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venne l'autunno e l'uva fu matura, la fece raccogliere e ne fece fare in gran f retta il vino.

Allora riemp di quel vino una coppa e, fatto chiamare il profeta, gli disse: - E ora sosterrai ancora che io non berr il vino della mia vigna? - Certo - rispose il profeta - non oserei neppure ora sostenere che tu ne berrai , perch dalla coppa alle labbra lo spazio cos lungo, che non escluso che possa cap itarti qualche malanno, In quel mentre, vennero ad avvertire il re che un cinghiale stava devastando la sua vigna. Anceo lasci l la coppa col vino, prese uno spiedo e si slanci contro l'a nimale, che per gli salt addosso e lo uccise. Cos la terribile profezia ebbe compim ento. (GUERARD, Dictionnaire d'anecdotes). ANCRE (Eleonora Dori, marescialla d') moglie di Conicno dei Conici, ministro di Maria dei Medici e maresciallo d'Ancre; fu giustiziata nel 1617 per accusa di stregoneria. 327. Stavano facendo il processo contro la marescialla d'Ancre per stregoneria. I giudici le domandarono di quali filtri si serviva per accattivarsi il cuore de lla regina Maria dei Medici. - Mi sono servita - rispose la marescialla - del potere che ogni donna intelligente ha sopra una sciocca. (TALLEMENT DES REAUX). ANDERSEN Giovanni Cristiano n. 1805 - m. 1875; scrittore danese, famoso specialmente per i suoi volumi di fi abe 328. Era figlio di un povero ciabattino che faceva quel mestiere senza passione: la sua passione era leggere e studiare. Perci le cose andavano male e la casa de l ciabattino era sempre pi povera. Ma, nei giorni che non lavorava (ed erano i pi) , il babbo prendeva con s il bambino e qualche libro, andava in campagna a cammin are tra prati e boschi e, quando padre e figlio erano stanchi, sedevano sotto un albero e il padre cominciava a leggere le favole di La Fontaine, commedie, poes ie, un po' di tutto, anche cose che il piccolo Andersen non poteva capire. Un brutto giorno il babbo mor. La vedova, dopo qualche tempo, si rimarit con un al tro ciabattino. Ed il povero Giovanni rimase abbandonato a s stesso. La sua passi one era il teatrino dei burattini. Metteva insieme da s le commediole, e scriveva i titoli delle commedie che avrebbe scritto un giorno qua ndo fosse grande. Gli altri ragazzi si prendevano gioco di lui e, quando lo vede vano andare per la strada, gli gridavano dietro: - Ecco lo scribacchino di commedie! - il povero Giovanni, che sentiva dentro di se di valere meglio di loro, scappav a a casa mortificato e piangente. (ANDERSEN, La novella della mia vita). 329. A Odensee, la piccola citt danese dove egli viveva, capit una compagnia comic a. Il piccolo, amico del bigliettario, ottenne di entrare ogni sera in teatro e di assistere allo spettacolo di tra le quinte. Si persuase cos sempre pi che la su a vera carriera era sul palcoscenico. E, quando la compagnia part, non trov altra consolazione che sognare di raggiungerla. Dagli attori, tra le quinte, aveva int eso parlare con grande rispetto di una ballerina, signora Schall: pens che dovess e essere una specie di potente fata benefica che avrebbe potuto aiutarlo a far f ortuna. Ma come arrivare alla signora? Si ricord che i comici stavano a pensione da un certo Iversen. Andersen si present a lui. Ma Iversen non aveva mai sentito nemmeno nominare la signora Schall. Il piccolo Giovanni (aveva allora appena tre dici anni) pianse, si disper, insistette: voleva che Iversen gli scrivesse una le ttera di presentazione per la famosa ballerina. - Ma come posso scriverle, se non la conosco? Giovanni non sentiva ragione, e aveva tanta fiducia nella lettera di presentazio ne di Iversen, che al bravo uomo manc il cuore di dargli un dispiacere. Cos Iverse n fece la lettera di presentazione per una ballerina che non aveva mai nemmeno i nteso nominare e chi sa poi se esisteva davvero. (ANDERSEN, La novella della mia vita). 330. Con questa lettera di presentazione, Andersen voleva andare a Copenaghen. B isognava persuadere adesso la mamma. Ma non ci volle molto. - Sai - le disse il ragazzo - si fa sempre cos, anche nei libri: prima si passa a ttraverso un mondo di guai, ma poi si diventa famosi.

La mamma, che era superstiziosa, volle interrogare una specie di strega, la qual e le disse che suo figlio sarebbe diventato un giorno famoso e che Odensee sareb be stata una volta illuminata a festa in suo onore. La buona donna non esit pi: fe ce un fagottino di panni pel suo Hans, gli diede tutto ci che aveva, "cio quindici talleri, e lo lasci partire per Copenaghen in cerca di fortuna e di gloria. (AND ERSEN, La novella della mia vita). 331. A Copenaghen, si present alla ballerina Schall con la lettera di Iversen. La danzatrice rest molto maravigliata di una raccomandazione che le giungeva da par te di un signore che non aveva mai sentito nominare. Andersen era un giovinetto lungo lungo, magro magro, vestito poveramente. Le disse di volersi dedicare al t eatro. - E che vorreste fare in teatro? - gli domand la bella donna. Allora Andersen, per dimostrare praticamente alla ballerina le sue disposizioni per il teatro, si tolse gli stivali, brand il cappellone e improvvis una danza cos grottesca che la povera signora scapp via spaventata, credendo di avere a che far e con un pazzo. (ANDERSEN, La novella della mia vita). 332. Il povero Andersen non sapeva pi che cosa fare, tanto pi che i quindici talle ri finirono presto e bisognava alloggiare e mangiare. A Odensee aveva sentito nominare un certo maestro di musica italiano, tal Sibon, come perso na di cuore. And a bussare alla sua porta. Proprio quel giorno il maestro aveva a casa alcuni artisti e letterati amici suoi. Chi era mai quel ragazzo e che cosa voleva? Il buon uomo lo fece entrare in salotto. Il ragazzo disse che voleva ap prendere la musica. Cant e poi declam alcune scene di un dramma che sapeva a memor ia. Alla fine, visto che non faceva molta impressione n sul maestro n sui suoi ami ci, scoppi in un pianto dirotto, cos accorato, che tutti s'impietosirono: fu una g ara fra gli astanti a chi aiutasse meglio il povero ragazzo. Il maestro promise d'insegnargli la musica. Gli altri pensarono a trovargli un alloggio e un pezzo di pane. Cos il piccolo Giovanni pot rimanere a Copenaghen. Siccome Andersen corri spondeva bene alle premure di questa brava gente, fu mandato a scuola, studi il l atino, ebbe pure il tempo di scrivere le sue care commedie. E appena ne finiva u na, la mandava al direttore del teatro Nazionale, il quale ogni volta la resping eva come non adatta alla scena. Ma egli non si scoraggiava. Sapeva che alla fine avrebbe vinto lui! (ANDERSEN, La novella della mia vita). 333. Giovinetto di diciotto anni, aveva scritto una tragedia, Alfsol. Ne era ent usiasta e se ne riprometteva grandi cose. Ma come farla conoscere? Si present a W ulff il traduttore danese di Shakespeare. - Voi avete tradotto Shakespeare? - disse il ragazzo entrando. - Ebbene, io pure ammiro molto Shakespeare. Ma ho scritto una tragedia anch'io. Vi prego di starl a a sentire, giacch ve ne intendete. E, senza aspettare risposta, gliela lesse tutta di un fiato. Poi, senza attender e il parere, se ne and. (ANDERSEN, Quaranta novelle). 334. Andersen era diventato celebre per le sue novelle. Celebre, ma non ricco. E per vivere doveva scrivere dalla mattina alla sera. Un giorno il re Cristiano v olle conoscerlo e sentir raccontar da lui stesso la sua storia di quando, povero figlio di un ciabattino, era arrivato a Copenaghen con quindici talleri. - E ora? - domand il re. - Ora sono felice. - Se posso esservi utile in qualche cosa, ditemelo senza complimenti. - Grazie, Maest, non saprei proprio che cosa domandare. - Il ministro, che aveva assistito a questo incredibile dialogo, gli disse, dopo, che il re avrebbe desid erato che egli esprimesse qualche desiderio. Andersen se ne stup. - Sar sembrato uno sciocco: ma non saprei davvero che cosa desiderare. (ANDERSEN, Quaranta novelle). 335. In uno dei suoi viaggi, s'era fermato a Leksand, in una piccola locanda. Un a bella piccina, nipote della padrona, era entrata nella sua camera. Andersen, s empre innamorato dei bambini, aveva preso un foglio di carta e, per divertire la bimba, ci aveva intagliata una moschea. La bambina era scappata via col suo tes oro. Pi tardi fu picchiato alla porta di Andersen. Era la padrona che comparve co n un piatto di panpepati.

- Io faccio - disse - i migliori panpepati di tutta la montagna, ma ho ancora le forme che usava mia nonna. Poi che ho visto, dal lavoretto fatto per la mia nip otina, che voi riuscite a far intagli di carta, non potreste farmi qualche forma nuova? E cos Andersen pass tutta la notte a tagliar fuori forme nuove e origlii nali di panpepati: mulini a vento, uomini con uno sportello aperto nella pancia, ecc. - Spero - diceva sorridendo Andersen - che rimarr immortale nella montagna svedes e almeno per le forme dei panpepati. (ANDERSEN, Quaranta novelle). 336. Era di un'insaziabile, se anche ingenua, ambizione. E, anche dopo i suoi tr ionfi, era sensibilissimo alle critiche anche leggere che si facessero delle sue opere. Un suo amico norvegese si trovava un giorno con lui in un caff di Copenag hen, quando si avvide che Andersen, il quale stava leggendo un giornale, s'era f atto pallido e il suo volto esprimeva una grande angoscia. Gli domand di che si t rattava, ed Andersen gli mostr il giornale che si permetteva qualche maligna allu sione al fisico di Andersen. - Come! E con la fama di cui godete, vi date pensiero di ci che pu' scrivere uno s conosciuto in un giornalaccio qualunque? - gli disse l'amico. - S, s, mi dispiace! - rispose Andersen e le lagrime colavano copiose intanto dai suoi occhi. - La mia anima si sente felice solo dinanzi all'ammirazione! Se anch e questa fosse generale, ma in mezzo ad essa ci fosse la disapprovazione di un u omo solo, e fosse pure il pi insignificante, io diverrei subito grandemente infel ice. (Revue, 1 luglio 1912). 337. Da giovane aveva sofferto una profonda umiliazione da un pastore protestant e, al quale era stato condotto dai parenti perch lo preparasse alla prima comunio ne. Sembrando al pastore che egli fosse troppo povero per meritare le sue cure, lo aveva messo nel gruppo dei ragazzi da istruirsi dal suo vicario. Andersen se l'era legata al dito. Trenta anni dopo, essendo stato invitato, nel 1844, dalla famiglia reale di Danimarca a passare qualche giorno con loro nell'isola di Forh , venne per caso a sapere che in quell'isola esercitava il suo ministero quello stesso pastore. Domand allora al re che volesse prestargli, per una visita, la ca rrozza reale col cocchiere e col lacch in livrea rossa, ed avendo il re gentilmen te acconsentito, si fece recare con quell'equipaggio a casa del pastore, lascian do per circa un'ora, che tanto dur la visita, carrozza e servitori davanti la por ta di casa. - Questa fu la mia vendetta! - esclamava con manifesta compiacenza lo scrittore. (Revue, 1 luglio 1912). 338. A Copenaghen si trovava allora Giorgio Brandes, il critico illustre, che pe r non era ancora noto quanto oggi, e anzi era alle prime armi. Andersen gli era d iventato amico e andava spesso a trovarlo in una cameretta estremamente piccola che il Brandes abitava a un sesto piano. Appena entrato, Andersen andava a veder e se la finestra era ben chiusa, perch temeva esageratamente le correnti d'aria, poi sedeva in una comodissima poltrona e tirava fuori dalla tasca un manoscritto . Prima di cominciare a leggere, spiegava in un'introduzione che cosa gli leggev a, le intenzioni che aveva avute nello scrivere quelle pagine e finalmente, per predisporre favorevolmente l'uditore, avvertiva: - Badate che ho letto queste stesse pagine ad altri, anzi a personaggi molto int elligenti ed importanti, e tutti ne sono restati incantati. Poi leggeva, gesticolando e non trascurando nessun effetto, come se aspettasse l 'applauso di un intero teatro. Finita la tettura, al Brandes non restava altro c he seguire l'esempio dei predecessori. (Revue, 1 luglio 1912). 339. Qualche tempo dopo la pubblicazione dei Pretendenti alla corona di Ibsen, A ndersen si trovava in una conversazione e sedeva accanto a una giovane e bella s ignora, la quale ebbe l'imprudenza di chiedergli la sua opinione su Ibsen, allor a quasi sconosciuto. Non l'avesse mai fatto! Andersen, gi celebre, ebbe una punta d'invidia di quello scrittore che cominciava appena a rivelarsi e rispose, mani festamente irritato: - Signora, avete mai sentito parlare di uno scrittore danese che si chiama Hans Cristiano Andersen? (Revue, 1 luglio 1912).

340. Andersen appena arrivato a Roma, di sera, and subito in una trattoria freque ntata da artisti e scrittori tedeschi e scandinavi. Entrato nel locale e present atosi alla compagnia che lo conosceva appena di nome, si mise a mangiare, ma a u n tratto trasse di tasca un libro e propose ai nuovi amici di leggere. solo una sua favola dal titolo: Il brutto anatroccolo.. I presenti, pi desiderosi di conve rsare che di ascoltar favole, gli risposero: - Ma non sarebbe meglio andar a vedere il Colosseo, o il Foro, o San Pietro? Arr ivate ora a Roma e non avete ancora veduto nulla. Ma Andersen riprese: - Oh, no! Io preferisco mille volte leggere Il brutto anatroccolo! (The Contempo rary Review, maggio 1905). 341. Non curava troppo i guadagni letterari, ma teneva molto alla fama, o meglio a essere apprezzato e lodato da tutti. - - Soltanto nell'ammirazione tributatami, l'anima mia pu trovar la felicit - dice va con ingenua franchezza. Un giorno, incontrando il suo amico Giorgio Brandes in una via principale di Cop enaghen, attravers la strada, non ostante il traffico intenso, unicamente per dir gli: - Hai sentito che mi si apprezza e mi si traduce persino in Portogallo? Di questa sua smania di lode gli amici sorridevano benevolmente, ma i nemici si facevano beffe. Per difenderlo da un critico acerbo, il suo amico Brandes disse: - In fin dei conti Andersen non se non un bambino! - S - rispose mordace il critico; ma sarebbe ora di divezzarlo! (The Contemporary Review, maggio 1905). ANDRASSY Giulio n. 1823 - m. 1890; patriota ed uomo politico ungherese. 342.- Il matrimonio di suo padre Carlo con la contessa Etelka Szapary avvenne in un modo strano. Carlo Andrassy apparteneva alla piccola nobilt ungherese, ma era quasi spiantato. Essendo andato a Mad per il famoso ballo che vi si faceva tutt i gli anni in occasione della vendemmia del Toccai, si trov in albergo con la con tessa Szapary; vedova, con la figlia. Questa era bellissima, ma il giovane Carlo non osava certo farle la corte, essendo la signorina una delle pi ricche erediti ere dell'Ungheria. Quando una sera, qualche giorno dopo il ballo, il conte si di sponeva a partire e stava alla finestra ad attendere la carrozza, sent dalla fine stra che era sotto alla sua una voce di donna anziana domandare: - Di tutti gli intervenuti al ballo, qual il giovane che t' piaciuto di pi? Una voce graziosa di ragazza rispose: - Il conte Andrassy. - E se ti chiedesse in moglie? - Risponderei di s. Andrassy s'inform: sotto la sua finestra c'era quella delle Szapary. Il giovane n on part pi; e il matrimonio fu combinato. (Nuova Antologia, 1890). 343. Il matrimonio di suo padre Carlo con la signorina Szapary fu per andare a m onte. La madre della ragazza era taccagna. Un giorno che essa passeggiava con la figlia e col conte Andrassy, costui colse da un albero una prugna e la butt via. Di che la contessa madre si scandalizz. - Chi coglie - disse - una prugna per mangiarla pu essere economo; ma chi la cogl ie per buttarla via un dissipatore. Io non dar mai mia figlia a un dissipatore si mile. E ci volle del bello e del buono per rappacificarla. (Nuova Antologia, 1890). 344. Il conte Giulio Andrassy impar il tedesco, il francese e l'inglese dalle gov ernanti. Ma non voleva studiare le altre materie. Fu mandato al ginnasio. Se non che un bel giorno, avendo avuto un castigo che a suo parere era ingiusto, scapp dalla classe. Il professore gli corse dietro; e via tutt'e due per i campi. Pi co rreva il professore, e pi correva il ragazzo. Alla fine, disperando di raggiunger lo, il professore cominci a pregarlo con dolcezza perch si fermasse. - Se volete che io mi fermi - rispose il piccolo - fermatevi anche voi. Il profe ssore si ferm. Allora il ragazzo parlament: - Giuratemi che non m'infliggerete pi alcun castigo. Il professore giur. E solo allora Andrassy si decise a tornare indietro. (Nuova A

ntologia, 1800). O 345. Se non studiava, aveva per ingegno vivissimo e grande facolt assimilatrice. All'Universit ebbe a compagno Emerico Madac, che divenne poi uno dei maggiori po eti ungheresi. Disputavano molto insieme, e Andrassy, che aveva pronta l'arguzia , disprezzava e prendeva in giro le idee del compagno; ma poi il giorno dopo gli esponeva le stesse idee, facendole passare come sue, e se ne pavoneggiava. (Nuo va Antologia, 1890). 346. D'indole leggiera, ardita, battagliera, il giovane Andrassy divenne in poli tica seguace della tendenza rivoluzionaria capeggiata da Kossuth. A coloro che gli rimproveravano di non esser colto, rispondeva che anzi quello e ra il suo merito principale. - Io - gli diceva un giorno un amico - considero perduto il giorno che non apro qualche libro. - E io invece - rispondeva sorridendo Andrassy - considero perduto il giorno che non ho avuto il sorriso di una donna. Era infatti un irresistibile seduttore. Un suo avversario politico diceva di lui : - Giulio una sola sorta di donne non pu sedurre: quelle che hanno i capelli color lilla;' e queste non le seduce, solamente... perch non esistono. (Nuova Antologi a, 1800). 347. Quando gli affari d'Ungheria si misero male, Andrassy, che era stato mandat o ambasciatore a Costantinopoli da Kossuth, and esule a Parigi. Qui fece vita mon dana, ricercato e accarezzato da tutti. Sua madre gli mandava il denaro, ma egli lo spendeva allegramente in divertimenti e in opere di car it verso gli altri esuli bisognosi. Sicch assai spesso restava anche lui a stecche tto. Una volta che un suo amico esule and a raccomandarsi al suo buon cuore, Andr assy dovette confessargli di non aver il becco di un quattrino e di aver dovuto impegnare l'orologio da un usuraio. E gli mostr la bolletta. (Nuova Antologia, 18 90). 348. L'Austria, domata la rivoluzione ungherese, instaur nel paese il regno del t errore. Andrassy venne condannato a morte nel 1851; ma era lontano, e la condann a fu eseguita solo in effige. Quando Andrassy lo seppe, non pot trattenersi dal r idere. - Quanto a me - diceva - si esegua pure, pur che io non ci sia! (Nuova Antologia , 1890). ANDREA SA_ BATINO da Salerno n. 1480 - m. 1545, pittore napoletano, scolaro di Raffaello. 349. Avendo mostrato disposizione per la pittura il padre gli fece dar lezioni d a alcuni pittori napoletani. Ma poi, essendo venuto a dipingere a Napoli il Peru gino, Andrea fu talmente entusiasmato di quelle sue pitture, da voler che. il pa dre lo mandasse a scuola dal Perugino a Perugia. Dovette molto lottare per otten ere il permesso, in quanto il padre non voleva allontanarlo da s; pure alla fine la spunt. Se non che, mentre era in viaggio per Perugia, fermatosi in un'osteria, sent talm ente vantare la pittura di un giovane che si trovava allora a Roma e che si chia mava Raffaello da Urbino, che, smessa l'idea di andar a Perugia, and a Roma, dove Raffaello lo accolse gentilmente e lo accett tra i suoi scolari. (DE DOMINICI, V ite dei pittori napoletani). 350. Andrea da molto tempo era diventato uno dei maggiori giori pittori napoleta ni, quando giunse a Napoli Polidoro da Caravaggio. Costui s'inform chi fosse il m igliore pittore della citt, e gli fu indicato Andrea. Ricordandosi egli d'averlo avuto condiscepolo mentre erano scolari di Raffaello, volle andarlo a trovare; m a, siccome erano passati alcuni anni e certo Andrea non lo avrebbe riconosciuto, pens di fargli una burla. Si present dunque a lui come un povero pittore disoccup ato che moriva di fame, pregandolo di prenderlo nel suo studio come aiutante. An drea, che era buono e compassionevole, lo accontent subito e gli diede da fare un a testa di apostolo in un quadro che stava lavorando; ma quando di l a qualche or a vide la testa compiuta, gettando a terra i pennelli e la tavolozza che aveva i n mano, si precipit ad abbracciarlo, gridando: - Tu non puoi esser altri che Polidoro da Caravaggio! Conosco il tuo modo meravi

glioso di dipingere. (DE DOMINICI, Vite dei pittori napoletani). ANDREA DEL SARTO n. 1486 - m. 1531; famoso pittore fiorentino. 351. Federico II, duca di Mantova, nel passare per Firenze, vi vide il ritratto di papa Leone X di Raffaello e se ne invagh. Quando fu in Roma, chiese al papa Cl emente quel ritratto in dono, e il papa scrisse subito a Ottavia- no de' Medici suo parente perch lo spedisse a Mantova. Ottaviano ne rest meravigliato e dispiaci uto, sembrandogli che il papa avesse acconsentito a privarsi di quel dipinto troppo leggermente. Mand allora a chiamare Andrea del Sarto e gli raccont come stavano le cose, pregandolo di far di quel ritratto una copia cos perfetta che sembrasse l'originale. Andrea del Sarto si mise al- l'opera con tutto l'ingegno, ed esegu una copia in modo tale che lo stesso Giulio Romano dis cepolo di Raffaello ne rest ingannato. (CAVALCASELLE e CROWE, Raffaello). ANDRIMONT Luigi uomo politico belga, contemporaneo. 352. Il deputato Andrimont era celebre per il suo zelo nel reclamare la riorgani zzazione del servizio consolare. Un giorno pronunzi un discorso lagnandosi della poca importanza che il Parlamento dava a tale questione. A un tratto il Ministro degli Esteri si alz: - Ma - disse - lei sta ripetendo lo stesso discorso pronunziato l'anno scorso! - Perfettamente - rispose l'oratore con calma - io lo sto ripetendo parola per p arola da pi di dodici anni e, fino ad oggi, nessuno se n'era accorto! ANGELICO (Fra Giovanni da Fiesole, detto Il Beato) n. 1387 - m. 1455; grande pit tore italiano. 353. Il beato Angelico prima di mettersi a dipingere s'inginocchiava per pregare . Una volta, nel dipingere un Cristo in croce, dovette sospendete la pittura, ta nte lagrime gli scendevano dalle gote. Non voleva mai correggere ne ritoccare i suoi quadri, perch diceva che era stato Dio a ispirarlo cos, e Dio non l avrebbe vo luti diversi. (VASARI). 354. Frate Angelico da Fiesole dipingeva con la stessa modestia con cui gli altr i frati pregavano. Quando qualche potente signore gli andava ad ordinare un quad ro, egli rispondeva: - Andr a domandarlo al Priore, e se il Priore lo permetter, io non ho niente in co ntrario. (VASARI, Vita di fra Angelico). 355. Frate Angelico fu una volta invitato a pranzo dal papa. Essendo stato porta to un piatto che conteneva un condimento di lardo, sebbene fosse quaresima, frat e Angelico non volle assolutamente mangiarne, non ostante tutte le insistenze de l papa, sostenendo che non ne aveva l'autorizzazione del suo parroco. (VASARI). ANGIVILLER (Carlo de La Billardeire, conte d') direttore dei giardini di Luigi XVI, protettore di artisti, morto nel 1810 in Ge rmania. 356. Il conte d'Angiviller, nella sua qualit di Intendente dei giardini del re, a veva fatto seminare un prato dinanzi al palazzo dell'Accademia. In quell'occasio ne un bello spirito aveva mandato fuori un epigramma, che diceva: Angiviller un v ero mecenate dei poeti e dei letterati, tanto vero che ha fatto mettere dinanzi all'Accademia un prato, nel quale i letterati potranno ormai pascere fin che vor ranno. (E. COLOMBEY, Ruelles, salons ecc.). 357. Il conte d'Angiviller non aveva una grande opinione degli uomini. Egli sole va dire: - Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che meriterebbero una statua, e quelli che sono degni d'esser giustiziati in piazza di Grve. Gli uomini deboli, poi, sono dei pezzenti che bisogna disprezzare. (E. COLOMBEY, Ruelles, salons ecc.). ANGOULME (Giovanni d'Orlans, duca d') n. 1404 - m. 1467; signore francese, fratello del poeta Carlo d'Orlans. 358. Il duca d'Angoulme domand al signor di Chevreuse: - Quanto di tu ai tuoi segretari? - Cento scudi l'anno - rispose costui. - Poco, troppo poco - disse allora il duca; - io do trecento scudi ai miei. Vero per che non li pago mai. (TALLEMANT DES REAUX, Historiettes).

359. Il duca d'Angoulme, come detto sopra, pagava male e assai raramente i suoi d omestici. Una volta il suo maggiordomo gli chiese gli arretrati di parecchi mesi che dovev a ancora avere. - Che paura avete? - gli rispose il duca - sapete bene che i vostri stipendi con tinuano a correre. - Lo so - riprese il maggiordomo. - Corrono; ma per mia disgrazia, essi corrono tanto che io non riesco mai a raggiungerli. (GUERARD, Dictionnaire - d'anecdotes ). ANGOULME (Maria Teresa Carlotta duchessa d') n. 1778 - m. 1851; figlia di Luigi XVI, sposa del duca Luigi Antonio d'Angoulme, delfino di Francia 360. Nella sala del trono del palazzo del Lussemburgo c'era un gran quadro di Re naud, che raffigurava Napoleone I su un carro trionfale, circondato dalla Fama, dalla Gloria, dalle Arti ecc. Al tempo della Restaurazione del 1841, la Delfina, duchessa d'Angoulme, and a visitare il palazzo del Lussemburgo. Il conservatore d i quel monumento non aveva avuto il tempo di fare scomparire quell'immensa tela, e quando la principessa gli domand che cosa il quadro raffigurasse, egli le risp ose, tutto impacciato, che rappresentava le Arti e le Scienze che offrivano la F rancia all'imperatore. - Non c'era nessun bisogno di offrirgliela - rispose la Delfina - aveva saputo b enissimo prendersela da s. (P. MNIERE, Journal). 361. Durante i Cento giorni, mentre il re s'era dato alla fuga e il Delfino s'er a rifugiato verso il sud della Francia, ella tenne testa da sola, a Bordeaux, ag li entusiasmi per Napoleone, seppe istigare le autorit alla resistenza e insomma tenne in scacco l'imperatore per dieci giorni dopo il suo ritorno alle Tuileries . Napoleone, che se ne intendeva e sapeva far i bei motti, disse in quest'occasi one di lei: - il solo uomo della sua famiglia! (LAROUSSE). ANNA D'AUSTRIA n. 1601 - m. 1666; figlia di Filippo III e madre di Luigi XIV, del quale fu la r eggente durante la minorit. 362. Un giorno Bellegarde domand alla regina Anna d'Austria, che cosa avrebbe fat to all'uomo tanto audace che le avesse chiesto il suo amore. - Lo ucciderei - rispose la regina. - Allora - disse galantemente Bellegarde io sono un uomo morto. (TALLEMANT DES R EAUX). ^ 363. Riferirono alla regina Anna d'Austria che una compagnia di Svizzeri aveva conquistato una citt tedesca ed era entrata in un convento di monache. - Oh! - fece la regina - posso dormir tranquilla sull'onore delle buone sorelle. Trattandosi di Svizzeri, pi probabile che siano andati a finire in cantina piutt osto che nel dormitorio. (Anecdotes sur les femmes). 364. Il cardinal Richelieu si era innamorato di lei ed ebbe l'audacia di manifes tare la sua insana passione. La regina stava per rimbeccarlo, e rispondergli con ira e disprezzo, quando il re entr e le tolse cos l'occasione di rispondere. Natu ralmente la regina non volle tornar pi su quest'argomento, volendo far vedere al cardinale che non gli faceva l'onore di ricordarsi di quei discorsi insensati. P er non lasci occasione di mostrargli il suo odio. Richelieu se ne vendic perseguitando accanitamente la regina e facendo sospettare al re che essa partecipasse a complotti contro di lui. Una volta spinse le cose al punto da far perquisire minutamente il suo appartamento, le sue casse privat e e persino la sua persona. (Dictionnaire de l'Amour). 365. Si deve a quest'insano amore del cardinal Richelieu per la regina, se allor a scoppiarono dissensi tra la Francia e l'Inghilterra. L'Inghilterra aveva manda to in Francia il duca di Buckingam per portare in Inghilterra la principessa Enr ichetta che sposava il re di quel paese. E anche il duca di GSPLIT:uPalazzi-Zanich elli 1.txtArchivio GSplit&{5F9160D1-68ED-4692-9DC5-DA0556BA26AC}smN ?!

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