante elevata migrazione.
La distribuzione per classi di età della popolazione, evidenzia una
quota significativa di individui fino ai 14 anni (13,5%). Gli anziani hanno
una incidenza minore che in altri contesti provinciali (35,3%), mentre la classe
centrale di età fa registrare tassi di incidenza inferiori al dato medio nazionale
(51,2% contro il 66,3%).
Modesta, infine, risulta la presenza di stranieri nella provincia: 484
stranieri dei quali 79 appartenenti alla Comunità europea e 383
extracomunitari.

Cod. Comune Popolazione Numero Densità


ISTAT (00) di unità imprenditoriale
locali (u.l. per 100 abitanti)
82065 SAN MAURO CASTELVERDE 290 2.034 14,26
82055 PETRALIA SOPRANA 504 3.602 13,99
82069 SCLAFANI BAGNI 69 496 13,91
82036 GANGI 964 7.377 13,07
82037 GERACI SICULO 251 2.035 12,33
82024 CASTELLANA SICULA 438 3.710 11,81
82015 CALTAVUTURO 488 4.356 11,2
82027 CEFALU' 1.495 13.716 10,9
82002 ALIMENA 251 2.321 10,81
82058 POLIZZI GENEROSA 415 3.898 10,65
82044 LASCARI 324 3.335 9,72
82032 COLLESANO 396 4.158 9,52
82012 BOMPIETRO 139 1.596 8,71
82017 CAMPOFELICE DI 514 6.017 8,54
ROCCELLA
82056 PETRALIA SOTTANA 264 3.179 8,3
82042 ISNELLO 146 1.784 8,18
82022 CASTELBUONO 762 9.324 8,17
82082 BLUFI 93 1.169 7,96
82081 SCILLATO 52 672 7,74
82059 POLLINA 228 3.078 7,41
82041 GRATTERI 73 1.053 6,93
TOTALE 8156 78.910 10,34

117
Tav. 1. Valori demografici PIT 31

Totale
Indicatore Totale PIT Italia
Numero di comuni (2005) 21 8.101

- di cui con meno di 20.000 abitanti (2005) 21 7.603

- di cui con almeno 20.000 abitanti (2005) - 498

Popolazione residente (2005) 76.366 58.751.711

- di cui maschi (2005) 36.765 28.526.888

- di cui femmine (2005) 39.601 30.224.823

Popolazione residente (2004) 76.836 58.462.375

- di cui in età 0-14 anni (2004) 10.357 8.255.712

- di cui in età 15-19 anni (2004) 4.146 2.889.259

- di cui in età 20-39 anni (2004) 19.759 16.608.783

- di cui in età 40-59 anni (2004) 19.568 16.048.999

- di cui in età 60-64 anni (2004) 4.111 3.280.281

- di cui in età superiore ai 65 anni (2004) 18.894 11.379.341


Indice di dipendenza strutturale (2004) 381 50,57
Indice di dipendenza strutturale giovanile
(2004) 133,95 21,26
Indice di dipendenza strutturale degli
anziani (2004) 247 29,31
Indice di ricambio (2004) 608 113,53

Indice di vecchiaia (2004) 1.124 137,84


Indice di struttura (2004) 605 99,13
Popolazione straniera residente totale
(2004) 484 2.402.157
-di cui appartenenti ai paesi dell' Unione
Europea a 15 79 138.029
-di cui appartenenti ai paesi neoentrati nell'
Unione Europea (2004) 21 68.620
- di cui extracomunitari (2004) 383 2.195.508

118
4.3. Tessuto imprenditoriale
La consistenza complessiva della struttura produttiva del territorio (circa
79.000 unità locali), consente al SLL PIT 31 di registrare un notevole tasso
imprenditoriale rispetto al dato provinciale (6,10%), anche considerando un valore
normalizzato quale può essere considerato la densità imprenditoriale (10,34
imprese ogni 100 abitanti).
L'agricoltura rappresenta la seconda attività prevalente dell'economia del
territorio: il settore primario assorbe infatti circa il 25,1% delle attività produttive
mentre il Commercio assorbe il 29,8. Differentemente da altre localizzazioni
provinciali, il terziario (in particolare servizi, trasporti, credito) non sembra una
risorsa rilevante dell'economia locale, visto che, se si esclude il commercio, tutte le
voci legate al terzo settore presentano percentuali molto basse. Un discorso
siffatto può essere ripetuto per il settore manifatturiero, che registra il valore più
basso della provincia (7,5%).

Tav. 2.Tessuto imprenditoriale (unità locali registrate) PIT 31

Totale
Indicatore Italia
A Agricoltura, caccia e silvicoltura
(2005) 1987 980.471
B Pesca,piscicoltura e servizi connessi
(2005) 10 12.727
C Estrazione di minerali (2005) 15 9.753
D Attivita' manifatturiere (2005) 597 896.481
E Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e
acqua (2005) 2 7.547
F Costruzioni (2005) 832 852.263
G Comm.ingr.e dett.-rip.beni pers.e per
la casa (2005) 2360 1.924.028
H Alberghi e ristoranti (2005) 437 354.843
I Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
(2005) 236 261.555
J Intermediaz.monetaria e finanziaria
(2005) 112 158.366
K.
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
(2005) 289 709.415
L. Pubbl.amm.e difesa;assic.sociale
obbligatoria (2005) 0 285
M Istruzione (2005) 37 27.525
N Sanita' e altri servizi sociali (2005) 39 35.884
O Altri servizi pubblici,sociali e personali
(2005) 301 272.954
P Serv.domestici presso famiglie e
conv. (2005) 0 24
X. Imprese non classificate (2005) 663 546.137
Totale Unità locali registrate (2005) 7991 7.050.258

119
Tav. 3. Risultati economici PIT 31

Totale
Indicatore 000.000€ Italia
Valore aggiunto ai prezzi base, al
lordo SIFIM dell'agricoltura, silvicoltura
e pesca (milioni di euro) 86,51 30.971,77
Valore aggiunto ai prezzi base, al
lordo SIFIM dell'industria (milioni di
euro) 88,88 323.155,68
Valore aggiunto ai prezzi base, al
lordo SIFIM dei servizi (milioni di euro) 631,76 862.952,29
Valore aggiunto ai prezzi base totale
(milioni di euro) 807,15 1.217.079,74

4.4. Mercato del lavoro. Focalizzazione del sommerso

Mercato del lavoro

La forza lavoro (calcolata in base al valore comunale dei SLL del PIT 31)
ammonta a più di 20 mila unità, dei quali, più dei tre quarti sono impiegati nel
terziario e risultano lavoratori dipendenti 69,25%.

Tutte le classi di età manifestano tassi di occupazione in lieve ritardo rispetto


al Mezzogiorno ed all'Italia. Il settore dell'agricoltura, silvicoltura e pesca registra il
16,1% del totale mentre ancora più basso risulta il dato relativo agli occupati
nell’industria con il 14,74%.

La lotta alla disoccupazione vive un periodo di enorme difficoltà.


Mentre il dato riferito alla provincia di Palermo (che negli anni 90 ha
raggiunto una punta massima del 24,6%) oggi si sta ridimensionando fino ad un
indice del 19,2%, per il PIT 31 questo dato non scende al di sotto del 24,3%
(rapporto tra popolazione in età di lavoro e occupati) valore tra i primi d'Italia.

120
Tav. 5.I DATI SULL’OCCUPAZIONE. PIT31

Occupati per settori N. Occupati Popolazione


Occupati interni dell'agricoltura, silvicoltura e
pesca 3.324
Occupati interni dell'industria 3.060
Occupati interni dei servizi 14.379
Occupati interni totale 20.763 76.366
% Occupati interni dell'agricoltura, silvicoltura e
pesca 16,01
% Occupati interni dell'industria 14,74
% Occupati interni dei servizi privati e pubblici 69,25
% Occupati interni totale 100,00
Popolazione di età 20-59 anni 39.327
Popolazione non occupata 18.564

Tasso di disoccupazione 2005 PIT 31

30
25
20 Palermo

15 PIT 31
Sicilia
10
5
0

121
Focalizzazione del sommerso

I sistemi produttivi di piccola dimensione sono caratterizzati, come


è noto, dalla solidificazione dei rapporti umani e sociali di tutto il
territorio provinciale e regionale.
Anche nel nostro caso siamo alla presenza di una più o meno ampia
zona grigia di attività produttiva rappresentata dal sommerso. Si tratta
di una quota difficilmente quantificabile, sia in termini di valore
aggiunto che di addetti. Ci sembra quindi opportuno quantificare questa
quota comparandola con i due dati: quello regionale e quello provinciale
che si assestano in un valore pari a più del 26% (media; vedi paragrafi
successivi)

Secondo una media ponderata, (sono stati considerati i dati


elaborati a livello provinciale di “Italia lavoro” e “SVIMEZ” su dati “Istat”) il
tasso di irregolarità del comprensorio del PIT 31, può essere
approssimativamente valutato a 26,6 ( media di approssimazione dato
regionale e dato provinciale ) poco più del dato provinciale (26,2) e poco
meno del dato regionale (27,0).

Considerazioni finali.

Il tasso di irregolarità, come già accennato nei capitoli precedenti è


rappresentato da lavoro non regolare, ossia da persone rientranti in una o più
delle seguenti categorie:

o persone che forniscono alla collettività altro valore aggiunto


svolgendo una attività complementare o una seconda attività;
o coloro che pur essendo dipendenti non sono iscritti nei libri paga
delle imprese; coloro che svolgono una attività autonoma in luoghi di lavoro non
identificabili come tali; occupati non dichiarati.

Tale fenomeno viene quantificato attraverso il calcolo del tasso di irregolarità


dato dal rapporto tra le unità di lavoro non regolari di una determinata area
geografica e le unità di lavoro totali riferite allo stesso territorio.

Il prodotto complessivo di questi lavoratori, comprendente sia il


lavoro nero che la produzione legale non rilevata per evasione fiscale
e/o di contributi sociali, definisce la cosiddetta economia sommersa.

122
Il dato indicato per il territorio del PIT31, approssimativamente valutato (vedi
tavole da 1 a 5), si basa su l’elaborazione dei dati aggregati riferiti ai macro settori
territoriali (regione e provincia) e ad una loro media ponderata (regione 27,0%
provincia di 26,2% - Italia lavoro e SVIMEZ).

Territorio Valore media anno 2004/2005


Regione Siciliana 27,0
Provincia di Palermo 26,2
PIT 23 media 26,6

Incoraggianti sembrano essere le prospettive per l'immediato futuro per i


disoccupati locali. Per l’intero territorio di riferimento (Palermo e PIT 31) l'indagine
Exclesior-Unioncamere prevede una crescita nel numero di occupati pari al 2,6
(tasso di variazione previsto) nel solo 2005, decima migliore prospettiva del Paese.

123
Bibliografia
1
Cfr. CHIARELLO, Economia informale, famiglia e reticoli sociali, in Rass. it. soc., 1983, p. 218.
2
BELLAVISTA, Il lavoro sommerso, G. Giappichelli Editore, Torino, 2002, p. 28.
3
DEAGLIO, voce Economia sommersa, in Enc. Treccani delle Scienze Sociali, vol. III, 1993, pag.
439.
4
Cfr. CHIARELLO, Economia informale, famiglia e reticoli sociali, in Rass. it. soc., 1983, p. 242 e
ss.
5
BELLAVISTA, Il lavoro sommerso, G. Giappichelli Editore, Torino, 2002, p. 45.
6
GIUGNI, Lavoro leggi contratti, Il Mulino, Bologna, 1989, p. 329.
7
BOBBIO, Dalla struttura alla funzione, Ed. di Comunità, Milano, 1977, p. 13 ss.; GHERA, Le
sanzioni civili nella tutela del lavoro subordinato, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1979, p. 305 ss.
8
L’autorizzazione di che trattasi è del 4 ottobre 2000, ma è pervenuta alle autorità italiane il 17
ottobre 2000. La circolare INPS n. 159 del 2001 ha chiarito che da quest’ultima data decorresse il
termine di una anno di vigenza del regime di agevolazioni autorizzato.

(definizioni tratte da PRIEST G.L., The ambigous moral foundations of the Underground Economy,
in The Yale Law Journal, 1994, Vol. 103, p. 2260)

FONTE : TERZOLI P., Il lavoro nero in Europa, in Lav. inf. , 1998, n. 8, pp. 39 ss.

FONTE : Istat documento del 14 dicembre 2006

FONTE : SVIMEZ Rapporto del 2006,sull’economia del Mezzogiorno

Fonte: Istat 2005

Fonte: Istituto G. Tagliacarne.

Fonte Elaborazione Italia Lavoro su dati Istat 2005

Fonte: Atlante delle competitività. Elaborazione Istituto Tagliacarne

Fonte: La situazione economica in provincia di Palermo. Elaborazione Istituto Tagliacarne

Fonte SVIMEZ

124
PARTE QUINTA

Alcuni progetti e interventi realizzati in ambito nazionale e


regionale sul tema emersine.

125
Breve memoria sull'emersione

L. Meldolesi

A mo' di executive summary, la presente memoria intende racchiudere in poche righe


alcuni aspetti salienti della questione del sommerso e dell'emersione delle attività
economiche e del lavoro, facendo riferimento all'esperienza del Comitato per
l'emersione del lavoro non regolare presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In
un secondo momento, se lo si riterrà necessario, questo o quel capoverso potrà esser
svolto (e documentato) a dovere.

1) Il Comitato (ex art.78, legge 448/1998) opera da un anno e mezzo con un ruolo di
indirizzo e di coordinamento in materia di emersione del lavoro non regolare.
Comprende dieci Commissari indicati da altrettante realtà istituzionali e discute con le
parti sociali le proprie elaborazioni. Ha una funzione di analisi, di proposta e
d'iniziativa, anche in collaborazione con le Commissioni regionali e provinciali per
l'emersione previste dal medesimo articolo di legge. Attingendo a conoscenze
pregresse ed accrescendole via via tramite studi e ricerche, il Comitato ha inteso
"mettere a fuoco" la diagnosi e la prognosi del sommerso. Dal punto di vista
strettamente fattuale, esso ha posto l'accento sulle statistiche amministrative (INPS,
INAIL, Unioncamere) del lavoro regolare riferendole all'obiettivo del vertice di Lisbona
(70% di occupazione delle persone in età da lavoro e 60% di quella delle donne in età
da lavoro). Pur con alcune limitazioni, ciò consente (in linea di principio) una
"mappatura" dello scostamento del lavoro regolare rispetto a da tale obiettivo a livello
regionale, provinciale e comunale per il 1997 e 1998 e uno studio dei tassi di
variazione successivi fino a noi. Così, tramite uno stage di un gruppo di laureati presso
la Presidenza del Consiglio, ha preso forma lo spaccato 1997 della occupazione
regionale e provinciale italiana che ora viene proseguito per il 1998 ed elaborato
ulteriormente, anche in collaborazione con il DPS Tesoro e l'ISTAT.

2) Come è noto, il lavoro e le attività irregolari sono assai diffuse nel nostro Paese,
soprattutto in forma parziale ( tipo caffè e latte). Accanto al primo lavoro (a cui
indirettamente si riferisce il ragionamento sub 1), tale fenomeno spesso coinvolge il
secondo lavoro, lo straordinario, il fuori busta, la contabilità, la vita commerciale ecc..
. E' una pratica diffusa che fa parte di un "disordine" più vasto che comprende il
rispetto parziale di molte leggi (sul lavoro, la sicurezza, il fisco, l'ambiente,
l'urbanistica ecc.). Tutto ciò delinea una condizione di semi-regolarità generale,
accentuata in alcune zone del Mezzogiorno, ma presente in tutto il Paese. Retaggio del
passato (e del presente), nel tempo dell'Euro essa richiede una grande "battaglia di
civiltà". Si tratta (fortunatamente) di una prospettiva in cui il miglioramento
economico si lega all'accresciuto rispetto della legge ed al progresso civile. Ciò
racchiude, dunque, un'importante opportunità; anche per l'uso più efficiente delle
capacità e risorse intrappolate nel sommerso e per il miglioramento dei conti pubblici
e la creazione di un "ambiente" più salubre che l'emersione consentirebbe.

3) "Sticks, Carrots and Sermons": prendendo a prestito questo titolo di Ray Rist, si
può sostenere che, non disdegnando i predicozzi, il Comitato ha concentrato
innanzitutto la sua attenzione su bastoni e carote. Senza accedere ad atteggiamenti
moralistici o persecutori, esso ha cercato di guardare i problemi con gli occhi delle PMI
e di impostare la risoluzione delle irregolarità (in primis di quelle del lavoro) come
parte dell'avanzamento delle piccole imprese. Ha appoggiato il miglioramento della
prevenzione e della vigilanza (si pensi al "contatore" INAIL o al nuovo regime
sanzionatorio dell'INPS). Ma ha anche sostenuto, sulla base di molteplici esperienze
concrete, che gli uffici preposti non debbono procedere in ordine sparso: è necessario
un coordinamento che ponga in primo piano l'avvenire delle piccole imprese e dei
lavoratori ad esse afferenti. L'idea è di migliorare, per fasi successive, l'attività
generale di prevenzione e di vigilanza e nello stesso tempo di mettere in cantiere
interventi di regolarizzazione di zona attentamente programmati, compatibili con
l'evoluzione economica delle imprese. In altri termini, via via che la realtà locale
progredisce, anche per effetto delle politiche induttive (le carote) cui ora
accenneremo, è possibile, anzi è necessario, accompagnarla con una politica
repressiva ad hoc, territorialmente mirata.

4) Il Comitato per l'emersione ha dovuto lavorare dall'interno dei limiti imposti ai


"fondamentali" economici del nostro Paese. Oltre ai vincoli congiunturali, di bilancio,
normativi ecc.., l'Italia incontra, come è noto, una particolare difficoltà a far
funzionare adeguatamente i differenziali territoriali del costo del lavoro, sia dal lato
fiscale e contributivo (per via dell'art. 92 del trattato di Roma), sia dal lato sociale. Ciò
ostacola il funzionamento di quei meccanismi di mercato che in Europa favoriscono
invece lo sviluppo di alcuni Paesi di piccole dimensioni e le regioni frontaliere dei
principali poli accumulativi (incluse quelle del Nord Italia). Pur auspicando una
maggiore flessibilità (secondo la tesi dell'Area Monetaria Ottima), il Comitato ha preso
atto dello stato di cose presente ed ha concentrato l'attenzione sulla possibilità di
compensare tale handicap con interventi a favore della riduzione dei costi e
dell'aumento della produttività delle imprese, soprattutto nel Mezzogiorno. Più
esattamente, il Comitato ha collocato il problema-opportunità dell'emersione
dall'interno dei vincoli e dell'andamento del Paese; ha inserito il superamento del
lavoro irregolare in una problematica complessiva di regolarizzazione, sicurezza e
qualificazione del lavoro; ha generalizzato il tema dell'emersione a tutti gli aspetti
della vita associata che possono essere valorizzati; ed ha suggerito, infine, la ricerca
di soluzioni ad essi adeguate, come parte di una riflessione più vasta sulle potenzialità
di crescita economica e di sviluppo civile e democratico del Paese.

5) Il Comitato ha valutato positivamente l'esperienza dei contratti di riallineamento da


un punto di vista economico-sociale, ma ha cercato di approfondirne i limiti: limiti di
concentrazione in poche zone per le attività extragricole e di dispersione senza
riallineamento in quelle agricole, limiti di percorso e di risultato, limiti di parzialità di
un intervento basato sul solo accordo tra le parti, limiti della normativa negoziata con
la Commissione Ue (inclusa la sua prossima e definitiva scadenza), limiti della sua
implementazione ecc.. . Per tutte queste ragioni, il Comitato ha inteso battere nuove
strade, collegandosi alle organizzazioni di PMI, incoraggiando l'associazionismo ed i
consorzi di piccole imprese (cfr. gli atti del Primo Forum), coinvolgendo nel lavoro di
analisi e di sostegno degli addensamenti industriali un "giro" di docenti afferenti a
quindici Università meridionali (come testimonieranno gli atti del secondo Forum),
coagulando le conoscenze delle istituzioni presenti nel Comitato, delle parti sociali e
delle realtà territoriali collegate per costruire gradualmente una sorta di piattaforma
per l'emersione. L'idea già presente nella prima relazione del Comitato (disponibile
come le successive nel sito
www.governo.it/presidenzaconsiglio/comitatidellapresidenza) è stata sviluppata nella
seconda e nella terza relazione. In breve, prendendo atto della complessità del
compito affidatogli, il Comitato ha abbandonato la logica della singola soluzione
(qualunque essa sia) per accedere a quella della "tastiera", che propone numerosi
risultati da raggiungere per generare un "crescendo" qualificante.

6) Più volte discussa nel Comitato per l'emersione e in riunioni con le parti sociali, la
piattaforma per l'emersione venne sintetizzata in 16 punti nel settembre 2000 ed
utilizzata per la redazione della Legge finanziaria. Dal confronto dei testi (cfr. la quarta
e la quinta relazione del Comitato) tale recepimento risulta parziale. Da un lato è vero
che la legge finanziaria per il 2001 contiene importanti provvedimenti (come il credito
d'imposta per l'occupazione e gli investimenti o il nuovo regime sanzionatorio INPS)
ed in generale è più orientata all'emersione di quanto è stato generalmente
riconosciuto (anche dal governo). Dall'altro è anche vero che alcuni provvedimenti
proposti dal Comitato non sono stati accolti e che per altri si è seguita una via troppo
angusta. Si noti, in particolare, come in tema di regolarità dei grandi appalti, di
sperimentazione delle emersione tramite gli studi di settore, di capitalizzazione
volontaria di parte delle pensioni di anzianità per accedere a prestiti convenzionati ed
iniziare una nuova attività, di riallineamento pensionistico, di microcredito e di
autocertificazione non sia stato possibile progredire. Si noti ancora come, riguardo
all'abolizione del divieto di cumulo di alcune pensioni, fu il Parlamento ad aprire un
varco che ora bisognerebbe ampliare; e come, rispetto al trattamento fiscale delle
nuove e delle piccolissime imprese, le soluzioni adottate siano lontane da quelle
auspicate dal Comitato e dalle associazioni di categoria. E' vero piuttosto - lo si legge
nella quinta relazione - che, in sintonia con le parti sociali e con il dott. P. Brunello,
consigliere del Ministro delle Finanze, il Comitato sostenne un'evoluzione fiscale più
favorevole alle PMI che non trovò riscontro nell'attuazione legislativa. Se è vero, in
conclusione, che almeno nel Capo III (Disposizioni per favorire lo sviluppo
equilibrato), nel XIII (Interventi in materia previdenziale e sociale), nel XVIII
(interventi in materia di lavoro) e XIX (Interventi in materia di agricoltura) della Legge
finanziaria si respira per la prima volta un aroma d'emersione, è anche vero che la
battaglia è appena iniziata e che, per affrontarla davvero, è necessario uno sforzo
collettivo sostenuto e coerente.

7) D'altra parte, nel lavoro delle ultime settimane (che prepara la sesta relazione) il
Comitato ha intensificato i contatti e le ricerche sul campo ed è giunto ad alcuni
convincimenti ulteriori. E' necessario innanzitutto approfondire le realtà territoriali
afferenti alle Commissioni regionali e provinciali per l'emersione ed i settori economici
che le caratterizzano. Ad esempio, le attività stagionali - come gran parte
dell'agricoltura, dell'edilizia e del turismo - hanno bisogno di una legislazione che
premi l'occupazione regolare (piuttosto che lenire la disoccupazione), in modo da
ovviare ad una certa tendenza al raggiro ai danni della collettività che spesso si
riscontra nelle analisi sul campo ad esse corrispondenti. E' necessario riesaminare dal
punto di vista dell'emersione la legislazione minuta sui vari sussidi pubblici che si è
accumulata nel tempo e che (involontariamente) presta il fianco al diffondersi del
sommerso. Vale a dire: non si mette in discussione la legittimità dei vari sussidi, ma
alcune conseguenze non desiderate della loro erogazione allo scopo di migliorarne le
leggi (per un dato ammontare di finanziamento). Ad esempio, non si può pretendere
che chi desidera un reddito minimo di inserimento sia senza lavoro perché, in tal caso,
pur di non perdere il sussidio, egli accetterà un lavoro irregolare. E' necessario, più in
generale, rivedere numerosi aspetti del sistema pubblico (orari, funzioni, intensità del
lavoro) per evitare che essi risultino nei fatti sommerso-compatibili. E' necessario,
infine, riconsiderare la legislazione degli ammortizzatori sociali dal punto di vista
dell'emersione per migliorarne copertura e risultati. Ad esempio, soprattutto nel Sud
la cig ed i prepensionamenti da crisi industriale sono all'origine di tormentoni infiniti.
Eppure, per merito degli Enti Bilaterali, in alcune zone del Paese esiste una "buona
pratica" di integrazione locale del sussidio di disoccupazione che amplia alle PMI la
copertura e migliora notevolmente il risultato dell'intervento. Non varrebbe la pena di
darle ascolto?
8) Riguardo poi alla questione assai delicata del "pregresso", il Comitato ha riflettuto
sul "condonismo" e sui limiti pratici della soluzione adottata dai contratti di
riallineamento. Inoltre esso ha preso atto dei risultati di emersione importanti ed
inattesi generati da alcuni provvedimenti - come il prestito d'onore (studiato da Sara
Gaudino), il credito d'imposta 1997-9 (che si intende sottoporre ad attenta
valutazione con il concorso del Ministero delle Finanze, il Dipartimento degli Affari
Economici della Presidenza ed il "giro" universitario del punto 5)), il "contatore" INAIL
(il cui "affinamento" viene seguito con interesse) e gli studi di settore (cfr. l'appendice
G della quarta relazione). Da tutto questo il Comitato ha tratto la convinzione che,
accanto al rafforzamento di prevenzione e vigilanza, un contributo importante può
essere fornito (indipendentemente ed indirettamente) da misure come quelle appena
elencate che, per il loro accesso, richiedono la piena regolarità dei richiedenti, ma che
non pretendono (e come potrebbero?) di conoscerne "vita, morte e miracoli". Ciò
suggerisce una proposizione ulteriore. Senza por mano alla legislazione vigente, fatte
salve le risultanze da sanzionare (soprattutto quelle più gravi) e procedendo nella
direzione del miglioramento generale e territoriale del controllo e del suo
coordinamento (cfr. il punto 3), potrebbe avere successo sul territorio un gentlemen's
agreement (con l'autorevole supervisione delle Commissioni regionali e provinciali per
l'emersione) secondo cui la volontà manifestata nei fatti dalle imprese di regolarizzare
la loro posizione (anche per accedere alle misure di sostegno) porti con sè un
atteggiamento di responsabile partecipazione delle istituzioni e delle parti sociali alla
loro emersione. In altri termini, è importante lanciare il messaggio che emergere
conviene e far seguire i fatti alle parole, in modo da combattere lo scetticismo e creare
un clima di operosa fiducia da cui far scoccare la scintilla del cambiamento.

9) Il Comitato ritiene che, seguendo l'aureo principio di "fare molto con poco" e
migliorando la collaborazione tra tutte le parti in causa, è possibile far funzionare
effettivamente il dettato dell'art. 78 della legge 448/1998. Nonostante alcuni limiti di
tale norma (evidenziati già nella seconda relazione e purtroppo ancora da superare),
nonostante le difficoltà implicite nella costruzione ex novo dell'attività che essa
prevede e la carenza di strutture adeguate a livello centrale e locale, l'esperienza
mostra che il lavoro di analisi, di elaborazione e di intervento a favore dell'emersione
può dare buoni risultati. Nei mesi scorsi, l'intenso lavoro di ricerca e di sostegno di un
gruppo di giovani esperti collegati al Comitato per l'emersione ha avuto un ruolo di
primo piano nella costituzione delle Commissioni regionali e provinciali nel
Mezzogiorno. La formazione di tali Commissioni - attualmente 36, di cui 21 nel Sud; i
loro incontri con il Comitato per l'emersione (a marzo a Roma, ad aprile a Reggio
Calabria ed ora a Catania); le esperienze delle istituzioni e delle parti sociali che esse
indirizzano e coordinano; le analisi ed i progetti che le caratterizzano e che qualificano
autorevolmente la tematica sorella dello sviluppo locale, fornendole un anello chiave
ancora mancante: tutto ciò lascia pensare che una vigorosa iniziativa di sussidiarietà
attiva, in cui i diversi livelli istituzionali previsti dalla legge concentrano gli sforzi su
obiettivi condivisi, può inaugurare una politica territoriale per l'emersione di ampio
respiro.

10) E' vero d'altra parte che la composizione e il modus operandi del Comitato e delle
Commissioni sono tali da costruire analisi, proposte ed iniziative, da un lato, e
generare dall'altro il consenso necessario a renderle operative. E' un lavoro che dalle
istituzioni si irradia alle forze sociali ed alla società civile e che mostra come le
politiche di emersione e di regolarizzazione rispondano ad esigenze molto sentite;
faccian parte di quella cerchia di temi (che include il rispetto della legge e delle
istituzioni, la partecipazione all'Ue, la moneta unica ecc.) che riscuote nel Paese una
maggioranza schiacciante (dell'80 o 90 per cento). Ma è un lavoro che, per non
deludere le aspettative, ha bisogno di grande continuità ed iniziativa. Per tale ragione,
anche per accompagnare con il proprio supporto tecnico-scientifico priorità e decisioni
del sistema politico, il Comitato ritiene necessario mantenere elevata la tensione
collettiva verso il raggiungimento della piena regolarizzazione dell'economia e del
lavoro; e verso la valorizzazione conseguente delle grandi capacità e risorse italiane
ancora "nascoste, disperse o mal utilizzata".

Roma, giugno 2001.


Breve memoria sull'emersione
Uno scritto del Prof. Meldolesi del 2001 in cui vengono elencate delle possibili iniziative
da intraprendere in ambito locale per favorire l'emersione
L’area del Calatino

Analisi delle economie dell’area e possibili vie dello sviluppo locale

Francesco Messina
Tutore Regione Sicilia

1. PARTE PRIMA
Estratto da: Progetto sviluppo lavoro e legalità
“L’altra faccia del lavoro: un’indagine sul lavoro irregolare nell’area del calatino”

a cura di:
Rita Palidda
Daniela Timpanaro
Maurizio Avola
Tiziana Briulotta
Luigi Recupero

Catania 2001

1.1 IL COMPRENSORIO DEL CALATINO SUD SIMETO


1.2 LA STRUTTURA DEMOGRAFICA
1.3 I LIVELLI DI ISTRUZIONE
1.4 IL MERCATO DEL LAVORO NEL CALATINO
1.5 L’AGRICOLTURA
1.6 IL SOMMERSO NELL’EDILIZIA
1.7 IL SETTORE MANIFATTURIERO

2. PARTE SECONDA
2.1 IL PATTO TERRITORIALE
2.2 L’A.S.I. DI CALTAGIRONE
2.3 L’AGENZIA DI SVILUPPO INDUSTRIALE
2.3.1 I COMUNI COINVOLTI
2.4 IL P.A.L. DEL CALATINO
2.5 LEADER II IN SINTESI
2.6 FINANZIAMENTI ALL’ARTIGIANATO
2.7 L’AREA DEL CALATINO, L’ALBA DI UNA NUOVA PROVINCIA
1) PARTE PRIMA
L’area del patto territoriale per l’occupazione Calatino Sud-Simeto costituisce un terreno
privilegiato sia per studiare il fenomeno del sommerso nel Mezzogiorno, sia per progettare
l’implementazione d’interventi di politiche del lavoro volti ad ottimizzare l’uso della forza lavoro
da parte delle imprese e a garantire al contempo ai lavoratori il rispetto delle norme giuridiche e
contrattuali. Un tale obiettivo può costituire per molte imprese lo stimolo a superare un livello
d’informalità che limita fortemente le loro capacità di mercato e ad introdurre innovazioni
tecnologiche e organizzative.
L’area è stata caratterizzata da processi d’esodo e di scarso sviluppo sia industriale, sia agricolo, ma
presenta un patrimonio di risorse talvolta nascoste che possono costituire un patrimonio prezioso
per lo sviluppo. In particolare:
- ha un’agricoltura che, pur presentando discontinuità e arretratezze, ha mostrato negli anni
recenti interessanti tendenze alla specializzazione produttiva;
- gode di notevoli tradizioni artigianali e industriali in vari settori e soprattutto in quello della
ceramica che ha conosciuto negli anni recenti una consistente ripresa;
- ha goduto di un flusso cospicuo di finanziamenti pubblici che sono stati destinati ad un
tessuto di infrastrutture che rappresenta una risorsa non indifferente per lo sviluppo e hanno
inoltre contribuito a salvaguardare il patrimonio artistico di alcuni comuni e soprattutto del
comune capofila;
- gode di grandi tradizioni culturali che hanno sedimentato sul piano sociale competenze e
orientamenti mobilitabili a fini di sviluppo.
In definitiva sembra un’area che, pur essendo stata a lungo emarginata dai sentieri dello
sviluppo che ha interessato altri comuni della Sicilia orientale, presenta buone potenzialità per
l’instaurarsi di sinergie positive che puntano sullo sviluppo simultaneo di più settori: piccole
imprese industriali nei settori tradizionali (alimentari, abbigliamento, legno, laterizi); artigianato
soprattutto nelle ceramiche, servizi scolastici, socio-sanitari e servizi commerciali, per lo
spettacolo e il tempo libero, rivolti anche ad un’utenza extracomunale, servizi turistici.

1.1 Il comprensorio del Calatino Sud Simeto


L’area del comprensorio Calatino, collocata nel versante sud orientale della provincia di Catania,
comprende 15 comuni: Caltagirone, Castel di Iudica, Mirabella Imbaccari, Palagonia, Raddusa,
Ramacca, San Cono, San Michele di Ganzaria, Scordia e Vizzini. Questi comuni,
complessivamente, si estendono su un’area che corrisponde quasi alla metà dell’intera provincia;
tuttavia molto inferiore è il peso del comprensorio in termini demografici poiché, con una
popolazione di circa 150.000 abitanti, esso rappresenta appena un settimo della popolazione della
provincia di Catania.

1.2 La struttura demografica


La Sicilia, come del resto l’intero meridione, non sembra aver ancora del tutto completato la sua
“transizione demografica”: ci si trova, infatti, in presenza di significativi saldi naturali positivi, che
bilanciano solo in parte l’entità dei saldi migratori, decisamente negativi.
Per quanto riguarda, in particolare, l’area del comprensorio Calatino, i dati concernenti gli ultimi
due Censimenti della popolazione (1981 e 1991) indicavano un incremento demografico pari a circa
il 2% in linea con l’andamento dell’intera provincia, e leggermente superiore sia rispetto al dato
regionale sia, soprattutto, a quello nazionale; attestato sulla “crescita zero”. Questo trend si è
invertito tuttavia, nel corso degli anni ’90, cosicché nel quinquennio 1993 - 1998 il saldo
demografico risultava negativo (-0,5%), con alcune punte di particolare gravità nei comuni di
Militello in Val di Catania (-9,8%), Raddusa (-8,5%) e Mirabella Imbaccari (-8,1%). La
complessiva diminuzione della popolazione residente non è tuttavia imputabile al saldo naturale,
che continua ad essere positivo (come nell'intera provincia), ma esclusivamente al saldo migratorio
negativo, sia maschile sia femminile, superiore a quello dell’intera provincia. Complessivamente,
dunque, dal comprensorio del Calatino si emigra molto più che dal resto della provincia di Catania,
e all’interno dell’area il fenomeno presenta caratteristiche di notevole eterogeneità. Ciò poiché il
fenomeno riguarda in minima misura alcuni comuni (Caltagirone, S. Licodia Eubea, San Michele di
Ganzaria), per concentrarsi in particolar modo nei comuni di Vizzini (solo nel ’99 è emigrato il
3.4% della popolazione residente), Mirabella Imbaccari (2,8%), San Cono (2,2%) e Militello in Val
di Catania (1,9%). A Mazzarrone si registra un saldo migratorio positivo, in aggiunta ad un saldo
naturale positivo; a Caltagirone, l’aumento della popolazione residente è tutto da imputare al saldo
naturale, che viene solo in minima parte eroso da un saldo migratorio negativo; la popolazione
diminuisce, al contrario, a Castel di Iudica e, soprattutto, a Scordia dove l’entità del fenomeno
migratorio è molto più consistente, tanto da non essere bilanciata dal saldo naturale; infine a
Grammichele il calo nel numero dei residenti è dovuto al fatto che risultano negativi sia il saldo
naturale, sia quello migratorio.
Per comprendere a pieno le potenzialità demografiche dell’area, è opportuno esaminare anche la
struttura della popolazione per classi d’età, che consente di delineare le caratteristiche attuali e le
prospettive future della sua capacità riproduttiva.
Da questo punto di vista, i saldi naturali positivi che il comprensorio continua a registrare trovano
un riscontro diretto nella distribuzione per classi d’età, determinando nei Comuni dell’area
interessata, la presenza di una non indifferente quota di giovani e soprattutto di giovanissimi sotto i
15 anni, che rappresentano, nel 1999, quasi un quinto (18,9%) della popolazione residente nell’area
del Calatino contro il 14,4% nell’intera penisola. Non bisogna, tuttavia, sottovalutare che anche nel
Calatino ha avuto inizio quel fenomeno di diminuzione delle nascite e invecchiamento della
popolazione che nel resto d’Italia ha avuto le sue prime fasi qualche decennio addietro.
Il problema del “ricambio generazionale” riguarda, infatti, soprattutto alcuni contesti, come Vizzini,
Mineo, Militello in Val di Catania e Grammichele nei quali la quota di popolazione anziana supera
abbondantemente quella dei giovani. Appare senz’altro meno grave a Scordia ed ancor di più a
Ramacca e Palagonia, dove il numero dei giovani è quasi il doppio di quello degli anziani; tra questi
estremi si collocano Caltagirone, Castel di Iudica e Mazzarrone, che presentano valori simili a
quello regionale (88%).
L’invecchiamento della popolazione da una parte ed il peso determinante dei giovani dall’altra
fanno innalzare l’indice di dipendenza, indice che mette in relazione la popolazione
economicamente “dipendente” rispetto a quella potenzialmente produttiva: nell’area del
comprensorio, infatti, nel 1999 tale indice giungeva al 54,3% collocandosi al di sopra del dato
nazionale (47,9%).

1.3 I livelli di istruzione


Guardando il complesso dell’area del Calatino, i dati relativi all’istruzione non sono incoraggianti.
Il 22% della popolazione superiore ai sei anni è priva di qualsiasi titolo di studio, il 6,8% è del tutto
analfabeta, mentre soltanto 1,7 su cento è laureato (rispetto al 4% registrato a livello provinciale e
regionale).
Considerando il tasso di non conseguimento della scuola dell’obbligo, i dati relativi ai comuni del
comprensorio risultano sempre superiori al 22% (registrato a Caltagirone, Licodia Eubea e Vizzini),
ma arrivano al 33% a Castel di Iudica, fino a sfiorare il 40% nel comune di San Michele di
Ganzaria. Speculare è la situazione rispetto all’indice di conseguimento del diploma superiore. Ad
eccezione del comune di Caltagirone, che non si discosta dal dato medio provinciale e regionale
pari al 23%, in tutti gli altri comuni del comprensorio, la quota di popolazione in possesso del
diploma raggiunge raramente il 15% (come a Grammichele), ma si può fermare anche al di sotto
dell’8% come avviene a Mazzarrone. In definitiva soltanto a Caltagirone la popolazione presenta
livelli d’istruzione che seguono da vicino gli andamenti registrati a livello nazionale, anche per
quanto riguarda i titoli di studio più elevati. Appare preoccupante, invece, la situazione di
Grammichele e Scordia, in cui ancora i percorsi formativi restano troppo brevi e parziali,
determinando quote bassissime di diplomati (intorno al 10%) e laureati (tra l’1% ed il 2%), peggiori
quelli registrati a Mazzarrone e Castel di Iudica, con laureati al di sotto dell’1% e diplomati attorno
al 7%.

1.4 Il mercato del lavoro nel Calatino


Le caratteristiche settoriali e dimensionali delle attività economiche prevalenti nell’area del
Calatino sono alla base dell’enorme diffusione del lavoro irregolare che, utilizzando i criteri del Sec
95, può essere stimato a quasi il 40% delle unità di lavoro totali dell’area. Infatti, i settori più
presenti nell’economia dell’area sono proprio quelli dove la diffusione del lavoro irregolare è
maggiore, vale a dire il settore agricolo, che ha un peso doppio rispetto alla media provinciale, o
quello edile. Analogamente, a favorire la diffusione del lavoro nero è la netta prevalenza di
microimprese, che domina nell’area. Basti osservare che il 96% delle unità locali non supera i 5
addetti e l’87% ha al massimo due addetti dichiarati.
Pur presentando alcuni tratti comuni, il sommerso si differenzia soprattutto in relazione al settore,
poiché sono diversi i fattori permissivi, le tipologie e le tendenze.

1.5 L’agricoltura
Il settore primario ha un peso determinate nell’economia dell’isola, contribuendo ampiamente alla
formazione del P.I.L..
Il mercato agricolo siciliano è un mercato altamente concorrenziale. Uno dei motivi di base
dell’elevato grado di concorrenza persistente su questo mercato è dato storicamente dalla
frammentazione fondiaria, che ha dato luogo alla creazione di appezzamenti di modesta
dimensione. La frammentazione eccessiva si è riflessa su una bassa produzione per appezzamento e,
inevitabilmente, su una minore possibilità di meccanizzare la produzione. La produttività quindi è
sempre abbastanza modesta. La frammentazione e la bassa produttività portano con sé un limitato
potere di mercato dei singoli produttori, i quali sono costretti ad accettare il prezzo imposto sul
mercato mondiale; influenzato quest’ultimo in maniera determinante dai prodotti delle altre nazioni
che si affacciano sul bacino del mediterraneo. Il settore agrumicolo è connotato, infatti, non solo
dalla dura concorrenza dei produttori nazionali, ma anche da quelli internazionali che esportano
prodotti di bassissima qualità che poi giungono sulle nostre tavole.
Non può essere trascurato l’effetto che qualunque shock esogeno, quali crisi idriche (purtroppo
ancora troppo frequenti) o gelate, produce su larga parte degli imprenditori, molte volte costretti
ad abbandonare la loro attività, non ricevendo più un profitto adeguato.
Il circolo vizioso che si genera crea un danno diretto ai singoli imprenditori, che si trovano così
costretti a licenziare i propri dipendenti, e all’intera collettività, aggravando il processo di
desertificazione che l’agrumicoltura riesce a contenere.
Oltre alla frammentazione e alla bassa produttività nel settore, bisogna annoverare la distribuzione
tra i nodi critici del mercato agrumicolo. I produttori hanno difficoltà a raggiungere i mercati di
vendita, per l’assenza di politiche di marketing adeguate, aggravate dai deficit infrastrutturali della
zona: l’arteria che collega il Calatino a Catania, e che arriva da Gela, è lenta e tra le più pericolose
d’Italia. Capita così che nei supermercati della provincia si trovino le arance spagnole e non quelle
siciliane. Gli imprenditori agricoli del Calatino sembrano anche poco capaci di programmare, si
dimostrano restii alla cooperazione e all’adesione attiva e leale a consorzi, che li potrebbero aiutare
a superare le diseconomie ambientali e ad avere più facile accesso al credito.
In questo settore si può stimare una presenza di lavoro irregolare superiore all’80%, è questo
indubbiamente il settore dove il lavoro irregolare è più diffuso in tutte le sue modalità.
Nell’ambito del settore, tuttavia, il lavoro sommerso si concentra maggiormente: nell’ambito
produttivo più che in quello commerciale; nelle microimprese (imprese a conduzione familiare,
aziende a coltivazione diretta) più che nelle grandi imprese; nei periodi di “non produzione”
(impieghi per periodi limitati finalizzati all’attività di cura della campagna, come la potatura, gli
innesti); nelle fasi in cui si verifica un surplus di domanda del mercato rispetto agli standard abituali
(impiego di lavoratori occasionali, magari provenienti da altre imprese e/o settori).
Si tratta di cause riconducibili per lo più ad una mancanza di organizzazione aziendale in senso lato:
incapacità di programmazione a lungo termine; assoluta dipendenza dalla flessibilità del mercato e
carenza di iniziative commerciali strategiche per controllare i mercati di vendita; chiusura verso
nuove prospettive di imprenditorialità (consorzi, cooperative, etc.) che possano ridurre le
diseconomie derivanti dalle piccole dimensioni, modelli di gestione di impresa lontane dal
management aziendale; diffidenza sui possibili vantaggi derivanti da una diversificazione produttiva
volta a mantenere un rapporto più costante con il mercato.
Il lavoro nero in senso stretto in agricoltura, però, ha delle cause che scaturiscono anche da
comportamenti dell’offerta: il sistema dei sussidi rende, infatti, conveniente per talune categorie di
lavoratori il lavoro irregolare.
Inoltre il doppio lavoro agricolo è di regola associato a prestazioni irregolari, a prescindere dal fatto
che esso rappresenti la fonte principale di reddito o soltanto una integrazione rispetto ad un'altra
attività prevalente. Può essere associato ad altri redditi agricoli (è il caso del coltivatore diretto –
bracciante) o extra - agricoli (nell’edilizia soprattutto): in tutti questi casi si è sempre in presenza di
una dose considerevole d’irregolarità.
Le tipologie prevalenti di lavoro sommerso manifestatesi in questo quadro, possono essere divise in
due categorie prevalenti. La prima riguarda la mancanza di regolare assunzione tramite ingaggio e
coinvolge principalmente i lavoratori specializzati, i lavoratori extracomunitari impiegati nei
cosiddetti “bad jobs”, i familiari, i pensionati e i doppiolavoristi. La seconda comprende le
distorsioni contrattuali, cioè un salario giornaliero mediamente più basso del 15/20% rispetto a
quello previsto dai contratti; un numero di ore giornalieri e giorni settimanali “dettati” dal mercato
(nei periodi di massima produzione anche 13/14 ore al giorno per sette giorni la settimana
nell’ambito della commercializzazione, 9/10 ore nell’ambito della produzione); lo straordinario
pagato fuori busta (senza maggiorazione).

1.6 Il sommerso nell’edilizia


Il sommerso ha caratteristiche diverse in questo settore, ma si alimenta anche del pendolarismo dei
lavoratori tra lavoro in agricoltura e lavoro nelle costruzioni.
L’edilizia rappresenta da sempre un settore economico vitale per il Mezzogiorno, configurandosi
come uno sbocco occupazionale di primaria importanza. Tuttavia, negli anni ’90 si è registrata
nell’area, come nel più ampio contesto nazionale, una forte crisi del comparto, vuoi per il
ridimensionamento degli appalti pubblici, vuoi per l’accentuarsi della fase discendente, iniziata già
negli anni ’80, del trend storico dell’edilizia residenziale, con conseguenze negative
sull’occupazione, sia in termini quantitativi, sia qualitativi. I dati istituzionali registrano una
trasformazione strutturale che si è manifestata in molti modi: molte imprese sono fallite; altre hanno
ridimensionato le proprie dimensioni; molti lavoratori sono passati dal lavoro dipendente a quello
indipendente. Il risultato è stato un maggior numero di imprese, ma di dimensioni più piccole, tra le
quali è diventata più forte la concorrenza, aggravata dalla contrazione della domanda. Si sono
dunque create le condizioni più favorevoli alla diffusione del lavoro nero, poiché le imprese che
sono rimaste sul mercato, dovendo far fronte ad un’accentuata contrazione della domanda si sono
fatte una concorrenza esasperata. La concorrenza ha prodotto effetti perversi sul mercato del lavoro,
soprattutto perché ha imposto drastiche riduzioni del costo del lavoro, che sono state “scaricate”
soprattutto sui lavoratori. Il lavoro nero, in questo contesto, ha trovato terreno fertile per espandersi
nella tradizionale vocazione all’irregolarità delle imprese edili, che privilegiano l’evasione fiscale
come risposta all’incertezza del mercato. Così, nel Calatino, il settore dell’edilizia è diventato
quello con il tasso più elevato di lavoro nero, dopo l’agricoltura.
Per quanto riguarda le tipologie, se quella più diffusa è probabilmente quella del lavoro nero in
senso stretto, che comporta l’assenza di ogni rapporto formale di lavoro, molto frequenti sono altre
forme, che configurano rapporti solo in parte “in nero”, attuando di fatto retribuzioni più basse e/o
orari di lavoro più lunghi rispetto a quelli previsti dai contratti.
Tuttavia, non va sottovalutata l’importanza che anche il doppio lavoro ha assunto in questo quadro
di irregolarità e precarietà. Un numero considerevole di lavoratori, si dividono, infatti, tra il lavoro
nei cantieri e quello in agricoltura. Quest’ultimo per alcuni rappresenta una fonte di reddito
sussidiaria rispetto a quella principale che resta legata all’edilizia. Per altri, soprattutto nelle aree a
maggiore produttività agricola come Mazzarrone, Grammichele e Scordia, avviene il contrario, in
relazione anche alla possibilità di sfruttare l’indennità di disoccupazione agricola. Di fatto è il
pendolarismo tra agricoltura ed edilizia che assicura ai lavoratori non solo un’occupazione
continuativa, ma anche una tutela previdenziale, grazie all’istituto della disoccupazione agricola.
Non va, infine, dimenticato che il rischio del lavoro nero nell’edilizia non si misura solo sul piano
del reddito e della tutela previdenziale, ma anche su quello della sicurezza, data la più elevata
incidenza degli infortuni sul lavoro nei cantieri che impiegano lavoro irregolare.

1.7 Il settore manifatturiero


Il panorama del lavoro irregolare nel settore manifatturiero è meno fosco, ma il settore ha
tradizionalmente uno sviluppo modesto nell’area e ha subìto le stesse tendenze alla ristrutturazione
e alla contrazione che hanno interessato l’intero comparto a livello regionale. Tuttavia, non si
possono sottovalutare alcuni segnali confortanti di ripresa, dovuti anche all’iniziativa del Patto
territoriale del Calatino Sud Simeto, che ha destinato al finanziamento delle attività industriali
risorse ingenti. Ciò è dovuto, da un lato, alla maggiore capacità del settore di attirare risorse , e
dall’altro, alla preferenza che il settore pubblico ha dimostrato verso tali attività. Tra i comuni del
Patto, a parte Caltagirone, che punta in via prioritaria sul settore della ceramica e conta sulla
presenza di una zona industriale in grado di accogliere logisticamente nuove e vecchie imprese,
sono Grammichele e Scordia i comuni dove è avvertibile un significativo dinamismo
imprenditoriale nel settore manifatturiero.
Grammichele sembra aver intrapreso la strada della specializzazione nell’indotto dell’edilizia. E'
consistente la presenza di attività quali la lavorazione dei marmi e la costruzione di macchine per
questa stessa lavorazione, nonché la lavorazione dell’acciaio, dell’alluminio, etc. Si tratta di realtà
per lo più di tipo artigianale, ma di una certa importanza sia economica sia occupazionale, con
dimensioni che si aggirano tra i dieci ed i trenta dipendenti.
Indotto dell’edilizia, plastica, ma soprattutto lavorazione del legno, sono le attività più diffuse a
Scordia, che può godere oggi anche di un’area di sviluppo industriale in continua espansione. Qui
abbiamo imprese d’importanza nazionale come la Compir (industria per la produzione di poltrone e
mobili per ufficio), che costituiscono il fiore all’occhiello dell’intero comprensorio e che riescono
ad occupare centinaia di addetti.
A Mazzarrone e Castel di Iudica, invece, le pochissime realtà manifatturiere si limitano a qualche
esperienza nell’indotto dell’agricoltura, quali quelle delle imprese costruttrici di cassette in legno
per l’imballaggio dei prodotti agricoli o di imprese che costruiscono macchine agricole.
Nel contesto manifatturiero il lavoro nero, soprattutto quello “in senso stretto”, è un fenomeno
molto limitato. Quote di sommerso si rilevano quasi esclusivamente nelle unità di piccolissime
dimensioni, di tipo artigianale, soprattutto quelle con meno di cinque dipendenti, come le officine di
fabbri o falegnami. Le imprese più consistenti, invece, sono senz’altro meno coinvolte nel
fenomeno del lavoro sommerso. Qui il lavoro nero in senso stretto è quasi nullo, limitato più che
altro al periodo dell’apprendistato, un periodo durante il quale, per l’impresa, i costi necessari per la
formazione sarebbero nettamente superiori ai vantaggi derivanti dalle forme contrattuali previste
per queste categorie di lavoratori. Poiché, comunque, il livello di specializzazione richiesto è
elevato e difficilmente reperibile sul mercato (sono molte le imprese che sottolineano questo
problema, attribuendone la responsabilità al sistema scolastico), può capitare che il rapporto di
lavoro inizi solo in modo informale, per poi avviarsi verso la regolarizzazione una volta che
l’operaio ha conseguito la professionalità e l’esperienza necessarie. Questa strategia, che potremmo
definire del “lavoro nero formativo”, non è peraltro seguita da tutte le imprese manifatturiere,
poiché c’è chi preferisce si dall’inizio l’avviamento regolare, usufruendo degli sgravi contributivi
previsti dalla legge.
Nel settore, piuttosto, il sommerso si presenta in altre forme e la tipologia più rilevante riguarda il
“taglio” delle buste paga. Molti intervistati parlano, infatti, di datori di lavoro che “limano” stipendi,
tredicesime e altre componenti della retribuzione o addirittura danno di fatto al lavoratore somme
pari a due terzi o alla metà della somma prevista dal contratto stipulato. Anche l’orario di lavoro
effettivamente svolto può essere superiore rispetto a quello previsto dai contratti, o l’evasione può
riguardare il mancato riconoscimento di alcuni diritti, quali il godimento delle ferie e dei congedi
previsti dalla legislazione vigente. Ciò permette da una parte di scaricare per intero i costi della
manodopera e di essere al riparo dai possibili controlli delle autorità competenti, mentre d’altra
parte consente di risparmiare cifre anche notevoli. Naturalmente più piccola è l’impresa, più facile è
mettere in atto questa strategia, poiché è più stretto il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e
lavoratore. E a denunciare questa situazione sono in primo luogo le imprese più grandi, che si
sentono minacciate da una concorrenza sleale.
Un discorso a parte merita il settore della ceramica, che è stato negli anni recenti al centro di una
vasta operazione di rilancio volto a fare dell’area di Caltagirone un vero e proprio distretto.
La serie produttiva della ceramica inizia con l’estrazione dell’argilla da cave site sul territorio;
successivamente, prosegue con la sua raffinazione allo scopo di renderla lavorabile e con la
progettazione e tornitura del semilavorato, detto anche “biscotto”; infine, l’ultima fase è quella della
decorazione. Sempre più frequentemente il ciclo produttivo della ceramica di Caltagirone salta le
prime quattro fasi della produzione, concentrandosi prevalentemente sull’ultima, la decorazione: la
maggior parte delle imprese artigiane, infatti, acquista direttamente il biscotto da altri distretti
ceramicoli come Deruta, Faenza, e Vicenza, limitandosi esclusivamente allo stadio del decoro
artistico. Questa tendenza genera diverse conseguenze, una delle quali è la contrazione del valore
del prodotto, che rischia di perdere la prerogativa di manufatto “artigianale” in senso stretto, proprio
perché, nella maggior parte dei casi esso non viene lavorato, modellato, plasmato da mani calatine.
Questo, a lungo andare, secondo alcuni ceramisti, rischia di scalfire il prestigio della ceramica di
Caltagirone e quindi di diminuire il suo valore economico. Contemporaneamente, causa ed effetto
di un ciclo produttivo così breve e, per certi versi, meno complesso e più accessibile, è la crescita
esponenziale di piccole botteghe artigiane, il cui trend evolutivo è di oltre il 20% annuo, con una
crescita che ha portato il numero delle aziende da una decina della fine degli anni ’70, alle circa 130
del 2000. Si tratta di un fenomeno che, se da un lato può essere considerato il sintomo di una
vivacità del settore, dall’altro rappresenta sicuramente la fonte di molti problemi. Uno di questi
sarebbe legato al fatto che le piccole botteghe artigiane condizionano non poco il mercato
presentando un prodotto non sempre di qualità, ma spesso molto più economico, costringendo le
grandi imprese ceramiche sia a cercare nuovi mercati di sbocco anche attraverso una
diversificazione del prodotto, sia a tagliare i costi di produzione (compresi quelli del lavoro), col
rischio di dequalificare il prodotto fino alla distruzione del mercato.
Un rafforzamento economico del distretto ceramico calatino potrebbe di certo agevolare il valore di
mercato dei suoi prodotti: a questo scopo sarebbe opportuna la creazione di consorzi che mettano
insieme diversi ceramisti e conferiscano loro maggiore potere contrattuale nell’accesso al credito e
maggiore potere economico sul mercato. Purtroppo, non si assiste affatto ad un decollo di
associazioni tra i ceramisti, sicuramente anche per il condizionamento di fattori di tipo culturale e
sociale. La maggior parte dei ceramisti calatini preferisce quindi proseguire per la sua strada
secondo un’ottica individualistica: sono frequenti i casi in cui si preferisce rifiutare delle commesse
perché la capacità produttiva è insufficiente, piuttosto che condividere l’ordinazione con altri
artigiani.
Qualsiasi strada si decida di percorrere, un ostacolo sempre più problematico è rappresentato dalla
ricerca di nuovi mercati di sbocco. Per molto tempo il mercato di riferimento è stato strettamente
locale, costituito prevalentemente da turisti di passaggio; a lungo andare però diventa necessario
guardare fuori Caltagirone: al resto della regione, al resto dell’Italia, al resto d’Europa. Nonostante
questi problemi, le funzioni commerciali, nella maggior parte dei casi, continuano ad essere
totalmente svolte dallo stesso imprenditore, senza l’aiuto di agenti di vendita o di centri di
distribuzione esterni all’area calatina; inoltre, la funzione di marketing è quasi inesistente e sono
pochissime le ricerche di mercato sulla ceramica. Ad aggravare la situazione contribuiscono,
inoltre, sia problemi di carattere logistico, sia l’insufficienza e l’inadeguatezza delle basilari arterie
stradali che continuano a mantenere quasi isolata una realtà che sempre più necessita di dinamismo
e di collegamenti con altri ambiti. Da non sottovalutare, inoltre, l’assenza di qualsiasi struttura di
ricerca, sia per quanto riguarda l’innovazione tecnologica, sia per il design del prodotto.
La dimensione media delle imprese artigiane è di 3-4 unità lavorative per unità locale di
produzione, ma la dimensione del sommerso è notevole, aggirandosi intorno al 90% della forza
lavoro ufficialmente impiegata, soprattutto nelle botteghe che svolgono la propria attività in edifici
privati, generalmente poco visibili ed individuabili dall’esterno.
Le tipologie di “sommerso” prevalente è quella in cui manca del tutto un regolare contratto di
lavoro; questa modalità coinvolge soprattutto i giovani apprendisti che, una volta diplomati
nell’Istituto di arte della ceramica, o semplicemente durante le vacanze estive, riescono ad essere
“ingaggiati” in qualche piccola bottega artigiana per fare pratica, lavorando (e producendo) in
condizioni igieniche non sempre ottimali e ricevendo, nel migliore dei casi, un piccolo compenso. Il
rapporto tra questi ragazzi ed i ceramisti in genere non è regolato da alcun tipo di contratto; ciò si
verifica anche quando il rapporto si protrae per molto tempo e il giovane non è più soltanto un
tirocinante ma un lavoratore a tutti gli effetti.
Significativa è anche la presenza di doppiolavoristi; si tratta in particolare di persone che hanno già
un impiego fisso, dipendente e non troppo impegnativo, e che decidono di aprire
contemporaneamente una piccola bottega artigiana a nome di un parente per lavorarvi in nero.
A queste realtà si affianca quella delle botteghe artigiane “fantasma” che ufficialmente non esistono
in quanto non registrate alla Camera di commercio, ma che di fatto producono totalmente in nero
(in appartamenti o garage) e riescono ad offrire sul mercato manufatti spesso competitivi.
Un’ultima forma di illegalità, che non riguarda direttamente il lavoro sommerso, ma introduce
egualmente importanti elementi di distorsione nel mercato della ceramica calatina, riguarda
l’evasione fiscale legata all’acquisto di materiale in nero e alla non completa fatturazione del
materiale venduto.
In definitiva, quindi, anche nel settore della ceramica le cause del sommerso rinviano ad un
intreccio di interessi e reciproche convenienze, agevolato da un contesto economico e culturale che,
di fatto, risulta spesso “complice” di tali comportamenti illegali.
Il panorama del sommerso nell’area calatina non può prescindere dall’esame relativo al settore dei
servizi, ed in particolare al turismo, al commercio e alle attività di pulizia, settori che dovunque in
Italia sono grossi contenitori di lavoro nero, anche se sono i più difficili da indagare.
Il settore turistico ha nell’area calatina un peso significativo solo per alcuni comuni e Calatgirone è
il primo tra questi.
Come emerge dagli studi sul sommerso per contesti più ampi, il lavoro nero è molto diffuso nel
settore, sia per il proliferare di unità di piccole dimensioni, che hanno peraltro un alto tournover, sia
perché l’attività ha carattere discontinuo con picchiai stagionalità frequenti.
È soprattutto nell’ambito della ristorazione che i giovani non solo locali, ma anche extracomunitari,
sono coinvolti in rapporti lavorativi non regolari: si tratta principalmente dei giovani camerieri dei
pub o ristoranti, molti dei quali lavorano per tre, quattro, cinque ore al giorno solo in alcuni periodi
dell’anno, quando c’è più lavoro, e per questa ragione raramente vengono ingaggiati. Ma
l’irregolarità coinvolge in molti casi anche il lavoro continuativo nella ristorazione e riguarda
frequentemente proprio gli extracomunitari che spesso non hanno neanche il permesso di soggiorno.
Il commercio è un settore composito che ha registrato negli anni recenti un processo di
ristrutturazione organizzativa e tecnologica che ha falcidiato unità locali e addetti, anche se continua
ad essere dominato, soprattutto nell’area del Calatino, dalle piccole unità che fanno ampio ricorso al
lavoro irregolare.
Il lavoro nero è strettamente legato all’ampiezza dell’azienda: là dove vi sono più di otto dipendenti
automaticamente interviene il sindacato nei rapporti di lavoro e ciò di fatto scoraggia il datore di
lavoro dall’assumere in nero. Nelle piccole realtà commerciali, invece, è più facile che ci sia
sommerso, sia perché ci sono meno controlli, sia perché spesso c’è una gestione “familiare” che
rende più difficile la via della regolarizzazione. L’irregolarità totale è affiancata, anche nelle
imprese meno piccole, dall’irregolarità riguardante la sottodichiarazione di ore di lavoro o dal
pagamento di salari inferiori a quelli dichiarati.
Anche in questo caso, sono coinvolti soprattutto i giovani che accettano tali condizioni per
mancanza di alternative e nella speranza di transitare con l’età verso attività più garantite. In realtà,
ciò accade solo ad una minoranza di essi, mentre per altri, soprattutto se ragazze, si prospetta un
destino di casalinghità.
Altrettanto denso di lavoro irregolare è il settore delle pulizie e non solo quello delle pulizie
domestiche presso le famiglie, ma anche quello legato agli appalti pubblici e privati tramite le
cooperative. Infatti, le imprese di pulizie che concorrono tra di loro per appalti, che riguardano sia
enti pubblici sia privati, giocano al ribasso, facendo leva proprio sulla manodopera in nero. I
lavoratori coinvolti sono prevalentemente donne adulte a bassa istruzione o immigrati, che sono la
fascia più debole e meno legittimata socialmente a rivendicare il rispetto delle regole contrattuali.
Ma nel settore delle pulizie si ripresenta un fenomeno ben conosciuto in agricoltura: molti lavoratori
si fanno ingaggiare per quattro ore al giorno, per non perdere la disoccupazione, e nel frattempo
svolgono attività anche in nero.
Il coinvolgimento di lavoratori extracomunitari nel lavoro irregolare svolto nell’area di indagine è
diventato negli anni recenti sempre più consistente, anche se è difficile quantificarne la presenza. I
dati delle anagrafi comunali ci forniscono numeri che rappresentano lo stato degli immigrati che
risiedono stabilmente nei comuni del patto e probabilmente esprimono le proporzioni, seppur
approssimative, della presenza anche di immigrati irregolari di quella nazionalità. Ogni percorso
migratorio ha bisogno, specie se compiuto nell’irregolarità e nel sommerso, di referenti certi che
fungano da mediatori culturali tra il nuovo immigrato (spesso irregolare) ed il mercato del lavoro
locale. Anzi è proprio questo “sapere migratorio” costituito dalle reti di relazione a costituire uno
dei presupposti indispensabili alla scelta di emigrare compiuta dall’individuo. È questa la ragione
del crearsi di “poli” di presenza straniera di una certa nazionalità in alcuni comuni. A questo
proposito, può essere interessante notare come vi sia una significativa presenza di cingalesi,
concentrata esclusivamente a Caltagirone, tunisini, marocchini e albanesi, mentre mancano quasi
del tutto dall’area del patto i mauriziani, i senegalesi, gli iugoslavi ed i filippini, nazionalità che
sono rispettivamente la prima, la sesta, la settima e l’ottava in provincia.
È presumibile che intorno a questo nucleo di immigrati residenti e regolari si raccolga un volume tre
o quattro volte superiore di immigrati non residenti e irregolari che vivono nei comuni del Patto o
nei comuni limitrofi.
La presenza straniera si distribuisce nel territorio in maniera sostanzialmente ineguale, vi sono
comuni nei quali è dl tutto assente ed altri che si pongono ai primissimi posti in provincia per
densità di immigrati. Questa distribuzione riflette indirettamente anche la condizione economica
delle aree, poiché, gli immigrati, portatori di un atteggiamento orientato alla massimizzazione dei
vantaggi, tendono a collocarsi nelle aree in cui il lavoro è più facilmente reperibile e che dunque
sono più dinamiche autonomamente. In questo senso, il rapporto tra immigrati ed abitanti
rappresenta anche un buon indicatore dello sviluppo economico dei comuni della provincia.
Le situazioni più tipiche che è possibile individuare osservando le statistiche delle presenze e degli
avviamenti sono due: da un lato, l’immigrazione urbana, che occupa i cosiddetti bad jobs, servizi
domestici, di pulizia, ristorazione, che i residenti non accettano più (realtà che sembra circoscritta al
maggiore centro urbano dell’area); dall’altro, il lavoro di albanesi, tunisini e marocchini
nell’agricoltura ed in edilizia, anch’essi concentrati, sebbene in misura minore rispetto ai cingalesi,
solo in alcuni comuni dell’area.
Il contesto urbano di Caltagirone p caratterizzato da una comunità nazionale fortemente coesa,
portatrice di un progetto migratorio di medio-lungo periodo, che aspira fortemente ad essere in
regola con la normativa dei permessi di soggiorno per non correre rischi. L’attività di questi
immigrati appare fortemente orientata ai servizi in quanto non vi sono testimonianze che colleghino
questi lavoratori al lavoro agricolo. Da numerose e concordanti testimonianze, scarsissima appare
anche la presenza nel settore industriale della ceramica. Il lavoro viene svolto prevalentemente in
modo irregolare, ma è necessario avere una qualche forma di inquadramento legale per poter
dimostrare un reddito che consenta di rinnovare il permesso di soggiorno per sé e per la propria
famiglia. Per affrontare il problema si va dalla creazione di aziende individuali di pulizia, alla
stipula di contratti simulati, con la complicità dei datori di lavoro, che, per amicizia o dietro
compenso, assumono fittiziamente immigrati che poi pagano i propri contributi.
La seconda tipologia di immigrati, gli extracomunitari impegnati in agricoltura, è anche quella
numericamente predominante, anche se meno concentrata territorialmente. Si tratta delle prime tre
comunità nazionali presenti nel Calatino: tunisini, albanesi e marocchini, che insieme sfiorano il
60% di tutti gli stranieri presenti nell’area. Inoltre, in agricoltura esiste un notevole pendolarismo
legato alla stagionalità dei lavori. Il lavoro agricolo nei periodi di massima intensità richiama
lavoratori che risiedono normalmente fuori dall’area esaminata; persone che magari hanno scelto
diversi percorsi lavorativi e che si barcamenano in una serie di lavori temporanei nelle città. Per
costoro il lavoro agricolo rappresenta, per una fase del loro percorso migratorio, una specie di
estrema-ratio lavorativa, che viene accettata in virtù della possibilità di mettere da parte in breve
tempo piccole somme che consentono di sostenersi anche in periodi nei quali non trovano lavoro in
città. Ciò è possibile poiché, nel periodo del lavoro agricolo, lo stile di vita è estremamente austero,
tutto orientato al massimo profitto: si lavora persino 12/14 ore al giorno e non si hanno occasioni di
svago. Gli immigrati svolgono un ruolo decisivo nel gioco delle convenienze che regge il sistema
dell’irregolarità. Essi sono il polo a cui si appoggia un’economia scarsamente sviluppata per
sopravvivere. Gli alti tassi di emigrazione dei quindici comuni del patto e le numerose
testimonianze indicano che i giovani sono poco disposti a dedicarsi all’agricoltura o all’edilizia
come i loro padri, sicché una certa tipologia di lavoro sopravvive anche per via dei ridotti costi di
manodopera che gli immigrati sono in grado di assicurare.
2) PARTE SECONDA

Dopo aver esaminato la situazione attuale, con i suoi punti di forza e di debolezza, l’analisi si
sposterà sull’individuazione degli incentivi allo sviluppo che sono stati utilizzati fino a questo
momento.

2.1 Il patto territoriale


L’attuazione del Patto territoriale che coinvolge Caltagirone e i comuni limitrofi in un vasto
progetto di concertazione tra attori pubblici e privati per la riqualificazione ambientale e lo sviluppo
dell’imprenditoria rappresenta, sotto questo profilo, una scommessa storica non solo sul piano della
crescita economica ma anche su quello del mutamento sociale e istituzionale.

La vita del Patto ha consolidato, sino ad oggi, alcuni risultati importanti, sotto più profili:

1) Identificazione degli elementi di forza attorno ai quali articolare il proprio progetto di sviluppo
territoriale (valorizzazione della agricoltura e dell'agroindustria, del patrimonio culturale ed
ambientale per il rilancio del turismo, sostegno alla piccola e media impresa locale);

2) Destinazione della spesa complessiva di 100 miliardi di lire alla realizzazione del progetto:
queste risorse attualmente impegnate,sono in fase di erogazione per sostenere gli investimenti
privati in attività d'impresa e per finanziare infrastrutture per l'ambiente;

3) il consolidamento di un quadro di intese strategiche tra le amministrazioni locali sottoscrittrici


del patto, che sta rafforzando la capacità del comprensorio di affrontare i grandi temi dello sviluppo
dell'area in modo unitario: la gestione integrata dei rifiuti, lo sportello unico per le imprese.

La griglia di azioni programmatiche costruite nel Patto, ha fornito la base progettuale per andare ad
una implementazione del disegno iniziale di sviluppo in una logica di integrazione con altri
strumenti operativi suscettibili di portare al programma risorse aggiuntive su obiettivi mirati. Così si
sono innescate le condizioni tecnico - politiche che hanno favorito l'accesso, tra l'altro, a programmi
comunitari mirati, come l'iniziativa comunitaria Leader II per l'attuazione del Piano di Azione del
Calatino Sud Simeto, promosso con la partecipazione finanziaria dei fondi strutturali FESR, FSE e
FEOGA. Il piano prevede misure per l'assistenza tecnica allo sviluppo rurale, al turismo rurale, per
le piccole e media imprese del settore e per il sostegno alla valorizzazione dei prodotti agricoli
locali. La concertazione sociale ed amministrativa che sostiene il patto è, attualmente, riferimento
per una serie di altre azioni importanti.

2.2 L’A.S.I. di Caltagirone

Il consorzio per l'area di sviluppo industriale del calatino Consorzio ha sede in Caltagirone
Agglomerato Industriale S. Maria Poggiarelli.
Fanno parte del Consorzio:
1) Comune di Caltagirone
2) " " Castel di Iudica
3) " " Grammichele
4) " " Licodia Eubea
5) " " Mazzarrone
6) " " Militello V.C.
7) " " Mineo
8) " " Mirabella Imbaccari
9) " " Palagonia
10) " " Raddusa
11) " " Ramacca
12) " " San Cono
13) " " San Michele di Ganzaria
14) " " Scordia
15) " " Vizzini
16) Assessorato Regionale Industria Palermo
17) Provincia Regionale di Catania
18) Camera di Commercio, Artigianato e Agricoltura di Catania.
19) Azienda Autonoma Soggiorno.. e Turismo di Caltagirone
20) Consorzio di Bonifica n. 7 di Caltagirone
21) Associazione degli Industriali di Catania
22) Associazione Apindustrie di Catania
23) Organizzazione Sindacale C.G.I.L. Caltagirone
24) " " C.I.S.L. Caltagirone
25) " " U.I.L. Caltagirone
26) " " C.I.S.A.L. Catania
27) " Artigiana UPLA. CLAAI. Catania
28) " " C.N.A. Catania
29) " " C.G.I.A. Catania

Possono partecipare al Consorzio, oltre alla Regione Siciliana, enti locali, enti pubblici, enti
economici o finanziari sia pubblici che privati, nonché associati di rappresentanza degli industriali.
Il Consorzio ha lo scopo di promuovere l'insediamento di piccole e medie imprese nel comprensorio
consortile formato dai territori dei seguenti Comuni:
Caltagirone, Castel di Iudica, Grammichele, Licodia Eubea, Mazzarrone, Militello v., Mineo,
Mirabella Imbaccari, Palagonia, Raddusa, Ramacca, San Cono, San Michele di Ganzaria, Scordia,
Vizzini.
A tal fine:
a) predispone ed aggiorna il piano regolatore dell'Area di Sviluppo Industriale;
b) acquisisce le aree e i fabbricati necessari per l'esercizio delle attività consortili;
c) esegue e sviluppa le opere di attrezzatura della zona industriale;
d) acquisisce e cede alle imprese industriali ed artigiane le aree ed i fabbricati destinati ad
iniziative industriali anche in locazione finanziaria;
e) gestisce le opere infrastrutturali per la produzione dei servizi da fornire alle imprese dell'area
consortile;
f) eroga servizi reali alle Imprese, ivi compresa l'attività di formazione professionale e di
addestramento per lavoratori e tecnici;
g) assume qualunque altra iniziativa idonea al raggiungimento dei fini istituzionali.

2.3 L’agenzia di sviluppo integrato

L'Agenzia di Sviluppo Integrato è una società mista a partecipazione pubblica


maggioritaria, costituita dai comuni del comprensorio del Calatino Sud Simeto, da enti pubblici
economici e da rappresentanze di categoria del partenariato economico e sociale. Il suo scopo è
quello di svolgere, per l'area, un ruolo di sostegno alla programmazione dello sviluppo locale, di
promozione e di attuazione di programmi di investimento territoriale. Tra i suoi compiti vi è la
gestione del Patto Europeo per l'Occupazione.
2.3.1 I COMUNI COINVOLTI

I comuni coinvolti sono quelli di: Caltagirone, Castel di Judica, Grammichele, Licodia Eubea,
Mazzarrone, Militello Val di Catania, Mineo, Ramacca, San Cono, San Michele di Ganzaria,
Mirabella Imbaccari, Palagonia, Raddusa, Scordia e Vizzini.

2.3.2 Il PARTENARIATO
Il patto per lo sviluppo del calatino sud simeto ha avuto il suo elemento catalizzatore nel
partenariato tra forze pubbliche e private. Comuni, associazioni di categoria, forze imprenditoriali
ed intellettuali: tutti uniti attorno ad un'unica idea e legati dal desiderio di valorizzare le risorse del
Calatino Sud Simeto, trasformando l'area in un importante polo turistico ed economico.
Il metodo della concertazione è ormai una prassi che consente di condividere gli obiettivi della
programmazione dello sviluppo locale in tutti gli appuntamenti più importanti che richiedono
consapevolezza di obiettivi e condivisione dei percorsi da intraprendere.
Ai tavoli di concertazione sono state definite le Linee Guida di tutti i programmi per i quali il
calatino sud simeto ha poi ottenuto il finanziamento di interventi complessi: il Leader II, il Prusst
"Le economie del Turismo", il Patto Specializzato per l'Agricoltura, il Programma URBAN II per la
città di Caltagirone e per i quali si avvia a candidarsi con i Programmi Integrati Territoriali del POR
2000/2006 Sicilia.
Il partenariato del Calatino Sud Simeto si va oggi allargando man mano alle componenti del sociale,
riconoscendo sempre così maggiore attenzione al mondo del no profit e dell'associazionismo.
Al tavolo di concertazione siedono così oltre ai comuni, alle organizzazioni dei lavoratori e degli
imprenditori, gli istituti finanziari più impegnati dell'area, il Consorzio ASI di Caltagirone, la Lega
Nazionale delle Cooperative e mutue, Unione Nazionale Cooperative Italiane), la Confederazione
Italiana Agricoltori, l'Associazione Produttori Olivicoli, l'API provinciale, il Movimento
Imprenditori Giovani del Calatino, l’Ente di Sviluppo Agricolo, il Centro sperimentale di
granicoltura, l'Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo di Caltagirone.

In attuazione della sua missione statutaria, l'Agenzia:

• È Soggetto di Intermediazione Locale per l'attuazione del PTO del Programma Operativo
Multiregionale per l'Occupazione - Patti Territoriali. I risultati di monitoraggio del Ministero
del Bilancio pongono il patto del calatino al primo posto per capacità di spesa tra i nove patti
europei per l'occupazione finanziati per l'Italia;

• Svolge funzioni di GAL di un programma Leader II;

• Ha curato l'assistenza tecnica per la realizzazione del Patto Specializzato per l'Agricoltura,
risultato tra quelli finanziati;

• Ha curato le attività di assistenza tecnica per la realizzazione del PRUSST "Le economie del
turismo" del Calatino Sud Simeto, in concertazione con il PRUSST della provincia catanese,
risultato finanziato per le attività di assistenza tecnica;

• E' responsabile dello Sportello Unico per le Imprese;

• Per incarico del Comune di Caltagirone, ha curato la progettazione del programma URBAN
II;

• Per incarico dei 15 comuni, sta curando la progettazione della società Ambiente Kalat, per la
gestione del ciclo integrato dei rifiuti nel comprensorio;

• Presta assistenza alle amministrazioni locali per la partecipazione ai tavoli provinciali di


concertazione di Agenda 2000;

• Ha avuto incarico dal tavolo di concertazione per la realizzazione del PIT del Calatino Sud
Simeto;

• Sta progettando il progetto per il prossimo bando comunitario di Equal.

2.4 Il PAL del Calatino


Il Piano d'Azione Locale (PAL) del Calatino Sud Simeto è finanziato per un importo complessivo di
6 miliardi 604 milioni di lire.
Il PAL nasce dalla partnership del Gruppo d'Azione Locale,all'interno del quale sono rappresentati i
principali protagonisti dello sviluppo locale.
Per questo ruolo è stata designata l'Agenzia di Sviluppo Integrato, che riveste appunto le funzioni
di GAL. Essa si occupa della gestione dei fondi relativi all'attuazione del PAL ed agisce in piena
autonomia economica, scientifica ed organizzativa, provvedendo con strutture proprie ed
avvalendosi di apporti esterni, a ideare e progettare le iniziative, studiare e programmare le priorità
tecniche, correlando le fasi dell'intervento complessivo.
Dotata di know how tecnico, capacità gestionale, solvibilità finanziaria e, al suo interno, nella
duplice veste di "proprietari" e "beneficiari", tutti i soggetti pubblici e privati che animano l'azione
di sviluppo locale, l'Agenzia ha pertanto tutti i tratti comuni ai più moderni esempi di agenzie di
sviluppo locale operanti in altre regioni europee.

In particolare, il Leader II garantisce:


a) Azioni di sensibilizzazione della popolazione e degli operatori locali;
b) La redazione, l'attuazione, le eventuali modifiche e gli adeguamenti del PAL;
c) La promozione e la divulgazione del Piano sul territorio;
d) Il supporto tecnico e la gestione dei bandi per accedere agli incentivi;
e) Il monitoraggio delle attività e la rendicontazione della spesa;
f) La partecipazione attiva alla Rete nazionale e all'Osservatorio europeo.

Il PAL si propone obiettivi di incremento del reddito e dell'occupazione per effetto tanto di manovre
orientate ad accrescere la domanda di produzioni e servizi tipici dell'area, quanto di azioni che
puntano a sviluppare l'offerta, riqualificando le imprese che operano nel territorio.
Le prime fanno leva sugli elementi d'eccellenza presenti nell'area:
produzioni agricole, agro-alimentari ed artigianali.
Le seconde si concentrano sui fattori di debolezza che limitano le potenzialità di sviluppo locale,
costruendo un "Prodotto Calatino" spendibile sui mercati nazionali ed internazionali.

2.5 Leader II in sintesi:

Misura 1 - Assistenza tecnica allo sviluppo rurale


Questa misura raccoglie le iniziative necessarie per consentire al GAL di svolgere un'attività di
sensibilizzazione verso la popolazione locale e di pura assistenza tecnica allo sviluppo.
Le azioni prevedono, oltre alla costituzione del GAL, l'animazione socioeconomica del settore
agricolo e del comparto delle piccole e medie imprese.
Sono contemplate, inoltre, azioni promozionali e di assistenza tecnica a favore dell'artigianato.

Risultati
1. Numero di aziende coinvolte:
- assistenza tecnica all'artigianato: 25
- accesso alle nuove tecnologie: 35
2. Realizzazione di un sito web per la promozione del "prodotto Calatino".

Misura 2 - Formazione professionale


Si propone di creare e sviluppare le professionalità e di valorizzare le risorse umane: dagli operatori
culturali, ai tecnici della qualità, agli esperti in tecniche agricole innovative.
Risultati
- Numero allievi formati: 108

Misura 3 - Turismo rurale

L'intervento ha l'obiettivo di migliorare e promuovere l'offerta turistica complessiva del Calatino


mediante l'individuazione di percorsi di fruizione delle risorse ambientali e culturali dell'area

Risultati
- Piano di valorizzazione turistica del Calatino

Misura 4 - Piccole imprese, artigianato e servizi locali


Le finalità di questa misura sono da collegare alla necessità di migliorare e sviluppare verso un più
largo mercato le attività produttive delle piccole e medie imprese e degli artigiani.

Risultati: esperimenti di vendita extra-regionali e internazionali


- Imprese incentivate: 5

Misura 5 - Valorizzazione dei prodotti agricoli


L'obiettivo è rappresentato dal raggiungimento di un livello di qualificazione produttiva tale da
trasformare il Calatino Sud Simeto in un "distretto agricolo di qualità". Le azioni previste per
centrare il risultato sono incentrate soprattutto sull'introduzione di tecniche innovative nel comparto
agricolo e sulla specializzazione in determinati settori (come la coltivazione biologica di piante
aromatiche e officinali).

Risultati
1. Realizzazione di un centro per le produzioni di qualità;
2. Analisi di mercato dei prodotti agricoli innovativi;
3. Numero di imprese agricole coinvolte:
- sperimentazione tecniche innovative: 85
- controllo qualità: 30
- accesso alle nuove tecnologie: 25

Misura 6 - Ambiente e condizioni di vita


Con questa misura si vuole contribuire al risveglio e alla promozione delle tradizioni culturali, per
accrescere l'interesse della popolazione e dei turisti e consentire, in particolare ai giovani del
Calatino Sud Simeto, di ritrovarsi ed esprimersi in esse. Inoltre la misura prevede la realizzazione di
un progetto per interventi innovativi nel campo della gestione dei rifiuti.

Risultati
- Attività culturali: soggetti incentivati 5

- Studio per la gestione integrata dei rifiuti.

2.6 Finalità
Gli interventi attuati dall'Agenzia di Sviluppo Integrato hanno identificato obiettivi programmatici e
linee di sviluppo per il comprensorio, con la finalità di rafforzare il sistema delle azioni funzionali
alla creazione di condizioni di un contesto generale più favorevole alla crescita economica e sociale
del sistema territoriale di riferimento.

Nel Calatino Sud Simeto il tasso elevatissimo di disoccupazione rappresenta simbolicamente la più
evidente delle contraddizioni di un sistema che, seppur ancora debole economicamente, può contare
su un patrimonio ambientale, culturale e storico di inestimabile valore e con elevate potenzialità di
ritorni di investimento e di un assetto di produzioni tipiche suscettibile di valorizzazione sui mercati
non solo nazionali. Da queste considerazioni è nato il primo obiettivo del disegno dello sviluppo
locale che, negli ultimi cinque anni, è andato prendendo corpo in un contenitore quale il Patto
Europeo per l'Occupazione del Calatino Sud Simeto.

2.6 Finanziamenti all’artigianato


La cassa regionale per il credito alle imprese siciliane (CRIAS) gestirà le istanze degli artigiani
che parteciperanno ad un’apposita sottomisura del Pit del Calatino, rivolta alle imprese del
comparto con circa 2 milioni di euro di fondi territorializzati per le aziende artigiane del
comprensorio, che si aggiungono agli oltre 50 milioni di euro stanziati su base regionale con fondi
di Agenda 2000. La crias permette l’integrazione del bando dell’art. 48 della legge 32/2000
(previsto un plafond iniziale di oltre 50 milioni di euro da Agenda 2000) con una delle sottomisure
del Pit Calatino, la 4.01B “Aiuti alle imprese – valorizzazione produzioni locali imprese artigiane”
che prevede finanziamenti per circa 2 milioni di euro. Sono finanziabili sia la creazione di nuove
imprese che l’ampliamento e l’innovazione di quelle già esistenti nell’artigianato di produzione.

2.7 L’area del Calatino, l’alba di una Provincia


La fitta rete di rapporti esistenti tra i comuni del patto fa di Caltagirone una “provincia
mancata”. Molti auspicano, infatti, che Caltagirone si stacchi dalla provincia di Catania per dar vita
ad una nuova provincia. Dal punto di vista che vogliamo tenere in considerazione, questo dato è
importante poiché esiste una fitta rete di relazioni tra le municipalità del patto del Calatino.
Da ultimo, a dimostrazione di ciò, è stato ottenuto un ufficio del Catasto che convogli le
municipalità attorno a Caltagirone.
In questi anni le politiche d’area e le altre iniziative promosse sul territorio hanno messo sempre
più insieme le Municipalità della zona, facendo venir meno alcuni fattori ostativi e cerando una
rilevante comunanza di idee e progetti.
Il sindaco di Caltagirone, Francesco Pignataro, ritiene sussistano le condizioni per costruire una
Provincia “capace di valorizzare le peculiarità di ogni singola comunità che ne farà parte”.
D’accordo in tal senso appare il Prefetto, nonché la Regione che ha proposto un disegno di
legge di iniziativa governativa al fine di rendere possibile la realizzazione della Provincia del
Calatino.
COMMISSIONE EUROPEA

Bruxelles,
COM (98) - 219

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE

SUL LAVORO SOMMERSO


Indice
1. INTRODUZIONE 4

2. ANALISI DEL MERCATO DEL LAVORO SOMMERSO 4

2.1. Definizione del lavoro sommerso e dimensione del problema 4

2.2. Perché esiste il lavoro sommerso? 5

2.3. Chi sono i lavoratori del sommerso? 7

2.4. In quali settori il lavoro sommerso è più diffuso negli Stati membri? 8

2.5. Cittadini di paesi terzi e lavoro sommerso 8

3. IMPATTO DEL LAVORO SOMMERSO 9

3.1. La sicurezza sociale e l’impatto sulle finanze pubbliche 9

3.2. L’impatto sulle persone 9

3.3. Effetti sulla concorrenza 10

4. QUESTIONI POLITICHE 11

4.1. Opzioni politiche 11

4.2. Rassegna delle misure politiche introdotte negli Stati membri 12

4.3. Esempi di strategia integrata applicata in tre paesi 15

5. CONCLUSIONI 17

6. TABELLA 1: MISURE GIURIDICHE DI CONTROLLO 18

7. TABELLA 2: MISURE CONCERNENTI SUSSIDI O


RIDUZIONI DEI COSTI 19

8. TABELLA 3: ALTRE MISURE 20

9. ALLEGATO 2: SCHEDE PER PAESE 21

1
Sommario

Quella del lavoro sommerso è una delle tematiche di interesse comune nell’ambito dell’occupazione.
Il concetto di “lavoro sommerso” riguarda le attività retribuite di per sé legittime ma che non
vengono dichiarate alle autorità pubbliche, nella consapevolezza però che si deve tener conto delle
diversità che sussitono nei sistemi normativi degli Stati membri. Applicando questa definizione se ne
escludono le attività criminali come anche le attività lavorative che non necessitano una notifica alle
autorità.

La principale motivazione per i datori di lavoro, i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi per
partecipare all’economia sommersa è di natura economica. Lavorare nell’economia sommersa offre
l’opportunità di aumentare i guadagni e di evitare le tasse e i contributi sociali ovvero di ridurre i
costi. Vi sono tre fattori che concorrono all’emergere di tale fenomeno: una crescente domanda di
“servizi personalizzati”, la riorganizzazione dell’industria in lunghe catene di dis-integrazione
verticale e di subappalto e la diffusione di tecnologie leggere che schiudono nuove opportunità
lavorative e nuovi ambiti di attività di servizio. Il lavoro sommerso è in generale diffuso in settori ad
alta intensità di manodopera e a bassa redditività quali l’agricoltura, la costruzione, il commercio al
dettaglio, la ristorazione o i servizi domestici. A ciò si aggiungono i servizi manifatturieri e
commerciali in cui i costi costituiscono il principale fattore di competizione. Un altro ambito è dato
dai settori innovativi.

È possibile identificare quattro gruppi principali di persone che partecipano all’economia sommersa:
le persone che hanno un secondo lavoro o che hanno più lavori, la popolazione “economicamente
inattiva”, i disoccupati e i cittadini di paesi terzi che risiedono illegalmente nell’UE. L’età e il sesso
dei lavoratori del sommerso sono funzionali in ampia misura ai settori interessati.

Il lavoro sommerso rischia di erodere il finanziamento e l’erogazione di protezione sociale e di


servizi pubblici. La riduzione delle entrate comporta una riduzione nel livello di servizi che lo Stato è
in grado di offrire e ciò crea un circolo vizioso in quanto il governo aumenta le tasse per poter
continuare a erogare i servizi, creando così incentivi maggiori al lavoro sommerso. Nei paesi in cui la
copertura della protezione sociale è universale o in cui le persone godono di diritti derivati dai
coniugi, il lavoro sommerso può non avere ripercussioni sui diritti all’assistenza sanitaria o alla
pensione. Lo stesso vale per coloro che hanno un secondo lavoro. In generale però i lavoratori del
sommerso ufficialmente inattivi perdono tutti i benefici derivanti da un contratto di lavoro formale,
quali la formazione, un profilo specifico della carriera, aumenti salariali, il senso di appartenenza
all’impresa. Tali persone hanno anche difficoltà a passare ad altri lavori. L’impatto sulle imprese si fa
sentire a seguito della distorsione della concorrenza, soprattutto a livello micro.

Il problema del lavoro sommerso può essere visto in una duplice ottica: lo si può considerare quale
scelta individuale di persone che approfittano del sistema e indeboliscono nel contempo i meccanismi
di solidarietà o quale risultato di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro cui la legislazione
esistente si adatta troppo lentamente. Nel primo caso l’intervento dovrebbe essere impostato su
sanzioni e campagne di sensibilizzazione, nel secondo caso la strategia dovrebbe concentrarsi su
azioni di prevenzione, adattando la legislazione inadeguata affinché rispecchi le nuove realtà del
mercato del lavoro, nonché riducendo gli oneri e gli ostacoli.

La definizione di una strategia mirata e completa è essenziale se si vuol combattere il lavoro


sommerso in modo efficace. Una simile strategia dovrebbe comportare diversi elementi, la cui
composizione varierebbe da uno Stato membro all’altro. Indipendentemente dalle misure prescelte, la
strategia complessiva dovrà contemplare misure efficaci di applicazione.

2
Il presente documento intende avviare un dibattito sulle cause del lavoro sommerso e sulle opzioni
politiche per combatterlo. Esso fa presente che vi è innanzitutto la necessità di identificare
correttamente le cause e la dimensione del problema e, in secondo luogo, di considerare la lotta
contro il lavoro sommerso quale elemento della strategia complessiva per l’occupazione.

La Commissione auspica e si attende che gli Stati membri, le istituzioni comunitarie e le parti sociali
partecipino attivamente a questo dibattito. In tale contesto si dovrebbero prendere in considerazione
un’accresciuta consapevolezza delle cause e della dimensione del lavoro sommerso, l’identificazione
di esempi di prassi ottimali per combatterlo e la possibilità di un’azione coordinata a livello di UE.
L’attuazione di diversi degli orientamenti per l’occupazione del 1998, come quelli volti a sviluppare
l’imprenditorialità e ad incoraggiare l’adattabilità, contribuiranno a scoraggiare il lavoro sommerso.
Qualora da questo dibattito emergesse l’opportunità di procedere ad ulteriori azioni a livello di UE,
se ne potrebbe tener conto nel contesto della Relazione congiunta 1998 e degli Orientamenti per
l’occupazione 1999.

3
1. INTRODUZIONE

Quello del lavoro sommerso è un problema che riguarda tutti gli Stati membri ed è quindi una delle
questioni d’interesse comune in ambito occupazionale. Il lavoro sommerso rischia di erodere il
finanziamento dei servizi sociali, già esposto a pressioni, riduce il livello di protezione sociale delle
persone e le loro prospettive sul mercato del lavoro e può inoltre influire sulla competitività. Esso va
inoltre contro gli ideali europei di solidarietà e di giustizia sociale.

Il Libro bianco “Crescita, competitività, occupazione” lanciato dalla Commissione europea alla fine
del 1993 invoca, tra l’altro, un ampliamento del concetto di lavoro e incoraggia gli Stati membri ad
agevolare “la reintegrazione nel mercato del lavoro ufficiale di molte persone che svolgono
attualmente forme marginali di lavoro o lavorano in nero”. Successivamente, nell’ambito del
Programma d’azione sociale a medio termine 1995-1997, la Commissione ha annunciato la propria
intenzione di avviare un dibattito sul lavoro nero.

Contestualmente al seguito dato al Libro bianco sono stati realizzati diversi studi e relazioni attinenti
alle caratteristiche e alle tipologie del lavoro sommerso. La presente comunicazione prende le mosse
dalle informazioni così raccolte e fa una rassegna delle misure atte a combattere il lavoro sommerso.
L’obiettivo del presente documento è di avviare un dibattito sul modo in cui gli Stati membri
possono affrontare con maggiore efficacia il problema mediante scambi di esempi di buone prassi o,
se del caso, mediante un’azione coordinata a livello di UE. Se dal dibattito emergesse l’auspicabilità
di un’azione a livello di UE, questa potrebbe essere presa in considerazione nel contesto della
Relazione congiunta 1998 e degli Orientamenti per l’occupazione 1999.

2. ANALISI DEL MERCATO DEL LAVORO SOMMERSO

2.1 Definizione del lavoro sommerso e dimensione del problema

La stessa natura del lavoro sommerso ne fa un problema difficile da affrontare. In una


prospettiva europea è difficile trovare una definizione comune di lavoro sommerso a
causa dei suoi diversi aspetti nelle diverse parti dell’Unione. Inoltre, è difficile indicare
con certezza la dimensione del problema, poiché la sua ampiezza può essere soltanto
stimata.

In un importante studio condotto per conto della Commissione europea dal 1988 al
1992 il concetto di economia sommersa e di forme irregolari di occupazione risultava
definito dai sistemi normativi. Il lavoro illegale non esiste in un contesto del tutto
deregolato e permissivo. Per questo motivo alcune attività economiche possono essere
illegali in alcuni paesi ma legali in altri e ciò rende difficile formulare una definizione
comune per tutta l’UE.

Il “lavoro sommerso” viene definito perciò in questa sede alla stregua di qualsiasi attività
retribuita lecita di per sé ma non dichiarata alle autorità pubbliche, tenendo conto delle
diversità dei sistemi giuridici vigenti negli Stati membri. Applicando questa definizione
sono escluse le attività criminali come anche le forme di lavoro non coperte dal normale
quadro normativo e che non devono essere dichiarate alle autorità pubbliche, come ad
esempio le attività espletate nell’ambito dell’economia familiare.

È difficile identificare quale proporzione del prodotto interno lordo sia ascrivibile
all’economia sommersa e si devono usare diversi metodi per stimarla. Mediamente la

4
dimensione dell’economia sommersa nell’UE può essere stimata tra il 7 e il 16% del PIL
dell’UE, il che corrisponde all’incirca a 10-28 milioni di unità di manodopera, vale a dire
al 7-19% del volume dell’occupazione regolare complessiva, sulla base di presupposti
formulati in relazione ai settori in cui si manifestano forme di lavoro nero e quindi sulla
sua produttività media. Ciò non va confuso con le cifre delle persone occupate, poiché
gran parte del lavoro nero è effettuata da persone che lavorano anche nell’economia
formale e che rientrano quindi già nel computo dell’occupazione complessiva. Se tutto il
lavoro sommerso dovesse passare all’economia formale, non è quindi chiaro di quanto
aumenterebbe il PIL.

Le stime dell’economia sommersa variano significativamente a seconda del metodo


usato, è possibile però identificare gruppi di paesi1. Da un lato vi è un gruppo di paesi in
cui l’economia sommersa è stimata a circa 5% del PIL (paesi scandinavi, Irlanda,
Austria e Paesi Bassi), dall’altro vi sono paesi quali Italia e Grecia in cui essa è stimata a
più di 20%. Vi sono due gruppi intermedi: il Regno Unito, la Germania e la Francia, che
si situano grossomodo a metà strada tra i due estremi, mentre il Belgio e la Spagna
presentano percentuali un po’ più elevate.

2.2 Perché esiste il lavoro sommerso?

La ragione principale che induce i datori di lavoro, i lavoratori dipendenti e i lavoratori


autonomi a partecipare all’economia sommersa è di natura economica. Lavorare
nell’economia informale offre l’opportunità di accrescere i propri guadagni e di evadere
l’imposta sul reddito e i contributi sociali. Per gli imprenditori l’incentivo è dato dalla
riduzione dei costi. In una prospettiva storica vi sono tre fattori che concorrono, in varia
misura, a determinare il fenomeno del lavoro sommerso:

a) il manifestarsi di una domanda estremamente diversificata di “servizi personalizzati”


alle famiglie e alle persone (come ad esempio assistenza, pulizia ...); questi servizi sono
caratterizzati da un’alta intensità di manodopera e da un basso incremento produttivo;

b) la riorganizzazione delle industrie e delle imprese in direzione di lunghe catene di dis-


integrazione verticale e di subappalto, al fine di rendere la produzione più flessibile e di
accrescere le capacità di innovazione e di adattamento a situazioni specifiche e alle
fluttuazioni del mercato. Questo tipo di flessibilizzazione porta ad un aumento del
lavoro autonomo e dei lavoratori-imprenditori, un certo numero dei quali può lavorare
nel sommerso.

1 Queste stime sono state ottenute consultando esperti nazionali del mercato del lavoro che operano nell’ambito
delle reti CE SYSDEM (Sistema di valutazione e di monitoraggio) e MISEP (Sistema di mutuo scambio di
informazioni sulle politiche dell’occupazione). Sono stati inoltre consultati i seguenti studi comparativi:
“Underground economy and irregular forms of employment (travail au noir)” di Philippe Barthélémy, Fausto
Miguelez, Enzo Mingione, Raymond Pahl e Alois Wenig, commissionato dalla DG V, 1990; “Measurement of the
Shadow Economy - Study of five European countries (Germany, Belgium; France, Great Britain, Italy)” di Jean-
Luc Biveur, con la supervisione di Jean-Pierre Yonnet, ORSEU, 1995; Deloitte & Touch, “The Black Economy
and Taxes on Social Contributions”, commissionato dalla Task force “Prelievi obbligatori”, DG XXI, 1997.
“Empirical Results of the Size of the Shadow Economy of 17 OECD countries over time” Friedrich Schneider,
dipartimento di Economia, Università Johannes Kepler di Linz, Austria, 1997. Diversi studi fanno pensare che
l’economia sommersa sia cresciuta negli ultimi decenni, ma le stime sulla sua grandezza variano notevolmente.

5
c) l’impatto della diffusione delle tecnologie leggere, come ad esempio i personal
computer, che fornisce nuove opportunità lavorative e schiude nuovi ambiti alle attività
di servizi.

• Le prospettive e le dimensioni del lavoro sommerso variano in funzione dei diversi


aspetti istituzionali dell’economia in ciascuno Stato membro, quali ad esempio:

• I livelli dell’imposizione fiscale e dei contributi sociali: il livello delle tasse e dei
contributi sociali influenza chiaramente il livello del lavoro sommerso. Un onere
fiscale più elevato costituisce un incentivo sia per i lavoratori che per gli imprenditori
ad entrare nel sommerso. Al di là del livello di tasse e di contributi per la sicurezza
sociale, anche la struttura di tali contributi influenza il lavoro nero. Nei paesi in cui
l’imposizione sui redditi è elevata la spinta viene dall’offerta di manodopera e il
lavoratore del sommerso è di solito un lavoratore autonomo; nei paesi in cui i
contributi della sicurezza sociale sono elevati, la spinta viene dalla domanda e il
lavoratore del sommerso tende ad essere inquadrato in aziende (parzialmente o
totalmente) sommerse.

• Oneri regolamentari e amministrativi: Il sussistere di costi eccessivi e di procedure


amministrative troppo onerose, ad esempio per registrarsi quali fornitori di servizi o
per formalizzare un rapporto di lavoro, può scoraggiare la formalizzazione
dell’attività se entrambe le parti trovano vantaggio a non dichiararla. L’esistenza di
associazioni professionali può essere anch’essa propizia al lavoro sommerso, poiché
in alcuni paesi è prescritta l’appartenenza ad un’associazione professionale per
svolgere determinate professioni. Tali associazioni esistono per garantire la qualità
del prodotto o del servizio, ma possono anche erigere barriere per accedervi, di
modo che le persone escluse possono essere tentate a svolgere la professione
clandestinamente.

• Inadeguata legislazione in materia di mercato del lavoro: Uno scarso riconoscimento,


nell’ambito della legislazione vigente, dei nuovi tipi di lavoro (ad esempio gli orari
lavorativi atipici, il lavoro part-time o i contratti temporanei) può a sua volta spingere
i lavoratori verso il sommerso.

• Strutture industriali: Nelle zone dominate da poche grandi imprese il mercato del
lavoro sommerso è relativamente piccolo ma, all’altro estremo, laddove le economie
locali sono costituite da una pletora di piccole imprese, non solo è più probabile che
si manifesti il fenomeno del lavoro sommerso, ma sono anche più grandi le
probabilità che esso avvenga su base organizzata piuttosto che su base individuale.
Tuttavia, laddove i lavoratori sono coscienti dei loro diritti, il lavoro sommerso tende
ad essere meno diffuso.

• Bassa competitività: Il ricorso al lavoro sommerso, con la riduzione dei costi che
esso comporta, può costituire un riflesso di autoconservazione da parte di imprese in
settori in declino che altrimenti non sarebbero in grado di sopravvivere in un mercato
competitivo. Alla lunga, tuttavia, è difficile che un settore sommerso riesca a
competere sul piano internazionale, poiché è più disorganizzato e richiede un alto
grado di fiducia reciproca tra gli operatori, il che è difficile da realizzare al di là di un
circuito chiuso.

• Accettazione culturale: Vi è una certa comprensione o accettazione culturale


dell’economia informale. Il fatto di partecipare all’economia informale a livello locale

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viene spesso concepito quale scambio di servizi o mutua assistenza che non occorre
dichiarare (pulizia, lavori agricoli stagionali, ecc. ...).

• Esistenza di facili opportunità: Chiunque scelga di lavorare al nero fa un’analisi


personale costi/benefici in cui soppesa i vantaggi, come ad esempio un reddito
(immediato) più elevato e gli svantaggi, come ad esempio il rischio di sanzioni se
viene scoperto, il rischio stesso di venir scoperto o considerazioni d’ordine morale.
Quanto più una persona ha l’opportunità di esercitare un’attività sommersa a basso
rischio (ad esempio per il lassismo dei controlli o perché tale persona è già coperta
dall’assicurazione del datore di lavoro principale o di un coniuge), tanto più probabile
sarà che se ne avvantaggi.

2.3 Chi sono i lavoratori del sommerso?

Un accesso reale al lavoro sommerso è un fattore determinante per quanto concerne chi
diventerà un lavoratore del sommerso.

I lavoratori del sommerso comprendono:

• Coloro che svolgono un secondo lavoro e coloro che hanno più lavori. La maggior
parte del lavoro sommerso è effettuata da persone che svolgono già un’attività
regolare. Il fatto di poter partecipare all’economia sommersa significa spesso che le
persone in questione rispondono ad una domanda di determinate abilità o qualifiche
specifiche.

• Le persone “economicamente inattive” (studenti, casalinghe e prepensionati). Esse


sono soggette a minori vincoli temporali onde partecipare all’economia sommersa e
le opportunità tendono a essere maggiori per coloro che hanno avuto in precedenza
un contatto con il mondo del lavoro.

• I disoccupati. Da un lato il rischio di partecipare al lavoro sommerso può essere più


elevato per loro poiché potrebbero perdere in tal modo le prestazioni di
disoccupazione, soprattutto se queste sono legate alla ricerca attiva di un lavoro o
alla partecipazione ad azioni di formazione. D’altro canto i disoccupati si possono
veder offrire un lavoro a condizione che questo rimanga nero e la loro capacità di
resistere all’offerta è molto bassa, soprattutto se l’assegno di disoccupazione è
anch’esso basso. Tuttavia, quanto più a lungo dura la situazione di disoccupazione,
tanto più si riducono le opportunità di svolgere un lavoro sommerso.

• I cittadini di paesi terzi (vedi più sotto il paragrago 2.5).

L’età e il sesso dei lavoratori del sommerso sono in ampia misura funzionali ai settori
interessati. Le donne non rappresentano la maggioranza dei lavoratori del sommerso, ma
tendono ad essere in una posizione più vulnerabile. Mentre gran parte di coloro che
fanno un doppio lavoro o che hanno più lavori tendono a essere uomini, le donne che
fanno lavoro nero tendono a essere ufficialmente inattive (casalinghe). Ciò ha
conseguenze negative allorché i loro diritti a pensione dipendono esclusivamente dal
coniuge piuttosto che dalla loro attività lavorativa.

7
2.4 In quali settori il lavoro sommerso è più diffuso negli Stati membri?

Attualmente è possibile riscontrare in quasi tutti gli Stati membri tre gruppi di settori che
presentano modelli di comportamento alquanto omogenei:

• i settori tradizionali quali l’agricoltura, la costruzione, il commercio al dettaglio, la


ristorazione o i servizi domestici (caratterizzati da una produzione ad alta intensità di
manodopera e da circuiti economici locali). Il settore della costruzione fa spesso
ricorso al subappalto, senza che vi sia un grande controllo da parte delle pubbliche
autorità; nel settore alberghiero e della ristorazione molte piccole imprese sono
anch’esse difficili da controllare per quanto concerne il turnover e i dipendenti; i
servizi privati sono anch’essi legati in ampia misura all’accettazione e alle tradizioni
culturali, anzi per alcuni servizi personalizzati non esistono figure professionali
formali.

• Il settore manifatturiero e i servizi commerciali in cui i costi sono il principale fattore


di concorrenza. Nell’Europa meridionale il settore tessile, con le sue opportunità di
lavoro a domicilio, pare essere particolarmente esposto al lavoro sommerso.

• Moderni settori innovativi (essenzialmente contraddistinti da lavoro autonomo) in cui


l’uso delle comunicazioni elettroniche e dei computer agevola la contrattazione e
l’esecuzione di servizi in località diverse, il che consente di non dichiarare tali attività.

Il primo e secondo gruppo possono essere ancora ritenuti quelli in cui si svolge la
maggioranza del lavoro sommerso e in cui il lavoro sommerso può sfociare in
sfruttamento, mentre il terzo gruppo riguarda persone altamente qualificate che
scelgono espressamente il lavoro nero. Quest’ultimo fenomeno può essere il risultato di
regolamenti inadeguati o che non vengono fatti rispettare. Una volta che tali attività
divengano attività principali vi sono incentivi per farle rientrare nell’economia formale.
Molte nuove imprese iniziano nel sommerso per formalizzare la loro attività soltanto una
volta che hanno preso piede.

Le informazioni di origine nazionale sulla situazione negli Stati membri indicano tuttavia
che non esiste un quadro europeo comune del lavoro sommerso e che in effetti
sussistono numerose differenze tra i vari paesi.

• Nei paesi scandinavi, nei Paesi Bassi, in Belgio, Francia e nel Regno Unito i
lavoratori del sommerso sono tendenzialmente uomini giovani e qualificati.

• Nell’Europa meridionale i lavoratori del sommerso tendono a essere giovani, donne


che lavorano a domicilio e immigrati clandestini.

• In Germania e in Austria il numero di immigrati clandestini che svolgono lavoro nero


è significativo, anche se essi non costituiscono il gruppo dominante.

2.5 Cittadini di paesi terzi e lavoro nero

In quale misura i cittadini di paesi terzi residenti illegalmente in Europa (definiti


immigrati clandestini nel presente documento) partecipano all’economia informale è
ancora più difficile da stimare che le dimensioni dell’economia sommersa. La
partecipazione degli immigrati clandestini al lavoro sommerso è ritenuta da tutti gli Stati

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membri un problema serio da affrontarsi nell’ambito della loro strategia globale di lotta
contro l’immigrazione clandestina.

Per molti immigrati clandestini il lavoro sommerso costituisce una strategia di


sopravvivenza. Rispetto ad altre categorie gli immigrati clandestini sono particolarmente
vulnerabili poiché, avendo violato le norme in materia di residenza, essi rischiano di
essere espulsi una volta scoperti. Ciò consente ai datori di lavoro di occupare immigrati
clandestini a condizioni che non sarebbero accettate da altre persone. Inoltre, spesso
accade che cittadini di paesi terzi vengano introdotti di nascosto nel territorio degli Stati
membri e divengano quindi attivi nel sommerso. D’altro canto appare comprovato che la
presenza di buone opportunità di lavoro sommerso funge da fattore trainante
dell’immigrazione clandestina.

Un tempo il lavoro sommerso effettuato da immigrati clandestini tendeva a concentrarsi


nell’industria della costruzione, ma la tendenza attuale va verso il settore dei servizi.

3. IMPATTO DEL LAVORO SOMMERSO

3.1 La sicurezza sociale e l’impatto sulle finanze pubbliche

In termini di sicurezza sociale il lavoro sommerso ha implicazioni per l’assicurazione


sanitaria e i diritti a pensione oltre che per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
Per quanto concerne quest’ultima i lavoratori del sommerso spesso non sono coperti.

Il lavoro sommerso può avere un impatto significativo sulle finanze pubbliche,


soprattutto in paesi in cui i diritti hanno carattere universale. In questi paesi per i
lavoratori del sommerso non vi è differenza di copertura eccezion fatta per quello che
essi ricaverebbero da regimi pensionistici complementari a carattere volontario. Poiché
molti lavoratori dichiarati non partecipano a regimi pensionistici volontari, in tali casi
non vi è nessuna differenza tra il lavoratore del sommerso e quello dichiarato. In
generale, in tutti gli Stati membri le finanze pubbliche risentono della non dichiarazione
del lavoro e delle perdite di gettito fiscale e di contributi sociali che ne derivano. Ciò si
ripercuote sui servizi pubblici finanziati dalle tasse in ciascuno Stato membro, in quanto
la riduzione delle entrate comporta una riduzione nei livelli di servizi che lo Stato può
offrire. Ciò crea un circolo vizioso in quanto il governo aumenta le tasse per continuare
a erogare i servizi, creando così incentivi maggiori a lavorare nell’economia sommersa2.

3.2 L’impatto sulle persone

Nei diversi Stati membri, l’assicurazione sanitaria e i diritti a pensione sono legati alla
residenza (diritti universali) o ai contributi versati (o derivati da un coniuge) ovvero da
una miscela dei due sistemi. In tutti gli Stati membri le persone che hanno un secondo
lavoro sono di norma coperte dalla sicurezza sociale. Nei paesi in cui la copertura per la
sanità e/o i diritti a pensione è universale tutti i lavoratori del sommerso sono coperti.
Nei paesi in cui la copertura dipende dal versamento dei contributi per la pensione di

2 Dal 1996 la questione della correlazione tra tassazione e occupazione è stata studiata a livello CE nell’ambito del
Gruppo ad alto livello e del gruppo che vi ha fatto seguito, il Gruppo “Politica fiscale”, entrambi presieduti dal
Commissario Monti.

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vecchiaia, la sanità o entrambe i lavoratori del sommerso che derivano i loro diritti dal
coniuge sono anch’essi coperti. I lavoratori del sommerso ufficialmente inattivi (per lo
più donne) hanno un maggior grado di dipendenza dal loro coniuge che se dichiarassero
il loro lavoro. In questi paesi, altri lavoratori in nero e, ovviamente, gli immigrati
clandestini, non sono coperti dal sistema di sicurezza sociale.

In tutti gli Stati membri, in caso di lavoro sommerso, i lavoratori in questione non sono
coperti dai regimi complementari a carattere volontario e si ritrovano quindi a fruire
della sola pensione di base. Ovviamente in nessun paese i lavoratori del sommerso sono
coperti da un’assicurazione di disoccupazione o da un’assicurazione contro gli infortuni
professionali.

I lavoratori del sommerso che non svolgano un secondo lavoro o che non abbiano più di
un lavoro subiscono anche altre conseguenze per il fatto di non dichiarare la loro
attività. Poiché il loro lavoro non è formalmente riconosciuto essi perdono tutti i
benefici derivanti da un’attività basata su un contratto formale, come la formazione, un
profilo specifico della carriera, aumenti salariali, il senso di appartenenza all’impresa.
Queste persone tendono a restare bloccate nella loro attività sommersa e ad avere
difficoltà a passare ad altre occupazioni. In effetti, coloro che svolgono attività
identificate quali forma estrema di lavoro flessibile finiscono con l’avere maggiori
difficoltà a cambiare occupazione.

Anche i consumatori ci rimettono perché non hanno le stesse garanzie di tutela per i beni
e i servizi erogati, mentre nel contempo sono responsabili di tollerare o addirittura
incoraggiare il lavoro sommerso.

3.3 Effetti sulla concorrenza

Poiché il lavoro sommerso riduce i costi di un’azienda, si può affermare che esso
influenza le condizioni di competitività, sia negli Stati membri (tra le imprese che fanno
ricorso al lavoro sommerso e quelle che invece rispettano le regole del gioco) che tra
Stati membri (costi di produzione più bassi in alcuni Stati membri potrebbero essere
imputabili all’uso del lavoro sommerso).

È importante però distinguere tra i due casi. A livello internazionale gli scambi sono
chiaramente influenzati da tutta una serie di fattori: siccome il lavoro sommerso
costituisce soltanto una frazione del lavoro complessivo nei settori commerciali e poiché
il “costo della manodopera” è soltanto uno dei fattori in gioco, possiamo presupporre
che la capacità del lavoro sommerso di distorcere le pratiche di correttezza commerciale
sia minima (il vantaggio della riduzione dei costi che presentano i laboratori sommersi
del tessile risulta essenzialmente legato alla prossimità col mercato e va perduto se i beni
devono essere esportati troppo lontano).

Resta il fatto però che gran parte del lavoro sommerso viene effettuato in settori che
non hanno a che fare con gli scambi commerciali, come ad esempio quello dei servizi di
prossimità. Si è osservato che le imprese dell’economia formale e quelle del sommerso si
ritagliano le loro nicchie di mercato separate; a livello micro tuttavia le condizioni di
competitività tendono a essere maggiormente influenzate dalle imprese del sommerso.
Di solito un’impresa non lavora completamente nel sommerso, ragion per cui il margine
di risparmio dei costi si riduce alla proporzione delle attività effettuate in nero.
L’impatto principale è quello che concerne le entrate delle finanze pubbliche.

10
4. QUESTIONI POLITICHE

4.1 Opzioni politiche

Da quanto detto sopra è possibile vedere come il lavoro sommerso sia parte della
problematica concernente il funzionamento del mercato del lavoro europeo. Con i giusti
incentivi le persone attive nell’economia sommersa potrebbero essere incoraggiate a
dichiarare la loro attività e gli stessi clienti acquisterebbero un numero maggiore di
servizi nel settore formale se vi fosse un’offerta strutturata.

Il problema può essere visto in due modi. Se lo si considera essenzialmente nell’ottica di


persone o aziende che approfittano del sistema e danneggiano nel contempo il benessere
della collettività, l’intervento dovrebbe essere orientato su sanzioni e dovrebbe far leva
sui seguenti strumenti:

• assicurare che si facciano rispettare con maggiore rigore le regole. Se nella società si
attribuisce valore alla ridistribuzione dei redditi e all’erogazione di servizi sociali,
spetta allo Stato contenere il numero di coloro che se ne avvantaggiano senza pagare
lo scotto.

• favorire sistemi in cui i diritti alle prestazioni della sicurezza sociale sono legati al
versamento effettivo di contributi.

• fare opera di sensibilizzazione per stigmatizzare questo comportamento asociale e


ribadire il fatto che truffare il sistema danneggia tutti.

Se il lavoro sommerso è essenzialmente visto quale risultato di nuove forme di lavoro o


di nuovi modelli lavorativi e di una legislazione inadeguata che non riesce ad adattarsi a
tempo a tali cambiamenti, l’intervento politico dovrebbe imperniarsi essenzialmente sulla
prevenzione, utilizzando i seguenti mezzi:

• liberalizzazione dei mercati dei prodotti e servizi e semplificazione delle procedure


per la creazione di piccole imprese

• incoraggiamento alla strutturazione della fornitura di servizi per certi settori


(assistenza, pulizia ...) e riconoscimento delle nuove occupazioni e competenze

• maggiore coinvolgimento delle parti sociali per quanto concerne gli aspetti
dell’informazione, dell’applicazione e del controllo a livello settoriale, locale ed
europeo

• adattamento della legislazione del lavoro che si sia rivelata inadeguata in linea con
l’evoluzione dei nuovi tipi di lavoro

• riforma del sistema di protezione sociale in modo da coprire brevi periodi di lavoro, il
lavoro saltuario, le persone che entrano e escono dal mercato del lavoro, il settore
dell’assistenza, ecc. ...

• riduzione della tassazione sulla manodopera sia per quanto concerne i costi che
gravano sugli imprenditori (contributi della sicurezza sociale) che il reddito
disponibile dei lavoratori

• riduzione delle aliquote IVA applicate ai servizi ad alta intensità di manodopera.

11
È importante ridurre gli incentivi economici che incoraggiano il ricorso al lavoro nero e
accrescere l’attrattiva di partecipare all’economia formale al fine di modificare
l’equilibrio complessivo rischio/vantaggio. Per combattere in modo efficace il lavoro
sommerso è necessario predisporre una strategia mirata ad ampio raggio. Si dovrà
attuare un complesso di misure ispirate ai due approcci menzionati sopra, assicurando
nel contempo che le diverse misure interagiscano e che altre iniziative politiche non
siano in contraddizione con le misure adottate per combattere il lavoro sommerso.

4.2 Rassegna delle misure politiche introdotte negli Stati membri

Reagendo ai diversi impatti a breve e lungo termine del lavoro sommerso, gli Stati
membri hanno attuato diverse misure volte ad affrontare le diverse forme del fenomeno
e gli ambiti in cui esso appare più diffuso (tabelle 1-3). In alcuni Stati membri le
iniziative si sono concentrate sul lavoro sommerso nella forma di secondo lavoro,
mentre in altri esse hanno affrontato le forme più “industrializzate” del sommerso. È
importante notare tuttavia che alcune iniziative sono state adottate in vista di altri
obiettivi, ma hanno avuto effetti collaterali positivi per quanto concerne il lavoro
sommerso. Resta il fatto però che, allorché si tratta di misurare l’impatto di tali
politiche, in molti casi è prematuro trarre conclusioni definitive.

Misure legislative e loro applicazione

La maggior parte degli Stati membri ha rafforzato la legislazione per quanto concerne i
criteri e le sanzioni da applicarsi in caso di violazione delle norme in materia di
tassazione e contributi sociali e di fruizione fraudolenta di prestazioni, al fine di
combattere il lavoro sommerso. In alcuni Stati membri sono stati introdotti cambiamenti
nella normativa che disciplina il mercato del lavoro al fine di promuovere l’accesso al
mercato del lavoro formale. Tra di essi vi è la Spagna, in cui si rimarcano certi
cambiamenti per quanto concerne le forme di lavoro atipico e l’Italia, in cui è stato
introdotto un nuovo tipo di contratto di lavoro che consente di accedere al mercato del
lavoro formale. Anche se questo non era il suo obiettivo principale, il recepimento della
direttiva 91/5333 è stato usato in alcuni Stati membri quale strumento per combattere il
lavoro sommerso.

Poiché le misure giuridiche in quanto tali non sembrano avere un impatto sostanziale di
per sé, in alcuni Stati membri vi si è dato seguito sotto forma di un controllo più
rigoroso della loro attuazione. Anche l’ispezione ai vari livelli è stata rafforzata. Gli
strumenti impiegati a tal fine variano da uno Stato membro all’altro: in paesi in cui la
manodopera è molto sindacalizzata, i sindacati hanno svolto un ruolo attivo di controllo,
mentre in altri paesi appare più importante il ruolo degli ispettorati del lavoro.

Sono state inoltre introdotte campagne di controllo con la partecipazione delle autorità
fiscali e di quelle preposte al mercato del lavoro, che hanno avuto la funzione,
direttamente e indirettamente, di misure preventive, coronate spesso da effetti positivi.
Un maggiore coordinamento tra le diverse parti della pubblica amministrazione

3 Direttiva relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto
o al rapporto di lavoro. Direttiva n. 91/533 CEE GU L 288/32 del 18.10.91

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contribuisce ad assicurare il rispetto delle norme. È anche aumentata la cooperazione a
livello europeo, segnatamente per quanto concerne lo scambio di informazioni4.

La maggior parte dei paesi ha rafforzato le sanzioni sulla mancata dichiarazione di


un’attività lavorativa o sul godimento fraudolento di prestazioni sociali. In certi paesi
sono state prese misure mirate a tutti i livelli delle catene di subappalto. In alcuni paesi
sono state inoltre introdotte misure più rigorose di controllo del settore dei servizi
(settore alberghiero e della ristorazione) e le autorità preposte al mercato del lavoro
hanno collaborato con le autorità fiscali con risultati alquanto positivi conseguiti
direttamente o quale dissuasione di altri casi di lavoro sommerso “organizzato”.

Informazione e sensibilizzazione

Un altro ambito in cui alcuni Stati membri hanno intrapreso azioni è quello delle
campagne contro il lavoro sommerso. Tali campagne intendono rafforzare il sentimento
di appartenenza ad una società comune da cui ognuno riceve benefici e a cui ognuno
deve contribuire. L’esempio tedesco “illegal ist unsozial” (illegale è asociale) può essere
considerato un incoraggiamento generale alla popolazione a dichiarare ogni forma di
lavoro effettuato. Alcuni Stati membri hanno introdotto campagne d’informazione sui
rischi legati all’uso di lavoratori in nero, come ad esempio nel settore della costruzione,
dove l’uso di manodopera in nero comporta che non vi sia nessun mezzo di ricorso in
caso di lavori effettuati male o quando si ricorre a ditte di trasloco non autorizzate che
non danno nessuna copertura contro il rischio di danno o furto.

Sussidi o riduzioni dei costi quali misure d’incoraggiamento

La problematica del secondo lavoro e del lavoro sommerso nel settore dei servizi privati
(domestici) è stata affrontata specificamente in Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania,
Svezia e Francia. Esempi di misure volte a ridurre gli oneri burocratici comprendono
buoni di servizio (voucher) e forme di gestione amministrativa centralizzata (one-stop-
shops) per le PMI. In Belgio, Germania e Francia è stato introdotto un sistema di buoni-
servizio in base al quale i nuclei familiari possono acquistare servizi domestici a prezzo
ridotto pur assicurando il pagamento, tramite il buono, dei contributi della sicurezza
sociale e delle tasse.

La strategia adottata nell’Europa settentrionale si è basata sia sulle detrazioni fiscali che
sui sussidi per certi servizi, con lo scopo di incoraggiare i nuclei familiari a fare ricorso a
manodopera dichiarata piuttosto che a lavoratori del sommerso. I sistemi di detrazioni
fiscali e i sussidi per ristrutturazioni e migliorie delle abitazioni sono stati
particolarmente efficaci nell’incoraggiare un maggior numero di persone a fruire di tale
opportunità per rinnovare le loro abitazioni in modo legale e hanno avuto l’effetto di
spostare un lavoro che avrebbe potuto essere fatto in modo informale verso il settore
formale e registrato.

In Danimarca, Finlandia e Germania sono stati anche introdotti sussidi per i servizi
domestici, al fine di incoraggiare l’esecuzione dei lavori domestici (pulitura e
giardinaggio) nell’ambito dell’economia formale invece che nel sommerso, come accade
di frequente. I sussidi sono erogati dallo Stato contestualmente al salario versato al

4 Vedi l’articolo 4 della direttiva relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi.
Direttiva 96/71/CE GU L 18/1, 21.1.97.

13
lavoratore e in tal modo essi riducono le spese per gli utilizzatori del servizio. Lo Stato,
per parte sua, assicura che tale attività sia dichiarata (e quindi tassata) in quanto vi è un
chiaro incentivo per l’utilizzatore a chiedere il sussidio.

Misure fiscali

La maggior parte dei paesi hanno introdotto modifiche nella loro legislazione fiscale per
quanto concerne i livelli di tassazione individuale e le possibilità di detrazioni fiscali. Tali
cambiamenti hanno avuto in certi casi effetti collaterali positivi per quanto concerne la
lotta contro il lavoro sommerso.

L’aliquota implicita d’imposta sulla manodopera (tasse e contributi sociali) nell’UE è


passata dal 35% nel 1981 a più del 42% nel 1997. Ciò è il risultato del progressivo
allontanamento della tassazione da basi imponibili mobili come ad esempio il capitale. A
partire dal 1996 la necessità di invertire questa tendenza strutturale e più in generale la
relazione tra tassazione e occupazione sono state studiate a livello CE nell’ambito del
gruppo ad alto livello e del gruppo che vi ha fatto seguito, il Gruppo “Politica fiscale”,
entrambi presieduti dal Commissario Monti. Ne è derivata l’adozione della risoluzione
del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri su un codice di
condotta in materia di tassazione delle imprese, GU C 002, 06/01/1998 (98/C 2/01).

Gli Orientamenti per l’occupazione per il 1997 prevedono inoltre che gli Stati membri
esaminino l’opportunità di ridurre le aliquote IVA per i servizi ad alta intensità di
manodopera.

Interventi dal lato dell’offerta

Un altro tipo d’intervento consiste nel favorire la ristrutturazione e la


professionalizzazione sul piano dell’offerta in certi settori. Ad esempio in certi paesi la
diffusione capillare di servizi pubblici per l’infanzia ha sottratto questo settore
all’economia sommersa. La liberalizzazione del mercato di prodotti e servizi funge a sua
volta da intervento strutturale, favorendo la dichiarazione di certe attività.

Il fatto che le prescrizioni d’ordine amministrativo e regolamentare siano tra gli ostacoli
più gravi che si trovano ad affrontare le imprese è stato riconosciuto dalla Commissione
nella sua Raccomandazione sul miglioramento e la semplificazione del contesto delle
attività d’impresa, per la creazione di nuove imprese5. Sulla base delle prassi ottimali
riscontrate negli Stati membri essa fissa misure per ridurre gli oneri amministrativi
imposti alle imprese di recente creazione, compresi gli oneri risultanti dalla tassazione e
dai pagamenti dei contributi sociali.

Dialogo sociale

Le parti sociali possono svolgere un ruolo importante nella lotta contro il lavoro
sommerso. Ciò può configurarsi ad esempio quale vigilanza nei singoli posti di lavoro
per assicurare il rispetto dei regolamenti e dei contratti di lavoro. In alcuni paesi è stata
avviata una collaborazione con i rappresentanti del padronato e i sindacati dei settori
interessati. In Francia, ad esempio, il governo e certe industrie hanno collaborato alla
realizzazione di campagne d’informazione al fine di incoraggiare le persone a usare

5 GU L 145 del 5.6.1997

14
manodopera dichiarata per lavori di costruzione e traslochi. Inoltre ogni qualvolta si
stipulano ampi accordi tripartiti, le strategie volte alla reintegrazione del lavoro
sommerso sono negoziate e sorvegliate dalle parti sociali.

Misure relative ai cittadini di paesi terzi

Per quanto concerne il problema dei cittadini di paesi terzi attivi nel sommerso, la
Francia, in particolare, ha introdotto misure specifiche aventi per lo più carattere di
controllo, ma che comprendono anche il monitoraggio degli sviluppi attuali. Nel Regno
Unito è stata introdotta nel 1996 una legge che fa obbligo ai datori di lavoro di
assicurarsi che i loro dipendenti siano in possesso del permesso di residenza e di lavoro.
Lo stesso tipo di regolamento è stato introdotto nei Paesi Bassi nei primi anni novanta.
In Portogallo e in Grecia la legislazione sugli immigrati è stata modificata.

A livello europeo, la lotta contro il lavoro nero dei cittadini di paesi terzi sul territorio
degli Stati membri è ritenuta una questione d’interesse comune e ricade sotto il Titolo
VI del Trattato. Considerato questo contesto giuridico e il sostanziale interesse comune
ad affrontare queste problematiche, il Consiglio ha adottato due raccomandazioni
relative alla lotta contro il lavoro illegale6. Il Trattato di Amsterdam comprenderà un
capitolo specifico su Libertà, Sicurezza e Giustizia che conferirà una competenza
specifica alla Comunità in materia di immigrazione.

4.3 Esempi di strategia integrata applicata in tre paesi

Una strategia integrata è stata adottata in alcuni paesi che hanno compiuto uno sforzo
coordinato coinvogendo i diversi servizi della pubblica amministrazione. L’efficacia
dipende in grande misura da ampie iniziative politiche che interessano ambiti diversi che
vanno dalla normativa sul lavoro a misure fiscali rispondenti alle caratteristiche del
problema riscontrabile nei singoli Stati membri.

Danimarca

Diverse iniziative sono state prese per combattere il lavoro sommerso. Alcune iniziative
indirizzate verso altri settori hanno avuto effetti collaterali positivi creando una sinergia
con le misure introdotte contro il lavoro illegale.

In primo luogo è stato intensificato il controllo nel campo dell’ispezione fiscale e


dell’ispezione del lavoro per individuare i casi di godimento illegittimo di prestazioni
sociali. Ciò è stato effettuato in cooperazione tra le autorità fiscali e quelle preposte al
mercato del lavoro. In secondo luogo, sono stati varati diversi modelli per incoraggiare
il lavoro nell’ambito dell’economia formale piuttosto che in quella sommersa, in
considerazione del fatto che in certi settori il lavoro sommerso era risultato costituire la
regola piuttosto che l’eccezione (essenzialmente nel campo dei servizi domestici):

• Sistemi per i servizi domestici: un sistema di sussidi per i servizi di consumo è stato
introdotto nel 1994.

6 Raccomandazione del Consiglio del 22 dicembre 1995 sull’armonizzazione dei mezzi di lotta contro
l’immigrazione clandestina e il lavoro illegale e il miglioramento dei mezzi di controllo previsti a tale scopo,
Gazzetta ufficiale C 005, 10/01/1996; raccomandazione del Consiglio del 27 settembre 1996 relativa alla lotta
contro il lavoro illegale di cittadini di Stati terzi, Gazzetta ufficiale C 304, 14/10/1996

15
• Sussidi per la riparazione di abitazioni

Inoltre, l’attuazione, nel 1994, di una riforma fiscale che ha ridotto la tassazione dei
redditi marginali ha avuto l’effetto collaterale di ridurre gli incentivi a svolgere attività
sommerse.

Paesi Bassi

Le iniziative sono state incentrate sul godimento illecito di prestazioni sociali e la


legislazione nel merito è stata varata di recente. La legge è volta ad assicurare che i
beneficiari di prestazioni sociali soddisfino determinati criteri e non assumano un
secondo lavoro o un lavoro illegale in violazione delle condizioni per beneficiare di tali
prestazioni. Si ritiene che il modo migliore per combattere il lavoro sommerso sia
mediante la legislazione fiscale e la riduzione delle aliquote IVA. Per tale motivo non si
sono prese iniziative volte a rafforzare le sanzioni e i controlli al fine di lottare contro il
lavoro sommerso.

Inoltre, nei Paesi Bassi sono stati ridotti i costi non salariali della manodopera. Queste
riduzioni riguardano in particolare i bassi salari. Tali misure sono state introdotte al fine
di promuovere l’occupazione, ma hanno anche avuto effetti collaterali positivi per
quanto concerne la riduzione del lavoro sommerso.

Francia

È stata creata un’agenzia specifica con il compito di combattere il lavoro sommerso


(Mission de liaison interministerielle pour la lutte contre le travail clandestin, l’emploi
non déclaré e le traffic de main-d’oeuvre, MILUTMO) e tutte le azioni sono coordinate
a livello nazionale tramite MILUTMO. A livello regionale e locale sono state rafforzate
le misure di controllo.

La strategia prescelta è stata essenzialmente basata su iniziative giuridiche concentrate


sulla repressioni e le sanzioni in caso di violazione della normativa vigente. In ciò
rientrano misure contro il “donneur d’ordre” (il committente) che è ritenuto essere il
beneficiario del lavoro sommerso, e non solo contro il lavoratore in nero.

È stato inoltre introdotto un sistema di buoni-servizio per incoraggiare la dichiarazione


del lavoro domestico, mentre sono stati anche aumentati gli sgravi fiscali per la
riparazione di abitazioni e per l’ingaggio di personale domestico.

Inoltre sono state avviate campagne d’informazione in collaborazione tra il governo e le


parti sociali di determinati settori, onde fare opera di sensibilizzazione su alcuni dei
rischi che si corrono allorché si ricorre a manodopera non dichiarata. Si è dato anche
impulso al dialogo sociale ed è stato raggiunto un accordo tra le parti sociali e il
Ministero del lavoro.

16
5. CONCLUSIONI

Il lavoro sommerso è un’importante causa di malfunzionamento del mercato produttivo, di


quello dei servizi e di quello del lavoro e rischia di erodere le fondamenta su cui si basa il
finanziamento e l’erogazione della sicurezza sociale e dei servizi pubblici, poiché la riduzione
delle entrate comporta una riduzione del livello dei servizi che lo Stato è in grado di offrire.

È possibile distinguere tra due tipi di lavoro sommerso: uno che consiste essenzialmente
nell’evasione delle tasse e dei contributi sociali da parte di persone occupate che svolgono una
seconda attività e l’altro che consiste in una specie di lavoro sommerso “organizzato” che non
rispetta la legislazione sul lavoro. Attualmente, il lavoro sommerso è essenzialmente del primo
tipo, mentre i decisori politici che presiedono al mercato del lavoro tendono a concentrarsi sul
secondo.

Una strategia che voglia avere un impatto finalizzato alla riduzione del lavoro sommerso
dovrebbe comportare una miscela degli elementi illustrati al paragrafo 4.1. Tale miscela varierà
inevitabilmente da uno Stato membro all’altro. Un’efficace attuazione rimane comunque un
elemento importante della strategia complessiva, indipendentemente dalle misure prescelte.

Il presente documento intende avviare un dibattito sulle cause del lavoro sommerso e sulle
opzioni politiche per combatterlo. Esso fa presente che vi è innanzitutto la necessità di
identificare correttamente le cause e la dimensione del problema e, in secondo luogo, di
considerare la lotta contro il lavoro sommerso quale elemento della strategia complessiva per
l’occupazione.

La Commissione auspica e si attende che gli Stati membri, le istituzioni comunitarie e le parti
sociali partecipino attivamente a questo dibattito. In tale contesto si dovrebbero prendere in
considerazione un’accresciuta consapevolezza delle cause e della dimensione del lavoro
sommerso, l’identificazione di esempi di prassi ottimali per combatterlo e la possibilità di
un’azione coordinata a livello di UE. L’attuazione di diversi degli orientamenti per
l’occupazione del 1998, come quelli volti a sviluppare l’imprenditorialità e ad incoraggiare
l’adattabilità, contribuiranno a scoraggiare il lavoro sommerso. Qualora da questo dibattito
emergesse l’opportunità di procedere ad ulteriori azioni a livello di UE, se ne potrebbe tener
conto nel contesto della Relazione congiunta 1998 e degli Orientamenti per l’occupazione
1999.

17
6. TABELLA 1: MISURE GIURIDICHE O DI CONTROLLO
Maggiori controlli Maggiori controlli Rafforzamento Modifiche della
da parte delle da parte delle delle sanzioni legislazione del lavoro o
autorità fiscali autorità preposte al altro
mercato del lavoro

Austria sì sì semplificazione della


legge sulle attività
commerciali e industriali e
disposizioni più flessibili
in materia di orario di
lavoro

Belgio sì sì aumento delle


multe

Danimarc sì sì
a

Finlandia rafforzamento maggiori controlli sì mutamenti in materia di


dell’azione del sui disoccupati lavoro atipico
controllo fiscale

Francia maggiori controlli - intensificazione sì


delle ispezioni e dei
controlli
- creazione di
MILUTMO

Germania sì sì, aumento del sì, aumento delle legislazione più restrittiva
personale dei multe nei confronti del lavoro
servizi per nero
l’occupazione ai
fini di controlli
esterni

Grecia rafforzamento dei sì, aumento delle registrazione degli


controlli fiscali multe immigrati clandestini che
legalizzano la loro
situazione per 9-12 mesi

Irlanda applicazione più sì


rigorosa della
normativa fiscale

Italia sì

Lussem-
burgo

Paesi sì sì sì liberalizzazione delle


Bassi agenzie di collocamento
private

Portogallo sì, per il lavoro deregolamentazione in


minorile materia di immigrazione
clandestina

Spagna cambiamento delle


disposizioni in materia di
lavoro atipico

Svezia intensificazione dei


controlli fiscali

Regno intensificazione dei


Unito controlli

18
7. TABELLA 2: MISURE CONCERNENTI SUSSIDI
O RIDUZIONI DEI COSTI
Buoni-servizio Sussidi per la Modifiche della Detrazioni fiscali Riduzione dei costi non
riparazione di legislazione (servizi) salariali della
abitazioni o servizi fiscale manodopera
domestici

Austria progetti pilota per i sì


disoccupati

Belgio Introduzione
dell’assegno-
servizio

Danimarc sì, sistema di servizi sì (riduzione


a domiciliari delle imposte
sui redditi
marginali)

Finlandia sì

Francia Introduzione sì (legge Robien)


dell’assegno-
servizio

Germania Introduzione sì (servizi


dell’assegno- domestici)
sservizio

Grecia riforma fiscale sì sì


che riduce le
possibilità di
evasione fiscale

Irlanda sì, riduzione sì, riduzione dei


della tassazione contributi della sicurezza
personale sociale per certe
categorie di lavoratori

Italia sgravi fiscali per la sì sì


riparazione di (servizi pro-
abitazioni fessionali)

Lussem- sussidi per la


burgo riparazione di
abitazioni,
detrazioni fiscali

Paesi Sussidi ai fornitori sì


Bassi di determinati
servizi

Portogallo sì

Spagna riforma fiscale


che abbassa la
tassazione sulla
manodopera

Svezia riforma fiscale sì (rinnovo di sì


che abbassa la abitazioni)
tassazione sui
redditi
marginali

Regno sì
Unito

19
8. TABELLA 3: ALTRE MISURE

Paese Semplificazione degli Campagne Altre campagne Cooperazione con i


oneri burocratici che informative settori
gravano sui datori di
lavoro

Austria semplificazione delle


procedure
amministrative

Belgio

Danimarca sì

Finlandia sì sì (1996) collaborazione con


i settori
dell’industria e del
commercio

Francia sì per i lavoratori contributo delle


stagionali parti sociali
dell’agricoltura

Germania sì (illegal ist


unsozial)

Grecia informazione su
controlli e sanzioni
più rigorosi

Irlanda

Italia sì sì (+ numero nuovi accordi


telefonico speciale contrattuali
per denunciare le (contratti di
evasioni fiscali) riallineamento)

Lussemburgo

Paesi Bassi sì, la liberalizzazione sì in aumento


delle agenzie di
collocamento private
stimola l’occupazione
nel rispetto della
legge

Portogallo semplificazione delle


procedure
amministrative

Spagna

Svezia

Regno Unito sì
(incoraggiamento a
denunciare le
sospette evasioni
fiscali)

20
9. ALLEGATO 2: SCHEDE PER PAESE7

Austria

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: 1/10 di tutte le persone in età lavorativa ha
un’attività collaterale. L’attenzione maggiore è stata riservata all’occupazione illegale di
manodopera straniera

Lavoro sommerso ripartito per settore: 40% nell’edilizia e nell’artigianato, 16% in altre
imprese commerciali e industriali (riparazioni di autoveicoli, macchinari, ecc.), 16% nel settore
dei servizi, 13% nello spettacolo e 15% in altri settori commerciali e servizi (insegnamento di
recupero, parrucchieri, baby- sitter)

Misure/politiche: maggiori controlli da parte degli ispettorati del lavoro; semplificazione delle
norme in materia di attività commerciali e industriali; dispositivi più flessibili in materia di orario
di lavoro; semplificazione delle procedure amministrative. Sono stati inoltre introdotti progetti
pilota per i disoccupati nell’ambito dei servizi domestici. I costi della manodopera non salariali
sono stati ridotti per quanto concerne i tirocinanti e in caso di ingaggio di disoccupati di una
certa età.

Belgio

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: lavoratori semiqualificati o a bassa qualifica,


uomini, giovani

Lavoro sommerso ripartito per settore: ristorazione, commercio al dettaglio, industria della
costruzione, settore tessile, traffico/trasporti, servizi domestici (pulitura ecc. ...), agricoltura
(raccolta di frutta)

Misure/politiche: misure giuridiche, estensione dei servizi di ispezione. Maggiori controlli su


determinate industrie. Aumento delle multe. Tentativi di ridurre i costi della manodopera
mediante diverse inziative (piano tessile, Maribel). Sistema di buoni-servizio.

Danimarca

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: lavoratori qualificati e non qualificati, studenti,
uomini (con frequenza doppia rispetto alle donne). Si riscontra uno spartiacque geografico
(culturale); (giovane uomo qualificato che vive fuori Copenhagen)

Lavoro sommerso ripartito per settore: 33% nel settore della costruzione, 50% nel settore
dei servizi privati (baby-sitter, pulizie, riparazione di autoveicoli, giardinaggio, ecc. ...)

Misure/politiche: rafforzamento delle sanzioni in materia fiscale. Abbassamento delle tasse sui
redditi marginali, sussidi per la riparazione di abitazioni, sussidi per i servizi di consumo,

7 Fonte: Esperti nazionali dei mercati de lavoro delle reti CE SYSDEM (Système d’évaluation e de monitorage) e
MISEP (Sistema di mutuo scambio di informazioni sulle politiche dell’occupazione).

21
rafforzamento dei controlli da parte delle autorità fiscali e di quelle preposte al mercato del
lavoro.

Finlandia

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: giovani uomini qualificati

Lavoro sommerso ripartito per settore: costruzione, settore alberghiero e della ristorazione,
commercio al dettaglio (comprende la riparazione di autoveicoli), servizi immobiliari

Misure/politiche: preparazione di prestazioni di sussistenza/sussidi per determinati servizi


domestici. Rafforzamento delle misure di controllo anche per quanto concerne i disoccupati.
Rafforzamento dell’azione e del controllo fiscale. Modifiche della legislazione sul lavoro atipico.
Collaborazione coi settori dell’industria e del commercio. Semplificazione della burocrazia che
grava sui datori di lavoro. Ampie campagne informative.

Francia

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: cittadini francesi, immigrati regolari, immigrati
clandestini

Lavoro sommerso ripartito per settore: 60% nel settore dei servizi (essenzialmente alberghi,
caffé, ristoranti), 27% in quello della costruzione, 13% in altri settori

Misure/politiche: rafforzamento della legislazione. Creazione di MILUTMO. Introduzione di


un sistema di buoni-servizio. Rafforzamento dei controlli dell’ispettorato del lavoro. Estensione
delle competenze delle autorità pubbliche nei confronti del lavoro illegale. Maggiore
cooperazione tra le autorità preposte al mercato del lavoro e altre parti dell’amministrazione.
Rafforzamento delle sanzioni. Contributo delle parti sociali. Semplificazione delle procedure per
i lavoratori agricoli stagionali.

Germania

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: immigrati clandestini, persone che svolgono un
doppio lavoro nonché coloro che lavorano in nero

Lavoro sommerso ripartito per settore: settore della costruzione, settore alberghiero e della
ristorazione, trasporti (persone o beni), settore della pulizia, spettacolo/arti/cultura

Misure/politiche: intensificazione delle misure di controllo, rafforzamento degli strumenti


giuridici, innalzamento delle multe. campagna di informazione (“illegal ist unsozial”).

Grecia

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: immigrati regolari o clandestini; pensionati,


donne/lavoro a domicilio; giovani - per lo più lavori stagionali

Lavoro sommerso ripartito per settore: settori che presentano possibilità di lavoro a
domicilio (tessile), alberghi/ristoranti/turismo, servizi, servizi domestici, trasporti

22
Misure/politiche: azione giuridica: rafforzamento delle sanzioni/multe. Maggior rigore
nell’applicazione della normativa fiscale. Riforma fiscale che riduce le possibilità di evasione
fiscale. Riduzione delle tasse su presentazione delle fatture per acquisti e servizi.
Deregolamentazione per quanto concerne le possibilità per gli immigrati di rimanere nel paese.

Irlanda

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: studenti, persone che fanno un doppio lavoro.
Non sono coinvolti immigrati clandestini

Lavoro sommerso ripartito per settore: edilizia, costruzione, distribuzione

Misure/politiche: applicazione più rigorosa della legislazione vigente per quanto concerne
l’evasione fiscale ecc... Riduzione della tassazione personale. Riduzione dei contributi della
sicurezza sociale per alcune categorie di lavoratori.

Italia

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: persone che svolgono un secondo lavoro,
giovani, donne, pensionati

Lavoro sommerso ripartito per settore: agricoltura, costruzione, settore dei servizi privati,
tessile (lavoro a domicilio)

Misure/politiche: intensificazione dei controlli delle autorità fiscali. Detrazioni fiscali per i
servizi professionali. Riduzione dei costi non salariali della manodopera. Semplificazione delle
procedure amministrative. Nuovi accordi contrattuali (contratti di riallineamento).

Lussemburgo

Risulta esservi qualche forma minima di lavoro sommerso nel settore della costruzione. Non
sono state introdotte misure.

Paesi Bassi

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: uomini, qualificati con un lavoro formale

Lavoro sommerso ripartito per settore: settore alberghiero e della ristorazione, tassì, servizi
di corriere, autocorriere, industria metallurgica, abiti confezionati

Misure/politiche: intensificazione dei controlli da parte della autorità fiscali e dell’ispettorato


del lavoro, rafforzamento delle sanzioni. Liberalizzazione nel settore delle agenzie private di
collocamento. Modifiche della normativa fiscale. Modifiche della normativa del lavoro.
Maggiore cooperazione con i settori economici. Campagne d’informazione. Sussidi ai fornitori
di determinati servizi.

23
Portogallo

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: immigrati clandestini, donne, lavoratori non
registrati

Lavoro sommerso ripartito per settore: costruzione, settore tessile, commercio al dettaglio

Misure/politiche: iniziative giuridiche concernenti gli immigrati clandestini e il lavoro minorile.


Riforma fiscale. Semplificazione di alcune procedure amministrative.

Spagna

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: persone di meno di 25 anni, donne, persone
qualificate, attive nelle PMI

Lavoro sommerso ripartito per settore: agricoltura, servizi (settore alberghiero e della
ristorazione), settore dei servizi privati

Misure/politiche: alcuni mutamenti alle disposizioni in materia di lavoro atipico.

Svezia

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: nessuna caratteristica particolare, per lo più si
tratta di uomini lavoratori autonomi o qualificati

Lavoro sommerso ripartito per settore: settore dei servizi privati, ristorazione, imprese di
pulizia

Misure/politiche: intensificazione dei controlli fiscali. Riforma fiscale che ha abbassato le


aliquote per i redditi marginali. Detrazioni fiscali per i lavori di rinnovo di abitazioni. Riduzione
dei costi non salariali della manodopera.

Regno Unito

Caratteristiche dei lavoratori del sommerso: uomini (25-55 anni) qualificati/operai

Lavoro sommerso ripartito per settore: settore della costruzione, mercatini, settore
alberghiero e della ristorazione

Misure/politiche: aumento dei controlli e del personale per affrontare il problema del
godimento illecito di prestazioni sociali. Misure a livello di legislazione fiscale.

24
Comitato Nazionale per l’Emersione del Lavoro Non Regolare
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Italia

L’ECONOMIA SOMMERSA NEL MEZZOGIORNO DI ITALIA


(Executive Summary di cinque ricerche regionali commissionate dal Ministero del Welfare)

Documento preparato per la:


Conferenza Europea sulle politiche del lavoro e l’emersione:
Dalla segmentazione all’integrazione dei mercati del lavoro
Catania, 11-12 Dicembre, 2003
Sommario

Introduzione, p. 3

G. Moro, “Le Esperienze istituzionali recenti per favorire l’occupazione regolare e l’emersione del
lavoro non regolare nella regione Puglia”, Università degli Studi di Bari, Puglia., p. 5

E. Mollica, “Linee di intervento a favore dell’emersione del lavoro non regolare nell’ambito della
regione Calabria”, Università degli Studi di Reggio Calabria, Calabria, p. 13

M. Centorrino, “Effetti diretti ed indiretti sull’emersione del lavoro non regolare nella regione Sicilia
di recenti interventi istituzionali nel mercato del lavoro”, Università degli Studi di Messina, Sicilia, p.
17.

P. Calza Bini, “L’Economia sommersa ed il lavoro irregolare a Roma e nel Lazio: analisi del fenomeno
attraverso più studi di caso”, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, Lazio. p.19

L. Bàculo, “L’economia sommersa e il lavoro irregolare in Campania: analisi delle esperienze recenti
per favorire l’occupazione regolare e l’emersione del sommerso”, Università degli Studi “Federico II”
di Napoli, Campania, p. 24

Appendice: Titoli delle tesi di laurea e dei rapporti di ricerca sull’economia sommersa ed i sistemi
produttivi regionali schedati nelle cinque ricerche ministeriali, p. 32

2
Introduzione
Le ricerche commissionate dal Ministero del Lavoro a cinque università italiane nell’anno 2002 nascono
dalla necessità di approfondire il tema del sommerso. L’attività di studio svolta negli ultimi anni da questi
Atenei ha difatti fornito un quadro dettagliato della vitalità economica più o meno regolare nei comuni e
nelle province di cinque regioni meridionali. In particolare il Ministero era interessato a comprendere la
natura e le dinamiche dell’economia irregolare, in modo tale da poter individuare strumenti efficaci per la
regolarizzazione di micro-realtà produttive sommerse e al contempo di apprendere informazioni utili per una
politica che induca al rispetto della legalità nel tessuto economico meridionale.
Le regioni interessate sono il Lazio (Università La Sapienza), la Campania (Università di Napoli), la
Puglia (Università di Bari), la Calabria (Università di Reggio) e la Sicilia (Università di Messina). Le
ricerche sono state impostate diversamente dai professori responsabili; in generale esse sono suddivise in due
sezioni. La prima contiene sintesi o elenchi delle tesi di laurea più significative e degli studi precedentemente
svolti dai dipartimenti (si veda in appendice al documento); la seconda presenta un approfondimento relativo
all’indagine più rilevante. Completano il rapporto altri strumenti che si rivelano utili per la conoscenza del
fenomeno (bibliografie ragionate, tabelle sintetiche, mappe delle realtà produttive ecc.).
Dalle ricerche emerge un quadro double face del Meridione d’Italia: per un verso le arretratezze
infrastrutturali, i nodi burocratici, la scarsa propensione all’associazionismo e il crimine ostacolano le
imprese esistenti e visibili, per l’altro un substrato socio-economico nascosto è capace di adattarsi alle
difficoltà ambientali e di trovare la via della sopravvivenza attraverso l’autoimpiego e la micro-impresa. Le
due dimensioni non sono certamente isolate, ma al contrario si presentano strettamente connesse negli
scambi economici e nel contesto comunitario.
Così, dal rapporto sulla regione Puglia emerge che nell’area Nord di Bari, una miriade di piccoli
laboratori e lavoranti a domicilio più o meno regolari confezionano e rifiniscono i capi di abbigliamento su
commessa delle aziende “intermediarie”, le quali stringono legami economici con le società più grandi (le
imprese “madri”) che trattano direttamente con grossisti e distributori in possesso di marchi commerciali
riconoscibili. Il Comune di Rizziconi, in Calabria, presenta un sistema analogo nel settore tessile, dove
l’elevato numero di “laboratori” lavora in conto terzi per le migliori società italiane del comparto. La
concorrenza di prezzo induce al ricorso di manodopera irregolare che negli anni scorsi ha portato alla
sperimentazione di politiche di emersione concertate (contratti di riallineamento), i cui risultati presentano
luci ed ombre: tali in iziative hanno favorito la regolarizzazione di alcuni dipendenti, ma hanno fatto
emergere difficoltà concrete di gestione e di mantenimento dei nuovi assetti d’azienda.
Parzialmente diverso l’approccio dato alle ricerche su Sicilia e Lazio: la prima attraverso un’indagine
campionaria sulle aziende dell’area messinese ha messo in luce la diffusione del ricorso alla manodopera
irregolare e la necessità di un ammodernamento del sistema politico ed economico nella provincia; la
seconda rileva il sommerso legato al terziario e agli ambienti extracomunitari a Roma. L’attenzione in questi
casi è rivolta maggiormente alle irregolarità di lavoro e alle condizioni che ne favoriscono l’immersione.
La ricerca in Campania presenta il maggior numero di informazioni grazie all’ingente lavoro svolto
dalla Prof.ssa Bàculo e dal Prof. Meldolesi presso l’Università di Napoli, i quali dalla fine degli anni
Novanta hanno coordinato numerose tesi di laurea volte ad indagare le realtà produttive nascoste nell’area
3
partenopea. La sorprendente quantità di micro-distretti individuati e l’attenzione al deficit del “senso dello
Stato” ha portato a dei percorsi di analicy-policy sfociati nella costituzione di consorzi sui settori e di
sportelli itin eranti sul territorio, dediti a favorire l’emersione e lo sviluppo locale di concerto con il Comune
di Napoli (Centri CUORE). Tali successi hanno così aperto la strada per l’istituzione del Comitato per
l’emersione del lavoro non regolare presso la PCM presieduto dal Prof. Meldolesi (che ha favorito a livello
nazionale la conoscenza e la sensibilità istituzionale sul tema del sommerso).
In alcuni casi i rapporti di ricerca presentano le prime iniziative regionali e/o provinciali intraprese
grazie all’affermazione della rete Comitato-Commissioni-Tutori (come il PEC - Programma Emersione
Calabria).

4
Le esperienze istituzionali recenti per favorire l’occupazione regolare e
l’emersione del lavoro non regolare nella regione Puglia.

Prof. Giuseppe Moro


Università degli Studi di Bari
Facoltà di Scienze della Formazione

Introduzione
Gli studi socio-economici degli ultimi venti anni sulla regione Puglia fanno emergere una realtà industriale e
comunitaria non omogenea. Ad un limitato numero di settori ed aree industriali in cui il processo di
industrializzazione appare consolidato, si affiancano zone segnate da un ritardo di sviluppo, da
un’insufficienza infrastrutturale e da difficoltà di crescita.
Il dualismo economico che ne emerge ostacola un auspicabile processo di integrazione fra i sub-
sistemi locali in una prospettiva di sviluppo omogeneo e necessita un’attenzione specifica a processi di
crescita differenziati.
Solo negli ultimi anni, grazie anche all’insediamento delle Commissione Regionale per l’emersione
del lavoro non regolare (e successivamente quelle provinciali), collocata nella più ampia rete che fa capo al
Comitato Nazionale presieduto dal Prof. Meldolesi presso la Presidenza del Consiglio, l’attenzione
sull’economia sommersa ha cominciato ad interessare le amministrazioni locali, le parti sociali, e le
università 1 . Una nuova ottica di crescita economica è andata così consolidandosi, spostando il fuoco di
attenzione proprio sulle opportunità nascoste che l’emersione del lavoro non regolare può aiutare a
riconoscere in una prospettiva attiva di sviluppo locale.

Gli studi
Negli anni ’70 gli studi sull’economia pugliese erano per lo più orientati ad analizzare la forte espansione
dell’industria e la conseguente radicalizzazione di alcuni dualismi che già dividevano il sistema industriale
pugliese in sub-sistemi non integrati fra loro. Tali dualismi riguardano l’aspetto dimensionale (tra grande e
piccola impresa artigianale), la tipologia delle attività produttive (tra settori tradizionali e settori moderni; tra
produzioni di beni finiti e prodotti di base ed intermedi), la provenienza delle iniziative territoriali
(contrapposizione tra imprenditoria locale ed esterna) e la localizzazione dell’apparato industriale (tra le
province centrali di Bari, Taranto, Brindisi e le province di Lecce, Foggia e, al loro interno, tra i poli di
sviluppo delle aree periferiche).
Una seconda fase di studi (secondo la suddivisione di Capriati, 1996) 2 si sviluppa durante i primi anni
’80, quando cioè alla crisi dei poli industriali si associa una progressiva crescita del dinamismo della piccola
impresa di produzione manifatturiera tradizionale. La Puglia viene così indicata come possibile area di
propagazione di uno sviluppo autonomo, privato fra l’altro di un sostegno di carattere nazionale.

1
Si è sviluppato così all’interno degli Atenei un crescente interesse per le problematiche relative all’economia
sommersa, incentivando docenti e studenti ad impegnarsi nella stesura di tesi di laurea e di micro-ricerche che
senz’altro hanno contribuito alla conoscenza del territorio.
2
M. Capriati, Economia aperta e sviluppo locale. L’industria pugliese tra ampliamento dei mercati e consolidamento
dei sistemi, Edizioni del Sud, Bari 1999.
5
Successivamente l’analisi si fa più focalizzata e interessa le diverse aree pugliesi, all’interno delle
quali si è tentato di individuare le caratteristiche territoriali dello sviluppo e le tipologie di imprese
emergenti. Si comincia a delineare in tal senso una differenziazione sempre più netta tra le aree di sviluppo
industriale “calato dall’alto” e le zone di crescita endogena.
Si arriva così ai lavori degli ultimi anni che sembrano convergere nella ricerca di un nuovo modello
interpretativo. L’industria leggera diviene sempre più centrale tra gli oggetti di studio, l’analisi vuole andar
oltre gli schemi dell’economia classica ed inglobare maggiormente le caratteristiche culturali e politiche nel
complessivo quadro d’analisi. Il mutamento delle condizioni in Puglia è frutto di una mobilitazione sociale
che ha coinvolto nello sforzo di modernizzazione forze imprenditoriali diffuse, energie intellettuali, risorse
economiche e politiche, costumi sociali e valori culturali trasformatisi rapidamente.
Pur con la prudenza necessaria (e nella consapevolezza che vi è una continuità di temi e di autori per
una visione di lungo periodo dello sviluppo del sistema Puglia ), questa breve cronistoria delle fasi di ricerca
sulla realtà regionale ci aiuta ad inquadrare la situazione economica locale (e la sua evoluzione) per
comprendere il contesto in cui si inserisce la presente ricerca sull’economia irregolare in Puglia.

La ricerca
Nella primavera del 2001 alcune amministrazioni comunali dell’area nord di Bari, firmavano un protocollo
d’intesa con il Comitato per l’emersione del lavoro non regolare, con lo scopo di sperimentare un progetto
pilota volto a promuove l’emersione e lo sviluppo locale. Al di là degli obiettivi prefissati (attivare centri-
servizi per incentivare la regolarizzazione delle piccole imprese, assistenza diretta finalizzata all’accesso al
credito agevolato, promozione di consorzi ecc.), la sottoscrizione del protocollo costituisce un evento
importante per il Sud, perché mette in rilievo il sommerso nell’agenda politica delle amministrazioni locali e
di conseguenza stimola il ruolo di protagonismo politico area-based.
La presente ricerca si inserisce così in questo percorso di nuova assunzione di responsabilità da parte
dei comuni firmatari del protocollo d’intesa (Bitonto, Molfetta, Palo del Colle e Ruvo di Puglia); si è deciso
di indagare i settori sui quali sembrava più urgente iniziare l’azione di analisi e di intervento: l’attenzione è
così ricaduta principalmente sui comparti dell’abbigliamento e dell’edilizia.
Seppur territorialmente limitrofi i quattro comuni presentano differenze nelle caratteristiche strutturali
(per esempio Bitonto e Molfetta contano popolazioni più numerose - 60mila abitanti circa -, mentre Ruvo di
Puglia e Palo non superano le 25mila unità) e settoriali, anche se si riconoscono dei tratti comuni segnati
specificatamente dalla compresenza di comparti di tipo tradizionale (su tutti l’agricoltura e in particolare la
produzione e la commercializzazione di vino e olio) e settori manifatturieri, come appunto l’abbigliamento (e
specificatamente l’intimo).
Il gruppo di ricerca ha intervistato 64 persone suddivise in tre grandi categorie (testimoni privilegiati,
imprenditori dell’abbigliamento e del settore edile), utilizzando un campionamento “a valanga”3 ,

3
Come è noto questa metodologia avviene per fasi: si intervistano in un primo momento le persone con le
caratteristiche richieste che fungono da informatori per identificare altri soggetti con le medesime caratteristiche. Il
campionamento si arresta quando, sulla base delle informazioni in possesso del ricercatore, è possibile stabilire il
numero delle imprese esistenti in una certa località e le loro principali tipologie.
6
metodologia che consente di studiare una realtà in profondità e di ricostruire i legami di rete esistenti fra gli
imprenditori e fra questi e gli altri principali attori del sistema economico, sociale e politico locale. L’aver
fatto ricorso, infine, al cosiddetto “mediatore culturale”4 ha permesso di abbattere la diffidenza degli
imprenditori dovuta non tanto (in alcuni casi non solo) alla volontà di non rilevare irregolarità in azienda, ma
soprattutto al desiderio “di non perdere tempo” per attività inutili.

L’Abbigliamento
Un primo elemento che colpisce nell’analisi del settore dell’abbigliamento è la sua forte strutturazione
gerarchica di carattere aziendale e territoriale. Da un primo livello caratterizzato da imprese con un proprio
marchio riconosciuto dal consumatore finale (le imprese “madri”) che trattano direttamente con grossisti-
distributori, si passa alle aziende che definiamo “intermediarie”, quelle, cioè, che raccolgono le commesse da
parte dei rivenditori finali e le ridistribuiscono sul territorio. Queste società possono suddividersi in due
tipologie: quelle con oltre 50 dipendenti che esternalizzano solo una parte della produzione (la cucitura) e
quelle cosiddette “vuote” (15-20 dipendenti) che mantengono all’interno solo poche fasi della produzione (il
taglio o l’imballaggio).
Ad un terzo livello – il più consistente – si collocano le microimprese, piccoli “laboratori” del tessile
presenti nei centri abitati, spesso localizzati in garage o addirittura nelle abitazioni. Ovviamente le normative
per la sicurezza non rappresentano le principali preoccupazioni per questi piccoli imprenditori; altre
difficoltà relative ai macchinari e all’utilizzo di manodopera non regolare ne caratterizzano i tratti tipici.
A livello più basso si collocano, invece, le “lavoranti domestiche” addette ad operazioni di
confezionamento e rifinitura dei capi. Da non sottovalutare fuori da questa scala gerarchica, infine, la
cosiddetta “legione straniera” (vista sicuramente come una pericolosa minaccia dai più) che opera sul fronte
interno (piccoli laboratori gestiti da immigrati), ma soprattutto dall’esterno con aziende africane, dell’Europa
orientale e del sud-est asiatico.
Vi è anche una gerarchizzazione di carattere territoriale che ha la propria centralità in Bitonto, il cuore
del meccanismo di funzionamento del sistema produttivo dell’area. A Bitonto sono insediate le imprese
“madri” e molti dei laboratori di Ruvo e di Palo sono conto-terzisti delle aziende bitontine. Molfetta si
colloca un po’ ai margini di questo sistema produttivo territoriale.
Due i principali meccanismi che vi si intrecciano: mercato e fiducia. Il primo agisce per lo più ai livelli
più alti della nostra scala gerarchica, funzionando prevalentemente secondo una sorta di “asta” al ribasso (si
tratta di processi particolarmente semplici a basso valore aggiunto che non richiedono una specializzazione
della manodopera e che sono fruttuosi solo se la produttività è molto elevata) che si riversano sui livelli più
bassi trasformandosi in una vera e propria trappola per i più piccoli.
A questo livello invece interviene il secondo meccanismo, la fiducia, che agisce tra le aziende
intermedie (ognuna con i “propri” laboratori) e quelle più piccole che beneficiano di un flusso continuo di

4
Il “mediatore culturale” è una persona che gode della fiducia della popolazione oggetto di indagine e, nello stesso
tempo, per le sue caratteristiche culturali o per la funzione che svolge, è in grado di capire le motivazioni e le esigenze
del ricercatore.
7
commesse garantito dalle aziende “madri”; d’altronde molti piccoli imprenditori sono ex-dipendenti di
aziende più grandi.
Una prima tipologia di imprenditori è composta da titolari di aziende del primo e soprattutto del secondo
livello: persone (per lo più uomini) con una lunga esperienza alle spalle che gestiscono aziende collegate
anche con paesi esteri. Nel secondo gruppo, quello dei “piccoli”, l’incidenza delle donne invece cresce,
probabilmente per il ruolo giocato dalla famiglia, che qui è parte operativa del sistema di produzione. Anche
nelle aziende più grandi, tuttavia, la famiglia (allargata) continua a svolgere un ruolo importante perché
legato a parenti che spesso gestiscono aziende ad essa collegate. In entrambi i gruppi gli imprenditori non
hanno seguito alcun percorso formativo (“si sono fatti da soli”) e seppur competenti sul piano tecnico, non
sono quasi mai preparati su temi più generali della gestione aziendale.
Due anche le tipologie di mercato del lavoro che si intersecano nel territorio pugliese: quello regolato
e tutelato delle grandi imprese e quello spesso irregolare delle piccole. Non si tratta ovviamente di “buoni e
cattivi” perché l’abbattimento dei costi probabilmente non sarebbe consentito alle grandi aziende se non
potessero contare sui prezzi concorrenziali “garantiti” dai laboratori. Inoltre, non è un fenomeno irrilevante
l’assunzione regolare da parte delle aziende “madri” di lavoratori esperti formatisi nel mercato irregolare
delle microimprese. Queste vicende disegnano un quadro complessivo di arretratezza del mercato del lavoro
pugliese, ulteriormente aggravato dallo scarso livello di abilità tecniche dei lavoratori/lavoratrici che
indubbiamente esiste (per la provvisorietà con cui viene intrapreso il lavoro nelle “confezioni”, per la scarsa
“considerazione sociale” che ne deriva, perché, infine, chi progetta di investire maggiormente sul lavoro si
orienta verso altri settori, quali il salottificio della limitrofa Murgia).
Nel rapporto aziende-territorio, il dualismo fra aziende madri e laboratori appare accentuato: le prime
sono localizzate nelle zone di insediamento produttivo, gli imprenditori sono di solito iscritti alle
associazioni di categoria e a volte ricoprono ruoli pubblici di un certo rilievo; le seconde invece sono più
nascoste (non solo fisicamente), solo raramente aderiscono alle associazione artigiane e manifestano una
spiccata diffidenza ed estraneità rispetto alla pubblica amministrazione (soprattutto locale). Non solo, per
queste ultime è diffuso il rifiuto verso esperienze associazionistiche fra imprenditori, quali i consorzi, ritenuti
dai più impossib ili da realizzare, il ché denota un individualismo diffuso tra gli impresari stessi. Tuttavia
accanto a questi atteggiamenti emergono negli ultimi anni segnali, forse lievi ma importanti, di cambiamento
culturale verso una maggiore propensione alla cooperazione.
Il lavoro irregolare nel settore dell’abbigliamento in Puglia sembra essere presente a tutti i livelli: dalle
aziende “invisibili” completamente sommerse, alle irregolarità “grigie” da lavoro5 o di carattere
amministrativo (ad esempio quando non vengono rispettate le normative riguardanti la sicurezza).
A caratterizzare il lavoro irregolare in quest’area sono fondamentalmente due elementi: la consistenza
del numero delle lavoranti a domicilio e la forte presenza all’interno dei laboratori (non in nero) di lavoratori
irregolari. In questo caso stimiamo che i lavoratori in qualche modo soggetti ad irregolarità siano in media il
50% della forza lavoro complessiva.

5
Per sommerso grigio si intendono le irregolarità parziali quali i lavoratori dichiarati ufficialmente che operano accanto
a lavoratori non dichiarati, oppure lavoratori che ricevono il salario regolare e poi in parte lo restituiscono al datore.

8
Le principali motivazioni addotte dagli intervistati per giustificare il ricorso a manodopera irregolare
conducono ad una pressione fiscale e contributiva inaccettabile e una “inadeguatezza culturale” degli
imprenditori meridionali, incapaci di confrontarsi col mercato e di gestire i processi di innovazione.
Da non sottovalutare, tuttavia, l’aspetto di reciproca convenienza che determina l’utilizzo del lavoro
irregolare come una scelta razionale e utilitaristica messa in atto da datori di lavoro e lavoratori a fronte di
determinati meccanismi di funzionamento del sistema. Per il piccolo imprenditore la scelta di tenere bassi i
costi mediante il ricorso al lavoro irregolare appare una scelta ampiamente giustificata dal punto di vista
della pura convenienza economica; per la lavoratrice che considera l’impiego nelle confezioni solo come una
fase transitoria della sua esistenza è più utile non abbandonare lo status di disoccupata con tutti i vantaggi
che da esso derivano per il bilancio del nucleo familiare.
Le strategie per ridurre la presenza del lavoro irregolare passano dunque essenzialmente attraverso la
modificazione di questo tipo di meccanismi perversi mediante la predisposizione di un complesso di
procedure legislative ed amministrative che modifichi lo spettro di convenienza fra rischi e benefici nella
scelta del ricorso al lavoro nero.
Sono state inoltre raccolte esperienze riguardanti casi di emersione resi possibili grazie alla normativa
sul credito d’imposta. Su tali esperienze è bene riflettere perché alle iniziali regolarizzazioni sono seguite
difficoltà serie da parte dell’azienda nella gestione della nuova situazione, soprattutto per i cambiamenti nella
struttura dei costi. Si potrebbe, quindi, pensare ad una sorta di “tutoraggio post-emersione” che accompagni
l’azienda nel primo tratto di un percorso per molti versi inedito.

L’Edilizia
Anche nel settore edile si è potuta riconoscere una dicotomia delle realtà imprenditoriali osservate nel
territorio oggetto di studio: alle grandi imprese specializzate in appalti pubblici, nel restauro di edifici storici
e nella costruzione di abitazioni civili, si affiancano una miriade di piccole società specializzate
principalmente in ristrutturazione e ampliamento di unità abitative e in lavori particolarmente specifici come
la posa di intonaci, la tinteggiatura o l’idraulica.
Naturalmente anche in questo settore, i due segmenti (grandi e piccole imprese) non sono realtà
separate, ma in molte occasioni costituiscono un unico sistema produttivo. Attraverso il fenomeno del
subappalto si genera così, a detta degli intervistati, un’importante causa di ricorso al lavoro irregolare.
Nonostante la presenza di lavoratori a nero sia più contenuta rispetto ad altri ambiti dell’edilizia, durante
l’esecuzione di appalti pubblici l’applicazione della normativa sul massimo ribasso come criterio di
assegnazione delle gare, provoca indirettamente il ricorso al lavoro sommerso da parte delle società più
piccole. Inoltre i ribassi delle gare effettuate al Sud sono, di regola, maggiori di quelli praticati per lavori
simili in altre parti del Paese. A ciò si deve aggiungere che l’importo delle basi d’asta fa sì che di solito le
imprese locali siano escluse dalle gare e che la maggior parte dei lavori siano così affidati ad aziende non
presenti nel territorio. Queste ultime finiscono così per scaricare i costi dei ribassi troppo accentuati sulle
piccole imprese locali (alle quali vengono affidati i subappalti) che spesso a loro volta sono indotte ad
impiegare lavoratori a nero.

9
Le irregolarità nelle piccole imprese impegnate nei lavori di ristrutturazione o di piccola portata sono invece
molto più diffuse. A differenza di quanto si è visto nell’abbigliamento, i lavoratori irregolari in questo caso
sono inferiori numericamente, ma la loro condizione è più “nera” che “grigia”. Molto spesso è la reciproca
convenienza a sancire questi accordi tra titolari e lavoratori che sono ancora iscritti nelle liste del
collocamento e che beneficiano di sussidi pubblici. Non marginali, inoltre, sono i casi di doppio lavoro.
Dall’indagine sono emersi altresì alcune interessanti esperienze di consorzi fra piccole imprese
specializzate in processi lavorativi differenti. Tali consorzi avevano la finalità esplicita di rafforzare il potere
contrattuale delle micro-imprese nei subappalti e di consentire loro la partecipazione alle gare pubbliche. Tali
esperienze non sembrano aver condotto ad esiti positivi; infatti molte società si sono trovate in difficoltà
principalmente per due ordini di ragioni: in primo luogo per la scarsa “lealtà” di alcuni consorziati spinti a
violare le regole associative e a contrattare da soli con le imprese più grandi; in secondo luogo per la poca
attenzione verso queste forme associative da parte delle amministrazioni comunali, che ha indotto i sindaci a
trattare più con le grandi imprese che con i consorzi.
Più in generale, appare problematico il rapporto tra le aziende del settore edile ed il contesto locale. Il
segnale forse più emblematico è costituito dall’eccessiva dipendenza dai cicli, spesso imprevedibili, delle
decisioni politiche (opere pubbliche, approvazione di strumenti urbanistici quali i piani regolatori o i piani
particolareggiati, ecc.).
Solo l’attività delle micro-imprese sembra essere indipendente dalla gestione politica, probabilmente
perché è stata riscontrata una maggiore autonomia in questo settore delle piccole aziende rispetto alla forte
dipendenza vista nel settore dell’abbigliamento tra le società medio-grandi e i laboratori.
Un discreto effetto di emersione parziale, infine, è stato conseguito in seguito ai provvedimenti
contenuti nelle ultime leggi finanziarie che hanno consentito la deducibilità fiscale dei lavori di
ristrutturazione delle “prime case”. A detta degli imprenditori e dei testimoni privilegiati ascoltati, si è
trattato di provvedimenti che hanno percorso una delle strade più interessanti per promuovere l’emersione:
accrescere l’interesse del cliente a richiedere la fatturazione.

Una realtà che sta mutando


Nonostante le disfunzioni strutturali viste, negli ultimi anni si sono potuti osservare in Puglia cambiamenti
importanti che lasciano ben sperare per uno sviluppo autonomo: passaggi di commesse durante i picchi
produttivi, scambi informali di informazioni, tentativi di istituzionalizzazione dei rapporti di collaborazione
mediante la creazione di consorzi ecc.
In questo senso la realtà pugliese emersa dallo studio ci illustra un quadro in “chiaroscuro” del nuovo
sviluppo industriale. Tre i fattori individuati come scatenanti di uno sviluppo autonomo in aree che
apparivano condannate all’assistenzialismo e allo sviluppo esogeno. Un primo ordine di fattori è senza
dubbio di natura socio-politica, incarnata quindi dalla necessità di ridurre il sostegno di Stato alle imprese del
Sud; in sintesi lo sviluppo del meridione non poteva più essere innescato dalle cosiddette “cattedrali nel
deserto”. Una motivazione socio-economica, invece, la si fa risalire alla più grande questione “globale-
locale”, che dà l’opportunità di affacciarsi sul mondo anche a imprese localizzate in territori tradizionalmente
chiusi ai rapporti con l’esterno valorizzando le proprie particolarità. Infine l’ultimo gruppo di fattori è di
10
carattere socio-psicologico: si intravede una progressiva riduzione del provincialismo e della paura di
rischiare, che sta trasformando l’invidia per il successo economico di terze persone in tentativi di imitazione.
La famiglia in questo senso non è più vista come ostacolo allo sviluppo economico, ma come risorsa in grado
di costituire una “riserva di fiducia” in una realtà in cui la cooperazione sociale è stata tradizionalmente
difficile. Così, se si deve scegliere qualcuno con cui fare affari, si preferisce un membro della famiglia
(anche molto allargata) perché si pensa possa essere più leale.
È sicuramente importante insistere su questi aspetti positivi di cambiamento senza mai sottovalutare
quelli negativi: primo fra tutti l’aspetto problematico della contemporanea presenza di due tipologie di
imprese (grandi e piccole) che hanno una visione molto differente circa le modalità attraverso le quali lo
sviluppo può essere consolidato. Le politiche per l’emersione in questo senso possono e devono giocare un
ruolo centrale.

Gli effetti diretti e indiretti di immersione/emersione delle politiche dello sviluppo e del lavoro
La duplice realtà produttiva pugliese emersa dall’indagine pone in essere la questione degli interventi di
policy più adatti per ovviare alle disfunzioni del sistema economico regionale. In tal senso le politiche volte a
regolarizzare il mercato del lavoro possono giocare un ruolo cruciale in questo processo di sviluppo. Negli
ultimi anni l’attenzione sul sommerso è andata crescendo per una serie di fattori che hanno contribuito ad
evidenziare la necessità e i vantaggi di ricercare soluzioni che conducano a pratiche legali: dall’inefficienza
della pubblica amministrazione, alla necessità di rimanere all’interno dell’area dell’euro, dalla crisi
dell’istituto pensionistico, al non trascurabile impatto culturale del tema dell’emersione sul piano di una
rinnovata coscienza collettiva dell’appartenenza ad una comunità nazionale. Indubbiamente l’istituzione del
Comitato per l’emersione del lavoro non regolare presso la PCM (art. 78 legge 448/98) ha rappresentato
l’impegno più esplicito alla lotta al sommerso mai manifestato in Italia.
Spostare il fuoco d’attenzione sul sommerso significa senza dubbio valutare gli effetti delle politiche
mirate a tale scopo. Vi è quindi la possibilità di costruire un modello (una tabella a doppia entrata)
comprendente due tipologie di politiche e due effetti sull’emersione.
Il primo tipo di politica è costituito dagli interventi diretti per la lotta al sommerso. In questo campo vi
risiedono i contratti di riallineamento, il credito d’imposta e la 383/01, che più delle altre mirava
esplicitamente ad aggredire il fenomeno per mezzo degli strumenti di emersione automatica e progressiva.
Tuttavia queste politiche che hanno prodotto degli indubbi vantaggi sul processo di regolarizzazione dei
rapporti di lavoro, hanno anche generato conseguenze inattese di immersione. Per esempio i contratti di
riallineamento (nati in Puglia alla fine degli anni ’80) portarono senz’altro dei grossi progressi nel
funzionamento delle aziende e nel rapporto tra datori e dipendenti, ma al contempo non riuscirono a risolvere
il problema del riallinamento dei salari, appunto, al contratto nazionale di lavoro. Le motivazioni addotte
dagli intervistati sono: i margini di guadagno concessi alle aziende terziste sono in calo per via
dell’espandersi del mercato ad Est; il costo dei fattori di produzione è maggiore che al Nord per le carenze
infrastrutturali; vi è inoltre un minore costo della vita a Sud che fa crescere la retribuzione relativa erogata. Si
riscontra pertanto la necessità di un passaggio dalla fase dell’emergenza e della contingenza a quella dei

11
sostegni strutturali. Analogamente sono rinvenibili effetti perversi anche per gli altri interventi di politica
attiva.
Il secondo gruppo di politiche, quelle cosiddette indirette, comprende le politiche attive del lavoro (la
legge 196/97 che promuove il lavoro interinale, le borse lavoro e le politiche della formazione professionale
in genere) e le politiche di sviluppo locale (la 44/86 che elargisce incentivi alle imprese famigliari o i Patti
Territoriali), entrambe con conseguenze positive e negative per l’emersione.
In particolare l’approccio territoriale si muove verso il superamento di una politica di interventi mono-
settoriali, per porsi in prospettiva di un sostegno allo sviluppo di più ampio respiro, fatta di iniziative
combinate e integrate che si realizzano parallelamente su più livelli, implicando il coinvolgimento attivo di
tutte le parti sociali e la mobilitazione di tutte le risorse ed energie disponibili.
In conclusione, se da un lato non si può negare un’accresciuta attenzione da parte del potere politico
sulla problematica del sommerso, dall’altra si ha l’impressione che ci sia bisogno di azioni più incisive in un
ottica propositiva, piuttosto che di “riduzione del danno” o di sola repressione.
Si può affermare che gli strumenti più importanti a disposizione dei policy makers si esplicitano in
quattro tipologie di politiche complementari: politiche macroeconomiche di crescita e di riduzione del carico
fiscale e contributivo, politiche generali di emersione, politiche di emersione per specifiche categorie,
politiche territoriali. Sempre più, però, si coglie l’importanza che in questo campo ricoprono gli interventi
apparentemente “distanti”: ad esempio, le politiche culturali che tentano di riscoprire (ma anche di
contaminare) le tradizioni di un territorio, le politiche della formazione e dell’istruzione, nonché le politiche
di riforma della pubblica amministrazione.

12
Linee di intervento a favore dell’emersione del lavoro non regolare nell’ambito della Regione Calabria

Prof. Edoardo Mollica


Università degli Studi di Reggio Calabria
Dipartimento PAU – Patrimonio Architettonico ed Urbanistico

Introduzione
Solo da qualche anno la problematica del lavoro sommerso è entrata a pieno titolo nel dibattito comunitario
aperto sui temi dell’occupazione e dello sviluppo. La diversità degli approcci adottati dalle politiche dei
singoli Stati membri dipendono dal contesto nel quale esse vengono implementate e muovono dalle
specificità delle economie irregolari locali, le cui origini possono essere generalmente ricondotte alle
condizioni del mercato, alle relazioni istituzionali, ai fattori culturali e di contesto.
Non è infrequente, ed in Calabria è sistematico, che alla base dell’economia irregolare vi siano aspetti
riconducibili contemporaneamente a più di una di queste cause strutturali. Ne consegue che una politica di
successo a favore dell’emersione deve basarsi su un approccio integrato che utilizza un “paniere” di incentivi
rivolti contestualmente agli aspetti fiscali e contributivi, a migliorare i rapporti tra e con le istituzioni, a
rimuovere vincoli, incrostazioni culturali e ostacoli oggettivi ascrivibili al contesto.
In Calabria sviluppo locale e regolarizzazione dell’economia rappresentano un tutt’uno, le due facce
della stessa medaglia. Pertanto si rende necessario definire un unico processo strategico verso la
modernizzazione e la competitività della regione, soprattutto in una condizione in cui la globalizzazione
evidenzia sempre più l’insostenibilità di gestioni e prassi pseudo-economiche, nonché di inefficienze
politico-amministrative.
Ancorché in forte ritardo di sviluppo la Calabria presenta per certi versi caratteristiche simili a quelle
che nel secondo dopoguerra in Italia hanno generato il fenomeno della piccola e media impresa e dei distretti
industriali.

La situazione economica in Calabria


Negli ultimi anni i dati sull’occupazione del Sud trasmettono un chiaro messaggio di avanzamento
dell’occupazione meridionale, grazie ad alcuni specifici interventi volti anche all’emersione 6 (ex lege
383/01). Tutti gli indicatori sulle imprese mettono in evidenza che il 2001 ha segnato un anno di svolta per la
regione 7 . In una congiuntura economica certamente non positiva, la netta crescita del numero delle imprese è
probabilmente legata a un lento processo di regolarizzazione di aziende che stanno ai margini del sistema
economico. L’interpretazione che si può dare delle cause di tale fenomeno, rilevabile dai dati INPS, INAIL e
Unioncamere sull’occupazione in Calabria nel 2001, può essere quindi correlata ad un processo di emersione
lenta, ma progressiva.

6
È interessante sottolineare che nel 2001 in Calabria si inverte il rapporto “assunzioni/cessazioni” nel confronto tra
rapporti a tempo indeterminato ed a tempo determinato. Mentre nel 2000 erano i rapporti a tempo determinato a
costituire una parte non trascurabile del saldo positivo fra assunzioni/cessazioni (soprattutto in relazione alle piccole
imprese) nel 2001 sono quelli a tempo indeterminato a determinare interamente il saldo positivo (dati INAIL). Ciò
denota una maggiore strutturazione dei rapporti di lavoro; questo dato può essere letto come un indicatore di un naturale
processo di emersione progressiva in atto.
7
I dati INPS fanno registrare un forte tasso di crescita del numero di imprese registrate nel 2001, sia in confronto con il
1999, sia con il 1994.
13
La questione della misurazione statistica del sommerso è da sempre al centro del dibattito scientifico
dei diversi istituti di rilevazione citati. I dati riportati nel rapporto di ricerca mettono in luce che non vi è
ancora accordo fra le diverse fonti8 ; tuttavia queste discordanze possono, se opportunamente lette, fornire
delle indicazioni interessanti sulle “zone di grigio” del sistema delle imprese. Mettendo a confronto i diversi
valori emersi dalle rilevazioni dei tre istituti di ricerca è possibile costruire quattro indicatori sul sommerso in
Calabria: 1) INAIL/INPS (Costruzioni): 1.39; 2) INAIL/INPS (Manifatturiero): 1.22; 3) Infocamere/INPS
(Totale): 1.36; 4) INAIL/INPS (Totale): 0.88. Ovviamente maggiore sarà lo scostamento dalla unità, più
ampia si presenterà la “zona di grigio” in Calabria e nei diversi settori.
Le stime del fenomeno che si sta studiando, costruite con l’utilizzo di questi indicatori, sono molto
approssimate e certamente costituiscono, almeno per adesso, un’analisi di tipo esplorativo del fenomeno.
Non vanno cioè eccessivamente caricate di significato quantitativo e di misurazione del fenomeno. Dai valori
di questi indicatori si può desumere che esiste una certa percentuale di imprese con un comportamento che
definiamo borderline, nel senso che l’azienda oscilla fra l’emerso ed il sommerso, cercando il più possibile
di sfruttare i benefici della situazione.
Se è pur vero che l’analisi delle fonti amministrative consente di approfondire la quantificazione del
sommerso, è anche vero che i semplici dati ci dicono ben poco sulle caratteristiche qualitative e sulle diverse
forme di sommerso. Lo studio dell’economia irregolare non può prescindere da un’analisi di contesto:
indagare sul contesto calabrese vuol dire andare ad individuare i comportamenti, gli atteggiamenti e le
motivazioni che guidano le scelte delle famiglie e delle imprese.
L’incapacità dei dati ufficiali di descrivere il reale andamento delle variabili economiche è legato al
fatto che un vero e proprio mercato, nel senso evoluto del termine, in molti contesti territoriali calabresi non
esiste.
Il dualismo fra economia formale ed economia informale si manifesta anche a livello territoriale,
cosicché in prossimità dei grossi centri urbani vi è una economia con strutture che, in una certa misura,
possono essere definite avanzate; nelle aree rurali, periferiche e/o marginali, invece, esistono strutture
economiche che non sono organizzate secondo canoni di mercato. All’interno di queste aree gli scambi
economici sono ridotti al minimo indispensabile, cosa che viene evidenziata dal bassissimo tasso di presenza
di esercizi commerciali e dall’altissimo tasso di meccanismi di scambio riconducibili più al baratto che a
forme di mercato vero e proprio 9 .
Lo sfruttamento delle risorse agricole non si traduce in un meccanismo di produzione per il mercato,
ma essenzialmente in forme di autoconsumo e di scambio fra gruppi familiari.
Le aree urbane calabresi presentano un sistema economico sicuramente più avanzato rispetto alle zone
periferiche, ma non si può comunque parlare di un’economia forte. Si registra, infatti, una densità di imprese
manifatturiere molto bassa e un settore del terziario tradizionale che appare numericamente

8
Alcuni esempi: a circa 30.000 imprese censite dall’INPS si contrappongono circa 91.000 imprese censite dall’ISTAT.
È interessare approfondire il rapporto dei dati INPS/INAIL che intercorre nei settori: emerge che nelle costruzioni è 1 a
2, nel manifatturiero 1 a 2,5, nel commercio 1 a 6, nei trasporti 1 a 3 mentre poco diverso da un rapporto 1/1 per il
settore pubblico ed il settore del credito.
9
A questo proposito dai dati INPS emerge che nell’ambito di 27 comuni dell’area del parco dell’Aspromonte esistono
solo quattro panifici!
14
sopradimensionato. Non esiste un ambiente industriale che possa favorire la crescita delle attività produttive,
sicché le imprese esistenti sono generalmente molto piccole e legate a settori tradizionali a basso tasso di
innovazione. Il sommerso risulta, infine, legato per lo più ad esigenze di sopravvivenza.

Le due ricerche empiriche


In seguito a una intervista a un membro della Commissione per l’emersione del lavoro non regolare della
regione Calabria, si è deciso di approfondire un caso di contratto di riallineamento che ha interessato cinque
aziende del settore tessile-abbigliamento localizzate nel Comune di Rizziconi (provincia di Reggio
Calabria).
I laboratori del comparto tessile-confezioni risultano diffusissimi in tutta la provincia reggina e si
distinguono per l’alta qualità del prodotto realizzato in conto terzi e destinato a prestigiosi marchi italiani. In
particolare, nel comune di Rizziconi sono impiegate oltre duecento unità, per lo più donne, in poco più di
dieci laboratori.
Venti imprese sono state recentemente finanziate con fondi regionali e le prospettive di sviluppo per
questa particolare attività, che non riesce a soddisfare tutti gli ordinativi, sono stimate in crescita.
Nelle cinque aziende (due srl, due ditte individuali e una snc) interessate dai contratti di
riallineamento, trentacinque lavoratrici hanno beneficiato di un graduale percorso di incremento salariale
grazie agli accordi sottoscritti fra le parti sociali. Delle lavoratrici coinvolte nel processo di regolarizzazione,
la maggior parte si è dimessa secondo una “locale consuetudine”. I contratti, infatti, come ha specificato il
consulente del lavoro che segue le ditte, sono stati siglati a seguito di alcune ispezioni dell’INPS per non
incorrere nelle pesanti sanzioni dell’Istituto.
Le difficoltà del settore sono comunque molteplici: le aziende lavorano in conto terzi per alcune delle
migliori ditte italiane, ricevendo in cambio un compenso “ridicolo” (max 2,5 euro) a fronte dei costi
“risparmiati” della tecnologia e delle otto fasi di lavorazione che possono essere necessarie per realizzare un
pantalone. Inoltre la concorrenza dei paesi non comunitari è fortissima e il continuo turn over delle
lavoratrici (quasi mai impegnate nella stessa azienda per più di 36 mesi) incide negativamente sulla
redditività dell’azienda. Ne consegue la difficoltà degli imprenditori di disporre di personale adeguatamente
formato e quindi di ottenere livelli accettabili di produttività. Evidentemente, in un contesto simile, il costo
del lavoro diventa un fattore chiave.
Nel ridotto ambito comunale di Rizziconi si sono potuti riscontrare quei problemi già precedentemente
appresi dalle interviste ai testimoni privilegiati: l’inefficienza della PA, le difficoltà determinate dal sistema
creditizio, l’alto costo del lavoro, la necessità di formazione per imprenditori e lavoratori. Agire su queste
inefficienze sembra essere la strada migliore per intraprendere un percorso di sviluppo.
Il sistema locale dell’area di Nocera Terinese (provincia Catanzaro) è caratterizzato da una forte
presenza di imprese, prevalentemente composte da gruppi familiari operanti nel settore della pulitura e
lucidatura dei rubinetti.
La produzione della rubinetteria fa parte a pieno titolo del grande aggregato del made in Italy . Le aree
in cui è concentrato il grosso della produzione (distretti della rubinetteria) sono localizzate prevalentemente
nel Nord Italia ed, in particolare, nelle provincie di Novara e Brescia. Negli anni Sessanta si è registrato un
15
flusso di lavoratori calabresi verso il piccolo comune di Pella (provincia di Novara), molti dei quali
provenienti proprio da Nocera Terinese, che hanno avuto così l’opportunità di imparare il mestiere e di
respirare l’aria di un “ambiente industriale”.
Nei primi anni Settanta, alcuni di questi emigranti decidono di tornare in Calabria e di intraprendere
l’attività autonomamente. I primi tentativi di insediare aziende della rubinetteria a Nocera falliscono, ma la
tenacia di alcuni neo-imprenditori porterà, negli anni ’80, verso i primi successi. Il tentativo di seguire le
orme che hanno portato ai primi buoni risultati influenzerà decisamente l’affermarsi di altre aziende.
Attualmente Nocera Terinese occupa il quattordicesimo posto della classifica dei comuni a forte
specializzazione nel rivestimento dei metalli, al primo posto tra i comuni meridionali e a ridosso dei comuni
del nord dove sono localizzati i distretti della rubinetteria. La fase di produzione di semilavorati è
spiccatamente labour intensive: si lavora, infatti, prevalentemente su macchine semi-automatiche alimentate
a energia elettrica, rendendo quindi indispensabile la perizia degli operai (formati on the job dai lavoratori
più anziani).
Le aziende committenti settentrionali, delle quali la maggioranza degli imprenditori nocerini è ex-
dipendente, trovano conveniente delocalizzare questa fase della produzione sia per la possibilità di diminuire
il numero degli addetti alle loro dipendenze, sia per il risparmio ottenuto grazie ai prezzi molto bassi praticati
dai terzisti calabresi. L’agguerrita concorrenza esistente fra le aziende locali è centrata infatti interamente sul
prezzo, che viene così ridotto a valori minimi che erodono i margini di guadagno. Questa situazione ha
sicuramente favorito, insieme ad altre, l’immersione sempre più profonda del nascente “sistema locale” che,
per diminuire i costi di produzione, ricorre abbondantemente al lavoro nero stimato dagli stessi imprenditori
intorno al 50% del totale degli addetti.
Pur essendo un mercato che muove capitali ingenti, la condizione sommersa rappresenta un grosso
ostacolo all’affermazione di questa classe di imprenditori-operai. Essa si aggiunge a problemi contestuali
che vanno dalla mancanza di aree di localizzazione, alla difficoltà di accesso al credito bancario e
all’incentivo pubblico, impedendo agli operatori locali di espandere la propria attività o di aggiungere altre
fasi di produzione a quelle attualmente svolte.
Durante l’indagine è stato comunque rilevato un certo interesse degli imprenditori locali alla creazione
di una struttura che possa coadiuvare alcune funzioni aziendali e che, magari, potrebbe evolvere in un
consorzio.
Il ruolo del PEC (Programma Emersione Calabria), in questo contesto, potrà contribuire
energicamente al successo di politiche di emersione e di sviluppo locale.

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Effetti diretti ed indiretti sull’emersione del lavoro non regolare nella regione Sicilia
di recenti interventi istituzionali nel mercato del lavoro

Prof. Mario Centorrino


Università degli Studi di Messina
Facoltà di Scienze Politiche

L’indagine svolta dall’Università di Messina si propone di indagare il grado di incidenza dell’economia


sommersa sul territorio della provincia siciliana e la predisposizione delle imprese intervistate all’utilizzo di
lavoro non regolare. All’interno del questionario semi-strutturato (sottoposto telefonicamente ad un
campione di 603 aziende) compariva inoltre una sezione dedicata alla conoscenza del livello di percezione e
di utilizzo delle principali leggi agevolative a sostegno dell’occupazione e degli investimenti.
Dall’indagine è emersa una realtà produttiva locale composta principalmente da piccole imprese (il
72,5% degli intervistati dichiara infatti un numero complessivo di addetti compreso nella classe 0-5 unità),
per lo più ditte individuali (60,9%), che opera semplicemente sul mercato locale, senza ricercare soluzioni
innovative che possano contribuire ad ampliare le dimensioni o la capacità produttiva.
L’ampio utilizzo di consulenze professionali esterne alle imprese sembra limitarsi alla semplice
gestione contabile dell’attività: non emergono casi in cui si investe in R&S, né tantomeno nella formazione
del personale.
L’esiguo ricorso alle opportunità legislative sconta, invece, in primo luogo una diffusa mancanza di
informazione al riguardo, seguita dalla sfiducia in queste leggi. All’interno della risposta ”altro” prevista alla
domanda circa le motivazioni che stanno alla base di questo atteggiamento è prevalente la considerazione
generale che queste leggi siano più adatte alle imprese medio-grandi e poco convenienti per le piccole. Molte
volte le imprese si sono dichiarate inoltre scoraggiate dalle procedure previste, rilevatesi lunghe e complesse.
Chi è stato in grado di attivare con successo canali di finanziamento agevolato lo ha fatto
principalmente attraverso la Legge 488/92 ed attraverso la CRIAS (Cassa Regionale per il Credito alle
Imprese Artigiane Siciliane) allo scopo di sostituire e/o ampliare gli impianti esistenti.
Passando al mercato del lavoro, esso si presenta poco flessibile e legato a dinamiche di tipo
tradizionale: il 69,5% dei lavoratori viene assunto sulla base di conoscenze personali, di cui l’8,6% è reperito
all’interno dello stesso ambito famigliare.
Significativa la percentuale di chi non risponde quando interpellato sul numero dei dipendenti
(13,6%). Se è molto probabile che questa modalità di risposta nasconde in realtà l’utilizzo di lavoro non
regolare, vi è da aggiungere che il 4,8% degli intervistati dichiara espressamente di utilizzare manodopera in
nero. Una percentuale altissima se si pensa che alla domanda circa la tipologia contrattuale offerta agli
occupati abbiamo un emblematico 33% di non risposte.
L’indagine ci porta a concludere che un ammodernamento del sistema produttivo delle imprese
messinesi, così come del relativo mercato del lavoro, non può che passare sostanzialmente attraverso la
diffusione di un clima di maggiore fiducia e collaborazione. Le istituzioni locali, pubbliche e private,
dovrebbero attivare le competenze in grado di favorire e sostenere, ad esempio, la nascita dei consorzi.
È necessario che il potenziale rappresentato per la città dalle risorse attratte con gli strumenti di
programmazione negoziata (ad esempio con le opportunità date recentemente dai PIT) sia sfruttato in
17
maniera tale da essere in grado di realizzare quei percorsi di sviluppo ancora fermi sulla carta, perché alle
aspettative positive possano seguire risposte concrete.
Una seconda mini ricerca ha invece coinvolto novantotto lavoratori raggiunti con la mediazione di
rappresentanti sindacali. La copertura sindacale potrebbe far sorgere qualche dubbio circa la scelta di questo
gruppo per approfondire le tematiche legate alla irregolarità da lavoro, ma i risultati di questa indagine ci
dicono che buona parte degli iscritti è composta da lavoratori irregolari o addirittura disoccupati. Il dato si
spiega perché, una volta iscritti, anche i lavoratori che perdono il posto o che non godono più di un contratto
regolare continuano a mantenere i legami con il loro sindacato di riferimento (a meno di presentazione di
formale disdetta).
Il campione è costituito quasi completamente da uomini (92%), coniugati, e con un livello di
istruzione medio-basso. Ben il 34,7% degli intervistati si dichiara lavoratore irregolare, di cui il 19,4% ha
richiesto inutilmente al proprio datore di lavoro di essere regolarizzato, mentre il 18,4% non ha mai
affrontato l’argomento. Alle persone che hanno invece dichiarato di essere in regola, i ricercatori hanno
chiesto se nella loro carriera gli era mai capitato di fare ore di straordinario non retribuite (la percentuale
ottenuta è del 22,4%) o pagate fuori busta (registriamo la percentuale dell’8%). Il 13,3% del campione di
lavoratori regolari riceve, infine, un compenso inferiore a quello dichiarato in busta paga.
Questo approfondimento, fatto nel più ampio contesto della ricerca sulle imprese del messinese vista
sopra, ci conferma il quadro da lì ottenuto. Ancora una volta si evidenziano le dinamiche tradizionali del
mercato del lavoro perché, stando ai numeri citati, tra totalmente sommersi e semi-sommersi la percentuale
di operatori irregolari nella provincia di Messina raggiunge il 78,4%.

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L’economia sommersa ed il lavoro irregolare a Roma e nel Lazio:
Analisi del fenomeno attraverso più studi di caso.

Prof. Paolo Calza Bini


Università degli Studi di Roma
Facoltà di Sociologia
Introduzione
Il mercato del lavoro laziale e romano degli ultimi anni è profondamente cambiato. Il ruolo centrale del
settore pubblico nello sviluppo urbano e regionale ha subito cambiamenti importanti, dovuti ad una profonda
riorganizzazione dell’intero sistema. L’introduzione dei lavori atipici nel mercato del lavoro nel 1997
(“Pacchetto Treu”) ha dato senz’altro una spinta positiva al trend decrescente del tasso di disoccupazione che
è sceso dall’11,6% del gennaio 2000 al 9,9% dell’ottobre 2001.
Nel comparto agricolo si registra un calo significativo di occupati specialmente tra il 1997 e il 2000
(in linea con le tendenze nazionali). Il settore terziario mostra invece un incremento degli occupati negli anni
1999-2001, dopo una sostanziale stabilità negli anni 1994-98. L’Edilizia, dopo l’arresto degli appalti per le
opere pubbliche, la contrazione della domanda privata di immobili e la recessione produttiva della metà degli
anni ‘90, ha registrato ultimamente incrementi occupazionali positivi. Anche nel commercio il trend
dell’occupazione è andato migliorando a partire dal ’98.
Interessante il dato sui tassi di cessazione delle imprese nel Lazio (4,6%), al di sotto della media
nazionale (5,7%), con l’eccezione delle ditte individuali che fanno registrare un preoccupante 6,8%,
comunque inferiore al dato nazionale (7,3%).
Passando alla realtà romana, che interessa gran parte della popolazione della regione, negli anni ’90
il mercato del lavoro è caratterizzato da: 1) numerosità dei giovani dovuta probabilmente ad un effetto di
attrazione della metropoli; 2) un elevato tasso di scolarità influenzata dalla struttura burocratico-
amministrativa di Roma; 3) l’elevata incidenza della popolazione in cerca di prima occupazione; 4)
numerosità dei disoccupati di lunga durata; 5) un mercato sommerso precario e consistente, caratteristico di
tutte le economie terziarizzate.
Si evince pertanto una condizione occupazionale critica, per molti versi vicina alle condizioni del
Sud. Questo aspetto è rafforzato da alcuni fattori quali la disoccupazione femminile che in tutti i municipi di
Roma presenta valori molto più elevati di quella maschile.
I dati ISTAT sul sommerso confermano questi segnali. Nel Lazio, in tutti i settori ad esclusione di
quello agricolo, la quantità di attività sommerse è maggiore della media nazionale, in particolar modo
nell’industria e nelle costruzioni.
Gli studi condotti a Roma e nel Lazio hanno inoltre evidenziato l’alta presenza di sommerso di
lavoro in aziende regolari ed una componente importante delle forme grigie di contratto che dichiarano
all’INPS minori tempi di lavoro, ma che non sono totalmente a nero in quanto mantengono una certa
visibilità.

19
I casi studio
A seguito di un attento lavoro di approfondimento della realtà socio-economica di Roma e del Lazio, si è
deciso di analizzare alcuni casi tra i più significativi per “scendere in profondità” e comprendere le
dinamiche del mercato del lavoro sommerso.
In una capitale come Roma un comparto che merita un’attenzione particolare è senz’altro il terziario,
suddiviso in due tipologie, “avanzato” e “tradizionale”. Per quanto riguarda la prima dimensione l’intento
della ricerca è quello di dar seguito ad un’indagine di Monitor Lavoro del 1999, dalla quale emerge che i
soggetti più disponibili a lavorare al nero, anche in questo particolare ramo del terziario, rimangono quelli
considerati più deboli, vale a dire i giovani.
La presente ricerca rispetto al 1999 ha potuto riscontrare un incremento delle donne tra gli occupati,
specialmente nel settore dei beni culturali e in attività promozionali. Numerosi sopralluoghi in aree
archeologiche hanno dato riscontro di molti lavoratori e lavoratrici irregolari (alcuni appartenenti alla
Sovrintendenza) che oltre al lavoro svolto regolarmente, offrivano ai turisti una visita guidata non dichiarata.
Tutto questo gioca, ovviamente, a discapito delle cooperative che forniscono a prezzi maggiori (per ovvi
motivi contributivi) lo stesso servizio.
Tra le attività completamente irregolari vi è l’infinita schiera dei cosiddetti “lavoretti”, uno su tutti il
volantinaggio, quasi sempre diffuso grazie al passaparola in una rete più o meno stretta di amici e conoscenti.
Negli ultimi anni, tuttavia, si è riscontrato un aumento del numero di annunci affissi sulle bacheche delle
università. Rivolti ad un pubblico giovane, sono lavori saltuari che non generano alcun tipo di interesse per
gli aspetti contributivi e fiscali.
In altre attività e settori (agenzie di viaggio, uffici di comunicazione, editoria) la pratica più comune
è quella di dichiarare un part-time al posto del tempo pieno, di modo che sia il datore di lavoro che il
lavoratore versino minori contributi previdenziali.
Infine nelle aziende private socio-sanitarie e assistenziali oppure negli studi di consulenza legale e
fiscale, molti laureati e studenti offrono il loro lavoro senza alcuna forma di contratto regolare, una sorta di
lavoro obbligatorio/volontario, che spesso viene percepito come percorso necessario nel cammino verso il
posto “sicuro”.
Per ciò che concerne il terziario tradizionale è sicuramente più facile trovare lavoratori
completamente irregolari nei retrobottega e nelle cucine che non tra i commessi; per questi ultimi la pratica
più diffusa infatti è il “fuori busta”, elargizioni a nero che compensano le ore in più lavorate rispetto a quanto
previsto dal contratto (spesso part-time). Anche qui la fascia “debole” è rappresentata dai giovani: tra gli
addetti dai 18 ai 30 anni si concentra il 70% del sommerso.
Tra i più regolari vi sono i diplomati del settore alberghiero che lavorano nei grandi hotel del centro,
probabilmente perché una struttura di dimensioni maggiori è più probabile che venga ispezionata.
La ricerca quindi dedica un’attenzione particolare alla realtà multietnica dell’Esquilino, presentando
una breve storia dell’evoluzione socio-urbanistica di un quartiere che – posizionato accanto alla Stazione
Termini – ha nella sua genesi un ruolo di accoglienza per i nuovi arrivati (prima dalle regioni meridionali,
poi dai paesi extracomunitari).

20
Si affronta così la spinosa questione del sommerso degli immigrati a Roma. Vi è una relazione tra
sommerso ed immigrazione che genera una sorta di circolo vizioso spinto da fattori economico-sociali
(mismatch tra domanda e offerta di lavori umili) e da fattori giuridico-istituzionali (poca flessibilità del
mercato del lavoro italiano, politiche di regolazione degli immigrati ecc.). Maggiormente interessati a queste
dinamiche sono i settori della vendita al dettaglio (spinti dal mercato forte della contraffazione di marchi e
merci prodotte irregolarmente), dei servizi alla persona (colf e badanti), dell’edilizia (preoccupante il ritorno
del caporalato), dei trasporti e del turismo. Questi comparti hanno caratteristiche comuni: alta intensità del
lavoro, bassi livelli di innovazione tecnologica, bassa crescita di produttività, una difficoltà ad esternalizzare
e trasferire operazioni oltre i confini nazionali; aspetti questi che innalzano il rischio di immersione della
forza lavoro straniera.
Per ciò che concerne l’Esquilino nello specifico, è opportuno incrociare la dimensione cronologica con
quella istituzionale anche per comprendere come la società di arrivo retroagisce sui fenomeni di
immigrazione. “Lavoro irregolare ed economia informale precedono l’arrivo degli immigrati. Se il loro
utilizzo al di fuori delle regole legislative e contrattuali è così diffuso, le ragioni vanno ricercate nella
struttura, nel funzionamento, nella regolazione istituzionale dei sistemi economici in cui si inseriscono, che a
loro volta hanno profondi legami con l’organizzazione della società, la sua storia e le sue istituzioni”
(Ambrosini, 1999) 10 . Le dinamiche d’insediamento collettivo, il contributo alle economie metropolitane
hanno come scenario le città in ristrutturazione e gli immigrati sono parte attiva di una popolazione che si
ridisloca sul territorio, ne occupa gli interstizi e ne condiziona il cambiamento e il futuro.
La ricerca affronta quindi l’argomento del sommerso di impresa analizzando una realtà tipica di
molte periferie romane, i capannoni di Trigoria. Percorrendo la via Laurentina a Sud di Roma, ed
imboccando via di Trigoria, ci si imbatte in una serie di fabbricati che ospitano trentasette aziende poste
contiguamente una di fianco all’altra. Sebbene i settori di attività siano diversi, sono state riscontrate pratiche
di lavoro irregolare completamente a nero o semisommerse (le cosiddette “paghe bianche”); inoltre, dato il
carattere famigliare di diverse aziende, è difficile tracciare il confine tra regolare e irregolare all’interno di
pratiche informali non contabilizzate.
Tre le cause principali di tale diffusione dell’economia irregolare vi è: anzitutto, una scarsa
conoscenza e dimestichezza con la burocrazia, ritenuta a priori complicata e distorcente, il che favorisce una
sorta di ripiegamento su rapporti informali e irregolari; in secondo luogo, la consistente presenza di
manodopera immigrata disposta a lavorare in condizioni di irregolarità; infine, la presenza di microimprese
che necessitano solo in alcuni casi di ulteriore manodopera, accentuando la stagionalità che è terreno fertile
per l’irregolarità.
Uscendo dai confini della Capitale, la ricerca volge verso Nord, nella provincia di Viterbo,
affrontando la tematica del lavoro nero nel distretto ceramico di Civita Castellana. L’attività ceramica ha
radici profonde nella tradizione storica e artigiana della cittadina, ma solo nel secondo dopoguerra si osserva
un massiccio proliferare di piccole e medie imprese. Un impiego limitato di tecnologie di livello comunque
modesto, contenuti investimenti iniziali e forte propensione al “fare impresa” dei civitonici (influenzata da

10
M. Ambrosini, Utili Invasori, Franco Angeli, Milano 1999.
21
una chiara componente imitativa) hanno incoraggiato e determinato il nascere di molteplici unità locali.
Inizialmente la produzione era incentrata sulla quantità di pezzi prodotti a discapito della qualità e del design.
Negli anni successivi (’80-’90), invece, il maggiore utilizzo delle macchine, la progressiva differenziazione
dei prodotti e l’ingresso di soggetti esterni alla realtà locale hanno parzialmente modificato il tessuto
economico di Civita Castellana. Queste tendenze hanno contribuito ad orientare la produzione e hanno –
forse – influenzato la tendenza verificatasi alla fine degli anni ’90, di concentrare le imprese in veri e propri
gruppi aziendali. L’attività delle grosse aziende non è concentrata perciò in un unico stabilimento, ma su più
unità produttive, proprio a causa del modo nel quale si è determinato l’ampliamento della base produttiva.
A questo punto è però necessario distinguere l’andamento del settore sanitario da quello delle
stoviglierie: il primo è legato all’andamento del mercato edile e vanta un bilancio sostanzialmente positivo,
anche se nell’edilizia vi sono ricorrenti momenti di stagnazione. La richiesta di prodotti di alta qualità ha
impegnato le imprese civitoniche leader del distretto in un produzione “mista”: prodotti di livello medio-
basso vengono affiancati da altri di qualità superiore.
Il comparto delle stoviglierie attraversa invece un momento molto difficile, stretto dalla concorrenza
di paesi con grande tradizione ceramica (Germania e Francia soprattutto) e dai nuovi bacini di produzione
sviluppatesi in alcune aree del sud-est asiatico, del medio-oriente e dell’est europeo.
Nel corso del 2000 si è riscontrato un mutamento in nuce nella produzione e nell’indotto –
determinato forse dalla crisi che attraversa il comparto delle stoviglierie – orientato nei nuovi settori
dell’arredo bagno e della meccanica leggera legata alla produzione ceramica.
Ciò che può frenare la spinta al cambiamento è l’individualismo che era presente e che continua ad
esser vivo nel centro ceramico; caratteristica questa in parte influenzata anche da una scarsa opera degli enti
territoriali, che hanno contribuito ad un dir poco tardivo riconoscimento del polo come distretto industriale,
negandogli le agevolazioni che lo Stato italiano prevede per tale sistema locale.
Il ricorso al cottimo, specialmente nei primi anni di vita del distretto, ha determinato una sorta di
spontaneità del mercato del lavoro nell’usare accordi informali per concordare la quantità di produzione
aggiuntiva, costeggiando il crinale dell’irregolarità, a tratti immergendosi per poi riemergere in un secondo
momento. Le evoluzioni avvenute dall’inizio degli anni ’90 hanno contribuito a creare nuove mansioni e
nuove tipologie di reclutamento irregolare e di economia informale. Tuttavia, per concludere, mentre le
professioni più qualificate sono risultate il più delle volte regolari, anche perché il personale specializzato
proveniva da aree non comprese in quella distrettuale (e quindi venivano meno i legami informali e
socializzati propri del comprensorio), le professioni de-qualificate sono risultate spesso sommerse.
Da segnalare, infine, la presenza di un importante agenzia di lavoro interinale con circa quattrocento
iscritti che, secondo molti intervistati, assorbe e recluta gran parte della manodopera (poco specializzata, ma
anche professionale) e controlla così il ricorso al lavoro nero.
Infine, la sperimentazione del Reddito Minimo di Inserimento dal 1998 ha contribuito ad
approfondire alcune situazioni di lavoro sommerso presenti nel polo ceramico, grazie allo stretto contatto tra
operatori e beneficiari. I casi riscontrati non sono stati molto numerosi, nonostante ciò possono essere
classificati in due tipologie: coloro che si immergono ritenendo il proprio salario insufficiente per la
soddisfazione dei propri bisogni; coloro che non ritengono di avere possibilità occupazionali se non quella di
22
offrire il proprio lavoro a basso costo e senza contratto (o con contratto irregolare), avendo spesso un basso
livello di scolarità e vivendo in una condizione di esclusione e disagio.

23
L’economia sommersa e il lavoro irregolare in Campania.
Analisi delle esperienze recenti per favorire l’occupazione regolare e l’emersione dal sommerso

Prof. Liliana Bàculo


Università “Federico II” di Napoli
Facoltà di Economia

Introduzione
L’indagine svolta mira a fornire un quadro delle caratteristiche e delle cause dell’economia sommersa e del
lavoro irregolare, nonché dei nessi che legano i motivi dell’immersione da una parte, con il rapporto di
fiducia tra Stato e cittadini e, dall’altra, con l’azione dello Stato in quanto fornitore di sussidi.
Concretamente lo svolgimento del lavoro ha previsto una prima fase di raccolta ed elaborazione del
materiale di ricerca (bibliografia di riferimento, interviste, tesi di ricerca) sviluppato durante i corsi di
Economia dello Sviluppo (Prof.ssa Bàculo) e di Politica Economica (Prof. Meldolesi) presso l’Università
“Federico II” di Napoli, mentre, in una seconda fase, si è organizzata la documentazione raccolta in modo da
rendere fruibile la consultazione da parte del Ministero del Lavoro. L’obiettivo è quello di conoscere più in
profondità l’economia del Mezzogiorno, muovendoci sul campo, alla ricerca di cosa esistesse effettivamente,
al di là di ciò che si poteva ricavare dai soli dati statistici.
Un primo risultato della ricerca è la grande varietà di sommerso e di mercati del lavoro, a seconda
delle caratteristiche sociali e culturali presenti nei vari luoghi, anche nell’ambito della stessa regione. Così,
ad esempio, nelle zone interne della Campania, abbiamo incontrato laboratori semisommersi, che impiegano
lavoratori con un contratto formalmente in regola, ma pagati per un periodo dichiarato inferiore a quello
effettivo (paga “leggera o “bianca”). Viceversa nelle zone costiere o nella città di Napoli è maggiormente
estesa la presenza di lavoro irregolare non dichiarato (lavoro nero): in questo caso, in imprese con tre o
quattro addetti dichiarati, ne lavorano almeno il doppio o il triplo. Un’altra forma di irregolarità si nasconde
nel decentrare fasi della produzione a più laboratori indipendenti: così una impresa con quattro addetti
dichiarati regolarmente si rivolge a sei o sette laboratori, ognuno dei quali, pur dotato di partita IVA, può
avere un numero imprecisato di lavoratori irregolari; mentre la prima risulta pienamente in regola, le altre lo
sono parzialmente. Così si possono fronteggiare picchi di domanda a costi contenuti. Non infrequente, anche
se con intensità diverse e a seconda del tipo di lavorazione, è l’utilizzo del lavoro a domicilio.
Un importante risultato della nostra ricerca consiste nell’aver scoperto che il costo del lavoro non è
l’unica causa che genera sommerso. Tra i motivi dell’immersione uno risiede certamente nell’incapacità e
nella difficoltà di molti imprenditori di gestire le loro aziende rispetto alle norme vigenti. Alcuni
imprenditori, infatti, sono ex-operai in grado di produrre o ex-commercianti capaci di vendere e di produrre.
Si può dedurre che considerando la numerosità delle norme vigenti e la difficoltà di districarsi tra i molteplici
uffici, averle eluse è stato un modo di “aggirare” questo ostacolo e di dedicarsi principalmente nell’attività
produttiva.
Il secondo motivo ha a che fare con il cattivo rapporto tra i cittadini e lo Stato. Benché questo sia un
connotato della società meridionale e risale, secondo alcuni storici, all’unificazione dell’Italia, la sfiducia
verso lo Stato è, in questo caso intrisa di più elementi. In primo luogo conta il fatto che questi piccoli
imprenditori vantano di essersi “fatti da soli”, senza l’aiuto della mano pubblica. Inoltre, l’inefficienza e la
24
corruzione della pubblica amministrazione locale e centrale contribuiscono a peggiorare la mancanza di
fiducia.
A queste cause se ne aggiungono altre più note e frequentemente riconosciute anche negli altri paesi,
come l’alto livello di tassazione, le pesanti norme contributive, fiscali e sindacali nel mercato del lavoro,
l’eccessiva burocratizzazione, il basso livello di servizi di consulenza offerti; gli effetti della globalizzazione
(in termini di maggiore conoscenza).
Volendo sintetizzare i risultati della nostra ricerca, possiamo dire: che l’economia sommersa esistente
nel Mezzogiorno è prevalentemente di produzione più che di sussistenza o di sola assistenza 11 ; che l’essere
semi-sommersi ha reso più facile l’inizio dell’attività produttiva e ha permesso che si affermassero nuove e
vecchie competenze e che si rafforzasse l’autostima di questi nuovi imprenditori; che il sommerso ha diverse
cause collegate tra di loro ed è un segnale di malessere e di disfunzioni della società.

Le ricerche
Nel complesso sono state individuate oltre quattrocento aziende ed una ventina di lavoratori/lavoratrici a
domicilio. Su questi dati raccolti si possono fare diverse considerazioni. La prima osservazione riguarda il
diverso peso dei settori sul totale. Su 466 aziende rilevate, il settore del tessile e abbigliamento rappresenta
oltre il 15%, il settore agricolo, alimentare e florovivaistico oltre il 17%, il commercio conta per il 6,44% e il
settore calzaturiero per il 5%. Per gli altri settori, si passa da circa l’8% (lavorazione dei metalli) a circa il
7% (elettromeccanico, elettronico, elettrotecnico) e ad oltre il 4% (per la lavorazione del legno), mentre per il
resto si registrano percentuali più basse. Questa composizione certamente non rappresenta la struttura
economica della Campania, né è stata pensata con questo fine. L’idea era piuttosto di avvicinare gli studenti
dell’Università alla realtà economica in cui vivono e a fare alcune considerazioni su di essa. Ne è derivato
uno spaccato che pur se non rispecchia l’economia della Regione tuttavia offre interessanti spunti di
riflessione.
Nella trattazione che segue, analizzerò quei settori il cui peso percentuale è maggiore e che possono
fornire un’idea delle caratteristiche dell’intero gruppo.
Iniziando dalle aziende del tessile e abbigliamento del gruppo considerato, si può notare che esse si
concentrano prevalentemente nei comuni a nord di Napoli, (la zona A che comprende: Afragola, Arzano,
Aversa, Casandrino, Frattamaggiore, Grumo Nevano, Parete (CE), S. Antimo, e Secondigliano) e nei comuni
vesuviani (e cioè quelli della zona B: Boscoreale, Boscotrecase, Ercolano, Nola, Pomigliano d’Arco, Portici,
S. Giuseppe Vesuviano, S. Sebastiano al Vesuvio, Terzigno, Torre Annunziata). In queste zone sono state
inserite anche le imprese dell’indotto. In questo modo si può avere un’idea della vocazione della zona e di un
potenziale sistema locale o protodistretto.
Accanto a queste punte di qualità c’è una intera gamma di aziende che lavorano prodotti diversi, come
giubbotti in pelle, guanti di pelle, calzini, jeans, camice, abiti da uomo, da donna e per bambini, costumi da

11
Il sommerso di sussistenza si ha in quelle zone molto povere, delle città o delle campagne, dove l’aiuto reciproco
permette la sopravvivenza di queste popolazioni. Alcuni hanno parlato di sommerso formale/informale riferendosi al
fenomeno dell’assistenza a persone deboli (come i minori, vedove o ragazze madri, anziani). In uno stesso paese si
possono avere, in misura diversa, le tre forme di sommerso: di produzione, di sussistenza e di assistenza.
25
bagno, oltre ad aziende che forniscono prodotti come grucce o buste, in plastica per abiti o in carta, oppure
offrono servizi come attività di import-export. Molte di esse sono semisommerse, nel senso che decentrano
gran parte della produzione a laboratori locali (con partita IVA), dove il grado di immersione e il numero di
lavoratori irregolari è maggiore. In alcuni casi risulta regolare il titolare e al più un suo parente (figlio o
consorte) mentre gli altri lavoratori/lavoratrici sono interamente a nero (come accade in un’azienda di Napoli
nord che produce giubbotti in pelle sintetica e ha ben 15 operaie irregolari). In genere, il numero di addetti
non dichiarati oscilla tra la metà e un terzo del totale.
Rispetto ai mercati di sbocco prevale quello nazionale ma non mancano esempi di imprese che
esportano all’estero. I legami con imprese del Nord d’Italia sono piuttosto frequenti così come all’interno
delle zone individuate.
Una fonte di difficoltà è la presenza di criminalità che comporta o il pagamento di un “pizzo” o una
offerta obbligata di alcuni prodotti. Quest’ultima forma è spesso usata da funzionari corrotti. Più in generale
la questione dell’ordine pubblico porta alla considerazione dell’assenza dello Stato, che viene percepito solo
come esattore e non come erogatore di servizi.
La globalizzazione e i suoi effetti sono ben visibili nel gruppo di imprese esaminato. Oltre alla
concorrenza derivante dai laboratori localizzati specie nell’Europa dell’Est, alcuni imprenditori locali
decentrano all’estero. In particolare, vi è il caso di un’azienda di Arzano che svolge una lavorazione più
economica in Cina, mentre quella di maggiore qualità viene prodotta in loco. Altri hanno contatti con diversi
paesi asiatici dove fanno produrre dei capi che poi commercializzano in Italia. Esiste tuttavia, in particolare a
San Giuseppe Vesuviano, anche il caso di cinesi che hanno creato dei laboratori che producono per
committenti locali ed utilizzano interamente forza lavoro cinese, a ritmi molto intensi.
Nell’ambito del settore Tessile e Abbigliamento, nel comune di Ercolano, esiste un’attività
semisommersa che consiste nella vendita di abiti usati. Il lavoro si svolge in ampi capannoni dove balle di
abiti usati provenienti da vari paesi (sia europei che dagli Usa) vengono aperte e gli abiti vengono suddivisi
asseconda della qualità e dell’usura. Quelli in migliori condizioni vengono rispediti per essere venduti in vari
mercatini dei paesi dell’Europa dell’est, così come dei paesi industrializzati. Gli altri sono in parte venduti
localmente, sebbene la maggior parte sia spedita in Africa. La selezione degli abiti è in questo caso una vera
specializzazione, in quanto l’addetto deve al tatto valutare la qualità dell’abito. Il giro di affari sembra sia
molto elevato (diversi miliardi di lire) e la difficoltà di valutarlo risiede esattamente nel notevole grado di
ricorso al lavoro irregolare e, secondo alcuni, nell’infiltrazione di elementi camorristici.
Se nell’abbigliamento troviamo tipologie produttive stagionali (come è il caso dei costumi da bagno)
ancor più questo accade nel settore agricolo e dell’alimentare. In questi settori la possibilità di ricorrere a
contratti stagionali potrebbe far pensare ad una minore presenza di sommerso, ma così non è come è emerso
dalle ricerche sul campo. Anche qui vi è un frequente ricorso al lavoro dei familiari, mentre la forma della
cooperativa è spesso attuata.
Benché il mercato di sbocco sia spesso quello locale, non mancano casi di imprese rivolte a mercati
esteri, specie nel caso dei pastifici. Ugualmente variegata è la presenza di aziende dell’indotto che forniscono
semilavorati al settore alimentare.

26
Passando ad esaminare le attività che si dedicano al tempo libero , anche se nel gruppo esse
rappresentano il 5%, nella struttura economica della Campania hanno un peso maggiore e sono in crescita. E’
noto che in queste attività il ricorso al lavoro irregolare è molto diffuso specie per la forte stagionalità.
Tuttavia non sempre questo è il motivo, come accade per le scuderie di Agnano, dove c’è l’infiltrazione della
camorra, oppure per l’attività di animazione e per i ristoranti spesso gestiti da giovani o da un gruppo
familiare (almeno inizialmente).
Un altro settore molto presente in Campania 12 è quello calzaturiero, anche se nel gruppo considerato
raggiunge appena il 5%. Un primo dato interessante è che in molti Comuni (Arzano, Aversa, Casandrino,
Frattamaggiore, Grumo Nevano) dove si producono abiti c’è anche la produzione di calzature, lo stesso vale
per Napoli. Colpisce il notevole ricorso al lavoro irregolare e alle lavoranti a domicilio, l’altezza del fatturato
(spesso oltre il miliardo) e i mercati di sbocco che vanno dall’Europa dell’Est, agli USA, al Giappone, oltre
che verso quello nazionale. Come è stato confermato dalle nostre ricerche la concorrenza della qualità
medio/bassa si basa sul basso prezzo e quindi sul basso costo di produzione. Trattandosi di un’attività ad alta
intensità del lavoro, nonostante l’uso di macchine moderne, il costo del lavoro incide notevolmente; di qui
l’ampio ricorso al “nero”. Diversa è la situazione delle calzature di qualità medio/alta ed alta, dove la
concorrenza non sta tanto nel (basso) prezzo quanto nella qualità e nello stile. In questo caso, benché il costo
del lavoro abbia un’incidenza notevole, specie per l’alta professionalità richiesta, questo viene compensato
dalla qualità che permette di spuntare prezzi più alti e remunerativi. Come per le imprese dell’abbigliamento
anche queste del calzaturiero hanno segnalato la piaga della criminalità e il dover pagare il “pizzo”.
Passando al gruppo che comprende imprese del settore metalmeccanico,13 si nota una minore
presenza di ricorso al lavoro irregolare se non quando si passa all’assemblaggio di materiale elettrico. Altro
dato interessante è il collegamento, anche per questi settori, con imprese del Nord d’Italia che decentrano
alcune fasi della produzione. Rispetto al mercato di sbocco, pur se prevale quello locale e nazionale, non
mancano casi di imprenditori che esportano (Spagna, Svizzera, Venezuela).
Le zone di localizzazione sono varie con una presenza maggiore in alcuni Comuni dove esistono aree
ASI, come ad esempio ad Arzano. In questo caso il ricorso al lavoro irregolare è maggiore nelle produzioni
più “semplici” mentre è del tutto assente nelle altre, salvo qualche caso nel quale il lavoro irregolare è dovuto
a picchi di produzione o a forme di decentramento di fasi marginali. Infine consideriamo il raggruppamento
della lavorazione del legno e tarsia. Qui, oltre alla produzione propriamente artigianale tradizionale,
abbiamo quella lavorazione che consiste nell’intarsio che si attua principalmente nella zona di Sorrento, la
cui produzione incontra particolare successo sui mercati esteri più che in quello italiano. In questo comparto
si ricorre all’apprendistato ma anche al lavoro irregolare, specie finché l’operaio non apprende il mestiere.

12
La produzione di calzature ha una tradizione importante sia di qualità alta (specie a Napoli) che di qualità media e
medio/bassa (Grumo Nevano, Caserta). Questo settore è stato oggetto, come si è detto nei paragrafi precedenti, di
diversi studi anche da parte del nostro gruppo di ricerca ( L.Bàculo, 1997) Poiché il processo produttivo può essere
suddiviso in fasi, alcune sono decentrate a laboratori e a lavoranti a domicilio. Di qui la forte presenza di lavoro
irregolare e di varie tipologie di irregolarità (evasione fiscale, ambiente di lavoro).
13
In questo gruppo sono state riunite aziende del settore elettromeccanico, elettrotecnico ed elettronico, nonché quello
della lavorazione dei metalli.

27
Consorzi e C.U.O.R.E.
La promozione di consorzi di piccole imprese prende spunto dalla constatazione che l’eccessivo
individualismo tra i vari attori e la scarsa fiducia tra i soggetti sono un elemento di debolezza dei sistemi
locali meridionali e delle piccole imprese, perché portano ad un’accesa concorrenza tra loro basata
prevalentemente sulla riduzione dei prezzi di vendita a scapito della qualità.
Di qui, con l’aiuto determinante di alcuni nostri collaboratori, abbiamo promosso la costituzione di
alcuni Consorzi di piccole aziende, in particolare, nei settori dell’abbigliamento 14 (Consorzio di Positano),
dei guanti (Napoli guanti) e delle porcellane e ceramiche di Capodimonte. Gli scopi dichiarati per lo più
sono: l’acquisto di alcune materie prime a condizioni più favorevoli, la partecipazione a fiere,
l’organizzazione di mostre, l’ottenimento di condizioni più vantaggiose presso le banche15 , la definizione di
un marchio collettivo, l’accesso a nuovi mercati, una maggiore autovalorizzazione della forza degli
imprenditori, un miglioramento del processo produttivo e delle condizioni di lavoro grazie ad un accesso a
consulenze più qualificate e all’introduzione di innovazioni. Il fine ultimo, in sintesi, consiste nello spingere
imprese “deboli” e con alcune forme di irregolarità, a rafforzarsi in modo da essere in grado di competere sul
mercato nella piena legalità. Costruire e/o rafforzare la fiducia diviene perciò un tassello importante delle
politiche per l’emersione.
Grazie quindi alla costituzione di questi Consorzi e alla promozione di diverse attività, tra cui la
partecipazione a fiere e l’allestimento di mostre, realtà prima poco conosciute 16 sono state poste
all’attenzione dei politici.
Il ruolo svolto da noi e dai nostri collaboratori è stato di comprendere i punti di forza e di debolezza di
queste imprese, di collegarle con istituzioni, come, ad esempio, l’Istituto Italiano per il Commercio Estero e
con altre presenti nella regione, svolgendo così anche un compito di “animazione istituzionale”. Tuttavia,
benché siano stati ottenuti alcuni risultati soddisfacenti, il rischio che ciò che è stato fatto si vanifichi è
ancora molto alto.
Una prima difficoltà è rappresentata dalla lentezza e dalle logiche delle istituzioni pubbliche, ai vari
livelli (comunale, provinciale, regionale, nazionale, comunitario). Il decentramento amministrativo col
principio di sussidiarietà spinge verso un’attenzione maggiore per lo sviluppo locale e quindi per una
maggiore conoscenza delle risorse esistenti nelle diverse zone. In questo modo la questione dell’emersione
non può essere elusa.

14
Nel settore del tessile abbigliamento abbiamo contribuito anche alla costituzione del Consorzio Napoli 2001, che
raccoglie un certo numero d’imprese di S. Giuseppe Vesuviano. In questo caso l’iniziativa è partita da un imprenditore
locale, che tuttavia è stato coadiuvato da una nostra laureata, divenuta successivamente direttrice del Consorzio.
15
E’ accaduto che alcuni soci di uno stesso consorzio erano clienti di una stessa banca. L’amministratore delegato del
consorzio ha quindi contattato il direttore della Banca comunicandogli che alcuni suoi clienti avevano costituito un
consorzio e che, se fossero state adottate condizioni più favorevoli, anche altri soci del consorzio sarebbero divenuti
clienti della Banca. Il risultato è stato decisamente positivo per gli imprenditori già clienti che per i nuovi poiché
entrambi hanno avuto condizioni migliori di prima.
16
Pur trattandosi di attività con un’antica tradizione, la percezione presso le autorità politiche ed amministrative era che
fossero quasi scomparse, come è accaduto ad una mia laureanda che, avendo deciso di svolgere la sua tesi su questo
settore, si era recata presso la Camera di Commercio per raccogliere i dati. Il funzionario responsabile invece di fornirle
i dati la scoraggiò sostenendo che ormai non esistevano più imprese che svolgevano questa attività.

28
Benché tale acquisizione non sia presente nella maggior parte dei politici, tuttavia si sta facendo
strada, rompendo il “patto col diavolo” finora vigente 17 .
La seconda esperienza si riferisce alla creazione di Centri Urbani di Riqualificazione Economica
(C.U.O.R.E) in alcuni quartieri degradati della città di Napoli.
L’idea di promuovere in queste zone “a rischio” iniziative per individuare e accrescere realtà
produttive esistenti o risorse potenziali ci venne dopo l’esperienza relativa ad un progetto dell’Unione
Europea. La partecipazione al progetto Urban-Napoli relativamente alla misura di rivitalizzazione economica
in due quartieri del centro antico – i Quartieri Spagnoli e la Sanità.
La metodologia adoperata è consistita nel procedere, inizialmente, ad un “censimento a vista”. Infatti i
nostri collaboratori hanno percorso le strade principali del quartiere registrando le attività esistenti. Questi
dati sono stati poi confrontati con quelli Infocamere (aggiornati al marzo 1999) per verificare le modifiche
avvenute (chiusura o apertura di nuove attività) e per determinare un “universo effettivo” di attività
produttive e di servizio. Lo svolgimento di questa fase ha comportato anche la possibilità di stringere un
primo contatto con gli operatori dei due quartieri, iniziando ad intessere delle reti fiduciarie. I risultati di
questa ricerca hanno mostrato casi di imprese con alcune irregolarità, tra cui: l’inadeguatezza dell’ambiente
di lavoro rispetto alle regole stabilite dalla Unione Europea; la regolarizzazione di alcuni lavoratori non
regolari; l’ottenimento della licenza sanitaria (vivibilità e sicurezza dell’ambiente di lavoro). Questi
imprenditori potevano usufruire di alcune agevolazioni creditizie per mettersi in regola. Altri incentivi erano
previsti per l’acquisto di nuovi macchinari e per l’assunzione di nuovo personale.
L’esperienza positiva di questa misura del progetto Urban ha dato luogo ad un’altra iniziativa su
richiesta dall’assessore allo sviluppo del Comune di Napoli, ma relativa alle zone periferiche. Rispetto ad
Urban, in questo caso non si avevano fondi destinati specificamente per le aziende dell’area, ma bisognava,
dopo aver analizzato la situazione economica di alcune zone periferiche, suggerire i possibili rimedi
utilizzando le leggi vigenti e gli interventi esistenti.
Il metodo di “avvicinarsi” agli utenti, di conoscere i loro problemi, di informarli sulle possibilità
offerte, ha aperto una breccia presso questi artigiani e piccoli imprenditori, poco coscienti delle loro
potenzialità. Mentre inizialmente gli operatori18 “giravano” nel quartiere per incontrare gli operatori,
all’inizio del 2001 sono stati aperti due Centri (con sede rispettivamente a Secondigliano e a Barra) dove gli
artigiani e i piccoli imprenditori del quartiere e di quelli limitrofi possono recarsi per chiedere informazioni
sugli incentivi esistenti, per sottoporre all’attenzione degli sportellisti i loro problemi e per discutere sul
modo come affrontarli.
L’esperienza di questi Centri, pertanto, induce molte riflessioni perché rappresenta un esempio di
come migliorare l’intervento pubblico ai fini dello sviluppo economico.

17
Una studiosa dell’MIT (J. Tendler, 2001) crede esista nell’America Latina una sorta di “patto del diavolo” tra politici
ed operatori che agiscono nell’economia sommersa. Infatti, da un lato, l’economia sommersa fornisce redditi e lavoro,
dall’altro garantisce che la pace sociale sia mantenuta in aree caratterizzate da alti tassi di disoccupazione.
18
Anche in questo caso si tratta di nostri laureati già formati a condurre interviste in contesti di economia irregolare e
fortemente motivati al successo dell’impresa. Inoltre, in questo caso, sono state nominate responsabili e coordinatrici
del progetto, due persone che avevano lavorato nel progetto Urban e avevano acquisito una conoscenza notevole nel
come superare le resistenze degli operatori. L’intera iniziativa è stata inoltre svolta sotto la supervisione del prof. L.
Meldolesi e mia.
29
Infatti, se si guarda al contributo di alcuni studiosi (tra tutti, ad esempio, P. Evans, 1995) che si sono
occupati di come migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’intervento pubblico, si evince l’importanza di due
requisiti: quello del radicamento e quello dell’autonomia. Tuttavia, nonostante la ricchezza di questo
dibattito, non è facile comprendere i confini di queste due condizioni. Molti fallimenti di interventi pubblici
per lo sviluppo economico sono certamente imputabili o ad eccessiva vicinanza ai problemi (e agli interessi)
locali (troppo radicamento) o ad un’enorme distanza da essi. Altri autori (come ad esempio D. Osborne e T.
Gaebler, 1992) hanno sviluppato il concetto di Stato amico. L’attività dei C.U.O.R.E. offre un esempio
concreto sul significato di termini come radicamento, autonomia, Stato amico.
Grazie a questo lavoro, durato alcuni mesi, è stato possibile intraprendere con alcuni soggetti un
percorso di emersione, un passaggio cioè ad una situazione “di un più valido sistema di diritti e di doveri”
nella quale si riduce “la distanza tra Stato e cittadini” e si “induce lo sviluppo di comportamenti legittimi”
(Tab.1, Meldolesi, 2000). In altri termini si promuove l’idea di uno Stato che “accompagna” la
valorizzazione delle risorse locali, ma “che non si lascia imbrogliare”, che richiede di aprirsi al confronto con
gli altri imprenditori locali, nazionali e internazionali. 19

Conclusioni
La complessità delle politiche di emersione richiede una molteplicità di azioni. In primo luogo, occorre
scoprire e analizzare l’esistente, ciò che è nato spontaneamente; in secondo luogo vanno valutati i punti di
forza e di debolezza presenti nei diversi luoghi esaminati; ed infine bisogna rimuovere gli ostacoli e portare
alla piena legalità le imprese.
Una politica del genere ed il suo stretto legame con la politica di sviluppo locale esige un
coordinamento a diversi livelli: a livello centrale – del governo,20 del singolo paese – per definire l’altezza
della pressione fiscale, per semplificare le norme, per ridurre la burocrazia dell’intero paese, per accrescere
l’efficienza dello Stato, per garantire un maggior ordine pubblico, per delineare le linee degli interventi di
politica economica e, in particolare, dell’emersione, ed infine per mettere in atto una valutazione dei risultati
ottenuti; a livello locale – del comune, della provincia e della regione – per mettere in atto le azioni di
promozione dello sviluppo menzionate sopra (scoperta e analisi del sommerso esistente, valutazione della
loro forza e debole zza, emersione).
Gli interventi da compiere, a livello locale, richiedono molteplici competenze per “accompagnare i soggetti
all’emersione ”, in quanto occorrerà: fornire corsi di qualificazione per gli stessi imprenditori e/o per formare
nuove competenze anche nella burocrazia locale; mettere in contatto gli imprenditori del sistema per
individuare le sinergie possibili e le innovazioni che potrebbero essere introdotte; dar voce a questi sistemi
perché possano esprimere la loro domanda, ad esempio riunendoli in consorzi; attivare aree industriali

19
P. Evans, Embedded Autonomy, Princeton University Press, Princeton 1995; D. Osborne e T. Gaebler, Reinventing
Government: How the Entrepreneurial Spirit is Transforming the Public Sector, William Patrick Book, Reading 1992;
L. Meldolesi, Occupazione ed Emersione, Carocci, Roma 2000.
20
Il livello centrale va inteso in senso ampio, comprendendo il governo centrale e quello regionale, a seconda del grado
di decentramento amministrativo esistente in un paese. Se poi la nazione fa parte di un’unione di stati, va tenuto conto
delle politiche generali esistenti. Così, ad esempio, l’Italia, in quanto partecipe dell’Unione Europea, deve coordinare le
politiche per l’emersione con gli accordi comunitari.

30
attrezzate; collegare le realtà locali con diversi mercati di sbocco; individuare un percorso di aumento della
produttività del lavoro e di livelli salariali; infine, accrescere la fiducia reciproca tra gli imprenditori e tra
questi e lo Stato, ai diversi livelli (centrale e periferico).
I due livelli, quello centrale e quello locale, devono interagire in modo da poter valutare di volta in
volta la validità degli interventi, modificando le misure, se necessario.
Questa nostra proposta deriva dalla convinzione che una politica d’emersione che punta su una sola
causa non raggiunge l’obiettivo sperato, come è stato mostrato, a proposito, dalla politica dei contratti di
ria llineamento.

31
Appendice

Titoli delle tesi di laurea e dei rapporti di ricerca


sull’economia sommersa ed i sistemi produttivi regionali
schedati nelle cinque ricerche ministeriali

G. Moro: “Le esperienze istituzionali recenti per favorire l’occupazione regolare e l’emersione del
lavoro non regolare”

Tesi di laurea

F. Scardigno, “Piccole imprese e fabbisogni formativi: una ricerca micro-territoriale a Molfetta”,


Università di Bari, 1996-97.

D. Bove, “La Sacra Corona Unita a Brindisi: sottovalutazione, sviluppo, resistenza”, Università di
Bari, 1996-97.

A. Gernone, “Imprenditorialità femminile”, Università di Bari, 1997-98.

R. Radicci, “Il settore lattiero-caseario di Gioia del Colle ed i fabbisogni formativi”, Università di
Bari, 1998-99.

M. Cipriani, “Il ruolo della formazione per lo sviluppo del Patto Territoriale della Conca Barese”,
Università di Bari, 1999-2000.

V. Magno, “Le politiche attive del lavoro e la flessibilità: il lavoro interinale in Italia e nella città di
Bari”, Università di Bari, 1999-2000.

D. Marciano, “Iniziativa comunitaria LEADER e sviluppo rurale locale: il caso del Gruppo di
Azione Locale (GAL) di Capo S. Maria di Leuca verso un percorso di sviluppo integrato del
territorio”, Università di Bari, 1999-2000.

M. Aiuola, “I distretti industriali nel Mezzogiorno: il caso di Martina Franca”, Università di Bari,
1999-2000.

F. Corona, “Patti Territoriali e sviluppo locale: il caso del Patto Polis del sud-est barese, Università
di Bari, 2000-01.

R. Venera, “Storie spezzate: lavoro minorile e dispersione scolastica in un paese della provincia di
Brindisi”, Università di Bari, 2000-01.

A. Uricchio, “Lo sviluppo industriale della Val Basento”, Università di Bari, 2000-01.

Rapporti di ricerca

N. Stame, “Famiglie e imprese: l’esperienza dell’imprenditorialità giovanile”, 1998.

G. Di Cesare, “Le confezioni a Martina Franca”, 1998.

G. Moro, “I contratti di riallineamento salariale in provincia di Lecce”, 1998/99.

G. Moro, “Le borse lavoro nelle piccole imprese pugliesi: una ricerca valutativa”, 2000.

F. Scardigno, “Analisi delle nuove professionalità richieste dal tessuto imprenditoriale della Conca
Barese e costruzione della mappa delle opportunità”, 2000.

32
E. Mollica: “Linee di intervento a favore dell’emersione del lavoro non regolare nell’ambito de lla
regione Calabria”

Tesi di laurea*

C. Di Vasto, “Il lavoro sommerso e la legge di riallineamento”.

C. Gagliardi, “Il lavoro nero tra domanda e offerta”.

R. M. Gallo, “Il ruolo delle banche nei distretti industriali”.

A. Pinnarelli, “I distretti meridionali: il caso di un polo nascente (Serrastretta)”.

L. Piscitelli, “La dimensione quantitativa del lavoro nero:problemi di classificazione e stima”.

* La ricerca calabrese non riporta il nome delle sedi universitarie dove le tesi sono state discusse.

Rapporti di ricerca

D. Marino, “Primo rapporto sul sommerso in Calabria”.

M. Centorrino: “Effetti diretti ed indiretti sull’emersione del lavoro non regolare nella regione Sicilia
di recenti interventi istituzionali nel mercato del lavoro”

Tesi di laurea
A. Licitra, “Effetti perversi delle politiche occupazionali in Sicilia: la nascita di nuove categorie
sociali”, Università di Roma, 1992-93.

B. Lodato, “Profili economici e prospettive di sviluppo della provincia di Enna”, Università di Catania,
1996-97.

S. Iacono, “L’impresa artigiana della provincia di Ragusa”, Università di Messina, 1998-99.

G. Ventura, “Disoccupazione e qualificazione del capitale umano attraverso la politica della


formazione”, Università di Catania, 1997-98.

S. Casamichele, “La flessibilità nel mercato del lavoro con particolare riguardo alla provincia di
Ragusa”, Università di Catania, 1998-99.

Tumino, “Lavoro nero: analisi delle caratteristiche del sommerso in Italia e nella provincia di Ragusa”,
Università di Messina, 1998-999.

F. Pollino, “Mercati regionali del lavoro e migrazioni: un’inchiesta sulle ragioni della permanenza tra i
disoccupati del Comune di Messina”, Università di Messina, 1999-2000.

A. Fodale, “Lavoro irregolare ed economia sommersa”, Università di Catania, 2000-01.

F. Biondi, “Forme flessibili di lavoro: il lavoro temporaneo”, Università di Catania, 2000-01.

C. Fiore, “Capitale umano, mercato del lavoro ed esclusione sociale”, Università di Messina, 200-01.

D. Puglia, “Lavoro, nuove tecnologie e mercato del lavoro”, Università di Catania, 2000-01.

O. Giambalvo, “Un’analisi socioeconomica dei residenti del Comune di Palermo”, Uiveristà di Palermo,
2000-01.
33
G. Boscaino, “Un’analisi socioeconomica dei residenti all’Albergheria: un’indagine campionaria”,
Università di Palermo, 2000-01.

M. Marchese, “Irregolarità, sommerso e lavoro nero nel Siracusano: un’indagine empirica”, Università
“La Sapienza” di Roma, 2000-01.

A. Franco, “L’economia sommersa nell’area dei Nebrodi: il caso del settore tessile”, Università di
Messina, 2000-01.

Rapporti di ricerca (pubblicati)

G. Signorino, “Povertà e best practices locali di contrasto”, 1999.

A. Purpura, “Secondo rapporto sull’industria manifatturiera trapanese: assetto strutturale e condizioni


operative del comprensorio marmifero trapanese”, Osservatorio economico dell’Assindustria di
Trapani, 1999.

G. Barone, “Sud-est, un modello di sviluppo”, 1999-2000.

AA. VV., “Razionamento del credito come vincolo allo sviluppo: il caso della provincia di Messina”,
Università di Messina e dalla Provincia Regionale di Messina, 2002.

P. Calza Bini, “L’economia sommersa e il lavoro irregolare a Roma e nel Lazio: analisi del fenomeno
attraverso più studi di caso”

*La ricerca del Lazio non fa riferimento a tesi di lauree o rapporti di ricerca.

L. Bàculo, “L’economia sommersa e il lavoro irregolare in Campania: analisi delle esperienze recenti
per favorire l’occupazione regolare e l’emersione dal sommerso”

Tesi di laurea (parzialmente pubblicate)

A. Grasso, “Tra presente e passato a Napoli, un futuro per le aziende di Capodimonte”, Università
“Federico II” di Napoli, 1995-96

L. Iorio, “La floricoltura alle pendici del Vesuvio: un colosso produttivo, un nano commerciale”,
Università “Federico II” di Napoli, 1995-96.

S. Gaudino, “Al Sud qualcosa di nuovo, un originale percorso di sviluppo: la produzione di costumi da
bagno a Gragnano”, Università “Federico II” di Napoli, 1995-96.

A. Arbitrio, “Abbigliamento: abbandoniamo i luoghi comuni. L’esempio del quadrilatero”, Università


“Federico II” di Napoli, 1995-96.

M. Del Monaco, “Lavoro sommerso ed economia emergente: le imprese del settore calzaturiero del
quadrilatero”, Università “Federico II” di Napoli, 1995-96.

M. Buonadonna, “La tradizione di liuteria napoletana: una realtà da scoprire”, Università “Federico II”
di Napoli, 1996-97.

M. R. Aurisicchio, “L’artigianato orafo a Torre del Greco: il cammeo gioiello di famiglia”, Università
“Federico II” di Napoli, 1996-97.

N. di Meo, “Alla scoperta del polo orafo napoletano”, Università “Federico II” di Napoli, 1996-97.

34
M. Ciniglio, “Il decentramento produttivo in Albania delle imprese del tessile-abbigliamento del
Salento”, Università “Federico II” di Napoli, 1997-98.

I. Voltura, “Il settore calzaturiero a Napoli e provincia: sulle orme della tradizione, alla scoperta della
qualità”, Università “Federico II” di Napoli, 1997-98.

A. Califano, “I gioielli italiani di piccola impresa: Torre del Greco e Vicenza a confronto”, Università
“Federico II” di Napoli, 1997-98.

V. De Bernardo, “Scelte politiche ed istituzionali e la realtà ceramica locale: lo sviluppo del sistema
Capodimonte”, Università “Federico II” di Napoli, 1998-99.

Criscuolo, “Sviluppo locale e nuova programmazione nell’area torrese-stabiese”, Università “Federico


II” di Napoli, 1998-99.

M. Caggiano, “La via del vino: un percorso di sviluppo in Irpina”, Università “Federico II” di Napoli,
1999-2000.

Rapporti di ricerca (pubblicati)

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S. Gaudino (a.c.d.), “Percorsi meridionali di sviluppo”, ESI, Napoli, 2002.

Tesi di laurea (non pubblicate)

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“Federico II” di Napoli, 1997-98.

V. Novella, “I guanti di pelle a Napoli: non solo tradizione, ma una realtà produttiva da scoprire”,
Università “Federico II” di Napoli, 1997-98.

C. De Stefano, “La grande impresa come agente di sviluppo economico: la IPM nel settore delle
telecomunicazioni”, Università “Federico II” di Napoli, 1998-99.

D. S. Dell’Aquila, “L’economia del crimine organizzato”, Università “Federico II” di Napoli, 1999-
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R. Celentano, “I contratti di riallineamento retributivo nel TAC della provincia di Lecce”, Università
“Federico II” di Napoli, 1999-2000.

R. De Ruggiero, “La calzetteria racalina: rivelazione di una realtà che compete con il Nord”, Università
“Federico II” di Napoli, 1999-2000.

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35
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36
Le caratteristiche del sommerso femminile nell’area dello
Stretto di Messina. I risultati di un’indagine campionaria
di
Elena Girasella 1 e Domenico Marino 2

25 Febbraio 2003

1 Comitato Nazionale per l’Emersione del Lavoro Non Regolare


2 Università Mediterranea di Reggio Calabria
Indice
1.- Introduzione
2.- La metodologia della ricerca
3.- Lo svolgimento della ricerca.
4.- Le caratteristiche dell’offerta di lavoro femmini1e nell’area
5.- L’analisi del lavoro irregolare
6.- Le principali caratteristiche delle lavoratrici irregolari
7.- Le interviste dirette ad un gruppo di “testimoni privilegiati”
8.- Le politiche di intervento e le politiche di emersione

Bibliografia
Appendice
1.- Introduzione

Negli ultimi anni si è assistito ad un costante aumento della partecipazione femmnile al

mercato del lavoro. Questo incremento dell'offerta di lavoro, non accompagnata da

un'adeguata espansione della domanda e congiunto ad alcuni fattori culturali, economici

e sociali che ancora frenano l’inserimento della donna nel mercato del lavoro ha

determinato negli ultimi anni un aumento consistente sia della disoccupazione

femminile e sia delle forme di occupazione irregolare.

Si riscontra una certa “ostilità” dei meccanismi di mercato nei confronti del lavoro

femminile ed è è ancora pesantemente confermata la disparità dei redditi da lavoro, e

delle prospettive di carriera fra maschi e femmine. L'accesso al lavoro da parte delle

donne viene così caratterizzato da una tripla segregazione: professionale (accesso solo

in alcuni segmenti del mercato del lavoro considerati femminili) e verticale (scarsa

possibilità di carriera), segregazione sulle modalità (incidenza del lavoro irregolare).

Le ragioni principali dell’interruzione del rapporto di lavoro possono essere le

dimissioni volontarie dovute alle difficoltà di conciliare lavoro ed impegni familiari,

oppure ad insoddisfazione per l’attività svolta, oppure ancora all’esiguità delle ore

lavorate o della retribuzione

Il mercato del lavoro femminile appare, quindi, diverso da quello maschile per salari più

bassi, segregazione e maggiore flessibilità e mobilità durante tutto l’arco della vita

lavorativa.

La disoccupazione e i salari bassi sono socialmente accettabili se il loro grado di

incidenza è basso, se cioè colpiscono, per periodi brevi, gruppi estesi di lavoratori.

Diventano socialmente inaccettabili se incidono per lunghi periodi di tempo su gruppi

ristretti di lavoratori e di famiglie. (Marino D. Martella M., 1996)


In questo lavoro si cercherà di analizzare il fenomeno del lavoro femminile irregolare a

partire dai dati di un’indagine sul campo realizzata nell’area dello Stretto di Messina

(Comune di Reggio Calabria e di Messina).

Dallo studio delle caratteristiche delle lavoratrici irregolari si tenterà di trarre delle

ipotesi di policy, utili a regolarizzare il mercato del lavoro femminile.

2.- La metodologia della ricerca


L’ indagine è stata compiuta attraverso la somministrazione di un questionario ad un
campione di donne dei Comuni di Messina e Reggio Calabria ed è stata completata con
un lotto di interviste dirette a dei “testimoni privilegiati” che operano da anni per lo
sviluppo del nostro territorio di riferimento.
Il campione di donne da intervistare è stato scelto a partire dai dati presenti nell’archivio
telefonico. Da questo campione sono stati selezionati 500 nominativi sulla base di un
meccanismo di tipo casuale che, a partire da un numero estratto, individua nell’elenco il
soggetto da intervistare, scegliendolo secondo una cadenza determinata in relazione alla
dimensione del comune. Il numero di estrazioni da fare per ciascun comune era stato
precedentemente previsto per cercare di avere un campione che fosse il più possibile
rappresentativo dell’universo.
Anche se nella letteratura statistica viene fatto notare che l’uso degli elenchi telefonici
presenti una piccola fonte di errore dovuta al fatto che vengono esclusi i non abbonati al
telefono, tuttavia in questo caso, dato l’ormai grandissima diffusione del mezzo
telefonico, questo errore appare trascurabile.
Le prescelte sono state raggiunte presso il loro luogo di residenza da degli intervistatori,
precedentemente istruiti che hanno eseguito l'intervista.
Il campione, data l'omogeneità dell'universo e l'ampiezza dello stesso, può ritenersi

adatto a garantire un' elevata qualità del dato 3.

3 Non si è voluto deliberatamente fare riferimento al concetto di campione significativo spesso criticato in letteratura
L'ampiezza è stata scelta anche in relazione al tipo di incroci che si aveva intenzione di fare curando di evitare che a
causa delle non risposte e della dimensione dei sottogruppi le analisi venissero fatte su campioni esigui di dati ( Bailey,
“ Metodi della ricerca sociale”, Il Mulino 1991)
L’indagine relativa agli attori istituzionali non ha posto particolari problemi dal punto di
vista statistico, poiché il numero limitato di soggetti individuati non ha reso necessaria
la costruzione di un campione significativo.
In questo caso non è stato elaborato un questionario strutturato, bensì una traccia di
intervista, poiché le domande erano aperte e l'intervistatore era chiamato ad instaurare
un dialogo con l'interlocutore, più che semplicemente somministrargli delle domande
chiuse. Detta traccia di intervista, così come il questionario somministrato al campione
di donne, è contenuta in allegato.

3.- Lo svolgimento della ricerca.


La fase di rilevazione mediante questionario intende focalizzare l’attenzione su dati di
medio- lungo periodo.
La fase di rilevazione sul campo è stata conclusa su un campione di: 500 donne e 30
attori istituzionali.
L’analisi sul campo si è articolata sulle seguenti fasi:
- raccolta dei dati tramite un questionario strutturato somministrato agli attori
istituzionali e alle donne;
- analisi delle informazioni raccolte;
- inserimento dei dati nella banca dati;
- elaborazioni dei dati

L’intervista di tipo narrativo diretta agli attori istituzionali è stata progettata al fine di
rilevare direttamente da costoro le loro considerazioni circa il rapporto fra condizione
femminile, sviluppo economico e sviluppo dell'imprenditoria
L’indagine campionaria dunque va ad indagare le motivazioni, le scelte che ispirano i
principali comportamenti economici. Sostanzialmente il questionario rivolto alle donne
è stato strutturato in maniera da cogliere il loro comportamento in relazione a tre aspetti
fondamentali:

1. L’offerta di lavoro
2. Il risparmio
3. Il consumo

Accanto a questi elementi abbiamo analizzato il tipo di atteggiamento dimostrato in


rapporto alla possibilità di inserirsi utilmente in un processo di sviluppo economico.
L’indagine rivolta agli attori istituzionali ha inteso, invece, evidenziare:
1. quali sono all’interno dei gruppo dei policy makers le ipotesi di sviluppo per l’area
di riferimento
2. quali siano le politiche che stanno pensando di implementare per l’area
3. quale sia la loro idea di sviluppo economico
4. che tipo di percezione specifica hanno dei problemi e della condizione delle donne
nell'area di riferimento

Il questionario somministrato alle donne si compone di 12 sezioni che nel dettaglio


sono:
1. una prima sezione contenente i dati anagrafici dell'intervistato e le informazioni sul
nucleo familiare;
2. una seconda sezione riguarda la sua situazione lavorativa e i rapporti con il mercato
del lavoro;
3. una terza sezione riguarda il suo atteggiamento dei confronti del lavoro;
4. una quarta sezione riguardante l'identità del territorio così come viene percepita
dall'intervistato;
5. una quinta sezione relativa alla coesione sociale percepita;
6. una sesta sezione relativa alle attività economiche del territorio;
7. una settima sezione concernete il ruolo delle istituzione così come viene percepito;
8. una ottava sezione che indaga sul fenomeno dell'esodo rurale;
9. una nona sezione riguardante il reddito;
10. una decima sezione dedicata ai consumi;
11. una undicesima sezione dedicata al risparmio;
4.- Le caratteristiche dell’offerta di lavoro femmini1e nell’area

Una prima descrizione che è opportuno fare riguarda la provenienza dei soggetti
intervistati. Va prima di tutto detto che il 62,7 del campione è costituito da donne
residenti nel comune di Messina, mentre il 37,3% delle intervistate risiede nel comune
di Reggio Calabria.

Quanto alla tipologia del luogo di residenza la maggior parte del campione delle
intervistate vive in centro o in periferia, l'11,9% circa vive in un'area degradata ed il
17,8% vive in periferia residenziale mentre il 17,3% vive in una frazione.
L'età media del campione è di circa 36 anni. La tabella successiva mostra questi risultati

TAB 1.- LUOGO DI RESIDENZA ( VALORI %)

Frazione 17,3

Periferia degradata 6,3

Periferia 26,0

Periferia residenziale 17,8

Centro degradato 5,6

Centro 26,9

Totale 100,

Un'altra variabile importante per descrivere le caratteristiche anagrafiche del Campione


è sicuramente lo stato civile. La tabella seguente mostra queste percentuali

TAB2.- STATO CIVILE (VALORI %)

Nubile 37,5

Coniugata/convivente 48,9

Separata/divorziata 7,9

Vedova 5,7

Totale
100,0
Dalla tabella si evince che quasi la metà delle intervistate è coniugata, mentre il 37,5% è
nubile, sono minime le percentuali di vedove e di divorziate. Nella tavola seguente si
vede la distribuzione del numero di figli per famiglia

TAB.3.- NUMERO DI FIGLI

0 42,4

1 17,5

2 24,9

3 10,7

4 2,1

5 1,9

6 0,2

7 0,2

Totale 100,0

La distribuzione del numero di figli fa denotare che si tratta generalmente di famiglie


con nessuno o un solo figlio. Le famiglie numerose sono una percentuale residuale.
Questo andamento è tipico dei contesti sviluppati dove il numero di figli per ogni donna
fertile è generalmente inferiore all'unità.
Va poi evidenziato che l'84% del campione dichiara di aver avuto il primo figlio prima
dei trenta anni, mentre è del 25 percento la percentuale di donne che hanno avuto il
primo figlio prima dei venti anni.
La tabella seguente invece mostra una distribuzione del livello di studio del campione.

TAB. 4.-LIVELLO DI ISTRUZIONE


%

N.D. ,5

Nessuno ,5

Licenza elementare 7,7

Licenza media 18,4

Diploma superiore 35,9

Laurea 34,3

Post-Laurea 2,6

Totale 100,0

Come si può facilmente evincere dall'esame di questa distribuzione si tratta di un


campione di donne che rivela un livello abbastanza elevato di scolarità. Più del 70% del
campione è costituito da donne con un titolo di studio superiore al diploma. Queste
considerazioni saranno importanti per spiegare alcuni degli atteggiamenti e delle
motivazioni che metteranno in evidenza nelle prossime pagine.

La tabella successiva mette in evidenza il dato relativo alla condizione occupazionale


dichiarata dalle intervistate.

TAB.5.- QUAL È LA SUA CONDIZIONE PROFESSIONALE? ( VALORI %)

Valore percentuale
1. Occupata 49,9
2. Disoccupata 31,1
3. In cerca di prima
12,1
occupazione
4. Appartenente alle non forze
6,9
di lavoro

Come si può facilmente vedere il nostro campione è costituito per quasi la metà delle
intervistate da occupate, mentre le persone che cercano occupazione sono il 43,2% gli
appartenenti alle non forze di lavoro costituiscono il 6,9% del Campione. Questo
permette di descrivere un comportamento che riguarda l'intero universo femminile e non
solamente del gruppo delle donne occupate o delle disoccupate.
Nel gruppo delle non occupate la condizione dichiarata è descritta dalla tabella
successiva.
TAB.6.- SE NON OCCUPATA, SPECIFICARE LA CONDIZIONE ATTUALE(VALORI %)

Studio a tempo pieno 10,0

Studio e lavoro occasionalmente 13,0

Lavoro part time 4,8

Lavoro occasionalmente 15,7

Lavoro in nero 12,6

Non ho intenzione per il momento di lavorare 2,2

Casalinga 36,1

Pensionata 5,7

Totale 100,0

E' interessante esaminare la condizione dichiarata da coloro che non lavorano. Solo il
10% studia a tempo pieno, il 36% è casalinga e il 5,7% pensionata.
Spicca un 12,6% di coloro che affermano esplicitamente di lavorare totalmente in
nero, ma a questo dato va associata, a nostro avviso, la considerazione per cui anche il
rimanente 50% circa di intervistate lavora in maniera probabilmente irregolare,
occasionalmente, in nero o part time.
La tabella successiva mostra invece i settori in cui le intervistate svolgono la loro
attività

TAB.7.- IN QUALE SETTORE SVOLGE LA SUA ATTIVITÀ ? ( VALORI %)

Agricoltura 4,9

Industria 9,4

Servizi 3,0

Servizi socio-assistenziali ed educativi 22,8

Altro terziario 59,9

Totale 100,0

Il dato che emerge è che è il settore dei servizi quello dove si svolge prevalentemente
l'attività delle intervistate
TAB. 8.- QUALE POSIZIONE PROFESSIONALE RICOPRE NELLA SUA ATTIVITÀ ? (VALORI %)

1. Operaio 17,8

2. Impiegato 29,1

3. Quadro 5,4

4. Funzionario 3,9

5. Dirigente 4,3

6. Lavoratore autonomo 4,7

7. Libero professionista 14,3

8. Imprenditore 5,4

Altro 15,1

Totale 100,0

I motivi per cui si ricerca lavoro sono tipicamente di tipo autorealizzativi in più del 50%
dei casi. Le motivazioni economiche sono nettamente inferiori e non raggiungono il
30% dei casi. Si conferma l'impressione che ci troviamo in un mercato del lavoro con
delle forme interne di protezione.

TAB. 9.- PER QUALE MOTIVO STA CERCANDO LAVORO? ( VALORI %)

- per mantenere la famiglia 22,3

- perché vive solo e deve mantenersi 5,1

- vuole essere indipendente dalla famiglia 29,3

- vuole contribuire al reddito familiare 25,5

- ha terminato gli studi ed è giusto che lavori 8,9

- vuole mettere su famiglia 1,9

- altro 7,0

Totale 100,0
La precedente constatazione viene avvalorata dall'analisi delle risposte sulle motivazioni
della non ricerca di lavoro. Il 37 % di coloro che non sta cercando lavoro dichiarano di
non avere necessità economiche. Sono pochissime quelle che si dichiarano deluse.

TAB. 10.-PER QUALE MOTIVO NON STA CERCANDO LAVORO?


( VALORI %)

? per motivi familiari o personali 33,3

? per motivi di salute 8,5

? per mancanza di necessità economiche 36,9

? per motivi di studio e/o qualificazione professionale 15,6

? sto facendo il servizio di leva 2,8

? è in attesa di chiamata avendo superato un concorso 2,1

deluso delle varie ricerche di lavoro fatte in passato ,7

Totale 100,0

Fra le azioni di ricerca di lavoro quella principale risulta la segnalazione da parte di


parenti/conoscenti seguita da quella della partecipazione a concorsi. Poche sono i
tentativi imprenditoriali.

TAB.11.- QUALI AZIONI CONCRETE DI RICERCA HA COMPIUTO?

? inserzioni sui giornali o risposte ad offerta 19,0%


? segnalazioni a datori da parte di parenti/conoscenti 26,7%
? domanda o partecipazione a concorso 21,4%
? predisposizione di mezzi per esercitare un lavoro in
proprio 8,2%
? domande a provveditori e/o presidi 8,7%
? segnalazione a personaggi politici 6,7%
? segnalazioni a sindacati 6,5%
? altro........................................................................ 2,7%

La domanda seguente cerca di indagare sulla mobilità territoriale del lavoro


TAB. 12.- IN CASO DI CERTEZZA DI OCCUPAZIONE, SAREBBE DISPOSTA A
RECARSI FUORI AREA ? ( VALORI %)

- no 30,0

- si, con spostamenti giornalieri 26,9

- si, con spostamenti settimanali 3,6

- si, per periodi più che settimanali 5,9

- si, definitivamente 33,6

Totale 100,0

Questa tabella permette di mettere in evidenza un risultato estremamente importante


perché fa denotare una scarsa mobilità territoriale delle intervistate. In presenza di un
alto tasso di disoccupazione sarebbe al contrario più logico attendersi una maggiore
mobilità territoriale. Eppure quasi il 57% non è disposto a spostarsi dal luogo di origine,
mentre solo il 33,6% delle intervistate dichiara di essere pronta ad andare via
definitivamente in presenza di occupazione certa. Questo risultato appare molto
importante perché permette di avvalorare la tesi di fondo (Latella, Marino 1996) che la
disoccupazione meridionale presenti delle caratteristiche di volontarietà.
La tabella successiva mette ancora in evidenza dei risultati importanti relativi al salario
di riserva.

TAB 13.- QUAL È IL LIVELLO MINIMO DI SALARIO MENSILE PER ACCETTARE UN LAVORO
TEMPORANEO ? ( VALORI %)

1 - almeno 300 euro circa 13,4

2 - almeno 600 euro circa 50,0

3 - almeno 1.200 euro circa 31,0

4 - oltre 1.200 euro circa 5,6

Totale 100,0

Questa tabella conferma le considerazioni che avevamo fatto nel commento della
precedente tabella. Il salario di riserva è una misura della percezione del saggio di
scambio fra tempo libero e lavoro. In presenza di alti tassi di disoccupazione il salario di
riserva dovrebbe essere relativamente basso. In questa tabella invece viene tabulato un
salario di riserva estremamente elevato. Solo il 13,4% delle intervistate è disposto a
lavorare per un salario di 300 euro Mentre il 50% delle intervistate chiede un salario di
almeno 600 euro. Il 31% chiede almeno 1.200 euro.

TAB 14.- VERSO QUALI SITUAZIONI ORIENTEREBBE LA SUA


RICERCA ? ( VALORI %)

? Lavoro dipendente 38,6

? Lavoro autonomo 23,1

? attività imprenditoriali 14,1

? Nessuna preferenza 24,2

Totale 100,0

Solo il 23% dichiara di preferire attività imprenditoriali, e le motivazioni emergeranno


con più chiarezza grazie alle successive domande

TAB. 15.- HA MAI CERCATO DI SVO LGERE UN LAVORO


INDIPENDENTE? ( VALORI %)

? No 67,3

? si, per mancanza di lavoro dipendente 9,1

? si, per un possibile maggiore guadagno 9,1

? si, per una maggiore libertà di orari 2,9

? si, per esprimere meglio le proprie capacità 10,0

si, altro.................................................................... 1,6

Totale 100,0

Questa tabella evidenzia che solo il 10% delle intervistate considera gratificante dal
punto di vista professionale il lavoro indipendente. Il 67% delle interviste non ha mai
pensato di svolgere un lavoro indipendente e il 9% lo fa per mancanza di lavoro
dipendente. Va evidenziata la scarsa propensione che emerge per il lavoro autonomo.
L’occupazione indipendente in quest’area, infatti, ha sempre ricoperto un ruolo
marginale per la componente femminile che risulta avere a tutt’oggi un’incidenza molto
più contenuta rispetto a quella registrata tra gli occupati dipendenti. Nello spiegare tali

evidenze possiamo avanzare alcune ipotesi4:

a) il lavoro autonomo poco rispecchia le esigenze dell’offerta di lavoro femminile, dato

che gli occupati indipendenti lavorano mediamente per più ore settimanali dei

dipendenti e godono di minor tutela sociale (per maternità, ecc.); per queste ragioni il

lavoro indipendente femminile si configura soprattutto come attività marginale di

coadiuvante all’impresa familiare;


b) l’occupazione indipendente interessa poco la componente femminile dell’offerta di
lavoro poichè solitamente ad essa si accede dopo aver fatto altre esperienze di lavoro
alle dipendenze, che però offrono opportunità di accumulare capitali ed esperienze più
agli uomini che alle donne, cui vengono in genere affidate mansioni ripetitive, meno
qualificate e quindi meno remunerate; lo scarso sviluppo dell’imprenditorialità

femminile è quindi conseguenza indiretta della segregazione occupazionale 5;


c) nonostante che i livelli retributivi medi dei lavoratori autonomi siano generalmente
superiori a quelli dei lavoratori dipendenti, per la componente femminile ciò non
sempre si verifica, a causa sia di maggiori disparità salariali tra uomini e donne
nell’ambito dell’occupazione indipendente, sia di maggiori oneri assicurativi e
previdenziali.
La tabella successiva mette in evidenza la conoscenza delle leggi di sostegno
all'imprenditoria.

TAB 16.- CONOSCE LE LEGGI DI SOSTEGNO ALL’ IMPRENDITORIALITÀ ?

no 59,8%
si 40,1%

Questa tabella evidenzia che ancora oggi vi è un deficit di informazione sulle leggi di
sostegno all'imprenditoria se è vero che il 60% delle intervistate non le conosce.

4 Sugli aspetti generali di tale problematica cfr. ROSTI L., L'occupazione femminile indipendente, "Economia e
Lavoro", n. 4, 1990.
5 Cfr. RUGGIERINI M. G., Donne e carriere. Quel maledetto senso di responsabilità, in "Politica ed Economia, n. 1,
1992, pp. 80-83.
TAB 17.- SE SI, LE HA GIÀ UTILIZZATE O HA PENSATO DI UTILIZZARLE?

no 69,2%
si 30,8%

Solo il 31% delle interviste (già poche) che conoscevano le leggi di sostegno
all'imprenditoria hanno pensato di utilizzarle e pertanto la domanda effettiva di
imprenditoria rimane molto bassa.
Infine, ecco le motivazioni addotte circa la mancanza di spirito imprenditoriale.

TAB.17BIS.- SE PUR CONOSCENDOLE NON LE HA UTILIZZATE, PERCHÉ?

? non ama rischiare 17,4%


? la spaventa la burocrazia 14,9%
? c’è poca informazione 18,2%
? c’è un ritardo nei finanziamenti 11,6%
? i finanziamenti sono gestiti con logica 16,5%
clientelare
? altro......................................................... 21,5%
...........
Totale 100,0%
5.- L’analisi del lavoro irregolare

All'interno dell'indagine si è fatta una distinzione fra la condizione dichiarata


utilizzando due diverse accezioni per definire il lavoro non regolare. Abbiamo pensato
di distinguere fra coloro che dichiaravano di avere un lavoro nero e coloro che
dichiaravano di aver svolto lavoro occasionale. Il lavoro nero corrispondeva ad un
rapporto stabile anche se irregolare mentre il lavoro occasionale riguarda un rapporto
irregolare ma non stabile. La tabella 23 conferma la giusta comprensione della
domanda.
Il primo passo dell’analisi è analizzare le caratteristiche demografiche e sociali delle
lavoratrici irregolari. Come si può evincere dalla tabella 18 il campione risulta
abbastanza differenziato in termni di età e in particolare le donne che non hanno un
lavoro regolare hanno un età media uguale e pari a circa 35 anni.

TAB. 18.- ETÀ MEDIA


Studio a tempo pieno 23.9
Studio e lavoro occasionalmente 25.1
Lavoro part time 33.2
Lavoro occasionalmente 35.2
Lavoro in nero 35.2
Non ho intenzione per il momento di lavorare 32.0
Casalinga 38.5
Pensionata 59.5
Media campione 35.2

Una prima differenza interessante si trova nel diverso tasso di fertilità fra le diverse tipologie di

soggetti . In particolare si evidenzia un forte stacco fra la fertilità delle donne occupate a tempo

pieno e di quelle a tempo parziale. L’occupazione a tempo pieno incide sulla fertilità, facendola

declinare. Le lavoratrici in enro hanno poi una fertilità più bassa delle lavoratrici occasionali.
TAB.19.- N UMERO MEDIO DI FIGLI
Studio a tempo pieno 1.00
Studio e lavoro occasionalmente 1.50
Lavoro part time 2.25
Lavoro occasionalmente 2.96
Lavoro in nero 2.11
Non ho intenzione per il momento di lavorare 3.00
Casalinga 2.14
Pensionata 2.3
Media campione 2.09

Quanto al luogo di provenienza, si evidenzia una preminenza delle aree periferiche, quindi da

contesti caratterizzati da valori non elevati di ricchezza. Questo differenzia queste donne dalle altre

donne del campione, come si può facilmente vedere confrontando questi valori con quelli della

tabella 1.

TAB.20.- LUOGO DI RESIDENZA

Valori % Lavoro occasionale Lavoro nero

Frazione 25.7 31.0


Periferia degradata 8.6 17.2
Periferia 22.9 17.2
Periferia residenziale 11.4 10.3
Centro degradato 14.3 3.4
Centro 17.1 20.7
Totale 100 100.0
Analizzando il livello di istruzione si evidenziano valori medio-bassi, più bassi di quelli medi del

campione, in particolare le lavoratrici in nero hanno un livello di istruzione più basso delle

lavoratrici occasionali

TAB. 21.- LIVELLO DI ISTRUZIONE


Valori % % lavoro occasionale
% lavoro nero

Licenza
elementare
13.9 20.7

Licenza media 30.6 41.4

Diploma
superiore
27.8 20.7

Laurea 27.8 13.8

Post-Laurea 0.0 3.4

Totale 100 100,0

Dalla Tabella 22 si evince che il settore dei servizi è quello che attrae il maggior numero di

lavoratrici irregolari. Appare significativo il quasi 30% del settore socio-assistenziale ed educativo,

riferibile presumibilmente and imprese non-profit e/o enti religiosi. Trattandosi di donne è

ovviamente bassa la percentuale di lavoratrici nei settori industriali. L’agricoltura presenta valori

elevati in relazione alle dimensioni del settore per ciò che riguarda il lavoro nero.

TAB.22.- IN QUALE SETTORE SVOLGE LA SUA ATTIVITÀ ?

Valori % Lavoro occasionale Lavoro nero

Agricoltura 7.4 13.6


Industria 11.1 9.1
Servizi socio-assistenziali ed educativi 29.6 9.1
Altro terziario 51.9 68.2
Totale 100.0 100,0
Le mansioni svolte all’interno delle imprese sono tipicamente medio-basse e le
lavoratrici hanno un’elevata anzianità di iscrizione al collocamento..

TAB.23.- QUALE POSIZIONE PROFESSIONALE RICOPRE NELLA SUA ATTIVITÀ ?

Valori % Lavoro occasionale Lavoro nero

1. Operaio 41.7 56.3

2. Impiegato 8.3 6.3

3. Quadro 0.0 0.0

4. Funzionario 0.0 0.0

5. Dirigente 0.0 0.0

6. Lavoratore autonomo 4.2 0.0

7. Libero professionista 16.7 .0.0

8. Imprenditore 0.0 .0.0

Altro 30.4 26.1

Totale 100.0 100,0

TAB.24.- ANZIANITÀ DI ISCRIZIONE AL COLLOCAMENTO


Lavoro occasionale (%) Lavoro nero (%)

N.D. 19.4 6.9


Meno di un anno 2.8 0.0
1-2 anni 11.1 6.9
3-5 anni 13.9 13.8

Più di 5 anni 52.8 72.4

Totale 100.0 100.0


Le motivazioni per la ricerca di lavoro sono essenzialmente di tipo economico e di sussistenza. Più

forte appare la dipendenza economica delle lavoratrici in enro.

TAB25.- PER QUALE MOTIVO STA CERCANDO LAVORO?

Valori % Lavoro occasionale Lavoro nero

- per mantenere la famiglia 28.6 50.0


- perché vive solo e deve mantenersi 7.1 7.1
- vuole essere indipendente dalla famiglia 25.0 17.9
- vuole contribuire al reddito familiare 28.6 21.4
- ha terminato gli studi ed è giusto che lavori 10.7 3.6
- vuole mettere su famiglia 0.0 0.0
- altro 0.0 0.0
Totale 100.0 100,0

Le azioni di ricerca compiute sono poco frequenti, generalmente irritali e basate essenzialmente

sulla segnalazione. Questo denota una scarsa fiducia nei meccanismi di mercato

TAB26.- QUALI AZIONI CONCRETE DI RICERCA HA COMPIUTO?

? Valori % Lavoro occasionale Lavoro nero


? inserzioni sui giornali o risposte ad offerta 22.6 37.9
? segnalazioni a datori da parte di parenti/conoscenti 58.3 65.5
? domanda o partecipazione a concorso 33.3 27.6
? predisposizione di mezzi per esercitare un lavoro in proprio 16.7 10.3
? domande a provveditori e/o presidi 22.2 10.3
? segnalazione a personaggi politici 30.4 30.4
? segnalazioni a sindacati 8.3 20.7

Dalla tabella 27 emerge una relativamente bassa disponibilità alla mobilità territoriale.
Solo 1 doinna su tre è disposta in presenza di certezza di occupazione a spostarsi
definitivamente fuori della propria area territoriale

TAB27.-IN CASO DI CERTEZZA DI OCCUPAZIONE, SAREBBE DISPOSTA A RECARSI FUORI


AREA ?

Valori % Lavoro occasionale Lavoro nero


- no 15.6 14.3
- si, con spostamenti giornalieri 43.8 39.3
- si, con spostamenti settimanali 6.3 0.0
- si, per periodi più che settimanali 0.0 7.1
- si, definitivamente 34.4 39.3
Totale 100.0 100,0

Il salario di riserva (tabella 28) non bassisimo denota però la presenza di aspettative salariali .

TAB28.- QUAL È IL LIVELLO MINIMO DI SALARIO MENSILE PER ACCETTARE UN LAVORO


TEMPORANEO ?

Valori % Lavoro occasionale Lavoro nero

1 - almeno 300 euro circa 14.7 14.3


2 - almeno 600 euro circa 58.8 71.4
3 - almeno 1.200 euro circa 23.5 10.7
4 - oltre 1.200 euro circa 2.9 3.6
Totale 100.0 100,0

La ricerca di lavoro è tipicamente orientata verso il lavoro dipendente e pochissima attenzione viene

data al lavoro indipendente, mentre poco conosciute sono le leggi di sostegno all’imprenditoria

TAB29.- VERSO QUALI SITUAZIONI ORIENTEREBBE LA SUA


RICERCA ?

? Valori % Lavoro occasionale Lavoro nero

? Lavoro dipendente 50.0 64.0


? Lavoro autonomo 23.5 8.0

? attività imprenditoriali 0.0 4.0


? Nessuna preferenza 26.5 24.0
Totale 100.0 100,0
TAB30.- HA MAI CERCATO DI SVO LGERE UN LAVORO
INDIPENDENTE?

Valori % Lavoro occasionale Lavoro nero

? No 62.5 72.0

? si, per mancanza di lavoro dipendente 12.5 8.1


? si, per un possibile maggiore guadagno 6.3 8.1
? si, per una maggiore libertà di orari 0.0 0.0

? si, per esprimere meglio le proprie capacità 15.6 7.9


si, altro.. 3.1 3.9
Totale 100.0 100,0

TAB.31.-CONOSCE LE LEGGI DI SOSTEGNO ALL’IMPRENDITORIALITÀ ?

Lavoro occasionale (%) Lavoro nero (%)


no 55.6 69.0
si 44.4 31.0

6.- Le principali caratteristiche delle lavoratrici irregolari


Il sommerso femminile presenta delle peculiarità interessanti per cogliere nuovi aspetti
che possono gettare luce su un problema che è essenzialmente complesso e molto legato
ai singoli contesti territoriali.
Nel caso del lavoro irregolare femminile nell'area dello Stretto troviamo alcune
caratteristiche tipiche del lavoro non regolare dei contesti meridionali e nel contempo
troviamo alcuni aspetti legati al fatto che si tratta dell'analisi del mercato del lavoro
femminile con tutto ciò che può essere connesso con gli aspetti del genere.
Un aspetto peculiare che va commentato perché astrattamente connesso con il genere e
con le politiche di genere è il legame fra il lavoro irregolare e la fertilità. Abbiamo visto
che il numero medio di figli delle donne che svolgono un lavoro nero è uguale a quello
delle donne che lavorano regolarmente. Coloro che invece dichiarano un lavoro
occasionale hanno una fertilità comparabile con le donne che dichiarano di appartenere
alle non forze lavoro. Questo è un aspetto estremamente interessante. Questa indagine
conferma quindi una convinzione abbastanza diffusa e condivisa che il lavoro
femminile è uno dei fattori che ha determinato un declino della fertilità negli ultimi
anni. I dati che abbiamo ottenuto permettono però di andare oltre con i commenti. Il
lavoro irregolare appare quindi utilizzato dalle donne come uno strumento di flessibilità.
Ciò indica la necessità di arricchire gli strumenti di flessibilità che già sono presenti nel
mercato del lavoro in relazione al fenomeno della maternità e nel contempo mette in
luce un atteggiamento delle imprese che dimostrano una certa avversione per gli aspetti
legati alla maternità e cercano di discriminare le madri. Le politiche di emersione
devono tenere conto di questa condizione associando ad agli strumenti di flessibilità per
le donne degli incentivi alle imprese che limitino le ripercussioni negative che la
maternità di un dipendente può avere sull'impresa.
Le lavoratrici irregolari di questo campione hanno tutte le caratteristiche delle fasce più
deboli del marcato del lavoro. Oltre a svolgere attività irregolare, provengono da zone
periferiche e marginali, hanno un livello di studio medio basso e svolgono mansioni
lavorative medio-basse. Le motivazioni per la ricerca di lavoro sono di tipo economico,
si ha a che fare con dei soggetti che hanno bisogno di lavorare e che pertanto sono
maggiormente esposte al rischio di essere sfruttate. Hanno tutte una elevata anzianità di
disoccupazione, ma non dimostrano una ele vata attività nella ricerca di lavoro. L’essere
iscritte alle liste di collocamento non ha dato loro particolari vantaggi o aiuti nella
ricerca del lavoro che viene affidata a meccanismi informali. L’inutilità degli uffici di
collocamento per questi tipi di soggetti appare abbastanza evidente. I nuovi Centri
dell’impiego potranno invece essere molto utili in questi casi.
Le lavoratrici irregolari denotano però, una scarsa propensione alla mobilità territoriale,
sono poco disposte a spostarsi per lavorare e hanno salari di riserva non bassissimi,
anche se inferiori alle altre categorie di donne esaminate. Nella maggior parte dei casi
non vogliono svolgere lavoro autonomo e hanno una bassa propensione
all’imprenditorialità. Queste contraddizioni sono solo apparenti. Il costo dello
spostamento e il fatto di dover pensare alla famiglia sono le determinanti della scarsa
mobilità territoriali. La ricerca del lavoro fisso è il sogno nel cassetto, che da un giorno
all’altro potrebbe diventare raggiungibile grazie alla segnalazione di qualcuno. Questa è
la giustificazione del salario di riserva non bassissimo e della scarsa propensione al
lavoro autonomo. Si accetta una situazione irregolare che permette la sopravvivenza
nell’attesa di un posto fisso, magari pubblico che coroni il sogno di una vita.

7.- Le interviste dirette ad un gruppo di “testimoni privilegiati”

La volontà di completare l’indagine campionaria con un approfondimento di tipo


qualitativo deriva dall’esigenza di realizzare un approfondimento teorico della tematica
trattata a partire dalle riflessioni che ci sono giunte attraverso la voce di un piccolo
campione di soggetti impegnati nel mondo politico, economico e sociale della città di
Reggio Calabria e di Messina.
I nostri “testimoni privilegiati” sono stati invitati a riflettere sul tema dell’accesso delle
donne al mondo del lavoro, con particolare riguardo alle forme autonome di
imprenditorialità femminile.
La tecnica utilizzata per realizzare questo tipo di approfondimento ci ha visti impegnati
nella predisposizione di una serie di quindici domande utili a ricostruire il pensiero degli
intervistati ai quali, in ogni caso, è stato richiesto lo sforzo ulteriore di uscire dai canoni
predefiniti della intervista stessa in modo tale da lasciare spazio a qualsiasi tipo di
considerazione ritenessero di dover fare in merito al sistema degli incentivi per lo
sviluppo imprenditoriale in generale e di quello legato al mondo delle donne in
particolare.
In totale sono state realizzate 19 interviste, undici delle quali a testimoni privilegiati di
sesso maschile.
Il quadro che si può tracciare a seguito dell’analisi delle risposte ricevute ci dice che c’è
una sostanziale convergenza di idee sulle tematiche proposte in quanto le testimonianze
raccolte ruotano attorno alle medesime considerazioni principali.
Innanzitutto il sistema degli incentivi non è giudicato di per sé sufficiente a
creare impresa in quanto eccessivamente burocratizzato oltre che scarsamente sostenuto
da una seria operazione di informazione a riguardo; l’idea che emerge con prepotenza è
che i soldi non rappresentino la chiave di svolta perché il problema vero risiede nel fatto
che non esiste nella nostra zona di riferimento una grossa competenza nel saperli
gestire: la corsa al finanziamento di turno pregiudica la formazione di una sana cultura
imprenditoriale fatta di spirito di sacrificio, grossa motivazione di base, alta propensione
al rischio d’impresa.
Con particolare riferimento alla tematica legata all’inserimento delle donne nel
mondo del lavoro tutti si dicono fermamente convinti della necessità di dover
incoraggiare l’impiego femminile soprattutto in termini di auto imprenditorialità eppure
si intravedono, latenti, le forme di pregiudizio più comuni che di fatto stanno alla base
della nostra questione.
La presidentessa di una cooperativa ad esempio ha affermato: “…le donne non
hanno grosse ambizioni lavorative, sin da piccole sono indotte a pensarsi come mogli e
come madri, fanno piccoli lavoretti soltanto quando devono contribuire o supportare la
famiglia…”
Il retaggio culturale dunque viene indicato come la principale causa ostativa
tanto che alcuni dei nostri testimoni hanno ulteriormente sviluppato il discorso
collegandolo in maniera particolare alle donne che appartengono ai ceti più bassi della
società, che vivono nei quartieri più poveri, che provengono da famiglie poco agiate.
Alla domanda “Dal suo punto di vista qual è il processo che influenza ed orienta
le donne verso l’imprenditoria? Il pensiero dei nostri intervistati, uomini e donne, è
racchiuso nelle parole di un rappresentante del mondo sindacale: “le donne purtroppo
sono state abituate, quando escono dalle mura domestiche, a cercare il posto fisso, non
riesco a pensare a nulla, è un problema di mentalità, è un fatto antropologico”.
L’amministratrice di una ditta con un esempio estremamente pratico raggiunge
forse proprio il cuore della questione quando afferma: “…i padri qui non danno soldi
alle figlie per formarsi fuori, studiare al nord, all’estero…”.
Certo, il discorso sulle pari opportunità ha trovato consensi unanimi, come si
evince dalle parole di una imprenditrice contattata: “la differenza non esiste tra uomini
e donne, esiste tra chi ha voglia di lavorare e chi no” eppure è proprio un’altra donna
imprenditrice che interrogata sul come riusciva a conciliare lavoro e famiglia ha
risposto: “malissimo,…per quanto mio marito mi sostenga io avrei proprio bisogno di
una moglie tradizionale!...”
Il paradosso è addirittura esilarante, peccato che costituisca il segno di un
malessere sociale che, come la nostra ricerca ha teso a dimostrare, incide sulla
possibilità di pianificare e programmare forme autonome di sano sviluppo locale.
8.- Le politiche di intervento e le politiche di emersione

La natura complessa del problema come si è connotato nelle pagine precedenti fa si che

sia necessario attivare mix di politiche e strumenti,

Queste politiche possono essere divise in tre gruppi:

a) gli interventi che possono favorire l’emersione

b) gli interventi sulla quantità, sulle forme e le modalità di erogazione del lavoro;

c) gli interventi sui servizi alla persona e alla famiglia:

Per quanto riguarda gli interventi che precedono l’inserimento o il reinserimento della

donna nella vita attiva, i principali sono: l’orientamento scolastico e professionale,

intesi, in senso lato, come formazione di strategie occupazionali adeguate, e le politiche

formative 6.

Anche se un elevato livello di scolarizzazione non risulta sempre sufficiente a garantire

un inserimento lavorativo soddisfacente, esso influenza comunque in modo

determinante le decisioni di partecipazione. I servizi di orientamento scolastico

dovrebbero quindi operare in due direzioni: stimolare un aumento del tasso di

scolarizzazione (soprattutto universitaria) e indirizzare verso scelte post-obbligo che

permettano l’acquisizione di titoli meglio spendibili sul mercato del lavoro.

L’orientamento professionale deve puntare sia a promuovere una maggiore e più diffusa

informazione sulla domanda di lavoro, attuale e futura, anche attraverso

l’organizzazione di sportelli informativi, sia ad aiutare le occupate insoddisfatte, le

disoccupate e le non forze di lavoro desiderose di lavorare, di muoversi lungo percorsi

di ricerca definiti e coerenti con la propria formazione e le proprie caratteristiche, e ad

adottare idonee strategie di ricerca.

Esso dovrebbe essere offerto prima dell’ingresso nel mercato del lavoro, fin dalla

scuola, e avere l’obiettivo generale di educare alla formazione di strategie occupazionali

che aiutino la donna a gestirsi meglio sul mercato del lavoro, riducendo nel tempo quel

diffuso senso d’incertezza che la ricerca ha messo chiaramente in luce. Questo tipo di

6 Cfr. FADIGA ZANATTA A. L., Donne e lavoro: istruzione passepartout, in "Politica ed Economia", n. 2, 1988.
servizio potrebbe essere realizzato anche tramite autonome forme associative,

parzialmente supportate dall’ente pubblico, oltre che attraverso consulenze individuali.

Vanno diffuse le informazioni sui percorsi privi di validi sbocchi occupazionali, va

incentivata la presenza femminile negli iter scolastici tradizionalmente maschili e nei

corsi di studio indirizzati alle professioni emergenti. Va accresciuta tra le donne la

conoscenza dei processi legati direttamente e indirettamente alla innovazione e alle

nuove opportunità che si offrono sul mercato favorendo un orientamento positivo ed

attivo verso le tecnologie e in genere verso la gestione del cambiamento. Bisogna:

qualificare la presenza femminile in quelle aree di professionalità più direttamente

legate al governo dei processi di innovazione, rafforzare e sviluppare la presenza

femminile nelle aree di decisionalità economica e aziendale mediante la politica delle

azioni positive, promuovere la crescita di capacità imprenditoriale e di autogestione

delle donne verso settori nuovi.

Tra le politiche formative, particolare rilevanza assume la formazione extrascolastica,

che ricomprende anche le attività di riqualificazione professionale 7.

La formazione deve essere volta sia all'apprendimento delle nuove conoscenze tecniche

necessarie, sia alla comprensione dell'organizzazione del lavoro, sia all'acquisizione di

comportamenti organizzativi idonei ad affrontare i nuovi ruoli. Soprattutto bisognerà

fare più formazione extrascolastica per le donne. I dati attuali, infatti, dimostrano che la

formazione, anche quella svolta con fondi pubblici, è privilegio maschile. Nei cont ratti

di formazione e lavoro poi, la presenza maschile è decisamente superiore; altro dato

questo, indicativo della tendenza a preferire lavoratori di sesso maschile. Infine, per

quel che riguarda la formazione professionale spesso è poco adatta alle esige nze del

mercato del lavoro. Soltanto una formazione professionale più attenta alle

trasformazioni e alle esigenze del mercato del lavoro può favorire una diminuzione della

disoccupazione femminile e l'inserimento delle donne in mansioni tradizionalmente

maschili evitando in tal modo la segregazione dei ruoli.

7 Cfr. BORZAGA C. - CARPITA M. - COVI L. - SCHENKEL M., Il mercato del lavoro femminile: aspettative,
preferenze e vincoli, cit..
Dall’indagine risulta che le componenti più deboli dell’offerta di lavoro femminile

(disoccupate e non forze lavoro che desiderano lavorare o si prefiggono questo obiettivo

per il prossimo futuro) si collocano ai livelli più bassi di formazione scolastica. Si rende

quindi necessaria una nuova politica formativa che offra occasioni di qualificazione e

riqualificazione delle donne adulte, tenendo conto delle caratteristiche e dell’evoluzione

della domanda di lavoro.

Per le giovani donne con lunghi periodi di disoccupazione, per quelle a bassi livelli di

istruzione o quelle scolarizzate, ma con un tipo di formazione non rispondente alle

esigenze della domanda, per le donne che rientrano nel mondo del lavoro con bassi

livelli di scolarità e scarsa o nulla qualificazione professionale, non servono politiche

dell'impiego generalizzate e indifferenziate, sia di incentivazione che di formazione.

Servono azioni mirate alla specificità del problema dell'occupazione femminile,

meridionale in generale e calabrese in particolare. In una regione a basso tasso di

industrializzazione, come la Calabria, l'imprenditoria femminile va orientata alla

valorizzazione delle risorse locali, allo sviluppo del turismo, alla difesa e promozione

del patrimonio artistico e culturale, alla valorizzazione dei beni ambientali, al recupero e

valorizzazione delle tradizioni artigiane.

Per quel che concerne gli interventi sulla quantità, sulle forme e le modalità di

erogazione del lavoro, si possono ricomprendere le politiche a favore del part-time e

quelle volte alla creazione di nuove opportunità occupazionali 8.

E’ necessario innanzitutto puntare su una più diffusa introduzione di forme di flessibilità

volontaria dell’orario di lavoro, sia per favorire la compatibilità tra lavoro per il mercato

e lavoro per la famiglia, per le donne appartenenti alle classi dell’età centrali, sia per

consentire il rientro nel lavoro delle non forze di lavoro che lo desiderano.

Un'organizzazione del lavoro più flessibile, meno rigida della gestione del tempo,

risponderà maggiormente ai bisogni di tempo delle donne, ad un maggiore interscambio

di ruoli nelle famiglie 9. Tale flessibilità del mercato del lavoro permette, sicuramente,

di alimentare un flusso crescente di occasioni di lavoro, ma comporta anche una

8 Vd. GRUPPO HONDA, Lavori di donne, Angeli, Milano, 1991.


9 Vd. ABBURRA' L., L'occupazione femminile dal declino alla crescita, Rosenberg & Sellier, Torino, 1989.
maggiore dispersione delle retribuzioni, nonchè lavori più precari e, in definitiva, un

grado maggiore di diseguaglianza nella distribuzione del reddito; malgrado ciò, però,

quella della flessibilità del lavoro è la strada da seguire.

L’elevata differenziazione dell’offerta di lavoro femminile e la pluralità di esigenze

espresse dai diversi sottogruppi, sottolineano l’inefficacia della normativa vigente che

lascia alle imprese, cioè alla componente più forte, la decisione finale sulla concessione

delle riduzioni di orario. La politica più lungimirante sembra quella di attribuire alle

donne (ma probabilmente anche agli uomini) il diritto alla riduzione volontaria

dell’orario di lavoro, almeno per un certo numero di anni nel corso della vita lavorativa.

La possibilità di usufruire di questo artifizio potrebbe contribuire a ridurre le situazioni

di squilibrio da sovraoccupazione e a favorire la definizione di strategie occupazionali

di lungo periodo e, quindi, la ricerca di collocazioni professionali più coerenti con

aspettative e caratteristiche. In ogni caso si conferma la necessità di promuovere una

maggiore diffusione delle attività a tempo parziale. Anche se si condividono le

perplessità circa le conseguenze del lavoro a part-time sulla segregazione

occupazionale, non si può nascondere che la sua insufficiente diffusione sta

costringendo una quota crescente di donne desiderose di lavorare tra le non forze di

lavoro e contribuisce quindi a tenerle ai margini del mercato del lavoro.

Sempre sul fronte della domanda di lavoro, assumono importanza le politiche volte alla

promozione del lavoro autonomo 10. Se intese in senso generale, esse non sembrano

trovare terreno favorevole: i bassi livelli di scolarizzazione e la limitata (dal punto di

vista sia qualitativo che quantitativo) esperienza lavorativa delle disoccupate e delle non

forze di lavoro, desiderose di rientrare sul mercato, sono ostacoli rilevanti, anche in

presenza di elevati incentivi, allo sviluppo di forme di lavoro autonomo, singolo o

associato.

Per quanto riguarda, infine, il terzo gruppo di interventi, quelli sui servizi alla persona e

alla famiglia 11, due sono le indicazioni che emergono dalla ricerca:

10 Cfr. ROSTI L., L'occupazione femminile indipendente, cit..


11 Cfr. FREY L. - LIVRAGHI R., Famiglia e lavoro femminile, in "Quaderni di Economia del Lavoro", n. 3-4, 1990.
a) è necessaria una politica di tutti i servizi, no n solo di quelli legati alla maternità (asili,

asili nido, ecc.), ma anche di tutti quei servizi cui ricorre la donna che lavora (trasporti,

gestione degli orari degli uffici pubblici, come anche di quelli scolastici, servizi per gli

anziani, ecc.), ivi compresi i servizi privati (commercio, servizi privati alla persona,

ecc.);

b) si deve porre attenzione non solo ad adeguare le dimensioni dell’offerta, ma anche, e

forse soprattutto, a ridefinire l’organizzazione dei servizi esistenti, oggi, molto più

spesso, strutturati in base alle esigenze di bilancio o del personale dipendente, che degli

utenti.

Bisogna sviluppare un'area innovativa di servizi alle persone e al territorio per

migliorare la qualità della vita e liberare le donne da carichi tradizionali.

Urge uno sviluppo che punti su una politica del lavoro che favorisca l’emergere dei

migliori e della professionalità.


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Appendice

Questionario rivolto alle donne

ETÀ !_!_!

ZONA DI RESIDENZA

Villaggio / frazione 1
Periferia degradata 2
Periferia 3
Periferia residenziale 4
Centro degradato 5
Centro 6

STATO CIVILE

Nubile 1
Coniugata/convivente 2
Separata/divorziata 3
Vedova 4
Altro (_______________) 5

L’INTERVISTATO E’ CAPOFAMIGLIA?


Numero dei
figli

No è coniuge Altri familiari


conviventi

No è figlio / a

TITOLO DI STUDIO?

a. Nessuno

b. Licenza elementare

c. Licenza media

d. Diploma di scuola Superiore

e. Laurea

f. Dottorato di ricerca
CON CHI ABITI?
Con la famigia d'origine
Da sola
Con il comuige/partner
Sono sposata e convivo con la famiglia d'origine

ETÀ FIGLI |_|_| |_|_|

A CHE ETÀ HAI AVUTO IL PRIMO FIGLIO? |_|_|

SE CONIUGATA

ETÀ PARTNER |_|_|

TITOLO DI STUDIO PARTNER?

a. Nessuno

b. Licenza elementare

c. Licenza media

d. Diploma di scuola Superiore

e. Laurea

f. Dottorato di ricerca

2.0 SITUAZIONE LAVORATIVA

2.1. Qual è la Sua condizione professionale?

1. Occupata 1
2. Disoccupata 2
3. In cerca di prima occupazione 3
4. Appartenente alle non forze di lavoro 4

SE NON OCCUPATA, SPECIFICARE LA CONDIZIONE ATTUALE

Studio a tempo pieno 1


Studio e lavoro occasionalmente 2
Lavoro part time 3
Lavoro occasionalmente 4
Lavoro in nero 5
Non ho intenzione per il momento di lavorare 6
Casalinga 7
Pensionata 8
2.2 In quale settore svolge la Sua attività?

1. Agricoltura 1
2. artigianato 2
3. industria 3
4. Servizi socio-assistenziali ed educativi 4
5. Altro terziario 5

2.3. Quale posizione professionale ricopre nella Sua attività?

1. Operaio 1
2. Impiegato 2
3. Quadro 3
4. Funzionario 4
5. Dirigente 5
6. Lavoratore autonomo 6
7. Libero professionista 7
8. Imprenditore 8
9. Altro (specificare) 9

2.4. In quale area professionale svolge la Sua attività?

1. Dirigenziale 1
2. Coordinamento/responsabile di settore 2
3. Erogazione del servizio 3
4. Amministrazione/contabilità 4
5. Gestione/formazione del personale 5
6. Attività di supporto 6
7. Altro (specificare ) 7

2.5. Presso quale ente è occupato?

1. Ente Privato 1
2. Un Ente Pubblico 2
3. Altro (specificare) 3
SE NON LAVORA SEI ISCRITTA AL COLLOCAMENTO?

Si ?
No ? ?

SE SI , DA QUANTO TEMPO?

Meno di 1 anno????????????
1 -2 anni?????????????????????
3 -5 anni? ?????????
+ di 5 anni??????????????????

3 ATTEGGIAMENTO NEI CONFRONTI DEL LAVORO


3.1 Attualmente sta cercando lavoro?

1. Si 1
2. No 2

3.2.1 Se no, Per quale motivo non lo sta cercando?

? per motivi familiari o personali 1


? per motivi di salute 2
? per mancanza di necessità economiche 3
? per motivi di studio e/o qualificazione professionale 4
? sto facendo il servizio di leva 5
? è in attesa di chiamata avendo superato un concorso 6
? deluso delle varie ricerche di lavoro fatte in passato 7
? perché convinto di non aver sufficiente preparazione 8

3.2.2 Se si, per quale motivo lo sta cercando?

1 - per mantenere la famiglia


2 - perché vive solo e deve mantenersi
3 - vuole essere indipendente dalla famiglia
4 - vuole contribuire al reddito familiare
5 - ha terminato gli studi ed è giusto che lavori
6 - vuole mettere su famiglia
7 - altro

3.3 Quali azioni concrete di ricerca ha compiuto?


(Rispondere a tutte le domande)

? inserzioni sui giornali o risposte ad offerta 1


? segnalazioni a datori da parte di parenti/conoscenti 2
? domanda o partecipazione a concorso 3
? predisposizione di mezzi per esercitare un lavoro in 4
proprio
? domande a provveditori e/o presidi 5
? segnalazione a personaggi politici 6
? segnalazioni a sindacati 7
? altro........................................................................ 8

3.4 In caso di certezza di occupazione, sarebbe disposta a recarsi fuori area ?

1 - no
2 - si, con spostamenti giornalieri
3 - si, con spostamenti settimanali
4 - si, per periodi più che settimanali
5 - si, definitivamente

3.5 Qual è il livello minimo di salario mensile per accettare un lavoro temporaneo?

1 - fino a 300 euro circa


2 - fino a 600 euro circa
3 - fino a 1.200 euro circa
4 - oltre 1.200 euro
3.6 Verso quali situazioni orienterebbe la sua ricerca?

? Lavoro dipendente 1
? Lavoro autonomo 2
? attività imprenditoriali 3
? Nessuna preferenza 4

3.7 Ha mai cercato di svolgere un lavoro indipendente?

? No 1
? si, per mancanza di lavoro dipendente 2
? si, per un possibile maggiore guadagno 3
? si, per una maggiore libertà di orari 4
? si, per esprimere meglio le proprie capacità 5
? si, altro.................................................................... 6

3.8 In quale settore?

3.9 Conosce le leggi di sostegno all’imprenditorialità?

1. Si 1
2. No 2

3.10 Se si, le ha già utilizzate o ha pensato di utilizzarle?

1. Si 1
2. No 2

3.11 Se pur conoscendole non le ha utilizzate, perché?

? non ama rischiare 1


? la spaventa la burocrazia 2
? c’è poca informazione 3
? c’è un ritardo nei finanzia menti 4
? i finanziamenti sono gestiti con logica clientelare 5
? altro.................................................................... 6

4 L’IDENTITA DEL TERRITORIO


Per ogni domanda assegnare un valore da 1 a 10 (1=irrilevante 10=fondamentale)

4.1. Secondo Lei quali sono gli elementi che caratterizzano l’identità del territorio?

risorse naturali
architettura
folklore
patrimonio storico
prodotti tipici locali
lingua
clima
altro (Specificare)..............................

4.2.Quali sono secondo Lei i fattori che hanno influito positivamente allo sviluppo del territorio?

Politico
Interessi economici
Fattori storici
Fattori culturali
Condizione sociale
Istruzione
Infrastrutture
Turismo
Istituzioni
Criminalità

4.3 Quali sono secondo Lei i fattori che hanno influito negativamente allo sviluppo del territorio?

Politico
Interessi economici
Fattori storici
Fattori culturali
Condizione sociale
Istruzione
Infrastrutture
Turismo
Istituzioni
Criminalità

4.4. Quali elementi secondo Lei vengono percepiti maggiormente all’esterno del territorio?

Ambiente e risorse naturali


Turismo
Fattori storici
Fattori sociali e culturali
Criminalità
Fattori economici
Altro (Specificare)..............................

5 COESIONE SOCIALE
Per ogni domanda assegnare un valore da 1 a 10 (1=irrilevante 10=fondamentale)

5.1.Quanto è diffuso il fenomeno dell’associazionismo

5.2. Quali sono le strutture che permettono la partecipazione sociale della popolazione locale?

Associazioni culturali
Circoli ricreativi
Cooperative sociali
Movimenti politici
Parrocchie
altro (Specificare)...........................

5.3. Secondo Lei la cooperazione contribuisce in termini di:

Sviluppo locale
Crescita culturale
Maggiore potere contrattuale
Sviluppo economico
altro (Specificare).............................

5.4. Quanto è diffuso il fenomeno dell’esclusione sociale?


5.5. Quali sono le categorie sociali più colpite dal fenomeno?

Immigrati
Ex tossicodipendenti
Portatori di handicap
Donne
altro (Specificare).............................

5.6 Quale ruolo rivestono i giovani nella programmazione dello sviluppo sociale ed economico dell’area?
(scegliere 1 risposte)

nessuno
marginale
attivo
fondamentale

5.7. Sotto quali aspetti la scuola contribuisce allo sviluppo locale?

creazione di una cultura imprenditoriali


accrescimento di competenza
crescita del livello di socializzazione
Nessuno
altro(Specificare).................................

6 LE ATTIVITA’ ECONOMICHE
Per ogni domanda assegnare un valore da 1 a 10 (1=irrilevante 10=fondamentale)

6.1. Quali sono le attività economiche del territorio?

Agricoltura
Artigianato
Pastorizia
Trasformazione prodotti agricoli
Edilizia
Commercio
Pubblica Amministrazione
Turismo
Servizi alle persone
Servizi alle imprese
altro(Specificare)...............................

6.2 Quali attività secondo Lei offrono opportunità di inserimento professionale? (Specificare)

6.3. Esistono modalità informali o formali di cooperazione tra produttori?

S N
i o

Se si quali sono?

Settore
Settore
Settore

7 ISTITUTZIONI
Per ogni domanda assegnare un valore da 1 a 10 (1=irrilevante 10=fondamentale)

7.1. Qual è il ruolo delle Istituzioni Locali nel territorio?

Programmano dello sviluppo sociale ed economico


Nascita di nuovi progetti
Favoriscono la partecipazione della popolazione ai processi decisionali
Migliorano il livello informativo della popolazione
altro (Specificare).............................

7.2. Nell’ambito dei rapporti tra poteri pubblici e la società civile, valuti il livello di:

trasparenza
cooperazione
diffidenza
ostilità
altro (Specificare).............................

7.3. Quanto la cooperazione tra i soggetti istituzionali incide sullo sviluppo


territoriale ?

8 ESODO RURALE
Per ogni domanda assegnare un valore da 1 a 10 (1=irrilevante 10=fondamentale)

8.1.Quanto è diffuso il fenomeno dell’esodo rurale?


(Se il valore indicato è pari ad 1 passare alle domanda 8.4)

8.2. Verso quali aree si è concentrato il fenomeno migratorio? Max due risposte

Comuni costieri
in ambito regionale
in ambito nazionale
in ambito comunitario
altro (Specificare).............................

8.3 Quali le cause di questo fenomeno?

Mancanze di infrastrutture
alto livello di scolarizzazione
criminalità
mancanza di occupazione
altro (Specificare).............................

8.4. Quanto è diffuso il fenomeno del pendolarismo?

8.5 Verso quali aree è concentrato? Max due risposte

Città della Provincia


Città della Regione
Comuni limitrofi
altro (Specificare).............................

9 REDDITO
10.1. Può indicare le fonti di reddito della sua famiglia?

a. reddito da lavoro dipendente

b. Reddito da pensione

c. Reddito da trasferimento dello Stato (es. indennità di disoccupazione


agricola)

d. Reddito da immobili o fabbricati

e. Reddito da attività di impresa

f. Reddito dalla proprietà di terreni agricoli

10.2. Può collocarsi in una fascia di reddito tra le seguenti ?

a. 0 – 6.ooo

b. 6.000 – 13.000

c. 13.000 – 23.000

d. OLTRE i 23.000 euro

E’ LEI A GESTIRE IL BUDGET SI NO

E’ LEI A PRENDERE LE DECISIONI IMPORTANTI SI NO

VI È COLLABORAZIONE DOMESTICA DEL CONIUGE SI NO

10 CONSUMI

11.1 Qual è la composizione percentuale della spesa mensile?

a. Beni alimentari

b. Spese per abitazione (elettricità, telefono, spese di manutenzione…)

c. Spese connesse ai trasporti

d. Ricreazione, spettacoli, istruzione e cultura

e. Vestiario e abbigliamento

f. Articoli per la casa

g. Servizi sanitari, medicinali e salute in genere

h. Altro (Specificare)…………………………………..
11.2. Quale percentuale della sua spesa alimentare è soddisfatta da autoconsumo di prodotti che ottiene da
fondi agricoli propri o di parenti o da amici?
(Per esempio su 50 euro di spesa complessiva, quanto non ne affronta grazie al fatto che gode di forme di
autoconsumo?)

a. Indicare la
percentuale

11.3. Qual è il peso dei consumi di prodotti locali sul totale dei prodotti alimentari acquistati?
(Anche con un esempio, quanti formaggi locali ogni formaggio “Galbani” acquis tato in supermercato)

a. Indicare la
percentuale

11 RISPARMIO

12.1. Quota di risparmio sul reddito mensile (in percentuale

12.2. Prevalente orientamento di risparmio (in composizione percentuale)?

a. Depositi postali

b. Buoni del tesoro

c. Azioni/obbligazioni

d. Tesaurizzazione

e. Altro

12.3Casa di proprietà ? si no

12.4Autocostruzione ?
si no
12.5 Impegno personale nell’autocostruzione %_______

12.6 Casa di proprietà IACP? si no

12.7 affitto? si no
12.8 affitto IACP? si no
Altro___________________(specificare)
PROGETTO EMERSIONE
Giugno 2006

Le linee portanti di questo progetto1 sono nate per gradi dal dibattito con alcuni
tecnici centrali interessati al tema; ed in particolare con Manlio Calzaroni (Istat),
Alberto Carzaniga (Tesoro), Piero Brunello (Finanze) ed Elio Montanari (Interni) che
intenderei coinvolgere nella costruzione e nella messa in opera della presente
proposta. Importante è stato, inoltre, il dialogo con le parti sociali, ed in particolare
con alcuni dirigenti sindacali, già associati da tempo all’evoluzione dell’attività
emersiva. Ricordo, in proposito, che, a parte gli aspetti generali (e il funzionamento
delle Commissioni per l’emersione e dei Cles), la ricca esperienza pratica settoriale
delle parti sociali ha avuto un ruolo chiave negli Avvisi Comuni per l’emersione: una
pratica di lavoro che, a mio avviso, va ripresa ed ampliata a livello centrale e locale
per depurare la legislazione e la pratica amministrativa da ogni ostacolo (implicito o
esplicito) all’emersione e per accompagnare a livello settoriale il progetto che segue.

L’idea guida è di predisporre, tramite un apparato tecnico snello ma ineccepibile, una


forte competizione di liberazione dal nero seppia tra province e regioni italiane che, in
modo organizzato e trasparente, si sviluppi nell’arco dell’intera legislatura e sia
diretta da un Gruppo centrale che faccia capo al Ministero del Lavoro o alla
Presidenza del Consiglio; che includa fin dall’inizio esperti e responsabili
dell’Economia e degli Interni e coinvolga, inoltre, in una seconda fase, personale
delle Politiche Agricole, dello Sviluppo, della Giustizia, delle Pari Opportunità e di
altri Dicasteri.
In altre parole, questo progetto vuole aggredire l’aspetto più grave del fenomeno del
lavoro sommerso – il lavoro interamente non dichiarato (prima ancora, cioè, di quello
parzialmente o mal dichiarato) – con l’intento di raggiungere mese dopo mese, in
ogni angolo dell’Italia, in modo sistematico e progressivo, risultati consistenti “a
cascata”, relativi all’occupazione regolare, al rispetto delle norme sulla sicurezza e
sull’attività lavorativa, alla riscossione dei contributi, dei premi assicurativi e delle
entrate fiscali, al risanamento dei bilanci pubblici, alla regolarità dei bilanci privati,
della concorrenza e della vita economica, al controllo del territorio.

Bisogna fornire al Paese, fin dai primi cento giorni del governo Prodi, - questo è
l’incipit del ragionamento - un chiaro segnale di svolta, proponendo all’opinione
pubblica un futuro basato su “uno Stato amico che non si lascia imbrogliare” e
conquistandosi la stima ed il rispetto del cittadino con comportamenti coerenti.
A tal fine, la competizione tra province e regioni si deve basare sul livello ed il saggio
di variazione dell’occupazione regolare e di altre quantità appena indicate che devono
essere rilevate dal Gruppo centrale ogni tre mesi, tramite un apparato tecnico
statistico basato su tutte le conoscenze del caso (ed, in primo luogo, sulle statistiche
Inail-dna che possono venir rapidamente riprese e mese a punto con il metodo
1
Un’esposizione più distesa del ragionamento che sorregge la presente proposta è contenuta nei testi “ Emersione
possibile” e “No, cara piccina no” acclusi al presente dossier.

1
elaborato dal dott. Calzaroni e che consentono di seguire, settimana per settimana,
l’andamento dell’occupazione regolare a livello provinciale).
Da qui possono venir stilate graduatorie adeguate degli andamenti territoriali (che
vanno rese pubbliche, trasformandosi così in news giornalistiche) e premialità, anche
solo simboliche o morali. Il meccanismo può esser costruito inizialmente su semplice
base volontaria (vale a dire con la collaborazione delle Province e Regioni che
intendono parteciparvi) e/o venir discusso e condiviso tramite la conferenza Stato-
Regioni.

Il progetto che, per le ragioni espresse nella lettera introduttiva, viene presentato in
forma ultrasintetica, intende utilizzare la mano pubblica per ottenere gli obiettivi
richiamati. In quanto tale, esso si preoccupa, ad un tempo, dei risultati da raggiungere
e degli strumenti e del personale utilizzati per raggiungerli. Prende in considerazione
il grado di produttività di questi ultimi; ma si propone anche di accrescerlo. Seguendo
le indicazioni dell’ing. Carzaniga, si ritiene, in proposito, di far tesoro
dell’opportunità dell’introduzione della contabilità in tempo reale a tutti i livelli del
sistema pubblico per studiare forme di crescita della produttività “in progress” delle
istituzioni e del lavoro impegnati nella campagna.
Inoltre, collegandosi con l’esperienza della Società degli Studi di settore (Sose) legata
all’Agenzia delle entrate che, com’è noto, si occupa della coerenza e della congruità
delle dichiarazioni fiscali delle imprese, il presente progetto ha anche lo scopo di
fornire alla Sose preziose conoscenze dirette (aggiuntive a quelle indirette finora
utilizzate) che consentano di “tarare” meglio i suoi Studi da un punto di vista
territoriale e settoriale e di trasformarli così, nelle diverse realtà, in autentici
strumenti di emersione (scongiurando, nello stesso tempo, che essi inducano invece
in alcuni territori l’immersione delle imprese e del lavoro). Questa parte del progetto,
messa a punto con il dott. Brunello e con i suoi collaboratori è già iniziata
positivamente a livello sperimentale.
Infine, come suggerita dal dott. Montanari, l’attività di promozione dell’emersione e
dell’ordine pubblico inclusa nel Pon sicurezza del ministero dell’Interno può essere
inserita e valorizzata fin da subito all’interno del progetto qui discusso.

In linea generale, l’emersione del lavoro e delle attività produttive si verifica per via
diretta ed indiretta. Come ho sostenuto a più riprese fin dal 1994, in condizioni di
consistente patologia sociale, l’intervento pubblico di risanamento e di sviluppo
locale si muove su un terreno relativamente solido solo se agisce sulle ali dello
spettro delle possibilità; vale a dire a livello automatico ed indiretto da un lato, ed a
livello responsabile e coinvolgente dall’altro. L’intervento indiretto - tipo quello della
fiscalità di vantaggio differenziata territorialmente o del credito d’imposta - vien qui
preso come cornice all’interno della quale si colloca il progetto emersione.
Quest’ultimo, come già indicato dagli art. 78 e 79 della legge 449/1998 e successive
modifiche, si compone, fondamentalmente, di due settori che debbono procedere di
conserva: quello promozionale ed induttivo e quello ispettivo e repressivo.

2
Il primo fa capo al sistema del Comitato-Commissioni-tutori per l’emersione a cui si
è accennato nella lettera introduttiva, agli Enti locali interessati ed alle tante
esperienze istituzionali, sociali e della società civile che si sono sviluppate in questi
anni. Ricordo, in particolare, le iniziative delle scuole, il ruolo d’avanguardia
dell’esperienza Cuore nei quartieri periferici di Napoli, le tante iniziative delle
Commissioni pugliesi, la Fondazione Field della Regione Calabria (con i suoi
interventi d’area, il credito alle piccole imprese, il laboratorio-scuola per piccoli
imprenditori, il progetto shock di mobilitazione del mercato del lavoro ecc.; e di cui
sono presidente del Comitato scientifico), la ricerca a tappeto sul campo organizzata
da Abruzzo Lavoro, il laboratorio-scuola per imprenditori Prima Res di Catania ecc.
Fortunatamente, negli ultimi anni, la tematica dell’emersione ha preso piede come il
prezzemolo in tanti ambienti istituzionali, sociali e civili: la competizione
interprovinciale ed interregionale può spingere tutti ad evitare l’episodicità, rafforzare
il coordinamento ed elevare il saggio di rendimento dell’intervento – anche tramite
una campagna generale (media inclusi), processi concreti e balzi successivi, in una
nobile gara attentamente monitorata che può coinvolgere via via l’intera Penisola.

Quanto poi all’attività d’ispezione e di repressione, essa fa capo, com’è noto, alle
Direzioni del Lavoro, agli Istituti preposti, ai Cles. Ma è chiaro che, nella logica di
grande mobilitazione (e concentrazione) della comprensione, delle capacità e delle
volontà a livello istituzionale, sociale e civile qui proposta essa deve essere rivista:
sia dal lato legislativo e (soprattutto) tecnico del record delle imprese e delle banche
dati, sia da quello dell’integrazione con le altre attività di controllo territoriale degli
organi dello Stato (guardie di finanza, carabinieri, pubblica sicurezza ecc.), sia da
quello della convergenza indispensabile sull’obiettivo con gli Enti locali territoriali.
Alcune esperienze passate attorno a Prefetti particolarmente sensibili fanno pensare
che, anche qui, una svolta positiva ed approfondita sia effettivamente possibile.
D’altre parte, per quanto possa apparire inelegante o noioso, il professore di politica
economica non può fare a meno di notare che il cittadino sovrano, tramite il sistema
pubblico, provvede lo stipendio a decine e decine di migliaia di persone, appartenenti
a personale civile o in uniforme, la cui attività, se lo di desidera davvero, può essere
effettivamente sprigionata.
Per quale strada? La presente proposta batte, innanzitutto, la via qualitativa. Ritengo,
infatti, che, se è possibile (lo si è sostenuto più sopra) migliorare gli Studi di settore e
più in generale l’apparato tecnico a disposizione, così, di conseguenza, è anche
possibile orientare meglio - sia riguardo all’obiettivo, sia riguardo alla coerenza ed
alla congruità delle imprese - l’azione del personale ispettivo e di sicurezza, in modo
che esso agisca sempre più “a colpo sicuro”. Da qui, inoltre, sul piano locale – come
si sta già discutendo in Puglia, in Calabria e in Campania - può nascere – via banche
dati e lavoro corale – una capacità nuova di vigilanza basata su verifiche effettive in
loco, record individuali d’impresa, attribuzione di attestati di regolarità, esclusione
delle imprese morose dalle gare pubbliche ecc. In altre parole, nulla osta, sul piano
tecnico, che, tramite la competizione tra province e regioni qui proposta, il Paese
riesca a riorganizzare sistematicamente le proprie capacità ispettive e repressive
3
(accanto a quelle promozionali ed induttive) per raggiungere l’emersione del nero
seppia, per avviare a soluzione un vasto ambito di irregolarità, e per ottenere, in
ultima analisi, un miglior controllo del territorio.
Elevare, in qualità e quantità, il rendimento operativo dell’apparato pubblico è tanto
importante quanto favorire l’emersione del sommerso. Anzi, si tratta in realtà di due
aspetti convergenti rispetto al medesimo scopo: quello di accrescere le prospettive di
rilancio (ed il grado di civiltà) del Paese.

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Iniziative di sviluppo locale in sei province meridionali


Parte seconda
Case studies

ISFOL – Area Studi Istituzionali e Normativi – Claudio Tagliaferro


Rapporto di ricerca – Novembre Dicembre 2003
Bozza non completa e non corretta - Si prega di non citare
Sommario
1. Provincia di Avellino .........................................................................................................................................................................3
1.1. Serafino Celano Esperienza LEADER, Mezzogiorno e processi di sviluppo locale. Un progetto del
Piano d’Azione Locale “Terre d’Irpinia”.................................................................................................................3
1.1.1. Introduzione ...............................................................................................................................................................3
1.1.2. Dal Piano al progetto................................................................................................................................................4
1.1.3. Fattori chiave di successo........................................................................................................................................7
1.1.4. Conclusioni (provvisorie)......................................................................................................................................13
1.1.5. Bibliografia ..............................................................................................................................................................14
1.2. Rocki Gialanella Il Patto Territoriale di Avellino......................................................................................................16
1.2.1. Nascita ed evoluzione del Patto............................................................................................................................16
1.2.2. Obiettivi del Patto ...................................................................................................................................................17
1.2.3. Le testimonianze .....................................................................................................................................................19
1.2.4. I dati quantitativi .....................................................................................................................................................21
2. Provincia di Benevento....................................................................................................................................................................24
2.1. Rocki Gialanella Il Patto Territoriale di Benevento...................................................................................................24
2.1.1. Nascita ed evoluzione del Patto............................................................................................................................24
2.1.2. Obiettivi del Patto ...................................................................................................................................................28
2.1.3. Le testimonianze .....................................................................................................................................................29
2.1.4. I dati quantitativi .....................................................................................................................................................32
2.2. Rocki Gialanella Il GAL Fortore Tammaro .................................................................................................................35
2.2.1. Il contesto di riferimento........................................................................................................................................35
2.2.2. Obiettivi e contenuti...............................................................................................................................................37
2.2.3. La promozione territoriale .....................................................................................................................................42
2.2.4. La gestione finanziaria del programma ...............................................................................................................43
2.2.5. L’organizzazione.....................................................................................................................................................44
2.2.6. I risultati....................................................................................................................................................................45
3. Provincia di Campobasso................................................................................................................................................................46
3.1. Rossano Giannetti e Marco Primiano Il Patto Territoriale per l’Occupazione del Matese................................46
3.1.1. Denominazione e tipologia ....................................................................................................................................46
3.1.2. Network ....................................................................................................................................................................47
3.1.3. L’ambito territoriale ed il contesto socio-economico .......................................................................................48
3.1.4. Obiettivi e strategie .................................................................................................................................................51
3.1.5. Concertazione e Partenariato.................................................................................................................................53
3.1.6. Risultati e Conclusioni...........................................................................................................................................58
3.1.7. Appendice 1: Il patto e la formazione .................................................................................................................61
3.2. Rossano Giannetti e Marco Primiano Il GAL “Molise verso il 2000”...................................................................63
3.2.1. Il Gruppo di Azione Locale ...................................................................................................................................63
3.2.2. Risultati e progettualità ..........................................................................................................................................67
1
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3.2.3. Conclusioni ..............................................................................................................................................................71
4. Provincia di Foggia ..........................................................................................................................................................................74
4.1. Antonio Palazzo Il Patto per Foggia ............................................................................................................................74
4.1.1. Premessa...................................................................................................................................................................74
4.1.2. Lo scenario di riferimento .....................................................................................................................................74
4.1.3. Modalità e procedure di intervento......................................................................................................................76
4.1.4. Conclusioni ..............................................................................................................................................................78
4.2. Antonio Palazzo Il GAL “Meridaunia”........................................................................................................................80
4.2.1. Premessa...................................................................................................................................................................80
4.2.2. Oggetto del Piano....................................................................................................................................................82
4.2.3. Conclusioni ..............................................................................................................................................................87
5. Provincia di Reggio Calabria ..........................................................................................................................................................88
5.1. Raffaele Trapasso L’I.C. LEADER II nel “Basso Tirreno Reggino”......................................................................88
5.1.1. Descrizione dello scenario .....................................................................................................................................88
5.1.2. La storia (il processo di concertazione e la costruzione del PAL) ..................................................................93
5.1.3. La gestione dell’Intervento (azioni effettuate)...................................................................................................96
5.1.4. Conclusioni dell’analisi..........................................................................................................................................98
5.2. Raffaele Trapasso L’I.C. LEADER II nell’Area Grecanica....................................................................................100
5.2.1. Descrizione dello scenario ...................................................................................................................................100
5.2.2. La storia (il processo di concertazione e la costruzione del PSL) ................................................................107
5.2.3. Politici, Tecnici e Popolazione locale (funzionamento della società locale)..............................................109
5.2.4. Il Piano di Sviluppo Locale (idea forza e azioni previste).............................................................................110
5.2.5. Conclusioni dell’analisi........................................................................................................................................113
5.3. Raffaele Trapasso Produzione dolciaria nel Comune di Taurianova (RC)..........................................................115
5.3.1. Introduzione ...........................................................................................................................................................115
5.3.2. La produzione dolciaria a Taurianova...............................................................................................................116
5.3.3. Il Torrone di Taurianova. Origini e prospettive di una produzione tradizionale .......................................118
5.3.4. Bisogni delle aziende locali.................................................................................................................................123
6. Provincia Regionale di Messina...................................................................................................................................................127
6.1. Fabrizio Fasulo Il GAL Valle Alcantara.....................................................................................................................127
6.1.1. Carta d’identità ......................................................................................................................................................127
6.1.2. Cronistoria ..............................................................................................................................................................130
6.1.3. Risultati...................................................................................................................................................................132
6.1.4. Conclusioni ............................................................................................................................................................139
6.2. Fabrizio Fasulo Il Patto Territoriale di Messina.......................................................................................................142
6.2.1. Carta d’identità ......................................................................................................................................................142
6.2.2. Cronis toria ..............................................................................................................................................................145
6.2.3. Risultati...................................................................................................................................................................146
6.2.4. Conclusioni ............................................................................................................................................................155

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1. Provincia di Avellino

1.1. Serafino Celano Esperienza LEADER, Mezzogiorno e processi


di sviluppo locale. Un progetto del Piano d’Azione Locale
“Terre d’Irpinia”

1.1.1. Introduzione
Il presente studio rappresenta una riflessione ex post sull’esperienza LEADER II.
A partire da un’esperienza concreta di progettazione ed implementazione, nasce come
esercizio autovalutativo e si snoda come il racconto di una significativa vicenda di successo
all’interno del Piano di Azione Locale“Terre d’Irpinia”, finanziato dall’Unione Europea
tramite l’Iniziativa Comunitaria LEADER II e gestito dal Gruppo di Azione Locale (GAL)
CILSI (Centro di Iniziativa Leader per lo Sviluppo dell’Irpinia), un consorzio pubblico-
privato in cui sono rappresentati enti locali (comuni e comunità montana), un centro di ricerca
socio-economica e di supporto allo sviluppo locale (il CRESM Campania) e le organizzazioni
dei produttori artigiani e agricoli (CNA, CIA e Coldiretti).
La vicenda è l’azione di animazione di un consorzio di trasformazione, il COPAI di Bisaccia,
in provincia di Avellino: un impianto di trasformazione agro-alimentare comprendente le
linee di produzione relative alla trasformazione casearia, alla produzione di pasta fresca ed
all’imbottigliamento di olio di oliva.
L’area di riferimento del progetto è, grosso modo, la Comunità Montana Alta Irpinia, una
zona della provincia di Avellino ai confini con la Puglia, caratterizzata da un’agricoltura
estensiva e montana, il perfetto paradigma di ciò che Manlio Rossi Doria definiva “osso” o
“Mezzogiorno estensivo”. In questo contesto si è dispiegata, negli ultimi anni, l’azione di
progettazione ed intervento del GAL CILSI, con l’obiettivo di mostrare la possibilità di uno
sviluppo locale che, partendo dalle risorse presenti, le valorizzasse e trasformasse nella
direzione di attività economiche autonome e capaci di resistere sul mercato.
La nostra riflessione, dicevamo, è mirata non ad una valutazione in senso tecnico di
un’esperienza significativa nell’ambito del Piano d’Azione Locale: è dettata, piuttosto, dalla
necessità di ripercorrere le vicende trascorse, farne memoria condivisa perché se ne possano
trarre lezioni e, infine, collegare approcci e metodologie spesso inventati sul campo (o piegati
ad esiti non previsti dal concreto svolgersi delle cose) ad approfondimenti teorici di tipo
socio-economico che gettino una luce interpretativa “a cose fatte” su comportamenti e
vicende, sempre al fine di migliorare la nostra conoscenza dei processi di sviluppo locale.
Non presentiamo questa esperienza come una best practice: la vicenda che raccontiamo ci
sembra, tutt’al più, promettente, degna di essere tenuta presente, anche allo scopo di trarne
qualche elemento di giudizio su efficaci prassi implementative che lo strumento LEADER
sembra consentire.
Descriveremo, nei paragrafi seguenti, i passi che hanno scandito l’evoluzione dl progetto di
sviluppo, a partire dal Piano di Azione Locale fino alla concreta operatività dell’investimento
previsto.
Si tratta della descrizione di un processo che definiamo “di emersione/sviluppo locale”:
l’analisi territoriale e i contributi di conoscenza forniti dagli attori presenti sul territorio
avevano mostrato la presenza di prassi produttive informali e semi-sommerse nell’ambito

3
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delle produzioni agroalimentari locali, legate anche al contingentamento delle produzioni (le
c.d. “quote latte”).
L’idea guida consisteva nel considerare il miglioramento delle performance, ottenuto anche
attraverso la promozione di iniziative associative e consortili ed il miglioramento della
qualità, come un potente motore di regolarizzazione e di emersione, specie in presenza di
produzioni ad alto potenziale qualitativo e di tipicità, suscettibili di ulteriori valorizzazioni e
miglioramenti tecnologici.
L’emersione - non la mera regolarizzazione ma l’esito di un processo di crescita civile e di
sviluppo autonomo - era quindi l’obiettivo del progetto 1 .
Rispetto a tale obiettivo descriveremo, dopo il racconto del caso, quelli che a nostro parere
appaiono fattori chiave di successo, vale a dire quelle caratteristiche del programma LEADER
che possono renderlo adatto ad innescare processi di emersione/sviluppo locale.

1.1.2. Dal Piano al progetto


Il Piano di Azione Locale, progettato in ambito CRESM Campania, fu presentato in data
22.09.1995 e approvato il 18.10.1996. Una delle idee portanti era quella di partire dalle
risorse locali – e fin qui si rimaneva nell’alveo delle motivazioni e delle metodologie Leader –
e, però, non restare prigionieri dell’esistente: da qui lo sforzo di puntare su passi in avanti
concreti e significativi che potessero costituire momenti di forte discontinuità. Da questo
punto di vista, le azioni previste nei vari ambiti, ed in particolare, avvicinandoci al nostro
progetto di sviluppo, quelle relative alla valorizzazione e commercializzazione in loco dei
prodotti locali, tenevano in considerazione obiettivi di modernizzazione tecnica, di utilizzo
delle tecnologie dell’informazione e di introduzione di standard di qualità.
Si pensava, pertanto, ad interventi che migliorassero tecnicamente le produzioni
agroalimentari a monte, nel mentre si procedeva alla promozione di un investimento a valle
nel settore della trasformazione e commercializzazione, con particolare riferimento alla
trasformazione casearia e con l’obiettivo di costruire, a partire da DOP esistenti (il
caciocavallo silano), un’ulteriore qualificazione della tipicità. Come vedremo, tale sequenza
progettata subì, in corso d’opera, una modifica dal significato non banale.
Nel passare dal Piano all’azione concreta di implementazione, il GAL dovette organizzare le
attività a partire dalle risorse tecniche presenti al suo interno. In particolare, a sostegno del
progetto di sviluppo che stiamo descrivendo, operò un gruppo di lavoro coordinato dal
CRESM Campania e formato da tecnici delle associazioni artigiane ed agricole (CNA, CIA e
Coldiretti).
1.1.2.1 Prima fase di animazione: dall’assistenza allo sviluppo
La prima azione significativa, preliminare a tutta l’operatività successiva, fu rappresentata
dalla costituzione di un gruppo di lavoro all’interno e tra soci del GAL. Il soggetto animatore
di tale gruppo era il CRESM Campania 2 .
I primi compiti affrontati dal gruppo di lavoro consistettero nell’approfondimento della
conoscenza del territorio. Con più o meno grande sorpresa, fu subito chiaro che era necessario
ricostruire, integrando fonti diverse, le conoscenze sul tessuto socio-economico e, cosa ancora
più importante, riorientarle nella direzione dello sviluppo. La prima lezione appresa on-the-
job, da parte del gruppo di lavoro, fu quella della ridefinizione dell’approccio e del
1
Su tali concetti, vedi MELDOLESI ( 2000) e MELDOLESI ( 2001).
2
Il CRESM Campania, che aveva avuto un ruolo determinante già nella costituzione del
Gruppo di Azione Locale, diventa fondamentale anche in questa fase di organizzazione di un
gruppo di lavoro formato da tecnici provenienti dalle varie associazioni facenti parte del
GAL. Come soggetto animatore e facilitatore, motivato e impegnato sul progetto (il CRESM
è un organismo di agenti di sviluppo), riesce a coinvolgere e motivare gli altri attori,
instaurando un’atmosfera di fiducia e di tensione verso l’obiettivo. Vedi oltre e al par. 2.4.
4
bozza non completa e non corretta -- non citare
comportamento: tale ridefinizione avvenne, in primo luogo, nello spazio delle relazioni tra
GAL, associazioni e gruppo di lavoro. Le parole d’ordine “si fa sul serio” e “si fa sviluppo,
non assistenza”, diventarono la chiave per il cambiamento; il gruppo di lavoro – formato da
tecnici appartenenti a CRESM, CNA, CIA, Coldiretti – acquistò autonomia ed originalità di
comportamenti e, sia attraverso la ricordata integrazione delle basi informative, sia tramite
una serie nutrita di incontri con imprenditori del territorio, acquistò una propria capacità di
entrare in sintonia (in ascolto, da principio) con la realtà socioeconomica. Ovviamente ciò non
bastava: l’obiettivo era quello di comunicare le opportunità offerte dal Piano d’Azione Locale
e di spingere gli imprenditori a sfruttare le opportunità proposte (miglioramento delle
produzioni a monte e creazione di un impianto di trasformazione); le prassi precedenti, in
special modo dal dopo terremoto del 1980 in poi, avevano avuto la caratteristica di ingenerare
la diffusa convinzione che, specie in ambito rurale, la questione relativa agli incentivi allo
sviluppo si tramutasse in un’opportunità di sfruttamento individuale, tramite protezioni
politiche, di risorse finanziarie pubbliche, dove il massimo sforzo da fare era quello di
assicurarsi protezioni, non quello di condividere un progetto.
La prima fase di incontri e di animazione del territorio, pertanto, servì a “rodare” la capacità
del gruppo di lavoro di parlare con il giusto tono e i giusti contenuti e ad acquisire la
convinzione che era necessario uno sforzo maggiore e più ampiamente coordinato, finalizzato
ad ingenerare fiducia nel fatto che, da parte del GAL, non si stava facendo la solita operazione
assistenziale a danno delle risorse pubbliche.
Il punto è essenziale: non si trattava tanto di convincere gli operatori economici che, da parte
del GAL, si stava cercando di interpretare al meglio un ruolo di vero incentivo allo sviluppo
locale; la vera questione era la possibilità di entrare nel merito, vale a dire condividere gli
obiettivi e indurre gli imprenditori a ragionare in termini di opportunità di sviluppo e
modernizzazione, da conseguire attraverso condivisione e compartecipazione, e non di
vantaggi finanziari indipendenti da progetti imprenditoriali.
La prima fase dell’intervento si concluse con due importanti risultati:
- l’affinamento degli strumenti di intervento (la “maturazione” on-the-job del gruppo di
lavoro, con la connessa aumentata capacità di conoscenza e sintonia),
- la decisione di rimodulare le azioni del Piano per poter meglio concentrare gli interventi.
La rimodulazione consistette, in pratica, nella seguente ipotesi progettuale: abbandono
dell’approccio sequenziale miglioramento delle produzioni a monte ? riqualificazione
dell’input ? creazione di un nodo di trasformazione e commercializzazione, in favore di una
concentrazione di risorse ed interventi nella creazione del nodo di trasformazione a valle, a
partire da forme di associazionismo dei produttori a monte. L’impianto di trasformazione,
caratterizzato da moderne tecnologie e dall’utilizzo di standard certificati di qualità, avrebbe
indotto, tra i produttori soci e, in genere, nel settore, miglioramenti e riqualificazioni
produttive.
La nuova sequenza era: associazione tra i produttori ? investimento nel nuovo impianto ?
elevati standard tecnologici e di qualità certificata ? miglioramento delle produzioni a
monte.
1.1.2.2 Seconda fase di animazione: nasce il consorzio
La seconda fase di animazione, con il piano rimodulato, riavviò gli incontri e le attività di
sensibilizzazione. C’era da superare la diffidenza e il malinteso, di cui si è detto, e, in più,
spingere per un atteggiamento di propensione all’associazionismo. Questo risultava essere un
punto non secondario, data la mancanza di tradizioni di imprese cooperative o consortili.
La via dello sbloccamento assunse le seguenti caratteristiche: il gruppo di lavoro, negli
incontri di informazione e sensibilizzazione, poneva l’accento sulla necessità di unire le forze
per poter sostenere la partecipazione al bando per il finanziamento dell’investimento, nel
mentre sottolineava la disponibilità del GAL a fornire assistenza tecnica sia alla fase di
costituzione della forma associata (cooperativa, consorzio, altre forme associative), sia a
quella di assistenza tecnica post-assegnazione del finanziamento.
In questa fase di animazione assumono un peso sempre più significativo altri attori che, fino a
quel momento, erano restati nell’ombra: i Comuni membri del GAL.
5
bozza non completa e non corretta -- non citare
I rappresentanti degli enti locali presenti nel GAL furono coinvolti nell’animazione,
diventando un ulteriore canale di sensibilizzazione. Essi, inoltre, nello spingere perché si
addivenisse a forme associate nella partecipazione al bando di finanziamento, che nel
frattempo era stato pubblicato, spesso manifestarono la propria disponibilità a supportare
ulteriormente l’iniziativa, attraverso, ad esempio, la disponibilità di aree nei Piani di
Insediamento Produttivo. Erano in grado, inoltre, di procedere a dei contatti maggiormente
attenti e approfonditi; riuscivano più facilmente, grazie alla presenza continua sul territorio, a
dare continuità ed approfondimento alle azioni di animazione ed informazione condotte dal
gruppo di lavoro, mostrando, in molti casi, una grande capacità di coinvolgimento.
In breve, con la seconda fase, grazie al nuovo passo assunto dall’animazione territoriale e al
vasto coinvolgimento sociale e istituzionale, si ebbe una potente iniezione di fiducia. Molto
importante risultò la percezione che il GAL, attraverso il gruppo di lavoro tecnico e gli enti
locali coinvolti, si proponeva come un partner concreto nell’attività di progettazione e avvio
della nuova attività imprenditoriale: un partner operativo, non un canale di finanziamento.
Il finanziamento, peraltro, era di sicura appetibilità: prevedeva un impegno a fondo perduto
pari al 75% dell’investimento, a fronte di una spesa complessiva pari a massimo un miliardo
di lire.
Rispetto a tali condizioni agevolative, pressoché uniche nel panorama degli incentivi
disponibili, fu sorprendente verificare le difficoltà incontrate nel convincere gli imprenditori
locali a procedere alla costituzione di un consorzio in grado di concorrere e di sostenere il
cofinanziamento privato.
Un consorzio costituito tra piccoli imprenditori zootecnici, il COPAI di Bisaccia, partecipò al
bando e si aggiudicò il finanziamento. Il primo passo era fatto. Si trattava, ora, di procedere
nelle azioni ed attivare la sequenza di sviluppo.
Una nota di commento al primo passo che, come si vedrà, è quello essenziale, dato che
costituisce l’atto di sprigionamento e sblocco:
– il maturare della coscienza che il progetto può andare in porto procede insieme al crescere
della consapevolezza del ruolo che ogni membro del GAL si trova a vivere. Si assiste, in
altri termini, al crescere del governo locale del progetto, attraverso cui si armonizza, sul
territorio, sia l’apporto imprenditoriale che quello tecnico-specialistico;
– attraverso il GAL gli attori tradizionali, in precedenza conosciuti come astratti
rappresentanti e dispensatori di assistenza e patronato, si mostrano con un volto nuovo e
diverso: tecnici legati al territorio, che conoscono persone e situazioni, che parlano il
linguaggio e gli stessi dialetti dei paesi e che mettono il loro know-how tecnico a supporto
di un progetto di sviluppo insieme agli imprenditori; un supporto che comprende anche un
ruolo attento e partecipe delle istituzioni locali.
1.1.2.3 Un passo in avanti nella nuova sequenza
Il gruppo di lavoro, da attore di animazione territoriale, assunse, in questa fase, anche le vesti
di gruppo di assistenza tecnica allo sviluppo.
Molto importante, in questa evoluzione, si rivelò il ruolo di leadership rivestito dal CRESM
Campania che, rispetto agli altri attori coinvolti (le associazioni), era maggiormente
impegnato a mantenere il focus sull’obiettivo del progetto, impedendo un possibile ritorno,
nella fase di contatto operativo con gli imprenditori, a logiche tradizionali ed individuali di
supporto.
Il gruppo entrò immediatamente in stretta relazione e collaborazione con gli imprenditori, a
partire dalle fasi di consolidamento formale della struttura consortile.
La compagine consortile attraversò, nelle prime fasi, dei momenti di assestamento ed, infine,
si consolidò in un gruppo di imprenditori zootecnici, tutti motivati a proseguire nel progetto.
Si nota, in questa fase, una modalità di aggregazione di tipo patriarcale, con l’acquisizione del
ruolo guida di Presidente da parte dell’agricoltore più anziano e con maggiore esperienza.
Gli imprenditori erano allevatori con capacità di trasformazione artigianale (la produzione di
caciocavalli): le loro evidenti motivazioni al cambiamento si basavano sulla consapevolezza
delle potenzialità insite nel loro settore, insieme alla convinzione della necessità di un deciso

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bozza non completa e non corretta -- non citare
passo in avanti nella fase di trasformazione e commercializzazione. Passare da modalità
artigianali e semi-sommerse a tecnologie piccolo-industriali, conservando e migliorando le
produzioni di base, rappresentò una sfida allettante, che ben si coniugava con l’esigenza e la
speranza di indurre, in tal modo, un passaggio generazionale: i figli degli imprenditori,
scolarizzati e non sempre coinvolti nelle attività della famiglia, potevano essere coinvolti, e lo
furono, nei nuovi progetti di sviluppo, candidandosi a rappresentare la futura struttura
organizzativa del consorzio di trasformazione. Questa prospettiva, in particolare, fu una delle
molle decisive che spinsero gli imprenditori ad assumere un rischio di compartecipazione
all’investimento.
La definizione di un progetto esecutivo, l’individuazione e l’assegnazione di un’area PIP nel
comune di Bisaccia 3 , la costruzione della struttura, l’acquisto ed installazione di moderni
macchinari, furono le tappe che portarono alla creazione della nuova struttura. Il gruppo di
lavoro del GAL operava in stretto contatto con gli imprenditori e i tecnici locali.
A questo punto bisognava andare fino in fondo nella caratterizzazione della nuova struttura.
Così come previsto dal piano, occorreva accedere a standard di sistema certificabili: oltre che
dotarsi, quindi, di un piano di autocontrollo igienico sanitario obbligatorio 4 , si decise di
costruire un sistema qualità conforme allo standard ISO 9000; si innalzava, in questo modo, il
livello dei vincoli cui, volontariamente, si sottoponeva la struttura al fine di garantire, verso
l’esterno, la presenza di processi aziendali orientati alla qualità del prodotto ed alla
soddisfazione del cliente. In tale attività risultò prezioso l’apporto del gruppo di assistenza
tecnica. Occorreva, inoltre, procedere ad un’incisiva attività di formazione, coinvolgendo sia
l’azienda produttrice dei macchinari che risorse tecniche reperite dal gruppo di lavoro in aree
contigue alla zona e maggiormente avanzate dal punto di vista della trasformazione casearia
(le province di Salerno e Caserta).
Un sistema qualità ISO 9000 ha, tra le altre, la caratteristica di imporre fasi fortemente
controllate al processo di approvvigionamento: occorre selezionare accuratamente i fornitori
degli input significativi, qualificarli e sorvegliarli nel tempo, oltre che procedere a precisi
controlli del prodotto in ingresso. Ciò comportava, in primo luogo, un adeguamento a monte
delle strutture di proprietà degli stessi consorziati; erano essi stessi i primi fornitori di materia
prima: latte di qualità che doveva provenire da allevamenti e strutture zootecniche adeguate,
migliorate e conformi rispetto alle normative obbligatorie, oltre che ai parametri stabiliti dai
piani della qualità delle varie linee di trasformazione. Tale induzione poteva propagarsi
agevolmente a tutti gli allevatori che intendessero entrare in relazione economica con il
consorzio COPAI: questo è l’effetto diretto di miglioramento sui settori a monte, attraverso la
selezione indotta dagli standard di performance rispetto ai fornitori e al prodotto
approvvigionato.
Un effetto ulteriore, indiretto, si aveva attraverso le attività di divulgazione di buone prassi di
allevamento finalizzate alla trasformazione del prodotto tipico, condotte dal gruppo di
assistenza tecnica del GAL, insieme al Consorzio, e rivolte alla platea degli allevatori del
territorio.
La nuova sequenza sembra funzionare, anche se siamo agli inizi dell’operatività: appaiono
evidenti, comunque, i segni di un positivo influsso sul territorio.

1.1.3. Fattori chiave di successo


Passiamo, ora, a identificare quelle caratteristiche presenti nello strumento LEADER che lo
rendono adatto, se ben utilizzate, ad innescare processi di emersione/sviluppo locale.
Abbiamo definito tali caratteristiche “fattori chiave di successo”.

3
Il comune era membro del GAL.
4
Secondo i principi HACCP (hazard analysis and critical control points).
7
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La prima di esse è la ridotta dimensione del piano (“piccola scala”), intesa sia come entità dei
budget complessivi gestiti per singolo GAL (intorno ai sei miliardi di lire al massimo per
LEADER II 5 ), sia come territorio target 6 .
La piccola scala consente di avere un efficace controllo del piano, assicura una più alta
probabilità di ottenere coerenza e sinergia tra le azioni previste e spinge i promotori a
concentrarsi su azioni ed investimenti “micro” dal forte carattere di dimostratività ed
emblematicità. Un giusto compromesso tra entità non eccessiva del budget e possibilità di
attivare azioni efficaci, specie in presenza di un clima collaborativo e di un soggetto
animatore motivato, può servire a non far insorgere forti appetiti e ad evitare una situazione di
“assalto alla diligenza” (del denaro pubblico) e di logica spartitoria.
La seconda caratteristica è la flessibilità, intesa come possibilità di operare rimodulazioni dei
piani pluriennali, dare, quindi, efficacia concreta al processo di Monitoring & Evaluation ed
operare interventi correttivi generati principalmente dal processo di apprendimento da parte
degli attori. Si tratta, in altri termini, della possibilità di uscire dal modello sinottico 7 ,
l’illusione razionalistica che si possa pianificare e valutare con completezza di informazioni e
conoscenza perfetta delle condizioni di partenza e dei processi di evoluzione. LEADER
sembra dare la possibilità di utilizzare il piano di partenza (Piano di Azione Locale o, nella
terminologia LEADER Plus, Piano di Sviluppo Locale) come una tecnica per “vendere” – o
promuovere – ipotesi di progetti di sviluppo, ben sapendo che lo spazio dell’integrazione è da
costruire sul terreno, in base agli esiti che si producono, e che gli esiti più veri ed interessanti
sono unexpected (surprising!) e unintended (not planned!) 8 . Occorre, quindi, accostando la
terminologia LEADER a quella hirschmaniana, dapprima ipotizzare liaisons e poi scoprire
linkages 9 .
Dai due fattori chiave descritti derivano ulteriori conseguenze.
In particolare, dalla piccola scala deriva la possibilità di ottenere coinvolgimento e
partecipazione sia da parte degli attori che promuovono gli interventi (il Gruppo di Azione
Locale), sia da parte dei cosiddetti beneficiari. La vicinanza e le strette interazioni, unite alla
presenza di un attore fortemente impegnato sull’obiettivo, rendono possibile un effetto di
costruzione o riorientamento del capitale sociale che appare uno dei risultati più importanti
ottenibili da uno strumento come LEADER 10 . Si amplifica, inoltre, la possibilità di ottenere
una buona negoziazione iniziale tra promotori ed ambiente socio-economico del territorio
target (definizione degli obiettivi e del quadro delle azioni pianificate) e di poterla
continuamente aggiornare e migliorare nelle fasi di implementazione.
Affinché si possano esplicare al massimo le positive conseguenze dei fattori chiave definiti in
precedenza, appare fondamentale la presenza, nel Gruppo di Azione Locale, di un attore che
riesca ad interpretare in pieno il ruolo di facilitatore dei processi e di animatore, con una forte
motivazione rispetto al successo e all’efficacia degli interventi di sviluppo progettati. Nel caso
che abbiamo descritto tale ruolo era interpretato dal CRESM Campania che, attraverso agenti
di sviluppo ed esperti, aveva promosso fin dall’inizio la costituzione del GAL e svolto
un’attività di guida ed organizzazione nell’implementazione dei vari progetti. Il ruolo di attori

5
La nuova iniziativa 2000-2006 (LEADER Plus) prevede un massimo, ad esempio, in
Regione Campania, pari a circa cinque milioni di Euro.
6
Sempre LEADER Plus prevede un territorio omogeneo caratterizzato da determinati indici
di ruralità e, comunque, con non più di centomila abitanti.
7
Vedi LINDBLOM (1965) e CROZIER - FRIEDBERG (1981).
8
Su tali questioni, vedi HIRSCHMAN (1995) e la cosiddetta “pseudo-comprehensive-program
technique” (The Principle of the Hiding Hand, p. 22).
9
LEADER è l’acronimo di Liaisons Entre Actions de Developpement de l’Economie Rurale.
10
Su capitale sociale e networking vedi più avanti.
8
bozza non completa e non corretta -- non citare
simili risulta fortemente amplificato se, come nel nostro caso, essi non sono enti esterni al
territorio ma condividono presenza e radicamento con gli altri membri del gruppo e con i
beneficiari delle azioni. Essi sono, a un tempo, interni ed esterni: radicati ma portatori di
logiche innovative nelle relazioni tra economia, politica e società; portatori, cioè, di un’idea
coerente di sviluppo autonomo e basato sulla valorizzazione delle risorse locali.
Il soggetto animatore agisce, pertanto, come agente di sviluppo; l’efficacia della sua azione
dipende fortemente dalla sua caratterizzazione in termini di legami11 .
Il suo obiettivo è il risultato della policy: la mobilitazione di energie e risorse locali, capaci di
sentirsi “rete” di cooperazione e capaci di sentirsi parte di una politica sovralocale. La sua
azione consiste nello spezzare le situazioni di segmentazione e di chiusura dei gruppi sociali:
usa i suoi legami deboli per “allentare” i legami delle chiusure autoreferenziali ed allargare i
confini delle relazioni caratterizzate da norme cooperative.
Utilizza, ai fini dell’efficacia della policy, la sua capacità di essere “ponte” tra gruppi, attori o
istituzioni che trovano difficile mantenere relazioni dirette di cooperazione e di scambio
informativo, superando i fossati o, a volte, gli abissi che separano i funzionamenti specifici di
ogni organizzazione12 .
Ancora in riferimento alla “piccola scala”, si può dire che in ambito LEADER è massimizzata
la probabilità che, in presenza di un ruolo facilitatore altamente committed, si crei una
corretta, efficace e poco dispersiva proporzione tra gruppo di coordinamento/animazione ed
ampiezza del contesto di riferimento 13 .
Infine, appare evidente l’efficacia del meccanismo rappresentato dalla diretta assegnazione al
Gruppo di Azione Locale, un’istanza di base, delle responsabilità di progettazione e gestione
dell’intervento; tale “approccio ascendente”, come lo definisce la Commissione U.E., può
risultare decisivo in vista dell’obiettivo rappresentato dallo sprigionamento di processi di
emersione/sviluppo locale nei termini che ricordavamo in precedenza.
Nei paragrafi successivi, con riferimento al caso descritto ed alle considerazioni fatte sui
fattori di successo, proveremo ad approfondire tre questioni che ci sembrano centrali nel
ragionamento: un concetto di capitale sociale inteso non come prerequisito allo sviluppo ma
come esito di prassi orientate al cambiamento; il tema della ricerca delle connessioni e delle
nuove prassi produttive; il tema della possibilità di progettare il cambiamento nel rispetto
delle caratteristiche di partenza e senza rinunciare ad incidere in maniera significativa sullo
status quo.

11 Come è noto, i legami possono essere definiti in termini di forza: la forza di un legame è
funzione della quantità di tempo, dell’intensità emotiva, del grado di confidenza reciproca e dei
servizi reciproci che caratterizzano il legame stesso (GRANOVETTER, 1998).
È nota l’argomentazione di Granovetter secondi cui «un qualsiasi oggetto di diffusione riesce
a raggiungere un maggior numero di persone e a superare una più ampia distanza sociale
(ovvero a realizzare un percorso più lungo), se transita attraverso legami deboli piuttosto che
attraverso legami forti» (ibidem, p. 124). D’altra parte, il concetto di ponte, vale a dire il
segmento che identifica l’unico collegamento tra due punti in un reticolo o tra due gruppi di
soggetti, viene caratterizzato come legame debole; meglio: «nessun legame forte può
costituire un ponte» (ibidem, p. 122).
12 Burt parla di structural hole riferendosi a una relazione di non ridondanza tra due contatti o, in

altre parole, di isolamento. Anche egli sottolinea l’importanza del ruolo di ponte, qualificandolo
ancora più in profondità: «Whether a relationship is strong or weak, it generates information benefits when it
is a bridge over a structural hole» (BURT, 1992, p. 74). Per l’applicazione ad una diversa policy di questi
concetti di weak ties e bridging, vedi BOSELLI , CELANO (2003).
13
In ambito organizzativo si direbbe che si crea una corretta definizione dell’ampiezza del
controllo .
9
bozza non completa e non corretta -- non citare
1.1.3.1 Capitale sociale e networking
Contro le tesi di PUTNAM (1993) e FUKUYAMA (1995), che identificano il capitale sociale con
la civicness e la tendenza esistente alla cooperazione e che, da questo punto di vista,
stabiliscono la necessità di prerequisiti storico-culturali alla possibilità di sviluppo economico
(path-dependence), Carlo Trigilia ripropone la nozione (peraltro filologicamente corretta) di
capitale sociale quale “l’insieme delle relazioni sociali di cui un soggetto individuale (per
esempio un imprenditore o un lavoratore) o un soggetto collettivo (privato o pubblico)
dispone in un determinato momento” 14 .
Due ulteriori sottolineature, utili al prosieguo del nostro ragionamento:
– il capitale sociale, in questa accezione, è utile, tra l’altro, a favorire la circolazione di
informazioni e fiducia tra attori individuali e collettivi, rendendo più fluida ed efficace la
circolazione di “risorse cognitive a elevato valore economico, cioè conoscenze non codificate
più legate alle attività di produzione di beni e servizi e quindi alla possibilità di collaborare
in processi di innovazione rischiosi” 15 ;
– il capitale sociale, sempre nell’accezione relazionale, non ha automaticamente un’influenza
positiva sullo sviluppo locale autonomo ed autosostenuto, potendo, specie in presenza di un
apparato politico non orientato rigorosamente, favorire ed accentuare tendenze
particolaristiche e consolidare relazioni di tipo assistenziale e di appropriazione non
produttiva di risorse pubbliche.
Le vicende raccontate mostrano che, nelle azioni di coinvolgimento e di assistenza tecnica
condotte dal GAL attraverso le organizzazioni partecipanti, si è proceduto ad un’opera di
“ristrutturazione”, per così dire, del capitale sociale esistente.
Ciò ha significato una ricostruzione ed un riorientamento delle relazioni tra piccoli
imprenditori, GAL, organizzazioni di appartenenza, enti locali che, in precedenza, erano state
caratterizzate da approcci ed esiti individualistici ed assistenziali (la “pratica”, il patronato,
l’accesso a incentivi e facilitazioni non legati ad effettivi miglioramenti dell’attività
produttiva). Si è rimesso in discussione il ruolo di ogni attore e si è ricostituito un clima di
fiducia nell’effettività del progetto di sviluppo proposto.
Da ciò è scaturita la disponibilità degli operatori economici a consorziarsi e ad assumere
protagonismo nel progetto, insieme al dispiegarsi di canali di comunicazione che hanno
consentito un efficace trasferimento di conoscenze, in seguito anche ad una riscoperta delle
capacità di assistenza tecnica che le organizzazioni associate al GAL hanno vissuto nei loro
stessi confronti.
Il GAL, quindi, oltre a sostenere con risorse pubbliche l’investimento di capitale fisico, è
stato, in misura significativa, anche per il carattere esemplare della vicenda, costruttore di un
prezioso bene pubblico, il capitale sociale, in un processo possibilista di ridefinizione e
riorientamento delle relazioni sociali esistenti verso prospettive di sviluppo locale.
Fondamentale, anche in questo caso, è stato il ruolo svolto dall’attore che abbiamo definito
facilitatore dei processi. La forte motivazione e la diretta focalizzazione sul progetto da parte
degli esperti e degli agenti di sviluppo che, all’interno del gruppo di lavoro, coordinavano le
attività di animazione e supporto tecnico, ha consentito di mantenere coesione, cooperazione e
tensione verso l’obiettivo da parte di tutto il gruppo di lavoro. Tale risultato non appariva
scontato, essendo i tecnici delle associazioni, professionalmente validissimi, comunque
impegnati e coinvolti nelle attività (e nelle logiche) delle organizzazioni di appartenenza.
A questo proposito, possiamo utilmente prendere in considerazione un’ulteriore definizione di
capitale sociale che, sempre nell’ambito dell’approccio relazionale, fornisce Nan Lin: “…
social capital, to persist as a viable and rigorous concept and theory, must be firmly rooted in
the conceptualization that it is the investment in embedded resources in social networks with
expected returns” 16 .

14
C.TRIGILIA, Capitale Sociale e Sviluppo Locale, in AA .VV. (2001), p. 110.
15
Ibidem, p.108.
16
LIN (2000).
10
bozza non completa e non corretta -- non citare
Si può dire che il gruppo di lavoro ha cominciato, al suo interno e nei rapporti con il contesto
socio-economico, a lavorare come un network sociale e ad investire nella capacità di
cooperazione e coinvolgimento. Lo scopo è il return espresso in termini di raggiungimento
dell’obiettivo e di riconoscimento sociale derivante dal successo del progetto.
Riprendendo, invece, il concetto di Fukuyama di “raggio della fiducia”17 , la vicenda del
progetto di sviluppo può essere raccontata anche come il progressivo allargamento dell’area
all’interno della quale diventavano operative norme e stili di comportamento caratterizzati da
cooperazione e reciprocità; prima nel rapporto tra i membri del gruppo di lavoro, poi
nell’interazione tra gruppo di lavoro e beneficiari. La dimostrazione di un effetto di tal genere
può essere annoverata tra gli outcomes positivi che il progetto di sviluppo consegue rispetto al
contesto socio-economico; per le considerazioni fatte in precedenza, anche questo effetto
risulta probabile all’interno del quadro di riferimento LEADER.
1.1.3.2 Connessioni e grado di libertà
Caratteristica di ogni attività produttiva è un più o meno ampio grado di libertà negli standard
di performance. Una bassa tolleranza per performance scadenti implica che le cose debbano
essere fatte bene, o non fatte del tutto, o fatte con inaccettabili livelli di rischio; ciò costituisce
una potente spinta all’efficienza, a prestazioni di qualità e a prassi di buona manutenzione,
inducendo motivazioni, comportamenti e attitudini di carattere appropriato e positivo. È un
ragionamento, questo, che fa piazza pulita delle tesi culturaliste, dei pre-requisiti allo sviluppo
e della path-dependency; si basa, invece, sulla capacità di creazione on the way delle
condizioni di sviluppo, a causa delle ricordate caratteristiche delle attività industriali. Questo
restringimento del grado di libertà – la disciplina indotta dalle caratteristiche di particolari
attività – costituisce, insieme alla concorrenza, uno dei meccanismi di spinta all’efficienza 18 .
Avvicinandoci al nostro caso, una bassa tolleranza per prestazioni scadenti, oltre che dalla
tecnologia produttiva, può essere stabilita dalla normativa pubblica cogente (ad esempio le
norme HACCP per le produzioni alimentari) e/o dall’assunzione volontaria di standard
certificabili (come la certificazione ISO 9000 del sistema qualità).
Nel caso del consorzio COPAI abbiamo:
– piano di autocontrollo igienico-sanitario HACCP (obbligatorio),
– assunzione di disciplinari di produzione approvati, che diventano piani della qualità delle
diverse linee di produzione (volontari);
– standard di assicurazione della qualità ISO 9000 (volontario).
17
Il radius of trust . “The circle of people among whom cooperative norms are operative”,
FUKUYAMA ( 2000).
18
In Rival Views of Market Society, riprendendo ed ampliando dei concetti già espressi in La
strategia dello sviluppo economico e in Development Projects Observed , Albert O.
Hirschman (HIRSCHMAN (1992), Latitude in performance standards, p. 18, HIRSCHMAN
(1968), HIRSCHMAN (1995)) si domanda quali siano le condizioni per cui un’impresa riesce a
durare in maniera efficiente nel sistema economico. Sostiene che, per paesi che non hanno
una tradizione industriale, risultano maggiormente appropriate le tecnologie più avanzate, ad
alta intensità di capitale, piuttosto che quelle ad alta intensità di lavoro e con basse capacità
richieste nella conduzione e gestione, normalmente consigliate dagli esperti. In HIRSCHMAN
(1970) aveva ragionato dei meccanismi di risposta al declino da parte di imprese,
organizzazioni e stati: alla concorrenza (uscita), affiancava il meccanismo “politico” della
voce (la protesta, i reclami, le critiche, ma, anche, la cooperazione e la collaborazione). In
Rival Views si sottolinea la forte affinità tra voice e narrow latitude: attività con basso grado
di libertà, se eseguite male e/o con effetti disastrosi, danno luogo a forti proteste (voice).
Anche in regime di concorrenza, inoltre, per molti prodotti in cui esiste l’interesse pubblico
della protezione del consumatore (alimentari, farmaceutici), l’esistenza di norme pubbliche
testimonia che non si può lasciare al mercato (exit) il processo di raggiungimento dei corretti
standard di qualità.
11
bozza non completa e non corretta -- non citare
Pertanto, il passaggio dalla produzione artigianale e semi-sommersa alla produzione piccolo-
industriale avviene anche attraverso l’assunzione di standard volontari che, insieme alla
normativa obbligatoria ed alle prassi di conduzione e manutenzione di un impianto moderno,
restringono fortemente la tolleranza per una bassa performance. C’è una forte induzione al
massimo impegno per l’efficienza, la sicurezza e la qualità, poiché una performance scadente
di gestione e controllo del processo produttivo del caseificio condurrebbe ad effetti disastrosi
sul mercato (nel quale è presente l’effetto di annuncio dato dalla certificazione della qualità)
e/o alla violazione di norme a garanzia della salute pubblica.
L’incentivo allo sviluppo, in questo caso, consiste non solo nel contributo all’investimento ma
anche, e soprattutto, nell’assistenza tecnica e nell’accompagnamento ad assumere
comportamenti adeguati al salto tecnologico (dall’artigianato semi-sommerso e non regolato
ad una produzione regolata, sicura e di qualità), con l’aiuto del cambio generazionale, che
procede in parallelo e con gradualità.
La presenza del nodo di trasformazione così organizzato produce effetti di restrizione del
grado di libertà per performance scadenti anche nei settori a monte, a partire dalle stesse
aziende zootecniche consorziate. È la dimostrazione di un processo di sviluppo che non
prevede né simultaneità – adeguamento e qualificazione del settore a monte (zootecnia) e del
settore a valle (caseificio e commercializzazione) – né una sequenza “tradizionale” –
intervento di riqualificazione e miglioramento a monte per poter fornire un corretto input alla
trasformazione – ma si snoda in una sequenza al contrario, che parte da un salto in avanti – il
nuovo impianto, l’assunzione di standard rigorosi – e riverbera effetti di miglioramento a
monte – la scelta del latte di qualità, la selezione dei fornitori.
L’effetto di miglioramento a monte avviene, nel progetto di sviluppo, sia per effetto di
meccanismi di mercato e di politica della qualità (il prodotto finale necessita di processi
controllati, compresi quelli di approvvigionamento), che in seguito ad azioni mirate ed
esplicite di divulgazione ed assistenza tecnica che il consorzio, insieme ai tecnici del GAL,
pone in essere a beneficio dei fornitori, attuali e potenziali.
Lo strumento LEADER si basa fortemente sul concetto che occorre, nei piani di azione,
attivare collegamenti e relazioni – liaisons – tra le azioni di sviluppo e tra i diversi settori che
caratterizzano le economie rurali, le quali non possono basare il proprio sviluppo tenendo in
considerazione il solo settore agricolo.
A partire da tale impostazione di base, LEADER spinge i protagonisti dello sviluppo locale a
ragionare in termini di possibili attivazioni di connessioni di sviluppo, ipotizzando e
supportando l’innesco di relazioni socio-economiche di vario genere19 .
Attraverso l’attivazione di iniziative consortili di trasformazione operanti su standard di
qualità ed eco-sostenibilità si innesca una particolare connessione, che chiameremo di
performance 20 , che consiste nell’induzione, da parte del nodo di trasformazione, di
miglioramenti nelle tecniche produttive e nella qualità del prodotto da parte dei settori a
monte. Tale connessione non necessariamente induce incrementi nelle quantità prodotte a
monte, potendosi risolvere, invece, in razionalizzazioni produttive che le diminuiscono (nel
caso, ad esempio, delle rese per ettaro della produzione vitivinicola ed, in genere, nelle
produzioni contingentate). L’effetto sulla produzione di reddito, invece, risulta positivo in
seguito all’ottimizzazione della filiera che, grazie ad un miglior posizionamento e a migliori
sbocchi di mercato, raggiunti tramite l’innalzamento della qualità e le attività di promozione
di prodotti tipici e riconoscibili, riesce ad ottenere aumenti di produttività e fatturati adeguati,
oltre che fenomeni di regolarizzazione ed emersione diffusi. Utilizzando, inoltre, sui nodi
cooperativi di trasformazione, anche standard di tipo sociale, quale è SA (Social
Accountability) 8000, sarà possibile rafforzare, sui produttori a monte, l’effetto di

19
Sul concetto di connessioni (linkages) nello sviluppo economico, vedi HIRSCHMAN (1968) e
Linkages in Economic Development, in HIRSCHMAN (1992).
20
Ipotizziamo, qui, un caso particolare di backward linkage.
12
bozza non completa e non corretta -- non citare
regolarizzazione ed emersione, tramite il disincentivo all’utilizzo di lavoro nero e la spinta
verso la responsabilità sociale delle aziende e delle filiere. Si tratta di un’ulteriore
qualificazione della succitata connessione di performance, laddove il linkage induce
miglioramenti della responsabilità sociale e del rispetto delle regole riguardanti il lavoro.
1.1.3.3 Il dilemma della progettazione
In Development Projects Observed, Hirschman affronta, tra l’altro, la questione della
progettazione 21 o, meglio, il suo dilemma: se spingere verso un mutamento delle
caratteristiche (traits) dello status quo, nel progettare nuove realizzazioni, e quindi puntare a
creare, attraverso il progetto, le nuove caratteristiche desiderate (trait-making), ovvero
considerare non mutabili, nell’orizzonte temporale considerato, alcune caratteristiche cruciali
e, quindi, accettarle e considerarle nella progettazione (trait-taking). Correndo i rischi,
rispettivamente nel primo e nel secondo caso, di fallire per irrealismo o per inefficacia e
rinuncia al cambiamento. Sfuggire al dilemma, secondo Hirschman, vuol dire non cadere
nella trappola dell’eccessivo realismo (e rinunciare a proporsi i necessari cambiamenti,
sempre possibili) e, nello stesso tempo, non illudersi che il cambiamento possa intervenire
solo perché progettato o finanziato, senza essere effettivamente calato nella realtà.
Nelle parole di Hirschman, “the project may therefore be said to act at the same time as
“trait-taker” and as “trait-maker”: the decision which traits to “take”, that is, to accept
(because they are considered unchangeable) and which ones to make (by changing existing or
creating new traits) is crucial to project design and success” 22 .
Un ulteriore approfondimento del concetto ci condurrà ad individuare ed interpretare i
comportamenti seguiti nella pratica conduzione del “nostro” progetto di sviluppo.
Hirschman, nel delineare una situazione in cui sembrano mancare le caratteristiche richieste
dal progetto in termini di skill e input, definisce una particolare configurazione di trait-taking:
quella per cui le skill richieste vengono importate, ad esempio da regioni vicine più avanzate.
Questo processo, se non gestito correttamente, può risultare dannoso in quanto suscettibile di
approfondire la subordinazione (ed il blocco allo sviluppo) delle risorse preesistenti. È
possibile, d’altro canto, per certi processi produttivi ed in presenza di potenzialità di base, che
tale approccio si riveli capace di generare, via l’imitazione e l’apprendimento, la rapida
crescita delle risorse locali. In tal caso, si ha trait-taking (con importazione) che genera trait-
making 23 .
Il supporto tecnico del GAL, vale a dire il tutoraggio e l’accompagnamento all’acquisizione di
skill, tecniche e manageriali, condotto anche attraverso l’arruolamento di risorse tecniche che,
temporaneamente, si apprestano a condurre a piena operatività l’impianto 24 , si configura
come un processo trait-taking cum importing che genera l’acquisizione locale di capacità ed
attitudini.
Tale processo si sviluppa nell’interazione tra vecchia generazione, nuova generazione (i figli),
GAL (assistenza tecnica) e risorse importate temporaneamente.
Ancora una volta, le caratteristiche di ridotta dimensione del piano, flessibilità, vicinanza tra
gli attori e radicamento sul territorio rendono possibili soluzioni interessanti al dilemma della
progettazione.

1.1.4. Conclusioni (provvisorie)


A partire da considerazioni autovalutativo su un caso concreto, abbiamo cercato di enucleare
quelle caratteristiche presenti nello strumento LEADER che lo rendono adatto, se ben
utilizzate, ad innescare processi di emersione/sviluppo locale, con particolare riferimento al
significato che tale questione riveste nel Mezzogiorno d’Italia. La ridotta dimensione del

21
HIRSCHMAN (1995), Project Design: Trait-Taking and Trait-Making, p. 128.
22
Ibidem, p. 131.
23
Ibidem, p. 132 e 133.
24
Il responsabile della produzione casearia, proveniente da una zona limitrofa, più avanzata dal punto di vista delle tecniche
produttive utilizzate.

13
bozza non completa e non corretta -- non citare
piano (“piccola scala”) - intesa sia come entità dei budget complessivi gestiti per singolo GAL,
sia come territorio target - la flessibilità - intesa come possibilità di operare rimodulazioni dei
piani pluriennali, dare, quindi, efficacia concreta al processo di Monitoring & Evaluation ed
operare interventi correttivi generati principalmente dal processo di apprendimento da parte
degli attori - la presenza di un ruolo facilitatore/animatore - altamente committed, radicato ma
estraneo alle logiche deteriori della spartizione - massimizzano la probabilità di ottenere effetti
altamente positivi in termini di dimostrazione della possibilità di processi di sviluppo locale
endogeno, autocentrato e sostenibile, nonché di ri-orientameno del capitale sociale.
Tale ultimo effetto riveste una particolare rilevanza nel Mezzogiorno, laddove si è assistito,
tradizionalmente, alla costruzione di capitale sociale negativo ai fini di uno sviluppo autonomo
e basato sulla valorizzazione delle risorse locali e al dispiegarsi dei tre flagelli: criminalità,
corporativismo e clientelismo25 .
Affinché si possano esplicare al massimo le positive conseguenze dei fattori chiave definiti in
precedenza, appare fondamentale la presenza, nel Gruppo di Azione Locale, di un attore che
riesca ad interpretare in pieno il ruolo di facilitatore dei processi e di animatore, con una forte
motivazione rispetto al successo e all’efficacia degli interventi di sviluppo progettati.
Il ruolo di attori simili risulta fortemente amplificato se essi non sono enti esterni al territorio
ma condividono presenza e radicamento con gli altri membri del gruppo e con i beneficiari
delle azioni, mostrando estraneità solo rispetto a pratiche distorte di uso del denaro pubblico.
Essi sono, a un tempo, interni ed esterni: radicati ma portatori di logiche innovative nelle
relazioni tra economia, politica e società; portatori, cioè, di un’idea coerente di sviluppo
autonomo e basato sulla valorizzazione delle risorse locali. Basano la loro azione ed il loro
comportamento su una notevole capacità di networking e di uso di legami deboli per mettere in
relazione positiva ambiti e soggetti non sempre capaci di cooperazione e sinergia.

1.1.5. Bibliografia
1. AA .VV. (2001), Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Il Mulino, Bologna.
2. S. BOSELLI, S.CELANO (2003), Circuiti virtuosi di sussidiarietà: l’esperienza della rete del
comitato, delle commissioni e dei tutori per l’emersione del lavoro non regolare, Archivio
di Studi Urbani e Regionali, n. 76
3. R. S. BURT (1992), The Social Structure of Competition, in N. Nohria, R. G. Eccles (eds.),
Networks and Organizations, Harvard Business School Press, Boston.
4. M.CROZIER, E.FRIEDBERG (1981), L’Acteur et le Système : les contraintes de l’action
collective, Editions du Seuil.
5. F.FUKUYAMA (1995), Trust: The social virtues of the creation of prosperity, New York,
The Free Press.
6. F.FUKUYAMA (2000), Social Capital and Civil Society, International Monetary Fund,
Working Paper 00/74, Washington, DC, April.
7. M.GRANOVETTER (1998), La forza dei legami deboli e altri saggi, Liguori, Napoli.
8. A.O.HIRSCHMAN (1968), La strategia dello sviluppo economico, La Nuova Italia, Firenze.
9. A.O.HIRSCHMAN (1970), Exit, Voice and Loyalty, Harvard University Press, Cambridge,
MA.
10. A.O.HIRSCHMAN (1992), Rival Views of Market Society and other recent essays, Harvard
University Press, Cambridge, MA.
11. A.O.HIRSCHMAN (1995), Development Projects Observed, The Brookings Institution,
Washington, DC.
12. N.LIN (2000), Social Capital: Social Networks, Civil Engagement, or Trust?, paper
presentato al Workshop sul Capitale Sociale, Università di Trento, 19-20- Ottobre.

25
Vedi MELDOLESI (1998).
14
bozza non completa e non corretta -- non citare
13. C. E. LINDBLOM (1965), The Intelligence of Democracy, The Free Press, New York.
14. L.MELDOLESI (1994), Alla scoperta del possibile. Il mondo sorprendente di Albert O.
Hirschman, Il Mulino, Bologna.
15. L.MELDOLESI (1998), Dalla Parte del Sud, Laterza, Bari.
16. L.MELDOLESI (2000), Occupazione e emersione: nuove proposte per il Mezzogiorno
d’Italia, Carocci.
17. L. MELDOLESI (2001), Sud: liberare lo sviluppo, Carocci.
18. R.PUTNAM (1993), La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano.

15
bozza non completa e non corretta -- non citare

1.2. Rocki Gialanella Il Patto Territoriale di Avellino

1.2.1. Nascita ed evoluzione del Patto


In data 25 gennaio 1996, le OO.SS Confederali Cgil, Cisl, Uil e l’Unione degli Industriali
sottoscrissero un accordo per la promozione di un Patto Territoriale in provincia di Avellino.
E’ importante evidenziare che l’idea che ha poi portato allo sviluppo del Patto, aveva già
trovato modo di affermarsi anche prima della delibera Cipe che ha dato ufficialmente il via
allo strumento oggetto di analisi. La nascita di tale idea aveva trovato terreno fertile nel vuoto
politico derivante dalle implicazioni del cosiddetto “Irpiniagate”. Inquadrata in tale contesto
storico, il fenomeno della concertazione sui temi dello sviluppo locale sembra poter essere
riconducibile ad una reazione dei soggetti partecipanti rispetto alle difficoltà del momento.
Allo stesso tempo, il fenomeno potrebbe però trovare una valida spiegazione nella maggiore
libertà di azione concessa agli attori locali dal minor peso rivestito dalla classe politica. Nel
pieno rispetto della delibera Cipe del 10 maggio 1995, gli stessi soggetti individuarono
l’Amministrazione provinciale quale Ente Tutor. In data 1 aprile 1996 fu insediato un gruppo
tecnico in rappresentanza dei soggetti proponenti. Tale gruppo era presieduto dall’allora
Presidente dell’Amministrazione Provinciale prof. Luigi Anzalone. Nel primo documento di
concertazione si precisò che alla realizzazione del Patto erano deputati a concorrere, ognuno
per la propria parte, la Regione Campania, gli Enti locali che avevano già assunto formali
impegni, la Camera di Commercio, l’Asi, l’Ente per lo sviluppo e la trasformazione fondiaria,
l’Unione degli industriali, l’Associazione dei costruttori edili, la Confapi, la Cgil, la Cisl, la
Uil, la Cisnal, la Confartigianato, la Coldiretti, la Confcommercio, la Gepi, il Banco di
Napoli.
Il Patto Irpino è giunto all’esame del CIPE dopo un lungo e complesso processo di
costruzione, durato circa tre anni, nel corso del quale ha dovuto fare i conti con una
normativa che andava definendosi con l’estendersi sul piano nazionale dell’utilizzo dello
strumento Patto.
Infatti, la prima firma del Patto risale al 28 ottobre 1996, allorché ad Avellino fu sottoscritto
tra il CNEL, in quanto soggetto allora deputato all'istruttoria dei Patti, la Provincia e le parti
sociali interessate, il cosiddetto documento di concertazione preliminare.
Tale documento coronava un lavoro di elaborazione iniziato a gennaio dello stesso anno.
Nella primavera successiva - 8 aprile 1997 -, presso il CNEL si provvedeva alla “consegna
formale della documentazione alla ATI Ernst & Young – Reconta Ernst & Young – R & P,
per l’assistenza tecnica al Patto Territoriale”.
Tale lavoro si concludeva il 24 luglio 1997. Il successivo nove settembre, avveniva la
consegna del Patto di Avellino al Ministero del Bilancio, unitamente ad altri dieci Patti.
Intanto, però, la normativa in materia era stata modificata con la delibera CIPE del 21 marzo
1997, pubblicata sulla G.U. dell'8 maggio 1997. Agli inizi di ottobre del 1997, il Governo “
invitava “ i tutor dei Patti già presentati ad uniformarsi alla nuova normativa presentata come
la più valida ai fini del finanziamento. Essa, in sostanza, consisteva nell'affidare l'istruttoria e
l’assistenza dei Patti a Banche e Società di Servizio, scelte dal Governo attraverso un bando di
gara . A tal proposito, i responsabili del soggetto proponente hanno affermato che tale “scelta”
riportava tutta la fase istruttoria dei Patti già definiti al punto di partenza, fatto questo che
provocò la rinuncia ai benefici derivanti dal Patto Avellino da parte di diverse aziende e
l’insorgere di un problema riferito alla data di inizio del Patto, dal momento che nella vecchia
normativa era fissato all’avvenuta approvazione dello stesso con Decreto del Ministero,
mentre nella nuova veniva fissato alla data di consegna dell’istruttoria da parte del Soggetto
Convenzionato. Stando alle dichiarazioni rilasciate dai partecipanti al primo tavolo di
16
bozza non completa e non corretta -- non citare
concertazione, per un Patto “ costretto “ a modificare radicalmente tutta l’impostazione che
fino a quel momento aveva sostenuto il lavoro svolto, questa modifica sostanziale è risultata
essere, per le iniziative ammesse a finanziamento, una ulteriore penalizzazione.

Dopo la pubblicazione dell'elenco degli Istituti di Credito deputati all'istruttoria e


all’assistenza dei Patti, G.U. n. 4 del 07.01.1998, il soggetto proponente, rinunciando alla
individuazione di una nuova società per la fase di assistenza e affidando tale compito a propri
funzionari, sceglieva quale soggetto istruttore il Banco di Napoli – nota n. 4702 del 9
febbraio 1998 .
Ulteriori incertezze procedurali, continue interpretazioni divergenti della normativa e sue
successive variazioni hanno reso particolarmente faticoso e difficile questo ultimo tratto del
percorso del Patto Irpino che comunque fu consegnato in data 23 settembre 1998 al Ministero
del Bilancio – Servizio della Programmazione Negoziata -.
In data 09 marzo 1999 il Direttore Generale del Settore Programmazione Negoziata del
Ministero del Tesoro trasmise i decreti nn. 987 e 996 del 29 gennaio 1999, acquisiti in pari
data al prot. dell’Ente al n. 7497/99 e relativi all’approvazione del Patto Territoriale di
Avellino.
Adempiendo a quanto prescritto dalla deliberazione CIPE 21 marzo 1997 (G.U. n. 105
dell’08 maggio 97) in data 29 marzo 1999, il soggetto proponente trasmise al Ministero del
Tesoro- per i successivi provvedimenti – n. 2 copie del patto territoriale sottoscritto anche
dagli imprenditori ammessi ai finanziamenti. Il 25 giugno 1999 prot. 18753 il Servizio per la
Programmazione Negoziata del Ministero del Bilancio fece pervenire per conoscenza al
soggetto proponente la propria nota prot. 04/4372/99 del 18.06.1999 con la quale si
comunicava l’avvenuta trasmissione del Patto Territoriale alla Cassa Depositi e Prestiti.
Vale la pena ricordare che parziali modifiche delle procedure e ulteriori adeguamenti della
documentazione per l’accesso ai benefici del Patto sono intervenuti con la emanazione del
decreto del Ministero del tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica del
31.07.2000 n. 320 pubblicato sulla G.U. n. 260 del 07.11.2000, fatto questo che ha costretto
l’ufficio del Soggetto Responsabile a richiedere agli imprenditori ulteriori adeguamenti sia
formali che sostanziali dei loro piani di investimento.
I settori di intervento del Patto sono stati: l’industria, l’agricoltura, l’artigianato, il commercio,
il turismo, i servizi.

1.2.2. Obiettivi del Patto


La stagione pur felice degli anni ’80, caratterizzata da un dinamismo che ha fortemente
modificato il paesaggio socio- economico irpino, sconta il suo limite in uno sviluppo
incompiuto. La Rivoluzione industriale di quegli anni, pur conseguendo significativi successi,
non si è pienamente realizzata e gli altri settori hanno continuato a svolgere un ruolo
secondario. Il patto si proponeva di affrontare con determinazione il problema del
compimento della Rivoluzione industriale in provincia di Avellino. Tale obiettivo è stato
posto come punto di riferimento forte e privilegiato, anche se non assoluto. A tal proposito, la
strategia prescelta fu quella di introdurre elementi di discontinuità rispetto alal stasi e alla crisi
degli ultimi anni.
Attraverso la ricerca di forti sinergie, i soggetti attivi hanno cercato di creare le precondizioni
per una valorizzazione delle iniziative, concorrendo direttamente nella fase esecutiva dei
progetti.
In tal senso, il Patto si pone quindi come una sintesi progettuale, un discorso sullo sviluppo,
incrociandosi e sostenendosi con altri strumenti della programmazione negoziata che intanto
si sono attivati in questa Provincia.
Nel primo documento di programma del Patto si legge:
17
bozza non completa e non corretta -- non citare
“ Uno sviluppo economico organico e compiuto, tale da investire i vari settori produttivi e
irradiarsi non episodicamente sul territorio, una formazione di posti di lavoro a produttività
moderna, se non in quantità adeguata all’entità della forza lavoro disponibile”
Il Patto si poneva quindi come sintesi progettuale basta sia sulla scelta dell’innovazione, sia
sull’armonizzazione degli interventi nei vari settori.
Limitatamente ai singoli settori ( ad eccezione dell’industria di cui abbiamo già detto), il Patto
si proponeva:
Artigianato: realizzazione di un sistema di sovvenzione globale ( ristrutturazione,
razionalizzazione, delocalizzazione, prestazione di garanzie collettive nelle operazioni di
accesso al credito) all’artigianato irpino al fine di consolidarne e qualificarne la struttura.
Agricoltura: modernizzazione di alcune produzioni (nocciole, castagne, vino)
Commercio: aiuti agli operatori decisi a riattare i locali e ad adeguare le proprie strutture sia
alla nuova normativa di sicurezza del lavoro che alla domanda del mercato. Il progetto
presentato dal Consorzio fidi dell’Unione Commercianti, puntava a mettere in moto un
meccanismo che garantisse al sistema finanziario istituzionale parte degli affidamenti che
concedono agli operatori. L’obiettivo si sostanziava nel dare la possibilità agli operatori
commerciali di poter usufruire a costi privilegiati del sostegno bancario e quindi di evitare
ricorsi a fonti illegali quali l’usura.
Turismo: valorizzare le oasi naturali attraverso progetti che innalzino lo scarso livello di
recettività, completare la rete idrica e fognaria.
Accanto al sostegno fornito ai singoli settori, il Patto si proponeva sia di individuare quelle
opere infrastrutturali che potevano accompagnare l’efficace concretizzazione dei progetti
presentati. Sempre in ambito infrastrutturale, si puntava al recupero delle cosiddette zone
periferiche.
All’interno della relazione all’ultimo stato di attuazione del Patto, l’Ente tutor evidenzia:
“Si è perseguita, con qualche difficoltà, la scelta dell’innovazione, ossia, la capacità di
formulare proposte di consolidamento, di ampliamento, di creazione di nuove imprese,
tentando di collocarle tutte sul fronte avanzato e talvolta rischioso della modernità
tecnologica, valorizzando in alcuni casi produzioni locali aiutandole ad uscire da una
situazione sommersa. Una sfida impegnativa per la realtà territoriale, eppure ineludibile, se
si vuole uscire dalle secche dello sviluppo incompiuto, o peggio ancora dell’assistenzialismo,
mirando a quei livelli di elevata produttività e di qualità che, solo se “esasperati”, danno alle
imprese una morfologia fatta di competitività che le mette nelle condizioni di creare anche
nuova occupazione”
L’armonizzazione degli interventi nei vari settori, sicché l’uno si integri con l’altro e cooperi
alla sua valorizzazione e modernizzazione, è stato uno degli obiettivi del Patto perseguito, ma
certamente non colto, se non in parte residuale.
Le parti sociali, quelle padronali e i livelli istituzionali hanno comunque condiviso l’esigenza
di far crescere il tono vitale, la capacità reattiva e la forza della struttura economica territoriale
tentando, attraverso l’utilizzo di tutti gli strumenti, di promuovere quel circolo virtuoso che
grazie anche ad iniziative mirate, potesse riuscire a trascinare quelle aree cosiddette
periferiche della provincia.

18
bozza non completa e non corretta -- non citare
1.2.3. Le testimonianze
Quali sono stati gli effetti di processo riconducibili al Patto?
Sindacati: “Il Patto ha portato ad una modifica radicale in termini di meccanismi utilizzati
dagli attori locali per discutere e confrontarsi sui problemi dello sviluppo locale.
L’esperienza del Patto ha fatto lievitare il grado di responsabilizzazione degli attori presenti
sul territorio”
Ente Tutor: “Il Patto è stato soprattutto un momento di confronto necessario per capire se vi
era una reale volontà degli imprenditori e della classe politica a cambiare l’approccio alle
tematiche dello sviluppo locale. L’iniziativa in questione è servita a gettare le basi per la
progettazione di fenomeni di concertazione anche in ambiti come quelli del credito e della
formazione”
Unione industriali: “Al patto deve essere accreditato il merito di aver introdotto un nuovo
metodo di fare politica dello sviluppo sul territorio. Grazie a questo strumento, è stato
finalmente sperimentata una programmazione basata sul valore aggiunto fornito dai soggetti
che operano a diretto contatto con le problematiche territoriali. Attraverso tale processo, si è
tentato di sviluppare una lettura del territorio che fosse in grado di fornire tutti i dettagli
necessari alla progettazione di un vestito ad hoc”
Gepi: “Il Patto può essere visto come il tentativo (non riuscito) di preparare il passaggio da
una progettazione territoriale basata su equilibri più politici che funzionali, ad una
progettazione che affondi le sue radici negli equilibri funzionali allo sviluppo del territorio”
Quali sono state le difficoltà che hanno maggiormente condizionato la vita del Patto?
Sindacati: “Le continue trasformazioni che hanno interessato la normativa relativa ai Patti,
hanno partorito una serie di procedure lunghe e complesse che mal si adattano alle esigenze
dei progetti presentati. Attraverso la ricerca di contatti diretti con le aziende coinvolte nel
Patto, l’Ente tutor ha progressivamente stoppato il lavoro di concertazione”
Ente Tutor: “La particolare normativa ha determinato l’applicazione di procedure lunghe e
complesse. Queste ultime hanno rallentato la fase di selezione dei progetti. Gli imprenditori
locali sono stati bloccati da paure inerenti la possibile perdita di posizioni competitive sul
territorio di riferimento”
Unione Industriali: “Lo scetticismo della politica nei confronti dell’efficacia insita negli
strumenti di programmazione negoziata ha fatto crescere in modo esponenziale le difficoltà
relative alla costruzione di un organigramma complesso. L’esperienza ha infatti dimostrato
che l’assenza di tale organigramma ha pesato non poco sulla capacità gestionale del Patto”

19
bozza non completa e non corretta -- non citare
Gepi: “I cambiamenti intervenuti in corso d’opera hanno svuotato il Patto dei suoi contenuti
fondamentali. L’approccio di tipo bottom up ha trovato terreno fertile soltanto durante la fase
progettuale del Patto. Il momento gestionale è stato invece caratterizzato da un progressivo
allontanamento da tale tipologia di approccio ai temi dello sviluppo locale. In tal senso, il
Patto si è confermato un puro e semplice sistema di strumentazione dei finanziamenti
pubblici. Ulteriori difficoltà: i confini amministrativi non coincidevano con quelli progettuali;
il Cnel non è amministrazione attiva, ragion per cui non ha potuto curare la fase di
elargizione delle risorse”
E’ possibile individuare un’idea forza posta alla base dell’iniziativa?
Sindacati: “ La politica economica attuata prima dell’avvento della cosiddetta
“Programmazione negoziata”, non ha permesso agli attori locali di individuare un’idea forza
fin dall’inizio della concertazione. D’altronde, è possibile affermare che una lettura del
territorio e delle sue specificità sia avvenuta proprio in seguito all’introduzione di un
approccio di tipo bottom up ai temi dello sviluppo locale”
Ente Tutor: “Se si eccettua il distretto industriale di Solofra (specializzato nella lavorazione
delle pelli), è possibile affermare che il territorio interessato dallo strumento in questione non
è caratterizzato dalla presenza di un settore trainante. Tale stato delle cose, ha reso
impossibile la scelta di un settore che potesse svolgere un ruolo trainante per le iniziative
previste dal Patto”
Unione Industriali: “Il Patto ha puntato al consolidamento dell’esistente. Tale obiettivo è
stato perseguito attraverso l’ampliamento di aziende locali già fortemente radicare sul
territorio. Accanto al perseguimento di questa idea trainante, il Patto ha cercato di far
nascere nuove iniziative. A livello settoriale, il Patto ha adottato una strategia caratterizzata
da un ampio raggio d’azione”
Gepi: “L’assenza di un settore trainante rappresentò un freno all’individuazione di un’idea
forza posta alla base del Patto: il comparto agro- alimentare non era ancora organizzato in
filiere spontanee; la scelta di un settore indotto come quello metalmeccanico, apparve ai più
riduttiva. In virtù di tale situazione, i partecipanti al tavolo della concertazione pensarono di
definire il territorio interessato dal Patto come una zona dove sperimentare lo sviluppo delle
piccole e medie imprese lungo la direttrice Tirreno- Adriatico. In tal modo, si pensò di dar
vita ad una specie di laboratorio per le Pmi che fungesse da incubatrice delle capacità
progettuali locali”
Quali risultati fisici possono essere evidenziati alla luce dell’attuale stato di attuazione del
Patto?
20
bozza non completa e non corretta -- non citare

Sindacato: “I buoni risultati conseguiti in termini di effetti di processo, non sono stati
accompagnati dal raggiungimento degli obiettivi originariamente previsti sia sul fronte del
coinvolgimento delle attività produttive nel processo di sviluppo, sia sulla conseguente
creazione di nuova occupazione duratura”
Ente Tutor: “ Nonostante i tanti freni posti dai continui cambiamenti della normativa di
riferimento, il Patto territoriale di Avellino è riuscito a centrare la maggior parte degli
obiettivi prestabiliti. Le ventinove iniziative finali sono giunte quasi tutte a compimento.
Ventisei progetti sono già stati pienamente realizzati”
Unione Industriali: “ Le lungaggini burocratiche hanno spostato la realizzazione dei progetti
di eccellenza verso l’ambito di applicazione della Legge 488. E’ possibile affermare che il
Patto è servito ad ideare dei progetti che sono stati progressivamente realizzati con il ricorso
a quest’ultimo strumento normativo”
Gepi: “ I risultati raggiunti sono lontani anni luce da quelli inizialmente previsti. Il continuo
svilimento del processo di sviluppo riconducibile al Patto, lo ha gradualmente trasformato in
mero strumento di intercettazione di risorse pubbliche. Negli ultimi anni, il Patto non ha più
avuto alcun ruolo nell’ambito della progettazione. Lo strumento in questione è stato infatti
ridotto a semplice sistema di strumentazione. La mancanza di uniformità nei meccanismi
utilizzati per procedere all’erogazione delle risorse disponibili, ha rappresentato un limite
della strumentazione. In tal senso, il Patto si è risolto in un puro e semplice assemblaggio di
proposte”

1.2.4. I dati quantitativi


Patto Territoriale di Avellino - Stato di attuazione al 30-6-2003
Lo stato di attuazione aggiornato al 31-12 2003 sarà disponibile a Marzo 2004.

Denomina Attività Investime Contribu N. Anticipa S.A.L Saldo In corso Nuovi


zione nto to quote -zione contribu di occupati
proposto concess inves to erogazion
o tim. € € e

O.M.C.S. Produz. 244,0 134,0 1 = = 62.283,4 = 2
Attrezz. 1
mecc.
TRAPUNT Produz. 5.426,4 3.018,3 3 519.590, 519.5 = Saldo 10
EX Pantalon 07 90,07
i
CIVITA Albergo 3.543,0 1.406,8 2 363.274, = = Saldo 11
S.r.l. – rist. 49
META S.r.l Produz. 4.194,0 2.097,0 2 541.505, = = Saldo 7
Carpent 06
eria
21
bozza non completa e non corretta -- non citare
eria
metallic
a
DE Produz. 9.753,2 3.450,1 2 890.912, = = = 19
MATTEIS Paste 68
S.p.A. Alimenta
ri
MONSUD Progetta 6.212,0 3.106,0 3 534.686, 534.6 = = =
S.r.l. z.costr 53 86,53
Impianti
ALBANES Fabbr.in 2.799,6 1.540,0 3 265.112, = = = =
E fissi in 82
Giuseppe legno
NOVOLEG Produz. 1,416,0 560,0 2 = = = = =
NO S.P.A. Pannelli
mdf
C.S.C. Fornitur 544,0 245,0 2 126.531, = = Saldo 12
S.r.l. a sw e 94
Consule
nza
Informat
ica
PROSIDEA Lavoraz. 2.290,4 1,644,8 3 283.156, 283.1 = Saldo 6
Ferro e 10 56,10
Profilati
SE.MA Produz. 2.208,0 1.193,2 2 308.116, = = Saldo 10
s.a.s. Carni e 89
Macellaz
ione
PALMIERI Fabbrica 1.073,0 576,0 2 148.738, = = Saldo 4
Pellegrino z. 29
Strutture
Metallic
he
PLASTIMO Fabbrica 1.582,2 791,0 3 136.172, 136.1 = Saldo 5
N z. 47 72,47
TELLA Articoli
S.N.C. in
Plastica
L.B.F. Fabbrica 1.472,0 516,0 2 133.244, 133.2 106.595, = 9
S.N.C. z. 58 24,58 70
Strutture
Metallic
he
FATTORIE Produz. 616,0 339,0 3 58.357,6 58.35 = Saldo =
TRE COLLI Prodotti 3 7,63
Alimenta
ri
ANTICA Fabbrica 1.536,0 967,7 2 249.870, = = Saldo 5
IRPINIA z. Vini 88
SCRL
AGRICOL Fabbrica 2.168,0 1.365,8 2 = = = =
A S.ELMO z. Olio
S.r.l..
F.LLI Confezio 2.940,0 1,412,0 3 243.077, 243.0 139.189, = 9
CARILLO ne 75 77,75 62
S.p.A. Bianche
ria
INGINO Lav.oraz 7.356,7 4.200,0 3 723.038, 723.0 = Saldo 22
Raffaele ione 36 38,36
S.r.l. Traform 22
bozza non completa e non corretta -- non citare
S.r.l. Traform
az
Castagn
e
ITALCONT Prod. 17.503,0 8.978,0 2 2.318.37 = = = 30
AINERS Lav. 3,72
MERIDION contenit
AL ori
metallici
CASALE Fabbrica 4.717,1 3.074,0 2 793.792, = 540.491, = 17
PALLETS z. 97 55
S.n.c. Imballag
gi
in legno
L.M.I. di Lavoraz. 403,4 217,0 2 56.034,2 = 44.828,4 = 2
Caprio Meccani 8 6
Rino che
ILCASTEL Struttura 3.000,0 1.597,5 3 275.012, 275.0 = = 10
LETTO Turistica 01 12,01
S.n.c.
ANGELO Produz. 6.507,7 4.229,6 3 728.134, Sal = = 24
DELLA Abbigl. 07
CROCE Tess.
S.r.l..
IAMA Struttura 9.000,0 4.328,3 3 745.125, = = Sal =
S.r.l.. Turistica 50

BARBIERI Produz. 1.416,0 860,8 2 222.281, = 177.826, = 4


ANGELO Olio di 75 10
s.a.s oliva
INTERNAT Servizi 1.513,7 779,0 3 134.106, 134.1 Saldo = 9
IONAL proget. 62 06,32
PRINTING Grafica
VALLO Servizi 979,0 623,0 = 160.876, = = = =
LAURO Culturali 92
S.p.A.
Museo
Nobile
M.O.V.U. Mercato 6.370,3 2.379,8 2 = = = = =
S.r.l. Ortofrutt
icolo

23
bozza non completa e non corretta -- non citare

2. Provincia di Benevento

2.1. Rocki Gialanella Il Patto Territoriale di Benevento

2.1.1. Nascita ed evoluzione del Patto


Alla fine del 1994 prende corpo l’idea di dare avvio ad una fase di concertazione tra tutti i
soggetti sociali per individuare un’ipotesi di intervento concreto nella provincia di Benevento.
Alla base della nascita del Patto territoriale si pone lo sforzo condotto da un insieme di
soggetti protagonisti del sistema economico produttivo provinciale. Nel corso di una riunione
al tavolo dell’Amministrazione Provinciale di Benevento, tra l’Ente, l’Unione degli
Industriali, il Comune di Benevento, la Camera di Commercio e le Organizzazioni sindacali, i
partecipanti delegarono l’Associazione imprenditoriale a studiare un’ipotesi di lavoro mirata
sia alla crescita delle imprese esistenti sia alla nascita di nuove piccole e medie imprese.
Iniziò così una prima fase di concertazione tra l’Unione Industriali e le Organizzazioni
sindacali (Cgil, Cisl e Uil), al fine di ricercare investitori privati sia interni che esterni all’area.
La nascita e lo sviluppo della concertazione non furono però un processo spontaneo. Le
particolari vicende che caratterizzarono le aspettative socio- economiche di questo territorio,
hanno rivestito un ruolo fondamentale per l’avvio della concertazione. Il territorio della
provincia di Benevento era stato scelto come area per procedere alla realizzazione del
processo di delocalizzazione di una parte della produzione della Piaggio S.p.A.. In particolare,
il Contratto di programma prevedeva la localizzazione di alcuni stabilimenti produttivi e di un
centro di ricerca che, stando alle previsioni formulate dagli esperti, dovevano essere in grado
di far sperimentare una ricaduta occupazionale per complessive seicento nuove unità
lavorative. Va precisato che il progetto Piaggio rappresentò un tentativo di formulare una
reazione all’intensa decelerazione economica che aveva interessato il tessuto economico
beneventano nel periodo compreso tra il 1991 e 1995. Ovviamente, il piano di rilancio
imperniato sulla nascita degli stabilimenti dell’azienda di Pontedera, aveva creato delle
aspettative occupazionali che non potevano essere disilluse. Le vibrate proteste dei lavoratori
della Piaggio di Pontedera, provocarono un ripensamento dell’intero processo di
delocalizzazione.
A questo punto, il Presidente della Provincia di Benevento cercò di reagire attraverso
l’immediata convocazione di un tavolo istituzionale. Si è alla fine del 1994 quando, siedono
allo stesso tavolo, l’amministrazione provinciale di Benevento, l’Unione degli industriali, il
Comune di Benevento, la Camera di Commercio e le organizzazioni sindacali, con il fine di
esaminare la situazione di crisi in cui versa la provincia sannita. Qui prende corpo l’idea di
lavorare insieme per individuare degli interventi che possano arginare la crisi. La proposta
avanzata dai rappresentanti delle istituzioni è di delegare alle parti sociali lo studio di
un’ipotesi di lavoro indirizzata a potenziare la crescita e la nascita delle imprese di piccola e
media dimensione esistenti sul territorio.
Come evidenziato in precedenza, i partecipanti a tale tavolo decisero di dare mandato
all’Unione degli Industriali al fine di sviluppare un progetto di sviluppo locale che includesse
delle iniziative alternative a quella della Piaggio. Questo incontro segna la nascita, per quanto
allo stato embrionale, di una pratica di concertazione locale. Per la prima volta, nella storia
dei rapporti esistenti tra le parti sociali beneventane, i rappresentanti dell’Unione degli
industriali e quelli delle organizzazioni sindacali (CGIL, CISL e UIL) decidono
congiuntamente – e si assumono la responsabilità - di individuare concretamente la strategia
24
bozza non completa e non corretta -- non citare
più adeguata per risolvere i problemi posti dallo sviluppo territoriale. I responsabili
dell’Unione degli Industriali iniziano a vagliare la disponibilità a realizzare nuovi
investimenti da parte degli imprenditori iscritti. La stretta collaborazione tra l’Unione
Industriali e le Organizzazioni sindacali, mira all’individuazione di investitori sia interni che
esterni all’area. L’Unione degli Industriali realizzò un censimento delle imprese presenti sul
territorio al fine di pervenire alla stesura di una mappa della presenza imprenditoriale locale.
Il passo successivo fu l’individuazione degli imprenditori intenzionati ad investire risorse
proprie sul territorio (furono circa cento proposte di investimento). Le parti sociali iniziarono
una serie di incontri concertativi con tutti i potenziali partners, per verificare le linee portanti
del progetto. Il lavoro di ricerca svolto dall’Unione degli Industriali e dalle Organizzazioni
sindacali porta all’individuazione del Patto territoriale quale strumento più adatto alla
elaborazione di un’idea di sviluppo locale che fosse capace di coinvolgere le parti sociali e gli
imprenditori. La strategia “anticipatoria” perseguita dagli attori coinvolti torna poi utile
quando è effettivamente promulgata la normativa sui patti territoriali (per il fatto di aver già
sollecitato il mondo delle imprese e di aver compreso sino a che punto esso si sarebbe fatto in
parte carico, con risorse proprie, dell’eventuale iniziativa di sviluppo). E’ però importante
rilevare che, in tal modo, gli attori si sono trovati nella necessità di adeguare il progetto locale
a quanto richiesto dalla normativa successivamente promulgata per regolare il funzionamento
dello strumento Patto.
La giusta combinazione tra l’anticipazione di un evento che si sarebbe di lì a poco realizzato e
la capacità degli attori locali di farsi carico dell’animazione e dell’organizzazione di quanto si
sarebbe poi verificato, innesca il processo di mobilitazione delle risorse locali. Al termine di
questo lungo lavoro, tutti i soggetti si riconobbero nell’idea Patto e, a partire da essa,
cinquantotto imprenditori candidarono loro progetti alla fase di pre- selezione. Il successo di
questa lunga fase di concertazione fu testimoniato dalla presenza di tutti i soggetti, nel
dicembre del 1995, al CNEL, per la sottoscrizione del Protocollo d’intesa al Patto territoriale.
I soggetti che promuovono il patto di Benevento sono, per gli enti pubblici, il Comune di
Benevento, il Comune di Montesarchio, il Comune di Airola (quest’ultimo poi ritiratosi per la
questione del contratto d’area), per le parti sociali (rappresentanze delle categorie
imprenditoriali e sindacali): l’Unione industriale della provincia di Benevento, la Cgil, la Cisl,
la Uil, per i soggetti privati 13 aziende (Agritel snc, Cd srl,Complesso Poliv. Rossana
s.r.l.,Galvacenter s.r.l, Italbloc sud s.r.l., Izzo Pelli s.r.l., Metalplex s.p.a., M.L.S. s.n.c., Legno
design Napoletano s.r.l.; Pan s.r.l., Russo Alluminio s.r.l., Stampa e grafica il Chiostro,
Vecchio Forno s.r.l.).
Vediamo quindi in che modo si giunge a definire compiutamente il documento finale che si
sottopone ai due organismi istituzionali. Il 16 ottobre del 1995, il comune e le forze sociali di
Benevento inoltrano al Cnel una prima bozza di proposta di patto territoriale. Tale proposta,
rivista e rielaborata, sarebbe in seguito divenuta il definitivo protocollo di intesa che il patto
avrebbe presentato al Cnel e alla Consulta per il Mezzogiorno. Le difficoltà della fase iniziale
si concretizzavano nel cambiamento nei significati e nelle modalità di intervento dello
sviluppo locale. Il 18 dicembre del 1995 viene trasmessa al Cnel la proposta definitiva di
patto territoriale da parte dei soggetti promotori del Patto. La maggior parte degli attori si
mostrò scettica nei confronti di un processo in via di definizione che necessitava di una
qualche forma di elaborazione e di assimilazione da parte delle società locali. Ci si ritrova
infatti da un momento all’altro da una forma di intervento altamente centralizzata ad un’altra i
cui caratteri non sono ancora ben definiti. Tale contesto rappresentò un terreno fertile per la
nascita di dubbi e incertezze sulle reali potenzialità del nuovo approccio.
Con l’approvazione del patto, che avviene il 21 aprile del 1997, si chiude la prima fase
dell’esperienza di concertazione. E da questa scaturisce un ulteriore processo, legato questa
volta alla sua attuazione. Nel mese di settembre 1997 si costituisce la società Patto territoriale

25
bozza non completa e non corretta -- non citare
della Provincia di Benevento, con sede presso l’Unione degli Industriali, con un capitale
sociale di L. 500.000.000, a maggioranza pubblica. Nella ripartizione del capitale sociale,
infatti, la situazione mostra come i tre enti pubblici – provincia, amministrazione comunale di
Benevento e quella di Montesarchio – detengono complessivamente ben il 60% della quota di
capitale versato. La forma societaria prescelta è quella consortile. Tale forma viene scelta sia
per due motivi: viene ritenuta in grado di acquisire un potere negoziale nei confronti delle
istituzioni pubbliche non aderenti al Patto; viene ritenuta sufficientemente flessibile al fine di
garantire l’autonomia delle singole imprese.
La maggioranza detenuta dai soggetti pubblici, lascia già intravedere che si è in presenza di
una modificazione nell’assetto e nell’equilibrio che, dopo la prima fase, aveva caratterizzato i
rapporti tra i soggetti pubblici e quelli privati. Per tutte le attività che il consorzio, secondo
statuto, deve svolgere, il Consiglio di amministrazione decide di avvalersi dell’assistenza di
un altro organo, il Comitato tecnico scientifico. La nascita di questa ulteriore struttura
rappresenta la presa d’atto che si necessita di competenze di natura tecnica. Successivamente
si assiste alla costituzione di un altro organismo il Comitato territoriale, con funzioni di
controllo, indirizzo e verifica. La nascita del Comitato territoriale evidenzia la graduale
crescita del peso della politica all’interno del Patto. A tal proposito, è bene fare una
precisazione sulla particolare situazione politica vissuta a livello provinciale e regionale
proprio nel periodo di costituzione del Patto. Mentre il centro-sinistra governa l’intero paese,
il centro-destra è al governo della città di Benevento, alla provincia vi è un governo di centro-
sinistra, alla regione un governo di centro-destra. Ora, questa peculiare combinazione politica,
così diversamente articolata, non può non avere dei seri riflessi sullo strumento oggetto di
analisi.
Il protocollo d’intesa aggiuntivo è stato firmato nel luglio 2001. La realizzazione di tale
protocollo deriva dalla presenza di alcune aziende in comuni che non hanno avuto le
infrastrutture perché all’inizio non facevano parte del Patto. Per ovviare a questo problema, e
trasferire le aziende laddove c’erano le infrastrutture, il Patto si è allargato anche ai Comuni di
Apice, Airola, San Salvatore Telesino e Buonalbergo.
E’ di particolare importanza evidenziare che ci sono aziende che non sono state ammesse ai
finanziamenti del Patto territoriale ed altre che vi hanno rinunciato. Le motivazioni per cui le
imprese hanno rinunciato sono di diversa natura. Quest’ultimo gruppo di imprese comprende
sia quelle che hanno ottenuto finanziamenti per le attività di produzione da altre fonti, per
esempio, tramite la legge 488/92, sia quelle che hanno preferito ricercare fonti di
finanziamento alternative per la dimensione eccessivamente elevata dell’investimento
richiesto, che non si concilia con la filosofia del patto territoriale. Altre, più semplicemente,
hanno presentato iniziative progettuali non congruenti con gli obiettivi del Patto.
Nelle tabelle seguenti riassumiamo il piano generale in cui si articola il patto, che prevede 13
iniziative imprenditoriali e le relative iniziative infrastrutturali.

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Progetti imprenditoriali ammissibili (milioni di lire)
Società Attività Investimento Onere dello Numero Numero nuovi
proposto Stato occupati totali occupato
Italbloc Sud Fabbricazione 2.839,5 2.330,4 25 8
di strutture
metalliche e di
parti di
strutture
C.D. Confezione di 10.431,0 8.787,5 45 45
articoli di
vestiario ed
accessori
Il Chiostro Stampa di arti 1.400,0 1.144,6 15 15
grafiche
M.L.S. Estrazione di 4.550,5 3.665,7 18 16
pietre per
l’edilizia
Metalplex Fabbricazione 31.984,3 25.491,5 105 35
di mobili
metallici
Pan Fabbr. di 7.304,0 5.950,8 44 44
prodotti
alimentari
n.c.a.
Legno Design Fabbricazione 2.397,0 1.966,6 14 9
di mobili
Napolitano
Complesso Produzione 12.016,6 9.822,7 30 30
cibi precotti
Poliv. Rossana
Vecchio Forno Fabbricazione 2.949,6 2.429,7 14 14
di prodotti di
panetteria
Galvacenter Trattamento e 2.949,6 7.223,8 23 23
rivestimento
metalli
Izzo Pelli Preparazione e 6.008,6 4.822,0 22 11
concia del
cuoio
Agri.Tel. Coltiv. miste di 3.535,7 2.833,4 12 12
ortaggi,
specialità
orticole, fiori e
prodotti di
vivai
R.A.LL. Trattamento e 6.596,5 5.437,2 17 17
rivestimento
metalli

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Totale 101.001,0 81.905,8 384 279

L’analisi dei settori di attività mostra la volontà di potenziare alcuni settori nei quali il territorio
evidenzia una certa specializzazione (abbigliamento, agro- alimentare, meccanica), senza trascurare
altri settori di interesse, sia per la loro trasversalità (tipografico- editoriale) sia per la loro innovatività (
elettronico).

Localizzazione Opera Investimento Onere dello Stato


Comune di Olivola Urbanizzazione 10.889 10.889
primaria Pip
Comune di Urbanizzazione 5.000 5.000
primaria Pip
Montesarchio
Totale 15.889 15.889

2.1.2. Obiettivi del Patto


Il Patto punta alla realizzazione di un articolato piano di investimento per iniziative
imprenditoriali ed interventi infrastrutturali, per un ammontare complessivo di 116. 890,0
milioni di vecchie lire, con un onere a carico dello Stato di 97.794,8 milioni di lire e con un
occupazione a regime di 384 addetti, di cui 279 nuovi occupati. Tali obiettivi vengono
perseguiti attraverso l’attuazione di investimenti in attività produttive di carattere
prevalentemente manifatturiero. Fin dalle fasi iniziali, viene completamente abbandonata
l’idea di agganciare le iniziative ad una o più filiere. La scelta degli investimenti viene
realizzata seguendo una strategia che abbracci tutti i comparti attivi nel contesto economico
provinciale. Ovviamente, tale impostazione comporterà un’inevitabile mancanza di
specializzazione dello strumento Patto. A fronte di una totale assenza di specificità relative
alle attività produttive da promuovere, è invece possibile individuare una precisa scelta in
termini di area geografica di riferimento. Gli investimenti si concentrano nella zona
meridionale della provincia di Benevento. Diversi sono i fattori che hanno fatto propendere in
tal senso: forte dinamica demografica, densità abitativa superiore alla media, presenza di
alcune realtà industriali.
Parallelamente alla promozione di un tessuto di industrializzazione diffusa, il Patto si propone
di dar vita ad una serie di piccoli progetti di infrastrutturazione complementari e funzionali
nelle aree di Contrada Olivola (sita nel territorio del comune di Benevento), e per l’area PIP
di Montesarchio (l’area PIP di Montesarchio si trova invece a metà strada tra Benevento e
Caserta, e già rappresenta, oltre che uno dei centri più ricchi della provincia, un rilevante polo
commerciale)
I soggetti che partecipano attivamente al Patto, individuano sia obiettivi a medio-lungo
termine sia obiettivi intermedi.
Nel primo gruppo vengono inseriti i seguenti punti:
aumento del livello di industrializzazione della provincia (l’avvio di una nuova e più intensa
fase del processo di industrializzazione viene dai più considerata come un elemento chiave
per la modernizzazione ed il superamento dell’arretratezza che caratterizza l’economia
domestica)
valorizzazione delle risorse umane

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aumento dei fattori localizzativi (attuazione di una strategia che punti a neutralizzare le
diseconomie esterne)
mettere in moto un meccanismo permanente di concertazione
Nel secondo gruppo vengono inserite le seguenti azioni:
? ?realizzazione del centro di produzione di servizi per eccellenza (BIC), per puntare alla
diffusione della cultura imprenditoriale ed al rafforzamento del legame tra mondo della
formazione, della ricerca e della produzione.
? ?Introduzione di misure per la flessibilità del lavoro che siano in grado di garantire il
livello di mobilità necessaria a mantenere vivo il binomio competitività- crescita
dell’occupazione.
? ?potenziamento del sistema formativo (considerato un passaggio fondamentale nel
processo di diffusione della cultura di impresa)
? ?realizzazione di infrastrutture complementari
? ?costituzione del soggetto attuatore e dei gruppi di lavoro previsti dal Patto territoriale
In funzione di tali obiettivi, i principali attori legano il successo dell’iniziativa Patto al
raggiungimento dei seguenti risultati:
? ?aumento della capacità produttiva dell’area, in virtù dell’aumento del 5% delle imprese
operative nell’area
? ?incremento dell’occupazione del 6% anche al di là dell’occupazione diretta e indiretta
attivata dal Patto in forza degli investimenti iniziali
? ?aumento del livello di saturazione delle aree industriali
? ?attivazione di nuovi progetti comuni di sviluppo territoriale
Nell’ambito della strategia messa in atto per centrare tali obiettivi, ogni partecipante si è
ritagliato una specifica funzione.
Le OO.SS (Cgil, Cisl e Uil) si sono assunte l’impegno di verificare, assieme all’Unione
Industriale, l’attuazione di forme di flessibilità e la loro graduazione anche temporale, per
ciascuna delle aziende che investono nel territorio, tenendo conto delle eventuali ricadute
occupazionali che tali strumenti possono favorire.
La Camera di Commercio si è impegnata a potenziare le attività di marketing territoriale e il
miglioramento qualitativo dei servizi offerti alle imprese.
Lo sviluppo di strumenti consortili e l’integrazione inter- settoriale, furono affidate alle
associazioni di rappresentanza degli interessi commerciali e artigianali. La C.N.A, la
Confartigianato, la Confesercenti e la Confcommercio furono chiamate a creare strumenti
creare degli strumenti consortili per agevolare il piccolo credito, ideare progetti che mirassero
al recupero dei mestieri in via di estinzione, valorizzare le produzioni locali.
L’Amministrazione comunale di Benevento si impegnò a mettere in atto comportamenti tesi
allo snellimento di tutti gli adempimenti burocratici necessari alla creazione o
all’ampliamento delle attività imprenditoriali. All’Amministrazione comunale del capoluogo
sannita spettò inoltre il compito di dotare le aree destinate ad accogliere i nuovi stabilimenti
produttivi.

2.1.3. Le testimonianze
Quali sono stati gli effetti di processo riconducibili al Patto?
Sindacati: “In una prima fase, il Patto è servito a pensare modelli di sviluppo basati sullo
stare insieme. La nascita di un partenariato istituzionale di riferimento piuttosto ampio, ha
contribuito a mettere da parte gli individualismi che avevano sempre bloccato qualsiasi tipo
di iniziativa collettiva. Fatta eccezione per il sistema finanziario (che non è stato interessato
dal processo di coinvolgimento e responsabilizzazione posto in essere dal Patto), è possibile
affermare che tutti gli altri contesti socio- economici sono stati interessati più o meno

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intensamente dal nuovo strumento. Peccato che questa fase abbia rappresentato solo una
parte limitata della vita del Patto”
Unione Industriali: “Il Patto ha offerto agli attori locali un’opportunità unica per muoversi in
maniera convergente. La capacità del Patto di coinvolgere gran parte degli attori della
politica e dell’economia locale, deve però essere ascritta alla felice sinergia derivante dal
verificarsi (contemporaneamente) di un vuoto politico temporaneo e di un’impellente
necessità di dare una risposta rapida alle aspettative del territorio (dopo il caso Piaggio). E’
probabile che gli effetti di processo accreditabili allo strumento Patto debbano essere
ricercati proprio nella particolare congiuntura politica ed economica che ha determinato il
successo dello strumento di Programmazione negoziata. D’altronde, non deve essere
dimenticato che non tutti mostrarono un forte entusiasmo iniziale per questo nuovo approccio
allo sviluppo locale”
Soggetto tutor: “Il Patto ha offerto agli attori locali l’opportunità di svincolarsi dagli
individualismi che avevano caratterizzato il loro approccio ai temi dello sviluppo locale. Il
più importante effetto di processo riconducibile al Patto deve essere ricercato proprio nella
nascita di una nuova volontà del fare insieme che era stata del tutto accantonata fino a quel
momento. Lo strumento in questione ha dunque fornito la possibilità di esprimere delle
potenzialità nascoste ed inespresse. Il Patto segnò il passaggio dalla cultura del progetto,
alla cultura del programma e della programmazione responsabile ”
Quali sono state le difficoltà che hanno maggiormente condizionato la vita del Patto?
Sindacati: “I fattori che hanno frenato l’azione di sviluppo riconducibile al Patto, devono
essere ricercati nell’ambito normativo e in quello politico. L’assenza di una precisa
normativa di riferimento ha creato non pochi problemi ai soggetti impegnati nello sviluppo
dell’idea Patto. Le difficoltà normative hanno costituito un freno durante la prima fase della
vita del Patto. Il ritorno della politica ha invece frenato l’azione dello strumento nel momento
in cui il processo di sviluppo era già stato avviato”
Unione Industriali: “Il rapporto con la politica non è stato assolutamente positivo. Gli
esponenti politici non credevano nella bontà dello strumento proposto. Il quadro normativo
di riferimento non era chiaro. La possibilità di cumulare i finanziamenti proposti attraverso il
Patto con quelli ascrivibili alla L.488, determinarono serie difficoltà sul fronte contabile.
Solo in un momento successivo intervenne un’unificazione delle procedure autorizzative
(unico pacchetto) atta a favorire gli investimenti attraverso un abbattimento di tutta una serie
di oneri ”
Soggetto tutor: “ Oltre alle difficoltà di tipo sia politico che normativo, va segnalata la forte
ritrosia culturale delle aziende presenti sul territorio rispetto al nuovo scenario prospettato
dal Patto. L’Ente responsabile ha faticato non poco per trasmettere alle imprese le nuove
modalità di finanziamento previste dallo strumento. La differenza sostanziale con le altre
tipologie di finanziamento risiede soprattutto nel controllo esercitato dall’Ente responsabile “
E’ possibile individuare un’idea forza posta alla base dell’iniziativa?
Sindacati: “ Limitatamente alle attività produttive, l’idea forza che doveva guidare la nascita
del Patto avrebbe dovuto coincidere con l’allargamento del tessuto produttivo esistente (la
scelta iniziale di non privilegiare un particolare settore produttivo andava proprio in questa
direzione). In verità, i progetti approvati si sono concentrati sul rafforzamento del tessuto
produttivo esistente (il 70% dei finanziamenti è stato utilizzato per migliorare cicli e prodotti
già esistenti). Decisamente meglio è andata per gli investimenti che hanno riguardato il
rafforzamento infrastrutturale di alcune aree ”
Unione Industriali: “ A nostro avviso, l’idea forza del Patto risiede nella ricerca degli effetti
indotti (per l’intera economia provinciale) derivanti dal rafforzamento infrastrutturale delle
aree di PIP di Olivola e Montesarchio. Un’analisi che vada al di là dei singoli progetti
finanziati, dimostra come l’idea forza del Patto coincide con l’allargamento del tessuto

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produttivo (un allargamento che è stato perseguito con l’innalzamento del livello di
appetibilità delle aree PIP infrastrutturate piuttosto che attraverso il ricorso a finanziamenti
diretti alle imprese) “
Soggetto tutor: “ E’ possibile individuare l’idea forza nella delimitazione territoriale del
Patto.
La decisione di scegliere una dimensione “mediana” risponde al fatto che si è consapevoli
che estendere l’intervento su tutta l’area sannita potrebbe essere dispersivo. Per evitare tale
dispersione, la scelta cade a livello sub-provinciale, ed in particolare su due aree, in virtù del
fatto che esse hanno assegnato la destinazione d’uso per l’insediamento delle attività
produttive “
Quali risultati fisici possono essere evidenziati alla luce dell’attuale stato di attuazione del
Patto?
Sindacati: “ I buoni risultati raggiunti sul fronte delle infrastrutture non sono stati
accompagnati dal tanto agognato allargamento della base produttiva. Le verifiche intermedie
sono state messe da parte per evitare il blocco degli investimenti. Sul fronte occupazionale,
siamo molto scettici sia sulla qualità che sulla durata dei nuovi posti di lavoro creati. Il
progressivo passaggio di competenze alla Regione sta determinando un totale svilimento del
sistema di controlli sulla bontà dei risultati ottenuti “
Unione Industriali: “ Una valutazione complessiva del Patto non può limitarsi alla sola
analisi dei contenuti dell’ultimo stato di attuazione. Una valutazione seria dovrebbe tener in
debito conto gli sforzi realizzati per tentare di rendere più appetibile il territorio beneventano
agli occhi dei possibili investitori esterni. La ripresa sperimentata da alcuni settori
dell’economia locale, dimostra che gli effetti indotti riconducibili al Patto stanno iniziando a
fare la loro parte “
Soggetto tutor: “ Il risultato è stato positivo sia in termini di finanziamento delle attività
produttive sia in relazione alle opere infrastrutturali realizzate. Il mantenimento e il
miglioramento dei livelli occupazionali raggiunti grazie al Patto, dipenderanno in larga parte
dalla capacità di sviluppare sinergie che sappiano approfittare del favorevole contesto fin qui
realizzato “

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2.1.4. I dati quantitativi


I DATI QUANTITATIVI- ULTIMO STATO DI ATTUAZIONE AGGIORNATO AL 30-06 2003 (dati espressi in milioni di lire)
Lo stato di attuazione aggiornato al 31-12 2003 sarà disponibile a Marzo 2004.

INVESTIM dato data anticipaz spesa


AZIENDE CONTRIB. scadenze data % dipend.
. decreto inizio ione sostenuta
CONCESS
AMMESSO 48 mesi erogata erogazione al 30/06/2003
O
anticipazio
ne
RUSSO
1/4/199
ALLUMINIO 6.596,5 5.248,4 23/12/1997 23/12/01 3.499,2 09/10/1998 6.109,7 100,00 20 chiusa
8
S.R.L.
IZZO PELLI
8.613,5 4.805,0 23/12/1997 1998 23/12/01 2.402,5 12/10/1998 8.613,0 100,00 13 chiusa
S.R.L.
LEGNO DESIGN
1.873,5 1.482,6 23/12/1997 1998 23/12/01 988,4 13/10/1998 2.011,0 100,00 12 chiusa
S.R.L.
GALVACENTER 1/1/199
10.684,0 7.046,4 13/2/1998 13/2/02 3.611,9 09/10/1998 10.532,0 100,00 29 chiusa
S.R.L.. 8
1/9/199
MLS SNC 4.208,0 3.323,0 13/2/1998 13/2/02 1.661,5 12/10/1998 2.047,0 100,00 17 chiusa
7
COMPLESSO
4/9/199
POLLA. 12.016,6 9.812,8 28/07/1998 28/7/02 8.830,8 17/5/1999 12.155,0 100,00 2 chiusa
7
ROSSANA
ITALBLOC SUD 1/8/199
2.864,5 2.216,2 02/11/1998 11/02/1902 1.994,0 30/6/1999 2.901,6 100,00 29 chiusa
S.R.L. 7
1/1/199
C.D. S.R.L. 11.097,1 8.787,5 30/12/1998 30/12/02 2.797,5 12/12/2000 1.182,2 10,65 revoca
9
METALPLEX
31.894,3 25.168,8 31/5/1999 1998 31/5/03 12.584,0 13/10/2000 23.500,0 73,68 76
S.P.A.
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VECCHIO
2.949,7 2.373,7 2/11/1999 1999 11/02/1903 1.186,8 10/10/2000 1.711,0 58,01
FORNO S.R.L.
1/10/20
AGRITEL SNC 3.154,0 2.516,0 27/9/2000 27/9/04 1.258,0 30/5/2001 1.594,0 50,54
00
TOTALI 95.951,7 72.780,4 40.814,6 72.356,5 75,41 198

OPERE
INFRASTRUTT
URALI
COMUNE DI 1/1/200 ultimat
10.889,0 10.889,0 01/7/1999 8.711,2 10889,0 100,00
BENEVENTO 0 i
COMUNE DI
1/1/200 ultimat
MONTESARCHI 5.000,0 5.000,0 01/7/1999 4.000,0 5000,0 100,00
0 i
O
TOTALI 15.889,0 15.889,0 12.711,2 15.889,0 100,00

AZIENDE NON
DECRETATE
PAN PROFUMI
7.304,0 5.950,8
ED AROMI S.R.L.
STAMPA E
GRAFICA IL 1.400,0 1.144,6
CHIO
TOTALE
RISORSE 8704 7.095,4
UTILIZZABILI

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Per un confronto con i principali indicatori contenuti nel piano originario di validità tecnico-
economico- finanziaria del Patto:
La realizzazione del complesso degli impianti programmati nel Patto territoriale di Benevento
puntava all’avviamento di 13 processi produttivi, con un investimento complessivo di
102.374 milioni di lire. L’impegno finanziario doveva essere assistito per il 76% da
finanziamenti pubblici a valere su fondi resi disponibili a favore del Patto. La percentuale di
contributi richiesti dalle singole aziende oscillava da un minimo del 73% a un massimo
dell’81%. La possibilità di accedere per larga parte a contributi a fondo perduto si sposa con
l’impegno assunto dalle aziende di garantire la concreta disponibilità di mezzi propri in
misura non inferiore al 30%.

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2.2. Rocki Gialanella Il GAL Fortore Tammaro

2.2.1. Il contesto di riferimento


Il Gal Fortore- Tammaro è una Associazione senza scopo di lucro costituitasi il 20 settembre
1994 per attuare il Piano di Azione Locale. Il Gal è stato promosso su iniziativa della
Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Benevento. La base sociale è composta da 17
soci, portatori di interessi collettivi: enti territoriali e locali, rappresentanti e imprenditori del
mondo economico e operatori dell’universo culturale, che danno vita ad una partnership
collegiale che assicura la partecipazione effettiva ed attiva degli operatori locali. Il
Programma Leader II Fortore Tammaro ha agito sul territorio con una strategia proiettata
verso la promozione territoriale e l'innovazione tecnologica. Grazie alla sua organizzazione a
rete, il Gal ha cercato di interagire nel modo più diretto possibile con la popolazione locale e
con le istituzioni. La promozione allo sviluppo del comprensorio è intervenuta sulle risorse
produttive, culturali e ambientali già esistenti, ma poco valorizzate, promovendone
l'integrazione. In tal modo, il Gal ha cercato di fornire delle indicazioni sulle nuove possibilità
di approccio ai problemi del territorio interessato in chiave integrata.
Comuni interessati: Apice, Baselice, Buonalbergo, Calvi, Campolattaro, Castelfranco in
Miscano, Castelpagano, Castelvetere in Val Fortor, Circello, Colle Sannita, Foiano di Val
Fortore, Fragneto l’Abate, Fragneto Monforte, Ginestra degli Schiavoni, Molinara,
Montefalcone di Val Fortore, Morcone, Paduli, Pago Veiano, Pesco Sannita, Pietrelcina,
Reino, San Bartolomeo in Galdo, San Giorgio la Molara, San Marco dei Cavoti, San Nazzaro,
Santa Croce del Sannio, Sant'Arcangelo Trimonte, Sassinoro.
Specificità dell’area: presenza di fiumi con insediamenti ripali di salici e pioppi e zone
umide rivierasche, ricche di flora e fauna; esemplari secolari di querce in terreni seminativi;
numerosi torrenti e aree lacustri per la pesca sportiva di trote e anguille; vasto patrimonio
architettonico-religioso: monasteri, cappelle, chiesette di campagna; presenza di mete di
pellegrinaggi religiosi: itinerario sannita di Padre Pio di Pietrelcina; significativa coltivazione
e produzione del tabacco; polo di produzione artigianale (San Marco dei Cavoti) per tessuti,
pelletteria e dolciumi (torrone); lavorazione dei metalli e della pietra; produzioni
agroalimentari tipiche: prodotti del bosco, asparagi, salumi, formaggi, olio, miele, vino,
conserve.
Obiettivi: Lo strumento in questione si è prefissato uno sviluppo rurale integrato in un
territorio ricco di potenzialità umane, culturali, produttive ed ambientali, non sufficientemente
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valorizzate, attraverso l'organizzazione delle risorse e la formazione della mentalità
imprenditoriale locale. Sono stati realizzati progetti pilota ed iniziative di sostegno alle
aziende (agricole, artigiane e PMI) per creare posti di lavoro, migliorare la capacità di reddito
e la dotazione di servizi della popolazione locale.
Il Programma si è posto l'obiettivo di sfruttare al positivo la ruralità dell'area Fortore
Tammaro, mediante una serie di progetti pilota e iniziative di sostegno alle imprese, che
hanno dato la possibilità di sperimentare vie innovative allo sviluppo integrato attivando posti
di lavoro, migliorando le capacità di reddito e le dotazioni di servizi delle popolazioni locali.
L'obiettivo generale del Programma ha puntato su specifiche leve di sviluppo, quali:
(a) l'identità culturale dell'area appenninica;
(b) la diversificazione economica;
(c) la riqualificazione del settore primario;
(d) la razionalizzazione e l'integrazione delle PMI e delle aziende artigiane;
(e) lo sviluppo delle risorse umane;
(f) la conservazione del territorio e dell'ambiente;
(g) il consolidamento della residenzialità;
(h) i legami con emigrati;
i) l'aggregazione delle forze locali;
j) lo sviluppo di metodologie innovative e mentalità imprenditoriale.
L'innovazione tecnologica promossa con il programma, invece, è stata perseguita tramite
azioni:
(a) di assistenza tecnica;
(b) di ricerca applicata;
(c) di formazione professionale;
(d) di orientamento tecnico produttivo;
(e) di valorizzazione dei prodotti e delle risorse locali; (f) di comunicazione integrata e
multimediale;
(g) di sostegno strutturale a imprese pilota.
Le principali aree di tema del Programma Fortore-Tammaro si sono
sviluppate in:
? ?azioni di intervento settoriali;
? ?azioni di intervento trasversali o di supporto.

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2.2.2. Obiettivi e contenuti

2.2.2.1 Azioni di intervento settoriale


Gli interventi delle azioni settoriali hanno interessato i tre settori fondamentali della ruralità:
l'agricoltura, l'artigianato e il turismo rurale.
A ognuno dei settori è stato affiancato un Centro di promozione, rivolto a favorire in maniera
orizzontale lo sviluppo socioeconomico del comprensorio, con il compito di assistere e
promuovere le attività commerciali delle aziende dell'area.

2.2.2.2 Il settore agricolo


Per il settore agricolo il programma ha puntato sull'agroalimentare realizzando e sostenendo
interventi rivolti alla qualificazione e alla valorizzazione delle produzioni tipiche in un quadro
di recupero e rilancio commerciale.
In quest'ottica i progetti realizzati hanno interessato:
(a) un programma di ricerca per il miglioramento delle produzioni ovine della razza
"Laticauda";
(b) un corso di formazione professionale sull'introduzione di tecniche biologiche, con moduli
specialistici per operatori dell' agroalimentare;
c) il cofinanziamento a aziende pilota per:
1. la realizzazione di piccoli impianti di trasformazione delle produzioni aziendali;
2. la realizzazione strutture vivaistiche per l'olivicoltura;
3. la sperimentazione di colture alternative.
Il programma di ricerca per il miglioramento delle produzioni ovine, finalizzato al
miglioramento della "Laticauda", ha avuto lo scopo di individuare una linea produttiva
completa garantibile con un disciplinare di produzione di alimenti definibili "tipici" grazie
alle loro peculiari caratteristiche organolettiche e salutistiche, come il formaggio e la carne
ovina.
La sperimentazione si è articolata secondo un piano di ricerca applicato alla produzione che
ha interessato:
(a) lo studio e controllo del pascolo (varietà vegetali locali eventualmente da migliorare);
(b) lo studio e controllo dell'animale (dieta, tempi di stabulazione, tempi di macellazione, etc);
(c) lo studio e controllo della carne e del latte (proprietà, quantità, etc.)
(d) lo studio e controllo dei derivati del latte (tecniche di produzione, caratteristiche, etc);
Per la realizzazione dell'intervento il Gal-Fortore Tammaro si è avvalso della collaborazione,
a seguito di concorso pubblico, del "Centro genetico" dell'azienda Quercete.
37
bozza non completa e non corretta -- non citare
Per la sperimentazione sono stati selezionati 16 allevamenti ovini di altrettante aziende del
territorio Fortore Tammaro, che hanno partecipano attivamente alla ricerca.
Il programma, appena completato e in fase di controllo, ha già prodotto i primi risultati.
Esso ha contribuito significativamente all'incremento di questa razza ovina producendo nuovi
soggetti ad alta genealogia, introducendo tecniche innovative per l'incremento della fertilità e
dando formazione professionale agli operatori.
I risultati ottenuti sono già stati utilizzati, di intesa con il Sesirca della Regione Campania e
Fassonapa, per proporre il disciplinare di produzione del "Formaggio Laticauda" DOP.
L'intervento nell' agroalimentare, contemporaneamente al programma di ricerca della
"Laticauda" ha agito anche sulla formazione degli operatori e sul potenziamento di strutture
aziendali per la trasformazione delle carni suine e del latte ovino.
Grazie all'intervento Leader, il Tammaro e il Fortore oggi dispongono di 7 piccole, ma
efficienti, strutture di trasformazione di prodotti tipici locali: 4 per le carni suine e 3 per il
latte ovino.
Inoltre esso ha finanziato, da un lato una azienda per la diffusione e il potenziamento della
coltura olivicola di varietà “ortice”, alla luce anche dei nuovi sviluppi del disciplinare "doc
sannio", dall'altro diversi campi sperimentali di nuove colture per il territorio, quali le patate
da seme, ottenendo ottimi risultati.

2.2.2.3 Il settore artigianale


Per il settore artigianale l'intervento è stato calibrato sul sostegno di investimenti diretti e
innovativi alle aziende locali.
In quest'ottica i progetti realizzati hanno interessato:
(a) il cofinanziamento a imprese pilota per:
l'inserimento, nelle proprie aziende, di innovazioni di prodotto e/o di processo;
il recupero di scarti vegetali finalizzato alla valorizzazione delle materie prime agroforestali;
(b) un corso di formazione professionale per addetti ai servizi di supporto all'artigianato a alle
PMI.
La caratterizzazione delle piccole unità produttive diffuse sul territorio, è stata la scelta
perseguita nel sostenere questo settore dell'economia locale, sia che esso attinga dalla
tradizione, sia che trattasi di nuove proposte.
Le attività trainanti, come quelle del tessile e del dolciario, hanno avuto un sostegno mirato
alla razionalizzazione del processo produttivo, alla formazione degli operatori e alla
promozione commerciale.

38
bozza non completa e non corretta -- non citare
I mestieri tradizionali hanno, invece, avuto bisogno di essere affiancate all'indotto turistico per
essere reinseriti nel processo produttivo con dignità economica.
In questa ottica si è realizzato un corso di formazione per servizi di supporto all'artigianato e
alla piccola industria e si sono sostenuti investimenti aziendali, sempre previo concorso
pubblico, per circa 24 realtà imprenditoriali.
Nell'intervento del settore artigianale è stato inserito anche il finanziamento a una impresa che
ha inteso intraprendere l'iniziativa di realizzare un impianto pilota per il recupero degli scarti
vegetali.

2.2.2.4 Il settore del turismo rurale


Nel settore del turismo rurale, essendo esso ancora poco noto nel territorio, il programma ha
agito sulle leve che attivano e conseguente consolidano flussi turistici capaci di supportare in
modo duraturo lo sviluppo generato.
Per esso si sono realizzate azioni finalizzate:
a) al cofinanziamento di progetti di operatori locali per:
al potenziamento del museo geopalenteologico di Baselice;
alla realizzazione di una struttura di maneggio e di escursionismo a cavallo;
alla realizzazione di pacchetti di offerta turistica dimostrativa, finalizzati alla promozione del
turismo rurale mediante la sensibilizzare gli opinion leader nazionali ed internazionali
(b) alla realizzazione di visite guidate e giornate educative scolastiche al fine di stimolare la
crescita della coscienza ambientale e rurale tra i più giovani;
c) alla realizzazione di una Guida Multimediale del comprensorio Fortore-Tammaro, rivolta
soprattutto alla conoscenza del patrimonio storico, ambientale e naturalistico;
d) allo svolgimento di un corso di formazione per operatori della ristorazione nell'ambito del
turismo rurale.
Le attività del settore hanno avuto l'obiettivo fondamentale di concorrere al miglioramento
della fruibilità turistica del comprensorio Fortore-Tammaro, attraverso la realizzazione di
strumenti ed iniziative di comunicazione rivolte sia all'interno (imprenditori, enti,
associazioni) che all'esterno (operatori turistici, utenti attuali e potenziali).
Le azioni intraprese hanno puntato, da un lato a promuovere l'immagine del prodotto:
"Fortore-Tammaro", cioè il territorio nel suo insieme con tutte le sue risorse ambientali,
culturali, storiche, economiche e paesaggistiche, dall'altro a dotare il settore delle strutture e
delle competenze professionali fondamentali alla gestione dei flussi attivati.

39
bozza non completa e non corretta -- non citare
2.2.2.5 Azioni di intervento trasversali
Per quanto riguarda le azioni di intervento trasversali o di supporto, il Programma ha attivato
una serie di iniziative volte a potenziare, integrare e talvolta completare l'effetto delle azioni
settoriali.
L'intervento trasversale del programma tra i settori economici dell'area, si è sviluppato
mediante:
(a) la realizzazione e la gestione della rete telematica interzonale e dei punti di informazione
popolare;
b) l'azione di sostegno al miglioramento qualitativo dei servizi alla persona;
c) l'azione di scambio con comunità di emigrati;
d) la rassegna multimediale del territorio;
e) il programma di valorizzazione territoriale.
La realizzazione e la zestione della rete telematica interzonale e dei punti di informazione
Popolare.
L'intervento della Rete Telematica interzonale è stato finalizzato a dotare il territorio di uno
strumento che facilitasse il trasferimento delle informazioni e delle innovazioni all'interno e
all'esterno di esso.
La Rete Telematica oltre a fungere da banca dati e borsa merci per il comprensorio, ha
consentito il collegamento di 20 punti informativi di accesso popolare, dislocati su tutti i
Municipi del territorio, dei Centri del Programma Leader II Fortore Tammaro GAL, degli
Istituti scolastici, degli operatori economici, e di tutti questi con il resto del pianeta.
Inoltre essa è stata affidata alla gestione di un beneficiario che ha utilizzato, come operatori,
giovani portatori di handicap.
L'azione di sostegno al miglioramento qualitativo dei servizi alla persona
Con il sostegno al miglioramento qualitativo dei servizi alla persona sono stati ammessi a
finanziamento 5 progetti di altrettante organizzazioni no-profit, le cui attività erano rivolte
all'incremento della dotazione dei servizi socio-assistenziali del territorio per la residenzialità
locale a all'inserimento sociale delle categorie più disagiate e bisognose.
Le comunità presenti sul territorio non sono molto agiate e la dotazione dei servizi non è delle
migliori, gli interventi socio assistenziali e le azioni di inserimento sociale, quasi per la
totalità, sono affidate alla iniziativa spontanea di gruppi di volontariato.
Con questo intervento si è voluto dare , oltre a un sostegno finanziario anche un esempio di
progettazione, organizzazione e realizzazione di un piano di assistenza nel campo della
solidarietà.
40
bozza non completa e non corretta -- non citare
2.2.2.6 L'azione di scambio con comunità di emigrati
Riallacciare e rafforzare i rapporti con le comunità di italiani residenti all'estero al fine di
promuovere il territorio e l'identità culturale della terra di origine, è stato l'obbiettivo
dell'azione di scambio culturale con comunità di italiani residenti all'estero.
In quest'ottica si è cofinanziato all'Anfe di Benevento un programma di scambio con la
comunità di sanniti residenti in Canada.
Lo scambio di visite oltre a rafforzare il legame, il dialogo e la conoscenza comune tra
persone della stessa origine culturale che si trovano a lavorare e vivere in due ambienti
diametralmente opposti ha offerto l'occasione per sviluppare, con appositi tavoli di lavoro,
ipotesi di attività culturali e commerciali comuni tra le aziende del Tammaro Fortore e gli
imprenditori italo canadesi, con la possibilità di una collaborazione tra le imprese sannite e
quelle canadesi per lo scambio di conoscenze tecnologiche, di materie prime e di prodotti
finiti.

2.2.2.7 La rassegna multimediale del territorio

La rassegna multimediale del territorio è stato l'intervento che ha proiettato il Fortore


Tammaro, nel suo insieme, verso l'esterno.
Il cd rom "La terra ed i suoi tesori: Viaggio alla scoperta di itinerari del Fortore e del
Tammaro", realizzato, per conto del Gal, dalla società beneventana Artemedia, ha proposto
una serie di percorsi attraverso le risorse storico-artistiche-ambientali di venti comuni
appartenenti al comprensorio, mettendone in risalto le potenzialità di sviluppo turistico-
culturale.

2.2.2.8 Il programma di valorizzazione territoriale.


Al fine di favorire la razionale organizzazione commerciale dei prodotti del territorio, è stato
attivato un Programma di valorizzazione territoriale e dei prodotti agroalimentari
dell'Appennino Meridionale - Area Fortore Tammaro, volto a costruire una rete di
interscambio basata sulla riscoperta delle risorse umane, della cultura e del paesaggio di un
territorio dalle notevoli potenzialità.
Si è trattata di un'azione dimostrativa tendente al miglioramento degli spazi mercantili per il
sistema economico locale e a influenzare, in chiave nuova, le ricadute sia sui processi che sui
prodotti, in special modo per 1'agroalimentare, per l'agriturismo e per l'artigianato.
Il Programma di valorizzazione territoriale si è articolato attraverso:

41
bozza non completa e non corretta -- non citare
(a) la attivazione di un Centro di promozione e assistenza con la funzione di "agenzia di
servizi" per le aziende del territorio;
(b) la utilizzazione di un marchio collettivo che ha rappresentato il territorio e ha garantito la
tipicità dei prodotti senza trascurarne la qualità;
(c) la istituzione di un Centro di commercializzazione che ha svolto attività di promozione e
vendita dei prodotti alimentari aderenti al marchio collettivo;
(d) la istituzione di un Centro studi che con la sua azione, ha certificato scientificamente, le
caratteristiche salutistiche del territorio e dei suoi prodotti;
C) il finanziamento di piani di sviluppo alle aziende aderenti al programma di valorizzazione.
Il coinvolgimento della popolazione e l’assistenza alle imprese locali
Il Programma, all'interno delle singole azioni di intervento ha tenuto di debito conto
l'animazione locale e il coinvolgimento della popolazione del territorio.
In particolare ha puntato sui giovani realizzando attività in stretto rapporto con le istituzioni
scolastiche locali e, tra queste:
(a) un concorso tra le scuole medie del territorio per disegnare il "logo" del Gal, che ha
registrato una notevole adesione con più di 300 elaborati;
(b) una manifestazione agonistica, in collaborazione con i Distretti scolastici, denominata
"Olimpiadi del Tammaro", che ha visto la partecipazione di oltre 1.000 alunni;
(c) una azione di supporto alla sperimentazione della telematica nelle scuole;
(d) un coinvolgimento del corpo docenti e degli alunni nella realizzazione della "rassegna
multimediale del territorio".
L'animazione locale è stata approfondita con servizi di assistenza e di supporto alle imprese
del territorio mediante le attività di sportello informativo degli Agenti di sviluppo e la
realizzazione di seminari periodici e incontri capillari con gli operatori locali realizzati dai
Responsabili dei Centri di promozione.

2.2.3. La promozione territoriale


La promozione territoriale del Tammaro Fortore è stata attuata ai vari livelli anche inserendosi
in manifestazioni e attività promosse da altri Enti.
Schematicamente l'attività di promozione si è sviluppata:
1) nel portare le peculiarità del territorio Fortore Tammaro all'esterno come:
a livello internazionale:
a) la Fiera del Turismo di Amburgo (Germania);

42
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b) Incontro con le comunità italiane a Montreal (Canada);
a livello nazionale:
a) il Salone della Montagna-Parma;
b) la manifestazione Artesapori-Roma;
c) la rassegna Franciacorta in bianco-Brescia;
d) Fiera del levante-Bari;
a livello regionale: Fiera del turismo in Napoli;
a livello locale: Buonalbergo, Circello, Santa Croce del Sannio,
Morcone, San Marco dei Cavoti, Castelpagano;
2) nel portare all'interno del territorio opinion leader come:
a livello internazionale:
a) gli Addetti agricoli alla Ambasciate straniere accreditate in Italia;
b) la Delegazione di imprenditori italo-canadesi;
a livello nazionale:
a) La delegazione delle Commissioni agricoltura dei 2 rami del
parlamento;
b) Autorità pubbliche e private di diverse regioni italiane;
a livello regionale: Autorità pubbliche e private, operatori turistici e delegazioni di
studenti e di scolaresche.

2.2.4. La gestione finanziaria del programma


Gli interventi del Programma si sono sviluppati in un 2 progetti stralcio esecutivi per un
periodo di 36 mesi e hanno interessato attività e investimenti per una spesa di circa 6.700
milioni di lire.
La gestione finanziaria del programma è stata affidata alla Banca di Credito Cooperativo di
San Marco dei Cavoti che ha svolto il servizio di tesoreria e il supporto tecnico-finanziario
per la valutazione della solvibilità dei beneficiari finali.
Per tutti i tipi di finanziamento a beneficiari locali e per l'acquisizione di forniture e servizi si
è seguita una procedura concorsuale, basata attraverso una divulgazione capillare dei bandi e
la loro affissione presso le bacheche dei comuni del territorio.
Le risorse utilizzate
La realizzazione del Programma Leader si sono spesi sul territorio Fortore Tammaro, in 36
mesi, circa 5.000 milioni di risorse pubbliche, attivando una compartecipazione di capitale
locale privato di oltre 1.500 milioni.

43
bozza non completa e non corretta -- non citare
Sinteticamente le risorse finanziarie sono cosi state utilizzate:

Sintesi degli interventi del PAL

Descrizione Importi (Lit milioni) %

Quota pubblica Quota Privati Totale

Interventi nel settore agroalimentare 1.167 326 1.493 22%

Interventi nel settore artigianale 860 556 1.416 21%

Interventi nel settore del turismo rurale 565 193 758 11%

Interventi nel programma di


769 256 1.025 15 %
valorizzazione
Spese di coordinamento, sviluppo, 1.011 - 1.011 15%
funzionamento e dotazione GAL
Azioni di supporto 748 213 961 14%

Totale 5.120 1.544 6.664 100


%
Percentuali 77% 23% 100%

2.2.5. L’organizzazione
Per la gestione del Programma Leader Fortore Tammaro, il Gal si è dotato di una struttura
organizzativa interna a matrice.
Il compito decisionale è stato affidato a un organo amministrativo collegiale, mentre quello
operativo è stato svolto da un Ufficio di Piano appositamente costituito e attrezzato.
L'Ufficio di Piano, collocato in San Marco dei Cavoti, è stato composto da un coordinatore di
progetto, affiancato dal un responsabile tecnico, un addetto amministrativo ai corsi di
formazione e 2 collaboratori amministrativi.
L'ufficio di piano è stato completato dal un Servizio di Pianificazione e Sviluppo in cui hanno
operano due Agenti con concrete competenze professionali in materia di programmi di
sviluppo.
I singoli settori sono stati supportati da tre Centri di Promozione dislocati a Colle Sannita per
il Turismo Rurale, a San Marco dei Cavoti per l'Artigianato e a San Bartolomeo in Galdo per
l'agroalimentare, sono stati affidati alla responsabilità di altrettanti addetti, i quali hanno agito
in piena autonomia organizzativa nello svolgimento delle attività previste dal programma e
44
bozza non completa e non corretta -- non citare
hanno rappresentato la struttura logistica e i cardini nel complesso delle azioni realizzate nei
rispettivi settori.

2.2.6. I risultati
Stando alle risultanze dell’ultimo stato di attuazione, è possibile affermare che il Programma
Leader Fortore Tammaro ha ottenuto i seguenti risultati:
a. cofinanziato 60 programmi di sviluppo aziendale, per un investimento complessivo di
2.300 milioni, attivando oltre 40 nuovi posti di lavoro;
b) assistito numerose aziende nella progettazione di programmi di sviluppo;
c)occupato a tempo pieno i modo diretto:
5 unità lavorative fino a 6 mesi;
5 uniltà lavorative da 6 a 24 mesi
7 unità lavorative oltre i 24 mesi.
d) specializzato nuove professionalità nel campo:
della gestione di programmi di sviluppo territoriale;
della animazione territoriale;
della assistenza ai programmai di sviluppo;
della amministrazione e direzione di corsi di formazione professionale;
della promozione commerciale di aziende e prodotti;
e) formato professionalmente 46 giovani del territorio e precisamente:
17 operatori della ristorazione nell'ambito del Turismo rurale;
14 operatori del settore agroalimentare nelle metodiche di produzione biologica;
15 esperti in servizi all'artigianato e alle P.M.I.
Contatti con strutture esterne:
(a) accreditato presso l’I.G. S.p.A come sportello informativo per l'imprenditorialità
femminile;
(b) scelto dal Comune di Campoli Monte Taburno come sede dello stage di un corso di
formazione;
(c) individuato dal Parco scientifico e Tecnologico come struttura di riferimento dello stage
del corso di alta formazione per esperti di innovazione nel comparto agroalimentare;

45
bozza non completa e non corretta -- non citare

3. Provincia di Campobasso

3.1. Rossano Giannetti e Marco Primiano Il Patto Territoriale per


l’Occupazione del Matese

3.1.1. Denominazione e tipologia


Matese per l’Occupazione S.c.p.a.26 (società consortile per azioni) è il Soggetto Intermediario
Locale (S.I.L.), costituito nel mese di settembre del 1998, per la gestione del “Patto
Territoriale per l’occupazione del Matese” (PtO Matese) rientrante nei 10 patti territoriali
italiani direttamente finanziati dall’ U.E.27
Tale soggetto, responsabile dell’attuazione del Patto, è a prevalente partecipazione pubblica
ad esso, infatti, gli Enti locali hanno partecipato sottoscrivendo delle azioni la cui entità varia
a seconda del proprio bilancio e del numero degli abitanti. Ad esempio, il comune di
Castelpetroso (che conta in base ai dati ISTAT 2001 più di 1600 abitanti) ha sottoscritto
azioni per un milione di lire mentre il comune di Campobasso (capoluogo di Regione e che in
base al censimento ISTAT 2001 conta 46.860 abitanti) ne ha sottoscritto per 50 milioni.

26
Sede legale: Provincia di Campobasso, 86100 Campobasso
Sede operativa: Azienda Speciale Formazione ed Assistenza alle Imprese della Camera di
Commercio di CB (F.A.I.), 86100 Campobasso
27
A differenza dei patti territoriali disciplinati dalle leggi nazionali, i patti territoriali per
l’occupazione promossi dalla Commissione europea (summit di Firenze 1996) sono degli
strumenti finalizzati a contribuire alle iniziative in favore dell’occupazione. In altre parole, la
differenza principale rispetto ai patti territoriali disciplinati da leggi nazionali, è che i P.T.O.
sono da una parte tecnicamente più particolareggiati dal punto di vista dei contenuti e
dall’altra, sono finalizzati alla creazione di nuovi posti di lavoro in base alle linee guida del
Libro Bianco di Delors (1993). Si tratta, quindi, di iniziative complementari alle politiche del
lavoro attuate a livello nazionali dai vari Stati membri.
A questo proposito, la Commissione europea nel suo comunicato del maggio ’97 ha così
proposto: “Di fronte alla piaga della disoccupazione, l’intervento dell’UE è duplice. Da una
parte la Comunità contribuisce, attraverso le sue politiche, a numerose misure di creazione di
posti di lavoro. Dall’altra, tenuto conto delle costrizioni derivanti dalla mondializzazione dei
mercati e dalla conseguente razionalizzazione socio-economica, essa cerca nuovi mezzi di
lotta contro la disoccupazione per creare strategie flessibili ed efficaci dell’Unione europea
ampliata del XXI secolo. […]. In questo contesto, i patti territoriali per l’occupazione
consentiranno non solo di conoscere meglio le cause della disoccupazione a livello locale, ma
anche di trovare risposte e strategie specifiche”.
46
bozza non completa e non corretta -- non citare
TABELLA 6: Organizzazione e struttura del PTO

Composizione Funzione
Assemblea Tutti i sottoscrittori Determina l’indirizzo generale del Patto e del
Generale del Patto Partenariato, le modalità di attuazione e i programmi di
intervento nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie
Comitato provincia di CB Agisce su delega della Assemblea ed in particolare svolge
Direttivo provincia di IS attività di:
CCIAA di CB ?? Analisi socio economica dell’area, studi e
CCIAA di IS approfondimenti su terzo settore e servizi alle
Comunità Montana persone, analisi occupazione e formazione;
Comune di CB ?? Verifica e rafforzamento del Partenariato e della
Banco di Napoli concertazione tra i promotori
Coldiretti Regionale ?? Raccolta proposte per la realizzazione delle misure
Associazioni Industriali di sviluppo, assistenza alla redazione del Piano
CNA d’azione, sottoscrizione Protocolli aggiuntivi
Confcommercio
?? Partecipazione ad incontri europei di promozione
Confcooperative
CGIL
Coordinatore Presidente della Provincia di Rappresentanza politico-istituzionale dell’Assemblea e
Istituzionale Campobasso del Comitato Direttivo
Coordinatore Vicedirettore della F.A.I Segreteria tecnica del Patto
Tecnico
Responsabile Dirigente Ufficio Amm.vo Amministrazione e contabilità
Amministrativo della Provincia di CB
Fonte: ns elaborazione da documentazione pattizia

3.1.2. Network
Rilevante è la composizione e l’articolazione del partnerariato del patto: i sottoscrittori sono
39 (tra Regione, Province, Associazioni datoriali-categoria, Enti, Ordini dei professionisti…)
a cui si aggiungono 57 comuni dell’area e 13 soggetti aderenti (Enti P.A., Associazioni,
ecc…).

TABELLA 7: Il Network del Patto.

I sottoscrittori del patto.

Regione Molise, Provincia di Campobasso, Provincia di Isernia, Camera di Commercio di Campobasso, Camera
di Commercio di Isernia, Unione Regionale delle Camere di Commercio del Molise, C.I.S.I. Molise s.p.a.,
Banco di Napoli, Finmolise, CGIL Molise, CISL Molise, UIL Molise, Associazioni Industriali del Molise,
C.N.A. di Campobasso, C.I.A. di Campobasso, U.P.A. di Campobasso, ACEM Molise, API Molise,
Confesercenti Molise, Confcommercio Molise, Confcooperative Molise, LegaCoop Molise, U.N.C.I. Molise,
I.S.P.E.S.L. di Campobasso, Ordine degli Ingegneri di Campobasso, Ordine dei Dottori Agronomi, Università
degli Studi del Molise, Comunità Montana Matese di Boiano, Federazione Regionale Coltivatori Diretti del
Molise, Commissione Regionale Pari Opportunità, Comunità Montana Fortore Molisano di Riccia, AMA Casa
Molise, Confartigianato di Campobasso, Comunità Montana Molise Centrale di Campobasso, Collegio
Regionale Agrotecnici del Molise, Consorzio per il Nucleo di Industrializzazione Campobasso-Boiano, ERIM,
Direzione Regionale del Lavoro , n. 57 Comuni dell’area

Gli aderenti al patto.

Legambiente Molise, WWF Molise, C.A.I. Molise, Lipu Molise, Artigiancassa, Assotur Campitello Matese,
Ordine dei Geologi, Ordine degli Architetti, Collegio Regionale Periti Agrari del Molise, Enel, Direzione
Regionale Ferrovie dello Stato, Asl n. 3 “Centro Molise”, Direzione Regionale delle Entrate,
47
bozza non completa e non corretta -- non citare

I Comuni del patto.

Sant’Elena Sannita, Colle d’Anchise, Guardiaregia, San Giuliano del Sannio, Castelpizzuto, Longano,
Cercepiccola, S. Maria del Molise, Campolieto, Pietracatella, Tufara, Campobasso, Fossalto, Limosano,
Ripalimosani, Gildone, San Giovanni in Galdo, Campodipietra, Petrella Tifernina, Boiano, Frosolone, Riccia,
Montagano, Toro, Macchia Valfortore, Sant’Elia a Pianisi, Castellino sul Biferno, Jelsi, S. Angelo Limosano, S.
Massimo, Castelpetroso, San Polo Matese, Campochiaro, Baranello, Busso, Cantalupo del Sannio, Casalciprano,
Castelbottaccio, Castropignano, Cercemaggiore, Duronia, Ferrazzano, Gambatesa, Lucito, Macchiagodena,
Matrice, Mirabello Sannita, Molise, Monacilioni, Oratino, Roccamandolfi, S. Biase, Sepino, Spinete, Torella del
Sannio, Vinchiaturo
Fonte: ns elaborazione da documentazione pattizia

3.1.3. L’ambito territoriale ed il contesto socio-economico


L’area del Patto è delimitata in basso (ai confini con la Campania) dalla dorsale del Matese,
ad est (ai confini con la provincia di Foggia) dai comuni di S. Elia a Pianisi e Tufara e ad
ovest dal comune di Longano. Si tratta della zona più interna della regione, attraversata in
buona parte dalla dorsale appenninica, il 75% dei comuni è classificato, infatti, come territorio
montano e la parte restante come collinare.

La superficie perimetrata dal PTO del Matese annovera la presenza di 57 amministrazioni


comunali (di cui 48 ricadenti nella provincia di Campobasso, tra i quali il capoluogo, e 9 in
quella di Isernia) che coprono una superficie di 1.624 Kmq, poco più di 1/3 di tutto il
territorio molisano, in cui risiedono circa il 45% dell’intera popolazione regionale28, che si
concentra però per circa il 50% in soli tre comuni (Campobasso, Bojano e Riccia). L’assenza
di grandi agglomerati urbani, ha costituito un elemento negativo per lo sviluppo dell’area per
due motivi fondamentali. Il primo è stata la perdita di opportunità derivanti dalle funzioni e
dai servizi che un grande centro può offrire, il secondo invece, è da ricondursi alla mancata
possibilità degli abitanti del luogo di riciclarsi nei settori occupazionali diversi
dall’agricoltura29. Attualmente (ISTAT 2001), infatti, nell’area soltanto tre sono i comuni che
superano i 5.000 abitanti (Campobasso, Riccia e Bojano) di cui il capoluogo di Regione
supera i 45.000 abitanti. In altre parole, il quadro economico molisano in generale e dell’area
in particolare, è caratterizzato da una bassa densità di popolazione, una configurazione
insediativa dispersa ed una struttura urbana debole.

28
Si precisa che in base al censimento 2001 ISTAT, la popolazione regionale ammonta a
316.548 abitanti
29
Si precisa, altresì che, in base al censimento 2001 ISTAT, nella Regione soltanto 12 comuni
oltrepassano i 5.000 abitanti e di questi soltanto tre (Campobasso, Termoli e Isernia) superano
i 20.000 abitanti.
48
bozza non completa e non corretta -- non citare

TABELLA 8: Area di Riferimento.

%
Territorio e popolazione Area Patto Molise
(Area /Molise)
Superficie territoriale (kmq) 1.624,3 4.437,6 36,6
N. Comuni 57 136 41,9
N. Comunità Montane 5 10 50,0
% Comuni di montagna 75,4 61,8 51,2
% Comuni di collina 24,6 38,2 26,9

Fonte: ns elaborazione da documentazione pattizia

L’area che viene coinvolta dalle azioni del Patto, presenta alcuni punti deboli così
schematizzabili:
1. Sociali e demografici: a) carenza di sbocchi occupazionali soprattutto per i giovani
diplomati e laureati, con conseguente abbandono del territorio; b) progressivo
invecchiamento della popolazione; c) elevata percentuale di popolazione in età
improduttiva.
2. Economici: a) struttura occupazionale eccessivamente dipendente dalla Pubblica
Amministrazione e dai comparti tradizionali (agricoltura ed edilizia); b) scarsa densità
imprenditoriale e conseguente insufficiente sviluppo della base produttiva30 ; c) diffusa
sottocapitalizzazione delle imprese e mancanza di servizi reali adeguati (si pensi
all’arretratezza organizzativa del sistema creditizio ed all’elevato costo dell’indebitamento
per il finanziamento dell’attività produttiva); d) scarsa attenzione e predisposizione delle
imprese a confrontarsi competitivamente con le esigenze di mercato, con riflessi negativi
sulla qualità e la commercializzazione dei prodotti;
3. Territoriali ed ambientali: a) l’area sconta una situazione di pesante isolamento a causa di
un gap di infrastrutture di trasporto e comunicazione che la taglia fuori dalle principali
direttrici di collegamento sia sul versante adriatico che tirrenico31 ; b) la situazione è

30
Si considerino tre aspetti:
- L’industria manifatturiera (soprattutto il settore alimentare e dei materiali da costruzione),
pur essendo l’unico comparto che nel corso degli ultimi anni ha dato segno di forte
dinamismo (anche rispetto a valori nazionali), risulta fortemente sottodimensionata.
- Le maggiori imprese regionali sono localizzate all’esterno dell’area PTO (FIAT a
Termoli, UNILEVER a Pozzilli, Ittierre a Pettoranello). L’unica azienda di una certa
dimensione presente nell’area del Patto (l’ex SAM di Boiano operante nel settore avicolo)
è stata invece oggetto di una crisi pesantissima che solo recentemente comincia ad
avviarsi a soluzione con un inevitabile forte ridimensionamento dell’occupazione.
- Al netto di Campobasso l’area non può contare che su poco più di 600 unità produttive,
peraltro di dimensioni medie molto più ridotte della media (solo poco più di 5 addetti a
fronte di una media superiore a 8,5 nel resto del Molise) e su solo due aziende con più di
100 dipendenti.
31
Non vi sono tratti autostradali e la principale arteria è ormai costantemente interessata da
movimenti franosi con conseguenti interruzioni nella percorribilità. Ancora peggiore risulta la
situazione del trasporto ferroviario con una sola linea a binario unico, non elettrificata che
impone tempi di percorrenza non più sostenibili.
49
bozza non completa e non corretta -- non citare
naturalmente aggravata dalla particolare configurazione orografica del territorio, che
rende di per se disagevole le comunicazioni, nonché dalla estrema frammentazione della
popolazione sparsa in una miriade di comuni di piccole dimensioni; c) nel settore dei
servizi alla persona la principale carenza concerne la dotazione di strutture centralizzate in
grado di promuovere, indirizzare e assistere l’attività delle numerose organizzazioni non
lucrative presenti nell’area.
Da un punto di vista qualitativo, invece, l’area di riferimento si caratterizza per un’immagine
di ambiente incontaminato e per l’esistenza di: risorse naturalistiche, paesaggistiche,
archeologiche e storico-monumentali; un gran numero di Comuni con centri storici di
notevole pregio; una stazione sciistica (Campitello Matese) abbastanza affermata.
Il clima sociale, inoltre, si rivela favorevole traendo forza dalla coesione della popolazione
che limita anche l’insorgenza di fenomeni di criminalità organizzata. Incoraggiante è anche la
qualità delle relazioni industriali che si riflette in una ridotta conflittualità e in una effettiva
comprensione e collaborazione tra le parti sociali in difesa delle ragioni del mondo del lavoro
e della produzione.
Embrionali, infine, sono le potenzialità di sviluppo legate al turismo e all’agro-industria. Si
pensi (nel primo caso) alla possibilità, non comune, di poter disporre nell’ambito della stessa
area, di importanti risorse montane, termali, archeologiche, storiche, naturalistiche e
paesaggistiche.

50
bozza non completa e non corretta -- non citare
TABELLA 9: Sintesi dei punti di forza e di debolezza dell’area P.T.O. Matese.

Punti di Forza Punti di debolezza


Economici ?? Sviluppo di una classe imprenditoriale ?? Elevata incidenza dei trasferimenti
autoctona statali e della P.A.
?? Elevata propensione all’investimento ?? Ridotta base industriale
?? Specializzazione diffusa nel comparto ?? Dimensione media delle aziende
agroalimentare ridotta
?? Fuori uscita ob 1 (Pashing-out)
Ambientali ?? Presenza diffusa di risorse ambientali, storiche, ?? Orografia accidentata
paesaggistiche e archeologiche ?? Modesta accessibilità dovuta a
?? Disponibilità di spazi e strutture per nuovi scarsa dotazione di infrastrutture di
insediamenti produttivi trasporto
Sociali ?? Elevata disponibilità di risorse umane ?? Spopolamento comuni minori
?? Coesione sociale ?? Forte invecchiamento della
?? Assenza di criminalità organizzata e micro popolazione
criminalità ?? Elevata disoccupazione, in
?? Partenariato ampio e attivo particolare di lunga durata e
femminile

Fonte: ns elaborazione documentazione pattizia

3.1.4. Obiettivi e strategie


L’obiettivo prioritario che i promotori del Patto Territoriale del Matese per l’occupazione
hanno avuto come mission, è stato quello di sfruttare al meglio i punti di forza dell’area in
maniera da pervenire alla completa valorizzazione delle relative potenzialità esistenti nel
territorio sia nei settori vocazionali (agroalimentare), sia in quelli suscettibili di nuove
occasioni di sviluppo e lavoro (turismo, ambiente, terzo settore) e sia favorendo lo sviluppo di
una nuova cultura imprenditiva caratterizzata dalle fasce giovanili. “…La costante crescita
del lavoro autonomo impostato su una buona qualificazione professionale e capacità di
investimento resta l’unica via per contribuire da un lato allo sviluppo e alla creazione di
occupazione e dall’altro al miglioramento complessivo della qualità della vita per la
popolazione dell’area” (Documentazione del Patto del Matese).
“…L’obiettivo della salvaguardia e della valorizzazione dell’ambiente ha permesso
che questo patto fosse uno di quelli apprezzati e finanziati direttamente dalla Comunità
Europea…”32
Il Patto ha puntato le sue azioni sull’accrescimento complessivo del tasso di imprenditorialità
tramite uno sviluppo integrato (manifatturiero-turismo-servizi connessi) in grado di
promuovere un’immagine complessiva di qualità del territorio ed in particolare dei prodotti,
dei processi, dell’ospitalità, delle condizioni di vita della popolazione33 .
La forte consapevolezza della sempre più scarsa attrattività dell’area, anche nei confronti
dell’esterno, inoltre, si traduce in una forte attenzione alla rimozione delle strozzature e dei
nodi che a vari livelli si frappongono alla creazione di un habitat incentivante per
localizzazioni e sviluppo. A tal proposito, si è cercato di ri-vitalizzare il comprensorio tramite
la valorizzazione all’esterno della Regione del settore turismo tramite progettualità connesse

32
Intervista “A” e “B”.
33
L’assunto di base di questa impostazione, infatti, è che le nuove occasioni di lavoro per la
popolazione dell’area si possono creare solo favorendo lo sviluppo su basi imprenditoriali di
nuove attività ed il consolidamento di quelle esistenti.
51
bozza non completa e non corretta -- non citare
al riutilizzo di residenze di centri storici34 e potenziando le realtà esistenti quali la stazione
sciistica (Campitello Matese) ed una stazione termale (Sepino)35 strutturalmente dotata ma
molto poco sfruttata36 . La trasposizione operativa di quest’impostazione strategica ha
imposto che per il raggiungimento dell’obiettivo si sia intervenuto in maniera integrata su tutti
e tre i fattori che condizionano lo sviluppo del territorio: le risorse umane; le dotazioni
ambientali, infrastrutturali materiali ed immateriali; la capacità di investimento.
TABELLA 10: Articolazione del sottoprogramma P.T.O. Matese
Misura Obiettivo Modalità Attuazione

1. Sostegno alla nascita ed allo Ampliamento base produttiva: Incentivi in c/c agli investimenti;
sviluppo di attività produttive nascita di nuove aziende, Sostegno all’acquisto di servizi reali;
manifatturiere rafforzamento di quelle esistenti Realizzazione infrastrutture necessarie
2. Sostegno alla nascita ed allo Ampliamento base produttiva: Incentivi in c/c agli investimenti;
sviluppo di attività produttive nascita di nuove aziende, Promozione e commercializzazione dei
agroalimentari rafforzamento di quelle esistenti prodotti;
Creazione di marchi.
3. Tutela e valorizzazione Sostegno alla nascita PMI in ambito Incentivi “de minimis”;
dell’ambiente e sostegno al turistico e del Terzo Settore; Riutilizzo a fini turistici di residenze nei
turismo. Promozione e commercializzazione centri storici;
turistica. Realizzazione infrastrutture
“ambientali”;
Sostegno ai consorzi di promozione
turistica.
4. Risorse Umane. Investimento in capitale umano, ?? Formazione professionale,
accrescimento complessivo delle ?? Orientamento e reinserimento al
qualità delle risorse umane. lavoro
?? Managerializzazione operatori
Terzo Settore e funzionari P.A.
?? Formazione nuova
imprenditorialità.
5. Miglioramento delle Favorire la nascita e lo sviluppo di Incentivi “de minimis” per acquisto di
condizioni organizzazioni non lucrative nel beni e servizi strumentali all’attività.
di vita e sostegno alla nascita campo socio-assistenziale, cultura e
di tempo libero, vivibilità del
attività di Terzo Settore. territorio.
6. Sostegno al SIL Permettere la gestione del PAL e la Contributo alle spese di funzionamento
(Soggetto Intermediario promozione dell’azione sul del SIL.
Locale). territorio.
Fonte: ns elaborazione da documentazione pattizia

34
L’immissione sul mercato turistico di questo prodotto deve far leva su una immagine
complessiva di vivibilità del contesto urbano in cui viene a collocarsi (coniugando storia,
ambiente, prodotti ed infrastrutture turistiche del comprensorio matesino)
35
Si precisa che il progetto iniziale delle Terme prevedeva, oltre all’imbottigliamento delle
acque, il soggiorno per cure termali. Questo complesso negli anni ha visto la realizzazione di
una mastodontica struttura, anche se lo sfruttamento delle acque non è mai iniziato, ne per
cure né per imbottigliamento, portando peraltro al degrado della struttura stessa. Ciò è
avvenuto perché negli anni scorsi vari organismi (Regione, Provincia, Ente privato) hanno
cercato di appropriarsi della gestione in modo conflittuale, senza che si giungesse ad una
decisione positiva. (Crivellone F.)
36
Il settore, se ben valorizzato, ha la possibilità di offrire un numero considerevole di posti di lavoro per gli
abitanti del territorio

52
bozza non completa e non corretta -- non citare
In ultima analisi con le attività sviluppate (tabella su-esposta), i promotori del patto sono stati
motivati poiché hanno inteso pervenire alla creazione a regime di circa 600 nuovi posti di
lavoro riferiti alle attività economiche generate o ascrivibili direttamente al patto nell’area. A
tale cifra vanno aggiunti gli effetti occupazionali (oltre 850) indiretti e quelli di breve periodo
riconducibili alle attività di cantiere delle iniziative produttive o infrastrutturali previste nel
Piano di azione.

3.1.5. Concertazione e Partenariato


La preparazione del partenariato e il coinvolgimento attivo di un sempre maggior numero di
partecipanti37 ha preso l’avvio nei primi mesi del 1994, protagoniste le rappresentanze
molisane delle tre confederazioni sindacali, Cgil, Cisl e Uil, e la Legambiente. Il faticoso ma
efficace processo di concertazione, che ne è seguito, ha visto il primo concreto risultato nella
firma del Documento della concertazione (il 10 dicembre 1996, presso il Cnel a Roma) in cui
si sono tenuti presenti gli orientamenti più volte espressi da Cnel e dalle Delibere Cipe in
tema di Patti Territoriali.
L’attività di concertazione ha mirato sin dall’inizio verso idee forti di sviluppo integrato, che
creassero valore aggiunto rispetto a quanto i singoli promotori avrebbero potuto apportare
individualmente sul territorio, ma il percorso è stato lungo e faticoso. “All’inizio tutti ci
guardavano con scetticismo come se fossimo stati degli alieni che andavano per il territorio a
promuovere uno sviluppo basato sulla pluralità di interessi. Infatti, molte volte abbiamo
ascoltato dai sindaci dei comuni che abbiamo coinvolto la classica frase ‘le solite
chiacchiere’…”38
Dalle prime iniziative prese per la realizzazione del Partenariato locale emergeva, infatti, che
le motivazioni sottese alla partecipazione all’attività di concertazione per la realizzazione di
un Patto Territoriale erano estremamente eterogenee.”… Uno dei rischi che si poneva era
quello che ogni rappresentante di categoria non portasse al tavolo di lavoro solo la sua
esigenza, ma solo i suoi interessi. Altro rischio, sempre dello stesso genere, era che gli attori
coinvolti vedessero il partenariato solo come qualcosa da cui prendere e non a cui dare…”39
La volontà di realizzare nell’area del Matese un piano di sviluppo complessivo, la necessità di
dare risposte forti ed efficaci a situazioni di crisi particolarmente gravi per alcuni settori
produttivi, le esigenze di reperimento di risorse finanziarie erano le principali ragioni che
spingevano gli attori coinvolti nelle prime fasi di costruzione del Partenariato. A tale
differenziazione di motivazione si aggiungeva la scarsa propensione alla concertazione che si
evidenziava nella regione.”…Questo nuovo modo di collaborare, che pare banale e sulla
bocca di tutti, non è stata una cosa scontata nella nostra regione dove la cultura della
collaborazione e del rispetto del ruolo delle parti sociali non esistevano. Dal ’96 si scopre
l’attitudine a lavorare insieme, cominciare a predisporre un testo base volto ad indicare le
linee programmatiche generali e strategiche di sviluppo, portarle a confronto con il territorio

37
Nell’ambito del coinvolgimento fattivo dei vari soggetti regionali e provinciali di estrema
importanza è la realizzazione e la stipula di vari Protocolli d’Intesa: Regione Molise, Enti
Locali, Relazioni industriali, Istituti finanziari, Cooperazione, Solidarietà, Legalità, Parità e
Pari Opportunità, Provveditorato agli Studi, Irrsae (Istituto Regionale di Ricerca
Sperimentazione e Aggiornamenti Educativi), Enea, Società per l’Imprenditorialità Giovanile,
Artigiancassa, Enel, Azienda sanitaria Locale Centrale, Ferrovie dello Stato.
38
Intervista “L”
39
Ibidem
53
bozza non completa e non corretta -- non citare
per recepire le istanze ed i contributi che da esso provengono ed emandare, integrare il
documento iniziale per predisporlo come progetto di sviluppo locale…”40 .
Il Partenariato tra i vari soggetti promotori è stato organizzato41 tramite una Segreteria tecnica
istituita presso la F.A.I., Azienda Speciale della Camera di Commercio di Campobasso.
Un Comitato Direttivo, in rappresentanza di tutti gli interessi presenti nell’Assemblea dei
Promotori che si è riunito a scadenza quasi settimanale per tutto il periodo dell’assistenza
tecnica allo scopo di affrontare i temi generali e specifici messi in campo dal Partenariato.
“Vivevamo in un periodo storico particolare42 , dove ognuno sentiva la necessità e la voglia di
riscatto nei confronti di un potere politico nazionale e locale che prima di allora non dava la
possibilità di sviluppare iniziative. Pertanto, le riunioni erano convocate in maniera
frequente, sia nei giorni lavorativi che nei giorni festivi come ad esempio il sabato ed ogni
volta, era impressionante la partecipazione assidua di tutti i componenti ovvero gli
stakeholders”43 .
Per due anni (’96-’98) e fino alla costituzione del SIL, si è avviata, infatti, una intensa azione
di promozione e sensibilizzazione interna ed esterna del Patto tramite numerosi comunicati
stampa, convegni e seminari sul territorio, trasmissioni televisive. “…La camera di
Commercio di Campobasso ha promosso numerosi incontri, dibattiti per i giovani, gli
amministratori locali e per tutte le associazioni di categoria, in modo che si potessero
recepire le reali potenzialità che il patto territoriale metteva a disposizione…”44
Sono stati creati, nell’ambito del Comitato Direttivo, alcuni gruppi di lavoro tematici e sono
state organizzate diverse riunioni operative tra i vari partner per discutere e decidere le
strategie da attuare nelle varie fasi.45
Il partenariato si è rafforzato sempre più raggiungendo un ampio consenso sulle linee guide
dello sviluppo dell’area del Patto che in parte sono state "riorientate" rispetto a quelle previste
dagli iniziali promotori. Il risultato più concreto è stato quello di poter contare sull’apporto
fattivo della quasi totalità delle forze economiche, sociali e delle amministrazioni locali
impegnate nello sviluppo complessivo del territorio tramite la creazione di "ambiente
favorevole" alle iniziative economiche e alla qualità della vita con la conseguente attivazione
degli strumenti necessari.
”…Il momento cruciale del Patto è stato mettere d’accordo 109 soggetti promotori su
logiche nuove di azione…”46
In definitiva, i firmatari hanno confermato l’impegno prioritario, seppur nel rispetto dei propri
ruoli e delle proprie competenze, a porre in essere comportamenti e scelte coerenti con le
finalità del Patto territoriale tese ad innalzare l’economia dell’area matesina su livelli di

40
Intervista “H”
41
L’utilità della presenza di una struttura tecnica formalizzata (Cersosismo 1998, p.236) risiede nel fatto che il
patto è sottoposto ad una manutenzione continua che finisce per alimentare la concertazione socio-istituzionale.
42
La data 1992, segna la fine della lunga stagione di politiche legislative, di strumenti e di
risorse straordinarie per lo sviluppo del Mezzogiorno. Quindi, finisce l’epoca degli interventi
programmati e decisi dall’alto.
43
Intervista “L”
44
Intervista “O”
45
Numerosi incontri di sensibilizzazione e coinvolgimento sono stati realizzati con i protagonisti del terzo
settore e dell’ambiente. Soprattutto verso questi ultimi l’attività di concertazione è stata molto forte per
rafforzare un obiettivo comune che alla vigilia della firma del primo documento di concertazione si era
notevolmente indebolito.
46
Intervista “S”
54
bozza non completa e non corretta -- non citare
sviluppo coerenti con le sue potenzialità. “…Si è sviluppata e diffusa l’abitudine alla
concertazione. Per la prima volta ci si è seduti intorno ad un tavolo con tanti amministratori
per definire lo sviluppo di una certa area e questo fa notare come il Patto non abbia portato
solo dei soldi ma anche l’abitudine ad un nuovo modo di pensare…”47
Tale impegno si è tradotto nell’attuazione di forme stabili di concertazione e nella definizione
di strumenti operativi tali da consentire il raggiungimento degli obiettivi fissati e l’immediata
effettiva attivazione di tutte le iniziative previste dal Patto. Tali buone prassi si evincono
proprio dai ruoli rivestiti dai diversi soggetti coinvolti che sono stati attuati “mediante la
stipula di protocolli d’intesa dove ogni attore ha svolto ed attuato delle azioni ben specifiche
per facilitare la gestione dei processi come ad esempio quello amministrativo che hanno
permesso uno snellimento delle procedure burocratiche”48 .
Le Amministrazioni Provinciali di Campobasso e Isernia ed i Comuni firmatari si sono
impegnati, ad esempio, allo snellimento delle procedure per la localizzazione di iniziative
imprenditoriali, alla canalizzazione di finanziamenti locali, alla realizzazione di infrastrutture,
all’inserimento del Patto nelle strategie territoriali programmate, al coordinamento degli Enti
locali coinvolti nel Patto.
Le Organizzazioni Sindacali e le Associazioni Datoriali si sono impegnate alla stipula di
accordi quadro a livello confederale e aziendale, ai sensi dei contratti di lavoro vigenti, ispirati
dalla finalità di promuovere condizioni favorevoli alla localizzazione delle iniziative previste
e relativi soprattutto a: organizzazione del lavoro, formazione professionale e definizione di
regole precise in materia di relazioni sindacali.
L’Associazione industriale, tra le altre cose, si è impegnata a: porre in essere tutte le azioni
propedeutiche per la realizzazione di partenariati con imprese regionali, extraregionali e di
altre Regioni dell’U.E.; contribuire allo sviluppo delle attività del C.I.S.I.49 volte alla nascita
di nuove imprese; promuovere la collaborazione col sistema bancario per agevolare l’utilizzo
di strumenti creditizi tradizionali ed innovativi; collaborare con iniziative destinate al
potenziamento del marketing territoriale.
L’API Molise ha avuto il ruolo di supporto agli imprenditori che hanno realizzato le nuove
iniziative produttive nell’area ed in particolare ha: stimolato la realizzazione di nuovi
insediamenti produttivi; potenziato l’offerta di servizi reali alle P.M.I.; favorito le possibilità
di sub-forniture mediante collegamenti con Associazioni Territoriali di altre Regioni.
CNA, Confartigianato e AMA CASA si sono impegnate a: supportare dal punto di vista
tecnico ed amministrativo le iniziative imprenditoriali; divulgare e promuovere la conoscenza
su strumenti tecnici, finanziari e servizi fruibili; collaborare con istituti di credito, cooperative
di garanzia e consorzi fidi per sostenere gli investimenti; organizzare azioni formative per
titolari e dipendenti delle imprese; promuovere consorzi ed associazioni di imprese.

47
“Da un momento all’altro siamo arrivati a realizzare un percorso sperimentale Europeo
non sapendo dove andavamo a finire seguendo soltanto le indicazioni del Governo ed in
particolare del suo rappresentante Sales. Basta pensare che all’inizio dell’avventura del
patto, la dotazione finanziaria disponibile era irrisoria, infatti, erano disponibili soltanto
200.000 ECU più 50.000 messi a disposizione dalla Provincia di Campobasso e dalle Camere
di Commercio”. Intervista “M”
48
Intervista “L”
49
Il CISI Molise coerentemente con il proprio ruolo e le proprie competenze ha seguito le seguenti linee di
intervento: avvio di nuove iniziative imprenditoriali, sviluppo di attività già esistenti, riconversione e
ristrutturazione di imprese; innovazione tecnologica delle PMI attraverso la telematica, l’internazionalizzazione
e la formazione; utilizzazione di specifici fondi di garanzia fidi e ventur capital.
55
bozza non completa e non corretta -- non citare
L’Unioncamere Molise si è impegnata nella fornitura dei seguenti servizi: corsi di formazione
innovativa e di aggiornamento per imprenditori, dirigenti e quadri delle P.M.I; orientamento e
consulenza a favore della neo-imprenditorialità (Punto Nuova Impresa); orientamento e
consulenza sull’attività dell’UE a favore delle PMI e degli enti locali (Eurosportello);
informazione, orientamento e consulenza sui finanziamenti regionali, nazionali e comunitari
(Banca Dati Cestud); Laboratorio chimico merceologico molisano sannita (Azienda speciale
Lab), marketing territoriale.
La Confcommercio si è impegnata a: attivare strumenti consortili per favorire il credito alle
PMI del terziario; costituire strutture di servizi per le imprese commerciali e turistiche;
realizzare corsi di qualificazione e riqualificazione per i settori del commercio, del turismo e
dei servizi; valorizzare e promuovere le produzioni locali; favorire la formazione di consorzi
per interventi di recupero del patrimonio storico, turistico e culturale e la realizzazione di
infrastrutture e strutture ai fini commerciali e turistici.
Una delle maggiori innovazioni che i promotori ritengono di aver raggiunto è rappresentata
dal coinvolgimento degli Istituti di credito che si sono dichiarati disponibili a soddisfare le
esigenze finanziarie della nuova imprenditoria, affiorata nell’area in settori come l’ambiente,
il turismo ed i servizi alla persona, che fino ad allora era stata lontana dall’istituzione Banca
In particolare il Banco di Napoli ha curato la definizione dell’ingegneria finanziaria del Patto
attraverso il coordinamento delle fonti finanziarie e l’individuazione di meccanismi di
incentivazione alla realizzazione dei progetti e quindi ha: predisposto le apposite convenzioni
alle migliori condizioni di mercato; garantito gli investimenti meritevoli delle anticipazioni
eventualmente richieste; attivato corsie preferenziali nell’istruttoria bancaria dei progetti.
”…Il Banco di Napoli ha messo a disposizione del Patto le proprie strutture e le proprie
conoscenze professionali allo scopo di migliorare l’affidabilità e la finanziabilità delle
iniziative…”50
La disfunzione maggiore dell’attività del Banco, secondo i piccoli imprenditori, ha riguardato
l’eccessiva burocratizzazione relativa all’espletamento51 delle pratiche che peraltro il Banco
riteneva necessaria per evitare di incorrere in errori di valutazione durante l’istruttoria. “…Gli
Istituti finanziari in generale e il Banco di Napoli in particolare, hanno sottovalutato la
grande mole di lavoro derivante dall’iter procedurale di un patto. Inizialmente hanno fatto la
corsa per ottenere l’incarico ad istruire le pratiche ma successivamente, siccome i patti
hanno una metodologia nuova, si sono trovati a dover gestire un numero di istruttorie più
elevato di quello atteso. Non prevedendo tutto questo non hanno messo a disposizione
persone e professionalità adeguate…”52
Il motivo di tanto rigore è da attribuire, se non altro, anche ad un’interpretazione autentica
dello spirito innovativo promosso dal patto per cui bisognava dare fiducia a quegli
imprenditori/soggetti pubblici che fossero realmente in grado di produrre effetti positivi in
termini tanto di occupazione quanto di valorizzazione del territorio. Il monitoraggio, per la
prima volta così rigoroso, sulla fattibilità tecnica ed economica delle iniziative ha
rappresentato, quindi, una prerogativa indispensabile affinché non andassero dispersi
finanziamenti senza risultato.

50
Intervista “N”
51
Si fa riferimento alla lungaggine dei tempi tecnici intercorrenti tra presentazione del
progetto, valutazione ed erogazione dei fondi.
52
Intervista “O”
56
bozza non completa e non corretta -- non citare

TABELLA 11: Le Tappe salienti del P.T.O. Matese


Inizio 1994 Preparazione ed avvio al Partenariato da parte di CGL, CISL, UIL, Legambiente
1996-1998 Assistenza tecnica FAI
5 maggio 1998 Attivazione del sito del Patto
Agosto 1998 Presentazione Programma Operativo Multiregionale (P.O.M.) a Bruxelles
Settembre 1998 Costituzione del Soggetto Intermediario Locale (S.I.L.)
Novembre 1998 Emanazione dei Bandi previo esame ed approvazione del Comitato Direttivo
29 Dicembre 1998 Decisione di approvazione Comunitaria del Programma
25 Novembre 1999 Primo mandato di pagamento emesso dalla Matese per l’Occupazione
29 Dicembre 1999 Impegno integrale delle risorse pubbliche disponibili
6 Novembre 2000 Richiesta secondo acconto risorse nazionali e comunitarie (a seguito del raggiungimento
della percentuale di avanzamento richiesta dal Ministero del tesoro e Commissione UE)
Ottobre 2001 Data limite di chiusura per gli investimenti
Dicembre 2001 Chiusura del Programma
Fonte: ns elaborazione da documentazione pattizia

57
bozza non completa e non corretta -- non citare

3.1.6. Risultati e Conclusioni


Il quadro socio-economico del Patto è quello di un territorio orograficamente ed
infrastrutturalmente svantaggiato, in forte ritardo di sviluppo, caratterizzato dalla diffusione di
un gran numero di centri urbani di piccola e piccolissima dimensione, mal collegati, in
progressivo spopolamento e a conseguente forte invecchiamento della popolazione.
Esistono, però, anche fattori di vitalità che, opportunamente indirizzati e valorizzati, possono
favorire uno sviluppo autopropulsivo del territorio oltre che un vantaggio localizzativo per
investimenti da parte di imprese extraregionali53 .
L’idea forte su cui si è "coagulato" il partenariato (al fine di promuovere occupazione e
innalzamento della qualità della vita) è stata, quindi, proprio quella della piena valorizzazione
delle potenzialità (in gran parte ancora inespresse) dell’area del Molise centrale soprattutto nei
settori vocazionali del territorio, quali l’ambiente, il turismo, l’agroalimentare puntando anche
e soprattutto sulla solida base di risorse umane disponibili da formare o riqualificare.
Proprio l’attenzione verso il recupero del territorio e la riqualificazione dei beni ambientali ha
favorito l’inserimento di tale Patto nei dieci patti direttamente finanziati dall’U.E. “…Il Patto
del Matese ha goduto, come gli altri Patti direttamente finanziati dall’U.E., di una
legislazione europea efficiente ed efficace. Per tre anni la struttura messa a disposizione ha
funzionato egregiamente. Ogni 10 giorni ci si incontrava a Roma per seguire e monitorare
l’andamento del POM – Patti per l’occupazione…”54 Esso, inoltre, si è caratterizzato a livello
europeo anche per il vasto numero di soggetti che ne hanno preso parte (109) che rappresenta
in assoluto il maggior numero di soggetti promotori.
TABELLA 12: Composizione ottimale della partnership locale secondo le indicazioni
della Commissione Europea (1996).

Attori Coinvolti Presenza


Enti locali Territoriali (Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane) Si
Associazioni di categoria/Rappresentanze (industria, artigianato, agricoltura, Si
commercio, sindacati)
Rappresentanze del terzo settore (non-profit) Si
Imprese Si
Camere di Commercio Si
Istituti di credito Si
Associazioni dei cittadini No
Università e Istituti di ricerca e formazione Si
Agenzie per l’ambiente Si
Agenzie mutualistiche (sicurezza sociale, impiego, previdenza, sanità) Si
Ordini professionali Si

Fonte: ns elaborazione da documentazione pattizia

53
Vi è la presenza di un nucleo industriale attrezzato con al suo interno un nuovissimo centro
per l’incubazione di imprese (Cisi Molise) e un laboratorio Chimico Merceologico delle
Camere di Commercio. Recentemente sono state avviate le attività di un Centro di
Trasferimento Tecnologico alla Imprese e quelle di un Parco Scientifico e Tecnologico a
vocazione agro-alimentare operante in stretta connessione con l’Università degli Studi del
Molise.
54
Intervista “S”
58
bozza non completa e non corretta -- non citare
Naturalmente tra i tanti ce ne sono stati alcuni che hanno rivestito un ruolo diverso e più
importante (Sindacati, camera di Commercio, Associazioni Industriali, FIN Molise…) poiché
spinti da una serie di interessi finalizzati allo sviluppo della zona e non limitati al solo
problema dell’occupazione. Fondamentale è stato il loro apporto affinché tanti amministratori
locali partecipassero ad un tavolo di programmazione per lo sviluppo della loro area.
Il vero valore aggiunto del Patto, in grado di assicurare il raggiungimento degli obiettivi, è
rappresentato dall’ampio e convinto Partenariato55 e dai processi di concertazione che si sono
andati sviluppando nel corso del tempo e che si sono tradotti in precisi e formali impegni e
Protocolli di intesa in grado di assicurare il successo delle singole Misure del Piano. Si è
trattato di una concertazione caratterizzata da confronto, discussione, consenso, soluzione
comune, fiducia e collaborazione e da un partenariato ampio e attivo, aperto ed inclusivo in
cui si sono sviluppate forti interazioni con i beneficiari nella costruzione dei progetti e dei
bandi. “…Gli Enti locali hanno avuto la capacità di fare sistema con i privati che sono stati
letteralmente accompagnati per mano. Si è avuta una condivisione completa della mission.
Ogni proposta, prima di diventare azione, è stata presentata e discussa al tavolo di lavoro. La
pubblicazione del bando è stata sempre accompagnata da attività di animazione territoriale
(work-shop) e sensibilizzazione…”56
Il partenariato ha dato prova di forte coesione e nello stesso tempo di flessibilità riuscendo ad
adeguare i propri obiettivi nel corso del tempo in funzione dell’evoluzione delle condizioni
interne e del contesto esterno. La rimodulazione degli obiettivi si è associata alla capacità di
adattare la struttura del partenariato anche in funzione delle possibilità di accesso alle risorse
disponibili succedutesi nel tempo. La particolare motivazione degli attori locali coinvolti a
“tenere insieme” tutte le fasi del processo: da quella programmatica iniziali, a quella
gestionale, finanziaria e attuativa, ha prodotto in poco più di 24 mesi (29 dicembre 1998 –
approvazione del Patto del Matese / dicembre 2001 – chiusura del programma), la chiusura
definitiva dell’iniziativa attuate dal PTO del Matese. Infatti, per la prima volta nella storia
della programmazione nazionale la rendicontazione del patto si è chiusa con il 100 per cento
delle risorse disponibili utilizzate, percentuale che si attesta al 99,5 per cento per l’insieme dei
Patti Comunitari. Dietro questa rendicontazione, ci sono 240 progetti realizzati di cui: 46 nel
settore manifatturiero; 23 nel settore agro-industria; 126 nel settore del turismo; 7 attività di
formazione ed infine, 38 iniziative nel settore no-profit. Creando, quindi, 65 nuove imprese e
oltre 600 nuovi posti di lavoro.

55
In tale contesto, uno dei risultati più rilevanti ascrivibili al Partenariato è da ricercare nel
coinvolgimento della Regione Molise che ha assunto e fatti propri gli obiettivi del Patto
inserendo a pieno titolo questo nuovo strumento della programmazione negoziata nell’ambito
delle linee guida del governo del territorio, della società e dell’economia molisana.
Operativamente ciò si è tradotto nell’impegno a canalizzare in via prioritaria verso l’area
Patto tutta una serie di interventi complementari e sinergici rispetto a quelli del Piano di
Azione.
56
Intervista “S”
59
bozza non completa e non corretta -- non citare
TABELLA 13: I Risultati del patto
Progetti Investimenti Contributi Occupati Aziende Settori
(N.) (mln euro) (mln euro) N. Coinvolte Prevalenti
presentati ammessi previsti agevolati realizzati previsti erogati N.
Agroalimentare
240 68 17 600 + 240 Ambiente
(850 in cant.) Turismo
Fonte: ns elaborazione da documentazione pattizia
Sia in fase di definizione degli obiettivi, sia (e ancor di più) in sede di selezione delle
tipologie e degli strumenti di intervento il Partenariato ha basato le proprie scelte avendo
sempre ben presente l’esigenza di assicurare la concretezza e la rapida canteriabilità degli
interventi in modo da rispettare la tempistica prevista per l’attuazione del Piano e l’effettiva
spesa delle relative risorse finanziarie. Si è cercato, in altri termini, di contemperare sempre
l’esigenza di innovatività con quella, altrettanto importante, relativa alla capacità di attuazione
nei tempi previsti delle singole Misure. Non a caso è stato utilizzato l’intero ammontare dei
finanziamenti disponibili e si è avuta una re-distribuzione territoriale equa dei risultati
soprattutto nell’ambito del no-profit e dell’ambiente, meno legati, logisticamente, alle
iniziative già esistenti come quelle delle PMI in ambito agro-alimentare e manifatturiero.
“…L’unica nota dolente è stata la scarsa cultura del credito esistente nel contesto regionale,
soprattutto negli Istituti Finanziari esterni al Patto e collegati ad esso solo in via indiretta. Su
tutti gli altri aspetti si è potuto lavorare proficuamente…”57 .
La promozione del Patto ha riscosso notevole successo soprattutto nel mondo
dell’imprenditoria (piccole imprese) come si può riscontrare dall’elevato numero di progetti
presentati. Molti imprenditori hanno inteso lo strumento patto come una opportunità da non
perdere vista l’entità del contributo che ogni misura offriva sia per il sostegno di attività
preesistenti che per la promozione di nuove iniziative. “…In assenza del patto non credo che
avrei fatto lo stesso investimento poiché il progetto è abbastanza ampio e senza un tale
finanziamento alle spalle sarei dovuto rimanere nel mio piccolo e avviare al massimo una
piccola azienda…”58
In un tessuto economico59 che non dispone dei capitali necessari per avviare un’attività
autonoma, infatti, quest’occasione è stata vista con molto interesse. “… non penso che sia
alla portata di tutti affrontare enormi spese, soprattutto se la struttura deve nascere ex-novo,
e un contributo del 75% a fondo perduto non è poco al giorno d’oggi…”60
Alcuni progetti presentati erano finalizzati ad accedere ai fondi per migliorare l’intera
struttura aziendale con lo scopo di espandersi e di creare nuova occupazione mentre altri
attraverso tecnologie innovative cercavano di collocare il proprio prodotto su nuovi mercati61 .

57
Intervista “S”
58
Intervista “P”.
59
“Per quanto riguarda l’erogazione del credito esistono condizioni di disparità tra Nord e
Sud. Gli imprenditori meridionali pagano il denaro per le loro attività con un tasso di 3-4
punti superiore rispetto alla media nazionale. Il lungo periodo di attesa per l’erogazione poi
provoca il cambiamento delle condizioni economiche che avevano ispirato le iniziative con il
risultato di frenare l’economia anziché spronarla”(Bevilacqua 1998, p.71).
60
Intervista “Q”.
61
Delle 22 aziende nel settore agroalimentare che hanno aderito al patto (più del 50% sono
lattiero-casearie) 20 hanno presentato progetti per il miglioramento del prodotto e 2 per un
miglioramento della commercializzazione.
60
bozza non completa e non corretta -- non citare
Comunque l’estrema numerosità dei progetti e le loro ridotte dimensioni medie (160 progetti,
circa il 63% del totale, presentano un contributo inferiore ai 200 milioni di lire) hanno reso
molto laboriosa la gestione amministrativa e finanziaria del programma per la quale il Banco
di Napoli, come già detto, si è dimostrato, seppur per ovvi motivi, molto esigente.
“Nonostante la dichiarazioni d’intenti siglato nel protocollo d’intesa, in molti casi il
Banco di Napoli è stato più un elemento di freno che di incoraggiamento per la realizzazione
delle molte iniziative presentate”62 . I tempi tecnici intercorsi tra la presentazione del progetto,
la valutazione e l’inizio della erogazione dei fondi sono stati molto lunghi.
Va sottolineata, infine, anche l’integrazione del Piano di Azione rispetto alle altre forme di
programmazione che rappresenta uno degli elementi più qualificanti della strategia proposta.
A riprova di ciò merita menzione la forte integrazione, tanto negli obiettivi che nelle strategie
e negli strumenti, con l’altra forma con cui si esprime la concertazione sul territorio, vale a
dire con il programma Leader. Sulle parti coincidenti del territorio, laddove la strategia
proposta dal Leader è apparsa più pronta a valorizzarne le potenzialità, il Patto si è integrato
sfuttandone alcuni risultati nel tentativo di valorizzarli ulteriormente e viceversa. Ciò ha
contribuito ad esaltare la capacità sinergica dei due programmi con effetti positivi superiori
alla somma dei singoli apporti.
In conclusione il sostegno all’economia della zona pare abbia generato dei risultati concreti
moderatamente positivi ma soprattutto sembra che si sia diffusa nei vari settori portanti della
struttura socio-economica una nuova cultura di collaborazione a tutti i livelli e sia gli
imprenditori che gli attori istituzionali abbiano accolto lo spirito della concertazione come
volano per lo sviluppo dell’area. La maggior parte dei promotori considera, quindi, la nuova
metodologia di tipo bottom-up fondamentale per lo sviluppo locale e al suo interno il patto
territoriale uno strumento efficace per la risoluzione di problemi legati al coordinamento di
progetti complessi e al coinvolgimento attivo di una pluralità di attori che in assenza di
particolari meccanismi partecipativi intrattengono tra loro rapporti di pura e semplice routine.
La componente metodologica, composta da azioni capaci di produrre un cambiamento di
mentalità e di comportamenti a livello locale tale da innescare un processo dinamico e
collettivo di sviluppo socioeconomico e occupazionale, ha favorito l’efficacia della
concertazione aumentando il grado di cooperazione, fiducia e reciprocità fra gli attori e la
formazione di nuove èlite dirigenziali locali maggiormente orientate al problem solving,
capaci di agire per obiettivi, per accordi generando un approccio che privilegia la co-
determinazione delle scelte di tipo socio.economico.

3.1.7. Appendice 1: Il patto e la formazione


Gli approfondimenti sviluppati dalle Camere di Commercio di Campobasso ed Isernia e le
analisi già disponibili evidenziano un quadro caratterizzato da valori piuttosto bassi relativi al
grado complessivo di istruzione e formazione professionale esistente tra la popolazione
dell’area patto.
La principale causa è indicata nell’inadeguatezza dei sistemi formativi presenti sul territorio
che alimentano il generale disorientamento del giovani circa la scelte da fare per il proprio
futuro lavorativo. Sul versante imprenditoriale, inoltre, bisogna notare come l’alto numero di
lavoratori autonomi (in rapporto alla popolazione) è da ricondurre all’elevatissimo numero di
coltivatori diretti con aziende agricole di piccole dimensioni (circa il 45% del totale) più che
alla presenza di piccoli imprenditori e professionisti negli altri comparti produttivi.

62
Intervista “L”
61
bozza non completa e non corretta -- non citare
E’ opinione condivisa che nel recente passato, gli enti regionali preposti abbiano promosso
formazione non sempre finalizzata all’occupazione ma rivolta invece a figure professionali
(parrucchieri, sarte…) ormai non più rispondenti alle circostanze ed alle esigenze.
Obiettivo del patto diventa, dunque, quello di sostenere la crescita e la stabilità
dell’occupazione nell’area per mezzo di azioni di formazione continua, qualificazione e
riqualificazione professionale degli occupati e dei disoccupati nei settori di sviluppo
identificati dal Patto (ambiente, turismo, agro-alimentare, terzo settore).
La formazione, chiave di volta per sostenere qualsivoglia tipo di sviluppo, viene intesa dai
promotori del patto non solo come formazione generale, ma come sviluppo di competenze
professionali innovative al passo con lo sviluppo del mercato del lavoro. “…Anche
nell’accordo stipulato con l’Associazione Industriali, infatti, si è posto come prioritario il
concetto della formazione sia interna, sia esterna all’azienda in maniera tale da creare un
operatore in grado, qualora lo volesse, di intraprendere l’attività per contro proprio…)63 .
Nell’intera area Patto l’attenzione è stata rivolta prioritariamente alla formazione
imprenditoriale nei diversi settori di attività economica per assisterli nella crescita e nello
sviluppo delle proprie attività e, in particolare, per sostenere i processi di crescita, di
miglioramento organizzativo e di managerializzazione delle imprese operanti nei settori
ritenuti forieri di nuova occupazione e in particolar modo degli operatori del terzo settore.
Adeguata considerazione è stata rivolta all’orientamento ed al primo inserimento sul mercato
del lavoro e alla riqualificazione (reinserimento nel mercato del lavoro) dei lavoratori espulsi
dai processi produttivi durante i recenti anni di crisi che ha coinvolto diverse piccole medie
imprese operanti in zona.
I beneficiari delle azioni sono stati gli Enti di Formazione Professionale privati, pubblici e
misti riconosciuti e aventi adeguati requisiti tecnici mentre i destinatari sono stati costituiti
soprattutto da lavoratori svantaggiati o espulsi dal processo produttivo, responsabili di
imprese del terzo settore e di imprese non lucrative, giovani disoccupati.
Tutte le azioni formative, con integrale copertura dei costi con risorse pubbliche, sono state
esplicate nel rispetto delle norme regionali, nazionali e comunitarie e hanno previsto attività
tradizionali (in aula), on the job e stage aziendali. I bandi pubblici di selezione dei beneficiari
e dei destinatari delle attività in questione sono stati redatti per rispettare i principi
fondamentali di pubblicità, pari opportunità e di trasparenza.

63
Intervista “R”.
62
bozza non completa e non corretta -- non citare

3.2. Rossano Giannetti e Marco Primiano Il GAL “Molise verso il


2000”

3.2.1. Il Gruppo di Azione Locale


La società consortile G.A.L. 64 “Molise verso il 2000”, costituita nel 1994 per gestire
l’iniziativa comunitaria Leader I65 e leader II66 (successivamente), è stato uno dei primi
tentativi di società mista pubblico-privato, per progettare ed attuare iniziative di sviluppo
locale che ha interessato il territorio molisano ed in particolare il suolo della provincia di
Campobasso.
Questo gruppo ha la peculiarità – a differenza delle altre iniziative che sono state trattate
precedentemente – di avere come mission l’obiettivo di coinvolgere e stimolare un maggior
numero di comuni ed enti locali appartenenti al territorio campobassano 67 .
“…Prima di questo GAL, c’erano le Agenzie di Sviluppo che si sono trasformati
successivamente in Gruppi di Azione Locale. A questo proposito, la differenza tra il gruppo di
azione locale e l’Agenzia di sviluppo locale, sta nella missione e/o nell’oggetto sociale che è
definito dallo Statuto… Comunque, in base alle mie conoscenze la prima società (Consorzio)

64
I G.A.L. (Gruppi di Azione Locale) sono costituiti da un insieme di partner pubblici e
privati che elaborano congiuntamente un Piano di Azione Locale (PAL) multisettoriale
finalizzato alla ri-vitalizzazione delle aree rurali attraverso un insieme integrato di interventi
sia di carattere economico (piccoli interventi a sostegno agricolo, turistico, artigianale, agro-
alimentare, ambientale) che socio-culturale (azioni per sensibilizzare, informare e formare le
popolazioni locali). I G.A.L. assieme agli O.C. (Operatori Collettivi), sono i soggetti che
beneficiano dei fondi LEADER (Liaisons Entre Actions de Développement de l’Economie
Rurale). In estrema sintesi, i G.A.L. hanno l’obiettivo di elaborare le strategie di sviluppo
locale all’interno delle quali si annoverano le misure innovative di interesse collettivo e si
caratterizzano per una forte rappresentatività territoriale.
65
Il programma Leader I per il Molise per il periodo 1991-1993 prende le mosse dalla
decisione comunitaria C(91)2798 del 06 dicembre 1991, successivamente è stato approvato
dalla Commissione Europea con decisione C(92)399 del 5 marzo 1992. (Cfr. Mastronardi).
66
L’elaborazione del programma Leader II per il Molise prende corpo con la comunicazione
comunitaria C(94)180 del 01 luglio 1994: “orientamenti per la concessione di sovvenzioni
globali o per programmi operati sulla base di richieste di contributo che gli Stati membri sono
invitati a presentare nell’ambito di una iniziativa comunitaria di sviluppo rurale”. A questo
proposito, con la delibera della Giunta Regionale del Molise n. 3530 del 18 agosto 1994,
l’organo politico regionale ha predisposto il quadro normativo per la presentazione e
selezione dei progetti da finanziari. Il Leader II (1994-1999) è stato approvato dalla
Commissione Europea in data 22 aprile 1996 C(96)1000 con una dilazione di quasi due. (Cfr.
Mastronardi)
67
Considerate le esiguità del territorio regionale, non è sempre agevole distinguere le
iniziative implementate nei singoli contesti provinciali. Tutte le iniziative che sono state
espletate (Patti Territoriali, Contratto d’Area, ecc…), tendono a coinvolgere delle aree ben
delimitate poiché sono caratterizzate dalla similarità e/o dalle caratteristiche orografiche e
socio-economiche comuni. Pertanto, le iniziative realizzate e/o in fase di implementazione che
sono state svolte nella Provincia di Campobasso, hanno e stanno interessato in maniera più o
meno articolata anche la realtà provinciale isernina.
63
bozza non completa e non corretta -- non citare
che è stata costituita (1991) con questi obiettivi, è stato il Moli.G.A.L. ma, il suo territorio di
competenza è quello della Provincia di Isernia. Infatti, l’attività di animazione e di
progettazione è stata svolta prevalentemente nei comuni dell’isernino. Per fare un esempio,
con il leader plus, che ancora non parte, sono soltanto due e/o tre i comuni della Provincia di
Campobasso che saranno coinvolti dalle iniziative di questo gruppo di azione locale…68 ”
Nato appena dopo la chiusura dell’intervento statale della Cassa per il Mezzogiorno 69 e,
considerando, inoltre, le linee guida del programma europeo Leader I che dettava le prime
azioni di sviluppo nate dal basso con il coinvolgimento di vari interlocutori locali, i promotori
del Gal hanno cercato di ampliare il loro bacino di ascolto, coinvolgendo come soci un ampio
e diversificato partenariato.
“…Siamo stati tra i primi, come società consortile, a credere nella programmazione
dal basso, nella concertazione come metodo, nelle capacità incredibili dello sviluppo locale,
inteso non come difesa di un localismo che non avrebbe ragione di essere, ma come leva di
una nuova stagione economica, sociale e politica… […]. … E’ stato l’affermazione del
bottom up, dello sviluppo costruito dal basso, che presuppone capacità di ascolto e di sintesi,
il tutto condito da una velocità delle procedure inusitata nel regno della burocrazia che
demolisce le volontà e uccide l’entusiasmo… 70 ”
Da quanto sopra, è evidente come la nascita del GAL Molise verso il 2000 e l’adozione di uno
sviluppo integrato basato sulla concertazione per la risoluzione delle problematiche del
territorio e la calmierazione delle esigenze dei residenti del luogo, è stato captato dalla
capacità “lungimirante” di alcuni soggetti privati – CNA Provinciale – ed amministratori
pubblici – sindaci71 di alcuni comuni dell’area – che si sono resi promotori delle opportunità
offerte dall’iniziativa comunitaria Leader per incidere in maniera sostanziale e duratura sul
processo di sviluppo locale.
“È molto semplice raccontarlo ma, quando abbiamo cominciato ad operare come
gruppo promotore ristretto composto da soggetti pubblici e privati che alla pari abbiamo
condiviso un programma di sviluppo, basato sulla concertazione e che quindi, nasceva dal
basso, è stato molto difficoltoso coinvolgere altri soggetti locali. Inoltre, tale difficoltà è stata
amplificata da una realtà territoriale in cui non erano presenti altri casi su cui prendere ad
esempio. Infatti, non c’erano i Patti Territoriali, Contratti d’area e/o strumenti di
programmazione negoziata. Quindi, con la nostra motivazione abbiamo realizzato
numerosissimi incontri sul territorio (convegni, riunioni, incontri, iniziative, assemblee) per
coinvolgere un ampio e diversificato partenariato…”72 .

68
Intervista “E”
69
“… Bisogna considerare che la Cassa per il Mezzogiorno ha finito il suo intervento agli
inizi del 1993! Infatti, in quell’anno, il Governo Amato (decreto Andreatta) ha determinato la
fine dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno. E, quindi, l’intervento e i finanziamenti
cosiddetti a pioggia…” Intervista “E”
70
Cfr. Documentazione e comunicazione ai soci ed ai beneficiari del Gruppo di Azione
Locale “Molise Verso il 2000” programma Leader II, aprile 2000
71
I sindaci hanno svolto un ruolo fondamentale, poiché, forti dell’investitura popolare diretta,
si sono sentiti chiamati ad eleggere il territorio come luogo di ricerca per il sostentamento
dello sviluppo locale. Infatti, con la riforma elettorale comunale del 1993, si è avuta
l’affermazione di una nuova classe dirigenziale degli enti locali (sindaci) motivati sulle
tematiche inerenti lo sviluppo locale.
72
Intervista “E”
64
bozza non completa e non corretta -- non citare
Pertanto, anche se la componente pubblica ha una rilevanza superiore, il Gal, è nato con la
sottoscrizione di 52 soci. Oggi, la società è rappresentata da un totale di 57 partner di cui 47
pubblici e 10 privati. Comunque, è rilevante la rete ed il network che il GAL è riuscito a
creare nel corso degli anni con altri soggetti istituzionali e non del territorio regionale e
provinciale.“… Via via che si procedeva con il lavoro si sono aggiunti altri compagni di
viaggio. Per esempio, così è stato per la Provincia di Campobasso, per le Camere di
Commercio, per le Associazioni di categoria, per l’Università degli Studi del Molise, per il
Patto Territoriale del Matese, Comunità Montane, ecc…73 ”
La numerosità dei soci sottoscrittori coincide anche con il coinvolgimento di un’area
territoriale piuttosto ampia: 2.027,48 (kmq) rispetto ad una superficie regionale di 4.437,6
(kmq). In altre parole, la superficie territoriale che il Gal Molise verso il 2000 coinvolge, è
pari a circa il 50% dell’intero territorio regionale e comprende un comprensorio chiamato
“Molise Centrale” caratterizzato da una parte da differenti livelli di sviluppo dal punto di vista
sia sociale che economico e dall’altra è caratterizzata dal punto di vista geografico da una area
territoriale omogenea.74 .
A questo proposito, con la Deliberazione n. 1345 del 16 settembre 2002 “Programma Leader
+ Regione Molise 2000-2006 – Approvazione e pubblicazione bando per la selezione dei
Piani di Sviluppo Locale (PSL)75 ” la Regione Molise ha definito, in base alle linee
programmatiche europee, le aree territoriali nei quali i GAL possono intervenire mediante i
propri Piani di Sviluppo Locale76 . In particolare sono state definiti degli ambiti comunali
aventi determinate caratteristiche:
a) densità inferiore a 120 abitanti per Km2 ;
b) appartenenza ad una Comunità Montana;
c) altitudine media pari o superiore a 300 m slm;
d) presenza di Siti di Importanza Comunitaria (Dir. 92/43/CEE) e di zone di
Protezione Speciale (Dir. 79/409/CEE)77 .
La “lettura del territorio”, inteso come conoscenza ed analisi delle caratteristiche, specificità e
diversità dei singoli comuni della Provincia di Campobasso, è stata alla base delle prime fasi
della costituzione del GAL. A questo proposito, la scelta di coinvolgere all’interno del GAL
un ampio partenariato, ha assunto un ruolo principale e strategico per dare attuazione agli
obiettivi che il gruppo promotore si era prefissato.
“…L’oggetto che il gruppo dei promotori si era prefissato, in linea con gli indirizzi
della Comunità europea, era quello di creare uno sviluppo socio-economico compatibile
nell’area interna della Regione Molise su tutto ciò che interessava il mondo rurale.
Intendendo con il termine mondo rurale come l’insieme: dell’ambiente, del commercio,
dell’artigianato, del turismo, dell’arte, della cultura, ecc…78 ”.

73
Intervista “E”
74
Il programma comunitario Leader I ha coinvolto 61 comuni su di un totale di 132.
75
Si precisa che la Regione Molise, con deliberazione n. 1557 del 14 ottobre 2002, ha
apportato alcune modifiche, rettifiche ed integrazioni al bando precedente.
76
I territori di riferimento di Piani di Sviluppo Locale, dovranno costituire delle entità
geografiche omogenee composte da unità amministrative non inferiori al livello comunale.
77
Cfr. Regione Molise
78
Intervista “E”
65
bozza non completa e non corretta -- non citare
“…Tutte queste tematiche, ovvero la valorizzazione del: patrimonio ambientale,
oggetti dell’artigianato, valorizzazione dei laghi, turismo rurale, prodotti tipici, itinerario
delle chiese romaniche, assistenza tecnica e formazione e la cooperazione internazionale,
erano e sono l’oggetto della nostra iniziativa…79 ”
“Per attuare questi obiettivi è stato necessario garantire il più possibile la
rappresentatività delle realtà locali […], quindi, il GAL Molise verso il 2000 (in base alle
nostre fonti), è il Gruppo di Azione Locale che a livello regionale ha il numero più elevato di
partner all’interno della propria struttura organizzativa. Infatti, sono stati coinvolti
ampiamente i soggetti sia privati che pubblici che operano all’interno dell’area. Pertanto, il
Gal è così composto:
?? 44 Comuni;
?? 1 Comunità Montana;
?? 2 Camere di Commercio;
?? 10 Operatori Economici associati.
TABELLA 14: I Soci del G.A.L. Molise verso il 2000

I sottoscrittori

Comuni: Acquaviva Collecroce; Bonefro; Busso; Casacalenda; Casalciprano; Castellino del Biferno;
Castelmauro; cercemaggiore; Cercepiccola; Fossalto; Guardialfiera; Guardiaregia; Jelsi; Limosano; Lucito;
Lupara; Macchia Valfortore; Mafalda; Matrice; Molise; Monacilioni; Montagano; Montefalcone del Sannio;
Montelongo; Montemitro; Montorio dei Frentani; Morrone del Sannio; Oratino; Pescopennataro; Petrella
Tifernina; Pietracupa; Poggio Sannita; Ripalimo sani; Roccavivara; Salcito; San Biase; San Felice del Sannio;
Sant’Angelo del Pesco; Sant’Angelo Limosano; Sant’Elia a Pianisi; Sepino; Tavenna; Toro e Trivento.
Associazione Costruttori Edili Molise (A.C.E.M.), Compagnia delle Opere, Comunità Montana Alto Molise,
Confederazione Italiana Agricoltori (C.I.A.), Confederazione Nazionale dell’Artigianato (C.N.A.), Molise rurale
S.r.L., Molise Country Club, Cooperativa Agritrekking Alto Molise, Cooperativa Territorio e Sviluppo
Cooperativa F. Nardacchione, Unione delle Camera di Commercio, Unione Generale Coltivatori.
Fonte: ns elaborazioni su fonte G.A.L.
Per poter gestire e coordinare tutte le iniziative attuate dal Gruppo, il Gal Molise verso il 2000
ha adottato al proprio interno una struttura organizzativa che rispondesse al duplice obiettivo
di efficienza e di efficacia per il raggiungimento dei risultati nell’attuazione delle proprie
iniziative sviluppate all’interno del Piano di Azione Locale (PAL): Aree Interne della Regione
Molise.
Tralasciando la descrizione dei soci composto (come su descritto) da 57 partner sia pubblici
che privati, lo staff tecnico si avvale di una società a responsabilità limitata con funzioni di
tutoraggio e di diciassette componenti suddivisi tra: nove componenti del Consiglio di
Amministrazione di cui uno con funzioni di presidente, tre del Collegio Sindacale, un
coordinatore tecnico, un responsabile amministrativo e finanziario, un responsabile
dell’amministrazione e per finire, di due animatori territoriali.
Il ruolo assunto dai soggetti privati nella composizione dell’organizzazione del Gruppo ha
avuto un ruolo deciso e pregnante per lo sviluppo e l’attuazione delle iniziative attuate e
sviluppate dal consorzio.
“Pur gestendo risorse pubbliche, il gruppo di azione locale ha assunto una struttura
organizzativa paragonabile ad una società privata come per esempio una S.p.A. dove il
Consiglio di Amministrazione (organo tecnico) promuoveva al tavolo assembleare proposte e

79
Intervista “E” e documentazione del GAL Molise verso il 2000
66
bozza non completa e non corretta -- non citare
progetti da realizzare nell’area. È stata la prima volta, in un territorio come il nostro che si è
adottato questo criterio per la gestione di risorse pubbliche e il know how dei soggetti privati,
in tal caso, ha assunto ruolo fondamentale80 ”.
TABELLA 15: Organizzazione e struttura

I soci

Il Collegio Il Consiglio di La struttura


Sindacale Amministrazione Tecnica

Responsabile Animatori Amministrazione


amministrativo
oordinat finanziario 1.1.
Fonte: ns elaborazione su fonte GAL

3.2.2. Risultati e progettualità


In un’area territoriale chiamato “Molise Centrale” dove la presenza di competenze e risorse
culturali naturali rimangono nascoste o che hanno dimensioni troppo ridotte per potersi
affermare, la creazione di una visione sistemica da parte di più soggetti diventa un elemento
strategico per la valorizzazione dei prodotti esistenti ritenuti, a volte, prive di interesse. Nel
pieno rispetto dell’identità locale, il gruppo dei promotori fin dalla fase di avvio del Gruppo,
ha sviluppato un’intensa attività concertativa per realizzare in forma stabile un intreccio
intensificato di legami tra i vari operatori pubblici e privati (stakeholders) presenti nell’area
per la valorizzazione delle risorse esistenti nel territorio.
Gli innumerevoli incontri, convegni, assemblee, riunioni, iniziative, che il Gruppo ha
promosso sin dalle prime fasi di avvio, hanno assunto l’obiettivo della creazione dei
presupposti per la realizzazione di progettualità basate sulla valorizzazione dello sviluppo
endogeno affinché si evitassero la dispersione delle attività, dei prodotti, dei sapori e saperi
locali81 .

80
Intervista “E”
81
“La Provincia di Campobasso aderisce pienamente e convintamene alla filosofia ed al
metodo dello sviluppo locale, e quindi alla logica che ispira il Programma Leader II; per
scendere nel concreto, qui ed oggi, c’è un coinvolgimento diretto dell’Amministrazione
provinciale nell’attuazione del Pal (Aree Interne Molise), mediante un Accordo (convenzione
firmata con il GAL nel dicembre 1998) che prevede il cofinanziamento di alcune azioni del
Piano (Cfr. Documentazione GAL).
67
bozza non completa e non corretta -- non citare
“Grazie alla compagine ed al partneriato sociale molto ampio ed aperto anche con la
presenza dei “non soci” e garantendo quindi, la pluralità di voci ed interessi, il Gruppo di
Azione Locale Molise verso il 2000, rappresenta il primo vero esempio di attuazione delle
politiche locali basato sull’ascolto del territorio e che esalta il processo cosiddetto bottom-
up…” Inoltre, “…per la presenza di soggetti privati, queste iniziative che vengono attuate dal
basso e che vengono gestiti dai GAL, hanno la peculiarità di essere più efficienti poiché
utilizzano meglio le risorse ed hanno maggiore capacita di spesa rispetto agli organi politici
regionali ed agli altri canali amministrativi istituzionali tradizionali…82 ”. Per quanto
riguarda quest’ultimo aspetto, la particolare struttura organizzativa del Gruppo, dove il C.d.A.
(Consiglio di Amministrazione) si avvale dell’intera struttura tecnica (coordinatore,
responsabile amministrativo finanziario, animatori, tutor, e amministrazione) per la
preparazione di proposte e di progettualità discusse al tavolo assembleare, ha avuto ruolo
fondamentale sia per la gestione delle risorse finanziarie pubbliche e sia per la realizzazione
delle progettualità messe in campo.
TABELLA 16: Dati finanziari del GAL (31 dicembre 2001)
Importo PAL £. 18.378.518.000
Contributo Leader II £. 14.483.626.000
Cofinanziamento Provincia di Campobasso £. 1.115.970.000
Cofinanziamento privato £. 2.778.922.000

Importo rendicontato al 31/12/01 £. 17.700.362.000

Percentuale di spesa raggiunta 96%


Fonte: ns elaborazione su fonte GAL
Patrimonio ambientale
Per quanto riguarda queste iniziative, il Gal ha realizzato, tramite una dotazione
finanziaria di £. 2.418.686.664 e coinvolgendo 20 beneficiari, degli interventi per la
valorizzazione del patrimonio ambientale ed architettonico localizzate in alcuni comuni della
Provincia di Campobasso, ovvero Oratino, Guardiaregia, Morrone del Sannio. In particolare
sono state realizzate:
?? terrazze panoramiche;
?? sistema coordinato di segnaletica turistica;
?? punto di informazione turistica in area archeologica;
?? studi per la valorizzazione dei centri storici.
Gli oggetti dell’artigianato
Con una dotazione di £. 1.677.872.600 e coinvolgendo 11 beneficiari, il Gal Molise ha
realizzato degli interventi per la riorganizzazione e l’innovazione aziendale delle aziende
artigianali molisane. In particolare gli interventi realizzati dal GAL, sono stati finalizzati a
migliorare l’approccio delle imprese alle dinamiche del mercato. I comuni interessati a queste
iniziative sono stati Trivento, Guardialfiera, S. Elia a Pianisi, Ripalimosani, Oratino, Busso,
Palata, Lucito, Campolieto in provincia di Campobasso e Frosolone in provincia di Isernia e
sono state coinvolte le aziende operanti nei seguenti settori:
?? lavorazione del legno;

82
Intervista “E”
68
bozza non completa e non corretta -- non citare
?? lavorazione del ferro;
?? lavorazione marmi e pietre;
?? lavorazione forbici e coltelli.
La valorizzazione dei laghi
I laghi di Guardialfiera e di Occhito nel territorio della Provincia di Campobasso,
costituiscono un potenziale turistico di notevole entità. A tal fine, il Gal, ha adottato delle
azioni per sviluppare un polo turistico, promovendo l’offerta territoriale ed ambientale
nell’ottica del turismo escursionista avviando anche delle iniziative imprenditoriali nel settore
della ristorazione. La dotazione finanziaria ammonta a £. 1.076.000.000 ed ha coinvolto 2
soggetti beneficiari.
Turismo rurale
Con una dotazione finanziaria di £. 2.406.597.213 e coinvolgendo 31 soggetti beneficiari, il
Gal Molise, con tale iniziativa ha realizzato una serie di interventi per valorizzare l’ospitalità
in ambiente rurale, puntando a soluzioni integrate di ricettività turistica, attraverso il
miglioramento dell’immagine, della struttura e della qualità dei servizi offerti da aziende già
operanti nel settore. Gli obiettivi prefissati, erano il raggiungimento di un elevato grado di
coinvolgimento ed interesse delle popolazioni rurali residenti, attraverso richieste di
consulenze, iniziative artigianali, servizi innovativi, ecc… Di rilevanza, all’interno di questa
iniziativa, è il progetto europeo di offerta turistica in ambiente rurale “Village d’Europe”.
L’intero progetto ha previsto il coinvolgimento di 30 comuni europei (Francia, Italia, Spagna,
Portogallo) per un’offerta turistica globale di 6.000 posti letto.
Prodotti tipici
Con l’intento di affermare in Italia ed all’estero la tradizione agro-alimentare molisana con
prodotti di nicchia di elevata qualità, il Gal ha aiutato imprese, nei vari comparti del settore
agricolo stimolando la pluriattività ed il miglioramento e rinnovamento dei processi produttivi
– con particolare attenzione all’adeguamento igienico-sanitario – a competere in un mercato
globale. In particolare, si è sostenuta la creazione di un’impresa per la lavorazione dei semi di
girasoli mediante spremitura a freddo, per ottenere un particolare olio con straordinarie
caratteristiche organoelettiche da essere valorizzato in specifiche nicchie di mercato. Il
“laboratorio” ha avuto la peculiarità di essere sperimentale. Si è sostenuto iniziative per la
lavorazione ed il confezionamento di conserve e confetture di prodotti locali. Infine, si è
sostenuta la promozione di un Consorzio per le aree interne del Molise con il compito di
valorizzare e diffondere un marchio d’area “Destinazione Molise” con l’obiettivo di
commercializzare le produzioni tipiche locali e l’ospitalità turistica territoriale delle aziende a
livello nazionale ed internazionale.
I comuni che sono coinvolti in questi progetti sono per la Provincia di Campobasso: Tavenna,
Guglionesi, Trivento, Civiticampomarano, Salcito, Petrella Tifernina, San Giuliano di Puglia,
Matrice, S.Elia a Pianisi, Ripalimosani, Jelsi, Colletorto e Tufara. Per la Provincia di Isernia,
invece, sono stati coinvolti Frosolone e Bagnoli sul Trigno. Per attuare queste iniziative, è
stato necessario una dotazione finanziaria di £. 5.003.543.523 e sono stati coinvolti 21
soggetti beneficiari.
Itinerario delle chiese romaniche
Per quanto riguarda questo progetto, il Gal Molise ha coinvolto 5 comuni (Matrice,
Roccavivara, Petrella Tifernina, Guglionesi e Lucito) con una dotazione finanziaria di £.
452.000.000 per la valorizzazione dei beni culturali e religiosi che sono presenti in queste

69
bozza non completa e non corretta -- non citare
comunità. Attraverso la riscoperta delle tradizioni e la presenza in loco sia di monumenti e
chiese romaniche che di tratturi, con questa iniziativa si è voluto attivare un turismo “rurale”
con caratteristiche legate agli eventi legati al mondo religioso.
La cooperazione internazionale
Con questo progetto, una decina di piccole imprese hanno potuto presentare i propri prodotti
tipici nei mercati di alcune città europee (Berlino, Madrid, Milano, Parigi, Roma, Parma,
Londra, Tokio, Singapore, Lisbona e Firenze). Un’occasione irripetibile per confrontarsi con i
mercati internazionali ed inserirsi in importanti reti di vendita. La dotazione finanziaria
utilizzata per realizzare questa iniziativa, è stata di £. 390.440.341.
Assistenza tecnica e formazione
Il programma Leader ha messo a disposizione ai vari soggetti locali sia attività di assistenza
tecnica per accompagnare e stimolare le fasi di progettazione che quelle legate alla
produzione e commercializzazione di prodotti e servizi. Le attività di formazione hanno
coinvolto datori di lavoro, lavoratori, tecnici e professionisti locali (corsi e seminari per le
pratiche e tecniche di progettazione), tecnici delle aziende (Pmi) artigiane, commerciali,
turistiche e della produzione agroalimentare (sul campo della sicurezza e sulla normativa
igienico sanitaria). La dotazione finanziaria è stata di 5.153.377.209 ed ha coinvolto circa 700
soggetti beneficiari.
Per quanto riguarda quest’area (assistenza tecnica e formazione), il Gal Molise in
collaborazione con l’IRRE Molise, ha sviluppato un progetto denominato Myosotis – dal
nome di un fiore tipico delle zone interne del Molise – che ha assunto a livello territoriale un
impatto di notevole entità poiché, ha coinvolto circa 5000 alunni.
L’obiettivo del progetto è stato quello di promuovere, attraverso dei testimoni privilegiati,
delle azioni nelle scuole dell’area a favore di insegnati ed alunni con approfondimenti ed
elaborazioni tecniche sui temi dello sviluppo locale in generale e dei saperi e le peculiarità
territoriali molisane in particolare.
Di seguito, si descrive in tabella con sinteticità i progetti realizzati dal GAL Molise verso il
2000 nell’ambito del programma Leader II.
TABELLA 17 I progetti del Gal Molise verso il 2000 (31 dicembre 2001)
I progetti dotazione finanziaria N. beneficiari
Patrimonio ambientale: £. 2.418.686.664 20
??terrazze panoramiche;
??sistema coordinato di segnaletica turistica;
??punto di informazione in area archeologica;
??studi per la valorizzazione dei centri storici
Oggetti dell’artigianato £. 1.677.872.600 11
??lavorazione legno
??lavorazione ferro
??lavorazione marmi e pietre
??lavorazione forbici e coltelli
Valorizzazione dei laghi £. 1.076.000.000 2
??Occhito
??Guardialfiera
Turismo rurale £. 2.406.597.213 31
??trattorie
??agriturismi
??il circolo rurale
Prodotti tipici £. 5.003.543.523 21
??produzione olio
70
bozza non completa e non corretta -- non citare
??produzione insaccati
??prodotti da forno
??produzione sott’oli
??allevamenti
Itinerario delle chiese romaniche £. 452.000.000 5
??Matrice
??Roccavivara
??Petrella Tifernina
??Guglionesi
??Lucito
La cooperazione internazionale £. 390.440.341 Circa 10
Assistenza tecnica e formazione £. 5.153.377.209 Circa 700
??Myosotis
??Programma sulle politiche comunitarie e
l’ingegneria di Progetto per i tecnici lcoali
??Formazione ambiente
Sportelli informativi
??Sportello rurale
??Sportello sul turismo rurale
Fonte: ns elaborazioni su fonte GAL

3.2.3. Conclusioni
Iniziative comunitarie come il Leader basate su processi bottom up che, tramite la
concertazione e la costruzione di partenariati coinvolgono vari interlocutori territoriali per la
realizzazione di un piano di sviluppo locale, hanno la capacità di sprigionare dinamiche di
democrazia economica e di infondere la rappresentatività e la fiducia negli attori locali di
sviluppo. Quindi, parlare di marketing territoriale, sviluppo locale, promozione di politiche
dal basso, valorizzazione dei prodotti tipici, concertazione, partenariato, produzioni locali per
la competizione e/o commercializzazione globale, ecc… è oggi, alla portata di tutti. Eppure,
andando a ritroso con il tempo ad un decennio, queste tematiche erano soltanto concetti
teorici e poco inclini alla realizzazione pratica.
“Oggi assistiamo al proliferare di iniziative di sviluppo locale che coinvolgono vari
soggetti (amministratori, tecnici, comunità) e che esaltano la progettualità ed il confronto su
cosa sarà il Molise nei prossimi anni. Eppure, fino a qualche anno addietro, esistevano dei
tavoli a Campobasso e a Roma inaccessibili e si decideva del Molise con scelte senza
confronto reale con il territorio che si vedeva catapultare addosso decisioni spesso
imperscrutabili83 ”.
Al vecchio modo di far politica84 , tramandata e succedutasi nel corso di decenni, si deve
aggiungere il forte condizionamento della classe politica locale che, in piccole realtà come il
Molise, basate su meccanismi elettorali semplici, è troppo legata a singoli individui o
famiglie, producendo così problemi legati alla trasparenza amministrativa, legalità delle
procedure e quindi al clientelismo… “La politica vede in tali azioni pericoli di
scavalcamento, sottrazione di potere, espropriazione di potere contrattuale. In un’ottica di
orientamento (soprattutto in una Regione dai meccanismi elettorali molto semplici) e non al
servizio, la politica tende a collaborare poco svolgendo un implicito ostruzionismo…85 ”.

83
Intervista “E”
84
“La debolezza della società civile contro la forza della società politica frena
inesorabilmente tutti i discorsi relativi allo sviluppo territoriale, questo fenomeno è maggiore
nelle piccole realtà…” Intervista “T”
85
Intervista “E”
71
bozza non completa e non corretta -- non citare
In questo scenario, il Gal Molise verso il 2000, essendo stato uno dei primi tentativi di società
mista (pubblico/privato) attuato nel territorio della Provincia di Campobasso, rappresenta uno
dei protagonisti nella scena provinciale e regionale per lo sviluppo di un nuovo modo di
concepire lo sviluppo locale caratterizzata dall’espletamento di progettualità più aderenti alle
realtà ed alle esigenze territoriali. La capacità di gestire meglio risorse finanziarie pubbliche
con progettualità per la valorizzazione dei prodotti e saperi locali, ha attirato l’attenzione del
mondo politico locale soprattutto quello provinciale (Campobasso), il quale si è man mano
reso conto del ruolo che una struttura come il GAL può assumere all’interno di un processo di
sviluppo locale.
“I vantaggi di questa attività di concertazione delle azioni di sviluppo sono innegabili
per ciascuno dei soggetti coinvolti e, soprattutto, apportano vantaggi moltiplicati al territorio
nel suo insieme. È un’occasione unica per l’amministratore attento che riesca a cogliere
l’opportunità di mettere in moto una seria programmazione aderente alle esigenze vere delle
popolazioni, senza correre il rischio di escludere qualcuno dei soggetti dalla partecipazione,
o addirittura di trovarsi di fronte a tardivi contrasti e contrapposizioni. Leader II è uno
strumento piccolo, se considerato da un punto di vista quantitativo, ciononostante diventa
essenziale e prezioso per il suo carattere di innovatività ed esemplarità, riuscendo senz’altro
ad indicare, pur mediante azioni inizialmente limitate, i successivi percorsi della
programmazione. Sta senz’altro alla capacità, alla lungimiranza della classe politica – ove
essa abbia questa particolare sensibilità nel cogliere gli spunti del mondo locale che cambia
e cresce – il riuscire ad assemblare le iniziative, a convogliarle in quella che è la
programmazione più complessiva, a far radicare un metodo di sviluppo in grado di cambiare
il volto di un territorio86 ”.
In base alle nostre informazioni recepite sul campo, il vero punto di novità del Gal, è quello di
aver creato un “esempio” da poter essere replicato nel contesto territoriale per le altre
iniziative di progettazione previste dalla programmazione negoziata o di iniziative di sviluppo
locale. “Tale progetto ha dato l’avvio ad altre iniziative come per esempio il Patto del Matese
ed INNOVA e con esse ha collaborato in virtù di programmi con identica filosofia di azione e
delle simili esigenze e contenuti tecnici. Con il Patto Matese abbiamo lavorato sulla micro-
ricettività (iniziativa GAL trasfusa nel patto del matese) mediante un servizio di consulenza
gratuita (sportello rurale di informazione) su tutti i bandi leader ed altri patti territoriali.
Inoltre, abbiamo collaborato con un altro Gruppo di Azione Locale, INNOVA per la fase di
start up mediante la costruzione del progetto87 ”.
Non avendo avuto “modelli” di riferimento, i soggetti promotori, hanno sperimentato un
nuovo processo di sviluppo basato sulla concertazione che in quel periodo era completamente
sconosciuto. “È facile parlare di confronto, interazione ed impegno reciproco per realizzare
un PAL ma, metterlo in pratica non era semplice. Non esistevano esempi concreti su cui
potevamo basarci e su cui attingere…88 ”. Sicuramente, la mancanza di esperienza da parte
dei soggetti promotori nella negoziazione per lo sviluppo, accompagnata dalla latitanza
dell’operatore regionale (con la programmazione regionale) che tra l’altro è stato l’ultimo a
varare il programma leader, superato nei ritardi da quelli di Sicilia e Campania, sono alcuni
dei principali fattori e/o punti di criticità che ha caratterizzato il gruppo dei soggetti promotori
del Gal.

86
Dichiarazione dell’ex Presidente della Provincia di Campobasso Antonio Chieffo in
documenti del Gal Molise verso il 2000
87
Intervista “E”
88
Ibidem
72
bozza non completa e non corretta -- non citare
Un discorso a parte va, invece, fatto per il massimo organo politico regionale. Infatti, il vero
limite che il Gal ha avuto nel corso degli anni, è stato nel rapporto con la Regione con il quale
si sono registrati delle incomprensioni – se non addirittura dei conflitti mal celati. “L’organo
politico regionale ed i suoi canali istituzionali in genere, hanno fatto registrare un
atteggiamento di chiusura non assecondando le iniziative che vengono richieste dal basso.
Per fare un esempio, sono stati latitanti nel redigere i necessari provvedimenti amministrativi
e nella predisposizione dei piani paesaggistici (il caso è quello del Patto del Matese
rallentato proprio dalla mancanza di tali piani)89 ”.
Ciò, inoltre, è stato anche causato da una serie di criticità così sintetizzabili:
?? ruolo della Regione limitato alla formulazione di un parere tecnico di non
difformità delle iniziative Leader con la programmazione regionale. A questo
proposito, il principio della “programmazione dal basso” si è dovuto conciliare nel
quadro più generale della programmazione regionale.
?? mancanza di procedure chiare e puntuali quale punto di riferimento per l’azione
dell’operatore pubblico regionale oltre che per la gestione e verifica di programmi
elaborati dall’amministrazione centrale sono state le cause di maggiore difficoltà
che hanno rallentato l’attuazione del programma;
?? inadeguatezza organizzativa dell’Assessorato all’Agricoltura incapace di far fronte
ad un programma di sviluppo rurale poiché vi era una carenza di alcune delle
professionalità necessarie per l’attuazione del programma.. Infatti, il programma
leader ha una valenza prettamente territoriale mentre, l’Assessorato ha una
organizzazione sostanzialmente settoriale.
Infine, il dato che emerge è l’acquisizione, almeno concettuale, da parte dei vari interlocutori
(istituzionali e non), della consapevolezza delle possibilità intrinseche espresse ed inespresse
dalle forme di partenariato e di concertazione che a vari livelli progettano un intervento di
sviluppo locale. “Esiste una sovrapposizione tra le varie iniziative e stanno cercando di
risolverlo tramite tavoli di concertazione e verifica incrociata. Perché il Pubblico non sapeva
che succedeva sul territorio. Quindi un’azienda poteva avere più finanziamenti. Oggi invece,
esiste un maggior dialogo90 ”.

89
Intervista “E”
90
Intervista “F”
73
bozza non completa e non corretta -- non citare

4. Provincia di Foggia

4.1. Antonio Palazzo Il Patto per Foggia

4.1.1. Premessa
L'Amministrazione Provinciale, l'Associazione Industriali di Capitanata e le rappresentanze
sindacali della CGIL, CISL e UIL si sono fatte promotrici di una approfondita consultazione
dei soggetti economici, sociali e politici operanti nella provincia con lo scopo di pervenire alla
concertazione di una serie di obiettivi e strategie di azione condivise dagli attori locali dello
sviluppo.
Tale impostazione è in linea con le indicazioni più volte formulate dal CNEL in materia di
Patti Territoriali, indicazioni che sono state riprese e formalizzate in sede CIPE con la delibera
del 10 maggio 1995.
In particolare, i soggetti coinvolti in tale operazione, oltre ai promotori, sono:
- La Camera di Commercio;
- Il Consorzio di Bonifica di Capitanata;
- Il Consorzio ASI di Foggia;
- Le associazioni di categoria.
Merita, inoltre, di essere sottolineato il fatto che unitamente all'opera di consultazione delle
forze economiche e sociali della provincia si è provveduto a raccogliere e sistematizzare tutta
una serie di materiali di analisi e di proposte progettuali che costituiscono l'indispensabile
supporto della strategia individuata per giungere alla stipula del Patto Territoriale e,
successivamente, alla sua proposizione presso le competenti sedi individuate dal CIPE, in
primo luogo il Ministero del Bilancio.
In tale studio, partendo da una dettagliata analisi dell'esistente, si è giunti a delineare il quadro
dei vincoli, delle opportunità da cogliere, della progettualità esistente e delle risorse che
potrebbero essere mobilitate per avviare un nuovo processo di sviluppo del territorio
provinciale che, facendo leva sulle vocazioni dell'area, permetta di cominciare a dare risposta
ai gravi problemi strutturali e congiunturali in cui si dibatte la provincia, in primo luogo la
disoccupazione.
Si tratta ora di passare dalle parole ai fatti dando contenuto concreto alle linee di azione di
seguito sinteticamente delineate.
In questo sforzo, l'intera collettività di Capitanata è stata chiamata a dare il proprio contributo
e in primo luogo le forze che hanno sin qui condiviso obiettivi e strategie del Patto.
Queste ultime, dal canto loro, confermano il loro impegno prioritario, ciascuno nel rispetto dei
propri ruoli e delle proprie competenze, a porre in essere comportamenti e scelte coerenti con
le finalità del Patto che, in ultima istanza, sono tese ad innalzare l'economia provinciale sui
livelli di sviluppo coerenti con le sue grandi potenzialità.

4.1.2. Lo scenario di riferimento


Nel caso specifico del Patto Territoriale per Foggia, una parte di tale interventi è stata posta a
base degli impegni assunti dalle diverse parti sottoscrittrici, ma tutto ciò non è bastato, allo
stato, occorre prevedere interventi specifici soprattutto per i comparti vocazionali dell'area.

74
bozza non completa e non corretta -- non citare
Per il settore agricolo, in particolare, sono state incentivate tutte quelle iniziative tese a
sviluppare la cooperazione delle aziende in tema di promozione, valorizzazione e
commercializzazione delle produzioni locali.
Una iniziativa specifica che potrebbe vedere Foggia in veste di “provincia pilota” è da
ricercare nell'ambito di un progetto complessivo per l'agro industria meridionale.
In esso, partendo dalla constatazione dei due principali vincoli che si frappongono ad un
armonioso sviluppo del settore (costi del trasporto elevati conseguenti alla distanza dai
mercati di sbocco e arretratezza nel sistema di commercializzazione, troppo frammentato e
con una offerta molto polverizzata) si giunge a delineare una strategia di sviluppo fondata
sulla valorizzazione del trasporto ferroviario (connesso con quello su gomma e quello via
mare) e sulla realizzazione di un sistema di commercializzazione basato sulla
concentrazione dell'offerta e sul collegamento telematico, in grado di connettere in tempo
reale la domanda e l'offerta di prodotti agro industriali.
In questa direzione si stanno, d'altro canto, già muovendo autonomamente gli imprenditori
locali attraverso la costituzione di un consorzio di promozione e valorizzazione delle
produzioni locali.
Per la cultura, il patto territoriale ha provveduto a mettere a punto e ad azionare efficaci forme
di cooperazione tra gli enti pubblici, proprietari della maggior parte dei beni culturali, e
l'impresa privata, che va coinvolta nelle iniziative di recupero, di riqualificazione di fruizione
e di gestione del patrimonio.
Per il turismo invece le linee di intervento prioritarie sono rivolte al miglioramento
dell'offerta.
In tale direzione occorrerà muoversi con maggiore efficacia, favorendo il coordinamento del
ciclo produttivo turistico con lo scopo di favorire i processi di integrazione verticale nel
settore (tour operator, imprese di trasporto, società alberghiere, ecc.) e permettere di uscire da
un atteggiamento subalterno e passivo nei confronti del mercato e del sistema distributivo dei
flussi turistici.
Per questo si rende necessaria la costituzione di una “autorità” che assuma la responsabilità di
tale coordinamento, ma anche della promozione dell'offerta turistica che consenta un
estensione della stagione all'intero periodo annuale in considerazione delle favorevoli
caratteristiche climatiche, del considerevole patrimonio storico - artistico- archeologico -
culturale e del forte richiamo religioso della nostra terra.
Alcune proposte concrete mirano alla realizzazione di un Consorzio misto pubblico - privato
con il compito di predisporre un pacchetto di offerta turistica integrata che permetta di
sfruttare al meglio l'indubbio patrimonio (balneare, culturale, museale, termale, ecc.) di cui è
ricco il nostro territorio. Condizione indispensabile, infine, per avviare una politica di
sviluppo integrata ed autopropulsiva del territorio è, come già più volte sottolineato in
precedenza, l'implementazione di una seria azione di sviluppo nel settore dei servizi reali
avanzati.
Alla base di tale approccio vi è la constatazione che il sistema industriale locale, costituito in
massima parte da imprese di piccole e medie dimensioni, difficilmente è in grado di
svilupparsi o addirittura sopravvivere se le imprese non sono messe in condizioni di operare
in un ambiente idoneo, un ambiente, dove, ad esempio, siano presenti ed accessibili strutture
di assistenza tecnica e consulenza specializzata, efficienti servizi bancari e parabancari,
strutture di ricerca e sperimentazione, istituti per il controllo della qualità, centri per la
diffusione delle tecnologie, efficienti studi grafici e pubblicitari, servizi di traduzione e
partenariato, imprese e centri per la progettazione, la manutenzione e la commercializzazione.
Basterebbe soffermarsi solo su quest'ultimo aspetto, quello legato alla commercializzazione
dei prodotti, per comprendere come l'ambiente esterno alle imprese della provincia di Foggia
non sia idoneo a supportarne la crescita e molte volte anche a favorirne la sopravvivenza.

75
bozza non completa e non corretta -- non citare
E' emersa, infatti, più volte, nel corso degli incontri preparatori alla formulazione del Patto, la
scarsa attenzione da parte delle imprese locali al “mercato" o, in altri termini, al momento
della commercializzazione delle varie produzioni e all'analisi delle esigenze dei mercati di
sbocco.
Nella maggior parte dei casi, nella provincia, ci si trova in presenza di imprese che sanno
produrre “bene", ma che non riescono a vendere altrettanto bene i propri prodotti per un
difetto di scarsa attenzione alle caratteristiche della domanda espressa dal mercato.
Si tratta di una carenza che, sebbene con differenze di intensità, si riscontra in tutti i settori
portanti dell’economia della Capitanata, dall'agricoltura, che forse ne soffre maggiormente,
all'industria, alla politica culturale, allo stesso turismo e che rimanda in ultima istanza alla
scarsa presenza sia all'interno che all'esterno delle aziende di professionalità specifiche.
In tale contesto, vanno pertanto decisamente incentivate tutte quelle iniziative volte alla
costituzione di centri di servizio, in particolare nel comparto agro-alimentare, ma anche in
tutti gli altri settori produttivi, con specifico riferimento alle iniziative in tema di:
- qualità;
- certificazione dei prodotti e dei processi;
- consulenza direzionale e organizzativa;
- marketing, di finanza innovativa.
Sembra opportuno, a questo punto, sottolineare che, nonostante il contesto di oggettiva
difficoltà,
l'imprenditoria di Capitanata, esprime già oggi spontaneamente una diffusa volontà di
investimenti, in particolare nei settori vocazionali dell'area.
Significativo in tale senso, il positivo riscontro registrato rispetto alle richieste di
insediamento industriale nell'area di crisi di Manfredonia, beneficiaria di risorse aggiuntive
dell'Unione Europea. L'accoglimento di tutte le richieste pervenute, consentirebbe, a fronte di
un investimento di 1.500 miliardi, di generare un impatto occupazionale consistente.

4.1.3. Modalità e procedure di intervento


In via di prima approssimazione è possibile procedere ad una prima sommaria elencazione
degli strumenti e dei canali di finanziamento per la realizzazione degli interventi previsti dal
Patto.
Il primo è sicuramente il più importante di tali canali é costituito dal Programma Operativo
Plurifondo 1994/1999 della Regione Puglia approvato a maggio dall'U.E.
Da un suo primo esame, limitato alle risorse rinvenenti dal FESR, si evince l'esistenza di
molte misure potenzialmente “attivabili" per la realizzazione degli interventi previsti nel Patto
per Foggia. In sintesi:
- La misura 1.2 (Ferrovie locali), con una dotazione complessiva di 180 miliardi di risorse
disponibili nel quinquennio;
- La misura 1.3 (Interporti di I e di II livello) con una dotazione complessiva di 134 miliardi
di risorse disponibili;
- La misura 2.1 (Servizi reali alle imprese artigiane) con una dotazione complessiva di 20
miliardi di risorse disponibili;
- La misura 3.1 (Fondo di garanzia) con una dotazione complessiva di 28 miliardi di risorse
disponibili tra il 1994/1996;
- La misura 3.2 (Incubatori di imprese) con una dotazione complessiva di 24 miliardi di
risorse disponibili tra il '94 e il 99;
- La misura 3.3.1 (Internazionalizzazione delle PMI) con una dotazione complessiva di 13
miliardi di risorse disponibili nel 1994/1999;
- La misura 3.3.2 (Cooperazione transnazionale delle PMI) con una dotazione complessiva
di 13 miliardi di risorse disponibili nel 1994/1999;
76
bozza non completa e non corretta -- non citare
- La misura 3.4 (Servizi reali alle imprese) con una dotazione complessiva di 31 miliardi di
risorse disponibili nel quinquennio;
- La misura 4.1 (Sistemi produttivi locali sulla falsa riga dei contratti di programma) con
una dotazione complessiva di 160 miliardi di risorse disponibili;
- La misura 5.1 (Zone industriali) con una dotazione complessiva di 44 miliardi di risorse
disponibili;
- La misura 5.2 (Zone artigianali) con una dotazione complessiva di 33,6 miliardi di risorse
disponibili;
- La misura 6.1 (Riqualificazione strutture turistiche) con una dotazione complessiva di 110
miliardi di risorse disponibili;
- La misura 6.3 (Recupero beni culturali) con una dotazione complessiva di 168 miliardi di
risorse disponibili;
- La misura 6.4 (Fruizione dei beni culturali) con una dotazione complessiva di 22.8
miliardi di risorse disponibili;
- La misura 6.5 (Turismo rurale) con una dotazione complessiva di 30 miliardi di risorse
disponibili;
- La misura 6.6 (Porti turistici) con una dotazione complessiva di 112 miliardi di risorse
disponibili;
- La misura 7.1 (Recupero acque reflue) con una dotazione complessiva di 28 miliardi di
risorse disponibili;
- La misura 7.1.2 (Risanamento reti distribuzione idrica) con una dotazione di 16 miliardi di
risorse disponibili;
- La misura 7.2.2 (Risparmio energetico in attività produttive) con una dotazione di 53
miliardi di risorse disponibili;
- La misura 7.2.3 (Energie rinnovabili) con una dotazione di 29 miliardi di risorse
disponibili;
- Le misure 7.3.2, 7.3.4, 7.3.5, 7.3.6, 7.3.8, 7.3.9, 7.3.10, (Smaltimento rifiuti, bonifica siti
inquinati, depurazione Centri Urbani, ecc.) con una dotazione complessiva di 175 miliardi
di risorse disponibili;
- La misura 7.4.3 (Diffusione innovazione tecnologica PMI) con una dotazione complessiva
di 5.6 miliardi di risorse disponibili;
Lo stesso POP PUGLIA prevede altre importanti misure nel Fondo FEOGA dedicato al
mondo agricolo, e dal FSE per la Formazione.
Sono inoltre attivabili:
- Risorse disponibili su programmi e iniziative comunitarie, tra cui Leader II, URBAN,
PMI, SFOP, LEONARDO;
- Risorse derivanti dai Programmi Operativi Multiregionali;
- Risorse individuate da Leggi nazionali di settore, quali quelle relative all'istituzione delle
Parco Nazionale del Gargano e del Piano Triennale sull'ambiente ed infine la Legge sulla
Montagna;
- La legge 236/93 che ha istituito il Fondo per l'occupazione nelle aree individuate ai sensi
dell'obiettivo 1 del Regolamento CEE n. 2052/1988;
- Le risorse resesi disponibili per contratti di programma da realizzarsi nel territorio
provinciale;
- Risorse ordinarie (nazionali, regionali, provinciali) destinate alla realizzazione ed al
completamento di opere pubbliche infrastrutturali.
Va poi considerato che il coinvolgimento del capitale privato, previsto in quasi tutte le misure
e per i programmi elencati in precedenza, può essere previsto anche per il finanziamento di
parte delle opere infrastrutturali ritenute necessarie ai finì della creazione di un Habitat
adeguato allo sviluppo di attività produttive.

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bozza non completa e non corretta -- non citare
In questo caso possono essere utilmente sperimentate formule di coinvolgimento del capitale
privato con il contestuale reperimento di risorse finanziarie sui mercati nazionali ed
internazionali; ciò naturalmente è possibile soltanto in presenza di una “gestione economica"
che garantisca una congrua remunerazione ai capitali investiti.
In conclusione, sembra opportuno sottolineare che per le imprese che investono è
indispensabile poter contare su un clima di certezza e di buoni rapporti con le amministrazioni
locali, in particolare per ottenere garanzie in ordine ai tempi previsti per il disbrigo dei
numerosi adempimenti necessari in ogni momento della vita di una azienda, ma decisamente
più importanti nel caso della costruzione di uno stabilimento o dell'avvio operativo di una
nuova attività.
Purtroppo le normative e le procedure in numero di autorizzazioni necessarie e la
polverizzazione delle competenze fra più soggetti lasciano margini di incertezza sui tempi
molto ampi e possono offrire ai poteri politici e amministrativi locali, ma a volte anche
nazionali, ampi spazi di discrezionalità.
Non a caso esiste un rapporto tra le differenze di comportamento delle Autorità locali e
l'ineguale distribuzione sul territorio delle nuove iniziative industriali, soprattutto se di natura
esogena.
Tale considerazione rafforza l'esigenza, più volte riaffermata in sede CNEL e CIPE, di
definire e sperimentare sul campo (nel caso specifico nell'ambito del Patto Territoriale per
Foggia) una struttura operativa di assistenza tecnica e amministrativa che gestisca l'intero
pacchetto di proposte svolgendo altresì funzioni di interfaccia tra gli attori locali dello
sviluppo e le Amministrazioni competenti per la concessione di eventuali finanziamenti
pubblici che, in ottemperanza a quanto previsto dalla delibera CIPE, sono tenute ad
assicurarne una tempestiva istruttoria.
L'indubbio vantaggio connesso alla velocizzazione delle procedure costituisce infatti uno
degli aspetti al momento più interessante che spingono a guardare con benevolenza questo
nuovo strumento dell'intervento pubblico a favore delle aree in ritardo di sviluppo e che,
nonostante il contesto di sostanziale assenza di risorse finanziarie aggiuntive rispetto a quelle
già previste nella vigente legislazione, impongono tempi rapidi, impegni coerenti e scelte
rigorose da parte di quanti si sono impegnati nel difficile compito di ridare corpo alle
speranze di sviluppo della collettività di Capitanata.

4.1.4. Conclusioni
Il lavoro di raccolta informativa ha visto il coinvolgimento di una parte dei promotori del
Patto di Foggia (soggetti privati e pubblici) che hanno messo a disposizione le loro fonti per la
formulazione di un quadro reale della situazione oggetto di approfondimento.
Nel dibattito su concertazione e programmazione negoziata, il Patto di Foggia ha confermato
la tesi secondo cui nella provincia di Foggia, si dispone di un patrimonio di professionalità,
risorse umane e vocazioni territoriali che rendono proficua l’attuazione di questa
progettualità, aldilà delle loro denominazioni, e che la Capitanata ha, quindi, tutte le carte in
regola per rappresentare un modello positivo.
Le diverse misure connesse alla programmazione negoziata, difatti, hanno anche posto in
evidenza il proficuo livello di interlocuzione tra il mondo delle imprese, le istituzioni, gli enti
locali, e le altre rappresentanze di categoria, rendendo la Capitanata un sistema integrato, un
polo in grado di attrarre nuovi investimenti anche alla luce del crescente fabbisogno di
delocalizzazioni che caratterizza le imprese del nord.
Tutto ciò si sta verificando e crescerà in futuro in modo sempre più significativo, attraverso le
politiche di marketing territoriale che le associazioni realizzano in favore di tutte le aziende
interessate, con servizi qualificati ed azioni di orientamento, informazione, assistenza e
consulenza.
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bozza non completa e non corretta -- non citare
Anche la definizione e la realizzazione del Patto territoriale di Foggia, sottoscritto in data
14/9/1999 presso la sede dell’Amministrazione provinciale, sta muovendosi lungo le direttrici
appena descritte.
Sono state finanziate 22 imprese per un investimento totale di 77,64 milioni di Euro, di cui
35,17 con contributo statale, e con una occupazione prevista di 643 unità.
Nei primi mesi del 2003 sono stati erogati 13 milioni di Euro, con 10 imprese che hanno
ultimato gli investimenti, 4 aziende hanno richiesto la proroga, 3 hanno rinunciato agli
investimenti, mentre per altre 5 si sta procedendo alla revoca dei contributi.
Sono state effettuate, inoltre, 170 assunzioni.
Le imprese finanziate nel patto territoriale di Foggia sono principalmente iniziative turistico
alberghiere ubicate nei comuni di san Giovanni Rotondo e Vieste ed alcuni investimenti agro
industriali nelle zone industriali di Foggia, Cerignola e Manfredonia.
Il Patto territoriale di Ascoli – Candela ed i Patto territoriale per la Pesca e l’economia ittica
della provincia di Foggia sono gestiti dalla società consortile Patto di Foggia che con la
titolarità di tre progetti rappresenta un attestazione di affidabilità e competenza.
Il primo è stato sottoscritto nel 2001 e prevede il finanziamento di 14 imprese impegnate in un
investimento totale di 39,41 milioni di Euro, di cui 28,06 a contributo statale e con una
occupazione prevista a regime di 411 unità.
Nei primi mesi del 2003 risultavano erogati 13.052,607 Euro, con 1 azienda che ha già
completato l’iniziativa, 2 imprese stanno ultimando gli investimenti mentre 8 li stanno
avviando, 1 azienda, infine, ha chiesto la proroga.
Sono state effettuate oltre 40 assunzioni.
Il secondo Patto sulla Pesca vede interessate 29 aziende del settore con un investimento
complessivo di 11 milioni di Euro ed un incremento occupazionale previsto di 116 unità.
Allo stato sono state già effettuate erogazioni in favore di 6 aziende per un importo di 263.959
Euro, mentre altri 7 beneficiari hanno fatto richiesta di erogazione e le rispettive pratiche sono
in istruttoria.

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bozza non completa e non corretta -- non citare

4.2. Antonio Palazzo Il GAL “Meridaunia”

4.2.1. Premessa
Il GAL Meridaunia è stato costituito l’11/3/98, con riferimento al Programma di iniziativa
comunitaria Leader II (comunicazione CEE 94/C – 180/12 del 1/7/1994 – bando pubblico n.
17/99).
In pari data è stato nominato il Presidente, il Consiglio di Amministrazione, il Responsabile
Amministrativo e Finanziario e il Collegio Sindacale.
In esecuzione della delibera del C.d.A. del 29/7/99 di attuazione del Piano di Azione Locale è
stato indetto un bando pubblico per il sostegno alla creazione di nuove attività, nonché
all’avvio di iniziative consortili tra le PMI o imprese artigiane integrate con il modo rurale.
Finalità del bando
In attuazione del proprio Piano di Azione Locale, Misura B) “Programmi di innovazione
rurale” ed in particolare della Sottomisura B) 4 "Servizi di sviluppo e consolidamento delle
piccole realtà imprenditoriali locali per la valorizzazione delle risorse endogene tipiche", il
GAL Meridaunia ha inteso finanziare agevolazioni per investimenti aziendali di prodotto
processo nelle attività connesse con il mondo rurale, per migliorare il livello tecnologico,
produttivo e commerciale delle aziende .
Beneficiari
Beneficiari della presente azione sono state le PMI, aziende artigiane e di servizi, anche
associate, la cui attività ricade nelle seguenti aree di interesse:
- Comune di Accadia;
- Comune di Anzano;
- Comune di Bovino;
- Comune di Candela;
- Comune di Castelluccio Valmaggiore;
- Comune di Celle San Vito;
- Comune di Faeto;
- Comune di Monteleone di Puglia;
- Comune di Orsara di Puglia;
- Comune di Panni;
- Comune di Rocchetta Sant’Antonio;
- Comune di S.Agata;
- Comune di Troia;
Dotazione finanziaria
L’ammontare complessivo dei contributi disponibili per gli interventi previsti dall’azione B) 4
è stato pari a lire 735.000.0000.
Sono state previste quote di finanziamento a carico del GAL per lire 355.000.000 e di
cofinanziamento a carico dei beneficiari per complessive lire 380.000.000.
Interventi previsti
Sono stati ammessi alle agevolazioni interventi riguardanti programmi di investimenti
materiali volti alla realizzazione e all’adeguamento tecnologico, adeguamento alle normative
igienico sanitarie, di sicurezza e compatibilità ambientale, ristrutturazione e dotazione di
attrezzature ed impianti per la produzione e valorizzazione di specialità tipiche locali,
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bozza non completa e non corretta -- non citare
all’ammodernamento ed ottimizzazione dei processi produttivi, alle innovazioni tecnologiche
di processo/prodotto.
Spese ammissibili
Sono state rese ammissibili le spese per la realizzazione di quanto stabilito nel paragrafo
precedente, con esclusione di quelle riguardanti l’acquisto e/o la costruzione di immobili.
I richiedenti hanno potuto beneficiare di incentivi fino ad un massimo di 100.000 ECU
secondo il criterio "de minimis" previste dalla vigente normativa comunitaria sugli aiuti a
favore delle PMI.
I consorzi e le società consortili che hanno presentato domanda di ammissione agli interventi
hanno potuto beneficiare di aiuti fino ad un massimo complessivo pari a quello massimo
ammissibile per singola impresa, moltiplicato per il numero delle imprese costituenti la
struttura consortile.
Le spese realizzate prima della presentazione della domanda non sono state ammesse al
beneficio degli incentivi.
Misura delle agevolazioni
Il contributo è stato concesso sotto forma di sovvenzione in conto capitale.
Le agevolazioni concedibili sono state pari al massimo al 48,3% del costo totale
dell’investimento ritenuto ammissibile, nel rispetto dei limiti fissati dal PAL.
La partecipazione dei destinatari, rispetto ai costi ritenuti ammissibili, era prevista al 51,7%
del costo totale ammissibile.
Principi ispiratori
Il principio a cui si è ispirata l’azione di Meridaunia è stato il coinvolgimento del territorio per
raggiungere una ottimale utilizzazione dei fondi PIC leader II.
Pertanto si sono organizzati nell’arco di due anni, incontri informativi, presso i comuni soci
del Gal.
Gli incontri hanno avuto il triplice obbiettivo:
1) Far conoscere il Piano di Azione Locale;
2) Raccogliere le istanze della provincia;
3) Organizzare il territorio sul tema dello sviluppo rurale.
Il Gruppo di Azione Locale (GAL) è, quindi, il beneficiario finale dei finanziamenti inerenti
l'iniziativa Leader II promosso dall’Unione Europea e dalla Regione Puglia e soggetto
responsabile dell'attuazione del Piano di Azione Locale (PAL) che comprende il territorio dei
comuni Soci del Gal Meridaunia.
Soggetti promotori
L'impulso maggiore è stato dato dalla Comunità Montana dei Monti Dauni Meridionali, che
ha coordinato i progettisti nella fase della stesura del PAL.
Soci principali
La Società è costituita da 19 Soci di cui 14 Pubblici e 5 Privati:
I Soci Pubblici sono:
- Comunità Montana dei Monti Dauni Meridionali;
- 13 Comuni elencati nelle zone di interesse.

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I Soci Privati sono:

- Banca Popolare di Milano;


- Confederazione Nazionale Artigianato;
- Confederazione Italiana Agricoltori;
- Federazione provinciale Coltivatori Diretti;
- Confesercenti;
L'iniziativa Comunitaria Leader II si propone, oltre a garantire la continuità con Leader I,
nell'appoggio alle più efficaci iniziative locali di sviluppo rurale, alcuni nuovi obiettivi:

- Il sostegno di operazioni innovative, dimostrative e trasferibili, che mettano in evidenza le


nuove possibilità che si offrono allo sviluppo rurale;
- L'intensificazione dello scambio di esperienze ed il trasferimento di know-how tramite
una rete europea di sviluppo rurale;
- il sostegno a progetti di cooperazione transnazionale realizzati nelle zone rurali dagli
operatori locali e concepiti in uno spirito di solidarietà reciproca.
La Società ha scopo consortile e non ha fini di lucro.
Il Programma Leader II si è rivolto alle zone rurali interessate dagli obiettivi 1 (aree in ritardo
di sviluppo) e 5 B (aree rurali svantaggiate).
Tuttavia il 10% al massimo dei fondi assegnati per tale iniziativa alle zone dell' obiettivo 5 B
potrà essere attribuito a zone limitrofe che non rientrano in tali obiettivi.
Due sono le categorie di beneficiari finali di Leader II, in primo luogo, Gruppi di Azione
Locale così come definiti da Leader 1, cioè un insieme di partners pubblici e privati che
elaborano congiuntamente una strategia e misure innovative per lo sviluppo di un territoriale
rurale di dimensione locale (meno di 100.000 abitanti); inoltre, altri operatori collettivi
pubblici o privati del settore rurale, (Camere di Commercio, Industria, Artigianato,
Cooperative, Gruppi di Imprese, Consorzi di comuni, Associazioni senza scopo di lucro, ecc)
a condizione che la loro azione, più mirata, rientri in una logica di sviluppo di un territorio
locale.
Compito istituzionale del GAL è la promozione dei territori rurali attraverso gli strumenti del
finanziamento dei progetti, del monitoraggio, della sperimentazione, dell'informazione e
dell'assistenza tecnica alla qualificazione e alla promozione:
I GAL funzionano in pratica come autentiche agenzie di sviluppo regionale, garantite da enti
pubblici e associazioni di categoria.

4.2.2. Oggetto del Piano


La Società, nell'ambito del PAL, ha per oggetto:

- Lo svolgimento di azioni di sensibilizzazione;


- La promozione e divulgazione del Piano sul territorio;
- Il supporto tecnico, l'istruttoria tecnico – amministrativa;
- La valutazione e l’impegno di spesa degli interventi, sia materiali che immateriali, cosi
come previsti dal PAL;
- Accertamenti di regolare esecuzione degli interventi ed esecuzione dei controlli;

Inoltre, la Società Consortile:

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- Elabora e concorre all'elaborazione di studi di carattere generale e particolare
sull'orientamento e formazione professionale, assumendo e favorendo ogni utile ed
opportuna iniziativa in materia;
- Istituisce, organizza e svolge, anche in collaborazione con altre organizzazioni ed enti,
corsi di formazione, di qualificazione, di specializzazione, di perfezionamento e di "alta
formazione" per disoccupati, lavoratori autonomi e subordinati e loro familiari;
- Promuove e favorisce ogni altra idonea iniziativa per l'elevazione della cultura
professionale e generale degli stessi;
- Assiste mediante l'erogazione di servizi specialistici le imprese singole o associate
nell'attività tecnica e di sviluppo aziendale;
- Promuove ed eventualmente cura l'esecuzione di studi ed interventi di pianificazione
territoriale e settoriale;
- Promuove e gestisce la valorizzazione e la commercializzazione di prodotti agricoli locali
e/o di prodotti tipici;
- Cura la realizzazione e la promozione di marchi di denominazione protetta, IGP, ed
Attestazioni di Specificità a tutela delle produzioni rurali della Daunia;

Dall’avvio delle attività ad oggi il Gal Meridaunia oltre alla gestione della Misura B e C del
PIC Leader II, ha partecipato al Comitato promotore della Strada dell’Olio, ha aderito alla
società del Patto Territoriale per l’Agricoltura, sta partecipando ad un progetto riguardante le
abitudini alimentari delle aree rurali italiane, promosso dall’Università La Sapienza di Roma.
Attività in fase di realizzazione:
Il Gal Meridaunia, nell'ambito dell'attività del Programma di Iniziativa Comunitaria Leader II
ha finanziato 43 iniziative, per complessivi 8 miliardi.
Tali iniziative sono nella fase finale di attuazione.
Le iniziative in fase finale di attuazione sono:
- Servizi di consulenza alle imprese;
- Sostegno finanziario a studi ed applicazioni per l'introduzione e lo sviluppo nel territorio
degli animali tipici da allevamento;
- Corsi di Formazione professionale.
Servizi di consulenza alle imprese
Obiettivo dell'azione è quello di orientare, sostenere ed erogare servizi comuni tra produttori e
distributori di prodotti tipici e tra questi e le società specializzate, anche appartenenti ad altre
aree. In particolare è previsto il sostegno finanziario:
- Alla realizzazione di piani commerciali;
- Aiuti alla creazione di nuove imprese nei settori di nicchia;
- Assistenza ai giovani per la progettazione di nuove iniziative imprenditoriali;
- Assistenza per la messa a punto del business-plan e lo start-up d'impresa, ecc.
Sono stati attivati 14 sportelli di consulenza alle imprese che offrono servizi sia alle imprese
che agli stessi Enti Locali.
Il servizio ha portato fino al 15/05/01 alla creazione di 85 nuove attività di impresa e
all'accesso a finanziamenti per circa 5 miliardi.
Inoltre si sta lavorando alla organizzazione delle quattro filiere di prodotti tipici presenti sul
territorio (carne, latte cereali e olio) per arrivare alla creazione di un consorzio d'area.
Attraverso l'organizzazione delle filiere si sta lavorando alla creazione di disciplinari di
prodotto per l'ottenimento di certificazioni di qualità:
- IGP Prosciutto di Faeto;
- IGP Salsiccia dell'Appennino Dauno;
- IGP Soppressata dell'Appennino Dauno;
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bozza non completa e non corretta -- non citare
- DOP Cacioricotta.

Il costo complessivo dell'azione è di Lit. 1.182 milioni, di cui 783 a carico pubblico.

Sostegno finanziario a studi ed applicazioni per l'introduzione e lo sviluppo nel territorio


degli animali tipici da allevamento

L'iniziativa si inserisce nel Programma della FAO e dell'UNESCO " The Global Strategy for
the Management of Farm Animal Genetic Resources", teso a tutelare la bio - diversità
nell'ambito delle razze domestiche.
Obiettivo dell'azione, realizzata dal Gruppo di Azione Locale Meridaunia, dal CNR di Lesina
e dalla Comunità Montana di Bovino, è quello di recuperare la vecchia razza del suino
dell’Appennino, destinata, altrimenti, ad una ineluttabile estinzione, e favorire la sua
reintroduzione sulle colline Daune.
Dopo aver raggiunto gli obiettivi di conservazione numerica della popolazione, l'azione si
propone di valorizzare le produzioni zootecniche del maiale pugliese, con l'ausilio di direttive
comunitarie, come la 2078/92 che oltre a garantire il prodotto biologico, garantiscono la
qualità e la genuinità.
Il costo complessivo dell'azione è di 250 milioni, di cui 157 a carico pubblico.
Corsi di Formazione professionale
La Sottomisura B. 5 del PAL del Gal Meridaunia prevede una sostanziale disponibilità
finanziaria di £. 765.00.000 per lo svolgimento di attività di formazione professionale,
dedicate a fornire ai soggetti dello sviluppo locale, le competenze necessarie.
Attività svolte
Sono stati realizzati 7 corsi di formazione professionale aventi come obiettivo di formare e/o
riqualificare una nuova classe imprenditoriale del territorio.
Inoltre una ulteriore attenzione è stata rivolta per far acquisire competenze specifiche nel
settore informatico.
I risultati conseguiti riguardano l'aver coinvolto i giovani disoccupati e gli imprenditori del
territorio in un periodo inteso di attività formativa, volte sia all'acquisizione di nuove
competenze che alla riqualificazione e aggiornamento di persone che già svolgevano un
attività imprenditoriale.
Esempi di filiere
Nel progetto e nella concertazione avviata, sono state individuate 5 priorità operative,
corrispondenti a 5 principali aree strategiche, rispetto alle quali articolare le azioni previste:
1. Innovazione nella qualità;
2. Costruzione di propri modelli;
3. Produzione;
4. Comunicazione e promozione;
5. Coesione sociale.
La determinazione di tali priorità è essenziale per assicurare alle azioni immediata incisività e,
per evitare la dispersione delle iniziative rispetto all’obiettivo globale.

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Lettura delle filiere agro - alimentari presenti nel territorio del GAL

Produzione di olive

Elevata vocazionalità del territorio verso le produzioni biologiche e di


Punti di forza: qualità - olive con elevate caratteristiche merceologiche che conferiscono
un olio di qualità di “pronto consumo” (olio novello)
Frammentazione e polverizzazione della produzione
Punti di debolezza: Mancata introduzione di tecniche innovative di coltivazione e di raccolta
Assenza di integrazione orizzontale
Concentrazione dell’offerta: realizzare cooperative di produzione -
incentivare l’attività di vendita delle olive alle azienda di trasformazione –
Interventi
introduzione della raccolta meccanizzata – razionalizzare la gestione
suggeriti:
tecnico-economica degli oliveti
Adesione ai consorzi di tutela e valorizzazione

Attività di trasformazione: produzione di olio

Presenza di un marchio collettivo di qualità: DOP Dauno (Regolamento


CE 2081/92) - strumenti per la tutela e la valorizzazione delle produzioni
Punti di forza: (Strada dell’olio a DOP Dauno ) – Certificazione di un buon numero di
impianti oleari secondo i metodi di agricoltura biologica (Regolamento CE
2092/91)
Assenza di una efficace politica per la qualità delle produzioni olearie
(i frantoi svolgono prevalentemente attività per conto terzi, in quanto la
Punti di debolezza:
produzione di olio è destinata prevalentemente all’auto consumo)
Vendita dell’olio allo stato “sfuso”
Incentivare l’ammodernamento tecnologico dei frantoi
Incentivare l’attività di confezionamento
Interventi
Incentivare l’utilizzo del marchio a DOP e della certificazione in biologico
suggeriti:
quali strumenti di valorizzazione delle produzioni
Adesione ai consorzi di tutela e valorizzazione

Produzione di latte:

Buona composizione dei pascoli e ottimale vocazione pedoclimatica


Punti di forza:
Elevate caratteristiche qualitative del latte
Ritardo nell’adeguamento delle strutture per il ricovero degli animali
frammentazione degli allevamenti
Assenza di una politica per la qualità e valorizzazione delle produzioni
Punti di debolezza:
Assenza di una efficace organizzazione commerciale
limitata presenza di pascoli idonei
assenza di integrazione orizzontale
Forme di cooperazione: concentrazione dell’offerta attraverso la creazione
di cooperative di produzione e/o caseifici sociali
Interventi
Introduzione di un marchio collettivo di qualità delle produzioni
suggeriti:
Migliorare l’organizzazione commerciale attraverso la nascita di consorzi
di tutela e valorizzazione -Migliorare le tecniche di allevamento e di
mungitura
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bozza non completa e non corretta -- non citare
mungitura
Incentivare l’organizzazione di strutture per la raccolta e lo stoccaggio del
latte

Attività di trasformazione: produzione di formaggi

Presenza di caseifici con moderne tecniche di trasformazione che operano


nel rispetto delle norme igienico - sanitarie.
Punti di forza:
Forte immagine di mercato grazie alla tipicità delle produzioni locali
(mozzarella, cacio ricotta, caciocavallo, canestrato, ecc.)
Limitata offerta di latte anche per la mancanza di allevamenti (diminuzione
della superficie a pascolo) -Mancanza di idonee strutture per la raccolta del
Punti di debolezza: latte
Assenza di integrazione verticale e orizzontale
Valorizzazione delle produzione attraverso una politica per la qualità
Interventi Caratterizzare le produzioni attraverso l’introduzione di marchi collettivi di
suggeriti: qualità, la certificazione e la tracciabilità delle produzioni (DOP, zootecnia
biologica)

Produzione di carne:

Consolidata tradizione e vocazione del territorio


Bassa manipolazione industriale delle produzioni accompagnate da
Punti di forza:
caratteri di genuinità e tipicità - presenza di risorse naturali da utilizzare
per l’allevamento
Ritardo tecnologico delle strutture per l’allevamento
Punti di debolezza:
Assenza di integrazione orizzontale -Assenza di management aziendale
Interventi Migliorare le tecniche di allevamento
suggeriti: Introdurre forme di allevamento di specie rustiche

Attività di trasformazione: produzione di prosciutti e insaccati

Elevata tipicità e genuinità delle produzioni


Punti di forza:
Trend di mercato positivo per le produzioni tipiche e di qualità
Punti di debolezza: Mancanza di adeguate strutture di trasformazione e macellazione
Valorizzazione delle produzione attraverso una politica per la qualità
Caratterizzare le produzioni attraverso l’introduzione di marchi collettivi di
Interventi
qualità
suggeriti:
Certificazione di prodotto e tracciabilità delle produzioni (introduzione dei
metodi di zootecnia biologica Regolamento CE 2092/91)
Produzione di uva da vino
Punti di forza: Varietà coltivate di buona qualità merceologica
Frammentazione della produzione viticola - Elevati costi di gestione
tecnica agronomica -Bassa meccanizzazione colturale -Elevati costi di
Punti di debolezza:
manodopera
Viticoltura di massa
Adesione ai piani di finanziamento della Regione Puglia per la
Interventi
ristrutturazione / riconversione dei vigneti. Adesione al Consorzio di tutela
suggeriti:
a DOC per la valorizzazione del Cacc’E Mmitte.

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Attività di trasformazione: produzione di vino

Eccellenti caratteristiche merceologiche dei vini a DOC


Punti di forza:
Buona immagine di mercato
Scarsa integrazione verticale -Scarsa penetrazione di mercato e mancata
Punti di debolezza:
applicazione di una efficace politica di marketing
Migliorare la politica per la qualità delle produzioni vinicole
Interventi Differenziazione delle produzioni vinicole
suggeriti: Incentivare le attività di marketing territoriale
Incrementare l’attività di imbottigliamento e valorizzazione dei vini

4.2.3. Conclusioni
Sono state effettuate una serie di interviste “tipo” con alcuni interlocutori privilegiati
(coordinatori del protocollo d’intesa e rappresentanti dei soggetti pubblici e privati coinvolti),
rientranti nella prevista fase di descrizione del GAL Meridaunia.
Il generale piano di ricerca e di studio in ordine alla programmazione negoziata del territorio
di Capitanata ha previsto una fase di monitoraggio specifico della condizione attuale della
fattispecie in esame.
L’analisi della struttura formale e sostanziale, qualificante l’attività del Gruppo di Azione
Locale, è finalizzata alla messa a punto di un documento rappresentativo della situazione
economica locale con riferimento alle aree con una maggiore densità programmatica.
La ricerca evidenzia come il GAL Meridaunia abbia realizzato, in parte, i presupposti alla
base della pianificazione del Leader II.
? ?Ruolo propulsivo del Pubblico: il GAL Meridaunia nasce, principalmente, dall’impegno
manifestato dalla Comunità dei Monti Dauni Meridionali (vero attore promotore),
portavoce di un interesse fortemente condizionato dal rapporto investimento e territorio.
? ? Definizione di un processo di coinvolgimento: la promozione della qualità progettuale
ha visto l’intervento di soggetti pubblici e privati, in un ottica di modernizzazione delle
logiche di investimento pubblico.
? ? Adesione delle Governance territoriali: l’interesse e la partecipazione degli enti
istituzionali, politici e sociali, alle dinamiche realizzative del GAL, ha contribuito ad
arricchire la normale dialettica delle procedure di avviamento.
? ?Coinvolgimento e partecipazione dei privati nella gestione della programmazione
economica pubblica: la definizione di un tipico percorso pubblico di programmazione
economica ha visto la solidale partecipazione dell’interesse privato, attraverso un
coinvolgimento sperimentale che è stato interpretato, da più parti, come un alleanza di
forma ma non di sostanza.

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5. Provincia di Reggio Calabria

5.1. Raffaele Trapasso L’I.C. LEADER II nel “Basso Tirreno


Reggino”

5.1.1. Descrizione dello scenario


Il territorio oggetto d’analisi, area del “Basso Tirreno Reggino”, si estende dalla parte
meridionale della Piana di Gioia Tauro fino al versante settentrionale del massiccio montuoso
dell’Aspromonte. Esso copre, dunque, una porzione di territorio afferente a tre aree PIT
distinte: “Stretto”, “Piana di Gioia Tauro” e “Aspromonte” (Vedi figura 1)91 .

FIG 1 La provincia di Reggio Calabria ed il territorio interessato dall’IC Leader II nell’area tirrenica

Stilo
Serrata

San Pietro di Carida'


Candidoni
Laureana di Borrello
San Ferdinando Bivongi
Rosarno
Feroleto della Chiesa Pazzano
Galatro Stilo
Anoia Maropati
Gioia Tauro Melicucco Monasterace
Giffone Placanica
Rizziconi Roccaforte del Greco
Polistena
Cinquefrondi Scido Riace
Camini

Cosoleto Caulo nia

San Giorgio Morgeto Stignano


Palmi

Taurianova Mammola
Delianuova
San Giovanni di Gerace
San
Cittanova Gioiosa
Lorenzo
Bagalad Jonica Roccella Jonica
Seminara
Terranova
Varapodio Canolo i Condofuri
Martone
Agnana Calabra

Bagnara Calabra Melicucca' Molochio


Oppido Mamertina
Antonimina Marina di Gioiosa Jonica

Gerace
Cimina'
Siderno
Sant'Eufemia

Villa San Giovanni


Fiumara
Scilla d'Aspromonte
Sinopoli
Santa Cristina
d'Aspromonte
Portigliol
Locri

San Roberto Roghudi


Campo Calabro Plati' a Ionio
Sant'Ilario dello
Calanna
Sant'Alessio Ardore
Benestare
Santo Careri
Laganadi Stefano
San Luca
Motta San Giovanni Bovalino
Reggio Calabria
Casignana

Sant'Agata del Bianco Bianco


Cardeto Samo
Africo Caraffa del Bianco

Bruzzano Zeffirio Ferruzzano


Montebello Jonico
Bova Staiti

Brancaleone

Palizzi
Bova Marina

Maelito di Porto Salvo

91
Nell’analisi attuata a livello provinciale (vedi “Rapporto Intermedio”) è stata effettuata una
suddivisione territoriale che ha accorpato le aree PIT “Gioia Tauro” e “Aspromonte” in
un'unica zona sistemica. Anche secondo questa aggregazione, il territorio qui analizzato
risulta a cavallo tra la “Area metropolitana” e la “Area tirrenica”.
88
bozza non completa e non corretta -- non citare
Vi si trovano comprese, perciò, aree con diverse caratteristiche sociali ed economiche: quelle
della “Piana di Gioia Tauro” che, escludendo l’area metropolitana, può considerarsi come il
territorio più dinamico dell’intera provincia (si veda il “Rapporto Intermedio”); quelle interne
dell’Aspromonte, parte di uno dei più grandi parchi nazionali d’Italia, che presentano, però,
gravi problemi di marginalità economica manifestata in primis da un accentuato
depopolamento (Vedi Tabella 1); ed, infine, i comuni appartenenti al sistema metropolitano
del Capoluogo che vanno a costituirne l’hinterland.
Tra le differenze più rilevanti e che, come sarà mostrato, hanno rilevanza per l’analisi
compiuta, debbono essere evidenziate:
1. la presenza di un centro abitato di dimensioni relativamente grandi quale Palmi (circa
20'000 abitanti) che fa parte del sistema della Piana di Gioia Tauro e, comunque,
l’eterogeneità dimensionale tra i comuni dell’area;
2. la presenza di comuni prettamente montani e comunità che insistono in pianura con le
conseguenti differenze nella struttura produttiva;
3. infine, andamenti demografici dissimili che testimoniano una confluenza delle
popolazioni montane verso la zona litoranea (Il comune di Palmi, in particolare,
registra forti tassi di incremento demografico – Vedi tabella 1) ed, in particolare, verso
la città di Reggio Calabria.

Tab. 1 Andamento demografico e partecipazione al mercato del lavoro nell’area del Basso Tirreno reggino
Tasso di Pop. > 65 Pop. Anziana Pop. Attiva
Comuni Pop. 1981 Pop. 1991 Pop. 2001 spop. 81-01 anni (1991) (1991)
(%) (1991)
Bagnara Calabra 11.194 11.048 11.230 0,32 1.524 13,79 4.030
Cosoleto 1.382 1.154 976 -29,38 217 18,80 400
Delianuova 3.686 3.178 3.584 -2,77 622 16,73 1.422
Melicuccà 1.436 1.214 1.079 -24,86 295 24,30 469
Molochio 3.201 3.078 2.803 -12,43 532 17,28 1.359
Oppido Mamertina 6.465 6.252 5.559 -14,01 1.071 17,13 2.438
Palmi 18.386 19.116 19.435 5,71 2.676 14,00 7.788
San Procopio 738 708 617 -16,40 128 18,08 315
Santa Cristina d’Aspromonte 1.297 1.168 1.095 -15,57 255 21,83 478
Santa Eufemia d’Aspromonte 4.223 4.184 4.074 -3,52 727 17,38 1.925
Scido 1.291 1.152 1.047 -18,90 193 16,75 499
Scilla 5.746 5.555 5.176 -9,20 953 17,16 1.997
Seminara 4.355 3.965 3.352 -23,03 609 15,36 1.686
Sino poli 2.468 2.535 2.329 -5,63 343 13,53 1.185
Terranova Sappo Minulio 668 545 537 -19,61 114 20,92 217
Parapodio 3.126 2.460 2.329 -25,50 361 14,67 916
Totale Area 69.662 67.852 65.222 -6,37 10.620 15,65 27.124
Provincia di Reggio C. 573.093 576.693 564.223 -1,548 84.637 14,68 223,962
Fonte: Elaborazioni su dati Istat

89
bozza non completa e non corretta -- non citare
Dall’analisi territoriale si nota, inoltre, che la dualità abitativa, in quest’area, non è così
spiccata come in altre parti della provincia, i comuni litoranei, infatti, non derivano da
insediamenti preesistenti nell’area interna (la cosiddetta marinizzazione). Molto grave appare
il fenomeno del depopolamento che in venti anni (1981 – 2001) ha portato via all’area oltre il
6 per cento della popolazione complessiva. L’unico incremento significativo è quello del
Comune di Palmi che si avvicina alla soglia dei 20'000 abitanti e presenta, ormai, le
caratteristiche, e le problematiche, di un nucleo urbano vero e proprio.
Per spiegare il raggruppamento di questi comuni è necessario ricordare che, a suo tempo
(prima metà degli anni Novanta), ai fini dell’individuazione delle aree oggetto dell’IC Leader
II in Calabria, la Regione ha fatto riferimento alla zonizzazione già utilizzata per delimitare la
base territoriale dei Centri di Divulgazione Agricola (CE.D.A.) operanti nel territorio
calabrese, ricavando 22 aree caratterizzate da caratteri di omogeneità socio-culturale ed
economico-produttiva92 .
Dal punto di vista orografico il “Basso Tirreno Reggino” è divisibile in tre aree principali:
1. l’area pianeggiante nella quale si trovano i comuni più popolati e caratterizzati da
un’agricoltura relativamente intensiva che si concentra nella produzione ulivicola e
agrumicola (sistema produttivo della “Piana di G. T.”);
2. la zona collinare (fino a 200 m. s.l.m.) caratterizzata dalla presenza di piccoli centri e
nella quale hanno rilevanza principale in termini di produzione agricola, la
coltivazione dell’ulivo e della vite.
3. la zona montana (da 500 m. s.l.m.) che in gran parte ricade nel Parco Nazionale
d’Aspromonte nella quale non è presente una coltura dominante.
Nella tabella sottostante (tabella 2) è possibile notare la percentuale di territorio montagnoso
presente in ogni comune.

92
In queste aree operavano i divulgatori dell’ARSSA per promuovere l’ottimizzazione e
l’ammodernamento della produzione agricola regionale. Cfr. Edoardo Mollica, Le politiche
strutturali dell’Unione Europea per la promozione dello sviluppo rurale L’attivazione della
direttiva Leader II nell’area del “Basso Tirreno Reggino”, Laruffa Editore, Reggio Calabria,
1998.
90
bozza non completa e non corretta -- non citare

Tab.2 Incidenza area di montagna nell’area del Basso Tirreno (%)


Bagnara Calabra 0
Cosoleto 100 Leggenda
Delianuova 100
Melicuccà 0
Molochio 64,8 ? Aree
Oppido Mamertina 51,6 montane
Palmi 0
San Procopio 0 ? Aree
Santa Cristina d’Aspromonte 100 pianeggianti
Santa Eufemia d’Aspromonte 100
Scido 100
Scilla 100
Seminara 0
Sino poli 100
Terranova Sappo Minulio 0
Varapodio 31,9
Totale Area 46,6
Provincia di Reggio C. 61,3

Aspetti socio-economici del “Basso Tirreno Reggino”


Il deflusso della popolazione e la modernizzazione dei costumi hanno causato un forte
arretramento, in termini di occupati, del settore agricolo a favore di una generalizzata
terziarizzazione dell’economia che, se spiegabile per i comuni di maggiori dimensioni, appare
come un segno di debolezza per le comunità più piccole dell’interno.
Nell’analisi è necessario, tuttavia, ricordare le peculiarità dell’area nella quale insistono
contemporaneamente i terreni pianeggianti, e produttivi, della Piana di Gioia Tauro e ampie
zone collinari e montane, nella quale si attua un’agricoltura basata sul terrazzamento degli
appezzamenti disponibili con le ovvie difficoltà di meccanizzazione dell’attività produttiva.
Altra variabile è quella dimensionale: nei comuni maggiori (Palmi, Bagnara Calabra e Scilla)
la crescita delle attività terziarie è, probabilmente, dovuta all’aumento dell’importanza di
questi centri nei confronti del territorio di riferimento.
L’Area del Basso Tirreno Reggino, nel suo complesso, presenta un tasso di attività stimato del
38,94% al 2001 (39,97% al 1991), un livello piuttosto esiguo se confrontato con i livelli
provinciale (63,50% al 1991) e regionale (63% al 1991) giustificabile, in parte, per la
presenza dei comuni interni che registrano, a causa dell’invecchiamento degli abitanti, tassi di
partecipazione al lavoro del tutto marginali.
Nel seguito sono mostrati alcuni dati riferiti al 1991 (tabella 3 e grafico 1).

91
bozza non completa e non corretta -- non citare

Tab. 3 Popolazione attiva suddivisa per condizione professionale al 1991


In cerca di prima
Comuni Occupati v. a. Disoccupati v.a. totale
occupazione v.a.
Bagnara Calabra 2314 735 981 4030
Cosoleto 289 41 70 400
Delianuova 1031 113 278 1422
Melicuccà 319 35 115 469
Molochio 998 157 204 1359
Oppido Mamertina 1513 285 640 2438
Palmi 5155 671 1962 7788
San Procopio 231 48 36 315
Santa Cristina d’Aspromonte 312 75 91 478
Santa Eufemia d’Aspromonte 1551 163 211 1925
Scido 297 129 73 499
Scilla 1180 260 557 1997
Seminara 995 293 398 1686
Sino poli 808 179 198 1185
Terranova Sappo Minulio 129 49 39 217
Varapodio 527 154 235 916
Totale Area 17649 3387 6088 27124
Fonte: Elaborazioni su dati Istat

Graf 1 Popolazione attiva suddivisa


per condizione professionale

22%

13%
65%

occupati disocupati in cerca di prima occ

I dati sulla disoccupazione sono dunque molto preoccupanti, vi è però da aggiungere che,
sempre al 1991 l’area considerata presentava un reddito pro-capite di poco inferiore alla
media provinciale e superiore alla media regionale.

92
bozza non completa e non corretta -- non citare

5.1.2. La storia (il processo di concertazione e la costruzione del PAL)


Nella prima metà degli anni Novanta la Facoltà di Architettura dell’Università di Reggio
Calabria, per mezzo del proprio dipartimento P.A.U. (Patrimonio Architettonico Urbanistico),
realizza uno studio sulle risorse paesaggistiche, architettoniche e produttive nella Piana di
Gioia Tauro e nei territori interni ad essa limitrofi. Lo scopo è di acquisire le informazioni
necessarie alla definizione di un piano di intervento per la riqualificazione sociale ed
economica delle aree interne, in particolare al recupero architettonico dei centri abitati di
maggiore valore storico93 .
Tale “bagaglio” di informazioni posseduto da alcuni ricercatori dell’Ateneo trova (insperata)
possibilità di utilizzo allorquando la Regione avvia le procedure per implementare in Calabria
l’Iniziativa Comunitaria Leader II, destinata proprio allo sviluppo di aree rurali interne che
presentino caratteristiche di marginalità sociale ed economica.
Il territorio regionale viene suddiviso in 22 aree94 ed, in particolare, il comprensorio che era
stato oggetto dell’analisi universitaria, è ripartito in due sub-aree: l’Alto Tirreno Reggino ed
il Basso Tirreno Reggino.
L’Università, nella persona di un ricercatore particolarmente attivo sul territorio, apre un
confronto con gli amministratori locali dei due territori per convincerli a definire lo strumento
di intervento (il Piano di Azione Locale) necessario per accedere all’IC.
Questa “animazione istituzionale” ha successo solo nel Basso Tirreno Reggino, dove l’Ateneo
trova nell’allora sindaco di Palmi, un politico noto e potente, un alleato forte capace di
influenzare gli altri amministratori. Hanno, dunque, luogo due dinamiche distinte ma
complementari: l’attività di promozione viene svolta sia da un ente terzo ma con un’elevata
accountability (l’Università), sia da un elemento politico fortemente integrato nella zona
capace di suscitare comportamenti emulativi/imitativi negli altri amministratori del territorio.
Su queste basi poggia il lungo periodo di concertazione che, iniziato nel 1994, avrà fine solo
nel 199795 .

93
Questa specificazione è dovuta all’impostazione culturale dei ricercatori, provenienti, come
detto, dalla Facoltà di Architettura.
94
Vedi § 1 e la nota 2.
95
Un lasso temporale così ampio si deve anche al ritardo con cui la Regione ha dato avvio
alle procedure per implementare l’IC in questione nel territorio calabrese.
93
bozza non completa e non corretta -- non citare
In questi tre anni viene definito il PAL che, basato sull’analisi svolta dalla Facoltà di
Architettura, assume caratteristiche molto peculiari. L’idea forza, infatti, si sdoppia in due
azioni principali:
a) tutela e valorizzazione delle risorse naturali/paesaggistiche e del patrimonio costruito
di rilevanza storica;
b) sviluppo delle produzioni artigianali ed agricole di qualità e afferenti alle tradizioni
locali.
Sono previste inoltre delle azioni trasversali rispetto agli obiettivi appena illustrati:
- promozione del turismo rurale;
- job creation;
- formazione professionale;
- promozione e valorizzazione.
Nel suo insieme il PAL (illustrato nella figura 2) si presenta come una struttura matriciale
nella quale i due obiettivi principali (le “idee forza”) sono intersecati da 4 azioni ad essi
trasversali: la promozione del turismo rurale, la job creation, la formazione professionale e la
promozione e valorizzazione dei prodotti o delle amenità locali.

Fig. 2 Articolazione del Piano di Azione Locale “Basso Tirreno Reggino” 96

Processi di sviluppo verticale


TURISMO
RURALE

TUTELA E PRODUZIONE DI
VALORIZZAZ. QUALITA’

JOB
CREATION SISTEMA VALORIZZAZ: PRODUZIONE PRODUZIONE
PAESAGGI PARTRIMONIO AGRICOLA ATRIGIANALE
Processi di PROTETTI COSTRUITO
sviluppo
intrasettoriale
SALVAGUARDI RECUPERO DISCIPLINARE
FORMAZ.IONE A E FRUIZIONE TECNICHE E DI CONTROLLO
TRADIZIONI
PROFESS.

VALORIZZAZ. AVVIO SOSTEGNO E


DELLE RISORSE CANTIERI INNOVAZIONE
SCUOLA

PROMOZIONE
VALORIZZAZ. POLITICHE DI
MARCHIO

96
Edoardo Mollica, op. cit., p. 177.
94
bozza non completa e non corretta -- non citare

Nel 1997 viene costituito il Gruppo di Azione Locale denominato VATE (acronimo di
“Valorizzazione Architettura, Territorio ed Economia”) sotto la forma giuridica della Società
Consortile a responsabilità limitata. Di esso fanno parte i seguenti soci:
ENTI LOCALI
?? Comunità Montana "Versante Tirrenico Meridionale"

?? Comune di Bagnara Calabra

?? Comune di Delianuova

?? Comune di Melicuccà

?? Comune di Molochio

?? Comune di Oppido Mamertina

?? Comune di Palmi

?? Comune di San Procopio

?? Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte

?? Comune di Santa Cristina d’Aspromonte

?? Comune di Scido

?? Comune di Scilla

?? Comune di Seminara

?? Comune di Sinopoli

?? Comune di Terranova Sappo M.

?? Comune di Varapodio 97
ISTITUTI DI CREDITO
?? Banca Popolare di Polistena

ENTI DI RICERCA, PROMOZIONE E SVILUPPO


?? Università “Mediterranea” di Reggio Calabria. Dipartimento P.A.U.

97
Si noti che il comune di Cosoleto, pur rientrando nell’area considerata non fa parte della
compagine partenariale del GAL “VATE”.
95
bozza non completa e non corretta -- non citare
?? Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte

?? CCIAA di Reggio Calabria

ASSOCIAZIONI IMPRENDITORIALI E DI CATEGORIA


?? Associazione degli Industriali della Provincia di Reggio Calabria

?? Confesercenti di Reggio Calabria

?? InfoCoop Calabria

ASSOCIAZIONI CULTURALI E AMBIENTALISTE

?? GEA (Gruppo Escursionisti d’Aspromonte)98

5.1.3. La gestione dell’Intervento (azioni effettuate)


Anche la fase di implementazione dell’Intervento territoriale nel Basso Tirreno Reggino
risulta particolarmente influenzata dalla presenza dell’Ateneo. Esso, infatti, per mantenere una
forte autonomia decisionale nella gestione del PAL, sottoscrive il 30 % delle quote consortili.
In accordo con il Presidente del CdA (il sindaco di Palmi), al Rettore dell’Università viene
affidata la presidenza del Comitato Scientifico (di cui fanno parte anche alcuni docenti
universitari) interno al GAL che ha come compito, oltre alla supervisione scientifica del
progetto, la nomina del direttore tecnico. Tale ruolo viene assegnato, perciò, proprio a quel
ricercatore universitario che per primo aveva visto nell’IC Leader II la possibilità di mettere a
frutto la lunga ricerca compiuta nel territorio.
Questo soggetto è ben conosciuto e apprezzato dalla compagine partenariale che di fatto gli
riconosce la paternità dell’intervento e ripone in lui piena fiducia.
L’implementazione del Piano è, dunque, gestita prevalentemente dall’Università e dal sindaco
di Palmi che, di fatto, sono gli unici soggetti sufficientemente “attrezzati” per la conduzione
di un intervento dall’architettura complessa qual è il Leader II del “Basso Tirreno Reggino”.
Inoltre l’Università costituisce il CE.RE.RE (Centro Regionale per il Recupero dei centri
storici) che viene individuato dal GAL quale soggetto beneficiario per alcuni interventi di
riqualificazione architettonica.
Come da programma le azioni sono rivolte principalmente alla creazione di risorse
immateriali che possano innescare fenomeni di sviluppo economico e sociale nel territorio.

98
La netta prevalenza degli enti locali è dovuta alla stessa IC che prevedeva una preminenza
di tali istituzioni all’interno dei GAL.
96
bozza non completa e non corretta -- non citare
Esse possono essere suddivise in due gruppi: 1) azioni afferenti all’obiettivo della
valorizzazione dei prodotti tipici locali (artigianali e agricoli), 2) azioni rivolte allo sviluppo
del turismo rurale.
1. Per quanto concerne il primo gruppo il GAL, ha prodotto un disciplinare (insieme al
CERERE) per mezzo del quale è stato individuato un “paniere delle tipicità” utilizzato
per selezionare alcune aziende che, una volta consorziatesi, hanno potuto usufruire di
finanziamenti per la partecipazione ad eventi fieristici, l’ampliamento della propria
capacità produttiva ed un sostegno tecnico fornito da soggetti appositamente formati.
Particolarmente significativa è, poi, l’azione che il “VATE” ha promosso per la
regolarizzazione dei piccoli frantoi nel territorio ulivetato della Piana. Queste piccole
aziende di trasformazione, infatti, sono spesso sprovviste degli impianti di depurazione
delle acque di scarico del processo di lavorazione che sono altamente inquinanti.
Interessante, inoltre, è l’azione volta alla job creation che, sempre nel settore agricolo, il
GAL ha realizzato tramite una “manifestazione d’interesse” mediante la quale sono state
raccolte le business ideas dei giovani dell’area. A questa fase ha fatto seguito la
selezione di quelle più significative per le quali è stato predisposto un processo
formativo ad hoc ed, infine, un aiuto diretto alla costituzione vera e propria dell’azienda.
Da questa azione è nata, però, una sola azienda: una cooperativa di giovani dedita alla
coltivazione di piccoli frutti del sottobosco, prodotti di nicchia ad alto valore aggiunto99 .
2. Nel secondo gruppo, turismo rurale, rientrano le azioni rivolte al recupero dei centri
storici (realizzate con il CERERE) e del loro patrimonio architettonico ed artistico. In
quest’ambito sono stati promossi alcuni bandi per selezionare imprese alle quali
assegnare i lavori con la condizione dell’utilizzo dei materiali tipici usati in questa parte
della Calabria, proponendo, inoltre, apposite azioni formative. Altre iniziative a favore
del turismo rurale hanno previsto la promozione di campagne archeologiche
(Archeoturismo) in zone che presentavano resti di epoca storica mai sottoposti ad
indagine. Infine si segnala la partecipazione del GAL ad eventi fieristici settoriali quali
la BIT (Borsa Italiana del Turismo) di Milano.

99
Per quest’intervento il GAL ha chiesto al Provveditorato agli studi di poter intervenire nelle
classi 4^ e 5^ delle scuole medie superiori del proprio territorio, inserendo, nei programmi
didattici, 2 ore settimanali di “cultura di impresa”. I contatti così realizzati sono stati circa
4000. A questa azione ha fatto seguito, come detto, il lancio di una “manifestazione
d’interesse” che ha raccolto 60 domande. Una ulteriore selezione ha ridotto il numero dei
progetti a 10, ma come visto solo uno tra questi è passato alla fase operative.
97
bozza non completa e non corretta -- non citare
Trasversalmente ai due gruppi si pongono le azioni volte alla creazione di punti di
ristorazione specializzati nelle tipicità locali e la partecipazione del “VATE” al progetto
transnazionale “Parallelo 40” rivolto alla valorizzazione delle amenità locali insieme ad alcuni
GAL portoghesi e spagnoli.
Nel complesso il GAL ha realizzato 55 interventi in 16 comuni nell’arco del periodo 1997 –
2001, arrivando ad una spesa complessiva dell’86% del finanziamento iniziale
(rispettivamente 6,02 miliardi e 7 miliardi).

5.1.4. Conclusioni dell’analisi


La presenza dell’Università si è rivelata, per questa iniziativa, di fondamentale importanza e
può essere considerato il vero “impatto” del Leader II nell’area del Basso Tirreno Reggino.
Essa infatti ha funzionato come vera e propria mesoistituzione dando vita all’azione collettiva
che ha permesso l’istituzione del GAL100 . Quest’ultimo forte dell’accountability derivante
dall’Università e dall’altissima qualificazione del proprio personale direttivo (ricercatori e
docenti dell’Ateneo) ha iniziato a prodursi in una serie di interventi di grande portata
arrivando a diventare il soggetto proponente del Patto Territoriali di Gioia Tauro (non andato
a buon fine per la forte intromissione politica101 ) e del PIT Aspromonte.
Non mancano, però, alcuni punti problematici:
?? la presenza di comuni fortemente differenziati per dimensione (dai 18'000 abitanti di
Palmi ai 600 di Terranova Sappo Minulio) ha portato quelli più grandi ad assumere un
ruolo di predominio all’interno del GAL “VATE”, cosa che ha ridotto l’effetto

100
Le istituzioni intermedie sono soggetti cui è demandata l’offerta localmente differenziata di
beni pubblici; i benefici attesi di tali beni risultano massimi in corrispondenza di un numero
circoscritto di partecipanti (beni pubblici selettivi). Il ruolo delle istituzioni intermedie è
dunque quello di coordinare e mobilitare le risorse collettive. Senza l’intervento di questi
organismi, l’azione collettiva, anche se “giusta”, rischia di non avere seguito. Una frase di A.
de Toqueville sulla descrizione del funzionamento della società americana è utile per
comprendere come pure in assenza di comportamenti opportunistici, senza che il mercato
“fallisca” e senza particolari egoismi, le azioni collettive possono arenarsi o non aver luogo:
“iniziative utili che richiedono continua cura continua ed esattezza rigorosa per riuscire,
restano spesso abbandonate; poiché in America, come altrove, il popolo procede con sforzi
momentanei ed impulsi improvvisi”. È, quindi, necessario che qualcuno prenda in mano la
“direzione dei lavori”: questo qualcuno è l’istituzione intermedia. Cfr. Alessandro Arrighetti e
Gilberto Serravalli (a cura di), Istituzioni intermedie e sviluppo locale, Donzelli Editore,
Roma, 1998.
101
Si conferma, in questa fattispecie, che la vera forza dell’IC Leader II sia stata la dotazione
finanziaria “modesta” che non ha attirato gli interessi politico/clientelari che invece hanno
determinato il fallimento di un intervento di portata ingente (100 mld di finanziamento) qual è
il Patto Territoriale.
98
bozza non completa e non corretta -- non citare
didattico del Leader II nelle comunità più interne che ne costituivano, invece,
l’obiettivo principale.
?? La stessa università, per motivi di impreparazione ad affrontare le dinamiche proprie
della concertazione, nella seconda metà del periodo di implementazione ha “mollato la
presa”, lasciando campo libero ai sindaci dei comuni maggiori (tutti litoranei); cosa
che ha causato il malumore dei comuni dell’interno.

Ad oggi il GAL “VATE” espleta la funzione di “Unità tecnica di gestione” del PIT
Aspromonte (diretto a suo volta dall’ex direttore tecnico del GAL) ed ha presentato un nuovo
Piano di Azione Locale, aggiudicandosi i finanziamenti dell’IC Leader Plus.

99
bozza non completa e non corretta -- non citare

5.2. Raffaele Trapasso L’I.C. LEADER II nell’Area Grecanica

5.2.1. Descrizione dello scenario


L’Area Grecanica si estende all’estremità orientale della provincia di Reggio Calabria (vedi
fig. 1), su un territorio montuoso che degrada bruscamente nel mar Ionio. Le caratteristiche
orografiche sono state causa di un sostanziale isolamento del territorio rispetto alla provincia:
la presenza dell’Aspromonte e dello Zomaro, hanno costituito una barriera che, storicamente,
ha reso difficili le comunicazioni con il litorale tirrenico, ed in particolare la “Piana di Gioia
Tauro”. È, però, proprio questo prolungato isolamento che ha permesso alla cultura magno-
greca102 di mantenersi, in questo territorio, pressoché intatta negli usi, nei costumi e, last but
not least, nella lingua.

102
Si presume che intorno al XV secolo gran parte della Calabria meridionale (da Reggio
Calabria fino a Catanzaro) fosse ellenofonica, almeno nelle fasce più povere di popolazione.
Le successive immigrazioni in epoca bizantina hanno rinforzato questa “radice culturale”, poi
dispersasi in quasi tutto il territorio regionale (per l’azione della chiesa) e che, invece, ha
resistito lungamente nell’area oggetto d’analisi.
100
bozza non completa e non corretta -- non citare

FIG 1 La provincia di Reggio Calabria e l’Area Grecanica

Stilo Grotteria
Serrata

San Pietro di Carida'


Candidoni
Laureana di Borrello
San Ferdinando Bivongi
Rosarno
Feroleto della Chiesa Pazzano
Galatro Stilo
Anoia Maropati
Gioia Tau ro Monasterace
Melicucco
Giffone Placanica
Rizziconi Camini
Polistena
Cinquefrondi
Riace
Caulonia

Palmi San Giorgio Morgeto Stignano

Taurianova Scido
Varapodio
Cittanova
Mammola
San Giovanni di Gerace

Gioiosa Jonica

Seminara
Delianuova
Terranova
Cosoleto Canolo
Martone
Agnana Calabra
Roccella Jonica

Melicucca' Antonimina Marina di Gioiosa Jonica


Bagnara Calabra
Oppido Mamertina
Molochio Gerace
Cimina'
Siderno
Sant'Eufemia Roccaforte del Greco
Scilla d'Aspromonte
Villa San Giovanni Santa Cristina
d'Aspromonte Locri

Campo Calabro
Fiumara San Roberto Sinopoli Plati'
Portigliola
Sant'Ilario dello Ionio
Roghudi
Calanna

Sant'Alessio Ardore
Santo Stefano Benestare
Careri
Laganadi

San Luca
Bagalad Bovalino
i
Reggio Calabria
Casignana
Roccaforte del Greco
Sant'Agata del Bianco Bianco
Cardeto
Samo
Africo Caraffa del Bianco
Roghudi

Bagaladi

Motta San Giovanni


Ferruzzano
Bruzzano Zeffirio
San Lorenzo
Montebello Jonico
Bova Staiti
San Lorenzo Condofuri
Condofuri
Montebello Jonico
Brancaleone

Palizzi
Bova Marina

Maelito di Porto Salvo

Gli insediamenti abitati originari si trovano, quasi tutti, nell’area montana; gli antichi abitanti
della zona sfuggivano dalla pirateria e dalle malattie endemiche delle zone litoranee divenute
paludose a causa della mancata coltivazione. Sui versanti montani esposti al mare e nelle zone
litoranee non paludose si produceva il bergamotto un agrume aromatico destinato
all’esportazione per fabbricazione di profumi o di altri prodotti. Un sistema equilibrato,
dunque, nel quale il sistema abitativo montano si rivolgeva in senso produttivo sia alle risorse
della montagna, sia ai terreni coltivabili del litorale.
Le bonifiche effettuate nel XX secolo avrebbero dovuto fortificare questa interazione,
mettendo a disposizione una quantità di terra maggiore a questo “sistema chiuso”. In realtà,
l’improvvisa modernizzazione della società ha causato uno scompenso tra la società
contadina-pastorale tradizionale e i nuovi modelli socioculturali. Le aumentate esigenze
abitative della popolazione, i frequenti terremoti e le alluvioni hanno favorito la
marinizzazione della popolazione: quasi tutte le comunità dell’Area Grecanica sono
caratterizzate dallo sdoppiamento dell’abitato. Una “micro-migrazione” che ha causato il
101
bozza non completa e non corretta -- non citare
progressivo spopolamento dei centri storici e che, unita al flusso migratorio vero e proprio, ha
determinato il netto impoverimento del capitale umano complessivo della zona (vedi tabella
1).

Tab. 1 Saldi della popolazione nei comuni dell’Area Grecanica dal 1951 al 2001
Var. % Var. % Var. % Var. % Var.% Var. %
1951 1961 1971 1981 1991 2001 61/51 71/61 81/71 91/81 01/91 01/51
Bagaladi 2.201 2.011 1.963 1523 1437 1.303 -8,6 -2,4 -22,4 -5,6 -9,3 -40,8
Bova 2.126 1.772 1.334 1175 602 523 -16,7 -24,7 -11,9 -48,8 -13,1 -75,4
Bova Marina 4.082 3.875 3.867 3786 4371 4.367 -5,1 -0,2 -2,1 15,5 -0,1 7,0
Brancaleone 4.389 3.916 3.670 3931 4014 3.935 -10,8 -6,3 7,1 2,1 -2,0 -10,3
Condofuri 5.593 5.323 5.033 5316 5461 5.348 -4,8 -5,4 5,6 2,7 -2,1 -4,4
Melito P.S. 8.493 8.468 9.047 9237 10727 11.287 -0,3 6,8 2,1 16,1 5,2 32,9
Montebello J. 7.782 7.427 6.898 7567 7521 7.037 -4,6 -7,1 9,7 -0,6 -6,4 -9,6
Palazzi 4.996 4.370 3.257 3047 3085 2.749 -12,5 -25,5 -6,4 1,2 -10,9 -45,0
Roccaforte G. 1.727 1.576 1.292 1186 1213 800 -8,7 -18,0 -8,2 2,3 -34,0 -53,7
Roghudi 1.725 1.523 854 1868 1530 1.391 -11,7 -43,9 118,7 -18,1 -9,1 -19,4
San Lorenzo 5.442 4.813 4.114 4299 3934 3.543 -11,6 -14,5 4,5 -8,5 -9,9 -34,9
Staiti 1.331 1.050 822 742 516 372 -21,1 -21,7 -9,7 -30,5 -27,9 -72,1
TOTALE PIT 23 51.838 48.085 44.122 43677 44411 42.655 -7,2 -8,2 -1,0 1,7 -4,0 -17,7
Fonte: Istat (1951-1981) e dati comunali (2001)

Ad abbandonare le comunità di quest’area sono stati soprattutto i giovani. Come può


osservarsi dai dati raccolti (vedi tabella 2) si osservano indici di vecchiaia, indici di
dipendenza ed indici di invecchiamento della popolazione superiori a quelli osservati in altre
aree della provincia, fatta eccezione per alcuni centri della “area ionica” (vedi “Rapporto
intermedio”). Ciò indica che la popolazione dell’Area si concentra soprattutto nelle fasce dei
“giovanissimi” (0 – 14 anni) e degli “ultra 65enni”.

Tab. 2 Indice di vecchiaia, Indice di dipendenza ed Indice di invecchiamento nell’Area Grecanica

Indice di vecchiaia Indice di dipendenza Indice di invecchiamento

1991 1998 2001 1991 1998 2001 1991 1998 2001


Bagaladi 129,7 160,7 208,5 66,2 67,5 63,5 22,5 24,8 26,2
Bova 195,7 255,4 309,4 51,3 57,5 70,9 22,4 26,2 31,4
Bova Marina 97,7 126,0 164,6 55,4 58,0 65,8 17,6 20,5 24,7
Brancaleone 100,3 127,5 535,8 55,2 59,1 36,3 17,8 20,8 22,5
Condofuri 73,8 97,6 120,2 52,7 46,7 49,6 14,6 15,7 18,1
Melito di Porto Salvo 74,0 80,0 105,6 58,7 48,5 46,2 15,7 14,5 16,1
Montebello Jonico 78,0 114,1 147,9 56,6 57,3 54,7 15,8 19,4 21,1
Palazzi 123,8 167,1 191,2 55,7 61,9 60,0 19,8 23,9 24,6
Roccaforte del Greco 108,4 105,1 147,7 53,3 62,9 69,1 18,1 19,8 24,4
Roghudi 95,2 101,6 116,2 55,1 49,5 55,2 17,3 16,7 19,1
San Lorenzo 113,9 147,6 205,6 56,3 57,0 66,7 19,2 21,6 26,9
Staiti 306,9 417,9 344,7 67,4 90,6 83,3 30,4 38,4 35,2
Totale PIT 91,0 114,0 154,9 56,5 54,5 53,0 17,2 18,8 21,0
Fonte: elaborazioni su dati comunali (2001)
Indice di vecchiaia = rapporto percentuale tra le persone di oltre 65 anni ed i 0-14 enni
Indice di dipendenza =rapporto percentuale fra la somma degli ultra-sessantacinquenni e i 0-14enni e la popolazione attiva (15-64) anni
Indice di invecchiamento= rapporto percentuale tra gli ultra-sessantacinquenni e la popolazione totale

102
bozza non completa e non corretta -- non citare
I dati raccolti, inoltre, andrebbero ulteriormente disaggregati: la presenza di un abitato
sdoppiato, infatti, fa sì che la parte di popolazione anziana, per ragioni economiche o sociali
(place attachment) risieda nei borghi antichi dei comuni, mentre gli adulti e i giovani si
concentrano nella zona litoranea. Si tenga conto che gli insediamenti antichi sono spesso assai
distanti dalle marine, ciò viene confermato dal dislivello che caratterizza ogni territorio
comunale dell’area in analisi (vedi tabella 3).

Tab. 3 I comuni dell’Area Grecanica: territorio e popolazione

Altitudine (m) Superficie (Kmq) Popolazione residente


Densità
Maschi Femmine ab./kmq
Centro Min Max v.a. % Totale
v.a. % v.a. % v.a. %
Bagaladi 473 350 1.673 30,81 6,0 1.303 3,1 619 47,5 684 52,5 42,3
Bova 820 140 1.275 46,74 9,1 523 1,2 275 52,6 248 47,4 11,2
Bova Marina 20 0 642 29,52 5,7 4.367 10,2 2129 48,8 2238 51,2 147,9
Brancaleone 12 0 525 35,91 7,0 3.935 9,2 1888 48,0 2047 52,0 109,6
Condofuri 339 0 1.139 58,53 11,4 5.348 12,5 2672 50,0 2676 50,0 91,4
Melito di Porto Salvo 28 0 781 35,33 6,9 11.287 26,5 5512 48,8 5775 51,2 319,5
Montebello Jonico 425 0 1.081 55,67 10,8 7.037 16,5 3447 49,0 3590 51,0 126,4
Palazzi 272 0 1.013 52,26 10,1 2.749 6,4 1355 49,3 1394 50,7 52,6
Roccaforte del Greco 971 344 1.818 54,03 10,5 800 1,9 398 49,8 402 50,3 14,8
Roghudi 55 24 1.818 36,49 7,1 1.391 3,3 722 51,9 669 48,1 38,1
San Lorenzo 787 0 1.650 64,17 12,5 3.543 8,3 1752 49,4 1791 50,6 55,2
Staiti 550 32 984 15,95 3,1 372 0,9 167 44,9 204 54,8 23,3
Totale PIT 23 515,41 6,2 42.655 100,0 20936 49,1 21718 50,9 82,8
Prov. Reggio Calabria 3.183,19 1,0 570.064 7,5 278.882 48,9 291.182 51,1 179,1
Calabria 15.080,32 0,2 2.043.288 2,1 1.003.265 49,1 1.040.023 50,9 135,5
Fonte: elaborazioni su dati comunali (2001) e per provincia e regione Istat 2001

La pressione antropica sul litorale, non amministrata correttamente, ha causato un


deterioramento paesaggistico (molto accentuato nella zona è il fenomeno dell’abusivismo
edilizio) ed economico (rispetto ai dati degli anni Settanta, le terre destinate alla produzione
del bergamotto si sono ridotte del 50% circa). Senza considerare il problema idrogeologico,
causato dalla mancata manutenzione dell’ambiente montano, e della erosione delle coste,
aggravata da alcuni interventi dello Stato che dovevano procurare sviluppo ed, invece, hanno
aumentato il disagio (tipico esempio di intervento eterodiretto poco oculato è il Porto di
Saline, enorme infrastruttura quasi del tutto inutilizzata).
Anche le comunicazioni assumono una connotazione del tutto peculiare; la struttura viaria,
infatti, ha una forma a “pettine”: dalla statale litoranea (SS 106), si dipanano delle strade che
puntano verso la zona montuosa terminando negli antichi borghi. La ferrovia è un
monobinario non elettrificato.

103
bozza non completa e non corretta -- non citare
Aspetti socio-economici dell’Area Grecanica
La situazione di generale marginalità dell’area viene confermata anche dai dati relativi al
tasso di attività103 (pari al 35,6%) ed al tasso di disoccupazione (pari al 39,6%) che risulta
essere più alto sia di quello provinciale, sia di quello regionale.
Nel grafico 1 si riporta la suddivisione della popolazione attiva per condizione professionale.

Graf 1 distribuzione degli attivi per


posizione professionale

26%

60%
14%

occupati disoccupati in cerca prima occ

La generale carenza di capitale umano e la scarsa infrastrutturazione dell’area sono causa (ed
effetto) di una struttura produttiva concentrata in settori tradizionali (artigianato), nell’edilizia
e nelle attività terziarie (con una netta prevalenza del commercio).
Questa informazione viene confermata dall’osservazione dei dati INPS104 2001 (grafico 2):

103
Il tasso di attività è il rapporto percentuale tra attivi e popolazione residente.
104
Gli elenchi INPS sono una fonte di dati piuttosto peculiare visto che seppure le aziende
presenti sono sicuramente attive, esse devono avere almeno un dipendente. Non vi
compaiono, perciò, le attività produttive nelle quali il proprietario è anche l’unico lavoratore o
gli addetti sono irregolari; situazione, questa, piuttosto comune nel territorio analizzato.
104
bozza non completa e non corretta -- non citare

Graf 2 Numero di imprese per settore di


appartenenza

300 244

200 146 156

100
6 4 2 3
0

commercio industria enti


amministrazioni statali artigianato agricoltura
credito

Disaggregando la voce “industria” tramite l’utilizzo delle stesse banche dati INPS (2001) si
nota come ci sia una netta prevalenza del settore edile (come anticipato più sopra) e dei
trasporti105 :

Tab. 4 Imprese del ramo Industria suddivise per classe di attività


Estrazioni di minerali metalliferi e non 1
Alimentari 11
Metallurgia 1
Meccanica 7
Abbigliamento, arredamento e affini 5
Chimica, gomma e cellulosa 4
Trasformazione di prodotti non metalliferi 7
Edilizia 90
Trasporti e comunicazioni 15
Varie 1
Piccola pesca 1
Pesca industriale 2
Pesca 1
Fonte: dati INPS 2001

Disaggregando la voce “artigianato” (la seconda per consistenza numerica) si ottiene una
distribuzione similare a quella osservata per il ramo industriale (edilizia e produzioni
alimentari) con l’eccezione della presenza della voce “meccanica”, giustificabile con la

105
La presenza di così tante attività dedite al trasporto merci è dovuta, presumibilemnte,
all’elevato indice di dipendenza registrato nella zona che comporta una forte propensione
all’importazione di merci e servizi.
105
bozza non completa e non corretta -- non citare
diffusa presenza di laboratori dediti all’autoriparazione. Si segnala, infine, una netta
prevalenza di piccole attività (la maggior parte sono microimprese da 1 a 4 dipendenti).
Tab. 5 Imprese del ramo Artigianato suddivise per classe di attività
Estrazioni di minerali metalliferi e non 1
Legno 7
Alimentari 21
Meccanica 30
Abbigliamento, arredamento e affini 3
Chimica, gomma e cellulosa 3
Trasformazione di prodotti non metalliferi 10
Edilizia 57
Trasporti e comunicazioni 11
Servizi 13
Fonte: dati INPS 2001

Anche nel settore commerciale le aziende appaiono sottodimensionate. Nel commercio


all’ingrosso su 30 imprese, 24 hanno in media 2 dipendenti. Anche nel settore “Alberghi e
Pubblici esercizi”, su 51 imprese, 45 hanno meno di 2 dipendenti.

Tab. 6 Imprese del ramo Commercio suddivise per classe di attività


Commercio all’ingrosso 30
Commercio al minuto 88
Commercio ambulante 1
Intermediari 2
Pubblici esercizi 51
Fabbricati 5
Attività varie 67
Fonte: dati INPS 2001

Le risorse naturali e paesaggistiche presenti nell’area non vengono sfruttate in senso


produttivo. La disponibilità di posti letto da destinare alla ricettività turistica è assai limitata
con una spiccata concentrazione lungo la costa dove a tale scopo vengono utilizzate
costruzioni private che vengono affittate nel periodo estivo (molto alto, dunque, risulta essere
il sommerso in quest’attività economica).
In generale il territorio vive un’accentuata dualità tra l’ambiente montano e la costa. Il primo,
caratterizzato da una spiccata ruralità è stato spogliato, nel tempo, del proprio capitale umano
e le attività tradizionali vanno scomparendo; il litorale, sebbene maggiormente popolato,
soffre della cattiva organizzazione urbana (abusivismo edilizio), dell’insufficienza delle
infrastrutture viarie e portuali (non esiste, ad esempio, un porto turistico) e, non da ultimo,
della presenza diffusa della criminalità organizzata.

106
bozza non completa e non corretta -- non citare
5.2.2. La storia (il processo di concertazione e la costruzione del PSL)
Per le caratteristiche citate più sopra (depopolamento delle aree rurali, marginalità del
territorio) l’Area Grecanica, risultava luogo ideale per attivare l’Iniziativa Comunitaria Leader
II.
Nel 1994 la CCIAA di Reggio Calabria, attraverso un proprio organismo, “Agenzia
IN.FORM.A”, inizia la promozione della concertazione nell’Area per attivare nel territorio
l’IC Leader II.
Nell’agenzia opera un esperto di sviluppo locale molto preparato che gode di una notevole
accountability nel territorio pur essendo un “esterno”106 . La presenza di quest’individuo si
rileva fondamentale sia per l’attivazione dei processi di concertazione, sia per la definizione
degli obiettivi del Piano di Sviluppo Locale, sia, infine, per la sua implementazione.
L’Agenzia INFORMA, o meglio l’individuo che in essa opera, ottiene “carta bianca” dai
politici locali (sindaci), ponendo come condizione la propria permanenza nel progetto107 .
Ottenuta piena libertà di movimento egli promuove una serie di incontri nel territorio: per
ciascun settore o comparto dell’economia locale, vengono ascoltati gli attori chiave, i soggetti
più dinamici o coloro che hanno un ruolo di opinion leader all’interno della porzione di
territorio alla quale appartengono 108 .
In questa fase risulta prezioso il fatto di operare in una comunità relativamente ristretta, con
dei legami sociali molto forti ed articolati (particolarismo) nella quale è facile individuare gli
attori chiave109 .
Gli enti coinvolti in questa fase preliminare e che, poi, faranno parte del Gruppo di Azione
Locale “Area Grecanica” sono:
ENTI LOCALI
?? Comunità Montana "Versante Jonico Meridionale"

?? Comune di Bagaladi

?? Comune di Bova

106
Gli attori locali incontrati hanno sottolineato il fatto che chi ha promosso il Leader II sia
una persona esterna all’area dell’intervento (pur essendo conosciuta), vedendo in questa
caratteristica una garanzia di imparzialità.
107
Come sarà osservato meglio nel proseguo, il relativo poco coinvolgimento dei sindaci
locali nell’IC ha costituito sia un punto di forza, sia un punto di debolezza.
108
Si noti che questi soggetti, da come rilevato dalle interviste effettuate, non erano “politici”.
109
L’azione collettiva si è basata, dunque, su una commistione di “legami deboli”
(rappresentati dal rispetto professionale nei confronti dell’individuo promotore) e di “legami
forti” (interni alla società locale).
107
bozza non completa e non corretta -- non citare
?? Comune di Bova Marina

?? Comune di Melito P.S.

?? Comune di Palizzi

?? Comune di Roccaforte del Greco

?? Comune di San Lorenzo

?? Comune di Staiti110
ISTITUTI DI CREDITO
?? Banco Ambrosiano-Veneto di Reggio Calabria111
ENTI DI RICERCA, PROMOZIONE E SVILUPPO
?? Azienda Speciale IN.FORM.A.

?? Azienda per la Promozione Turistica di Reggio Calabria

?? Consorzio del Bergamotto

?? Consorzio del Terziario Avanzato di Reggio Calabria “InnovaReggio”


ASSOCIAZIONI IMPRENDITORIALI E DI CATEGORIA

?? Associazione degli Industriali della Provincia di Reggio Calabria

?? ConfCommercio

ASSOCIAZIONI CULTURALI, RELIGIOSE ED AMBIENTALISTE


?? Associazione ARKESIS

?? Associazione Culturale CUMELCA

?? Associazione Culturale Jaló Tu Vua

?? Associazione La Nostra Valle

?? Associazione “Comitato Pro-Pentedattilo

110
Si noti che non sono presenti tutti i 12 comuni dell’area poiché tre di questi, all’epoca dei
fatti, erano “commissariati”, per infiltrazioni mafiose nel consiglio comunale.
111
L’IC prevedeva la presenza obbligatoria di un istituto di credito. Sebbene quello
individuato in fase di predisposizione del PSL fosse il Banco Ambrosiano Veneto,
nell’implementazione dell’intervento ha avuto un ruolo fondamentale un’altra banca (Banca

108
bozza non completa e non corretta -- non citare
Sebbene l’attività di concertazione e predisposizione del Piano abbia avuto inizio nel 1994, il
GAL è stato costituito solo nel 1997 e la parte operativa ha avuto inizio nel 1998. Un arco
temporale così lungo si spiega per i ritardi con cui la Regione ha attivato le procedure “Leader
II”.

5.2.3. Politici, Tecnici e Popolazione locale (funzionamento della società


locale)
Merita di essere analizzata a parte l’interazione tra i vari “livelli” nella preparazione e
nell’implementazione del Piano di Sviluppo Locale.
Si è già detto che nella fase iniziale l’individuo incaricato dalla CCIAA di Reggio Calabria
avesse posto come condizione necessaria la propria libertà di azione rispetto agli interessi dei
politici locali. Tale condizione è stata accettata probabilmente per quattro ordini di fattori:
I. la riconosciuta professionalità del soggetto (accountability);
II. l’esigua dotazione finanziaria messa a disposizione dall’IC Leader112 ;
III. l’incapacità degli amministratori nel comprendere uno strumento articolato come
un Piano di Sviluppo Locale.
La vicenda testimonia, però, una scarsa fiducia di chi progettava l’intervento nei confronti
degli amministratori locali. Il problema è piuttosto serio poiché, il Leader II prevedeva che il
Consiglio di Amministrazione del GAL fosse a maggioranza pubblica (sindaci ed enti locali):
l’intenzione implicita era, perciò, quella di “insegnare” alla classe politica di territori
marginali e rurali un nuovo modo di operare secondo logiche di concertazione e di
partecipazione allargata alle decisioni nelle scelte di gestione ed indirizzo delle risorse locali.
Nel caso analizzato, invece, il ruolo di coinvolgimento degli attori chiave operanti nell’area
analizzata è stato del “tecnico”, privando della funzione di mediatori di interessi gli
amministratori pubblici locali. Una visualizzazione grafica potrà chiarire meglio lo
scompenso verificatosi nel caso studiato:

Popolare di Crotone) che, sebbene non avesse sottoscritto alcuna quota del GAL, ha offerto
condizioni di credito più vantaggiose.
112
Viene, quindi, condivisa pienamente l’ipotesi di Luciano Vettoretto (Luciano Vettoretto, a
cura di, Innovazione in periferia: sfere pubbliche e identità territoriale dopo l'Iniziativa
Comunitaria Leader, F. Angeli, Milano, 2003) che nella valutazione dell’IC in questione ha
sostenuto l’importanza della esigua disponibilità finanziaria che non ha attirato interessi
distorti.
109
bozza non completa e non corretta -- non citare
FIG 2 Dinamiche di partecipazione e dialogo della società locale all’IC Leader II nell’Area Grecanica

Amministratori locali

interazione debole interazione debole

Tecnici popolazione
interazione forte

Tuttavia questa distanza tra sindaci e tecnici ha rappresentato anche un vantaggio nella
gestione degli interventi. I sindaci che erano anche consiglieri di amministrazione del GAL si
facevano, spesso, sostituire da tecnici loro delegati e, quindi, il CdA finiva per trasformarsi in
un tavolo tecnico con i vantaggi immaginabili nella rapidità e nella condivisione delle scelte
strategiche. Questo ha permesso al GAL di accreditarsi velocemente sul territorio, di avere un
autonomia propria rispetto ai soggetti partecipanti.

5.2.4. Il Piano di Sviluppo Locale (idea forza e azioni previste)


L’idea forza sulla quale è stata costruita a suo tempo la strategia del GAL è il recupero e la
valorizzazione dell’identità Grecanica dell’Area.
Il recupero doveva avere:
?? una valenza interna, in modo da recuperare le reti sociali ed il capitale relazionale
tipico di questa antica comunità di contadini e pastori;
?? una valenza esterna (turistica e commerciale) in modo da sfruttare produttivamente le
peculiarità naturalistiche e paesaggistiche (il Parco Nazionale dell’Aspromonte ed il
litorale).

110
bozza non completa e non corretta -- non citare
Naturalmente è stata seguita una logica di integrazione e complementarità degli interventi in
modo da ottenere una maggiore significatività.
Merita di essere segnalato un aspetto di tipo economico/finanziario. Paventando
l’intromissione di soggetti intenzionati a speculare sui fondi disponibili, il progetto ha
previsto di limitare l’entità dei finanziamenti a favore dei privati stabilendo un tetto massimo
per intervento di 50'000 euro (ripartiti equamente tra fondi comunitari e fondi privati).
Le azioni del Piano si sono rivolte perciò alla valorizzazione del:
1. turismo rurale;
2. artigianato (prodotti tipici);
3. patrimonio culturale.
1. Come noto l’IC Leader promuove azioni immateriali: non possono essere costruiti, dunque,
immobili da destinare all’uso alberghiero o ricettivo. Gli immobili possono, però, essere
restaurati per recuperarne sia l’utilizzabilità, sia il valore storico. Gli interventi del GAL,
infatti, sono stati indirizzati verso quelle realtà turistiche dell’interno già funzionanti ma che
erano caratterizzate dalla totale improvvisazione dei titolari e, soprattutto, venivano svolte
completamente a nero113 .
I fondi Leader sono stati utilizzati per favorire la regolarizzazione delle attività, promuovere
l’associazionismo tra i piccoli imprenditori, in modo da creare un consorzio che favorisse la
creazione di veri e propri “percorsi turistici” che mettessero “in rete” i centri storici della
montagna e, favorissero l’interazione a scopo turistico, dell’ambiente montano con la costa.
Per raggiungere questo obiettivo è stato coinvolto, fin dalla progettazione, un attore chiave:
un piccolo imprenditore che, completamente a nero, aveva iniziato per primo a ricevere i
turisti nell’interno. Grazie al suo coinvolgimento, necessario a mediare con gli altri piccoli
“albergatori” il GAL è riuscito a promuovere la creazione di un piccolo consorzio (8 imprese)
dedito alla ricettività, gestito da una cooperativa, e dotato di fondi e strumenti per migliorare
la qualità del servizio ai turisti.
Il consorzio ha assunto la forma di un’agenzia per la promozione turistica (Pucambù, parola
greca che significa “in ogni dove”) che si è attivata in una campagna promozionale nei
confronti dell’Area Grecanica. Nella tabella sottostante (tabella 7) sono riassunti gli interventi
effettuati ed i fondi spesi in questa sezione del PSL.

Tab 7 Risultati delle azioni di valorizzazione del turismo rurale nell’Area Grecanica

113
Si consideri che fino al 2003 la Regione Calabria non disponeva di uno strumento
legislativo che disciplinasse il B&B.
111
bozza non completa e non corretta -- non citare
Operatori coinvolti 33
Posti letto creati 50
Punti di ristorazione 2
Sentieri realizzati 8
Campagne promozionali 3
Mezzi di trasporto acquisiti 2 mini bus
Strumenti di promozione ?? Guida al Turismo Sostenibile nell’Area della Calabria Greca
?? Sito Internet dell’Agenzia Pucambù
?? Pubblicazioni su riviste specializzate nel Trekking
?? Set di Cartoline dell’Area Grecanica
Investimento totale € 258'228

Il GAL inoltre ha promosso un’azione di sensibilizzazione del livello istituzionale italiano al


fine di ottenere il riconoscimento del territorio grecanico come Patrimonio dell’Umanità da
parte dell’UNESCO.
2. A favore dell’artigianato tipico locale il GAL ha previsto due categorie parallele di
interventi. La prima destinata ai produttori di generi alimentari tradizionali, la seconda rivolta
specificamente al comparto del bergamotto. Nel primo caso sono state previste azioni a
sostegno delle imprese esistenti (si veda la tabella 5) fornendo studi di mercato,
predisposizione di marchi aziendali, formazione professionale. Si è intervenuto, inoltre, a
favore della creazione d’impresa favorendo la nascita di nuove aziende artigiane che hanno
usufruito dell’appoggio del GAL (stesse azioni descritte sopra). Particolarmente significativa
è da considerare, poi, la creazione del “Consorzio per la valorizzazione dei prodotti tipici
dell’Area Grecanica”, denominato Calà Pramata (Cose Buone) che ha riunito 21 produttori. Il
consorzio ha fornito assistenza e servizi specifici per le imprese.
Per quanto concerne il comparto del bergamotto (che si ricorda cresce solo nella zona ionica
della Calabria), il Gruppo di Azione Locale ha previsto l’implementazione del progetto
“Bergamondo” che ha avuto la finalità principale di sfruttare questa produzione fortemente
contestuale per fini turistici e commerciali. Per stimolare la domanda turistica è stato creato il
museo del bergamotto nell’antico borgo di Pentadattilo (che è stato parzialmente recuperato)
che ha rappresentato una vetrina per favorire la vendita di prodotti derivati dal bergamotto e
trasformati in loco (liquori, dolci e profumi).
Per quanto riguarda le azioni a favore dell’artigianato (escludendo il comparto del
bergamotto) è possibile sintetizzare gli interventi nella tabella sottostante (tabella 8).

112
bozza non completa e non corretta -- non citare

Tab 8 Risultati delle azioni a favore dell’artigianato tipico nell’Area Grecanica


Imprese create 12
Operatori coinvolti consorzio 21
Locali per la cucina tradizionale 4
Mezzi di trasporto acquisiti 1 furgoncino refrigerato
Strumenti di promozione ?? Pieghevole per la promozione dei prodotti
?? Brochure con schede produttori
?? Sito Internet Consorzio Calà Pramata
Investimento totale € 294'380

3. Per promuovere il patrimonio culturale lo strumento Leader II è stato utilizzato per la


creazione di un festival di musica etnica itinerante all’interno dell’Area Grecanica (Paleariza)
che oltre alla funzione ludica ha assolto quella di piccolo evento fieristico estivo a
disposizione dei turisti convenuti (ad ogni tappa venivano esposti i prodotti del “Paniere
Tipico” e si promuoveva l’ospitalità diffusa del consorzio Pucambù).
L’azione complessiva del GAL “Area Grecanica” effettuata dal 1998 al 2001 viene riassunta
nella tabella sottostante (tabella 9)
Tab 9 Sintesi dei risultati finali
Finanziamento complessivo € 3'098'896
Percentuale quota pubblica € 2'327'309
Percentuale finale di spesa 83,05%
Numero di imprese/soggetti coinvolti 360
Numero di imprese ammissibili ai finanziamenti 87
Numero di nuove imprese finanziate 18
Consorzi creati 2

5.2.5. Conclusioni dell’analisi


Il territorio analizzato presenta gravi caratteristiche di marginalità economica e sociale. Ne
sono testimonianza la scarsa dotazione di imprese, il basso livello occupazionale, gli elevati
indici di emigrazione e, non da ultima, la presenza diffusa della criminalità organizzata.
In questo scenario le amministrazioni locali, in particolare i comuni, non riescono ad
assumere il ruolo di istituzioni intermedie per accogliere, decifrare ed eventualmente
reindirizzare le esigenze dei grecanici.
A metà degli anni Novanta si è presentata, come detto, la possibilità di attivare uno strumento
di programmazione territoriale molto particolare quale il Leader II. Come noto tale IC mira
all’attivazione di processi di concertazione che sviluppino la capacità di governo del livello
locale (o, meglio dei suoi meccanismi: governance) e, non da ultimo, alla creazione di
capitale sociale ed istituzionale.

113
bozza non completa e non corretta -- non citare
Il caso analizzato sembra rispondere solo in parte a queste finalità; è stato riscontrato tramite
le interviste, infatti, che i processi di concertazione locale sono stati attivati principalmente
per la presenza nel territorio di un individuo (esterno ad esso ma che ne conosceva bene le
caratteristiche essendo originario di Reggio Calabria) dalle indiscutibili e riconosciute
capacità di progettare, sviluppare ed implementare programmi e progetti a favore dello
sviluppo locale114 .
Egli, come visto, ha posto come condizione per la sua attività nell’Area proprio la possibilità
di operare senza dover rendere conto ai sindaci e quindi alla politica locale. Se a questo si
aggiunge che gli stessi sindaci, membri di diritto del CdA, usavano delegare loro tecnici di
fiducia per la gestione del GAL si capisce come le innovazioni di processo siano state per le
amministrazioni locali del tutto marginali.
Facendo riferimento a quanto illustrato nella figura 2, il processo di concertazione necessario
alla definizione ed alla implementazione degli interventi si è realizzato tra i tecnici
(specialisti) e la popolazione (territorio). Il GAL in breve tempo ha guadagnato, per i primi
successi registrati (soprattutto la realizzazione dei 2 consorzi in un territorio poco avvezzo
all’associazionismo), la fiducia del territorio (accountability) divenendo una istituzione dedita
alla programmazione dello sviluppo locale.
Il risultato dell’IC Leader in questa porzione di territorio calabrese si concretizza
principalmente nella creazione di una expertise contestuale che si occupa, stabilmente, di
programmare e concertare la crescita sociale ed economica dell’Area Grecanica.
Conferma di questa ipotesi è il fatto che il GAL sia stato nominato, ad esempio, “Unità
Tecnica di Gestione” del PIT Area Grecanica, altro strumento di programmazione territoriale
capace, per disponibilità finanziarie, di incidere sensibilmente sulla struttura produttiva locale.
Lo stesso GAL, inoltre, ha promosso l’IC Leader Plus, prosecuzione del Leader II ottenendo
dalla Regione Calabria (soggetto beneficiario dell’IC), l’assegnazione di nuovi fondi per la
prosecuzione delle attività di infrastrutturazione intangibile del territorio.

114
Il soggetto in questione, dopo l’approvazione ed il finanziamento del PSL da parte della
Regione Calabria, è stato nominato dal CdA del GAL direttore tecnico. Carica che ha
ricoperto fino al 1998 quando gli è stato affidato l’incarico di redigere il POR Calabria.
Attualmente è impegnato a Bruxelles.
114
bozza non completa e non corretta -- non citare

5.3. Raffaele Trapasso Produzione dolciaria nel Comune di


Taurianova (RC)

5.3.1. Introduzione
Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, insiste all’estremità orientale dell’ampia pianura
denominata “Piana di Gioia Tauro” ed è, inoltre, il centro più popoloso dell’area del PIT
Aspromonte (15'728 abitanti115 ). Il comune deriva dall’unione, in epoca storica, di due abitati
distinti, Iatrinoli e Radicena, che sorgevano lungo una importante via di comunicazione e
commercio.
Le principali attività economiche di questa comunità sono sempre state l’agricoltura, in
particolare la coltivazione dell’ulivo favorita dalle caratteristiche del territorio, ed il
commercio, visto che il comune occupa una posizione intermedia tra due sistemi abitativi:
quello della Piana e quello dell’Aspromonte.
Grazie alla distinzione territoriale adottata (si veda il “Rapporto intermedio”) che unisce i due
PIT “Piana di Gioia Tauro” e “Aspromonte” in un'unica area è possibile notare come
Taurianova sia inserita in un tessuto urbano policentrico e ben collegato di comuni piccoli e
medi che, secondo i dati raccolti, hanno performance superiori rispetto alla media provinciale.
In particolare si osserva una forte interazione del Comune analizzato con quelli di Gioia
Tauro, Rosarno, Palmi e Cittanova, tutti sopra i 10'000 abitanti (vedi fig. 1).

115
Dati ISTAT, Censimento della popolazione 2001. Vedi Allegato Tabella 1.2.
115
bozza non completa e non corretta -- non citare
FIG. 1 Sistema policentrico di cui fa parte Taurianova

Rosarno

Gioia Tauro

Cittanova

Palmi
Taurianova

Altre particolarità statistiche di Taurianova possono considerarsi:


1) un andamento demografico stabile con un elevato tasso di natalità ed un basso tasso di
mortalità (vedi tab. 1.2 – 1.11);
2) una percentuale relativamente alta di popolazione attiva;
3) un tasso di disoccupazione (7,6%) minore rispetto a quello della provincia (vedi tab.
1.12 – 1.13).
I dati statistici (si veda l’allegato) si limitano a descrivere l’economia locale come fortemente
concentrata sul settore primario e sul commercio; analisi sul campo, però, hanno palesato la
presenza di una specializzazione produttiva che non appare nella “immagine statistica” del
Comune: Taurianova ospita una concentrazione molto accentuata di imprese dedite alla
produzione dolciaria ed in particolare alla preparazione del torrone cui è dedicato
quest’approfondimento realizzato tramite l’intervista diretta di amministratori ed
imprenditori.

5.3.2. La produzione dolciaria a Taurianova


A Taurianova si trovano 30 bar. Almeno 15 di questi esercizi hanno nel “retrobottega” un
laboratorio di pasticceria impegnato in diverse produzioni che cambiano in base al clima ed
alle festività tradizionali. Ad essi debbono aggiungersi 6 “biscottifici” con produzioni similari

116
bozza non completa e non corretta -- non citare
a quelle dei bar ma che utilizzano canali di vendita molto vicini ad essi e che in alcuni casi
rappresentano veri e propri concorrenti. La produzione segue contemporaneamente il ciclo
stagionale (cambia in rispondenza di fattori climatici) e il ciclo delle festività tradizionali. Più
in particolare, attuando alcune generalizzazioni, è possibile scomporre in quattro periodi la
produzione locale (vedi Tab. 1):

Tabella 1 Gli avvicendamenti dei prodotti in base alle festività o al clima


1 fase: 2 fase: 3 fase: 4 fase:
Periodo ottobre? dicembre febbraio aprile? maggio maggio? settembre
(Natale) (Carnevale) (Pasqua) (Estate)
??Torrone ??Pastiere,
??Marzapane ??Pignolata colomba
BAR ??Gelato
??Biscotti natalizi ??Chiacchere ??Uova di
Prodotti

??Panettone pasqua 116


??Torrone
??Torrone ??Uova di
??Mostaccioli
Biscottificio ??Pignolata Pasqua
??Biscotti natalizi
??Mostaccioli ??Mostaccioli
??Panettone

La gamma è, dunque, molto diversificata, ma le produzioni principali (per quantità) sono il


torrone ed il gelato (che peraltro i biscottifici non producono). Come si vede dal diagramma
(FIG 1):

FIG 2: Quantificazione dei diversi prodotti rispetto al totale (bar + biscottifici)

116
La produzione di uova pasquali è stata introdotta a Taurianova nel 1994, quando un
biscottificio ha acquistato i macchinari necessari, consumando 200 quintali di cioccolato.
117
bozza non completa e non corretta -- non citare

15%
30%
10%

5%
5%

40%

Gelato Torrone Uova di Pasqua Panettone Mostacciolo Altro

Non tutti i prodotti, però, registrano uguali volumi di vendita o hanno medesimo legame con
la tradizione e con le risorse contestuali; dalle dichiarazioni dei testimoni privilegiati la
produzione risulta concentrata, quasi polarizzata, sul Torrone (durante il trimestre che va dalla
fine di settembre all’inizio di dicembre con una produzione complessiva superiore ai 500'000
Kg) e sul Gelato (dai primi caldi fino alla fine di settembre117 ).

5.3.3. Il Torrone di Taurianova. Origini e prospettive di una produzione


tradizionale
Le componenti di una produzione tradizionale sono, in generale, due:
- la presenza di una risorsa locale abbondante e facilmente reperibile;
- una conoscenza produttiva sedimentata legata alla risorsa disponibile.
Vi è poi la condizione necessaria che l’output dei fattori appena citati abbia (o mantenga) una
significatività commerciale tale da alimentare, a sua volta, la produzione di una conoscenza
produttiva sempre più qualificata ed in continua evoluzione, pur nel rispetto della tradizione.
Il sapere contestuale, quindi, deve essere arricchito tramite l’immissione di nuove conoscenze
produttive che subiscono un processo di reinterpretazione, adattamento e diffusione.
La produzione del torrone a Taurianova è un tipico esempio di questo processo di
accrescimento del sapere locale in risposta alla disponibilità di risorse locali.
Nell’area è molto abbondante il miele di zagare, qualità pregiata di quest’alimento, che sin dal
tempo della colonizzazione greche è stato utilizzato nella preparazione di alimenti e bevande.

118
bozza non completa e non corretta -- non citare
Il “Mostacciolo”, un biscotto cui le sapienti mani degli artigiani danno forma di animali, è
frutto di quest’antica tradizione produttiva basata sul miele.
Negli anni Cinquanta il savoir faire locale si arricchisce grazie all’azione di un pasticcere
siciliano che, lavorando in un bar del posto, trasmette la ricetta del Torrone. Inizialmente per
produrre il torrone, oltre al miele, venivano utilizzate le arachidi coltivate localmente o, in
maniera più intensiva, nella zona di Tropea. Il salto di qualità viene realizzato allorché alle
arachidi vengono aggiunte o sostituite le mandorle siciliane (Avola o Bronte), pugliesi o, per
piccoli quantitativi, provenienti dal catanzarese.
L’“evoluzione storica del torrone” (vedi fig. 2) è, dunque, un processo misto nel quale
competenze e risorse locali si susseguono e si combinano con risorse o informazioni
produttive esterne.

FIG. 3 Evoluzione storica del Torrone a Taurianova

1950 1990 2003

Know how Automazione


Sicilia (Sicilia o Germania)

Miele
di Torrone Torrone alle mandorle Torrone
Zagare “Ancestrale” “Moderno” “Contemporaneo”
(locale)

Mandorle dalla
Sicilia, dalla
Arachidi Puglia o dal
Locali o Tropea Catanzarese

117
È stato verificato che quasi tutte le attività commerciali visitate proseguono la produzione
del gelato durante tutto l’anno ma i volumi realizzati “fuori stagione” sono talmente esigui
rispetto allo standard estivo da risultare trascurabili.
119
bozza non completa e non corretta -- non citare
In particolare, grazie alla prima introduzione di competenza, quella del pasticcere siciliano,
viene prodotto un primo tipo di torrone, qui definito “Ancestrale”, utilizzando unicamente
risorse regionali (le arachidi). Questo tipo di torrone è di bassa qualità e viene distribuito
tramite gli stessi bar o le frequenti fiere regionali118 .
Il processo incrementale di apprendimento e il moltiplicarsi dei concorrenti in ambito locale
(si realizzano dinamiche di collaborazione e di competizione) fa si che i produttori locali si
cimentino con nuovi prodotti alla ricerca di ricette o combinazioni che possano caratterizzare
e, quindi, distinguere la propria produzione. L’evento che provoca un aumento significativo
della qualità è l’introduzione delle mandorle importate da Avola, vera e propria “patria” di
questo frutto, in provincia di Siracusa (“Torrone moderno”).
Ancora a causa della forte competizione locale, i processi di miglioramento incrementale del
prodotto portano a differenziare fortemente la produzione e, con l’introduzione delle prime
linee di produzione automatizzate (dagli anni Novanta) si comincia a produrre anche un
formato più piccolo di torrone “morbido”, il cosiddetto “formato Condorelli”, che apre nuovi
spazi commerciali119 .
A proposito dell’ultima fase, è importante sottolineare come l’adozione dell’automazione sia
stata favorita da una serie di fattori collegati, distinguibili in due principali categorie: fattori
esogeni (1) e fattori endogeni (2).
1. Le macchine utilizzate nella produzione del torrone hanno un prezzo relativamente
basso e sono piuttosto semplici. Sono, infatti, costituite da una impastatrice, da un
nastro trasportatore, da un refrigeratore, da un dispositivo di taglio (pezzatrice) e,
infine, da macchine incartatrici120 . I luoghi dove vengono prodotte sono,
sostanzialmente due; la Germania e l’area comunale di Catania ove sorge una delle
maggiori industrie mondiali impegnate in tale produzione, la “Condorelli”. I pasticceri
calabresi, inizialmente rivoltisi ai produttori teutonici, hanno scelto in seguito di
rivolgersi alle imprese siciliane preferendo alla precisione meccanica, la spiccata
affinità culturale121 ;

118
I testimoni privilegiati che abbiamo intervistato hanno raccontato dei loro continui
spostamenti da una fiera all’altra con carri a trazione animale o camioncini.
119
La”pezzatura” originaria prevedeva come formato minimo delle “barrette” di torrone da
250 gr. circa.
120
Non tutte le imprese utilizzano questo tipo di macchinario. Spesso gli incarti vengono
realizzati a mano con l’aiuto di alcune lavoranti locali pagate a cottimo (irregolari).
121
Un imprenditore intervistato in particolare ci ha raccontato della sue esperienza con una
impresa di Colonia (D) alla quale aveva chiesto una lieve modifica alla “linea di produzione”
(un nastro trasportatore che permettesse la migliore refrigerazione del torrone). Vistosi
120
bozza non completa e non corretta -- non citare
2. Nozioni di meccanica sono assai diffuse tra la popolazione maschile di Taurianova
frequentemente impegnata, anche solo per passione, nell’attività di autoriparazione. Vi
è, dunque, una dimestichezza molto comune con macchinari elementari come quelli
per produrre i torroni.
Ad oggi sono impegnati nella produzione locale 20 imprese (bar + biscottifici) e, secondo un
processo di diffusione delle competenze, la produzione del torrone (anche se non di tutte le
varietà) interessa anche i comuni limitrofi di Delianuova e Bagnara Calabra.
I canali di vendita del torrone
La concentrazione di così tanti produttori in un’area così limitata ha spinto alla
differenziazione dei prodotti e dei mercati di riferimento.
In particolare, a seguito dell’introduzione delle macchine automatiche (Vedi fig. 3), alcuni
produttori (in particolare i biscottifici) hanno potuto aumentare notevolmente la quantità di
output senza causare l’incremento dei costi di manodopera, anche se hanno dovuto ricercare
nuovi fornitori in grado di garantire quantità sufficienti di materie prime con standard
qualitativi costanti, ma con una qualità più bassa (miele dalla Sicilia o dall’Argentina,
mandorle pugliesi).
Un alto livello di automazione (soprattutto per quanto riguarda la qualità delle macchine
utilizzate) si registra anche tra alcuni bar di antica fama che, pur riuscendo a produrre quantità
notevoli di torrone mantenendo bassa la manodopera, hanno scelto un posizionamento nelle
nicchie del mercato appartenenti all’alto di gamma, individuando canali distributivi molto
innovativi quali le enoteche e i negozi specializzati del Nord Italia e dell’Europa122 .
Vi è, poi, un folto gruppo di pasticcerie o di piccoli biscottifici che per scelta o per necessità
(insufficienza di capitali per acquistare le macchine) si presentano sul mercato con prodotti
fabbricati interamente a mano con una forte componente artigianale che, a seconda delle
materie prime utilizzate, può essere di alta o bassa qualità. Può essere utile osservare la figura
4 per comprendere la segmentazione di questo mercato.

rifiutare tale modifica non ha acquistato la macchina preferendo rivolgersi a produttori


siciliani che ne hanno prontamente soddisfatto le esigenze.
122
Un imprenditore incontrato, in particolare, ha dichiarato di credere molto nelle potenzialità
commerciali scaturenti dall’accostamento di un vino locale (un “bianco” abbastanza pregiato)
con il proprio torrone (in marketing tale pratica viene definita piggy back).
121
bozza non completa e non corretta -- non citare
FIG. 4. Canali di distribuzione prescelti divisi per automazione e qualità

Qualità
Alta Bassa123
? grande distribuzione estera
? bar (vendita diretta)
? negozi specializzati all’estero
? negozi specializzati o enoteche
? mercati e fiere di paese
Alta
Livello di automazione

? spedizione in contrassegno
? regali aziendali
? regali aziendali
? forniture ad altre imprese locali

? mercati e fiere di paese (mercato


? bar (vendita diretta) interregionale)
Bassa

? spedizione in contrassegno ? vendita diretta (“franco


? regali aziendali fabbrica”)

È facile immaginare che i produttori che hanno scelto di posizionarsi nel quadrante “Alta
Automazione/Bassa qualità” sono quelli che realizzano le quantità maggiori124 che
permettono loro di arrivare alla grande distribuzione nord americana che, come noto, è
difficilmente raggiungibile dalle produzioni tradizionali meridionali che, solitamente, non
riescono a produrre quantità significative a qualità sufficiente.
Reti commerciali utilizzate
Le imprese di Taurianova sono tra le poche aziende calabresi che hanno rapporti continuativi
con mercati ricchi dell’Occidente. Solo il settore alimentare regionale riesce ad ottenere
questi risultati e questo, consiglierebbe, di dedicare particolare attenzione promozionale a quei
prodotti che identificano la Calabria sulle tavole di tutto il mondo.
In particolare molto interessante risulta essere il percorso di internazionalizzazione delle
vendite operato da alcune imprese taurianovesi.
L’azienda di maggiori dimensioni (relativamente ai volumi prodotti e non agli impiegati –
l’impresa si posizione nel II quadrante delle FIG 4 – bassa qualità/alta automazione) fino a

123
La “bassa qualità” è da intendersi in modo relativo. Anche i produttori che si posizionano
in questo quadrante producono un torrone dalle ottime caratteristiche organolettiche e
certamente superiore agli omologhi prodotti industrialmente in Sicilia o nel Nord Italia.
124
Un biscottificio locale esporta verso il mercato statunitense e canadese il 30% della
produzione totale, inviando ogni anno tramite il porto di Gioia Tauro 10 containers (1
container contiene 100 quintali di prodotti).
122
bozza non completa e non corretta -- non citare
dieci anni fa vendeva i suoi prodotti attraverso 400 ambulanti. In seguito al ricambio
generazionale ha ridotto il portafoglio clienti, ha automatizzato il processo produttivo ed è
entrata in un consorzio che riunisce produttori di tipicità regionali della Calabria. Attraverso il
consorzio l’impresa Leader è riuscita a raggiungere la grande distribuzione Canadese che,
attualmente, assorbe il 20% della produzione totale. Un altro 10% viene collocato sui mercati
del New Jersey dove il consorzio ha aperto un proprio “Show room” servendosi dell’aiuto di
un italo americano di origini calabresi125 . Sul mercato statunitense il torrone viene venduto
anche a 60 dollari al chilogrammo, un prezzo molto superiore a quello che può essere
spuntato localmente. L’impresa esporta i propri prodotti (principalmente il torrone) anche in
Australia dove, attraverso tre supermercati (a Perth, a Melbourne e a Sidney) di un italo
australiano (anch’egli di origini calabresi) riesce a vendere il 10% della produzione.
Per questa impresa è risultata fondamentale la vicinanza del porto di Gioia Tauro, dalla quale
partono i container per tutto il mondo.
Le altre aziende locali, soprattutto i bar di maggiore fama, esportano i prodotti in tutto il
mondo attraverso le reti degli emigrati o dei loro discendenti. Le spedizioni sono indirizzate
anche a rivenditori esteri che, a loro volta, piazzano il prodotto su quei mercati126 . Deve
notarsi, però, come queste imprese non attuino nessuna discriminazione del prezzo a seconda
dei mercati di sbocco: durante le interviste hanno dichiarato di mantenere il prezzo invariato
anche per grandi ordinativi (€ 19,60 al chilogrammo). Quest’ultimo dato testimonia una
scarsa attenzione nella definizione di strategie di vendita che, secondo le nostre prime
rilevazioni, sarebbe attribuibile alla commistione delle attività di gestione con quelle di
produzione che impedisce all’imprenditore di esercitare al meglio la propria funzione.

5.3.4. Bisogni delle aziende locali


Il tessuto imprenditoriale di taurianova è molto eterogeneo. Sono stati incontrarti imprenditori
con un elevato livello d’istruzione (si segnala anche la presenza di un diplomato MBA), così
come si è visitato piccoli laboratori a conduzione prettamente familiare. Le differenze
dimensionali e di competenza del titolare si manifestano principalmente nella capacità di
investimento e di promozione del prodotto. È stato rilevato, infatti, che sono poche le imprese
che ricorrono al prestito bancario nella propria attività (il capitale di terzi è spesso utilizzato

125
L’individuo in questione esercita la professione di “giudice di pace” nella propria contea.
È interessante notare come l’integrazione degli immigrati italiani (ed in particolare
meridionali) favorisca la trasmissione, e la vendibilità, delle tradizioni culinarie regionali.
126
Alcune imprese hanno dichiarato di utilizzare come canali pubblicitari inserzioni su
giornali a diffusione nazionale.
123
bozza non completa e non corretta -- non citare
per ammodernare gli impianti), preferendo lavorare “per contanti”. Pur essendo un sintomo di
arretratezza, il fatto che molte aziende preferiscano tale modus dimostra come il comparto
dolciario locale sia, praticamente, scevro da rischi: tutto quello che si produce viene
agevolmente collocato sui mercati. Unica discriminante rimane il livello di redditività del
canale distributivo prescelto.
Come è stato mostrato nel paragrafo precedente, infatti, le imprese che esportano sui mercati
nord americani o Australiani spuntano un prezzo molto maggiore rispetto alle altre.
Nonostante le differenze, anche “culturali”, riscontrate tra le imprese, sono emersi fabbisogni
comuni. Di seguito, nella Tabella 2, sono specificati i risultati di questa parte d’indagine.

124
bozza non completa e non corretta -- non citare

Tabella 2 Distribuzione dei bisogni espliciti


Frequenza
Bassa Media Alta
(Meno di 5 imprese) (Tra 5 e 10 imprese) (Più di 10 imprese)
Bisogni rilevati

Controllo della qualità delle


materie prime
¦

Associazione per acquisto


congiunto delle m. p.
¦

Associazione per
commercializzazione congiunta
dei prodotti (marchio
¦
commerciale)

Cre dito bancario ¦

Creazione di un marchio
D.O.P.
¦

Disponibilità aree industriali ¦

Poco tempo e competenza per


gestione dell’impresa
¦

Poca assistenza per


l’esportazione dei prodotti
¦

Formazione professionale degli


addetti
¦

Merita di essere evidenziato il fatto che alcune imprese sottolineino l’insufficienza di servizi
per l’esportazione (ad es. l’assicurazione dei crediti all’estero); un problema di cui molto
raramente le imprese calabresi riescono a lamentarsi.
Inoltre si segnala che, seppure segnalatoci da poche aziende, appare tra i bisogni espliciti la
necessità di predisporre corsi professionali che diffondano la capacità di “disegnare” i

125
bozza non completa e non corretta -- non citare
mostaccioli e, più in generale, creino operatori specializzati nella produzione del torrone per
ottenere prodotti innovativi pur nel rispetto della tradizione.

126
bozza non completa e non corretta -- non citare

6. Provincia Regionale di Messina

6.1. Fabrizio Fasulo Il GAL Valle Alcantara

6.1.1. Carta d’identità


Il GAL Valle Alcantara si è costituito il 26 Ottobre 1998, in forma di Società
Consortile a responsabilità limitata, per attuare il Piano di Azione Locale (da qui PAL)
Leader II.
La base sociale, raggiunta attraverso un percorso di concertazione di cui si renderà
conto più avanti, si compone di 17 soci rappresentativi degli enti locali e territoriali, nonché di
associazioni di categoria agricole e cooperative. Più in dettaglio, il partenariato è stato
strutturato intorno a 13 soggetti pubblici (1 Provincia, 9 Comuni, 2 Parchi ed un Ente di
Ricerca Pubblico) e 4 soggetti privati (3 associazioni di categoria e una cooperativa).127 È
superfluo ricordare come i soci non esauriscano i soggetti interessati all’intervento (basti solo
pensare come i comuni compresi nel PAL siano ben 16).
La struttura decisionale del GAL è stata composta intorno ad un’assemblea della
società (composta dalla totalità dei soci) e ad un consiglio di amministrazione (composto da 7
membri). Mentre la struttura tecnico-organizzativa la si è organizzata intorno ad un
responsabile amministrativo-finanziario, un responsabile tecnico con funzioni di coordinatore
e sei animatori.
L’ambito territoriale sul quale il GAL ha insistito è, come detto, più ampio (sebbene
resti sempre di proporzioni limitate o meglio congrue alle caratteristiche dello strumento di
programmazione in esame) di quello rappresentato dai comuni componenti la società
consortile. Gli enti locali interessati dal PAL sono stati i comuni di Bronte, Calatabiano,
Castelmola, Castiglione di Sicilia, Floresta, Gaggi, Giardini Naxos, Graniti, Linguaglossa,
Maletto, Maniace, Piedimonte Etneo, Randazzo, Rocella Valdemone, Santa Domenica
Vittoria, Taormina. Come si può immediatamente notare siamo di fronte ad un programma di
sviluppo interprovinciale (sono interessate parti del territorio Provinciale Messinese e
Catanese), con tutto ciò che questo comporta in termini di analisi del contesto e dei fabbisogni

127
In una seconda fase intervenne un coinvolgimento diretto di un istituto di Credito (Banca
di Credito Cooperativo di S.Marco), allargando ulteriormente il numero e l’eterogeneità dei
soggetti direttamente coinvolti.
127
bozza non completa e non corretta -- non citare
ma soprattutto, come si evidenzierà più avanti, in termini di costruzione dei percorsi di
concertazione e partnership.
Passando ad una breve descrizione critica del territorio, esso presenta notevoli punti di
pregio sia turistico che ambientale. Come accennato si pone a cavallo tra le province di
Messina e Catania, comprendendo alcune zone costiere (tra le quali il polo turistico
Taorminese) e diverse aree montane. Tra queste ultime si riscontrano siti di primaria
importanza (paesaggistica, ambientale ed economica): l’Etna, ed il relativo parco naturale,
una parte del Parco dei Nebrodi e la bellissima Riserva naturale dell’Alcantara, una delle zone
paesaggistiche più suggestive della Sicilia. Le numerose e profonde trasformazioni e il
progressivo sviluppo dell’ambiente costiero, dove si è concentrato per la maggior parte il
processo di sviluppo economico dei decenni passati, contrastano con le caratteristiche socio-
economiche delle aree interne (pur ricche di testimonianze storico-culturali di primo piano).
Ed in effetti, i fenomeni di industrializzazione e urbanizzazione successivi agli anni
cinquanta, unitamente allo sviluppo dell’aeroporto di Catania, hanno disegnato una struttura
complessiva dell’area in questione caratterizzata dalle aree urbane come poli di riferimento
territoriale e come punti di concentrazione della forza lavoro. Si è configurato, in altri termini,
uno sviluppo delle zone urbane e costiere e un progressivo spopolamento e impauperimento
delle zone interne. La struttura economica complessiva, così come evidenziato anche negli
studi preparatori al Piano di Sviluppo Locale, ci consegna un territorio che dal punto di vista
economico (nella tradizionale suddivisione settoriale) ed occupazionale vede una prevalenza
dell’agricoltura e del commercio rispetto ai settori manifatturieri.
TAB. 1: Indicatori territoriali e socio-demografici dell'area interessata

Indicatori territoriali e socio-demografici GAL SICILIA

Superficie (Kmq) 908 25.707


Popolazione residente 84.184 4.966.386
Densità (ab/kmq) 93 193
Tasso di variazione demografica ('91-'81) -0.8% 1.2%
Tasso di attività (Agricoltura) 29.7% 16.3%
Tasso di attività (Servizi) 47.4% 59.7%
Tasso di disoccupazione 16.3% 22.8%
Grado di istruzione (% laureati e diplomati) 17.4% 21.6%
Lavoratori dipendenti 74.9% 73.4%

Fonte: INEA, "I GAL del Leader II"

128
bozza non completa e non corretta -- non citare
Nonostante quanto detto sopra, negli ultimi dieci anni, in particolar modo, si è assistito
ad un ridimensionamento della naturale vocazione agricola, con un settore primario (che conta
comunque sempre un buon 30% degli occupati) che subisce una cronica carenza di
infrastrutture, uno scarsissimo grado di investimenti in nuove tecnologie, una strutturale
difficoltà nella commercializzazione e internazionalizzazione della produzione e una pesante
assenza di organizzazioni collettive.128 Le principali colture sono agrumeti (in particolar modo
limoni), vigneti, oliveti e frutteti. All’attività di coltivazione si affianca, soprattutto nelle aree
interne (con un certo peso economico nella struttura complessiva dell’area) un discreto grado
di produzione zootecnica. A questo proposito, dalla lettura del PAL emerge una descrizione
piuttosto puntuale e dettagliata delle produzioni tipiche del complesso del settore
agroalimentare: limoni, aranci, mandarini, mele, pere, pesche, nespole, fichi d’india,
mandorle, castagne, nocciole, pistacchi, fragole, funghi, ricotta fresca, “tuma” (pecorino
fresco con pepe nero), caciocavallo, provola dei Nebrodi, olive nere e da mensa, olio di oliva,
vini DOC (Etna) e tipici (Mandorlato), prodotti sott’olio (pomodori, melanzane, peperoni,
peperoncini), carni (conigli, pecore), prodotti ittici, dolci (paste di nocciola, mandorla e
pistacchio, ricotta);
Il settore secondario si presenta piuttosto modesto (23% degli occupati sul totale della
popolazione attiva) e comunque limitato alla trasformazione di alcune materie prime (legno e
pietra lavica) o alle costruzioni ma complessivamente al servizio del settore terziario, di gran
lunga quello predominante nell’area (47% degli occupati), in particolar modo il comparto del
commercio.
Il turismo presenta invece caratteristiche fortemente differenziate tra aree costiere ed
interne. Le prime si caratterizzano intorno alla presenza del distretto Giardini Naxos-
Taormina, con alcuni elementi di grande positività (una progressiva destagionalizzazione dei
flussi, una notevole riconoscibilità nel circuito internazionale, un costante sviluppo
alberghiero e un adeguato supporto commerciale e pubblicitario) ed altri di segno decisamente
opposto (prossimità ad un livello di collasso demografico, carenza di infrastrutture e di
strutture ricettive, disservizi al consumatore, ecc…). Le aree interne non sono invece riuscite
a sviluppare un turismo autonomo e sganciato dai flussi di cui gode il polo taorminese. Si
tratta quindi di un turismo “derivato” che tende a concentrarsi soprattutto sui servizi al centro
attrattivo. Negli ultimi anni, tuttavia, anche parzialmente grazie agli interventi di

128
Va segnalato a proposito, senza voler pretendere un’analisi del fenomeno, il disinteresse
(o la non partecipazione) delle organizzazioni sindacali ad entrambe le fasi della
concertazione e dell’attuazione del Piano di Sviluppo.
129
bozza non completa e non corretta -- non citare
programmazione economica, si è assistito ad un graduale recupero delle aree interne, con una
ricerca ed una valorizzazione degli elementi di produzione tradizionale, del patrimonio
naturale e paesaggistico e dello sviluppo, nelle sue diverse forme, del comparto agrituristico.

6.1.2. Cronistoria
Il GAL Valle Alcantara nasce, su proposta e iniziativa dell’Ente di Sviluppo Agricolo
(ESA) della Regione Sicilia. Tra la fine del 1997 e l’inizio del 1998 su iniziativa dell’allora
commissario dell’ESA129 , e con il supporto del governo regionale si misero in piedi tre ipotesi
di PAL: una sul territorio messinese, una nella provincia di Trapani ed una terza nella
provincia di Siracusa.
Il primo elemento di originalità nella conduzione della vicenda da parte dell’ESA sta nel
fatto che il PAL viene promosso per tutta la Valle dell’Alcantara, sia nella sua parte catanese
che nel suo versante messinese. Dal progetto fuoriescono (per loro decisione) 5 comuni130 che
andranno poi a formare il GAL Fiume Alcantara.
Sin da subito l’Ente di ricerca si pone come soggetto referente che avvia la
concertazione sul territorio (delle valutazioni qualitative in merito si darà conto più avanti): in
primis vengono coinvolti i comuni dell’area interessata, immediatamente dopo si instaura uno
stretto rapporto con la Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) che da questo momento in
poi si occuperà (ovviamente non inquadrata in una rigida divisone dei ruoli) del
coinvolgimento della parte privata.
L’animazione territoriale svolta e la fase di concertazione con i comuni e i soggetti
privati (prevalentemente, appunto, attraverso le associazioni di categoria) ha permesso il
raggiungimento e il mantenimento di una buona rete di rapporti tra l’allora costituenda
struttura amministrativa e il resto degli attori della partnership.
Si riescono a superare ostacoli che sono ovvi considerando la novità dello strumento e
della filosofia che lo anima: in particolar modo si oltrepassano (anche se a fatica e mai in via
definitiva) i limiti fisici e culturali di uno sterile campanilismo, che caratterizza da sempre la
vita degli enti territoriali più piccoli; si riesce ad introdurre il meccanismo della condivisione
di scelte concertate in una realtà disabituata (o mai abituata) a dialogare con il territorio; più

129
Fu molto importante che la proposta partisse da un esperto del settore agricolo: ciò venne
visto dagli attori che poi parteciparono al progetto, come garanzia di serietà e imparzialità
rispetto allo sviluppo del programma.
130
Malvagna, Moio, Francavilla, Novara e Motta.
130
bozza non completa e non corretta -- non citare
in generale si riesce a far sedere soggetti fortemente diversi, per interessi e forme di
rappresentanza, tutti intorno ad uno stesso tavolo.
Il progetto viene approntato dai tecnici dell’ESA in collaborazione con esperti del
mondo accademico nazionale. Nella fase di definizione si accolsero istanze e proposte
progettuali provenienti sia dai comuni che dalle associazioni di categoria (che nel frattempo
hanno assunto la piena rappresentatività del settore privato, che solo tramite esse si rapporta
alla fase di concertazione). Ma su questi aspetti, come già detto prima, si rimanda più avanti
per delle valutazioni più puntuali.
Si sviluppa, comunque, una robusta rete di partenariato (intorno ad un’idea di attuazione
dell’Iniziativa Comunitaria) che da vita al GAL. È il 26 Ottobre 1998.
Il PAL si pone come obiettivo primario quello del potenziamento e dell’integrazione
delle diverse attività nell’area, assumendo come presupposto la valorizzazione delle risorse
locali in un’ottica di consumo e utilizzo diversificato delle stesse.
Più in dettaglio, e seguendo la descrizione degli assi strategici contenuti nello stesso
Piano, si ricercava un riequilibrio delle attività nell’area ed il mantenimento di un tessuto
socio-economico diversificato (tra le diverse aree che componevano il territorio, ed in primis
seguendo la ripartizione in aree costiere ed aree interne) attraverso quattro direttrici di
intervento:
- potenziamento della qualità e dell’immagine del territorio
- crescita della cultura imprenditoriale e sviluppo della formazione
- valorizzazione dell’ambiente locale e gestione del territorio
- organizzazione e valorizzazione di poli di turismo rurale trainanti
É piuttosto interessante a questo proposito lo schema che viene di sotto riportato e che
riassume, secondo un semplice modello SWOT, la filosofia complessiva del Piano alla luce
delle caratteristiche socio-economiche del territorio.

131
bozza non completa e non corretta -- non citare

TAB. 2: (analisi estratta dal PAL)


PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA OBIETTIVI STRATEGIE

Agricoltura Organizzazione degli attori Potenziamento della qualità e Realizzazione di un sistema


dell’immagine del territorio informativo territoriale a
Patrimonio culturale ed Agricoltura
disposizione delle
architettonico Crescita della cultura
Artigianato e piccolissime amministrazioni comunali;
Risorse naturali imprese imprenditoriale e sviluppo della
formazione
Turismo Servizi alla popolazione Azioni di
Valorizzazione dell’ambiente valorizzazione e qualificazione
Artigianato e locale e gestione del territorio dei prodotti locali;
piccolissime imprese Sviluppo dei processi
PMI/PMII produttivi;

Adozione di strategie di
marketing per l’ampliamento
dei mercati;

Monitoraggio del fiume


Alcantara e degli scarichi dei
sistemi depurativi;

Organizzazione e
valorizzazione di poli di turismo
rurale trainanti
Fonte: Valutazione Programma Leader II, Agriconsulting S.p.a. per Regione Sicilia

6.1.3. Risultati
Dalla descrizione della fase di concertazione e delle definizione del PAL che è stata
effettuata è possibile evidenziare, ormai a progetto concluso, i risultati che in termini
sostantivi e di processo ne sono scaturiti.
Risultati sostantivi - Le risorse disponibili complessive (il costo totale del piano)
ammontano a Lit 7.637.000.000 delle vecchie lire. La quota pubblica è risultata essere di Lit.
5.060.000.000 mentre quella privata di Lit. 1.677.000.000 (vedi TAB.3). Al 31/12/2001,
come si può vedere dallo schema sottostante (Tab.4), la capacità di utilizzazione dei fondi
ammontava a circa il 65% (75,77% per la parte dei fondi pubblici).

132
bozza non completa e non corretta -- non citare
TAB. 3: Estratto del Piano finanziario del GAL Valle Alcantara (milioni di lire)

Nome UE Stato Pubblico Privati Totale

1. ASSISTENZA TECNICA ALLO SVILUPPO RURALE 1287.743 678.31 1966.053 0 1966.053

2. FORMAZIONE PROFESSIONALE E AIUTI


318.3 187.8 506.1 0 506.1
ALL’ASSUNZIONE

3. TURISMO RURALE 110.64 49.36 160 60 220

4. PICCOLE IMPRESE, ARTIGIANATO E SERVIZI ZONALI 144.4 75.6 220 180 400

5. VALORIZZAZIONE IN LOCO E COMMERCIALIZZAZIONE


874.757 359.39 1234.147 1437 2671.147
DI PRODOTTI AGRICOLI, SILVICOLI E DELLA PESCA

6. TUTELA E MIGLIORAMENTO DELL’AMBIENTE E DELLE


632.16 341.54 973.7 0 973.7
CONDIZIONI DI VITA

7. COOPERAZIONE TRANSNAZIONALE 0 0 0 0 0

Totale Generale 3368 1692 5060 1677 6737

TAB.4: Stato di Attuazione finale al 31/12/2001


Impegni Pagamenti Capacità di utilizzazione

Risorse totali Fondi Pubblici Risorse totali Fondi Pubblici Risorse totali Fondi Pubblici

a b c d c/a d/b

6.737.000.000 5.060.000.000 4.375.539.675 3.834.028.275 64,95% 75,77%

Fonte: Valutazione Programma Leader II, Agriconsulting S.p.a. per Regione Sicilia

Per ciò che attiene agli impegni relativi ai progetti previsti nel piano131 , in un’ottica di
incremento del turismo nelle aree interne (penalizzate, come detto, dalla forza attrattiva dei
poli costieri) e di incentivazione dello sviluppo imprenditoriale (preservando la diversità della
struttura socioeconomica tra aree interne, basate essenzialmente su produzioni di tipo
agricolo, e aree costiere), gli interventi predisposti hanno visto (vedi fig.1) in larga parte
prediligere il settore agricolo (66%). Un attenzione particolare è stata evidenziata per gli
investimenti nel settore ambientale con la predisposizione di misure importanti come il
miglioramento ed il monitoraggio della qualità dell’ambiente e l’ottimizzazione della gestione
dei rifiuti, in particolar modo per ciò che concerne i materiali plastici e di imballaggio
provenienti dalle attività agricole ed agroindustriali.

131
L’analisi dei risultati sostantivi riportata di seguito si basa (oltre che sulle informazioni
raccolte “sul campo”) sui rilievi effettuati dalla già citata valutazione effettuata da
Agriconsulting per la Regione Sicilia.
133
bozza non completa e non corretta -- non citare
Il settore turistico ha conosciuto un monte investimenti (complessivo di pubblico e
privato) pari al 23% del totale, attraverso l’individuazione e promozione di pacchetti turistici
e la realizzazione di nuovi itinerari segnalati sul territorio.
Fig.1
Nella formulazione del piano di
VALLE ALCANTARA - RIPARTIZIONE SETTORI
sviluppo gli investimenti maggiori sono
10,7%
assorbiti dalle attività per servizio
(55%) alle imprese del settore agricolo 66,3%

e turistico.
Per ciò che concerne la 23,0%
ripartizione tra i beneficiari finali, il
GAL ed i soggetti privati, riscontrano
una percentuale pressoché identica AGRICOLTURA TURISMO PMI
(intorno al 45%), con una netta
preponderanza, per entrambi, degli interventi di natura immateriale.
Passando ad un analisi degli investimenti realizzati al 31/12/2001, notiamo come il
profilo, l’equilibrio del piano in una qualche maniera muti.
Viene confermato il carattere intersettoriale (nei limiti delle caratteristiche dello
strumento, rivolto comunque alle aree rurali) del Piano: esso si distribuisce per circa il 18%
sul turismo, per il 14% su ambiente e agricoltura e per il 9% sull’artigianato. Altro elemento
costante è la concentrazione degli investimenti in interventi di servizio alle imprese (turistiche
e agricole nella quasi totalità) e in interventi nel settore ambientale. Si registra inoltre una
buona azione di animazione (14% circa degli investimenti effettuati) e di formazione (11%).
Nel complesso risultano predominanti gli interventi di tipo immateriale, in particolar
modo a causa di una carenza dei soggetti beneficiari privati (che realizzano solo il 36% degli
investimenti che erano oggetti di impegno) che realizzano solo il 35% degli interventi di tipo
materiale rispetto a quanto preventivato nel piano (sulle possibili spiegazioni di queste
dinamiche si rimanda all’analisi dei risultati di processo).
Da ultimo, muta sensibilmente la ripartizione relativa ai beneficiari finali (che in fase di
impegno aveva visto un sostanziale equilibrio tra GAL e altri soggetti): il GAL risulta essere
attuatore/beneficiario di oltre il 62% degli investimenti mentre soggetti privati e soggetti
pubblici sono coinvolti rispettivamente per il 14% e il 24%. Il settore che maggiormente ha
subito questa riduzione è stato quello agricolo dove sono stati realizzati solo il 25% degli
investimenti previsti.
134
bozza non completa e non corretta -- non citare
Riassumendo (vedi anche TAB. 4), il GAL Valle Alcantara a fronte di impegni pari a
6,737 miliardi di lire si è concluso con realizzazioni pari a 4,375 miliardi, vale a dire con
una percentuale di realizzazione del 64,95% che si innalza fino a quasi il 76% per la quota
parte pubblica (di nuovo emerge la difficoltà del settore privato).
Più difficile, considerando l’alta percentuale di interventi immateriali, la misurazione
dei risultati occupazionali. Ad oggi non sembra esserci ancora la possibilità di una loro
misurazione certa.
In dettaglio il Piano è stato articolato in sei sub-misure, le quali hanno presentato un
diverso grado di attuazione:
- Le sub-misure A e B, rispettivamente Assistenza tecnica allo sviluppo rurale e
Formazione professionale e aiuti all’assunzione, raggiungono buoni risultati di
attuazione con percentuali superiori al 90%. Nella prima si segnalano alcuni
interventi significativi, oltre a tutti gli interventi di animazione e gestione del GAL,
come il progetto SITAR. Esso è una sistema informativo territoriale, si tratta di una
rete telematica intranet/internet collegata ad un sito WEB del territorio e ad un SIT
già operativo con diverse categorie di informazioni su territorio e organismi presenti.
L’azione ha previsto anche la produzione di un cd rom multimediale contenente
immagini del territorio, il catalogo dei prodotti tipici delle aziende selezionate, e
l’elenco dei servizi disponibili. Il sistema è stato realizzato e gestito dal GAL. A
regime è previsto il collegamento di 56 operatori fra amministrazioni pubbliche, enti
ed associazioni (a 40 di questi sarà fornito un modem ed a 16 le stazioni complete).
Nella sub misura B troviamo tra gli altri interventi, la creazione di due corsi per
Operatore e restauratore del verde, della durata di 320 ore ciascuno per un totale di
40 giovani diplomati e disoccupati.
- Le sub-misure C e D, rispettivamente Turismo rurale e Piccole imprese, artigianato
e servizi zonali, hanno utilizzato il totale di quanto impegnato, risultando le più
efficienti dell’intero piano. Entrambe prevedevano una loro articolazione in una sola
azione (ciò spiega anche il perché di una percentuale di realizzo del 100%). Più in
dettaglio, nel primo caso si è realizzato un intervento dal titolo “Creazione di nuovi
prodotti turistico-rurali: le vie del Mongibello, dell’Alcantara e dei Nebrodi” che ha
portato alla realizzazione di un’analisi (basata sulla ricognizione delle risorse) e di
una campagna promozionale attraverso la produzione di brochure turistiche e
l’installazione di Totem multimediali. Nel secondo caso l’azione prevista “Interventi
promozionali per lo sviluppo dell’imprenditoria tessile”, si è motivata con la
135
bozza non completa e non corretta -- non citare
presenza sul territorio, in particolare nell’area di Bronte (polo regionale del settore),
di numerose aziende tessili che producono per marchi nazionali. Con questa azione
il GAL ha promosso un concorso a premi per gli stilisti locali ed ha organizzato 6
sfilate di moda. Le manifestazioni, organizzate sulla costa, hanno riscosso grande
successo.
- La sub-misura E, Valorizzazione in loco e commercializzazione di prodotti agricoli,
invece, mentre risultava la più importante dell’intero piano di sviluppo (e per
contenuto che per importo finanziario) è stata quella che maggiormente ha
riscontrato difficoltà di attuazione, con una percentuale complessiva di poco
inferiore al 30% (40% per la quota parte pubblica). Erano tre le azioni nelle quali la
misura si articolava, alcune di carattere immateriale (studi, ricerche di mercato) altre
di tipo materiale (introduzione di nuove colture o di nuovi sistemi di coltivazione,
realizzazione di un centro di commercializzazione esposizione di prodotti locali).
Ma per tutte si è riscontrata la medesima difficoltà a trovare una piena attuazione.
- La sub-misura F, Tutela dell’ambiente e miglioramento delle condizioni di vita,
che ha riscontrato un discreto grado di attuazione (69,74%) e che si articolava
anch’essa in tre diverse azioni. Di queste senza dubbio la più importante è la prima
che ha previsto la realizzazione di una rete di monitoraggio delle acque del Fiume
Alcantara composta da 7 centraline dislocate in varie posizioni strategiche e
collegate via modem al centro elaborazione dati di Randazzo. Nell’ambito
dell’azione si è promossa la costituzione di un consorzio di gestione fra i 16 comuni
che si affacciano sulle sponde del fiume, ma proprio su questo punto, e quindi
sull’intera fruibilità dell’opera, si registrano ancora oggi gravi ritardi che
impediscono l’attivazione del sistema di monitoraggio creato.

Risultati di processo – Nell’ambito dell’analisi svolta, attraverso il ricorso ad interviste


mirate a testimoni chiave del processo di costruzione e di attuazione del programma di
sviluppo, è stato possibile evidenziare alcuni elementi interessanti relativi ai profili politici,
istituzionali e sociali (in termini di coinvolgimento e dialogo con il territorio) del GAL.
Va innanzitutto sottolineato come nel caso in specie sia risultato estremamente
importante che il ruolo propulsivo fosse stato assunto da un ente di ricerca come l’ESA, ed in
particolar modo dall’allora commissario al quale si riconosceva un’indiscussa autorevolezza
scientifica nel settore. Si è già avuto modo di sottolineare, infatti, come tale fatto fu vissuto
dai soggetti che poi presero parte alla concertazione, come un elemento di garanzia di non

136
bozza non completa e non corretta -- non citare
poco conto. A ciò va aggiunto che l’ESA (ente pubblico regionale), nell’ideazione e
costruzione del progetto, si mosse di concerto con il governo regionale, assicurando all’intera
operazione una sponda politica non irrilevante.
La promozione del piano avvenne, come detto, per tutta la Valle dell’Alcantara. Questo
aspetto merita alcune riflessioni. La prima risiede nella volontà di un limitato gruppo di
comuni (solo cinque) di affrancarsi dal progetto per costituire un GAL autonomo. In questo
episodio risiede forse uno degli elementi più preoccupanti per chi agisce nello sviluppo
locale: il perseguimento di strategie di sviluppo legate all’esistenza di un finanziamento (e
alla ricerca di una sua massimizzazione) piuttosto che di un disegno territoriale coerente con
le esigenze e i contesti. La seconda, di segno opposto, deve senz’altro sottolineare che, per
ricomprendere, appunto, tutto il territorio della Valle, il Piano non venne limitato ai territori di
una sola provincia ma assunse un carattere interprovinciale. È un aspetto davvero rilevante se
inquadrato in un contesto in cui anche tra comuni della stessa provincia i campanilismi erano
piuttosto accesi: la scelta di uscire addirittura fuori dai confini provinciali si mostrava come
un’incognita piuttosto importante.
Possiamo sin d’ora dire che la risposta del territorio fu piuttosto positiva. E non solo per
l’accortezza degli amministratori che riuscirono (anche se a fatica e a fasi alterne) a superare
le tradizionali divisioni (che, sembra giusto precisare, sono comunque riconducibili a
dinamiche di competizione economica e sociale tra comuni), ma anche e soprattutto per le
modalità secondo le quali venne condotta la fase di concertazione.
Pur mantenendo l’ESA un ruolo centrale per tutta la prima fase, il coinvolgimento dei
comuni fu piuttosto ampio. Per la prima volta, in maniera concreta ed immediatamente
applicabile, gli enti locali diventavano reali protagonisti dei processi decisionali riguardanti lo
sviluppo del territorio. Per la prima volta si legava (anche se non ancora in maniera definita e
compiuta) la presenza di un finanziamento ad un’idea ragionata e condivisa di crescita. Il
progetto fu approntato, dal punto di vista tecnico, dai tecnici dell’ente di ricerca. Ma nello
svolgere questo compito essi trovarono nei comuni interessati, così come nelle associazioni di
categoria (n particolar modo la CIA), degli stimoli importanti in termini di istanze progettuali
e di dialogo con le esigenze socio economiche del territorio.
Questo processo di concertazione e condivisione delle scelte fu reso possibile anche
grazie ad un discreto livello di animazione territoriale. Numerose riunioni preparatorie
precedute da diverse iniziative di pubblicizzazione del percorso hanno, infatti, facilitato un
certo dialogo con gli operatori economici e istituzionali della Valle.

137
bozza non completa e non corretta -- non citare
Ed in questo senso è possibile parlare di una sostanziale modificazione dei processi
relativi alla decisione pubblica e al concetto di democrazia locale legata ai fenomeni di
partenariato. I sindaci in primo luogo, infatti, comprendono il valore della concertazione,
dello studio di soluzioni di sviluppo del territorio che siano quanto più possibile rivolte a
processi di integrazione di contesti simili, nell’ottica di una nuova competizione con altri
sistemi territoriali.
Non è fuor di luogo dire che, in quest’ottica, il GAL (inteso in senso più ampio come
strumento di attuazione dell’I.C. Leader) rappresenta il primo vero esperimento, tutto
sommato positivo, di concertazione dal basso dello sviluppo.
Non si nega che permangano alcuni elementi di retaggio delle vecchie logiche
decisionali. In particolar modo le dinamiche politico elettorali anche nel GAL Valle Alcantara
continuano ad avere un peso (ogni sindaco mira alla configurazione del progetto quanto più
simile alle promesse o al suo programma elettorale). Così come una certa insistente attenzione
da parte degli enti locali su aspetti più amministrativi (quote, cariche in seno alla società) che
di contenuto. E pur tuttavia, grazie anche ad un contesto comunitario che imponeva un
altissimo grado di trasparenza nelle scelte e ad un’abile ruolo di mediazione svolto da alcune
associazioni di categoria (nella fattispecie la CIA riuscì a sanare un contrasto piuttosto
profondo tra la Provincia e i comuni che temevano di essere espropriati del “protagonismo”
che avevano appena acquisito), qualche passo in avanti nel percorso di uno sviluppo
ragionato, politicamente e socialmente condiviso, si compie. Non si nega altresì che l’aver
elevato il tasso di democrazia locale ha comportato un certo rallentamento nei processi
decisionali: spesso è risultato difficile far fronte a tutte le istanze o esigenze. Ma tutto ciò lo si
può inquadrare nella novità dello strumento e nella poca confidenza con i meccanismi che
esso comportava.
Per ciò che concerne la natura del partenariato, va detto che dato il processo di
concertazione esso, almeno potenzialmente, si è dimostrato piuttosto aperto e quanto più
inclusivo possibile. Certamente non si è registrata la partecipazione di reti già esistenti (se da
questa classificazione si escludono ovviamente le associazioni di categoria), così come delle
associazioni sindacali che hanno mostrato scarso interesse per quello che comunque
rappresentava un momento di crescita strategico per il territorio. È altresì vero che al
momento della firma, non è risultato essere di ampie dimensioni; ma va però rilevato che lo si
è allargato a forze e operatori che difficilmente possono essere ricondotti ai soggetti
economici tradizionalmente predominanti nel territorio.

138
bozza non completa e non corretta -- non citare
Un po’ più complesso è, invece, il discorso relativo alla costruzione delle misure del
Piano di Sviluppo, e soprattutto il ruolo che i beneficiari finali hanno giocato in quel processo.
Se, infatti, sinora sono emerse gli aspetti più positivi dello studio di caso, il capitolo che
si apre ora rappresenta invece l’aspetto più discutibile e inefficiente dell’esperienza in esame.
Nel comprendere le modalità e il grado di interazione con il tessuto socioeconomico al
momento della costruzione delle misure, emerge inequivocabilmente un allarmante
scollamento tra la strategia di attuazione del Piano e le esigenze e i fabbisogni del territorio.
In altri termini, i bandi vennero pensati e costruiti dagli animatori senza un’effettiva
partecipazione, o spesso anche solo consultazione, degli ipotetici beneficiari finali. Lo stesso
può esser detto per la definizione dei fabbisogni (dove comunque supplirono i sindaci
interessati) o del contesto. Il risultato fu il fallimento di alcuni bandi (come quello relativo ai
finanziamenti per la telematizzazione dell’offerta) e la parziale compromissione dell’intero
GAL o di parti consistenti di esso. Basti pensare alla misura E, di cui si è dato conto prima,
che doveva rappresentare l’elemento chiave della strategia rivolta alle imprese e che è stata
attuata per il solo 30%. Sicuramente il fatto che ci si trovasse di fronte alla prima esperienza
di questo tipo non è un elemento da sottovalutare (spesso nella definizione dei bandi si faceva
ricorso a format già utilizzati in altri contesti, che però avevano sicuramente esigenze
differenti), ma resta comunque il fatto che per certi aspetti allora si perse un’occasione
(comunque nei limiti e nelle dimensioni dello strumento), e si riuscì a sviluppare solo quelle
parti dalle caratteristiche più vaghe o generali, non riuscendo a determinare soluzioni o, più in
generale, interventi in settori di reale fabbisogno del territorio.

6.1.4. Conclusioni
Brevemente ed in conclusione, si può considerare l’esperienza del GAL Valle Alcantara
come positiva sotto diversi punti di vista. In particolare la fase della concertazione e i processi
di decisione pubblica hanno rappresentato gli aspetti più fruttuosi dell’intera vicenda. La
presenza di un ente pubblico di ricerca come l’ESA ha permesso una partenza scevra da
condizionamenti di qualsiasi natura: si è immediatamente compreso quale spirito animava il
soggetto promotore così come l’intera iniziativa. I comuni hanno registrato un ampio
coinvolgimento e una buona capacità nel saper interloquire tra di loro (pur con tutti i momenti
di tensione e difficoltà che si son comunque avuti) e con i loro territori.
Si è riusciti a superare forme radicate di campanilismo e ci si è avventurati per la prima
volta in un contesto di programmazione dal basso (come detto il GAL rappresenta la prima
vera esperienza di programmazione concertata del territorio).
139
bozza non completa e non corretta -- non citare
Di certo però, non con i risultati che si potevano sperare. Infatti, se pur in un contesto
ampiamente innovativo e tutto sommato positivo come quello descritto, non sono mancate
delle ombre nell’esperienza studiata.
Va subito detto, come più volte già sottolineato, che il fatto di trovarsi all’esordio
(almeno per quel territorio e quei soggetti) nel campo della programmazione rappresenta già
di per se stesso una parziale spiegazione.132 Ma appunto solo parziale…
Alcuni limiti sono stati evidenti. Sia nella fase di concertazione e coinvolgimento dei
comuni e associazioni di categoria, che in quella di attuazione ed esecuzione del Piano. Nella
prima accanto ai progressi registrati vanno però evidenziate carenze rilevanti nella corretta
lettura e rappresentanza del territorio e nella ricerca delle soluzioni ai problemi amministrativi
piuttosto che a quelli relativi alla strategia dello sviluppo (era, ad esempio, ancora troppo forte
la tentazione di guadagnare posizioni di controllo in seno al consiglio di amministrazione
della società).
Per ciò che concerne la seconda fase (l’attuazione) è stato ampiamente testimoniato
come si sono sperimentati limiti piuttosto importanti nella reale definizione delle esigenze del
territorio (inteso soprattutto come complesso dei beneficiari finali privati) e nella conseguente
definizione dei bandi e dei progetti di esecuzione del Piano. Ne ha risentito tutto lo sviluppo
del GAL, con percentuali di realizzo di alcune misure davvero irrisorie, e con progetti
realizzati ma inutilizzati, come la rete di monitoraggio del Fiume Alcantara che non ha visto a
tutt’oggi costituirsi un consorzio di gestione così come era stato previsto.
L’esperienza che si è conclusa ha comunque trovato, proprio in questi giorni, una sua
prosecuzione all’interno di un nuovo GAL, che accorpa anche altri tre GAL della provincia di
Catania e di Messina, e che soprattutto riunifica tutto il territorio della Valle.
È, ovviamente, ancora troppo presto per azzardare qualsiasi giudizio di merito, anche se
i soggetti che hanno partecipato a questa riunificazione e le strategie di sviluppo intorno alle
quali si stanno muovendo sembrano essere piuttosto serie e promettenti.
Di certo tra le esperienze di programmazione territoriale, il programma Leader è quello
che sembra essere più idoneo a sviluppare nuovi e più proficui rapporti tra soggetti che
vivono e animano il territorio, è quello che in sostanza sembra avere maggiori capacità di
riuscita, nonostante esempi di cattiva interpretazione dello strumento non manchino di certo,

132
Anzi, andrebbe forse sottolineato che dopo quell’esperienza (intesa generalmente come
Leader II), non solo nella provincia di Messina ma su tutto il territorio siciliano, continuano a
registrarsi limiti enormi come quelli qui denunciati, ed in particolar modo il ritorno a forme di

140
bozza non completa e non corretta -- non citare
anche tra gli ultimi progetti presentati (basti pensare alla costituzione di un enorme
“carrozzone” di 53 comuni nella Provincia di Messina, spalmato su di un territorio
estremamente eterogeneo per composizione ed esigenze, che ha inteso in queste settimane
prendere parte al bando per la costituzione dei nuovi GAL).
Come tutte le cose, starà alla buona volontà di chi opera sul territorio non sprecare
quest’ennesima occasione che al Mezzogiorno è concessa.

campanilismo o a logiche di appartenenza politica (intesa come legame o vincolo a notabili


locali).
141
bozza non completa e non corretta -- non citare

6.2. Fabrizio Fasulo Il Patto Territoriale di Messina

6.2.1. Carta d’identità


Il Patto Territoriale di Messina viene stipulato, seguendo l’iter contenuto nell’allegato alla
delibera CIPE del 10 Maggio 1995133 , il 29 Marzo 1999, circa un mese dopo la nascita della
società SO.GE.PAT. S.p.A. che viene individuata come soggetto responsabile del Patto.
La base sociale, o meglio i soggetti sottoscrittori del Patto sono stati: la C.C.I.A.A., la
Provincia Regionale, l’ASI, l’Ente Fiera, l’Ente Porto, l’Università di Messina, le
Associazioni degli Industriali, degli Agricoltori, dei Commercianti, degli Artigiani, della
Cooperazione, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e i comuni (35) di Messina, Alcara Li
Fusi, Alì Terme, Antillo, Barcellona P.G., Basicò, Brolo, Capo d’Orlando, Caprileone,
Caronia, Castroreale, Condrò, Ficarra, Furci Siculo, Galati Mamertino, Giardini Naxos,
Gioiosa Marea, Itala, Limina, Lipari, Milazzo, Mirto, Motta Camastra, Motta d’Affermo,
Pace del Mela, Patti, Piraino, Rodì Milici, S.Agata Militello, San Filippo del Mela, S.Piero
Patti, Sinagra, Torrenova, Venetico, Villafranca Tirrena.
Come è facile notare la struttura del partenariato è risultata piuttosto ampia, eterogenea e con
una notevole presenza di enti locali di tutte le aree della Provincia di Messina (ma su come si
è arrivati ad una composizione di questo tipo si tornerà più avanti).
La struttura decisionale viene impostata, all’interno della SO.GE.PAT., seguendo lo schema
classico dei patti territoriali: un’assemblea dei soci (rappresentativa di tutti gli azionisti, con
una maggioranza, 51%, del capitale privato), un consiglio di amministrazione (anch’esso a
maggioranza privata) e un collegio dei sindaci (di tre membri, di cui due nominati dagli
azionisti pubblici).
L’ambito territoriale 134 del Patto in esame presenta delle caratteristiche piuttosto particolari.
In maniera atipica, e forse non proprio nello spirito della filosofia che anima questo
strumento, si scelse come ambito territoriale tutto il territorio provinciale di Messina. In altri
termini non si individuò una particolare area del territorio come bisognosa di un programma
di intervento di questo tipo: si reputò al contrario che fosse necessario (per delle motivazioni

133
Siamo nell’ambito dei patti cosiddetti di I generazione, dove un ruolo centrale è rivestito
dal CNEL.
134
Va subito detto che il Patto in realtà non si chiama “della Provincia di Messina” ma
semplicemente “di Messina” nascendo come idea di sviluppo prevalentemente dell’area
metropolitana. Lo sviluppo della fase di concertazione lo caratterizzerà poi, come si
evidenzierà ampiamente, come strumento di sviluppo per l’intera provincia.
142
bozza non completa e non corretta -- non citare
che ora si esamineranno) spalmare questo progetto di programmazione concertata su tutta la
Provincia di Messina. È altresì vero che nei documenti preparatori si specificarono delle aree
di intervento (vedi cartina sottostante, FIG. 2), che coincidono grosso modo con i comuni
firmatari e dove sarebbero poi ricaduti i singoli progetti, ma nel complesso il Patto diventava
strumento di sviluppo di tutta la Provincia.
Già nella premessa di intenti, la dimensione provinciale dell’intervento veniva esplicitamente
richiamata: “La situazione di crisi in cui versa il sistema economico produttivo della
Provincia di Messina impone una svolta nella gestione politica del territorio, delle
infrastrutture, delle attività produttive e dei servizi, per indurre una nuova fase di sviluppo”.

Fig. 2
Aree interessate dal
patto territoriale

In questo senso, il concetto di concertazione assumeva un ruolo centrale come processo di


coinvolgimento politico e decisionale dei soggetti interessati, ai massimi livelli: “…una
rinnovata capacità dei soggetti sociali di progettare nuove ipotesi di sviluppo caratterizza il
progetto del Patto Territoriale della Provincia di Messina, che assume come centrale il
metodo della concertazione, la progettualità e l’integrazione delle iniziative per l’utilizzo delle
risorse (comunitarie, nazionali e regionali) e che propone una forte innovazione nelle relazioni
143
bozza non completa e non corretta -- non citare
socio-istituzionali. Il Patto territoriale diventa, quindi, in prospettiva, uno strumento per
coinvolgere direttamente il sistema produttivo e le forze sociali negli obiettivi di sviluppo del
territorio…”
Sempre nella premessa di intenti viene poi effettuata, come accennato, una sommaria
ripartizione o individuazione del territorio interessato (ma sempre nella cornice provinciale):
“Il territorio interessato dal Patto… coincide solo in parte con quello del comune capoluogo.
Aggrega infatti una serie di altri comuni che possono dividersi in tre fasce: a) Comuni
ricadenti nell’area metropolitana … e che, avendo uno stretto legame di funzionalità con il
capoluogo, rappresentano la piattaforma del Patto; b) comuni fuori dall’area metropolitana,
…, interessati alle filiere produttive del Patto che hanno nel comune capoluogo un’estensione
orizzontale; c) comuni dai poli turistici, …, che fanno riferimento a Messina come baricentro
di smistamento di servizi e flussi di mobilità”.
Brevemente, per ciò che concerne la struttura economica dell’area interessata135 , è utile
evidenziare come i comuni che ruotano intorno all’asse Messina – Villafranca – Barcellona
hanno una vocazione prevalentemente industriale; i comuni del litorale jonico sono, invece, a
prevalente indirizzo turistico (con una forte funziona attrattiva svolta da Taormina e Giardini
Naxos), quelli del litorale tirrenico sono a prevalente vocazione turistico balneare, ed infine i
comuni della zona montana che, a causa delle caratteristiche fisiche del territorio, hanno la
minore densità abitativa e ruotano intorno al Parco dei Nebrodi.
Ne emerge un’analisi complessiva che, nell’ottica della potenzialità di sviluppo dell’area,
mostra come l’economia messinese si basi prevalentemente sull’artigianato, sul commercio e
sul turismo con una buona tenuta complessiva del settore agricolo e con una
marginalizzazione crescente del settore industriale. A essa si affianca, sempre nell’analisi
preliminare allo sviluppo del Patto, una riflessione sulle possibili cause del ritardo e sugli
ostacoli che impediscono una crescita socio economica della provincia. In particolar modo si
evidenziano il basso tasso di innovazione tecnologica e la conseguente obsolescenza degli
impianti (in misura tale da far perdere competitività alla produzione rivolta sia al mercato
interno che a quello internazionale); il mancato controllo di qualità e di certificazione della
qualità da parte delle imprese; il deficit di informazione sull’uso dei servizi esterni alle
imprese e sulle capacità di interfacciarli; e, soprattutto, delle scarse informazioni sulle
possibilità di finanziamento, a fronte di numerose agevolazioni previste da vari interventi

135
Considerato l’interessamento dell’intero territorio provinciale non si ripeterà, se non per
brevi cenni e concentrandoci sulle aree in cui insistono i singoli progetti, l’analisi territoriale
che è stata compiuta precedentemente.
144
bozza non completa e non corretta -- non citare
normativi succedutisi negli anni. È piuttosto interessante notare, in questo quadro, come,
soprattutto nel settore industriale, molte delle lacune evidenziate siano state compensate in
parte dall’intervento pubblico nel settore edile, e che allorquando le risorse finanziarie si sono
esaurite (sia per la riduzione dei flussi finanziari verso gli enti locali e verso il Mezzogiorno,
sia per il fenomeno della tangentopoli) l’intera economia provinciale si è paralizzata,
ricorrendo sempre più al mercato esterno ed eludendo le reali cause di una tale crisi, vale a
dire soprattutto la scarsa cultura d’impresa, la precaria struttura finanziaria, il bassissimo gradi
di capitalizzazione e l’insufficiente qualificazione professionale.

6.2.2. Cronistoria
In questa sede si cercherà di evidenziare le tappe salienti che hanno portato alla costituzione
del Patto, rimandando le riflessioni sulle stesse più avanti, nella sezione dedicata ai cosiddetti
risultati di processo.
Tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996, le tre confederazioni sindacali provinciali, CGIL,
CISL E UIL, sviluppano una profonda riflessione intorno all’idea di implementazione di uno
strumento della programmazione negoziata nel territorio della Provincia di Messina. In
particolar modo, all’interno di una prima bozza di Patto Territoriale, i tre soggetti mettono in
evidenza la necessità di attuare una promozione delle imprese che si muovono nei settori più
innovativi con la previsione di investimenti utili ad allargarne la base produttiva.
Insieme all’associazione degli industriali, le tre organizzazioni sindacali convennero poi che
fosse importante coinvolgere attivamente la Camera di Commercio di Messina, anche e
soprattutto per il ruolo che il suo presidente ricopriva nel contesto nazionale (presidente
nazionale della Confcommercio), in modo da rendere il Patto anche più prestigioso ed
accreditato.
E difatti, siamo nei primi mesi del 1996, la CCIAA si configurerà da questo momento in poi
come soggetto promotore del Patto. Nell’aprile dello stesso anno trasmette al CNEL (che in
questa prima fase della programmazione negoziata detiene un ruolo centrale, soprattutto nei
processi di concertazione ed elaborazione) una proposta di Patto Territoriale riguardante la
provincia di Messina. In conseguenza di ciò viene costituito il così detto “tavolo di
concertazione locale” composto dai rappresentanti degli Enti locali e delle forze sociali.
Dall’opera di questo Gruppo di lavoro, come già visto piuttosto ampio e rappresentativo, e
con l’apporto fondamentale dell’Università di Messina (in particolar modo nell’elaborazione
economica e nella coerenza tra interessi rappresentati e linee di sviluppo), scaturisce un
progetto di Patto contenente la delimitazione del territorio interessato, la definizione degli
145
bozza non completa e non corretta -- non citare
obiettivi e dei tempi di esecuzione, la selezione delle iniziative imprenditoriali e delle
infrastrutture necessarie, l’individuazione degli impegni assunti dai soggetti coinvolti. Viene
così predisposto un documento di concertazione locale, trasmesso al CNEL nell’ottobre 1996.
Nel luglio dell’anno successivo viene siglato il Protocollo d’intesa con il quale i soggetti
sottoscrittori dichiarano formalmente di condividere le finalità e gli obiettivi del Patto e
quindi di assumere gli impegni ivi previsti.
Nell’ottobre del 1998, dopo una serie di importanti passaggi amministrativi tra Roma e
Messina136 , viene sottoscritto, presso la Prefettura di Messina, un documento attuativo del
Protocollo d’intesa137 , allo scopo di rafforzare la concertazione con l’adesione dei Comuni
interessati alle iniziative imprenditoriali del Patto, precisando, in particolare, che ai Comuni
aderenti non fosse preclusa la partecipazione ad altri patti. Si vedrà più avanti come questo
passaggio assuma un profilo piuttosto importante, soprattutto per ciò che concerne il rapporto
tra gli enti locali da un lato e la Provincia e la CCIAA dall’altro.
Tra il gennaio e il marzo del 1999 si compiono gli ultimi passaggi: dapprima, per conseguire
gli obiettivi di un rafforzamento delle condizioni di sicurezza, viene siglato in Prefettura a
Messina un protocollo di legalità; successivamente il Ministero del Tesoro, del bilancio e
della programmazione economica, Direzione per le politiche di sviluppo e di coesione,
servizio per la programmazione negoziata, approva il Patto territoriale di Messina; nel
febbraio, come già detto, nasce la SO.GE.PAT. che viene individuata come soggetto
responsabile del Patto; ed infine nel marzo del 1999, a quasi quattro anni dai primi passi,
viene finalmente stipulato il Patto territoriale per la Provincia di Messina.

6.2.3. Risultati
Partendo dall’analisi territoriale strutturata all’interno della Premessa di intenti e nei
successivi documenti di concertazione, viene individuata una “gerarchia di interessi” o in altri

136
In particolar modo si dovette procedere all’individuazione del soggetto istruttore del
Patto (secondo la nuova normativa) e si procedette alla firma (sempre da parte dei soggetti
sottoscrittori) di una dichiarazione di intenti dove ci si impegna ad attuare il Patto per mezzo
dei seguenti strumenti:
1) Società di gestione per azioni a partecipazione mista ed a prevalente capitale pubblico;
2) Forum degli interessi;
3) Comitato Scientifico;
4) Ente bilaterale per la formazione professionale paritetico tra associazioni degli
imprenditori ed organizzazioni sindacali.
137
In quest’occasione, il Prefetto operò un vero e proprio richiamo alla responsabilità dei
comuni che fino a quel momento, spesso con un atteggiamento dal sapore campanilistico, si
erano dimostrati riottosi verso la stipula del Patto Territoriale.
146
bozza non completa e non corretta -- non citare
termini degli assi (quattro) prioritari di intervento, che riprendono grosso modo le priorità
individuate dalle tre organizzazioni sindacali:
- Lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse naturali, dei beni culturali ed ambientali
per una difesa del territorio funzionale al rilancio del turismo e delle attività ad esso
collegate;
- L’integrazione dell’area portuale e cantieristica all’interno del più ampio disegno di
sviluppo che va sotto il nome di area integrata dello stretto;
- Un ampliamento della base produttiva nella Provincia ed un piano di rilancio della
zona Milazzo – Villafranca Tirrena;
- La razionalizzazione delle strutture commerciali.
Va subito messo in evidenza come questi quattro assi rappresentino l’articolazione dell’idea
forza (sul cui carattere si tornerà più avanti) intorno alla quale il Patto è stato costruito: lo
sviluppo della base produttiva della Provincia, assicurando condizioni compatibili con lo
sviluppo turistico (settore riconosciuto come trainante e prioritario nel contesto economico
provinciale).
Gli ambiti di intervento enunciati risultano coerenti con la programmazione regionale. In
particolare per i settori Industria/Artigianato, è comune l’obiettivo di un rilancio delle attività
produttive attraverso lo sviluppo delle produzioni locali, la promozione di produzioni di
qualità nelle imprese manifatturiere e la valorizzazione delle risorse umane; per il Turismo si
punta congiuntamente ad un rilancio delle strutture ricettive; per il terziario l’intento è di
rilanciare i servizi alle imprese e alla collettività.
Prima di passare all’indicazione dei progetti e dei risultati ottenuti per settore di intervento, si
deve senz’altro sottolineare come forse la vera particolarità del Patto sia l’esclusione dei
progetti di infrastrutture dal complesso degli interventi previsti. In esso si legge, infatti:
“l’assemblea dei sottoscrittori del Protocollo di intesa … non ha ritenuto di chiedere
l’ammissione nel Patto, per il relativo finanziamento, dei progetti infrastrutturali in quanto le
relative infrastrutture non sono collegate con progetti imprenditoriali di cui possano
accrescere la produttività e non sembrano funzionali allo sviluppo produttivo della zona…Si è
ritenuto, invece, di chiedere che le risorse disponibili vengano destinate, nella misura
massima, alle attività imprenditoriali della nostra provincia che hanno bisogno di essere
incrementate per creare nuova occupazione…” In queste poche righe sta la vera natura del
Patto, del profilo di concertazione che lo anima e della dimensione della partnership che lo ha
caratterizzato. Mentre le riflessioni di natura qualitativa verranno riprese più avanti
(all’interno dei cosiddetti risultati di processo), qui basta aggiungere che di fatto (per una
147
bozza non completa e non corretta -- non citare
singolare mancanza di progetti coerenti con le strategie di intervento, dovuta forse ad una
certa sottovalutazione del Patto da parte degli enti locali) si escluse che il Patto potesse servire
a finanziarie opere infrastrutturali all’interno del territorio provinciale, destinando la totalità
dei fondi ad attività di natura imprenditoriale.
Risultati sostantivi – Si è visto come il Patto punti essenzialmente sullo sviluppo e la
valorizzazione delle risorse ambientali in vista di un valido potenziamento dell’offerta
turistica (si parla letteralmente di “diversificazione e riqualificazione dell’offerta turistica”)
nonché sullo sviluppo e la qualificazione dei servizi alle imprese ed alla collettività attraverso
“il rafforzamento e l’espansione dei servizi informatizzati e relative reti commerciali
funzionali alla diversificazione economica dell’area”.
Il piano finanziario del Patto prevedeva (dopo una serie di successivi ridimensionamenti
finanziari e progettuali) un importo complessivo di Lit. 126,645 miliardi delle vecchie lire,
per circa 115 miliardi di finanziamenti agevolabili e con un onere per lo stato pari a 94,911
miliardi. Si tratta di 41 progetti ammissibili, a fronte degli oltre 150 presentati, suddivisibili
per settore produttivo o macroarea di intervento e con una forza occupazionale pari a 846
unità di cui 647 nuove.
Qui vanno introdotte alcune riflessioni. La prima: siamo in presenza di un regime di
cofinanziamento che implica, come è noto, uno sforzo economico di investimento da parte dei
privati. In questo senso appare piuttosto singolare che manchi dalla rete del partenariato la
figura degli istituti di credito, che in altri contesti hanno svolto un ruolo centrale
nell’assicurare il corretto ed efficace funzionamento dei regimi di cofinanziamento.
La seconda: la cospicua differenza tra progetti presentati e quelli ammessi può forse essere
ricondotta al fatto che parte dei progetti “bocciati” contavano sulla possibilità (prevista dalla
normativa nazionale) di derogare ai singoli piani regolatori (mediante delibera del consiglio
comunale). In effetti, la quasi totalità dei comuni (nell’ambito del difficile rapporto di
partenariato di cui si darà conto più avanti) ha deciso per la non concessione delle relative
autorizzazioni, bloccando appunto gran parte degli interventi presentati.
Complessivamente, da un punto di vista finanziario, la ripartizione può essere impostata come
segue:

148
bozza non completa e non corretta -- non citare
Tab. 5 Ripartizione finanziaria per settore (milioni di lire)

SUDDIVISIONE DELLE SPESE PER SETTORE


TURISMO 43.025 37%
AGROALIMENTARE 25.111 22%
INDUSTRIA 46.007 40%
SERVIZI ALLE IMPRESE 1.466 1%
TOTALE 115.609 100%

Nonostante, come si vedrà, il maggior numero di progetti siano stati presentati nel
settore turistico, è l’industria ad avere un leggero vantaggio con il 40% delle richieste
complessive, seguono l’agroalimentare con il 22% ed i servizi alle imprese con l’1%.
Passando ad una scomposizione per settori, vediamo come nel settore turistico si
prevedesse originariamente la realizzazione di 18 progetti (7 alberghi, 3 villaggi turistici, 4
aziende di turismo rurale, 3 aziende di agriturismo, 1 stabilimento turistico balneare), per un
totale di 43 miliardi di investimenti ammessi alle agevolazioni, mentre i nuovi occupati, a
regime, saranno in totale 176 unità.
Tab. 6

INVESTIMENTI DEL PATTO NEL SETTORE TURISTICO

PROG/N° SOGG.BENEFICIARI TIPO DI ATTIVITA' N°OCCUP.


P/99/1 MELIGUNTE ALBERGO 36
P/99/2 CARDACI-IOPPOLO VILLAGGIO TURISTICO 7
P/99/3 IOPPOLO-CARDACI VILLAGGIO TURISTICO 8
P/99/4 TIRRENA TUR VILLAGGIO TURISTICO 15
P/99/5 FILIPPINO S.P.A. ALBERGO 11
P/99/6 RIGOLI FRANCESCO ALBERGO 8
P/99/7 ANTICA FILANDA ALBERGO 8
P/99/8 ISOLE S.R.L. ALBERGO 11
P/99/9 HOTEL ROJAS BAJA ALBERGO 7
P/99/13 C.V.S."GIARD.DI SICILIA" TURISMO VERDE 7
P/99/15 BONINA COSTRUZIONI STABILIMENTO BALNEARE 11
P/99/18 PICC.PRO.FON.CIMINO TURISMO RURALE 6
P/99/19 CRISAFULLI AZ.AGR. ALBERGO 20
P/99/20 AZ.AGR."IL DAINO" AGRITURISMO 8
P/99/21 MASPA COSTRUZIONI AGRITURISMO 8
P/99/22 LO GIUDICE FRANCESCO TURISMO RURALE 5
P/99/24 LA ROSA S.A.S. TURISMO RURALE 7
P/99/26 RIGANELLO GIUSEPPE AGRITURISMO 3

Per ciò che concerne il settore agroalimentare, siamo in presenza di 11 progetti (riguardano la
produzione di vino, olio, succo di limone, e la lavorazione di nocciole, frutta, ortaggi e
prodotti lattiero caseari), per un totale di 25 miliardi circa di investimenti agevolabili con una
previsione di 163 nuovi occupati a regime.

149
bozza non completa e non corretta -- non citare
Tab. 7
INVESTIMENTI DEL PATTO NEL SETTORE AGROALIMENTARE

PROG/N° SOGG.BENEFICIARI TIPO DI ATTIVITA' N°OCCUP.


P/99/28 CEPA C.ESP.PROD.AGR. LAVOR.FRUTTA E ORTAGGI 7
P/99/29 GARIBALDI SERVICE PRODUZ.ALIMENTI PRECOTTI 58
P/99/30 F.LLI CAPRINO LAVORAZ.NOCCIOLE 7
P/99/31 MIMMO PAONE PRODUZIONE VINO 4
P/99/35 COO.AGR.PRO.LAV. PROD.OLIO D'OLIVA 8
P/99/36 ROMANO GIUSEPPE PROD.OLIO D'OLIVA 12
P/99/37 EUROFOOD PROD.SUCCO DI LIMONE 12
P/99/38 MOROSITO CAFFE' TORREFAZIONE CAFFE' 3
P/99/40 AGRICOLTECNICA LAVORAZ.FRUTTA E ORTAGGI 12
P/99/43 AGRISVILUPPO TRASF.PRODOTTI LATTEARI 5
P/99/45 FIDIAL CONFEZ.DISTRIB.PROD.ALIMENT. 35

Per quel che riguarda il settore industriale sono stati ammessi 8 progetti (riguardano la
produzione di ceramiche, calcestruzzo, tubi ed altri accessori per l’irrigazione, l’editoria
elettronica, vasi in plastica per il vivaismo, mangimi ed alimenti zootecnici), per un totale di
circa 46 miliardi di investimenti agevolabili e con una previsione occupazionale, a regime,
pari a 279 unità.
Tab.8

INVESTIMENTI DEL PATTO NEL SETTORE INDUSTRIA

PROG/N° SOGG.BENEFICIARI TIPO DI ATTIVITA' N°OCCUP


P/99/46 ASTORE IRRIGATION PRODUZ.ACCESS.PER L'IRRIGAZIONE 5
P/99/47 SIPLAST PRODUZ.TUBI VALVOLE PER L'IRRIGAZ. 12
P/99/48 CALECA ITALIA PRODUZIONE CERAMICHE 204
P/99/49 BETONGREEN PROD.MANUF.IN CALCESTRUZZO 11
P/99/51 CAROT PRODUZIONE CALCESTRUZZO 3
P/99/53 OLIFAR PRODUZIONE ALIMENTI ZOOTECNICI 29
P/99/55 I.MA.MED PRODUZIONE VASI IN PLASTICA 12
P/99/57 PROGETTO IMPRESA PRODUZ.CD-ROM,EDITORIA ELETTRON. 3

Da ultimo il settore dei servizi alle imprese, dove si è prevista la realizzazione di 4 progetti
(servizi reali e telematici alle imprese, produzione di software e formazione), per un totale di
circa 1.4 miliardi di investimenti ammessi alle agevolazioni e con una previsione
occupazionale di 19 unità.

150
bozza non completa e non corretta -- non citare
Tab. 9
INVESTIMENTI DEL PATTO NEL SETTORE DEI SERVIZI REALI,
TELEMATICI, DI FORMAZIONE

PROG/n° SOGG.BENEFICIARI TIPO DI ATTIVITA' N°OCCUP


P/99/17 TURISMO VERDE SERVIZI ALLE IMPRESE 3
P/99/54 SOIM SERV.ALLE IMPR.E PROD.SOFTWARE 4
P/99/56 TRAINING SERVICE SERVIZI REALI E FORMAZIONE 1
P/99/58 ENGINEERING TOURINTERNETSERVIZI TELEMATICI ALLE IMPRESE 11

Se questo appena presentato è il quadro di interventi previsto dal Patto, diverso è stato l’esito
dell’attuazione138 .
In particolar modo, per ciò che concerne il complesso del quadro finanziario, al 31/12/2002
risultano finanziamenti agevolabili pari a € 55.820.211,03 (pari a Lit 108.083.000.011) e un
onere per lo stato pari a € 46.220.583,94 (pari a Lit 89.495.530.065).
Tra gli interventi ammessi, 41, si registrano inoltre delle revoche di finanziamento (tre già
effettuate e due in corso di revoca), mentre l’impatto occupazionale, in tremini di unità
aggiuntive, e comunque sempre a regime, scende a 541 nuovi lavoratori, ai quali vanno
sottratti più di un centinaio di unità relativi ai progetti revocati.
Per ciò che concerne invece lo stato di avanzamento finanziario, sempre al 31/12/2002, erano
stati effettuati investimenti per un ammontare pari a € 37.713.036,41, ed erano stati erogati
fondi pari a € 21.873.552,63.
Infine, a queste cifre va aggiunto che, causa le revoche e le rinunce si sono recuperate
economie per una cifra vicina ai dieci milioni di euro e che sono già state ottenute le relative
autorizzazioni per la pubblicazione di nuovi bandi in merito. Ma su questo punto, che attiene
molto ai profili della concertazione e del livello di partnership, si tornerà tra breve.
Risultati di processo – Così come per il GAL Valle Alcantara, anche in questo caso si è
proceduto ad effettuare interviste ad attori e testimoni privilegiati delle vicende relative al
Patto Territoriale di Messina.
Da tali interviste, e congiuntamente ai dati esposti e agli atti visionati, è possibile evidenziare
alcuni elementi di una certa utilità nella comprensione dei processi istituzionali e politici che
ruotano intorno al Patto e più in generale alle iniziative di sviluppo.
Vanno operate subito due premesse. Siamo alla primissima fase dei Patti Territoriali; ci
muoviamo cioè in un contesto di assoluta sperimentazione, con una normativa in continua

151
bozza non completa e non corretta -- non citare
evoluzione e con un quadro complessivo dei ruoli e delle competenze non ancora del tutto
chiaro e definito. Questa condizione sembra influenzare in maniera determinante la
concertazione e l’elaborazione del Patto, e quindi anche l’analisi sui risultati di processo che
viene qui esposta.
Altro aspetto da considerare è la dimensione fisica del Patto: in maniera molto singolare fu
scelto come ambito territoriale di riferimento l’intera Provincia di Messina. A posteriori si
può considerare questo elemento come l’ostacolo maggiore ad un serio ed efficace
coinvolgimento degli enti locali, e più in generale ad una concertazione ampia e condivisa
delle idee e strategie di sviluppo (sembra questa tra l’altro la più significativa differenza con il
GAL in chiave di risultati raggiunti in quest’ambito). In altri termini, la mancata
caratterizzazione territoriale non ha permesso lo sviluppo di un’identità di progetto che
coinvolgesse in primo luogo gli enti locali: si sono così mantenuti atteggiamenti
campanilistici e orientati all’ottenimento di una fetta di finanziamento più che alla
condivisione di un percorso di sviluppo.
Si è già accennato come l’idea di un Patto che promuovesse lo sviluppo dell’intera Provincia
di Messina nasca dalle tre maggiori organizzazioni sindacali. In questo senso si riscontra una
certa distinzione tra il soggetto “ideatore” e quello che sarà poi il soggetto promotore. Come
si è visto, infatti, è stata la CCIAA di Messina (con un generoso e determinante contributo da
parte dell’Università, che in alcune fasi si è intestata la conduzione vera e propria del piano)
che ha preso in mano la situazione, su sollecitazione delle organizzazioni sindacali, per
condurre la lunga fase di animazione e concertazione che è poi sfociata nella stipula del Patto.
Ed è su questa fase, più che su quella di realizzazione, che si concentrerà l’analisi proposta. È
proprio durante la costruzione di percorsi di scelta condivisi che si riscontrano gli elementi,
siano essi positivi o rappresentativi di difficoltà, più interessanti.
La concertazione avviata dalla CCIAA interessò, accanto a quelli che potremmo definire gli
ideatori139 , da subito il comune di Messina (anche se in maniera piuttosto limitata),
l’Università appunto (per un apporto scientifico qualitativo) e le altre associazioni categoria
(in particolar modo CIA e Confcommercio).
Sin dalle prime battute emergono alcune difficoltà nelle relazioni e nei rapporti, in particolar
modo con gli enti locali, e segnatamente con i comuni più piccoli. Nonostante un gran numero

138
I dati in possesso, estratti dal rapporto di autovalutazione semestrale che la società
responsabile (la SO.GE.PAT.) ha periodicamente effettuato, sono aggiornati al 31/12/2002,
che è anche il termine finale di attuazione del Patto.
139
CGIL, CISL e UIL.
152
bozza non completa e non corretta -- non citare
di riunioni e un certo sforzo concertativo (operato soprattutto dai rappresentanti
dell’Università, che in questa fase cercano di definire fabbisogni e strategie per lo sviluppo) si
configurò, infatti, un solido asse tra Provincia e CCIAA (con la prima, in verità, più
spettatrice che altro) che condizionò gran parte delle scelte relative ai percorsi di sviluppo che
il Patto avrebbe dovuto adottare.
A questo va aggiunto, di contro, il fatto che gli enti locali sottovalutarono le potenzialità di
crescita territoriale che il Patto poteva ingenerare. In questo senso, è emblematica la scelta
(per certi aspetti obbligata) della rinuncia al finanziamento di opere infrastrutturali: senza
dubbio questo capitolo era quello che maggiormente avrebbe potuto stimolare un
coinvolgimento diretto dei comuni e, più in generale, delle istituzioni territoriali; eppure,
come detto, non fu presentato nessun progetto che potesse risultare coerente con l’idea forza e
con gli assi di intervento nei quali essa si articolava. Va altresì detto che questa “scelta”
permise di evitare il rischio che, attraverso questo tipologia di interventi, si creassero le
condizioni per lo sviluppo della cosiddetta “politica dell’appalto” e delle logiche clientelari
che essa porta con se.
Resta però il dato che i comuni non riescono ad essere protagonisti. La concertazione si
presenta monca, priva di un consenso politico territoriale allo sviluppo che voleva essere
invece il fine ultimo di questo strumento della Programmazione Negoziata. Dall’analisi
compiuta, avvalorata da diverse interpretazioni raccolte in questo senso, sembra quasi che
rispetto all’intera gamma di strumenti per lo sviluppo, la vicenda del Patti Territoriale di
Messina140 , così come quella della Progettazione Integrata Territoriale, faccia segnare un
passo indietro (rispetto ad esempio ai GAL) nella ricerca di un ampio coinvolgimento sociale,
economico e istituzionale sui percorsi di crescita del territorio.
A conferma delle difficoltà evidenziate, dopo la costituzione del Patto, e quindi dopo il suo
avviamento, non viene più convocato, se non in maniera sporadica (e comunque poco
partecipata) il Forum degli Interessi (ma un discorso analogo lo si può fare per il Comitato
Scientifico) che avrebbe dovuto rappresentare, invece, il centro propulsivo e di controllo
permanente del Patto, il reale strumento di verifica della coerenza tra i fabbisogni, le esigenze
di un territorio e le strategie attuative del programma.
La difficoltà nei rapporti con i comuni, superata solo in parte (soprattutto per quelli interessati
dagli interventi) attraverso l’intervento del Prefetto, è una reale testimonianza della fatica ad

140
Discorso in parte diverso per gli altri Patti Messinesi e Siciliani, dove la fase di
concertazione è stata più partecipata e dove soprattutto i comuni sono stati in grado di
superare campanilismi e impadronirsi realmente dello strumento.
153
bozza non completa e non corretta -- non citare
interpretare correttamente un Patto, della necessità di superare la visione dell’istituzione
Provincia come rappresentativa degli interessi particolari di tutte le aree coinvolte dal
disegno, della debolezza dei percorsi di concertazione quando vengono polarizzati intorno alle
istituzioni più forti.
In quest’ottica è ovvio che cambia poco in termini di logica della decisone pubblica e
partecipazione democratica alle scelte. A questo va aggiunto come in un tessuto economico
così debole come quello provinciale messinese, fu impossibile individuare segmenti di
economia (sempre in un percorso di concertazione che mettesse qui in primo piano il ruolo
del sindacato) sui quali investire per renderli trainanti. Si dovette procedere all’istruzione di
un progetto più generale (ed anche l’idea forza ne evidenzia questa sua caratteristica) che
ebbe come principale elemento distintivo quello della creazione di una struttura che erogasse
finanziamenti alle imprese.
Non si riesce, quindi, ad ottenere maggiore partecipazione o un più alto livello di democrazia
locale; al contrario si finisce con il configurare il Patto (soprattutto nella sua fase realizzativa)
come uno strumento che concedesse denari, sebbene legati a progetti già approvati e coerenti
con lo stesso. Con questo non si vuole negare la positività di alcuni aspetti di una vicenda di
questo tipo: in particolar modo, si deve sottolineare la selezione che fu operata proprio
rispetto ai finanziamenti da erogare ai progetti presentati (molti dei quali non furono
considerati ammissibili).
Pur nei limiti, quasi obbligati, di una vecchia logica decisionale (con i comuni e la provincia
responsabilmente poco interessati), poco legata alle esigenze del territorio e alle prospettive
della concertazione, si provò a fare selezione, ad individuare quei micro progetti di sviluppo
che meglio avrebbero potuto sviluppare i settori in crisi (quasi tutti) dell’economia messinese.
Anche qui, come nel GAL, non operarono significative esperienze di reti o partenariati già
esistenti, se si escludono le associazioni categoria (solo in quest’ottica si riesce a parlare di
una rete di partenariato aperta ed inclusiva) che a vario titolo, e con diverso peso,
parteciparono al Patto. E anche qui, come nel GAL, si è provato a d andare oltre le esperienze
ed i gruppi economici più importanti provando a coinvolgere nuovi soggetti che provenissero,
soprattutto, dal mondo delle PMI.
Da ultimo va sottolineato come sia stata scarsa l’interazione con i beneficiari finali al
momento della definizione dei fabbisogni (e tra l’altro l’aver scelto un territorio coincidente
con quello provinciale lasciava poco spazio a nuove e magari più originali interpretazioni) e
della predisposizione dei bandi (anche se si è sperimentato, non in misura eccessiva, un certo
coinvolgimento), a testimonianza di un difficile rapporto che questo progetto ha avuto (per
154
bozza non completa e non corretta -- non citare
varie motivazioni che come si è visto non sono riconducibili alla responsabilità di una sola
parte) con il territorio e con gli attori economici e istituzionali che lo animano.

6.2.4. Conclusioni
Se paragonato al GAL esaminato è certo che il Patto Territoriale di Messina non offra, per gli
elementi che si sono ritenuti rilevanti, un esempio di best practice.
Complessivamente, relativamente alla valutazione dell’atteggiamento tenuto dai singoli attori
coinvolti nel Patto, si riscontra una prima fase in cui i soggetti più attivi (superato il momento
di ideazione che ha visto protagoniste le forze sindacali, sollecitate dai rispettivi livelli
nazionali in un momento in cui si decideva di investire negli strumenti della Programmazione
Negoziata) sono stati senza dubbio la CCIAA e l’Università, ognuno con ruoli e competenze
proprie: la prima orientata alla promozione e al coinvolgimento intorno al Patto, la seconda
impegnata nello sforzo di compiere una difficile animazione territoriale e di elaborare un serio
e coerente progetto di sviluppo che rispondesse alle esigenze del tessuto socioeconomico
messinese. Ciò che in questa prima fase (ma nel complesso anche in quelle successive) è
mancato è stata senza dubbio la presenza degli enti locali, con i comuni ancora troppo distanti
dall’idea della concertazione (perché spesso impegnati in ragionamenti campanilistici o poco
attenti alle potenzialità dei nuovi strumenti di sviluppo) e con la Provincia (carente nella fase
propositiva ed elaborativa) attenta soprattutto ai momenti di maggiore rilevanza politica
(come le riunioni romane al CNEL). Durante tutto questo primo periodo non è sembrato
esserci spazio per altri soggetti, sebbene già fosse intervenuto un primo coinvolgimento delle
associazioni di categoria più rappresentative (Assindustria, CIA e Confcommercio).
Nella successiva fase della gestione, Università e CCIAA lasciano il posto ai soggetti privati
e, in particolar modo, all’associazione degli industriali, che esprimerà anche l’amministratore
delegato in seno al consiglio di amministrazione (che vale la pena ricordare essere
rappresentativo per più della metà, 51%, del mondo dei privati). Non è un caso che si verifichi
questo mutamento nella direzione e nell’attuazione del progetto se si tiene presente come esso
abbia finito per caratterizzarsi come un efficace strumento di finanziamento ed erogazione
alle imprese, relegando ad un ruolo marginale e secondario i comuni e gli altri soggetti che
pure potevano essere coinvolti.
In questo senso, è sembrata troppo debole l’interpretazione (figlia anche e soprattutto
dell’inesperienza rispetto ad uno strumento del tutto sperimentale e per certi versi
sconosciuto) che nella pratica si è data al processo di concertazione con gli enti locali (con un
concorso di colpa che, come si è visto, non esenta questi ultimi). La polarizzazione, per fasi
155
bozza non completa e non corretta -- non citare
successive, intorno alla CCIAA, alla Provincia (in un ruolo più defilato) e all’Assindustria, ha
precluso un pieno coinvolgimento (dal momento che di totale assenza non si può certo
parlare) del tessuto economico ed istituzionale del territorio. Quello che poteva essere una
chiave di volta nella definizione di un disegno strategico e coerente di sviluppo si è invece
trasformato in un elemento di debolezza, che ha agito in un rapporto di causa-effetto con le
mancate caratterizzazioni (economiche e territoriali) sopra esposte.
Uno dei punti di forza dei Patti Territoriali dovrebbe derivare infatti dalla concertazione delle
Parti interessate: mettersi spontaneamente attorno ad un tavolo e pianificare delle linee di
azione comuni per il raggiungimento di uno o più obiettivi stabiliti dovrebbe significare in
primo luogo il raggiungimento di quella maturità, anche culturale, che permette ad una
pluralità di soggetti di lavorare in sinergia e soprattutto nel rispetto del metodo scelto per
farlo. A Messina, però, attorno al Patto la concertazione è stata a dir poco insufficiente o
quantomeno difficoltosa, problematica.
Il tema è tra l’altro di rilevante attualità, dal momento che proprio in questi giorni si discute
del miglior percorso da intraprendere (sempre in tema di coinvolgimento nei processi
decisionali) rispetto all’impiego delle economie (intorno ai € 10.000.000,00) che il Patto ha
registrato.
È sembrato, finora, che la concertazione potesse essere uno strumento utile (e comunque
obbligatorio) al momento dell’elaborazione del Patto, mentre si trasforma in una pratica
“superflua” (tradendone lo spirito di continuo confronto) al momento dell’attuazione, quando
cioè è arrivato il momento di concentrarsi sui 41 progetti che sono stati ritenuti ammissibili.
Da ultimo, senza entrare nel merito delle comunque numerose cose positive che riguardano il
Patto di Messina (tra le quali il fatto che esso sia ai primi posti in Italia in termini di
avanzamento finanziario, o che la struttura della società responsabile ha dato prova di poter
garantire un più che adeguato svolgimento operativo e burocratico), va sottolineato il
fallimento di quella sua parte che puntava ad un serio investimento sulle politiche della
formazione professionale (con la previsione di un ente bilaterale in materia, che nei fatti non
ha mai operato). Questo aspetto apre oggi pesanti interrogativi sulla reale capacità di incisione
in termini occupazionali del Patto, non solo per ciò che concerne il numero di unità
aggiuntive, ma anche e soprattutto per la qualità dei processi di assunzione e selezione che
caratterizzeranno le dinamiche del lavoro intorno ai progetti da esso finanziati.

156
IRREGOLARITA’, SOMMERSO E LAVORO NERO NEL SIRACUSANO:
UN’INDAGINE EMPIRICA1 .

1) La dimensione del problema.


Oggigiorno l’Italia, a fronte di un reddito medio pro-capite comparabile a quello dei paesi più
sviluppati della Ue, presenta un saggio d’occupazione nettamente più basso, che deprime
sensibilmente la media complessiva europea 2 . Se il reddito medio resta alto nonostante
l’occupazione ufficiale non cresca vi deve necessariamente essere una quota considerevole di
lavoratori (quando non di imprese in toto) che sfugge alle rilevazioni statistiche nazionali in quanto
al di fuori, parzialmente o totalmente, delle regole che reggono il mondo della produzione.
Il sommerso svolge quindi in Italia, specie al Sud, un ruolo non indifferente. L’Istat valuta il
valore delle attività economiche svolte irregolarmente intorno al 14% del valore aggiunto dell’intera
economia nazionale 3 ; da ciò ne consegue che sconfiggere la piaga del sommerso comporterebbe la
possibilità di ridurre di circa sette punti percentuali il cuneo fiscale che attualmente grava su ogni
singolo individuo “regolare”. L’economista Schneider, nelle sue stime sui paesi dell’Ocse
(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), ha invece valutato il prodotto delle
attività irregolari in Italia come pari al 27% del Pil nazionale. Con ciò non s’intende che un quarto
del prodotto interno lordo italiano sia dovuto ad attività economiche non del tutto ortodosse, quanto
che se tutte le attività sommerse e semi-sommerse improvvisamente emergessero, si assisterebbe ad
un incremento del Pil pari alla percentuale sopra richiamata.

Tab. 1: Dimensione dell’economia sommersa tra i principali paesi Ocse (Elaborazione personale
da dati Schneider) 4 .

Paesi Ocse Dimensioni dell’economia sommersa (in percentuale al Pil)


1989/1990 1990/1993 1994/1995 1997/1998 1999/2000
Italia 22.8 24 26 27.3 27.1
Germania 11.8 12.5 13.5 14.9 16
Francia 9 13.8 14.5 14.9 15.2
Gran Bretagna 9.6 11.2 12.5 13 12.7
Giappone 8.8 9.5 10.6 11.1 11.2
Stati Uniti 6.7 8.2 8.8 8.9 8.7

I dati presentati in tabella sono preoccupanti per due ragioni: la prima è che il peso delle attività
economiche irregolari è in crescita un po’ ovunque, paesi ricchi inclusi. La seconda, per noi ancor
più inquietante, è che le percentuali del sommerso italiano si distanziano notevolmente da quelle
degli altri paesi guida mondiali. Se, poi, teniamo nella giusta considerazione l’incidenza che le
attività economiche meridionali hanno sul totale del sommerso italiano, la situazione da inquietante
diviene allarmante. Lo dimostra, d’altronde, una recente indagine dello Svimez, per la quale il
36,4% dei lavoratori siciliani presterebbe la propria opera in nero, superati, in questa mesta
classifica, solo dai colleghi calabresi e seguiti, a brevissima distanza, da quelli campani 5 .
Risiede in questi numeri – apparentemente freddi, ma dietro cui si nasconde una realtà
sociale caldissima – la ragione per cui vale la pena impegnare risorse intellettuali ed economiche
per la risoluzione del problema. Immaginiamo cosa potrebbe divenire l’Italia se si riuscisse a
riconvertire alla legalità le tante attività produttive nascoste nelle città meridionali!
Senza contare, poi, che le attività sommerse costituiscono un terreno di coltura per altre forme di
illegalità e possono provocare meccanismi di concorrenza sleale all’interno dei rispettivi mercati di
riferimento, determinando, nella peggiore delle ipotesi, fenomeni di dumping sociale, ovvero di
attività costrette ad “immergersi” per fronteggiare la concorrenza di quelle già sommerse (che
producono a costi più bassi).

1
La lotta contro il sommerso ed il lavoro nero rappresenta, quindi, non tanto una lotta in nome di un
astratto ideale di legalità, quanto una battaglia per uno sviluppo reale e duraturo del Mezzogiorno
d’Italia. Sviluppo ed emersione sono fattori più interdipendenti di quanto generalmente si pensi: è
risaputo – per la storia economica dei distretti della Terza Italia 6 – che il primo favorisce il secondo.
Meno noto, ma altrettanto vero, è il rapporto inverso: l’emersione, ampliando la base imponibile,
migliora i conti pubblici ponendo le basi per lo sviluppo.
In altre parole, non vi potrà essere emancipazione economica del Sud-Italia senza la
sconfitta almeno parziale del sommerso, prima causa, oltretutto, della dimensione sub-efficiente
delle nostre imprese. Ne consegue che lo sviluppo del Meridione passerà non solo dalla creazione di
nuove attività produttive, ma anche dal rientro nei confini della legalità di quelle che attualmente ne
stanno ai margini.

2) Le condizioni strutturali del sommerso siracusano.


Analizzare le caratteristiche del sommerso e del lavoro nero in una realtà a basso tasso di sviluppo
quale la nostra esponeva al rischio di una critica quasi scandalistica dei fatti incontrati; per evitare
un simile errore non è stata trascurata la dimensione strutturale su cui poggia la diffusa irregolarità
presente sul nostro territorio.
Sommerso, lavoro nero e quant’altro, trovano da noi linfa vitale nella povertà diffusa, nella
disoccupazione complessiva elevata (22,5%), in quella giovanile che raggiunge picchi da
esasperazione (55,6%), in una scarsa conoscenza, soprattutto da parte dei giovani, dei propri diritti,
nella netta prevalenza sul tessuto imprenditoriale della microimpresa e non ultimo – specie per le
irregolarità che analizzeremo per prime – in una latente cultura dell’illegalità che induce sempre a
cercare la via più semplice per qualsiasi obiettivo ci si ponga (sia esso un’assunzione o un
finanziamento pubblico). Certo, in un immaginario percorso a ritroso, la ricerca delle cause che
stanno a monte del «Problema Siracusa» potrebbe continuare all’infinito (si pensi all’atavica
carenza di infrastrutture, che costringe le imprese del Mezzogiorno – e a maggior ragione quelle
della provincia più meridionale d’Italia – ad una posizione di perenne svantaggio concorrenziale nei
confronti di quelle del nord), ma le ragioni più dirette vanno certamente cercate fra quelle
precedentemente indicate.
Al fine di esaminare tali irregolarità, abbiamo inizialmente ristretto il campo d’indagine alle
imprese artigiane che, causa i limiti dimensionali cui sottostanno, rappresentano un osservatorio
privilegiato del fenomeno. In particolare, l’attenzione è stata prima rivolta al rispetto di alcuni punti
chiave della legge-quadro 443/85, per poi spostarsi sulle caratteristiche del sommerso in questo
comparto. Passando dallo specifico al generale si è concluso lo studio con una visione d’insieme del
lavoro irregolare nei comparti produttivi diversi dall’artigianato 7 .

3) L’artigianato: il quadro normativo.


Per comprendere appieno le modalità con cui le imprese artigiane si discostano dal rispetto della
443/85 è necessario elencarne i principali contenuti8 .
L’attuale legge-quadro segue quella del ’56, i cui criteri- guida per l’individuazione
dell’impresa artigiana erano:
a) La natura artistica o usuale dei beni prodotti.
b) La partecipazione diretta del titolare non solo nell’organizzazione, ma anche nel processo
produttivo dell’impresa.
c) La possibilità di avere personale alle proprie dipendenze, a condizione di essere diretto dallo
stesso titolare dell’azienda.
Nella 443/85 troviamo confermati gli ultimi due punti. Rispetto alla versione precedente
viene, però, aumentato il limite numerico degli addetti consentito (causa la presa d’atto
dell’avvenuta crescita dimensionale dell’impresa artigiana), svanisce l’obbligo della “lavorazione
artistica o usuale dei beni prodotti”, permane il requisito della partecipazione personale
dell’imprenditore al processo produttivo dell’impresa, viene sancita l’obbligatorietà dell’iscrizione

2
allo specifico albo (con l’evidente scopo di frenare la dilagante piaga del sommerso). Se, dunque, è
innegabile la continuità tra le due leggi, gli aspetti appena accennati connotano fortemente la nuova
disciplina, le cui principali caratteristiche ci accingiamo ad esaminare.

3.1) L’imprenditore artigiano: le caratteristiche


All’interno della legge 443/85, l’articolo più chiarificatore di cosa sia oggi l’artigianato è il
secondo, che al primo comma cita testualmente: “E’ imprenditore artigiano colui che esercita
personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena
responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in
misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”.
Il primo requisito necessario per potersi definire imprenditore artigiano è, quindi, quello
della personalità, che implica la partecipazione diretta dell’imprenditore al processo produttivo ed
esclude la possibilità non solo di possedere più di un’impresa artigiana (art.3), ma anche di
esercitare la stessa attività in più sedi o unità locali.
Secondo requisito è quello della professionalità, intesa come insieme di conoscenze
derivanti dall’esercizio abituale e non occasionale dell’attività artigiana. Il requisito della
professionalità viene chiaramente esplicitato nell’ultimo comma dell’art.2, dove si afferma che
coloro i quali svolgono attività “che implicano responsabilità a tutela e garanzia degli utenti”
devono possedere gli appositi certificati di idoneità conferiti dallo Stato o dalle Regioni.
Terzo requisito è quello della prevalenza del lavoro dell’imprenditore artigiano all’interno
del processo produttivo dell’impresa. Fu questo il requisito più dibattuto ai tempi della
promulgazione, sia perché si trattava di una condizione non presente nella normativa del ’56 (la
quale richiedeva soltanto che l’impresa operasse “con il lavoro del suo titolare”), sia perché, tenuto
conto dei limiti dimensionali (da un minimo di otto ad un massimo di quaranta dipendenti) previsti
per l’impresa artigiana dall’art.4 della 443/85, era praticamente impossibile interpretare alla lettera
tale dettame. Di qui, la confluenza verso un’interpretazione qualitativa del requisito: la prevalenza
del lavoro dell’imprenditore corrispondeva alla sua semplice presenza nel processo lavorativo e
diveniva il fattore capace di differenziare la produzione artigiana da quella industriale.
Il quarto requisito, infine, quello della manualità, bilancia il venir meno della “natura
artistica o usuale dei beni prodotti” prevista dalla legge-quadro del ’56. Anche in questo caso, però,
un’interpretazione letterale non era praticabile, poiché, in caso contrario, l’unico riferimento
possibile sarebbe stato quello ad un modo di produzione del tutto antiquato. Un’interpretazione
troppo “stretta” del concetto di «manualità» aveva persino indotto a ritenere che l’impresa artigiana
non potesse avvalersi di macchinari tecnologicamente avanzati, ma se fosse prevalsa questa linea
possiamo facilmente immaginare come lo sviluppo delle PMI, asse portante del sistema produttivo
italiano, sarebbe stato fortemente ostacolato. Anche il requisito della manualità va dunque inteso
qualitativamente, come guida non solo organizzativa ma anche tecnica.

3.2) L’impresa artigiana: oggetto e limiti dimensionali


Dell’impresa artigiana si occupa l’art.3 della legge-quadro dell’85, che al primo comma cita: “E’
artigiana l’impresa che, esercitata dall’imprenditore artigiano nei limiti dimensionali di cui alla
presente legge, abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di produzione di beni, anche
semilavorati, o di prestazione di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazione di
servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliare di queste ultime, di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e
accessorie all’esercizio dell’impresa”.
Nell’individuazione dell’oggetto dell’impresa artigiana, la normativa dell’85 si discosta
sensibilmente da quella del ’56: anzitutto perché, come già anticipato, viene meno il riferimento alla
natura artistica o usuale dei beni prodotti; in secondo luogo, perché viene inserita la produzione di
semilavorati, esclusi dalla precedente leggge-quadro.

3
Particolare rilevante è che la 443/85 sottintende una concezione “negativa” del campo delle
attività artigianali. Non perviene, infatti, ad una rigida classificazione delle attività rientranti nella
categoria, bensì si limita ad elencare tutte quelle che esplicitamente non possono appartenervi
(agricoltura, commercio, intermediazione finanziaria, ecc.); ciò perché un’elencazione rigida dei tipi
di impresa artigiana avrebbe potuto ostacolare la nascita di nuove forme imprenditoriali in grado di
rispondere rapidamente alle cangianti esigenze del mercato.
Dei limiti dimensionali imposti all’impresa artigiana tratta, invece, l’art.4, che alza, rispetto
al ’56, il tetto massimo di dipendenti consentiti. L’innovazione legislativa fu accolta sia da critiche
che da apprezzamenti: le prime insistevano sul fatto che un’impresa con trenta o quaranta
dipendenti avesse ben poco di artigiano e che, quindi, si stesse confondendo l’impresa artigiana con
la piccola impresa industriale. Gli apprezzamenti erano invece di chi pensava che l’innalzamento
dei vincoli dimensionali avrebbe ampliato la base imprenditoriale in diritto di accedere alle
agevolazioni concesse dalla legislazione speciale per la categoria.
Lo stesso art.4 fa anche riferimento – seppur per inciso – alla possibilità che l’impresa
artigiana sia esercitata nelle vesti di impresa familiare, laddove afferma che ai fini del calcolo della
dimensione aziendale si debba tenere conto anche dei familiari dell’imprenditore impegnati
professionalmente nella ditta. In questo caso, la legislazione non fa altro che prendere atto del ruolo
svolto da questo istituto – introdotto dall’art.230 bis del codice civile – nel mondo dell’artigianato.

3.3) L’impresa artigiana: le forme societarie


La legge-quadro dell’85, nell’art.3 comma secondo, prevede che l’impresa artigiana possa assumere
la forma di società “escluse le società a responsabilità limitata e per azioni ed in accomandita
semplice e per azioni, a condizione che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci,
svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell’impresa il
lavoro abbia funzione preminente sul capitale”.
Nell’intento del Legislatore, questo comma avrebbe dovuto favorire la crescita dimensionale
delle ditte artigiane. Per evitare, tuttavia, che la forma societaria alterasse in modo rilevante le due
principali caratteristiche del comparto (la personalità dell’impresa e la preminenza del lavoro sul
capitale) si era deciso di escludere dal novero delle possibili forme giuridiche le società di capitale
(S.p.a. e S.r.l.) e la società in accomandita semplice (S.a.s.).
Due recenti leggi (133/97 e 57/2001) hanno, però, notevolmente modificato il quadro,
inserendo tra le società artigiane sia le S.a.s. che le S.r.l. (prima solo se unipersonali, poi anche
pluripersonali). Proprio quest’ultima è la novità di maggior rilievo, poiché permette agli artigiani di
“fare impresa” senza rischiare tutto il patrimonio personale, cosa che invece accade con le altre
forme societarie (S.n.c. e S.a.s.; in quest’ultima, però, l’unico socio esposto a responsabilità
personale e illimitata per le obbligazioni sociali contratte è l’accomandatario). L’altra faccia della
medaglia delle S.r.l., che ne ostacola tutt’oggi la diffusione, è l’obbligo della tenuta dei libri
contabili, una tassazione pari a quella prevista per tutte le società di capitale e l’obbligo di versare al
momento della fondazione un capitale minimo di venti milioni (una somma non indifferente per
l’artigiano medio, specie se lavoratore autonomo) 9 .

4) L’artigianato: la presenza sul territorio


Le imprese artigiane si distribuiscono sul territorio aretuseo nel seguente modo:

4
Tab. 2: Distribuzione delle imprese artigiane per comune d’appartenenza (elaborazione personale da
dati «Movimprese», febbraio 2001).

Comune N. imprese Comune N. imprese


Augusta 601 Melilli 193
Avola 385 Noto 358
Buccheri 59 Pachino 402
Buscemi 25 Palazzolo 214
Canicattini 173 Rosolini 437
Carlentini 316 Siracusa 1981
Cassaro 12 Solarino 145
Ferla 45 Sortino 121
Floridia 380 Portopalo 45
Francofonte 198 Priolo 194
Lentini 426 Totale 6710

Le unità presenti nel capoluogo sono 1981 e rappresentano il 29,5% del totale provinciale. Creando
delle aree – caratterizzate per la vicinanza dei comuni ad esse appartenenti e per l’omogeneità delle
attività economiche in esse prevalenti – si ottiene il seguente grafico 10 .

Graf. 1: Distribuz. imprese artigiane in


provincia
Capoluogo
24% Zona industriale
29%
Comuni limitrofi
14% Area montana
8% 15% Zona agraria
10%
Comuni litoranei

Un primo dato interessante è che il 52% delle imprese artigiane della provincia gravita attorno ai
due comuni più grandi, Siracusa ed Augusta. Questa macro-area, costituita dal comune capoluogo,
dalla zona industriale e dai comuni limitrofi, può essere considerata come una sorta di area
metropolitana all’interno della provincia aretusea, cui si contrappone l’area montana (649 imprese
artigiane, appena il 10% del totale provinciale) e, soprattutto, la zona agraria (1779 imprese
artigiane, 26% del totale), più consistente per la presenza di grossi centri quali Lentini e Pachino. La
sesta aggregazione, quella dei comuni litoranei, corrisponde in realtà alla classica voce “Altro”;
Portopalo è, infatti, un comune dedito quasi esclusivamente alla pesca, mentre Avola e Noto sono
centri di media grandezza dal tessuto economico tipicamente cittadino.
Vista la distribuzione dell’artigianato provinciale, procediamo ad un confronto tra l’incidenza dei
settori merceologici in città ed in provincia.

Tab.3: Distribuzione per settori delle imprese artigiane in città ed in provincia (elaborazione
personale da dati «Movimpresa»).

5
Settore Dati comunali 2000 Dati provinciali 1999
Val. ass. Val. % Val. ass. Val. %

Agricolo 7 0.4 41 0.6


Estrattivo 1 0 18 0.2
Manifatt. 650 32.8 1802 27.4
Alimentare 178 9 561 8.6
Lav. Legno 136 6.9 348 5.3
Lav. Metalli 71 3.6 292 4.5
Edile 393 19.8 1835 28
Rip. Beni 341 17.2 1171 17.9
Auto/moto 245 12.4 881 13.4
Casalinghi 96 4.8 274 4.2
Ristoraz. 13 0.7 34 0.5
Trasporti 134 6.8 423 6.4
Inf/att.impr 151 7.6 333 5
Istruzione 4 0.2 21 0.3
Altri servizi 280 14.1 845 12.9
N.C. 7 0.4 31 0.5
Totale 1981 100 6556 100

Il confronto tra i valori percentuali mostra come ad avere un’incidenza maggiore nel capoluogo
sono, anzitutto, le attività manifatturiere, seguite dal vasto aggregato dei servizi. Più presenti in
provincia che in città, sono, invece, le imprese edili, quelle estrattive, quelle agricole e quelle
appartenenti alla categoria merceologica della «riparazione dei beni personali e per la casa».
Settori prevalentemente cittadini sono, dunque, le due grandi aree della manifattura e dei
servizi; vediamo nel dettaglio la prima.

Tab. 4: Distribuzione della Manifattura nel capoluogo (elaborazione personale da dati


«Movimpresa»).
Settori n. imp. Settori n. imp.
Alimentare e bevande 178 Produz. di metalli 3
Tessile 22 Fabbr. prodotti in metallo 68
Confez. art. per vestiario 29 Fabbr. app. meccanici 20
Concia del cuoio 6 Fabbr. macch. Per ufficio 5
Industria del legno 57 Fabbr. apparecchi elettrici 18
Fabbricazione carta 6 Fabbr. apparecchi x com. 18
Editoria e stampa 42 Fabbr. app. med, e ott. 37
Fabbr. prod. fibre sintet. 2 Fabbr. mezzi di trasporto 8
Fabbr. art. in plastica 4 Fabbr. mobili 79
Lavoraz. min. non metall. 47 Rec. e prep. x riciclaggio 1

Primo valore a spiccare è quello dell’industria alimentare e delle bevande, che rappresenta da sola il
27% della manifattura artigiana ed il 9% dell’intera categoria. La forza di questo settore è legata
soprattutto alla presenza di attività comuni come panifici e pasticcerie, ma anche a quella di piccole
aziende operanti nella trasformazione di prodotti agricoli.
Segue al settore alimentare, quello della lavorazione del legno – anch’esso più presente in
città che in provincia – che raccoglie 136 imprese, pari al 21% del complesso manifatturiero e al 7%
dell’intera categoria.
6
Il settore in cui più netta è la differenza tra valori cittadini e provinciali è, però, quello
tessile-conciario: mentre le aziende iscritte in quest’area hanno un’incidenza sulla manifattura
cittadina dell’8,7% (57 ditte iscritte), in provincia l’incidenza si ferma appena all’1,8%.
Anche il settore della fabbricazione e lavorazione di apparecchiature varie è più forte in città
che in provincia (incidenza sul totale della manifattura del 16,3% contro il 13%), così come quello
dell’editoria e della stampa, mentre i rapporti di forza si invertono nella lavorazione dei metalli e
dei minerali non metalliferi.
La seconda grande area economica tipicamente cittadina è quella dei servizi; come si può
evincere dalla tab.4 sommando le percentuali delle attività terziarie, l’incidenza dei servizi in città è
superiore di poco più di tre punti percentuali e mezzo alla stessa incidenza in provincia (46,6%
contro 43%). Legata a questo dato, è anche la distribuzione delle imprese artigiane per forma
giuridica.

Tab.5: Distribuzione delle imprese artigiane per F.G. nel capoluogo (elaborazione personale da dati
«Movimprese»)

Forma giuridica N. imprese Incidenza %


Impresa individuale 1800 90.8
S.n.c. 133 6.7
S.a.s. 23 1.2
S.r.l. unipersonale 2 0.1
Società di fatto 5 0.3
Società di cooperativa 2 0.1
Piccola società di cooperativa 16 0.8
Totale 1981 100

Il predominio dell’impresa individuale nel mondo artigiano siracusano è nettissimo: più di nove
ditte su dieci la adottano come modalità giuridica. Ciò è dovuto proprio alla prevalenza cittadina dei
servizi: meccanici, parrucchieri, fotografi, autotrasportatori e quant’altro sono naturalmente più
propensi ad iscriversi come ditte individuali piuttosto che come imprese societarie.
Questo dato, tenuto conto della maggior propensione dell’artigianato verso la microimpresa,
è in linea con il valore dell’incidenza delle ditte individuali nel registro generale delle imprese: al
terzo semestre del 2000, le ditte individuali nella provincia aretusea erano 24.382, su un totale di
33.229 registrate. Tradotto in percentuale, il 73,4% delle imprese siracusane erano ditte individuali.
Negli ultimi due anni (1998 e 1999), questa quota è calata di due punti, pur rimanendo al di sopra
della corrispettiva media nazionale, che si ferma al 70%.
La presenza di una componente troppo elevata di ditte individuali è spesso considerata un
elemento destabilizzante per la solidità dell’ambiente imprenditoriale locale, essendo le imprese
individuali tradizionalmente più soggette a mortalità precoce (in quanto, molte volte, mere forme di
autoimpiego) 11 . Di qui, le critiche di alcuni economisti a quelle istituzioni (nel senso politico-
economico del termine) che consentono “l’esistenza di un nanismo controproducente”, come le
norme favorevoli all’artigianato o quelle che permettono alle imprese con meno di quindici addetti
un maggior grado di libertà nei licenziamenti12 .
Passando dalle ditte individuali alle forme societarie, le due più presenti sono la S.n.c.,
particolarmente utilizzata dalle famiglie che “fanno impresa”, e la S.a.s., che con solo ventitré unità
paga ancora lo scotto di una scarsa conoscenza all’interno del mondo artigiano. A proposito di
questa diversa diffusione, è necessario sottolineare come la S.n.c. risponda meglio ad alcune
esigenze particolarmente sentite tra i piccoli imprenditori artigiani: anzitutto, una partecipazione
diretta e non solo finanziaria – come avviene per gli accomandanti delle S.a.s. – alla vita
dell’impresa, ma soprattutto un uguale potere decisionale tra i soci della stessa. D’altra parte,

7
caratteristica principale dell’artigianato è la personalità dell’attività svolta, e questa si concretizza
certamente più nella S.n.c. che nella S.a.s., dove tale connotato riguarda solo gli accomandatari.
Ancor meno diffusa della S.a.s. è l’altra novità introdotta dalla 133/97, la S.r.l. unipersonale,
modalità societaria adottata da appena due imprese. Su un risultato così deludente influiscono una
serie di fattori già in parte accennati: l’obbligo di versare all’atto della fondazione un capitale
minimo di venti milioni (quota non indifferente tenuto conto che quasi il 40% delle piccole imprese
sopporta costi di avviamento inferiori al milione di lire)13 , nonché l’applicazione dell’Irpeg, imposta
non dovuta dalle società di persona (S.n.c. e S.a.s., in primis).
Ultima forma giuridica è la società di cooperativa, presente con diciotto unità, di cui sedici
assumono la variante della piccola cooperativa 14 . Anche in questo caso si tratta di un risultato non
eccellente, specie se paragonato a realtà geografiche come l’Emilia o la Toscana in cui la cultura
cooperativa è di gran lunga più diffusa. L’indiziato principale di questo cattivo risultato è il tanto
discusso individualismo meridionale, ma anche lo scopo mutualistico che si deve prefiggere la
cooperativa e che scoraggia dal parteciparvi coloro i quali dall’impresa si aspettano solo profitti.
Chiudiamo questo paragrafo con un breve cenno alle classi dimensionali.

Tab.6: Distribuzione delle imprese artigiane per addetti15 dichiarati a Siracusa. (elaborazione
personale da dati «Movimprese»).

Addetti dichiarati N. imprese Incidenza %


Nessuno 770 38.9
Uno 791 39.9
Due-Cinque 366 18.5
Sei-Nove 39 2
Dieci-Quindici 14 0.7
Venti-Ventinove 1 0
Totale 1981 100

Come prevedibile, è la microimpresa a dominare: i lavoratori autonomi (self-employed), per appena


un punto percentuale, non sono maggioranza relativa all’interno dell’universo esaminato (tuttavia,
quasi l’80% dei titolari esercita la professione con al massimo un solo coadiuvante, socio o
dipendente che sia), mentre solo cinquantaquattro imprese (2,7% del totale) superano la soglia dei
sei addetti.
Entrando all’interno delle singole classi dimensionali, è paradossale che l’unica impresa con
più di venti addetti assuma le vesti dell’impresa individuale, forma giuridica predominante in tutte
le altre classi, specie in quelle fino ai cinque addetti. La S.n.c., invece, fa sentire il suo peso
soprattutto nella terza classe (80 unità), che racchiude le imprese che dichiarano da due a cinque
addetti, mentre perde di influenza nelle classi più grandi. Stesso discorso vale per la S.a.s., seppure
con percentuali ridimensionate.

4) L’artigianato: le irregolarità principali nei confronti della legge-quadro.

4.1) La scelta del settore agroalimentare.


Esaminato il quadro normativo e l’attuale stato dell’artigianato locale, si poneva il problema di
delimitare il campo d’indagine per la parte più empirica dello studio, quella relativa alla verifica del
rispetto dei principali articoli della 443/85.
Far riferimento all’intero universo del capoluogo (1981 imprese) avrebbe reso, infatti, il lavoro
troppo dispersivo; di qui, la scelta di un settore che includesse attività tipicamente artigiane. Dopo

8
un ponderato esame la preferenza è caduta sul comparto agroalimentare, composto, grosso modo, da
due importanti branchie: quella delle pasticcerie e quella dei panifici.
Dal punto di vista dei numeri, le imprese artigiane del settore sono 178, di cui 66 sono in
realtà forme di autoimpiego, 46 dichiarano un addetto, 60 ne dichiarano da due a cinque, 4 da sei a
nove, 2 da dieci a quindici.

Tab.7: Distribuzione delle imprese artigiane agroalimentari per addetti dichiarati (elaborazione
personale da dati «Movimprese»)

Addetti dichiarati N. imprese Incidenza %


Nessuno 66 37.1
Uno 46 25.8
Due-Cinque 60 33.7
Sei-Nove 4 2.2
Dieci-Quindici 2 1.2
Totale 178 100

Si nota subito come anche nell’agroalimentare la classe prevalente sia quella senza addetti (le
percentuali sono, oltretutto, molto vicine: 37% del settore in questione contro il 39% dell’intera
categoria artigiana), mentre il dato che più sorprende è la superiorità, per giunta netta, della classe
che va dai due ai cinque addetti rispetto a quella che ne dichiara soltanto uno. Nella norma è,
invece, la frequenza riscontrata nelle ultime due classi.
Passando alle forme giuridiche, nettissimo, come tradizione, è il predominio dell’impresa
individuale, che distanzia di molte unità la società in nome collettivo.

Tab.8: Distribuzione delle imprese artigiane agroalimentari per forma giuridica (elaborazione
personale da dati «Movimprese»).

Forma giuridica N. imprese Incidenza %


Ditta individuale 152 85.4
S.n.c. 25 14
S.a.s. 1 0.6
Totale 178 100

Tuttavia, l’incidenza della ditta individuale sul totale delle imprese agroalimentari (85,4%) è
inferiore di più di cinque punti percentuali allo stesso parametro riscontrato nell’intera categoria
(90,8%). Tale differenza è a tutto vantaggio della forma giuridica della S.n.c., che mostra nel settore
prescelto una presenza superiore di sette punti nei confronti del medesimo valore riscontrato tra
tutte le imprese iscritte all’albo. La conclusione che traiamo da queste due tabelle è, quindi, la
presenza nel comparto alimentare di imprese di dimensione maggiore rispetto alla media dell’intera
categoria.
Fin qui i numeri. Volendo approfondire la questione da un punto di vista empirico si rende, però,
necessaria una prima distinzione tra panificatori (116 imprese, 65% del totale) e pasticceri (62 unità,
35% del totale), sebbene entrambi, nelle reciproche consistenze, risultino legati al normale
equilibrio che si instaura tra domanda e offerta di un bene. Questa distinzione può, tuttavia, esserci
utile come variabile strutturale sulla cui base distinguere i risultati ottenuti dalle “visite” fatte ad un
campione di ditte rappresentativo delle 178 imprese che compongono l’universo agroalimentare.
Le visite – rigorosamente “a sorpresa” – hanno mirato a verificare il rispetto di alcuni
capisaldi normativi dell’artigianato, come la reale partecipazione dell’imprenditore al processo
produttivo dell’impresa e l’effettiva coincidenza tra l’attività preminente dichiarata e quella svolta 16 .

9
Il campione dello studio è stato costituito da 45 imprese – un quarto delle 178 componenti
l’universo – di cui 29 panificatori (65% del campione) e 16 (35% del campione) pasticceri. Il
campione ha rispettato anche le proporzioni riscontrate tra le classi di addetti: sono state così scelte
17 ditte senza alcun addetto, 12 con un addetto, 15 con un numero di addetti compreso tra le due e
le cinque unità, 1 con da sei a nove addetti e nessuna ditta, vista la marginalità della classe, con un
numero di addetti compreso tra le dieci e le quindici unità. Si tratta, quindi, di un campione
stratificato, poiché si presume minima la variabilità all’interno di ogni strato (ovvero, le cinque
classi di addetti e le due attività) e massima all’esterno.
Chiuso questo breve, ma indispensabile, excursus metodologico, verifichiamo finalmente il
rispetto della 443/85.

4.2) La personalità (monotitolarità) dell’impresa artigiana.


Cominciando dal principio meno discusso e discutibile della 443/85, si può affermare, senza timori
di smentite, che nessuno dei quarantacinque titolari d’impresa costituenti il nostro campione risulta
essere titolare di una qualsiasi altra impresa artigiana – di area anche diversa da quella alimentare –
né tantomeno socio di una ditta artigiana con forma giuridica societaria.
In realtà, una parte della giurisprudenza ritiene che non sia vietata la partecipazione di un
titolare d’azienda artigiana ad una S.a.s. anch’essa artigiana, purché tale partecipazione rientri nei
limiti del ruolo di accomandante (colui che entra nella società apportando solo parte del capitale
sociale) e non di accomandatario (colui che partecipa alla società anche con compiti di gestione ed
organizzazione) e purché la S.a.s. di cui l’imprenditore è socio finanziatore non operi nello stesso
ramo d’attività della ditta di cui egli è titolare. La Commissione Provinciale per l’Artigianato (Cpa)
di Siracusa, contrariamente a que lle di altre provincie come Trapani, propende però per l’estensione
del divieto anche al semplice ruolo di accomandante, sicché non è possibile trovare nessun titolare
artigiano che sia allo stesso tempo socio di una S.n.c. o di una S.a.s., fosse anche nelle vesti di mero
finanziatore.
D’altronde, quello della personalità è una delle pietre fondanti di tutto l’edificio normativo
artigiano; sul rispetto di tale principio – nonché sulla sussistenza, modificazione o perdita dei
requisiti richiesti dalla legge-quadro per l’iscrizione allo specifico albo – vigila la Cpa, che in tal
caso, considerata la centralità del problema, svolge il proprio ruolo più che efficacemente. In effetti,
considerate le numerose agevolazioni fiscali previste per la categoria (agevolazioni diffuse in
maniera capillare tra gran parte delle ditte iscritte all’albo), una duplice presenza nei registri
permetterebbe al contravventore di usufruire di una quota di denaro pubblico particolarmente
elevata; risulta, quindi, giustificata la scrupolosa attenzione nei confronti del rispetto di questo
principio.

4.3) La coincidenza tra l’attività principale dichiarata e quella svolta.


Abbiamo appreso dall’art.3 della 443/85 che “è artigiana l’impresa che, esercitata dall’imprenditore
artigiano nei limiti dimensionali di cui alla presente legge, abbia per scopo prevalente lo
svolgimento di un’attività di produzione di beni, anche semilavorati (…) escluse le attività (…) di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e
accessorie all’esercizio dell’impresa”.
La citazione di questo passaggio ci permette, anzitutto, di precisare come nessuna delle ditte del
nostro universo oltrepassi il limite dimensionale di diciotto unità (compresi gli apprendisti) previsto
per le imprese che non lavorano in serie. In secondo luogo – e nella sua seconda parte – ci consente,
invece, di interrogarci sul punto veramente centrale per questo paragrafo: la somministrazione di
alimenti e bevande è sempre appena strumentale all’esercizio dell’impresa o assume, in alcuni casi,
un ruolo preponderante sulla produzione degli stessi?
La domanda, posta in tal modo, concerne soprattutto le pasticcerie; ma il problema riguarda anche i
forni, che a volte sono in realtà botteghe di generi alimentari, in cui la produzione di pane viene
soppiantata per importanza dalla vendita al dettaglio di generi alimentari di produzione industriale.

10
Il problema – in entrambi i due tipi d’attività – prende origine dalle numerose agevolazioni
fiscali previste per l’artigianato, che spingono tanti piccoli imprenditori a chiedere l’iscrizione
all’albo (iscrizione che è condizione per l’ottenimento di prestiti sia in conto capitale che a tasso
agevolato), pur essendo la propria impresa più di stampo commerciale che artigianale. Sulla
successiva accettazione della richiesta gioca, invece, un ruolo decisivo la composizione della Cpa 17 ,
che non di rado vede la partecipazione di esponenti delle quattro associazioni di categoria 18 , le quali
hanno un naturale interesse a favorire il rafforzamento numerico dell’area produttiva di propria
rappresentanza.
Questa duplice circostanza spiega come sia possibile trovare all’interno del nostro campione
botteghe dedite alla vendita di articoli di profumeria o di cartoleria o ancora di prodotti per l’igiene
della casa e della persona e che, tuttavia, riescono ad iscriversi all’albo artigiano grazie al fatto di
annoverare fra le proprie molteplici attività anche la panificazione. Stessa cosa dicasi per quei bar in
cui la somministrazione di bevande e alimenti prevale nettamente sulla produzione dei medesimi.
Passando dall’analisi qualitativa a quella quantitativa, le unità del campione che non
svolgono come attività preminente un’attività artigianale sono sette, di cui quattro panifici e tre
pasticcerie. Le imprese rientranti in questa fascia rappresentano, quindi, il 15,5% del campione, con
la branchia della pasticceria percentualmente più colpita dal problema. A livello dimensionale, le
sette imprese in questione si distribuiscono nella seguente maniera.

Tab.9: Distribuzione (classi dimensionali) X (imprese agroalimentari con attività preminente


non
artigiana).

Classi Imprese “non Tot. Incidenza


addetti artig.” imprese %
Zero 5 17 29.4
Uno 2 12 16.6
Due- 0 15 0
Cinque
Sei-Nove 0 1 0
Totale 7 45 15.5

Dalla tabella risulta chiaro come le classi più interessate al fenomeno siano quelle con meno
addetti.
Entrando nello specifico, tra le cinque imprese senza alcun addetto la cui attività principale
non è ai nostri occhi quella artigianale vi sono quattro panifici ed una sola pasticceria. Le restanti
due “imprese non artigiane” sono, invece, bar/pasticcerie con un solo addetto. Si noterà, infine,
come le aziende più grandi siano esenti da questo fenomeno; lì, infatti, gran parte degli impiegati
lavorano alla produzione di quei beni (pane, dolci, ecc.) che consentono al titolare la regolare
iscrizione all’albo artigiano.

5) Il fenomeno del sommerso: brevi note introduttive.


Chiuso il discorso relativo alle irregolarità delle imprese iscritte all’albo, passiamo ad esaminare il
fenomeno del sommerso e del lavoro nero, altro tema caldo della nostra indagine empirica.
A livello accademico, per economia sommersa si intende “un complesso di fenomeni ed
attività, la cui caratteristica comune risiede nel tentativo deliberato, ma non criminale, che esse
esprimono di evitare o evadere il rispetto delle regole che si sono venute affermando in un
determinato contesto e ciò al fine di perseguire un obiettivo ammesso, tollerato o, comunque, non
esplicitamente condannato dal sistema economico stesso”19 . In altre parole, la caratteristica
preminente dell’economia sommersa è la discrepanza tra gli obiettivi economici regolari (la
produzione di beni legali, la ricerca del profitto, ecc.) ed i mezzi utilizzati per perseguirli che

11
regolari non sono (evasione fiscale e contributiva, elusione delle norme sulla previdenza sociale e
sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, ecc.).
Da un punto di vista storico, il fenomeno del sommerso subisce un’accelerazione in Italia a
partire dagli anni ’70, quando con la crisi della grande industria si passa gradualmente da uno
scenario fordista ad uno post-fordista, termine che implica nella forma una continuità con il passato
più marcata di quanto realmente avvenga nella contenuto 20 .
Uno dei fattori che costituiscono tale contenuto è la continua trasformazione dei processi
produttivi. Questa mutazione – che include il decentramento della produzione, l’inserimento delle
tecnologie informatiche nel ciclo produttivo, il modello di «impresa a rete» che sostituisce
all’integrazione orizzontale quella verticale – consente alle imprese di usufruire di professionalità
un tempo svolte sotto un regime di lavoro dipendente tramite la forma del lavoro autonomo o il
ricorso a PMI esterne (outsourcing). A causa di questa tendenza, diminuisce progressivamente (ma
non costantemente) il lavoro salariato regolare – in cui oggi si riconoscono il 70% degli occupati
italiani – a tutto vantaggio del lavoro autonomo, che contando 6 milioni e 969 mila unità,
rappresenta il 30% del lavoro svolto nel nostro Paese 21 .
Di fronte a questo mutamento la giurisprudenza si trova però impreparata, bloccata dalla
profonda divisione attuata sin dal dopoguerra tra l’ambito del lavoro subordinato – regolato dalla
legge e dalla contrattazione collettiva (voluntas legis) – e quello del lavoro autonomo, in cui l’unica
regola valida è quella dell’accordo sancito tra le parti (lex voluntatis)22 .
Ne deriva un minor livello di garanzie per quest’ultima tipologia di lavoro, tanto da indurre
qualcuno a sostenere la tesi che con la sua espansione si passi dalla garanzia di sussistenza –
assicurata al subordinato tramite il salario, che nella teoria marxista corrispondeva infatti al
fabbisogno necessario per la riproduzione della forza- lavoro – al rischio esistenziale, transazione
consumata tramite la sostituzione del salario con una diversa forma di retribuzione, la fattura 23 .
Proprio tale gap di garanzia può essere considerata, per il suo contenuto filosofico, la causa
prima tra quelle che stanno a monte del fenomeno “sommerso”: da questo deficit di sicurezza si può
far derivare, infatti, il diffuso sentimento anti-statalista presente in molti lavoratori autonomi,
sentire che spesso sfocia nell’evasione, parziale o totale, della normativa fiscale.
Se è quindi vero che la diffusione del sommerso nasce dallo scarso senso civico di chi evade
le norme, altrettanto vero è che, all’origine di tale nascita, le carenze dello Stato e del suo impianto
giuslavoristico non sono esenti da colpe. E’ come se si fosse stipulato una sorta di patto diabolico
tra i lavoratori autonomi e lo Stato: i primi, non potendo usufruire pienamente del welfare state,
decidono di non finanziarlo; il secondo, non riuscendo ad assicurare ai primi una garanzia di
sussistenza, preferisce adottare una linea “morbida” nella lotta all’evasione e al sommerso.
Questo quadro teorico, seppur per grandi linee, spiega l’incisiva presenza del sommerso in
Italia (specie nelle regioni meridionali), sia nelle vesti di lavoro prestato senza le tutele
previdenziali ed assistenziali previste dalla legge, sia in quelle di imprese che, operando in nero,
evadono del tutto gli oneri fiscali e contributivi. Proprio di queste ultime ci accingiamo a parlare,
ponendo in evidenza le loro caratteristiche tramite un confronto con quelle regolari.

6) Un confronto tra le imprese artigiane regolari e quelle sommerse.


Per comprendere le imprese sommerse non c’è probabilmente modo migliore che capire cosa le
differenzia da quelle regolari; a tal fine, è stato sottoposto un questionario di diciassette domande ad
una trentina di titolari di imprese artigiane, la maggioranza dei quali regolari, a fronte di una
ristretta componente di irregolari. Vediamo il quadro che ne è fuoriuscito.

6.1) L’impresa regolare


I titolari di imprese artigiane regolarmente iscritte all’albo che hanno accettato di rispondere agli
interrogativi avanzati dal questionario sono stati ventidue; si tratta di una cifra non imponente ma
che può considerarsi soddisfacente ai fini del nostro studio.

12
Queste imprese svolgono prevalentemente la loro attività in un’area periferica della città, in
cui a prevalere sono gli esercizi legati alla riparazione di autoveicoli. Tutti i titolari sono uomini 24 ,
con un’età compresa tra i trenta ed i settant’anni; la decade predominante è quella dei cinquantenni,
a conferma del fatto che per l’intrapresa profittevole di un’attività autonoma è necessario avere una
serie di contatti e agganci che solo in età matura si raggiungono.
Per quanto riguarda il titolo di studio, si può fare una primaria distinzione tra imprenditori
anziani (al di sopra dei quarantacinque anni) ed imprenditori giovani (al di sotto del suddetto
limite): tra i primi, a prevalere sono i titolari in possesso della licenza elementare, seguiti da quelli
con la media inferiore; tra i secondi compaiono anche alcuni diplomati professionali, che non
riescono tuttavia ad insediare il primato numerico detenuto dai titolari di licenza media.
Anche nel mondo dell’artigianato si è, quindi, registrato un innalzamento del grado di
istruzione, che non può però suscitare facili entusiasmi; il numero di artigiani, anche relativamente
giovani (trentenni e quarantenni), che si fermano alla soglia della scuola dell’obbligo è ancora
troppo elevato per non gettare una pesante ombra sul ruolo svolto dal lavoro minorile a Siracusa
fino a qualche anno addietro, anche se va tenuto nella giusta considerazione il tradizionale
coinvolgimento in questo fenomeno del settore delle autoriparazioni (il più presente tra i titolari
interpellati).
Oggi, questa piaga sembra essere in gran parte debellata (grazie, soprattutto, alla crescente
scolarizzazione del Sud-Italia), anche se non ancora del tutto stanata, specie nei comparti della
ristorazione e, nel rispetto della tradizione, in quello della riparazione di autoveicoli.
Concludendo, si può allora affermare come la formazione professionale della maggioranza
degli attuali imprenditori artigiani si sia basata sul metodo del learning by doing; in altre parole, i
soggetti interpellati hanno cominciato a lavorare da giovani, spesso in età prematura, presso la
bottega, ditta o officina di un parente o amico del padre e solo dopo aver acquisito una certa
esperienza ed un buon numero di potenziali clienti hanno deciso di mettersi in proprio.
Ma esattamente, quando è stata fatta questa scelta? Ovvero, quando sono nate (e, quindi,
quanto sono vecchie) le imprese dei titolari intervistati? La maggioranza di queste (quattordici su
ventidue) – rispettando un criterio fisiologico proprio di ogni struttura produttiva – hanno avuto
inizio nella decade più vicina; il dato preoccupante, però, è che di queste quattordici, ben otto sono
di recentissima costituzione (successive alla fine del ’98). Si tratta di imprese piccolissime, spesso
al limite dell’autoimpiego, con un capitale investito ridottissimo che le rende molto esposte al
rischio di un fallimento precoce; il fatto poi che abbiano un’incidenza elevata sul tessuto
imprenditoriale siracusano rende a sua volta quest’ultimo debole ed instabile 25 .
La controprova di tale fragilità è data dalle imprese di più antica fondazione che in tutto
raggiungono appena le otto unità, di cui due costituite negli anni ’80, cinque negli anni ’70 ed una
nella decade ’60. L’elevata mortalità imprenditoriale – specie delle ditte iscrittesi durante gli ’80 – è
sintomatica della carenza di una sana imprenditoria locale, che si manifesta nell’abitudine di
intraprendere un’attività autonoma più per l’incapacità di trovare un posto da dipendente che per la
fiducia in un progetto aziendale vincente. Questo “costume” è stato d’altronde incoraggiato da una
legislazione ragionale che ha consentito per decenni di erogare contributi per la nascita di nuove
imprese con la copertura totale dell’investimento previsto 26 . Si è diffuso così il fenomeno di chi ha
potuto intraprendere un’attività senza rischiare nulla di proprio; non è casuale, però, che proprio tra
quest’ultima tipologia imprenditoriale si registri il maggior numero di decessi aziendali precoci.
Non deve, allora, trarre in inganno il saldo positivo di nati- mortalità fatto registrare dalle
imprese della provincia di Siracusa negli ultimi tre anni 27 ; il tasso di crescita attivo è in realtà
dovuto ad un elevato turnover fondato su un continuo ricambio di piccole e piccolissime ditte che
aprono e chiudono i battenti nel volgere di pochi anni, quando non di mesi.
Questa serie di caratteristiche ne anticipano un’altra: la dimensione prettamente locale delle imprese
interpellate, che si manifesta nell’operare quasi esclusivamente su commessa e nell’avere
committenti provenienti dalla sola provincia sede dell’attività.

13
L’immagine dell’impresa artigiana siracusana che esce da questo quadro è, quindi, quella di
un soggetto minuto, debole e, quel che è peggio, in perenne ed ostinato isolamento dalle sue simili.
Il grado di collaborazione tra gli artigiani del medesimo settore è infatti scarso, come testimonia il
rifiuto di ricorrere, anche in caso di picchi di lavoro, all’aiuto di altri colleghi: su di un tale
atteggiamento, influisce certamente la concorrenza feroce (basata esclusivamente sulla corsa al
ribasso dei prezzi) che si instaura tra gli imprenditori di uno stesso comparto in un mercato dagli
sbocchi ridottissimi qual è quello aretuseo, ma un ruolo rilevante lo gioca pure un antropologico
individualismo che contraddistingue i siracusani anche a livello economico e che costringe le loro
aziende ad una dimensione di sovente sub-efficiente.
La cartina di tornasole di questo individualismo è data dal tasso di partecipazione alle
organizzazioni di categoria, che non supera il limite del 60%, valore nettamente oltrepassato nelle
regioni settentrionali. Eppure, il giudizio sull’operato delle associazioni di categoria da parte degli
iscritti è molto positivo: la stragrande maggioranza degli aderenti reputa la propria organizzazione
capace di tutelare i propri interessi economici, offrire servizi utili e fungere da centro di
smistamento per tutte le informazioni relative a leggi, sgravi e contributi riguardanti il mondo
dell’artigianato.
Ma allora, come si spiega un così basso tasso di sindacalizzazione? Probabilmente, in un
circolo che rischia di divenire vizioso, richiamandosi alla scarsa cooperazione interna a questo
“mondo” che non permette alle notizie, nemmeno a quelle positive, di circolare. Tant’è che i non
iscritti hanno dei sindacati una visione in antitesi a quella dei sindacalizzati: reputano le
organizzazioni di categoria alla stregua di associazioni a delinquere, pronte a sottrarre parte del
reddito in cambio di poco o nulla e propense ad adottare nella distribuzione dei servizi politiche di
stampo clientelare.
Se il rapporto con le associazioni di categoria può definirsi difficile, quello diretto con le
banche non esitiamo ad etichettarlo come inesistente; quasi nessuno dei ventidue intervistati ha fatto
mai richiesta di prestito ad una banca e, comunque, nessuno lo ha ottenuto.
Questo dato è dimostrazione di una pregiudiziale sfiducia dei piccoli imprenditori artigiani
verso gli istituti bancari: all’origine di tale sfiducia vi sono certamente gli elevati tassi di interesse
praticati dalle banche 28 , le complesse garanzie che l’artigiano deve fornire per l’ottenimento del
prestito 29 , il sistema di autotutela attuato dalle banche che, in caso di insolvenza del creditore, mette
in gioco il patrimonio personale di quest’ultimo. Tuttavia, il fattore che più allontana gli artigiani
dal rapporto diretto con il credito privato è la già citata legislazione regionale a sostegno della
categoria, che permette di accedere non solo a prestiti con tassi più bassi di quelli attuati dalle
banche, ma anche di usufruire di contributi a fondo perduto. Una delle leggi più utilizzate negli
ultimi anni dagli artigiani isolani è stata la n.41 del ’75 (mutata poi in 3/86), che prevedeva la
concessione di contributi in conto capitale nella misura del 30% della spesa riconosciuta
ammissibile per l’investimento proposto (con un massimale di centocinquanta milioni) e
l’erogazione di finanziamenti a tassi agevolati (non superiori al 6%, compresi gli oneri accessori)
per il restante 70% della spesa preventivata. Tali condizioni divenivano ancora più vantaggiose in
caso di spese di primo impianto: i contributi a fondo perduto potevano arrivare al 40% e quelli a
tasso agevolato “ridotti” al 60% 30 .
Leggi come queste spiegano il grande ricorso alle casse regionali, testimoniato dal numero
delle pratiche presentate dagli artigiani presso le locali Camere di Commercio per l’ottenimento di
contributi. Come è possibile vedere schematicamente dalla successiva tabella e dal suo relativo
istogramma, le richieste di contributi regionali dal ’96 ad oggi sono più che raddoppiate,
provocando una spesa di tre volte superiore a quella di cinque anni addietro. Ciò che più sorprende,
però, è la sostanziale coincidenza sia tra il numero delle pratiche presentate e il numero di quelle
finanziate, sia tra il contributo richiesto e quello effettivamente erogato, dati che evidenziano un
elevato grado di fiducia – non sempre ripagata – della Regione nei confronti dei progetti avanzati
dagli artigiani.
Tab.10: Riepilogo sulle pratiche presentate presso la Cam.Com di Siracusa per l’erogazione di

14
contributi agli artigiani (fonte: CCIAA di Siracusa).

Anno Pratiche Pratiche Pratiche Pratiche Contrib. Contrib.


present. pagate annullate da pag. erogato da erog.
1991 511 456 55 0 5.563 0
1992 599 515 84 0 6.246 0
1993 462 413 49 0 4.711 0
1994 418 376 42 0 4.702 0
1995 381 335 46 0 4.284 0
1996 567 508 58 1 6.040 0.031
1997 662 589 72 1 8.348 0.005
1998 625 545 73 7 8.114 0.363
1999 817 408 50 359 5.775 4.763
2000 1080 0 27 1.053 0 15.000
Totale 6.122 4.145 556 1.421 53.787 20.163

Graf. 2: Riepilogo prat. contributi artig. dal '91 al '00.

1200 Prat.
1000 presentate
Prat. pagate
n. pratiche

800
600 Prat. annullate
400 Prat. Da
200 pagare
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
anni

Chiuso il capitolo relativo al rapporto tra imprenditore artigiano e banche, verifichiamo cosa
pensano i titolari intervistati di chi svolge la loro stessa attività in nero: il giudizio è
omogeneamente negativo, anche se il problema è più sentito dagli imprenditori a capo di ditte più
grandi. Si tratta di un fatto in contraddizione con la tesi accademica prevalente, che individua nelle
piccolissime imprese le più esposte alla concorrenza sleale di quelle sommerse, ma che trova la sua
giustificazione nella facilità con cui le prime fronteggiano la concorrenza delle seconde ricorrendo
anch’esse a forme di irregolarità contributive e fiscali. In altre parole, le aziende maggiori – poiché
più sottoposte a controlli – sono “costrette” ad un rispetto più rigoroso della normativa esistente e
non riescono, quindi, a trovare vie di fuga per fronteggiare la concorrenza sleale delle attività in
nero.
Questa, però, è più una sensazione percepita dagli imprenditori che la realtà dei fatti: i
mercati di riferimento delle imprese con cinque/dieci dipendenti sono diversi da quelli delle imprese
sommerse, che agiscono invece sugli stessi mercati marginali in cui operano le forme di
autoimpiego o le ditte con uno/due addetti. Ne consegue che la vera lotta per la sopravvivenza è tra
le attività in nero e le microattività, con principale strumento di lotta il ricorso a manodopera priva
d’ingaggio.

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Una delle domande del questionario chiedeva, infatti, quante fossero le persone alle dipendenze del
titolare intervistato; ebbene, il numero dei dipendenti dichiaratoci non sempre è stato uguale a
quello annotato dai registri della Camera di Commercio, anche se su questa discordanza potrebbe
influire una certa negligenza degli imprenditori nell’aggiornamento annuale dei dati relativi
all’impresa tenuti dall’ente camerale.
Gli occupati, sia regolari che irregolari, delle ditte visitate sono soprattutto parenti o amici
del titolare, il che conferma il comparto artigiano come uno degli assi portanti dell’economia
informale. D’altronde, anche i pochi “estranei” presenti, vengono assunti perché amici di parenti o
conoscenti di amici del titolare: in altre parole, i network sociali svolgono ancora un ruolo decisivo
nella possibilità di trovare occupazione in un settore tradizionale quale quello artigiano.
Ultimo item proposto agli imprenditori regolari è stato quello relativo al giud izio sul ruolo
esercitato dalla criminalità organizzata e dalla microcriminalità sulle attività economiche cittadine.
La tendenza principale emersa è quella di chi si sente minacciato più dalla seconda che dalla prima.
Si tratta di un fatto paradossale, considerata la ripetuta incisività mostrata negli ultimi anni dal
fenomeno del racket nella provincia siracusana e che trova l’unica spiegazione plausibile in una
certa assuefazione al “male cronico”, che rende più evidente il danno estemporaneo originato dalla
microcriminalità.

6.2) L’impresa sommersa


Svolgere un’indagine sulle imprese sommerse non è, per ovvie ragioni, cosa semplice: anzitutto,
l’individuazione delle attività in nero non è immediata come lo è quella delle imprese regolarmente
iscritte all’albo; in secondo luogo, anche quando individuate, entrare in contatto con chi le gestisce
può risultare persino pericoloso.
In ordine a queste considerazioni, il presente paragrafo si basa sulle informazioni raccolte
dallo stesso questionario sottoposto agli imprenditori regolari, modificato in alcune sue parti e
somministrato a sette “conoscenti” che svolgono un’attività artigianale in nero. Considerato l’esiguo
numero di interpellati, il questionario è stato affiancato da una conversazione integrativa delle
risposte date. A questo materiale, se ne aggiunto dell’altro proveniente da una serie di interviste a
personaggi di spicco del sindacato artigiano siracusano.
Il quadro che ne è uscito è quello di un fenomeno trasversale a tutti i comparti che
compongono la categoria: non v’è settore che sia esente dal problema, sebbene i più coinvolti
risultino essere quello dei servizi – sia alla persona (parrucchieri, estetisti, ecc.) che alla casa (colf,
impiantisti, ecc.) – della manifattura metalmeccanica, edile e tessile (meccanici, sarte che operano a
domicilio per conto di piccole imprese residenti anche al di fuori della provincia aretusea, operai
che svolgono lavori di riparazione e manutenzione) e dell’autotrasporto.
Come anticipato, si tratta di imprese marginali, al limite dell’autoimpiego, ma diffuse in
modo capillare nel territorio, al punto da esercitare una forte concorrenza sulle ditte in regola più
piccole. Tale situazione provoca un continuo flusso in-out : alcune attività regolari si immergono per
fronteggiare la concorrenza sleale di chi opera già in nero; altre emergono, sfruttando le leggi
esistenti in materia di condoni e sgravi31 . Ne deriva l’immagine di un’area in moto perpetuo, in cui
ogni tentativo di cristallizzare la realtà rischia di sacrificare la verità in nome della linearità.
Ad ogni modo, le competenze in possesso di chi ha un’attività in nero sono in genere di
basso profilo, anche se ultimamente è andata ingrossandosi la componente dei doppiolavoristi,
ovvero di chi, sfruttando il proprio know-how, integra un salario regolare da dipendente con
un’attività autonoma in nero.
Indipendentemente dalle competenze possedute, la prestazione in nero viene sempre pagata
a cottimo, mentre non è così diffuso il fenomeno degli pseudoartigiani, ovvero di chi – specie
nell’edilizia – pur svolgendo una mansione chiaramente subordinata, viene “invitato” ad aprire una
partita iva in modo da avere una posizione contributiva autonoma e non gravare, così, sulle spese
del datore32 .

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A livello retributivo, chi esercita una prestazione in nero – pur essendo pagato a cottimo – riesce ad
avere un reddito diretto per singola mansione lievemente superiore a quello dell’artigiano regolare.
Ma non è un caso che si sia specificatamente parlato di «reddito diretto»: se consideriamo, infatti,
che chi svolge un’attività alla luce del sole, già per il fatto di essere visibile sul mercato, ha accesso
ad una clientela più vasta e può godere, inoltre, di tutte quelle forme di «reddito indiretto» costituite
dagli sgravi su imposte e contributi, il suo reddito globale sale notevolmente e supera di gran lunga
quello di chi ha preferito rimanere nel limbo dell’irregolarità. Tutto ciò ribadisce il legame
indissolubile che c’è tra il sommerso e la marginalità economica di chi spera prima o poi di ottenere
un posto da dipendente o di chi è talmente privo di capitale da non potersi permettere una forma di
autoimpiego legalmente registrata (si può, quindi, parlare di sommerso di sopravvivenza).
Una simile considerazione la si può fare, però, solo per chi fa dell’attività in nero l’unica
fonte di reddito; il discorso cambia radicalmente per chi la considera, invece, come integrazione ad
un salario da dipendente. In tal caso, la situazione si inverte e il reddito globale è più alto tra gli
artigiani part-time in nero che tra quelli full-time in regola.
Ma da chi è formata – professionalmente parlando – la figura dell’artigiano part-time? La
quota più influente è quella di pensionati e cassaintegrati di grande aziende statali o ex statali che,
dopo una vita trascorsa lavorando come subordinati, si improvvisano sul finire della carriera
lavoratori autonomi. Del tutto simile alla loro situazione è quella di chi, ancora dipendente, esercita
l’attività artigianale solo nei week-end. Altro caso diffuso è quello di Lsu (lavoratori socialmente
utili), forestali ed altri dipendenti regionali che, grazie ad un impegno giornaliero ridotto, hanno la
possibilità di esercitare nella restante parte della giornata un’attività in nero.
La prima conclusione a cui si può giungere è che esistono, quindi, almeno due diverse facce
del sommerso nell’artigianato siracusano: il primo, più marginale e disperato, è quello di chi con il
sommerso ci vive, o meglio, ci sopravvive; il secondo, più ristretto ed elitario, è proprio di chi con
l’attività in nero integra un salario o un’indennità da lavoratore subordinato.
Non si ha notizia invece, nel capoluogo aretuseo, dell’esistenza di vere e proprie “imprese
fantasma”, come quelle scoperte in altri centri isolani come Caltagirone e Palermo 33 . Queste
situazioni estreme non riguardano la sola Sicilia, ma è solo in questa che ancora coinvolgono parte
della popolazione autoctona. Anche in metropoli come Milano o Roma vengono scoperti casi del
genere, ma il duplice ruolo di sfruttati e sfruttatori compete lì alla medesima comunità, in genere
non italiana 34 . Un simile fatto esprime meglio di quanto non riescano a fare indici e indicatori
socioeconomici il grado di miseria e ignoranza che persiste in alcuni strati della società siciliana e
che induce fasce di popolazione ad accettare paghe da terzo mondo non solo per sé, ma anche per i
figli.
Sempre legato a miseria ed ignoranza è un altro fenomeno increscioso diffuso in Sicilia,
compresa, questa volta, la provincia aretusea. Come si è appreso dall’esame della 443/85, per poter
esercitare alcune delle professioni artigiane è necessario svolgere un periodo di apprendistato che
può andare da uno a tre anni. Per agevolare l’assunzione dell’apprendista, già dal lontano ’87, esiste
una legge (la n.56) che prevede lo sgravio totale dei contributi per le imprese che stipulano questa
tipologia di contratto.
Ebbene, nonostante tali facilitazioni, si verifica un fatto quantomeno paradossale: capita,
ovvero, che gli imprenditori artigiani (ma il fenomeno si estende a qualsiasi categoria produttiva)
interrompano il rapporto con l’apprendista a pochi mesi dallo scadere del periodo di tirocinio in
quanto temono che il giovane dipendente, una volta terminato l’apprendistato, possa aprire una
propria attività ed entrare in diretta concorrenza con loro sottraendogli parte dei clienti conosciuti
durante gli anni trascorsi nella loro bottega. L’effetto indiretto di tale pratica è quello di spingere
verso il sommerso tanti giovani che avrebbero le competenze professionali per intraprendere
un’attività regolare, ma a cui mancano i requisiti formali (il periodo di apprendistato completato)
per farlo.
Ciò si riflette sulla composizione della popolazione degli artigiani in nero: l’incidenza dei
giovani – così come quella delle donne – è infatti maggiore di quella riscontrata tra gli imprenditori

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regolari. Questo accade, oltre che per il suddetto fenomeno, anche per la diffusa abitudine di
considerare il sommerso come via preferenziale per l’intrapresa di un’attività regolare. In altre
parole, prestare la propria opera saltuariamente ed in nero è una delle vie privilegiate per l’accesso
al mercato del lavoro meridionale; è in tal modo che si creano i contatti ed il capitale necessario per
l’accesso a posizioni imprenditoriali legalmente registrate.
La relativamente diffusa presenza femminile è, invece, legata sia alla scarsa
femminilizzazione del mercato del lavoro meridionale, sia alle stesse esigenze di gran parte delle
donne, che trovano nella prestazione in nero la flessibilità che permette loro di conciliare il lavoro
domestico con quello extradomestico, che, se svolto nello stesso domicilio, agevola ulteriormente la
compatibilità con il primo 35 .
Queste due caratteristiche (maggiore femminilizzazione e minore età) ne anticipano un’altra:
un grado di istruzione, in certe fasce di artigianato abusivo, più elevato che tra gli imprenditori
regolari. Si tratta, ovviamente, di un dato relativo, in quanto coinvolge soprattutto quei ventenni che
nonostante l’acquisizione di un diploma professionale (quando non di maturità) hanno alle spalle
una carriera lavorativa fatta di occupazioni occasionali e lavoretti saltuari. Non appena, invece, l’età
sale, il grado di istruzione cala vertiginosamente, sintomo che si sta entrando in quella fascia di
“disperati” che considera il sommerso non come una tappa transitoria in vista di una successiva
regolarizzazione, bensì come l’unico modo possibile di “fare impresa”, come l’unica soluzione per
“tirare a campare”.
Altro dato, per il vero abbastanza ovvio, che fuoriesce dal questionario è che chi opera in
nero lavora esclusivamente su commessa. E’ scontato, infatti, che nelle attività sommerse il
rapporto con il cliente dev’essere diretto, quasi personale, in quanto elemento in grado di proteggere
da eventuali denunce, sebbene costituisca allo stesso tempo il limite maggiore per l’espansione del
volume d’affari.
Più interessante è, invece, il dato relativo all’opinione che gli imprenditori abusivi hanno
della loro stessa attività: ebbene, come è emerso dalle righe precedenti, molti di loro ritengono il
sommerso come una scelta obbligata per iniziare o per non smettere di lavorare, una tattica
difensiva in attesa di tempi migliori. Ne consegue che la totalità di loro non crede di apportare un
danno, in termini di concorrenza sleale, a chi rispetta le regole; ciò non solo perché la propria
clientela viene considerata strettamente personale, ma anche perché se è vero che non sono costretti
a pagare tasse e contributi, altrettanto vero è che, data la loro condizione, non possono incrementare
il proprio volume d’affari. Se ne conclude che la scelta del sommerso – almeno per gli intervistati –
non è affatto dettata da ignoranza legislativa, quanto piuttosto ponderata dalle circostanze del
momento.
Passando al tema della cooperazione interna alla categoria, se questa era scarsa tra gli
imprenditori regolari, praticamente inesistente è tra gli irregolari, anche perché le prestazioni loro
richieste non raggiungono mai dei picchi quantitativi che possano giustificare un aiuto esterno. Ma
ciò che più sorprende è che gli artigiani abusivi, oltre ad essere elementi isolati, privi di contatti con
i loro colleghi, sono anche convinti “isolazionisti”, in quanto reputano l’agire individuale il modo
migliore per condurre i propri affari.
Inesistente è naturalmente il rapporto con le banche, così come quello con le organizzazioni
di categoria, di cui la maggioranza degli abusivi non ne conosce né la funzione, né i servizi.
L’indifferenza è, infine, l’atteggiamento prevalente nei confronti della criminalità, sia organizzata
che quotidiana. Opinione comune è che il peso più negativo sulle sorti dell’economia locale sia
esercitato dalla piaga del racket mafioso; tuttavia, i soggetti intervistati si sono mostrati immuni da
preoccupazioni del genere, in quanto, non essendo visibili, non sono neanche minacciabili. Un
vantaggio in più per chi agisce in nero.

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7) Una tipologia settoriale di imprese sommerse artigiane
Concluso il confronto tra imprese regolari e sommerse (che, come visto, sono più che altro mere
forme di autoimpiego), concentriamo l’attenzione solo sulle seconde, analizzando il loro
concretizzarsi in alcuni specifici comparti produttivi 36 .
7.1) Il sommerso nell’artigianato dei servizi
Nei servizi, ad avere un’attività economica in nero sono soprattutto le forme di autoimpiego: un
classico è il caso della parrucchiera, magari alle prime armi, che svolge il proprio lavoro a domicilio
(nel proprio o in quello del cliente di turno) e che tramite il passaparola riesce a crearsi una vasta e
fidata clientela, che non denuncerebbe mai l’attività da lei esercitata, sia per il rapporto
confidenziale che in questi casi si instaura, sia perché, essendo in nero, la prestazione costa di meno.
La convenienza non sta solo dalla parte di chi usufruisce del lavoro, ma anche di chi il
lavoro lo fa: agendo in nero la “nostra” parrucchiera evita, anzitutto, di pagare l’affitto dei locali, il
cui costo annuo può andare da un minimo di sei/sette milioni per un piccolo vano a pianterreno agli
oltre dieci/dodici milioni per un vero e proprio salone con destinazione d’uso specifica. A questa
spesa, vanno aggiunte poi l’autorizzazione sanitaria, le spese per il rispetto delle norme sulla
sicurezza nei luoghi di lavoro, l’assicurazione contro gli infortuni, il versamento dei contributi
previdenziali per un minimale di circa quattro milioni, ecc.
In altre parole, esistono per questa professione un’insieme di costi di difficile accesso a chi
si affaccia sul mercato del lavoro per la prima volta e dispone di un capitale iniziale generalmente
non superiore a qualche milione 37 . A ciò si aggiunga che, svolgendo la professione in nero, non è
neanche necessario aver conseguito alcuna qualifica professionale 38 , la quale richiede un periodo di
tirocinio di almeno due anni in un’impresa del medesimo settore o il conseguimento di un diploma a
termine di un regolare corso di apprendistato 39 .
Un discorso simile può essere fatto per il settore della «Riparazione dei beni personali e
della casa», altro pilastro portante dell’artigianato dei servizi. In città, come in provincia, l’attività
di chi ripara auto e moto senza autorizzazione ed eludendo il rispetto delle più elementari norme di
sicurezza è diffusissima 40 . Frequente è anche il fenomeno di chi affianca ad una prima professione
regolare, un’altra irregolare, anch’essa rientrante nella generica attività dell’autoriparazione 41 ; è il
caso del gommista che aggiusta motocicli, o del meccanico che è in possesso di qualche
competenza elettronica. Queste situazioni sono differenti solo in apparenza, perché accomunate dal
mancato rispetto delle norme UNI sulla sicurezza, variabili da professione a professione.
Far emergere questa tipologia di sommerso non è affatto semplice: nel caso della
parrucchiera, il problema maggiore risiede nella domiciliarità della prestazione, che impedisce di
fatto un controllo sulla stessa. Nel settore delle autoriparazioni, invece, la difficoltà maggiore sta
nella contiguità delle professioni, che possono essere svolte contemporaneamente senza dare
particolarmente nell’occhio.
Eppure, anche in un’area delicata come l’artigianato dei servizi, qualche successo nei processi di
emersione è stato conseguito. Il riferimento è alle imprese di pulizia, che erano in gran parte in nero
fin quando una nuova normativa ha trasformato i condomìni in sostituiti d’imposta, obbligandoli a
presentare ogni anno la documentazione delle spese compiute tramite il modello 770. Ciò ha
comportato per tutti gli amministratori di condomìni la rinuncia ai servizi di quelle imprese non
iscritte al Registro ordinario o, ricorrendone le condizioni, all’albo artigiano e, di converso, per le
imprese del settore un abbandono in blocco del sommerso ed una conseguente corsa verso assetti
societari regolari.
Altra norma che ha svolto un ruolo incisivo nella lotta al sommerso del settore è stata la
82/94, ed in particolare l’art.2, che ha dato vita a delle fasce di classificazione per tutte le imprese
del comparto in base al volume d’affari registrato negli anni precedenti; queste fasce servono per
indicare quali imprese possono partecipare a certe gare d’appalto e quali no. Così – per fare un
esempio – se una fascia va dai cento ai duecento milioni, ad un’impresa che ha avuto negli anni
precedenti un volume d’affari pari a centoventi milioni, non converrà dichiararne meno di cento
pena l’esclusione dagli appalti più appetibili.

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In conclusione, queste due nuove leggi sono riuscite nel difficile compito di ridurre la quota
di sommerso presente tra le imprese di pulizia, sempre che non si voglia prendere in considerazione
il fenomeno degli inservienti domestici che prestano la propria opera presso le famiglie più
benestanti della città.
Considerato il tipo di mansione – ritenuta denigrante dalla maggioranza della popolazione
autoctona – a svolgere questo lavoro è soprattutto la comunità cingalese, una delle più numerose tra
quelle extracomunitarie presenti nella provincia aretusea 42 . Si tratta di una vera e propria economia
etnica, in cui i network sociali interni alla comunità svolgono un ruolo fondamentale nel flusso e nel
ricambio interno al circuito lavorativo. I cingalesi tendono, infatti, a fermarsi in città solo
provvisoriamente (da un minimo di cinque ad un massimo di dieci anni), per poi tornare nello Sri
Lanka con un buon capitale personale che consente loro di aprire un’attività in proprio e vivere più
che dignitosamente. Essi non hanno, quindi, alcun interesse a crearsi una posizione contributiva in
Italia; piuttosto, preferiscono accumulare il più possibile – spesso vivendo anche in condizioni di
estremo disagio – in vista del rientro in patria. Sul fronte datoriale, invece, si tende a non rispettare
le norme più per comodità (regolarizzare un immigrato richiede tempo) e solidarietà che per
convenienza personale.
Per tutta questa serie di ragioni, l’unica misura che potrebbe agevolare l’emersione di questo
sommerso sarebbe una detrazione fiscale sulle spese sostenute per le collaborazioni domestiche. Si
tratterebbe, tuttavia, di un provvedimento socialmente iniquo, poiché agevolerebbe la parte più
benestante dello scambio (le famiglie, soggetto datoriale), penalizzando quella più svantaggiata (gli
immigrati, prestatori del servizio). Come dire, insomma, che non sempre il sommerso è il male
peggiore e che la realtà lavorativa rappresentata dalla comunità cingalese – in quanto marginale –
non inficia i buoni risultati ottenuti dai processi di emersione nel comparto delle pulizie.

7.2) Il sommerso nell’artigianato edile


La scelta di soffermarci sul sommerso nell’edilizia ha un significato ben preciso: è questo, infatti,
un settore considerato tradizionalmente arretrato, in cui le attività in nero e quelle criminali
s’intrecciano pericolosamente. Inoltre, negli ultimi due decenni, le imprese artigiane edili sono
aumentate vertiginosamente, causa il vistoso processo di polverizzazione che ha riguardato il
settore. Nemmeno il blocco totale degli appalti durante il periodo dell’inchiesta “Mani Pulite” ha
posto un freno alla crescita delle imprese artigiane nel comparto, tant’è che dal ’91 al ’95 le ditte di
costruzione iscritte all’albo sono aumentate, a livello nazionale, dell’8,7%, mentre gli addetti hanno
registrato un incremento dell’8,4% 43 ; è in atto quindi una crescente autonomizzazione del fattore
lavoro 44 i cui primi segnali risalgono agli anni settanta ed a cui neanche i “tentativi illuminati” delle
cooperative emiliane hanno posto un freno 45 .
Questi fatti giustificano l’interesse verso l’edilizia ed il sommerso in esso presente, che nasce, in
gran parte, dalla stessa pratica del subappalto che ha favorito il processo di frantumazione del
lavoro. Polverizzazione del processo produttivo e sommerso vanno di pari passo perché ad ogni
singolo passaggio che si realizza nella catena del subappalto diminuisce il ricavo per l’impresa
subappaltatrice, la quale, per ottenere un profitto, dovrà assolutamente risparmiare sui costi, a
partire da quelli relativi alla manodopera; di qui, il ricorso all’utilizzo di pseudoartigiani o di
lavoratori scarsamente qualificati privi di ingaggio, che accetteranno sia perché la domanda di
lavoro non offre opportunità migliori, sia perché – in alcuni casi – percependo un’indennità statale
(di disoccupazione, di lavoro stagionale, ecc.), con un lavoro regolare dovrebbero rinunciarvi. “Non
è infatti raro il fenomeno di chi effettua un vero e proprio slalom tra settori con lavoro a termine al
fine di sfruttare pro domo propria la legislazione in materia di disoccupazione”46 .
Quest’analisi mostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che non sempre il sommerso è una
soluzione favorevole ad una sola delle due parti; a volte, le attività in nero si reggono sulle
fondamenta di una reciproca convenienza. Il problema – al di là degli slogan propagandistici – è
ben recepito anche dallo Stato, che ha concesso ai privati consistenti sconti fiscali per il rinnovo
degli immobili. In tal modo, il committente di un’opera di ristrutturazione avrà un interesse

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personale alla fatturazione per testimoniare in sede fiscale i lavori compiuti e sarà, allo stesso
tempo, sottratto alla “tentazione” di far svolgere l’opera in nero in cambio di uno sconto sul prezzo
finale.
L’insegnamento che traiamo da questo settore è, quindi, che procurare l’insorgere di un
“conflitto di interessi” all’interno di una contrattazione tra privati può divenire uno tra i più potenti
strumenti d’emersione; fin quando permarrà, invece, una reciproca convenienza all’agire in nero,
richiamare i cittadini ad un astratta civicness rischia di rimanere poco più che uno slogan politico.
Naturalmente, non basta solo questo per eliminare le irregolarità in un comparto complesso
qual è quello edile: un importante passo in avanti verrebbe compiuto con l’abrogazione della 55/90,
che ha di fatto deresponsabilizzato l’impresa subappaltante (sia pubblica che privata) dall’operato
della subappaltatrice. Dall’entrata in vigore di questa legge, che ha del tutto liberalizzato la pratica
del subappalto, la parcellizzazione della subcontrattazione ha raggiunto livelli precedentemente
inimmaginabili, portando alle estreme conseguenze (il cottimo individuale) l’iter di polverizzazione
del processo produttivo del settore. Il risultato finale è stato quello di strozzare l’economia
territoriale, poiché le ditte subappaltatrici (quasi sempre locali), per rispettare il prezzo concordato
con la subappaltante (quasi sempre forestiera) ed ottenere ugualmente un profitto soddisfacente,
risparmieranno anzitutto su sicurezza, salari e qualità del materiale impiegato nei lavori.
In conclusione, senza la modifica della 55/90 ed un serio controllo sulle indennità di
disoccupazione stagionale, migliorare il livello di legalità nella realtà produttiva edile rischia di
rimanere una chimera irraggiungibile.

8) Il lavoro nero nel Siracusano: uno sguardo agli altri settori dell’economia 47
Con il presente paragrafo, viene meno la scelta di campo compiuta inizialmente (quella
dell’artigianato) e si tenterà di fornire una visione d’insieme del lavoro irregolare a Siracusa.
In particolare, si vuole verificare se anche nella nostra realtà è in atto la tendenza nazionale
che vede il lavoro irregolare mutare sia quantitativamente (dal ’92 al ’98 l’incidenza delle unità di
lavoro non regolari è passata dal 13,4% al 15,1%) 48 , che qualitativamente, con un incremento delle
forme di lavoro grigio (retribuzioni parzialmente fuori busta, straordinari pagati come ordinari ed
altre irregolarità minori) su quelle di lavoro nero (totale assenza di ingaggio, pseudoartigiani di fatto
dipendenti, ecc.).
A tal fine, sono state condotte delle interviste a personaggi cent rali del mondo sindacale e
imprenditoriale locale; l’intervista ha seguito delle aree tematiche ben definite, pur non prevedendo
delle domande codificate. Prima di sbilanciarsi in tali disquisizioni, enumeriamo però le poche
certezze che esistono in proposito.

8.1) Le ispezioni nella Provincia di Siracusa


L’ente nazionale preposto alle ispezioni sui luoghi di lavoro è l’Ispettorato provinciale.
Tab. 11: Serie storica delle imprese controllate dall’Ispettorato provinciale del lavoro.

Semestri Imprese controllate

Regolari Non regolari Totale


I sem. 1999 915 315 1.230
II sem. 1999 1.065 241 1.306
I sem. 2000 570 210 780

Il dato più immediato che cogliamo dalla lettura della tabella è il netto calo di imprese controllate
nel primo semestre del 2000, il che pone un dubbio sull’effettiva continuità delle ispezioni compiute
dall’Ispettorato. Da un punto di vista qualitativo, i dati dettagliati dell’ente ispettivo ci dicono che la
quasi totalità delle irregolarità riscontrate riguarda lavoratori non registrati nel libro paga, ovvero

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persone che lavorano in ditta senza alcun ingaggio formale. Relativamente frequenti sono poi le
retribuzioni pagate in parte fuori busta (il cosiddetto lavoro grigio), mentre assolutamente inesistenti
– ma non ci è dato sapere se per incuranza o perché effettivamente non presenti – sono i casi di chi
mantiene in azienda manodopera straniera, minorile, pensionata, che svolge un doppio lavoro o che
si trova, al momento della verifica, in trattamento di cassa integrazione, mobilità o malattia.
In ogni caso, al di là di queste diversificazioni interne, appare evidente che il valore
complessivo del lavoro nero stimato dall’Ispettorato è fortemente sottostimato rispetto alla realtà;
l’incidenza complessiva si mantiene, infatti, intorno al 15%, quando la già citata indagine dello
Svimez giunge alla conclusione che più di un siciliano su tre lavora in nero.
Questa è d’altronde una logica conseguenza della politica di quest’ente, che tende a
privilegiare i controlli sulle imprese regolarmente iscritte al registro piuttosto che la caccia a quelle
totalmente sommerse. Ciò dipende dal fatto che gli ispettori si muovono quasi esclusivamente su
denuncia del lavoratore 49 , il quale trova certamente più semplice testimoniare un rapporto
lavorativo irregolare all’interno di un’impresa per il resto regolare, piuttosto che un proprio impiego
in una ditta di per sé già inesistente.
In altre parole, i dati dell’Ispettorato, più che una visone globale del lavoro nero, ne
forniscono un’immagine limitata al mondo dell’impresa regolarmente registrata; risultano, quindi,
escluse da questa “fotografia”, non solo le imprese fantasma (che poi, come già detto, non sono così
numerose nel Siracusano), ma anche quelle attività autonome in cui si insediano maggiormente
figure come i doppiolavoristi, i pensionati ed i cassaintegrati.
Stesso difetto hanno i dati Inps, che sono però più ricchi nel dettaglio delle irregolarità.

Tab. 12: Prospetto irregolarità riscontrate dall’INPS (gennaio-maggio 2001)

Accertamenti Aziende Totale


Aziende
Grandi Medie Piccole Agricole
Aziende attive 30 826 6159 3572 10587
Aziende visitate 14 14 66 8 102
Rapp. lav. annullati 0 0 2 2 4
Accertamenti pos. 14 14 64 8 100
Accertamenti neg. 0 0 2 0 2
Tot. aziende irr. (%) 100 100 96,9 100 98

Questa nuova tabella ci fornisce due indicazioni importanti: anzitutto, pone in evidenza l’interesse
che l’ente previdenziale ha nei confronti non solo della piccola, ma anche della grande impresa, in
quanto in grado di versare, in caso di irregolarità, una sanzione pecuniaria più elevata. Ciò deriva
dalle differenti finalità ispettive di Ispettorato e Inps: mentre il primo mira a scovare le irregolarità
inerenti al mero rapporto di lavoro, il secondo ambisce principalmente al recupero dei contributi
evasi. In secondo luogo, lancia un grido d’allarme sulla diffusa carenza di legalità nel mondo
imprenditoriale siracusano: non c’è praticamente ditta, tra quelle ispezionate, che non sia incorsa in
una qualche sanzione da parte dell’ente previdenziale nazionale.

Tab.13: Prospetto dei contributi evasi (in milioni di lire) per causa del lavoro nero (gennaio-

22
maggio 2001).

Omissioni accertate Aziende Totale


Grandi Medie Piccole Aziende
Personale non reg. 290 81 527 898
Fuori busta 77 98 40 215
Orario non denunc. 0 239 26 265
Trasfor. rapp. lavoro 0 0 73 73
Altro 0 1039 213 1252
Totale omissioni 367 1457 879 2703

Né si può dire che il fenomeno sia economicamente irrilevante: nei primi cinque mesi
dell’anno 2001, l’erario ha perso nella sola provincia aretusea quasi tre miliardi di contributi
previdenziali, di cui poco meno di un miliardo (898 milioni) per rapporti di lavoro non registrati. Un
dato che non compare in tabella è quello relativo alle aziende totalmente in nero: nel periodo in
esame ne sono state scovate cinque, conferma ulteriore di un fenomeno che non appare così marcato
nella nostra provincia.
Di fronte all’oggettività di questi numeri, possiamo provare a trarre delle prime conclusioni
soggettive sulla realtà ispettiva nel Siracusano: la più importante tra queste è che i controlli
appaiono discontinui per una molteplicità di carenze (in primis, di personale e mezzi) interne ai due
organi 50 . Se a ciò si aggiunge il mancato coordinamento tra i due enti, si comincia a comprendere
come la realtà possa essere quella di montagne di denuncie inattese.
Di fronte ad un deficit organizzativo del genere, è normale che vengano scelti determinati
settori produttivi su cui concentrare le poche risorse umane e finanziarie disponibili; come è
naturale che tale scelta ricada su quei comparti in cui l’irregolarità contributiva e fiscale implica
anche un rischio per la salute dei lavoratori irregolari. Ne consegue una maggiore attenzione verso
l’edilizia e l’indotto industriale, mentre più trascurati sono i settori dell’agricoltura, dei servizi (sia
alla famiglia che all’impresa) e del commercio, nonostante tutte e tre siano ad elevato rischio
“sommerso”.

8.2) Il lavoro nero in agricoltura


Come preannunciato, inizia qui un’analisi del lavoro irregolare allargata a categorie produttive
diverse dall’artigianato.
Cominciando dall’agricoltura, la forma prevalente di lavoro nero è quella della manodopera
extracomunitaria utilizzata nei campi per la raccolta degli ortaggi. Si tratta di manovalanza
proveniente in gran parte dall’area del Maghreb e dall’Albania ed impiegata in mansioni fortemente
labour intensive in cui non è richiesta alcuna competenza specifica se non quella della prestanza
fisica.
Il reclutamento avviene attraverso forme di caporalato che garantiscono, a chi li gestisce,
elevati margini di profitto, i quali si fondano però sullo sfruttamento di chi, essendo clandestino,
vive una condizione di perenne limitazione dei propri diritti. Tale sfruttamento si concretizza nella
presenza di rapporti di lavoro privi di alcun ingaggio, in retribuzioni inferiori a quelle previste per la
manodopera italiana 51 , nel mancato rispetto delle sei ore e quaranta minuti che costituiscono la
giornata ordinaria del bracciante ed in tante altre piccole irregolarità che aggravano una situazione
di per sé già difficile.
Una condizione lavorativa ardua è vissuta anche dalle donne, generalmente impiegate in
mansioni meno pesanti come la raccolta di agrumi ed olive, ma ugualmente sottopagate in base al
principio protocapitalista di una loro minore produttività rispetto agli uomini.
Naturalmente, non sempre la prestazione in nero fornita nei campi si configura come
sfruttamento; esistono anche situazioni di reciproca convenienza basate o sull’elevato grado di
professionalità richiesta dal datore al lavoratore o sulla percezione di un’indennità di

23
disoccupazione stagionale. Il primo è il caso del potatore, del giardiniere e di altre figure oramai
difficilmente reperibili sul mercato che vengono facilmente monopolizzate da pensionati con anni di
esperienza alle spalle che non hanno alcun interesse a regolarizzare la propria posizione in quanto,
formalmente, non potrebbero nemmeno esercitarla 52 .
La seconda è la situazione di chi, raggiunto il cinquantunesimo giorno d’attività annuale,
preferisce continuare a lavorare in nero in modo da sommare alla retribuzione percepita sottobanco
l’indennità concessa dallo Stato. A trarre beneficio da questa legislazione sono naturalmente anche i
datori che, versando i contributi per appena cinquantuno giorni, pagano uno stipendio complessivo
per la restante parte dell’anno nettamente inferiore a quello elargito nella prima.
Altra legge dietro cui si nasconde un enorme mole di evasione fiscale è quella del regime di
franchigia concesso a tutti gli imprenditori agricoli che non superano il volume d’affari di dieci
milioni annui. Anche in questo caso, è molto diffusa la pratica di chi, trovandosi sulla border line,
fa di tutto per non superarla al fine di evitare la benché minima imposizione fiscale.
Ultimo fenomeno tipico dell’agricoltura è quello della “doppia giornata”, particolarmente
diffusa nella stagione estiva quando il protrarsi della luce solare permette di lavorare fino alle ore
serali; si tratta di una pratica molto radicata nel territorio e che vede centinaia di braccianti agricoli
sobbarcarsi di giornate lavorative superiori persino alle dieci ore.

8.3) Il lavoro nero nel commercio


Altro settore in cui il lavoro nero assurge al ruolo di “convenzione sociale”53 è quello del
commercio, sia nel versante della piccola che in quello della grande distribuzione.
Qui, se possibile, le forme di irregolarità risultano ancor più variegate di quanto lo fossero
nel comparto agricolo; si va dalla commessa impiegata senza alcun ingaggio formale a quella che,
seppur con regolare contratto, percepisce una busta paga inferiore a quella dichiarata, dalle
dimissioni in bianco cui qualche volte vengono costretti i neoassunti al mancato pagamento degli
straordinari o alla mancata concessione del riposo infrasettimanale.
Entrando nel dettaglio, le irregolarità legate allo straordinario – che variano dall’essere
pagato come ordinario al non essere pagato affatto (specie se di limitata estensione temporale) –
riguardano soprattutto i centri della media e grande distribuzione, dove forme contrattuali come i
Pip (Piani di inserimento professionale) ed i part-time vengono svuotati delle loro peculiarità e
trattati alla stregua di un normale contratto a tempo indeterminato. Ciò significa che chi dovrebbe
lavorare mezza giornata, svolge di fatto una giornata intera, senza che a tali quotidiani straordinari
corrisponda un adeguato innalzamento di retribuzione 54 . Questo accade per una duplicità di fattori:
anzitutto, l’elevata dimensione e confusione di supermercati e centri commerciali permette di
camuffare più facilmente tali irregolarità 55 . In secondo luogo, la precarietà di queste modalità
contrattuali induce chi ne è titolare ad accettare una situazione di oggettivo sfruttamento nel timore
che un eventuale protesta possa spingere il datore a non confermare l’ingaggio.
Oltretutto, in una piccola realtà quale quella siracusana, passare per un “ribelle” rischia di
compromettere seriamente il futuro lavorativo di chi opera nel settore del commercio ed è
generalmente in possesso di competenze non troppo specifiche: infatti, sono quasi sempre dei
giovani diplomati a lavorare come commesse, banconisti o camerieri negli esercizi commerciali. In
questi ambiti, la manodopera extracomunitaria è ancora poco impiegata e, laddove lo è, svolge
mansioni da retrobottega (lavapiatti, magazziniere, ecc.), lascito di un vecchio pregiudizio per il
quale impiegare personale di colore in ruoli dove è necessario rispettare precise norme igieniche
può allontanare la potenziale clientela.
Giovani poco qualificati ed extracomunitari sono, comunque, accomunati dalla bassissima
paga, che proprio nel commercio tocca i picchi di maggior differenza salariale rispetto a chi svolge
la medesima professione in regola. Così, mentre ad una commessa regolare – in base al proprio
Ccnl (Contratto collettivo nazionale del lavoro) – spettano mensilmente quasi due milioni di lire,
una irregolare non raggiunge mai il milione, con punte negative di 700/800 mila lire.

24
E non si tratta nemmeno del caso più grave; vi sono camerieri – specie di gelaterie e
pasticcerie – la cui paga consiste in una base giornaliera di circa diecimila lire, alla quale viene
aggiunta una percentuale fissa (generalmente pari all’8-10%) da detrarre sullo scontrino pagato da
ogni tavolo servito. Ne deriva che la retribuzione quotidiana varia sensibilmente al mutare non solo
del giorno (feriale o festivo) e dell’orario (mattutino o serale) lavorativo effettuato, ma anche dello
stesso volume d’affari gestito dall’esercizio in cui si lavora 56 .
Un discorso a parte lo merita la cosiddetta industria del divertimento: data la stagionalità di
gran parte del settore, l’occupazione è quasi tutta irregolare ed è sufficiente pagare cinquantamila
lire nette per serata (ma si lavora sempre per almeno otto ore) ad un giovane studente o inoccupato57
per avere non solo una squadra completa di camerieri, baristi e quant’altro, ma anche una sorta di
esercito industriale di riserva pronto a sostituire l’eventuale malato, licenziato o fuoriuscito.
Questa serie di casi concreti mostra come il lavoro irregolare nel commercio si posizioni più
sul versante dello sfruttamento che su quello della reciproca convenienza, indipendentemente
dall’avere a che fare con la piccola o con la grande distribuzione, sebbene solo su quest’ultima pesi
la stragrande maggioranza delle vertenze.
Esistono supermercati cittadini con decine di procedimenti pendenti e che, tuttavia,
continuano ad esercitare “regolarmente” l’attività sia per la lentezza della giustizia del lavo ro, sia
per l’esiguità dell’eventuale sanzione da pagare. Se poi si considera che in tali sedi si fa largo uso di
agevolazioni occupazionali quali i Pip ed i Cfl, al danno può considerarsi aggiunta la beffa.
Viceversa, nel piccolo negozio, l’ipotesi di una vertenza del lavoratore nei confronti del datore
risulta più remota per il rapporto personale che si instaura tra i due.
Infine, un cenno lo merita anche la dibattuta questione dell’apertura domenicale. Qualunque
sia l’opinione dei policy makers in proposito, va comunque cancellata a priori l’ipocrisia che questa
misura sia in grado di favorire l’insorgere di occupazione aggiuntiva. Il turno domenicale,
perlomeno nel caso concreto di Siracusa, è infatti svolto dalle stesse persone impiegate nel corso
della settimana, con l’aggravante di essere prestato in nero anche da chi, per i giorni feriali, ha un
contratto regolarmente registrato. A ciò si aggiunga che, seppur festiva, la giornata viene spesso
pagata quanto una feriale; ma questa, in fondo, è una di quelle piccole irregolarità (lavoro grigio)
che di fronte ai ben più gravi casi di lavoro nero – predominanti nel settore del commercio –
perdono gran parte della loro vis polemica.

8.4) Il lavoro nero nei servizi


Speculare al commercio è il settore dei servizi, poiché qui il lavoro nero si basa quasi
sempre su una specifica richiesta del lavoratore.
Un esempio è dato, ancora una volta, dai servizi domestici. Qui, non è solo la comunità
cingalese a svolgere di proposito la professione in nero, ma anche le poche lavoratrici italiane 58
preferiscono non formalizzare l’ingaggio sia perché alla paga oraria di ottomila lire stabilita dal
proprio Ccnl fa da contraltare quella di dodicimila determinata dal naturale incontro tra la domanda
e l’offerta di questo specifico mercato, sia perché, provenendo dalle classi sociali meno abbienti,
con un ingaggio regolare i soggetti coinvolti dovrebbero probabilmente rinunciare alle indennità di
disoccupazione e alle agevolazioni sugli alloggi di cui spesso sono beneficiari. Quel che è più
grave, però, è che a questa abitudine se ne accompagna un’altra ancor più discutibile. Non di rado
accade, infatti, che dopo aver esplicitamente richiesto un rapporto lavorativo informale, nel
momento in cui questo va in crisi siano le stesse domestiche ad agitare nei confronti delle famiglie –
soggetto datoriale dello scambio – la minaccia di un ricorso ai sindacati per denunciare la mancata
formalizzazione dell’ingaggio; ciò, con l’evidente scopo di massimizzare il profitto ricavabile da un
rapporto che loro per prime non avevano voluto formalizzare.
Se la convenienza alla prestazione irregolare si annida già nelle mansioni di basso profilo, a
maggior ragione ciò accade in quelle in cui è necessario un livello di professionalità più elevato.
Restando nel campo dei servizi alla famiglia, un caso molto diffuso è quello delle riparazioni agli
impianti (luce, acqua, gas, ecc.) dei privati, che vengono in gran parte gestiti da pensionati,

25
cassaintegrati e doppiolavoristi che integrano in tal modo la loro prima fonte di reddito. Stessa
situazione si verifica per alcune attività professionali: in particolare, frequente è il ricorso a
personale esterno privo di alcuna partita iva allorquando non sono presenti nell’organico della ditta
figure con le skills richieste dal momento.
Riassumendo, il lavoro irregolare nel vasto campo del terziario varia asseconda che si abbia
a che fare con il comparto commerciale o con quello dei servizi: mentre nel primo a prevalere sono
le forme di sfruttamento, nel secondo predominano le situazioni in cui a non voler formalizzare il
rapporto è lo stesso lavoratore.

9) Un breve riepilogo: soggetti coinvolti e fattori di diffusione del lavoro nero


Dall’analisi fin qui svolta, possono già desumersi le figure principalmente coinvolte dal fenomeno
del lavoro irregolare a Siracusa.
Un ruolo decisivo lo svolgono anzitutto i giovani in cerca di prima occupazione, ovvero
ragazzi e ragazze – la maggior parte dei quali diplomati – che non hanno finora mai avuto
un’occupazione regolare e che vengono utilizzati soprattutto nei differenti comparti del terziario:
gran parte di loro trova impiego nel commercio e nella ristorazione, mentre un ruolo minore è
esercitato dall’artigianato e dalle attività di consulenza (soprattutto, informatica e ragionieristica).
Nella media dei casi, questa categoria può considerarsi una delle più deboli (insieme a quella
degli extracomunitari) tra quelle presenti sul mercato del lavoro irregolare, non solo perché
professionalmente poco qualificata, ma anche perché “giovane”. Proprio l’età costituisce infatti un
diffuso pretesto per pagare meno i lavoratori in nero, quasi che a vent’anni non si avesse bisogno di
un salario pieno perché non ancora fuoriusciti dal nucleo familiare di nascita; mentre non ci si
accorge (o si finge di non accorgersi) che è propria la mancanza di indipendenza economica a
protrarre la permanenza dei giovani meridionali all’interno della famiglia di provenienza.
In una graduatoria stilata per consistenza numerica, seguono ai giovani in cerca di prima
occupazione tutti quei soggetti per cui il lavoro nero è solo una seconda fonte di reddito rispetto ad
una prima regolare (disoccupati che percepiscono un assegno sociale, doppiolavoristi, pensionati,
cassaintegrati, ecc.). L’area principale in cui essi agiscono è quella dell’artigianato, senza tuttavia
tralasciare l’industria e l’agricoltura, dove svolgono mansioni connotate da un elevato grado di
professionalità. Le specifiche competenze di cui sono in possesso, nonché il “lusso” di poter
considerare il lavoro nero come una seconda fonte di guadagno rispetto ad una prima principale,
rendono doppiolavoristi, pensionati e cassaintegrati i “soggetti forti” del mercato del lavoro
irregolare, quelli che, per intenderci, più che subire, dettano le condizioni economiche della loro
prestazione lavorativa.
Opposta alla posizione di questi ultimi è quella degli extracomunitari, impiegati in mansioni
labour intensive quali quelle sui campi (raccolta e semina) e nei ristoranti (lavapiatti e facchini) o in
altre meno faticanti come le pulizie domestiche ed il commercio ambulante. Schematizzando la
realtà, il primo genere di lavori è prerogativa di maghrebini, senegalesi ed albanesi, mentre tra i
secondi prevalgono cingalesi e cinesi.
Chiudono questa rassegna la categoria dei familiari e quella delle donne: i primi li
incontriamo in tutti i settori produttivi dell’artigianato, mentre le seconde variano dallo stesso
artigianato svolto a domicilio (sarte, parrucchiere, estetiste, ecc.) ai lavori agricoli ritenuti meno
pesanti (raccolta di olive e agrumi, in primis), passando per il settore dei servizi alla persona
(assistenza a bimbi ed anziani) e alla casa (pulizie domestiche).
Per quanto concerne i fattori che consentono lo sviluppo del lavoro irregolare a Siracusa, un
primo può essere definito di “sopravvivenza” ed è proprio di chi dispone di un capitale economico-
professionale molto basso e conduce un’attività economica di tipo marginale.
Un secondo fattore è legato al sistema degli appalti, cui si deve gran parte del lavoro nero
nell’edilizia; per limitarne l’incisività potrebbe rivelarsi utile una nuova regolamentazione capace di
responsabilizzare maggiormente la ditta appaltante riguardo le complessive condizioni salariali e di
sicurezza predisposte dalle ditte subappaltatrici. Se l’attuale sistema non dovesse subire variazioni,

26
sarà invece inevitabile il protrarsi del fenomeno della “corsa al ribasso”, origine di tutti i mali in
questo specifico comparto.
Un terzo fattore riguarda gli extracomunitari, che considerano il lavoro nero come una scelta
razionale o obbligata asseconda che siano con o senza permesso di soggiorno e che intendano o
meno fermarsi definitivamente nel nostro Paese.
Un ruolo importante è svolto anche dai giovani, che con la loro voglia (o bisogno) di
indipendenza economica contribuiscono alla diffusione del lavoro nero, specie nel commercio e
nella ristorazione.
Chiudiamo, infine, con i due fattori più citati da sindacalisti ed imprenditori: la rigidità del
mercato del lavoro ed una latente cultura dell’illegalità propria della piccola imprenditoria
meridionale. A proposito del primo, gli interpellati hanno lamentato l’elevato costo indiretto del
lavoro dipendente e la vischiosità dei processi di entrata ed uscita dal mercato del lavoro,
auspicando una maggior flessibilità delle norme relative ad assunzioni e licenziamenti59 . Ciò che
sorprende è che la rigidità del mercato del lavoro non è percepita solo dagli esponenti delle
organizzazioni datoriali, ma anche dai membri di importanti sindacati confederali. Questi ultimi
vivono una sorta di conflitto interiore perché se da un lato vengono influenzati da quel senso
comune che considera come ormai inevitabile una maggiore flessibilità del mercato del lavoro 60 ,
dall’altro sono consci che ciò potrebbe significare una rinuncia non solo alle conquiste sindacali
ottenute con le lotte degli anni ’70 61 , ma anche alla capacità di rappresentanza del sindacato stesso;
è opinione diffusa, infatti, che mansioni itineranti, non continuative, ostacolino la formazione di una
coscienza comune tra i lavoratori con conseguente danno – anzitutto in termini di iscritti – per le
organizzazioni che mirano a rappresentarli 62 . Ne deriva la convinzione ormai diffusa che il futuro
del sindacato risieda più nella fornitura di servizi che nella tutela di interessi di parte.
Last but not least, un vero e proprio ritardo culturale spinge piccoli commercianti ed
artigiani a considerare il lavoro nero come un metodo veloce per la ricerca di personale, in quanto
capace di superare le noie burocratiche che la regolarizzazione di un assunzione richiede.

10) Conclusioni
Alla luce di quanto detto, è possibile giungere ad una sentenza definitiva sul fenomeno del
sommerso e del lavoro nero nel Siracusano?
E’ evidente che una qualsiasi risposta richieda di per sé una semplificazione della realtà;
tuttavia, una volta giunti alla conclusione, essa non solo è possibile, ma è persino auspicabile,
considerata la pretesa di questo studio di rientrare nell’ambito della sociologia, disciplina che ha tra
i principali strumenti di conoscenza l’idealtipo weberiano, il quale altro non è che una
semplificazione, una estremizzazione dei caratteri riscontrati nella realtà sociale.
Constatata quest’esigenza, l’estremizzazione che si può dare del lavoro irregolare a Siracusa
è che, contrariamente a realtà settentrionali quali Milano ed il suo hinterland 63 , le forme di
sfruttamento e di lavoro propriamente in nero (ovvero privo di una qualsiasi formalizzazione del
rapporto) prevalgono su quelle di reciproca convenienza e di lavoro grigio, le quali comprendono
tutte le irregolarità legate ai contributi (pensionati che continuano a lavorare, straordinari fuori
busta, ecc.) ed alla rispondenza tra la forma contrattuale adottata e il tipo di prestazione eseguita
(pseudoartigiani, fittizi collaboratori coordinati e continuativi, falsi soci di cooperativa, ecc.).
Il caporalato e lo sfruttamento degli immigrati nell’agricoltura, la totale assenza di
inquadramento e le buste paghe dimezzate (nel senso matematico del termine) nella piccola e
grande distribuzione, il regolare sfruttamento dei giovani costretti a vendersi sul mercato del lavoro
per appena un milione di lire mensili, sono pratiche certamente sconosciute in gran parte del Paese,
ma con le quali a Siracusa bisogna ancora fare i conti. Come bisogna fare i conti con una latente
cultura che non distingue tra oppressi e oppressori, tra chi sopravvive svolgendo lavoretti saltuari e
chi “ingaggia” un padre di famiglia o un giovane in cerca di prima occupazione offrendogli un
salario in nero da fame. Tanto, alla fine, l’importante è campare!

27
Il più grande ostacolo allo sviluppo economico del Siracusano è allora proprio la pervasiva
presenza di una mentalità di sopravvivenza: fondamentale, da noi, non è tanto crescere quanto
sopravvivere e, a volte, che gli altri non crescano 64 . Va forse cercata in questa atavica mentalità
involutiva la spiegazione della totale assenza nella provincia aretusea di una seppur minima
vocazione distrettuale 65 : con la crisi della grande industria di base si è, infatti, persa per sempre
l’opportunità di dar vita ad un fiorente distretto dedito alla lavorazione dei prodotti del petrolio;
d’altra parte, l’avvento della stessa industria statale aveva a suo tempo provveduto a cancellare le
diverse forme di artigianato tradizionale.
La naturale conclusione è che oggi si vive in una situazione di estremo disagio economico,
con tassi di disoccupazione elevatissimi, specie tra i più giovani. E’ su questo terreno che fiorisce il
sommerso ed il lavoro nero siracusano, un terreno molto diverso da quello dei distretti del centro-
nord e persino di una realtà pur sempre meridionale quale quella napoletana 66 .
Appare evidente che, in un simile contesto, non può essere abbracciata la tesi del sommerso
di sviluppo elaborata da Capecchi con riferimento all’Emilia Romagna e da più parti ripresa per
spiegare realtà locali anche differenti67 . A Siracusa, gran parte del sommerso resta saldamente
vincolato a condizioni di disagio: nelle forme di autoimpiego artigiano, ad esempio, i soggetti
principalmente coinvolti sono giovani privi dei requisiti (formali e sostanziali) necessari per
intraprendere un’attività regolare, adulti con un capitale economico e culturale talmente basso da
vedersi precluso l’accesso al mondo della produzione regolare, nonché disoccupati di lunga durata
che, stanchi di aspettare un impiego, si improvvisano lavoratori autonomi. Per spiegare con una sola
parola questa categoria produttiva si è coniato il termine di “artigianato di sopravvivenza”.
Ma anche nell’ambito del lavoro dipendente i casi di sfruttamento sono apparsi maggioritari
su quelli di reciproca convenienza (limitati alle figure dei pensionati e di chi percepisce
un’indennità statale), specie in settori come quello agricolo e commerciale.
Del procrastinarsi dell’esistenza di tali situazioni di disagio, le politiche per l’emersione non
potranno non tener conto se vorranno incidere non solo sui conti dello Stato, ma anche sul
benessere della popolazione. Si intuisce, allora, come l’intima speranza che accompagna queste
ultime righe è che anche questa ricerca, pur nel suo piccolo, possa contribuire al raggiungimento di
un obiettivo ormai istituzionalmente condiviso qual è l’emersione; d’altronde, anche da fonti
autorevoli 68 , è ripetutamente venuto un incoraggiamento agli studi territoriali come indispensabile
premessa per l’attuazione di politiche per l’emersione di successo.

1
Il presente articolo è una sintesi (con alcune modifiche) della tesi di laurea dal titolo “Irregolarità, sommerso e lavoro
nero tra le imprese artigiane del Siracusano”, discussa l’11 dicembre 2001 presso la Facoltà di Sociologia
dell’Università “La Sapienza” di Roma, relatore il Prof. Paolo Calza Bini, correlatore il Prof. Roberto Cavarra.
2
A contendersi la maglia nera nella speciale classifica dell’occupazione europea sono Italia e Spagna, mentre tra i paesi
più virtuosi troviamo Austria, Germania, Danimarca e Olanda.
3
Istat, I conti degli italiani. Edizione 2001, Il Mulino, Bologna 2001.
4
Schneider F., The size and development of the Shadow Economies and Shadow Economy labor force of 21 OECD
countries: what do we really know?, intervento dattiloscritto, “The shadow economy empirical evidences and new
policy issue at European level”, Ragusa, settembre 2001.
5
Capua P., Svimez: al Sud vince il sommerso, in “La Repubblica”, p. 36, 18 luglio 2000.
6
Per il concetto di “Terza Italia” si veda: Bagnasco A., Le Tre Italie. La problematica territoriale nello sviluppo
economico, Il Mulino, Bologna 1977.
7
Questa varietà di argomenti non ha potuto non riflettersi sulla metodologia di lavoro, che è risultata una miscellanea di
diversi metodi: finché oggetto della ricerca sono state delle imprese regolari, è stato possibile adottare un
campionamento di tipo stratificato. Successivamente, invece, è stato inevitabile affidarsi a metodi qualitativi quali
interviste e questionari semi-strutturati.
8
Per un esame completo della 443/85, si rimanda al suo testo integrale, presente in un qualsiasi codice civile.
9
Gli anglosassoni sono soliti distinguere tra firm (l’impresa con dipendenti) e self-employment (l’impresa che poggia
sulle sole spalle del titolare). Si tratta di un’intelligente distinzione – poiché sottintende due modelli di produzione
completamente diversi – che stenta a prendere piede nella tradizione culturale continentale.
10
I 21 comuni della provincia siracusana sono stati così suddivisi: 1) Capoluogo (Siracusa). 2) Zona industriale
(Augusta, Priolo, Melilli). 3) Comuni limitrofi (Floridia, Solarino). 4) Zona montana (Palazzolo, Canicattini, Buccheri,

28
Buscemi, Cassaro, Ferla). 5) Zona agraria (Francofonte, Lentini, Carlentini, Pachino, Rosolini). 6) Comuni litoranei
(Noto, Avola, Portopalo).
11
Si rimanda alla nota 9 per la distinzione tra autoimpiego ed imprenditore.
12
Per queste posizioni si vedano: Balloni V., Le piccole e medie imprese in Italia: dove nascono, perché nascono e
come crescono; in “L’industria”, anno XXI, n.2, Il Mulino, Bologna 2000, e, nello stesso volume: Sarno D.,
Profittabilità e crescita nelle imprese del Mezzogiorno, in “L’industria”, anno XXI, n.2, Il Mulino, Bologna 2000.
13
Solinas G., I processi di formazione, la crescita e la sopravvivenza delle piccole imprese, Angeli, Milano 1996.
14
Mentre per formare una cooperativa vi devono essere almeno nove soci, la piccola cooperativa ne prevede da un
minimo di tre ad un massimo di otto.
15
Il termine “addetti” include sia i lavoratori dipendenti che gli indipendenti, soci del titolare.
16
Qui, per ragioni di sintesi, si riportano solo i risultati relativi alla piena coincidenza tra l’attività dichiarata e quella
realmente svolta.
17
La legge prevede che 2/3 dei componenti (quindici in tutto) della Commissione siano titolari di aziende artigiane
operanti nella provincia da almeno tre anni, mentre nel restante terzo dovrà essere garantita la rappresentanza delle
organizzazioni sindacali più rappresentative dei lavoratori dipendenti, dell’Inps, dell’Ufficio provinciale del lavoro e di
esperti in materia.
18
In ordine d’importanza nazionale: Confartigianato, CNA, CASArtigiani, CLAAI.
19
Cfr. Dallago B., L’economia irregolare. Economia sommersa e mercato irregolare in sistemi economici differenti, p.
20, Angeli, Milano 1988.
20
Si veda Bologna S., Dieci tesi per la definizione di uno statuto del lavoro autonomo, in Bologna S., Fumagalli A.,
(a.c.d.) “Il lavoro autonomo di seconda generazione”, pp. 13-42, Feltrinelli, Milano 1997.
21
Si veda Istat, I conti degli italiani. Edizione 2001, Il Mulino, Bologna 2001.
22
Si veda Bronzini G., Postfordismo e garanzie: il lavoro autonomo, in Bologna S., Fumagalli A., (a.c.d.), op. cit., pp.
319-42, Feltrinelli, Milano 1997.
23
Si veda Bologna S., op. cit., 1997.
24
Trarre da questo dato conclusioni negative (per altri versi fondate) sul grado raggiunto a Siracusa dal processo di
femminilizzazione del lavoro sarebbe però affrettato: le attività in questione sono, infatti, tradizionalmente maschili (si
pensi al meccanico o al carrozziere).
25
Sulla distinzione tra piccola e grande impresa si veda il classico: Steindl J., Piccola e grande impresa. Problemi
economici della dimensione dell’impresa, Angeli, Milano 1991.
26
Oggi, grazie alla normativa UE, ciò non è più possibile: almeno il 25% del capitale investito dev’essere, infatti, di
provenienza privata.
27
Si vedano gli annuali registri di Movimprese.
28
A parziale giustificazione degli elevati tassi di interesse praticati dalle banche, vi è la continua crescita del valore
delle “sofferenze bancarie”, ovvero dei prestiti non rientrati. Questa crescita provoca l’abbassamento del margine tra
“impieghi” e “sofferenze”, il cui rapporto orienta il tasso d’interesse applicato dalla banca.
29
Un ruolo sempre più importante nella copertura delle garanzie per il prestito è oggi ricoperto dai Consorzi Fidi.
30
La 3/86 – non più in vigore dal gennaio 2001, in quanto sostituita dalle più selettive 32/2000 e 6/2001 – ha
rappresentato un classico esempio di finanziamento a pioggia: se da un lato ha permesso a qualche imprenditore di
mettere a segno il proprio progetto vincente, dall’altro ha favorito la nascita di imprese prive di alcuna pianificazione,
che nascevano sull’onda del facile accesso ai finanziamenti regionali e che spesso chiudevano nel volgere di qualche
anno. Il saldo fatto registrare da questa legge è quindi in rosso: non solo perché a fronte di pochi successi vi è stata un
enorme mole di fallimenti, ma in quanto ha pesato enormemente sulle già provate casse della Regione siciliana.
31
Tra le agevolazioni che indirettamente giocano un ruolo pro-emersione citiamo il credito di imposta (art.7, legge
finanziaria 2001), la 56/87 per gli apprendisti, la 407/90 per i Contratti Formazione Lavoro, il Prestito d’onore, ecc.
32
Il fenomeno dei cosiddetti pseudoartigiani è certamente più diffuso nel nord-est del Paese, anche se coinvolge
prevalentemente emigrati meridionali.
33
Per la cronaca di queste due vicende si vedano gli articoli di Leone Zingales sul quotidiano “La Sicilia” del giugno
2001.
34
Si veda Barbieri P., Fullin G. (a.c.d.), L’economia sommersa ed il lavoro irregolare a Milano, Dipartimento di
Sociologia e Ricerca Sociale, Milano 2000 (dossier non pubblicato).
35
Per definizione, il lavoro domestico consiste nella cura dei figli, il lavoro extradomestico è quello che viene
remunerato, indipendentemente dal luogo in cui viene esercitato.
36
Qui presentiamo solo i paragrafi relativi al sommerso nell’artigianato dei servizi ed in quello edile. La versione
integrale di questo lavoro include pure un paragrafo sul sommerso nell’agroalimentare.
37
Si veda Solinas G., op. cit., 1996.
38
L’art.2 della 433/85 sentenzia che “L’imprenditore artigiano, nell’esercizio di particolari attività che richiedono una
peculiare preparazione ed implicano responsabilità a tutela e garanzia degli utenti, deve essere in possesso dei requisiti
tecnico-professionali previsti dalle leggi statali”. E’ proprio il caso di attività come quella dei parrucchieri, degli
estetisti, degli autoriparatori (meccanici, carrozzieri, gommisti ed elettrauti), delle imprese di pulizia e di altre ancora.

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L’accertamento di queste condizioni spetta alla locale C.P.A., che rilascia l’idoneità professionale previa visione del
libretto di lavoro o di una documentazione sostitutiva. Sennonché, di frequente, le impiegate di un salone da taglio non
vengono ingaggiate regolarmente e, di conseguenza, non possono presentare alcun documento che testimoni le
competenze acquisite. Oppure, quando ingaggiate con la forma dell’apprendistato, si verifica il fenomeno per cui il
rapporto è interrotto a pochi mesi dallo scadere del periodo di tirocinio. Ne deriva un circolo vizioso che spinge anche
professionisti competenti verso il sommerso.
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Per ottenere la qualifica di autoriparatore bisogna aver lavorato per almeno tre anni, durante gli ultimi cinque, come
dipendente o collaboratore in un’impresa dello stesso settore (tale periodo viene ridotto ad un anno qualora l’interessato
abbia conseguito un titolo di studio professionale attinente alla professione), oppure bisogna aver frequentato uno
specifico corso regionale di qualificazione, seguito da almeno un anno di esercizio in un’impresa di autoriparazioni.
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L’attività di autoriparatore include quattro diverse professioni: meccanico, carrozziere, elettrauto e gommista.
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Quella cingalese è una comunità molto rispettata, sebbene poco integrata con la popolazione autoctona, sia per le
difficoltà linguistiche, sia perché, essendo in tanti, fanno gruppo a sé stante.
43
Si veda Cicconi I., I paradossi della produzione post-fordista nel comparto delle costruzioni, in Bologna S.,
Fumagalli A., (a.c.d.), op. cit., pp.299-317, 1997.
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A questo processo contribuiscono in maniera influente i cosiddetti pseudoartigiani, ovvero quei lavoratori costretti ad
iscriversi all’artigianato in modo da risultare indipendenti e non gravare a livello contributivo sulle spalle dell’impresa
assuntrice.
45
Negli anni settanta vi furono numerosi esperimenti, per mano del movimento cooperativo, tesi a contrastare il
processo di frantumazione del lavoro all’interno dei cantieri edili; l’idea di fondo era quella di dar vita ad un’impresa
organica come risposta al modello di impresa polverizzata che si andava affermando. Sin dagli anni ottanta, però,
furono chiare le difficoltà di reggere la concorrenza sul mercato per questo nostalgico modello di impresa, sicché anche
le “cooperative rosse” furono costrette a ricorrere alla pratica del subappalto (causa originaria del processo di
frantumazione dell’impresa, nonché del risparmio sui costi di produzione) ed a massicci processi di espulsione di forza-
lavoro.
46
Cfr. Meldolesi L., Elenco di misure, circolare interna, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 25 settembre 2001.
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Per ragioni di spazio, l’analisi del lavoro nero per settori viene qui limitata al primario e al terziario, escludendo dalla
sintesi il secondario nella duplice versione dell’edilizia (già trattata nelle pagine dedicate all’artigianato) e dell’industria
in senso stretto (poco interessante).
48
Si veda Istat, op. cit., 2001.
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Le ispezioni «su richiesta» rappresentano circa l’85% del totale delle ispezioni portate avanti dall’Ispettorato, mentre
quelle di «propria iniziativa» appena il 15%. Esiste, poi, un esiguo numero di ispezioni «su rivisita».
50
Alle carenze degli enti ispettivi, la Finanziaria 2001 ha tentato di porre rimedio con l’art.119, che prevede
l’assunzione di mille nuovi ispettori.
51
In agricoltura, un lavoratore extracomunitario in nero costa circa la metà di uno italiano; mentre il primo viene
mediamente pagato con circa 50.000 lire giornaliere, al secondo spetta una paga giornaliera che si aggira sulle 75.000
lire, a cui bisogna aggiungere le 25.000 che il datore deve versare come contributi.
52
La futura cumulabità tra pensioni e redditi da lavoro autonomo potrebbe, tuttavia, cambiare lo scenario.
53
Così il lavoro nero nel commercio è stato definito da un sindacalista del settore.
54
Si tratterebbe, in ogni caso, di un pagamento in nero in quanto queste forme contrattuali non prevedono la possibilità
di fare straordinari.
55
Uno dei modi con cui vengono camuffate le irregolarità contrattuali nella grande distribuzione è quello del part-time
spezzato tra mattina e pomeriggio, in quanto permette di giustificare la presenza del lavoratore sul luogo di lavoro in
qualsiasi momento della giornata, indipendentemente dalla forma contrattuale che ne prevede un impiego solo parziale.
56
Proprio in locali di questo genere, si annidano i residui casi di lavoro minorile nel commercio.
57
Con il termine inoccupato, s’intende chi si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro non avendo mai avuto
un’occupazione regolare.
58
Mentre, infatti, tra la comunità cingalese a svolgere le mansioni di colf sono sia gli uomini che le donne, tra la
popolazione autoctona questo genere di mansione è tradizionalmente di esclusiva pertinenza femminile; d’altronde, la
colf altro non è che l’esternalizzazione del più classico dei lavori domestici, quello della pulizia della casa.
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Bisogna, tuttavia, ricordare che alle piccole imprese con meno di quindici dipendenti non si applica il vincolo del
“licenziamento per giusta causa” cui invece sottostanno le imprese che superano tale soglia in base alla legge 300/70.
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Per un’analisi in contro tendenza sulla flessibilità del mercato del lavoro italiano si veda: Fumagalli A., Aspetti
dell’accumulazione flessibile in Italia, in Bologna S., Fumagalli A., (a.c.d.), op. cit., 1997.
61
E’ significativa, a tal proposito, la frase enunciata da una sindacalista della CISL: “Non si possono dimenticare le
grandi lotte sindacali, non si possono dimenticare i morti di Avola”. Per dovizia storica, ad Avola, nel dicembre del ’68,
vi furono violenti scontri tra la celere e i braccianti agricoli del luogo che rivendicavano aumenti salariali: il bilancio
finale fu tragico, con due morti (Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona) e diversi feriti.
62
Si noterà in questa tesi un certo background di stampo marxista. L’economista di Treviri sosteneva infatti che
affinché il proletariato prendesse coscienza di sé – trasformandosi da “classe in sé” a “classe per sé” – era necessaria la
condivisione di luoghi ed esperienze comuni che solo l’avvento della grande industria rendeva possibile; non è quindi

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casuale che la crisi di questa (quantomeno a livello occupazionale) coincida con un offuscamento dell’immagine della
classe lavoratrice, che perde la certezza di connotati da lei un tempo posseduti.
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Si veda Barbieri P., Fullin G., op. cit., 2000
64
Non è quindi un caso che un proverbio siracusano affermi: Sirausa terra amurusa, motta ri fame e pirucchiusa
(Siracusa, terra di amori, morta di fame e pidocchiosa).
65
Si veda Mangiafico M., Marchese M., Res Publica Siracusana. Storia politica della Città nell’Età repubblicana,
Edizioni d’Ortigia, Siracusa 2001.
66
Si veda AA.VV., Nel c.u.o.r.e. di Napoli: alla scoperta delle imprese sommerse, Comune di Napoli, settembre 1999.
67
Si veda Capecchi V., The informal economy and the development of flexible specialization in Emilia Romagna, in
Portes A., Castels M., Benton L., “ The informal economy”, J. Hopkins University Press, Baltimora1989.
68
Secondo Meldolesi, presidente del “Comitato Nazionale per l’Emersione del Lavoro Non Regolare”, uno dei compiti
delle costituende commissioni provinciali dovrebbe essere proprio lo studio socioeconomico del territorio.

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Por Sicilia 2000-2006
Asse III – Misura 3.11

“ PROEMERSIONE ”

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