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Facing the challenge of a new age: il Piemonte alla prova della riforma Delrio

di Marco Orlando Segretario Unione Province Piemontesi marco.orlando@provincia.torino.it

on la prossima approvazione del disegno di legge Delrio, il sistema delle autonomie locali piemontesi alla vigilia di una trasformazione radicale, che

pare destinata a modificarne profondamente tutti gli elementi costitutivi, sul piano istituzionale, ordinamentale, organizzativo.

Qui si intende limitarne lesame ai soli prevedibili effetti sulla rappresentativit territoriale e sul funzionamento dei meccanismi di cooperazione fra le istituzioni del governo locale, con le cautele necessarie nel commento di un disegno di legge che, alla data di stesura di questo articolo (1), giunto poco oltre la met delliter parlamentare, nonch premettendo alla trattazione tre, doverose considerazioni, a testimonianza della consapevolezza di essere di fronte a un processo riformatore di ben pi ampia portata e significato.

Anzitutto, non si pu negare che la prima e pi importante causa dellaccelerazione nel processo di riforma risieda nella sentenza della Corte Costituzionale n. 220 del 24 luglio 2013 (2).
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Per questo aspetto, forse occorre ridimensionare leccessiva

Al 26 febbraio 204 il disegno di legge recante Disposizioni sulle Citt metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni stato approvato dalla Camera dei Deputati ed allesame della I Commissione Affari Costituzionali del Senato, contrassegnato come A.S. 1212. Nelliter parlamentare, il disegno di legge ha beneficiato della procedura durgenza accordata ex art. 69, comma 1 del Regolamento della Camera, deliberata il 25 settembre 2013, e ha assorbito i progetti di legge A.C. 1408, 1737, 1854. Al Senato, la I commissione in sede referente ha finora disposto la congiunzione con il progetto di legge di iniziativa parlamentare A.S. 965.

La sentenza stata emessa allinterno dei giudizi di legittimit costituzionale proposti in via principale da numerose regioni, tra cui il Piemonte, nei confronti dellarticolo 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis, 21 e 22 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, lequit e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dallart. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonch degli articoli 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai

importanza che stata invece attribuita dai media allopinione pubblica, in merito a una presunta urgenza di abolire le province. Labolizione delle province, infatti, era stata sollecitata dalla BCE fin dallagosto 2011 (3), come mero esempio di una delle misure di riforma istituzionale che lItalia avrebbe dovuto adottare per fronteggiare un attacco senza precedenti della speculazione finanziaria internazionale. Dal 2011 a oggi le province non sono state abolite ma lItalia ha superato ugualmente la fase pi acuta della crisi finanziaria internazionale; questo dato gi di per s dimostra come la misura dellabolizione delle province non fosse poi cos determinante per le sorti del Paese. Inoltre, la stessa opinione pubblica qualora interrogata in merito allurgenza della abolizione delle province - pi volte non ha messo al primo posto dellagenda delle riforme urgenti questo tema, preferendovi spesso lindicazione della necessit di riforme istituzionali di ben maggiore respiro e portata, su comparti della spesa pubblica molto pi consistenti e costosi di quello rappresentato dalle province (4).
cittadini nonch misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito con modificazioni, dallart. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135. Fra i numerosi e qualificati interventi a commento della sentenza, si v. in particolare S. MANGIAMELI, Brevi note sulle garanzie delle autonomie locali e sui limiti alla potest legislativa statale, in Astrid Rassegna, n. 19/2013 e dello stesso A. la Relazione al XXVIII Convegno annuale dellAssociazione Italiana Costituzionalisti tenutosi a Padova il 17-18-19 ottobre 2013, dal titolo Crisi economica e distribuzione territoriale del potere politico, pubblicato nella omonima Rivista, n. 4/2013 del 18 ottobre 2013. Nella Rassegna di Astrid si v. anche la Nota di Lettura del 24 luglio 2013 redatta da G. PALOMBELLI (n. 14/2013) e il commento di A.VIGNERI, Lavori in corso su Province e Citt Metropolitane (n. 16/2013). Si tratta della nota Lettera allItalia del 5 agosto 2011 firmata dal former president della BCE JeanClaude Trichet e da quello che ne sarebbe diventato il successore, il prof. Mario Draghi. La lettera testualmente recitava: C' l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Come ben noto, la risposta del Governo Italiano a tali sollecitazioni fu, nello specifico delle riforme ordinamentali, il gi citato D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (cd. Salva Italia), convertito nella legge 22.12.2011 e poi dichiarato incostituzionale in parte qua dalla sentenza n. 220/2013 della Corte Costituzionale. Si v. ad esempio, il sondaggio ISPO (per conto dellUnione delle Province dItalia) effettuato il 13 ottobre 2013 presso i sindaci dei piccoli comuni (http://www.upinet.it/docs/contenuti/2013/10/PRESENTAZIONE_UPI_SINDACI_PER%20CONVEG NO_MILANO.ppt) e lanalogo sondaggio (effettuato per conto dellUnione delle Province Piemontesi) nei confronti di un campione statistico di cittadini a novembre 2013 (http://www.provincia.pc.it/Allegati/Articoli/studio%20ispo1387542985.pdf). Si v. anche lindagine della CGIA di Mestre del dicembre 2013
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La vera differenza nel giustificare lurgenza lha invece offerta la Consulta lo scorso luglio, con la censura del disegno promosso dal Governo Monti. La sentenza della Corte, per questo aspetto, ha svelato la sostanziale inadeguatezza delle strategie utilizzate fino ad allora per fornire a Costituzione invariata un nuovo assetto al sistema dei poteri infraregionali italiani. Strategie che, come ben noto, hanno fatto registrare il fallimento di almeno tre diversi processi attuativi del Titolo V fra il 2003 e il 2012 (5), e che hanno consegnato complessivamente agli

(http://www.upinet.it/4208/istituzioni_e_riforme/province_abolizione_il_sondaggio_della_cgia_di_ mestre/) Con particolare riferimento al tema della Citt Metropolitana, sul piano della legislazione primaria dello Stato, dal 1990 al 2012 sono stati tipizzati tre diversi schemi legali per la delimitazione delle aree e per la costituzione delle relative Citt Metropolitane. I primi due modelli legislativi, introdotti rispettivamente dalla legge 142 del 1990 (poi confluito nel Testo Unico del 2000) e dalla legge del 2009 sul federalismo fiscale, sono stati sostituiti da un terzo schema legale introdotto dalla spending review del 2012. Questultimo stato infine dichiarato incostituzionale dalla Corte con la sentenza n. 220 dello scorso 24 luglio 2013. Il nuovo modello contenuto nellA.S. 1212 proposto dal Governo Letta in parte ricalca gli schemi precedenti e in parte se ne discosta ampiamente. I precedenti modelli di Citt Metropolitana, infatti. intendevano instaurare entrambi un sistema di cooperazione di tipo verticale, cio volto alla creazione di un nuovo ente locale mediante cessione di sovranit dai soggetti costituenti. Ma lentificazione era, in entrambi i casi, il risultato di un processo genetico volontario, non predeterminato negli esiti, nonch ad applicazione graduale e progressiva. Il Testo Unico Enti Locali offriva infatti ai territori metropolitani tre alternative possibili: la sola delimitazione dellArea Metropolitana, senza quindi la costituzione di enti derivati; la costituzione di meri ambiti sovra-locali di cooperazione privi di personalit giuridica autonoma; la costituzione della Citt Metropolitana per determinate materie. Per ognuna delle alternative (e anche ai meri fini della delimitazione), il modello imponeva comunque che sussistesse la contiguit territoriale e un rapporto di stretta integrazione fra i comuni, sia sul piano dello sviluppo urbanistico e sia in ordine alle attivit economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonch alle relazioni pi latamente culturali. Nel vecchio modello del Testo Unico, quindi, i confini dellArea Metropolitana potevano non coincidere con quelli delle strutture, degli ambiti sovralocali, o dellente Citt Metropolitana. La norma prevedeva inoltre che la nascita della Citt Metropolitana comportasse un effetto di ritaglio territoriale tra la Provincia dante causa e il nuovo Ente; leffetto si sarebbe determinato dal momento in cui la Citt Metropolitana avesse acquisito le funzioni della Provincia nel territorio in essa compreso. Il modello, infine, non prevedeva ope legis lattribuzione alla Citt Metropolitana di funzioni ulteriori oltre a quelle acquisite per ritaglio dalla Provincia, confermando con ci le caratteristiche di ente derivato, privo cio di competenze originarie. Sul piano del processo costitutivo, un aspetto non secondario di quella disciplina era la previsione di un referendum approvativo in ogni comune prima dellistituzione del nuovo Ente; costituzione che sarebbe avvenuta solo al termine del processo e con una legge dello Stato. Su questo modello, operante tuttora a livello legislativo ordinario (poich la relativa disciplina non mai stata espressamente abrogata) ma mai attuato in alcuna parte dItalia, si inserito il quadro
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costituzionale riformato con la legge cost. n. 3/2001. La riforma ha inserito nella Costituzione la Citt Metropolitana a fianco di Comuni, Province, Regioni e Stato, ed ha pertanto reso questo tipo di Ente un elemento costitutivo della Repubblica, nonch formalmente equi-ordinato rispetto agli altri enti locali secondo il dettato dellart. 114 Cost. La Citt Metropolitana ha smesso quindi di essere un semplice strumento di cooperazione e un Ente derivato, per diventare invece (nelle intenzioni del legislatore costituzionale) un Ente pienamente autonomo, con funzioni originarie e non pi ottenute per ritaglio da altri livelli di governo. Il sostanziale cambiamento di natura ha reso pertanto obsolete nei fatti le previsioni elastiche e progressive del modello di Citt Metropolitana offerto dal Testo Unico Enti Locali, e ha, di conseguenza, aperto la strada alla revisione dello schema legale previsto a livello legislativo ordinario. Dopo otto anni dalla modifica del Titolo V, la disposizione costituzionale stata poi attuata dalla legge sul federalismo fiscale del 2009, mediante una norma (lart. 23) che per stata espressamente dichiarata transitoria dal legislatore, in quanto valida fino allentrata in vigore di una (futura, e mai approvata) legge organica di riforma del Testo Unico Enti Locali. Data la transitoriet della disciplina, anche il modello di Citt Metropolitana che essa offriva era stato previsto come transitorio, cos come transitori erano gli organi, la cui durata in carica era valida fino allinsediamento degli organi definitivi, che sarebbero stati regolati dalla suddetta legge organica. La normativa del 2009 era di gran lunga pi rigida e codificata della precedente poich, nei fatti, puntava alla trasformazione ipso facto in Citt Metropolitane dei pi grandi Comuni capoluogo di Regione, con lattribuzione a costoro di uno status migliorativo e di un ordinamento differenziato rispetto alle altre grandi citt, non di tipo metropolitano. La differenziazione nello status consisteva sostanzialmente nellinglobare entro i limiti delle cinte daziarie del capoluogo anche i poteri delle Province, senza necessariamente coinvolgere i Comuni limitrofi nel processo costitutivo o adesivo alla Citt Metropolitana. Nemmeno questo secondo modello stato mai realizzato in alcuna parte dItalia, sebbene nelle aree metropolitane di Milano e di Venezia siano state avviate delle procedure istitutive che tuttavia non sono arrivate a conclusione. Tali esperimenti avevano alcune caratteristiche simili fra loro: larticolazione della governance sui tre livelli (Citt Metropolitana/Comuni/Municipi); lelezione diretta a suffragio universale del sindaco e del consiglio metropolitano; lelezione indiretta (tra i consiglieri metropolitani) del presidente del consiglio metropolitano; la presenza di una seconda assemblea oltre al consiglio metropolitano, sul modello della conferenza dei sindaci con funzioni consultive. Quanto alle funzioni, listituzione di una Citt Metropolitana con i poteri della Provincia limitati al Comune capoluogo avrebbe creato delle sovrapposizioni poco razionali nelle funzioni di programmazione, pianificazione e coordinamento in diversi settori di politiche, dove sarebbe stato necessario armonizzare un doppio livello di programmazione o pianificazione tra la Citt Metropolitana e il suo territorio da un lato, e la Provincia e il suo territorio dallaltro lato. Naturalmente, i due livelli di programmazione avrebbero dovuto armonizzarsi a propria volta (e singolarmente) con il livello regionale di programmazione. Dalloriginaria idea di Citt metropolitana, cio di un ente capace di rispondere alle particolari caratteristiche di un fenomeno eccezionale di sviluppo degli insediamenti urbani con dimensioni del tutto straordinarie, si sarebbe quindi giunti a una mera moltiplicazione di livelli di azione, peraltro non equilibrata dal punto di vista dei rapporti tra il capoluogo ed il territorio circostante. E uguale frammentazione si sarebbe creata nelle funzioni di regolazione delle attivit pubbliche e private. Qui il doppio livello di governo sarebbe stato ancora pi evidente con riguardo a molte funzioni non fondamentali acquisite dalla Provincia nel corso del processo di decentramento della seconda met degli anni Novanta: la medesima funzione (ad. es., rilascio di autorizzazioni,

interpreti e agli attuatori del sistema locale un panorama sempre pi ingessato, conflittuale e frammentato (6), che quindi deve essere riordinato (7).

In secondo luogo, va riconosciuto come la farraginosa e disomogenea attuazione del terzo decentramento della fine degli anni Novanta abbia generato un assetto dei poteri pubblici che ha <<mortificato il ruolo delle citt e dei sindaci, e che invece ha

concessioni, ecc.) avrebbe quindi finito per essere spezzettata a seconda che loggetto di questa si trovasse allinterno dellarea metropolitana o al di fuori. Lipotesi non scongiurava perci il rischio di frammentare lazione di governo allinterno di uno stesso territorio unitario tra da due enti, confondendo e non semplificando il riparto di competenze. La mancata attuazione del modello prefigurato dalla legge sul federalismo fiscale ha rappresentato un nuovo fallimento nei tentativi di semplificare il quadro di cooperazione istituzionale del governo locale nelle grandi conurbazioni del Paese. La perdurante inattuazione del dettato costituzionale introdotto nel 2001 ha quindi portato a un tentativo ancora pi radicale, che si concretizzato con il Decreto Salva Italia del 2011 e con la Spending Review del 2012, entrambi proposti dal Governo presieduto dal sen. Mario Monti. Nel periodo di maggiore aggressivit della speculazione internazionale contro lItalia, in nome del risparmio nella spesa pubblica le due riforme hanno previsto una decisa semplificazione degli organi di governo delle Province, con la soppressione degli esecutivi e la sottrazione a detti enti di qualsiasi funzione amministrativa, fatta la sola eccezione delle funzioni di indirizzo e coordinamento dellattivit dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale e regionale, secondo le rispettive competenze. Le norme prevedevano inoltre lobbligo per le regioni di ritrasferire ai comuni le funzioni amministrative delle province, ovvero di trattenerle al livello regionale qualora fosse necessitato lesercizio unitario ai sensi dellart. 118 Cost. La ratio dello svuotamento di funzioni era con tutta evidenza quella di anticipare la soppressione delle province, da attuare con successiva legge costituzionale, e di realizzare un riaccentramento sul livello regionale delle funzioni relative al governo di area vasta e sovra comunale. Come riportato nella nota precedente, le tentate riforme del Governo Monti sono state poi impugnate da diverse regioni innanzi alla Corte Costituzionale, per diversi profili di incostituzionalit, fra i quali la lesione delle competenze amministrative provinciali, la menomazione del potere legislativo regionale, luso improprio del potere sostitutivo statale e la violazione del principio di leale collaborazione. Con la sentenza n. 220/2013, la Corte Costituzionale ha infine dato ragione alle autonomie locali, dichiarando incostituzionale tutto limpianto e censurando pesantemente il metodo riformatore usato dal Governo: un metodo volto a determinare un nuovo assetto ordinamentale dei poteri democratici per via di decreto-legge o, comunque, di legislazione emergenziale.
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Si v., a proposito dellesplosione del contenzioso Stato-Regioni in merito alla corretta allocazione delle funzioni amministrative, P.CARETTI, La giurisprudenza costituzionale in materia di rapporti tra Stato e Regioni nellanno 2011, a cura dellOsservatorio sulle fonti Universit degli studi di Firenze (http://www.camera.it/cartellecomuni/Leg16/documenti/2012/capitoloIII.pdf)

Per tutti, si v. F. PIZZETTI, La riforma Delrio tra superabili problemi di costituzionalit e concreti obbiettivi di modernizzazione e flessibilizzazione del sistema degli enti territoriali, in Astrid Rassegna, n. 19/2013

scelto di privilegiare un neocentralismo regionale che, a consuntivo, ha in molti casi prodotto dei punti di difficolt e di danno>> (8). Laffermazione senzaltro verosimile ma non vale per tutto il Paese, poich non tiene conto di alcune regioni virtuose (come il Piemonte) che negli anni dal 1998 al 2003 hanno invece correttamente interpretato la logica del decentramento, e hanno investito le province (e, seppure in misura minore, anche i comuni) della titolarit di numerose funzioni amministrative. Funzioni in materia di agricoltura, trasporto pubblico e privato, politiche attive e passive per il lavoro, autorizzazioni e vigilanza in campo ambientale, urbanistica, gestione e tutela del suolo, protezione civile, istruzione e formazione professionale: tutte attivit per lo pi sovraccariche di compiti gestionali e, in modo inversamente proporzionale, povere di poteri programmatori e di indirizzo politico (9). Funzioni, dunque, la cui intrinseca natura ha costretto le province a impiegare una parte crescente delle risorse finanziarie disponibili per assicurare alle attivit gestionali uno stock adeguato di risorse umane, cio di dipendenti, cercando al contempo di salvaguardare quanto pi possibile loutcome delle politiche e la visibilit del ruolo istituzionale dellente.

Nelle province capaci di realizzare un maggiore gettito fiscale, il sistema ha sostanzialmente tenuto seppur in presenza di una riduzione drastica delle risorse di finanza derivata, come si vede bene dai grafici che seguono. Una riduzione che peraltro intervenuta proprio negli anni successivi al 2003, nei quali il decentramento della legge n. 59/1997 avrebbe viceversa dovuto dispiegare i propri effetti di rafforzamento del sistema delle autonomie locali.
Cos M. RENZI, Saluto del Sindaco di Firenze al convegno Le Citt Metropolitane: una riforma per il rilancio del Paese, organizzato dalle Associazioni territoriali di Confindustria costitutive della Rete delle citt metropolitane, Firenze, 6 febbraio 2014 (http://www.confindustriafirenze.it/eventi/2014/01/20/citta-metropolitane-riforma-rilancio-paese).
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Per un completo monitoraggio delle funzioni delle province e dei comuni piemontesi, si v. il lavoro svolto dallOsservatorio sulla Riforma Amministrativa istituito dallart. 11 della L.R. n. 44/2000 (http://www.regione.piemonte.it/oss_riforma/)

E invece, dopo un iniziale picco (2004) e un altro negli anni 2009-2010, landamento delle risorse di finanza derivata si assestato nel 2011 su un valore perfino inferiore a quello del 2003. Tabelle n. 1-2

I TRASFERIMENTI REGIONALI DI RISORSE CORRENTI ALLE PROVINCE PIEMONTESI NEGLI ANNI 2003 - 2011

490 470 450 430 410 390 370

milioni di euro

481,2 429,3 387 443,4 447,7

397 392,3 384,8

377,5

IL TOTALE DELLE ENTRATE CORRENTI DELLE PROVINCE PIEMONTESI NEGLI ANNI 2003 - 2011

milioni di euro

1000 980 960 940 920 900 880

20 03 20 04 20 05 20 06 20 07 20 08 20 09 20 10 20 11

950 882,5

974 957,6 909,7 894,3 893,4

945,9 897,9

Fonte: Unione Province Piemontesi, I trasferimenti di risorse finanziarie regionali alle province piemontesi: lanalisi dei dati dellanno 2011 in rapporto a quelli degli anni precedenti (rapporto a cura di G. Anchisi - A. Perron Cabus, 2012)

20 03 20 04 20 05 20 06 20 07 20 08 20 09 20 10 20 11
anni

Come si vede dalla seconda tabella, la quota di risorse proprie derivanti dallimposizione tributaria delle province ha quindi dovuto supplire, in misura pi che proporzionale, alla diminuzione dei trasferimenti prima di parte regionale, e poi a seguito dellentrata in vigore del federalismo fiscale provinciale - anche alla fiscalizzazione dei trasferimenti finanziari di parte statale. Fino a giungere allapplicazione di un saldo-obiettivo del patto di stabilit interno che ha portato, negli anni dal 2012 in poi, alleffetto paradossale di un prelievo forzoso dello Stato sulle entrate della Provincia (10).

Come noto, la disponibilit di gettito tributario proprio direttamente proporzionata alla grandezza del territorio e alla sua popolazione, posto che le entrate proprie delle province (11) sono strettamente collegate ad alcuni indicatori del settore automotive e, in generale, dipendono in modo diretto dalla congiuntura economica locale. Per la medesima ragione, nelle province pi piccole e meno dotate di autonomia finanziaria, il problema del dissesto finanziario si invece affacciato alla porta ancor prima del problema della soppressione del livello istituzionale, alimentando in questo modo (dentro un circuito vizioso) la vulgata che vuole le province enti inutili, o comunque inefficienti o incapaci di provvedere alle loro incombenze (12).

Si v. al riguardo le dichiarazioni dellassessore Marco DAcri alla Conferenza Stampa di fine 2013 della Provincia di Torino, in http://www.provincia.torino.gov.it/speciali/2013/conferenza_fine_anno/ e il relativo documento sul patto di stabilit della Provincia di Torino (http://www.provincia.torino.gov.it/speciali/2013/conferenza_fine_anno/dwd/pds2013.pdf)
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Ai sensi del D.lgs. 6 maggio 2011, n. 68 sullautonomia di entrata delle province

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I dati relativi alle province del Piemonte sembrano invece dimostrare il contrario. Nonostante la segnalata contrazione delle risorse disponibili, considerando le sole materie per le quali lammontare dei trasferimenti regionali alle Province assume una dimensione significativa (oltre i 5 milioni di euro annui per il complesso delle otto Province), si rileva che la destinazione delle risorse regionali trasferite ha riguardato, ancora nel 2011, in modo prevalente le funzioni relative alla qualificazione delle risorse umane (formazione professionale ed istruzione) ed al loro inserimento lavorativo, nonch quelle per i servizi locali di trasporto, rispetto a quelle destinate ad altre infrastrutture e servizi. In particolare, rilevato che per tutti i settori pi rilevanti, senza eccezioni, lammontare dei trasferimenti regionali si ridotto rispetto agli anni precedenti, si evidenzia che la parte pi

In terzo luogo, il sempre pi frequente utilizzo da parte dello Stato della clausola di salvaguardia collegata ai principi di coordinamento della finanza pubblica, in specie negli anni dal 2006 in poi, ha sostanzialmente frustrato fino alla disapplicazione le potenziali innovazioni che la legge 42/2009 sul federalismo fiscale avrebbe dovuto produrre nel dare agli enti locali reali leve e capacit di governo delle proprie funzioni (13).

rilevante dei trasferimenti regionali continua ad essere quella per la formazione professionale. Tuttavia le risorse destinate a tale settore di attivit sono sensibilmente diminuite rispetto al 2010 ( - 14,18 % ), passando da circa 192 milioni e mezzo di euro a 165 milioni e mezzo, attestandosi in percentuale al 41 % del totale delle risorse trasferite dalla Regione. Inoltre, il 25 % del totale delle risorse trasferite dalla Regione stato destinato alle funzioni relative al trasporto locale, con risorse che sono passate da 102,8 milioni di euro nel 2010 a 102 milioni nel 2011 ( - 0,72 %). I restanti trasferimenti regionali pi rilevanti sono stati destinati ad altre cinque materie gestite dalle Province per effetto del decentramento. Tali trasferimenti, riguardano, in ordine decrescente di entit di risorse destinate: listruzione, per la quale si riscontrato un decremento di 2,3 milioni di euro ( - 7,17 %), che ha interessato esclusivamente le risorse destinate agli investimenti per ledilizia scolastica; complessivamente le risorse che le otto Province hanno ricevuto dalla Regione per listruzione ammontano a 29,9 milioni (circa il 7 % del totale) contro i circa 32, 3 milioni del 2010; il lavoro, le cui risorse provenienti dalla Regione sono fortemente diminuite, di quasi 19 milioni di euro ( - 45,2 %), passando da 41,6 milioni nel 2010 a 22,8 milioni nel 2011, ed il loro ammontare pari al 6 % del totale dei trasferimenti regionali (nel 2010 erano il 9 %); i servizi sociali, per i quali si riscontrato un decremento di circa 3 milioni e mezzo di euro ( - 16,5 %), che ha interessato quasi esclusivamente le risorse destinate alle spese correnti; complessivamente le risorse che le otto Province hanno ricevuto dalla Regione per i servizi sociali ammontano a 17,9 milioni (4 % del totale) contro i circa 32,3 milioni del 2010 ; lagricoltura, le cui risorse trasferite sono fortemente diminuite, di circa 12,8 milioni di euro ( - 41,8 % ), passando da 30,6 milioni di euro del 2010 (6,3 % del totale) a 17,8 milioni di euro (4 % del totale); la viabilit, le cui risorse sono sensibilmente ancora diminuite , di oltre 4 milioni e mezzo di euro (- 28,2 %), passando da 16,3 milioni nel 2010 (3,4 % del totale) a 11,7 milioni (3% del totale); il calo ha interessato sia la parte corrente di tali risorse (circa 1 milione in meno), sia quelle di investimento (- 4,6 milioni di euro). Negli anni fra il 2003 e il 2009 non sono mancati i tentativi di dare attuazione alle deleghe contenute nella legge 131/2003 (cd. legge La Loggia) che aveva prefigurato lattuazione del federalismo fiscale. Fra i vari tentativi, va sicuramente ricordato il pi significativo dal punto di vista dellorganicit di approccio, cio lo schema di decreto legislativo approvato dal Governo BerlusconiII il 20 febbraio 2005. Appartenente al medesimo disegno di riforma, va inoltre ricordato il nuovo disegno di legge delega per ladozione di una Carta delle Autonomie Locali, che era stato collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2010. Come ben noto, entrambi i tentativi non sono approdati a una riforma compiuta, ma vale ricordare in questa sede che un nodo centrale di entrambi i due disegni attuativi del Titolo V riformato era rappresentato proprio dal problema dellindividuazione delle funzioni fondamentali e delle funzioni proprie di Comuni e Province. La stessa legge delega 42/2009 per lattuazione del federalismo fiscale aveva poi fornito un catalogo di funzioni, la cui portata prescrittiva e applicativa era stata tuttavia dichiaratamente provvisoria,
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nonch limitata alla sola finalit della determinazione dei fabbisogni standard. Quella disciplina ha quindi operato in attesa di una riforma organica del Testo Unico degli Enti Locali, che poi non mai stata approvata. Lattuazione del federalismo fiscale in Italia stata quindi fortemente intrecciata con la revisione dellassetto funzionale degli enti locali. Tale evidenza ed era peraltro ampiamente prevedibile, laddove si pensi alla finalit principale degli assetti di tipo federale, che consiste nel collegare in modo pi possibile diretto il prelievo tributario allesercizio delle funzioni pubbliche e allerogazione dei relativi servizi alla collettivit. Ma lintreccio concettuale tra federalismo fiscale e amministrativo ha scontato il problema di impiantare nel 2009 la revisione della fiscalit locale su un catalogo di funzioni amministrative (quindi su un assetto funzionale) che, da un lato, era vecchio (poich antecedente alla riforma costituzionale) e dallaltro lato era fragile, poich era basato su un catalogo provvisorio e relativo alle sole funzioni cd. fondamentali di Comuni e Province. Quel catalogo, inoltre, era sottoposto almeno dal 2003 a una costante revisione e aggiustamento, il pi delle volte peraltro solo tentata e non riuscita. Nei fatti, quindi, il federalismo fiscale stato inaugurato in assenza di un quadro chiaro, organico e stabile di riferimento per lannosa questione italiana delle funzioni, cio del chi-fa-che-cosa fra i poteri pubblici, determinando gli effetti, che poi si sono visti, di depauperamento (e non di potenziamento) delle risorse disponibili per gli enti locali. Sul punto, amplius, si v. F. SCUTO, Il federalismo fiscale a tre anni dalla legge n. 42: questioni aperte e possibili sviluppi di una riforma ancora incompleta, Research Paper del Centro Studi sul Federalismo, 2012 (http://www.csfederalismo.it/attachments/2421_CSFRP_Scuto_Federalismo_fiscale_e_legge42_luglio2012.pdf), M. MASTROMARINO, Fiscal federalism allitaliana. Ripartire dalla Costituzione, ne la Rivista dellAssociazione Italiana Costituzionalisti n. 4/2012 (http://www.rivistaaic.it/sites/default/files/rivista/articoli/allegati/Mastromarino.pdf), P.GIARDA, Le regole del federalismo fiscale nellarticolo 119: un economista di fronte alla nuova Costituzione, in Le Regioni, Il Mulino, n. 6/2001; L. ANTONINI, I principi di coordinamento del federalismo fiscale, in L.ANTONINI (a cura di), Verso un nuovo federalismo fiscale, Milano, 2005. In merito alla prima attuazione realizzata con la legge 42/2009, si v. F.TOSI, Il federalismo fiscale a due anni dalla legge delega, IRPNET, 2011 (http://www.portalefederalismofiscale.gov.it/portale/it/c/document_library/get_file?uuid=fbb0acd2fb8b-4fb7-96b0-01f8c4dc30a2&groupId=10157) Soprattutto, si v. la Relazione sul Federalismo Fiscale 2010 del Governo Italiano (http://www.portalefederalismofiscale.gov.it/portale/it/c/document_library/get_file?uuid=a30fce1426a9-4284-ac5b-3aa226bb593f&groupId=10157) che ha introdotto la nota metafora dell<<albero storto>>, in riferimento alla discontinuit del processo evolutivo della finanza pubblica italiana, fra contrapposte istanze centraliste e autonomiste. Sulla dipendenza del sistema di distribuzione delle funzioni amministrative rispetto al necessario dinamismo di unimpianto federalista, si v. anche T.E. FROSINI, Paese che vai, federalismo (fiscale) che trovi, nella Rivista dellAssociazione Italiana Costituzionalisti (AIC), 4/2013 e, ancora, si v. P. BILANCIA, La riforma dellordinamento regionale: verso una ricentralizzazione delle competenze, Centro Studi sul Federalismo, 2012 (http://www.portalefederalismofiscale.gov.it/portale/it/c/document_library/get_file?uuid=87de137ac6da-4a74-b03e-c83ad7f84352&groupId=10157), nonch il Research Paper dello stesso CSF dal titolo Lautonomia tributaria degli enti substatali in italia: Il quadro costituzionale di riferimento, a cura di A. MASTROMARINO, 2012.

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Dunque si pu dire che alcuni errori nelle strategie del terzo decentramento degli anni Novanta (14), sommati al risultato di un improprio neocentralismo regionale e al revirement di politica statale motivato dallurgenza del risanamento finanziario abbiano creato le premesse per rendere ineludibile lintervento riformatore che oggi si presenta alle viste e che, anche per tali ragioni, stato presentato fin dallinizio come punto qualificante del Governo Letta e dellintera XVII Legislatura (15).

Ci premesso, il primo dato che rivela in concreto la natura di <<grande riforma di sistema>> (16) del disegno di legge Delrio negli assetti ordinamentali del governo di area vasta concerne la futura rappresentativit dei territori allinterno dei consigli provinciali e, parimenti, del consiglio metropolitano. Il tema della rappresentativit giocoforza collegato alla netta centralit di ruolo che il disegno di legge attribuisce ai sindaci e ai consiglieri comunali e alla necessit di ricomporre gli interessi territoriali a partire dai sindaci e dalle comunit che essi rappresentano (17).
Sebbene siano passati ormai quindici anni dalla genesi del federalismo amministrativo italiano (prima della riforma del Titolo V della Costituzione), si v. la tuttora valida rassegna di principi e regole di devoluzione elencate da A. PAJNO, Lattuazione del federalismo amministrativo, in Le Regioni, Il Mulino, n. 4-2001
15 14

Si v. il Discorso programmatico del Ministro on. Graziano Delrio al Senato del 15 maggio 2013, in http://www.regioniturismosport.gov.it/il-ministro/programma/le-citt%C3%A0-metropolitane/
16

Cos F. PIZZETTI, Scheda di lettura e riflessioni su Citt metropolitane, Province, Unioni di comuni: le linee principali del ddl Delrio, Roma 30 gennaio 2014, in http://www.affariregionali.gov.it/media/149105/una_riforma_di_sistema__scheda_di_lettura_ddl_1212__-_prof_franco_pizzetti.pdf Una richiesta, quella della centralit di ruolo dei comuni, che stata reiterata da molti anni a questa parte e ribadita, ancor da ultimo, dallANCI in sede di audizione alla Camera dei Deputati lo scorso 6 novembre 2013. Cos si esprimeva in quella sede lAssociazione dei comuni italiani: <<LANCI chiede che il Parlamento in sede di approvazione del provvedimento valorizzi il modello innovativo basato sulla rappresentanza di secondo grado delle Province e delle Citt metropolitane, al fine di evitare ogni forma di duplicazione di ruoli e di attivit, confermando il ruolo dei Comuni quali primi livelli di interlocuzione pubblica sul territorio e alle forme associative di area vasta quello di effettivo coordinamento e governo di rete. Solo in questo modo sar possibile avviare un irreversibile processo di risparmio, di contenimento e di riqualificazione della spesa pubblica sul territorio, oltrech procedere ad una effettiva semplificazione istituzionale e razionalizzazione amministrativa.>> (http://www.astrid-online.it/--le-trasf/Atti-parla/Abolizione/Anci_-audizione-ddl-delrioIComm_Camera_06_11_13.pdf)
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La nuova rappresentativit sar quindi la prima e pi diretta conseguenza della riforma, e sar la prima delle scadenze attuative della legge che sar necessario affrontare, in occasione della ricostituzione della nuova forma di governo delle province e della citt metropolitana di Torino (18). Come noto, infatti, il potere di voto attribuito al particolare corpo elettorale dei nuovi consigli (provinciale e metropolitano) sar direttamente misurato in funzione della consistenza demografica dei comuni appartenenti alle circoscrizioni territoriali delle attuali province. Va segnalato, per inciso, che il disegno di legge prevede che il criterio di ponderazione del voto su base demografica sia moderatamente corretto (19), al fine di rendere meno impattante la sovra-rappresentazione delle grandi citt rispetto a quella dei piccoli comuni. Ma nonostante il correttivo, le prime proiezioni del sistema di elezione indiretta indicano che in Piemonte la forbice di rappresentativit fra i comuni di maggiori e minori dimensioni sar comunque molto alta, e varier peraltro in modo significativo da provincia a provincia, come si vede dalle tabelle seguenti, che simulano la composizione dei futuri consigli provinciali (e della Citt Metropolitana di Torino) a seguito della elezione di secondo grado con voto ponderato.

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Oltre al tema della rappresentativit territoriale, il disegno di legge Delrio pone alcune serie questioni di necessario riallineamento del disegno di riordino costituzionale, che sono state messe chiaramente in luce da A.POGGI, nellarticolo Sul disallineamento tra il ddl Delrio ed il disegno costituzionale attuale, in Federalismi.it, 8 gennaio 2014. (http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=23939&dpath=document&dfile=07012014231 054.pdf&content=Sul+disallineamento+tra+il+ddl+Delrio+ed+il+disegno+costituzionale+attuale++stato+-+dottrina+-+)
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Le regole di correzione del voto ponderato sono indicate nellallegato A) del disegno di legge.

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Tabelle n. 3-11 (nota bene: le tabelle contengono una simulazione che non considera la diversa composizione dei consigli comunali antecedente al 2011)

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CITTA METROPOLITANA DI TORINO

Fonte: Unione Province Piemontesi, febbraio 2014

Come si vede dalle tabelle, nelle province del Verbano-Cusio-Ossola e di Biella il potere di voto attribuito ai sindaci e consiglieri dei grandi comuni varr rispettivamente 10 e 14 volte quello attribuito a un amministratore di un piccolo comune.
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Nella provincia di Asti, che gi pi grande e frammentata (108 comuni su 118 sono inferiori a 3000 abitanti) la forbice di rappresentativit si apre a 24 volte, ma nella Citt Metropolitana di Torino (dove si sommano la frammentazione comunale e la preponderanza dei piccoli comuni) il peso ponderato di un grande elettore della Citt di Torino sar circa 250 volte superiore a quello di un suo omologo proveniente da uno dei comuni inferiori a 3000 abitanti.

Possiamo individuare a questo punto la prima delle operazioni di sistema che il disegno di legge intende realizzare: ai sindaci e ai consiglieri dei grandi comuni viene consegnata la futura responsabilit del governo di area vasta, mentre agli amministratori dei piccoli comuni viene consegnato lonere di riorganizzarsi.

Siamo quindi in presenza di una riforma che scommette sui sindaci, ma che li provoca al contempo a operare un completo ripensamento del loro modo di agire come amministratori pubblici. Questo aspetto pu sembrare paradossale, ma si deve concludere che sia una conseguenza di cui il Governo e il Parlamento sono pienamente consapevoli, avendo scelto di adottare un sistema elettorale di secondo grado, basato solo sulla rappresentativit demografica dei comuni amministrati. Ai sindaci dei piccoli comuni (che sono l89% degli amministratori piemontesi) viene quindi chiesto di ridurre lattuale polverizzazione e di aggregarsi per riuscire a esprimere una rappresentativit che, diversamente, li vedr del tutto annichiliti nelle decisioni relative al governo di area vasta rispetto ai medi e ai grandi comuni.

Con una simile scelta, che peraltro non priva di conseguenze sul piano del principio costituzionale di equiordinazione, il disegno di legge Delrio conferma ci che evidente gi da molti anni a chi vive in concreto e nel quotidiano le vicende delle autonomie locali: le province grandi e diversificate (come quella di Torino) sono destinate a vivere in modo pi problematico gli effetti della riforma, mentre quelle pi piccole e omogenee troveranno pi facilmente un nuovo punto di equilibrio nella

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rielaborazione dellindirizzo politico da dare alle funzioni e ai servizi pubblici di area vasta. Nelle prime, le tensioni centrifughe che sono state sinora mitigate da amministrazioni provinciali strutturate e capaci di generare effetti di perequazione territoriale nelluso delle risorse disponibili emergeranno con maggiore virulenza, mentre nelle seconde il modello politico-organizzativo eletto dal legislatore (cio le unioni di comuni) potranno pi facilmente sostituire le province nella nuova composizione degli interessi territoriali.

Per questo aspetto, va per segnalato che il sistema ordinamentale vigente non privo di contraddizioni che rischiano di vanificare la scommessa sulle unioni di comuni. Infatti, ampi comparti della legislazione nazionale e regionale dovranno essere urgentemente riformati per rimuovere i vincoli che rendono oggi le unioni uno strumento forte solo sulla carta, ma nella pratica largamente sottoutilizzato in favore di strumenti meno impegnativi sul piano della cessione di sovranit politica e tecnica (20).

Dallavvento degli obblighi di gestione associata delle funzioni fondamentali per i comuni di minori dimensioni, infatti, i sindaci hanno quasi sempre preferito utilizzare le convenzioni di gestione associata o le diverse forme entificate di esternalizzazione delle funzioni di governo locale che si erano gi affermate in Piemonte nel corso dei decenni scorsi. Si tratta ad esempio dei consorzi di servizi, delle societ partecipate, delle fondazioni di partecipazione, degli altri organismi di diritto pubblico o privato (talvolta privi perfino di personalit giuridica) che a vario titolo di legittimazione hanno gestito e continuano a gestire funzioni amministrative e servizi pubblici di prossimit, cio di stretta competenza comunale.
20

Si v. a tale riguardo la pregevole indagine di ANCI PIEMONTE dal titolo Unioni in luce: analisi dellesperienza associativa, 2012, in http://www.anci.it/index.cfm?layout=dettaglio&IdDett=39819

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Questo nutrito florilegio di forme miste fra esternalizzazione e gestione associata oggi si pone come un sostanziale ostacolo alla piena applicazione del disegno promosso dal Ministro Graziano Delrio e, comunque, come un insieme di soggetti potenzialmente antagonisti (quanto e forse pi delle stesse province) rispetto alle speranze di sviluppo delle unioni di comuni.

In Piemonte, il modello politico-organizzativo delle unioni pertanto da considerarsi ancora acerbo, e peraltro non direttamente pertinente allesercizio delle funzioni di tipo sovracomunale o di area vasta, posto che esso almeno nelle intenzioni del legislatore del Testo Unico Enti Locali era nato per la gestione associata delle funzioni comunali o intercomunali. E solo dal 2010, in sostanza, che larchetipo delle unioni di comuni stato prefigurato come strumento non di cooperazione volontaristica, ma di aggregazione coatta (almeno per l85% dei comuni che hanno meno di 5.000 abitanti) per lesercizio di ben nove funzioni fondamentali municipali (21), cio a dire la quasi totalit delle funzioni di cui ogni Comune si occupa.

Non solo. A partire dal 2011-2012, operando una drastica semplificazione degli strumenti di cooperazione offerti dal Testo Unico Enti Locali (22), alle unioni di comuni e solo a esse stata assegnata anche la missione di sostituire le province, prevedendo tali forme associative come naturali destinatarie anche delle

Si tratta, come ovvio, delle funzioni di cui allart. 14, comma 27 del D.L. 31 gennaio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122, nel testo vigente a seguito delle modifiche apportate da ultimo ad opera della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (in SO n.212, relativo alla G.U. 29/12/2012, n.302) modificativa dell'art. 19, comma 1, lettera a) del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135 pubblicata nella G.U. 14/8/2012, n. 189) e che ha disposto (con l'art. 1, comma 305) la modifica dell'art. 14, comma 27, lettera l) nonch l'introduzione della lettera l-bis), all'art. 14, comma 27.
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21

La prima indicazione della netta riduzione degli strumenti di cooperazione intercomunale si avuta con il D.L. 138/2011, il quale per primo ha disposto che gli obblighi di gestione associata dovessero essere assolti facendo ricorso tassativamente o alle convenzioni ex art. 30 TUEL o alle unioni di comuni.

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funzioni sovracomunali e di area vasta che non dovessero richiedere lunitario esercizio a livello regionale. Cos facendo, il legislatore degli ultimi cinque anni ha intrecciato il fenomeno dellassociazionismo comunale (nato per una logica di mera riorganizzazione dei servizi pubblici di prossimit) con il destino del governo di area vasta, cio delle province, creando un corto-circuito fra due processi di riforma che in origine non erano direttamente collegati fra loro.

Come gi si accennato prima, il corto-circuito pu produrre salutari effetti di riorganizzazione in province piccole e molto omogenee fra loro, cio a dire in province costituite da 50-100 comuni, con capoluoghi di provincia non superiori a 500.000 abitanti. In quelle realt, lomogeneit territoriale un fattore di coesione e permette di immaginare la sostituzione di una provincia (23) con un numero molto ristretto di unioni di comuni. In province molto pi grandi, oppure molto pi disomogenee sul piano della numerosit dei comuni (interpolata con la loro classe demografica di appartenenza), gli effetti benefici della riforma sono invece tutti da verificare.

Il Piemonte, come noto, fra le regioni italiane in cui i due aspetti di frammentazione comunale e contestuale preponderanza di piccoli o piccolissimi comuni sono molto pi presenti che in altre regioni italiane: basti pensare che la somma di tutti i comuni dellEmilia Romagna e della Toscana equivale a poco pi della met dei comuni del Piemonte, mentre invece lo stesso rapporto misurato in termini di popolazione praticamente inverso.

Il problema della vera e propria sostituzione della provincia si porr solo quando anche il disegno di legge costituzionale n. 1543 sar stato approvato.

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C/D

EMILIAROMAGNA

TOSCANA

SOMMA DELLE DUE REGIONI

PIEMONTE

PROPORZIONE

NUMERO COMUNI NUMERO PICCOLI COMUNI (<5000 ab.) % COMUNI TOTALE POPOLAZIONE RESIDENTE % POPOLAZIONE PICCOLI SUL

348 149

287 127

635 276

1206 1072

0,52/1 0,25/1

43%

44%

(media) 43,5%

89%

0,49/1

4.377.487

3.692.828

8.070.315

4.374.052

1,84/1

7,3

6,2

13,5

7,3

1,85/1

SU TOTALE ITALIA

Il raffronto fra due regioni in cui le unioni di comuni hanno gi una tradizione consolidata (Emilia Romagna e Toscana) e il Piemonte dimostra adeguatamente la complessit dellimpatto della riforma sul nostro territorio. Sar un impatto decisamente complesso, anche perch dovr impegnare nello sforzo riorganizzativo pi di mille amministrazioni comunali, che nel complesso esprimono una popolazione di amministratori pubblici superiore a 11.000 persone. Costoro dovranno necessariamente individuare degli strumenti di cooperazione intercomunale nuovi e inediti, rispetto a quelli che oggi lordinamento pubblicistico italiano mette a disposizione, e che vale qui di seguito richiamare per sommi capi.

In Italia la cooperazione fra enti locali di tipo territoriale pu essere realizzata anzitutto mediante gli istituti giuridici codificati nel Testo Unico degli Enti Locali. Essi sono tipicamente di due generi: da un lato, esistono gli accordi variamente denominati come le convenzioni, i protocolli dintesa, gli accordi di programma; dallaltro lato, esistono gli strumenti che generano nuove strutture o nuovi enti: i

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consorzi, le unioni di comuni, le autorit dambito, le societ o gli organismi partecipati.

Gli strumenti di tipo pattizio (che cio si concretizzano in una forma di accordo) agiscono nellambito di un rapporto tra soggetti paritari che puntano alla realizzazione di benefici comuni o al raggiungimento di maggiori economie di scala. Questo modello di cooperazione tipicamente di tipo orizzontale ed perfettamente consensuale e volontario, poich non mette in discussione la sovranit di ciascuno degli attori, i quali restano pienamente liberi di autodeterminarsi nelle proprie politiche generali, al di fuori dei temi sui quali hanno contrattato di cooperare. Gli strumenti che invece si concretizzano con la creazione di sovrastrutture territoriali o di soggetti giuridici strumentali, invece, agiscono su una dimensione verticale della cooperazione che, in tali casi, punta alla razionalizzazione delle risorse disponibili e alle maggiori economie di scala che si possono determinare mediante la riduzione della frammentazione degli indirizzi politici. Questo secondo tipo di cooperazione pu essere anchesso di tipo consensuale, ovvero pu essere previsto per legge come nel caso delle unioni di comuni speciali, gi previste dal D.L. 138/2011 e che il disegno di legge Delrio intende sopprimere, forse anche a causa del loro completo insuccesso applicativo. In ogni caso, comunque, la cooperazione verticale di tipo entificante supera la logica meramente pattizia per costituire nuovi soggetti o istituzioni, che sono ovviamente dotate di una propria relativa autonomia e volont, da considerarsi terza rispetto alle volont dei costituenti.

La cooperazione verticale, per questo motivo, comporta la messa in discussione della libert di autodeterminazione dei fini, seppure entro i limiti della cessione di sovranit che derivata dallatto genetico dellente terzo. Fra gli elementi costitutivi classici di unorganizzazione pubblica (territorio, popolazione, sovranit), lelemento determinante nella cooperazione senza dubbio
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il territorio.

Come si visto ad esempio nellesperienza applicativa dei consorzi di

funzioni o di servizi, quando sul medesimo territorio coesistono diversi attori dotati di sovranit concorrente, spesso si genera una dicotomia tra la tendenza a costituire forme deboli di cooperazione orizzontale e la tendenza inversa, volta a costituire forme forti di cooperazione verticale. In questo secondo caso, pi intensa la cessione di sovranit e pi la cooperazione tende a scivolare nella competizione. E tra enti territoriali in competizione fra loro, il rapporto di forza tendenzialmente misurabile: secondo le dimensioni degli apparati amministrativi; nella capacit di generare risorse finanziarie autonome e attrarre le risorse di finanza derivata; con la vocazione generalista (tante funzioni) o specialistica (poche funzioni) di ciascuno degli attori; nella riconoscibilit del ruolo sociale dellente e nella cd. valutazione di outcome delle politiche realizzate.

Ora, del tutto evidente che la riforma Delrio non sia improntata alla cooperazione bens alla competizione, e lo fa a ragion veduta basandosi sullosservazione per molti versi condivisibile che le risorse pubbliche non sono pi sufficienti per stimolare cooperazioni istituzionali ad aggiungere, come quelle che erano state realizzate nei decenni passati in cui lItalia non era soggetta a vincoli di stabilit economico-finanziaria. Oggi, invece, alla cooperazione si dovrebbe sostituire la competizione sulle (poche) risorse disponibili, privilegiando chi pi grande e coeso a discapito di chi pi piccolo e isolato.

Al di l di ogni possibile valutazione politica di tale affermazione, resta il fatto che se lassioma vero ne deriva una imprescindibile conseguenza.

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Se fino a oggi il sistema di governo multilivello si doveva basare sul riconoscimento del principio di autonomia e sussidiariet verticale, compensato dai criteri di adeguatezza e differenziazione, da oggi in poi il registro dovr essere quasi opposto, poich alla sussidiariet verticale si sostituiscono le soglie demografiche minime per le funzioni fondamentali comunali (24), e alla differenziazione si sostituisce lomogeneit di una disciplina che elegge a modello una sola forma politicoorganizzativa (le unioni di comuni) da applicare uniformemente su tutto il territorio.

Siamo quindi in presenza del secondo dato che rivela la natura di sistema della riforma Delrio: il sistema di cooperazione istituzionale piemontese, che stato improntato a una forte sussidiariet verticale e al riconoscimento della piena autonomia di ciascun comune (25), deve cambiare radicalmente. Quel sistema che alle province ha sempre riconosciuto un ruolo sostanziale e non solo formale di cerniera istituzionale deve riorganizzarsi rapidamente per evitare di produrre anche in Piemonte quello che si lamenta nel resto dItalia, e cio il neocentralismo regionale nella gestione delle funzioni di area vasta. Quel sistema delle province, insomma, che finora ha permesso di mitigare gli effetti di inefficienza derivanti dalla tradizionale polverizzazione dei comuni del Piemonte, oggi non pu pi proteggere la differenziazione territoriale e si deve attrezzare ad affrontare il cambiamento, senza ulteriori ritardi.

Dopo che lo Stato avr fissato con la legge Delrio - la disciplina generale di questo nuovo sistema ordinamentale, spetter alla Regione interpretarlo e adattarlo alle esigenze del Piemonte, cos come spetter alla Citt Metropolitana di Torino utilizzare degli spazi di autonomia statutaria (offerti dalla riforma) che appaiono del
Se si sposta sul livello della gestione associata obbligatoria ben 9 funzioni fondamentali su 10 (12 comprese anche quelle non fondamentali), tutto ci che accade sotto la soglia obbligatoria non pu pi essere considerato funzione o servizio pubblico, e diventa irrilevante ai fini della gestione amministrativa. Quindi, ai piccoli comuni singolarmente presi resta una mera funzione di presidio democratico, svuotata di significato e contenuto amministrativo. 25 Da ultimo, si avuta dimostrazione di questo riconoscimento nella legge regionale 11/2012 che ha affidato a ciascun singolo comune del Piemonte la scelta sulle strategie di gestione associata, funzione per funzione. Cio a dire, piena libert di scegliere con chi associarsi e su cosa.
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tutto inediti oltrech, potenzialmente, rivoluzionari del sistema delle fonti del diritto locale. Sar quindi un lavoro molto impegnativo, che potr svolgersi tutto allinterno di una nuova e prossima legislatura regionale, che si auspica possa avere dei tratti realmente costituenti di un nuovo ordinamento e di un nuovo sistema delle autonomie locali piemontesi.

(Torino, 26 febbraio 2014)

Approfondimenti:

La posizione del Presidente dellUnione Province dItalia Antonio Saitta sulla riforma del Titolo V dopo le dichiarazioni programmatiche del Governo al Parlamento (26 febbraio 2014) http://www.upinet.it/4244/istituzioni_e_riforme/governo_province_saitta_fissiamo_una_data_nella genda_del_governo_anche_per_la_riforma_del_titolo_v_noi_siamo_pronti/

Il dossier della Provincia di Torino sul disegno di legge A.S. 1212 http://www.provincia.torino.gov.it/speciali/2014/ddl_delrio/

(15 gennaio 2014)

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